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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
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70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
103-SEMINTERRATI
104-SIC-ZSC-ZPS - VAS - VIA
105-SICUREZZA SUL LAVORO
106
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SILOS
107-SINDACATI & ARAN
108-SOPPALCO
109-SOTTOTETTI
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111-SUE
112-STRADA PUBBLICA o PRIVATA o PRIVATA DI USO PUBBLICO
113-
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114-TENDE DA SOLE
115-TINTEGGIATURA FACCIATE ESTERNE
116-TRIBUTI LOCALI
117-VERANDA
118-VINCOLO CIMITERIALE
119-VINCOLO IDROGEOLOGICO
120-VINCOLO PAESAGGISTICO + ESAME IMPATTO PAESISTICO + VINCOLO MONUMENTALE
121-VINCOLO STRADALE
122-VOLUMI TECNICI / IMPIANTI TECNOLOGICI

123-ZONA AGRICOLA
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per approfondimenti vedi anche:
A.N.AC. (già Autorità Vigilanza Contratti Pubblici) <---> Partenariato Pubblico Privato - MEF/RGS
* * *
A.N.AC. (massimario dell'Autorità) - A.N.AC. (massimario di giurisprudenza)

anno 2013
dicembre 2013

ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO - TRIBUTI: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) - Selezione norme di interesse dei Comuni (ANCI, dicembre 2013).

ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 27.12.2013 n. 302, suppl. ord. n. 87/L, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)" (L. 27.12.2013 n. 147).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U. 23.12.2013 n. 300 "Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015" (D.L. 23.12.2013 n. 145).
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Di particolare interesse, si leggano:
Art. 1. - Disposizioni per la riduzione dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, per gli indirizzi strategici dell’energia geotermica, in materia di certificazione energetica degli edifici e di condominio, e per lo sviluppo di tecnologie di maggior tutela ambientale
Art. 4. - Misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale e misure particolari per l’area di crisi complessa del porto di Trieste
Art. 13. - Disposizioni urgenti per EXPO 2015, per i lavori pubblici ed in materia di trasporto aereo
Art. 14. - Misure di contrasto al lavoro sommerso e irregolare

APPALTI: Oggetto: Nuove soglie comunitarie per gli appalti pubblici dall'01.01.2014 (ANCE Bergamo, circolare 20.12.2013 n. 278).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Modifiche in tema di appalti pubblici introdotti dal cosiddetto “decreto del fare”. Specificazioni (ANCE Bergamo, circolare 20.12.2013 n. 277).

APPALTIAi sensi e per gli effetti dell'art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 163 del 2006, anche nel testo vigente anteriormente al d.l. n. 70 del 2011, secondo cui costituiscono causa di esclusione dalle gare di appalto le gravi violazioni alle norme in materia previdenziale e assistenziale, la nozione di "violazione grave" non è rimessa alla valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma si desume dalla disciplina previdenziale, e in particolare dalla disciplina del documento unico di regolarità contributiva.
Nella fattispecie in esame il DURC di una delle imprese indicate quale esecutrice indicava una irregolarità nel versamento degli oneri assicurativi, che la stazione appaltante non poteva che considerare grave.
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Non può essere considerata irregolare ai fini contributi o assistenziali la posizione della impresa qualora sia pendente il termine per la proposizione della impugnazione o non sia, comunque, stato definito con sentenza passata in giudicato il contenzioso instaurato.
A tale conclusione il Consiglio di Stato è addivenuto sulla base dell’art. 8, comma 2, lettera b, del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 24.10.2007 e della circolare della Agenzia delle entrate n. 34/E del 25.05.2007.
L’art. 8 surrichiamato, nel disciplinare le “cause non ostative al rilascio del DURC”, espressamente prevede che: “b) in pendenza di contenzioso giudiziario, la regolarità è dichiarata sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, salvo l'ipotesi in cui l'Autorità giudiziaria abbia adottato un provvedimento esecutivo che consente l'iscrizione a ruolo delle somme oggetto del giudizio ai sensi dell'art. 24 del decreto legislativo 26.02.1999, n. 46”;.
La circolare succitata afferma, invece, espressamente che: “la regolarità fiscale richiesta dal Codice dei contratti pubblici possa (rectius può) essere certificata, in riferimento alla data o al periodo indicati dal richiedente, dall’Ufficio locale competente secondo il domicilio fiscale del soggetto d’imposta quando risulti, in base alle informazioni ed ai documenti di cui dispone, che l’Amministrazione finanziaria non abbia contestato al contribuente una qualsiasi violazione di obblighi in materia di tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, mediante atto che si sia reso definitivo per effetto del decorso del termine di impugnazione ovvero, qualora sia stata proposta impugnazione, del passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale (cfr. ris. n. 2/E del 03.01.2005).
Si ritiene, inoltre, che l’irregolarità fiscale viene meno qualora, alla data rispetto alla quale viene richiesta la certificazione, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria sia stata integralmente soddisfatta, anche mediante definizione agevolata”.
Nella specie dalla documentazione in atti risulta, come anticipato, che il DURC costituente presupposto della revoca impugnata è stato impugnato innanzi al Tribunale del lavoro di Catania, che, per quanto risulta dal fascicolo, non si è ancora pronunciato. Ne consegue che la controversia non è stata definita con pronuncia passata in giudicato e che va esclusa la definitività dell’accertamento.

Tutto ciò premesso può procedersi all’esame del primo motivo, con il quale si deduce che l’amministrazione avrebbe illegittimamente omesso qualunque verifica in ordine alla sussistenza del requisito della gravità della irregolarità contributiva risultante dal DURC della società cooperativa “Il Sorriso”.
Nella fattispecie tale requisito, in particolare, difetterebbe avuto riguardo alla irrisorietà della irregolarità (pari ad € 462,00 rapportate ad un biennio) a fronte del consistente valore dell’appalto (€ 18.133.200,00), nonché alla circostanza della sua addebitabilità ad una delle due imprese esecutrici indicate dal “Consorzio Sol. Calatino” soc. coop. avente una quota di partecipazione del 25%.
La doglianza è infondata avuto riguardo al principio di diritto enunciato dalla adunanza plenaria nella decisione n. 8/2012, che si ritiene opportuno riportare letteralmente: "ai sensi e per gli effetti dell'art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 163 del 2006, anche nel testo vigente anteriormente al d.l. n. 70 del 2011, secondo cui costituiscono causa di esclusione dalle gare di appalto le gravi violazioni alle norme in materia previdenziale e assistenziale, la nozione di "violazione grave" non è rimessa alla valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma si desume dalla disciplina previdenziale, e in particolare dalla disciplina del documento unico di regolarità contributiva”.
Nella fattispecie in esame il DURC di una delle imprese indicate quale esecutrice indicava una irregolarità nel versamento degli oneri assicurativi, che la stazione appaltante non poteva che considerare grave.
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Va adesso esaminato il secondo motivo, con il quale si deduce la violazione degli artt. 49, 56 e 101 del TFUE, poiché la nozione di “violazione contributiva grave” di cui all’art. 38 del codice degli appalti, in quanto rigida, contrasterebbe con i principi comunitari di proporzionalità e ragionevolezza dagli stessi enunciati.
Come ritenuto nella condivisa ordinanza n. 1969/2012 della III sezione del TAR Lombardia Milano richiamata nel ricorso, alle cui ampie motivazioni per esigenze di sintesi si rinvia, la questione è fondata nel senso che consente la devoluzione alla Corte di Giustizia e non la disapplicazione della normativa nazionale.
Tale devoluzione non è, però, nella fattispecie in esame necessaria, in quanto il collegio, ad una più attenta valutazione tipica della fase di merito, ritiene fondato il terzo motivo, con il quale si deduce che non sussisterebbe il presupposto della definitività dell’accertamento della irregolarità previsto dall’art. 38.
Dalla documentazione in atti risulta, infatti, che il DURC in questione è stato impugnato innanzi al giudice del lavoro di Catania.
Orbene, come ritenuto nella decisione della V sezione del Consiglio di Stato n. 2213 del 20.04.2010, alle cui ampie motivazioni per esigenze di sintesi si rinvia, non può essere considerata irregolare ai fini contributi o assistenziali la posizione della impresa qualora sia pendente il termine per la proposizione della impugnazione o non sia, comunque, stato definito con sentenza passata in giudicato il contenzioso instaurato (negli stessi termini più di recente la decisione n. 261/2013).
A tale conclusione il Consiglio di Stato è addivenuto sulla base dell’art. 8, comma 2, lettera b, del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 24.10.2007 e della circolare della Agenzia delle entrate n. 34/E del 25.05.2007.
L’art. 8 surrichiamato, nel disciplinare le “cause non ostative al rilascio del DURC”, espressamente prevede che: “b) in pendenza di contenzioso giudiziario, la regolarità è dichiarata sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, salvo l'ipotesi in cui l'Autorità giudiziaria abbia adottato un provvedimento esecutivo che consente l'iscrizione a ruolo delle somme oggetto del giudizio ai sensi dell'art. 24 del decreto legislativo 26.02.1999, n. 46”;.
La circolare succitata afferma, invece, espressamente che: “la regolarità fiscale richiesta dal Codice dei contratti pubblici possa (rectius può) essere certificata, in riferimento alla data o al periodo indicati dal richiedente, dall’Ufficio locale competente secondo il domicilio fiscale del soggetto d’imposta quando risulti, in base alle informazioni ed ai documenti di cui dispone, che l’Amministrazione finanziaria non abbia contestato al contribuente una qualsiasi violazione di obblighi in materia di tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, mediante atto che si sia reso definitivo per effetto del decorso del termine di impugnazione ovvero, qualora sia stata proposta impugnazione, del passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale (cfr. ris. n. 2/E del 03.01.2005). Si ritiene, inoltre, che l’irregolarità fiscale viene meno qualora, alla data rispetto alla quale viene richiesta la certificazione, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria sia stata integralmente soddisfatta, anche mediante definizione agevolata”.
Nella specie dalla documentazione in atti risulta, come anticipato, che il DURC costituente presupposto della revoca impugnata è stato impugnato innanzi al Tribunale del lavoro di Catania, che, per quanto risulta dal fascicolo, non si è ancora pronunciato. Ne consegue che la controversia non è stata definita con pronuncia passata in giudicato e che va esclusa la definitività dell’accertamento.
Concludendo, per le ragioni suesposte, il ricorso è fondato e va accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 19.12.2013 n. 2497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: M. A. Sandulli, Natura ed effetti dei pareri dell'AVCP (18.12.2013 - link a www.federalismi.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIL’acquisizione di beni e servizi secondo modalità diverse da quelle previste dal novellato art. 1, comma 450, della L. 296/2006 sono causa di nullità del contratto stipulato con configurazione di un illecito disciplinare e di una fattispecie di responsabilità amministrativa, “non potendo revocarsi in dubbio che il Me.PA, sia ascrivibile al genus degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip Spa”.
Tuttavia,
la lettura coordinata e sistematica del summenzionato comma 450 con l’immediatamente precedente comma 449 della L. 296/2006 per cui, per l’acquisto di beni e servizi “Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 e s.m., possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma …. ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. ….” , comporta che “l’obbligo di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento descritti va mitigato ogni qualvolta il ricorso all’esterno persegue la ratio di contenimento della spesa pubblica contenuta nella norma”.
Quanto sopra pur, evidentemente, nella indispensabile giustificazione delle oggettive motivazioni del mancato esperimento della procedura della richiesta di offerta e/o della mancata adesione alla procedura da parte dell’offerente migliore, che dovrà, comunque, rispettare, ai sensi dell’art. 327 del D.P.R. 207/2010, i requisiti generali e di idoneità professionale previsti dagli artt. 38 e 39 del codice dei contratti pubblici.
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Il Presidente della Provincia di Parma ha inoltrato a questa Sezione, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 131/2003, una richiesta di parere in merito all’ambito di applicazione dell’art. 1, comma 450, della Legge 27.12.2006, n. 296 per cui “Dal 01.07.2007, le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, per gli acquisti di beni e servizi al di sotto della soglia di rilievo comunitario, sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all’articolo 328, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207. Fermi restando gli obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328. Per gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le università statali, tenendo conto delle rispettive specificità, sono definite, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, linee guida indirizzate alla razionalizzazione e al coordinamento degli acquisti di beni e servizi omogenei per natura merceologica tra più istituzioni, avvalendosi delle procedure di cui al presente comma. A decorrere dal 2014 i risultati conseguiti dalle singole istituzioni sono presi in considerazione ai fini della distribuzione delle risorse per il funzionamento”.
Specificamente viene richiesto “se possa risultare possibile l’accesso al libero mercato, qualora l’indagine nell’ambito del mercato elettronico della pubblica amministrazione, ovvero di atri mercati elettronici istituiti ai sensi dell’articolo 328 del decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010 n. 207, evidenzi la disponibilità dei beni e servizi necessari ma a prezzi superiori rispetto a quelli normalmente praticati nel contesto commerciale di riferimento.
...
La soluzione del quesito si fonda sull’interpretazione da fornire all’inciso del comma 450 dell’art. 1 della finanziaria 2007 e s.m.i. per cui “le altre amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328”.
Il richiamato art. 328 del D.P.R. 207/2010 ne prevede tre tipologie diverse: quello della stessa stazione appaltante, quello realizzato dal Ministero dell’economia e delle finanze tramite il sistema Consip, quello realizzato dalle centrali di committenza di cui all’art. 33 del codice dei contratti pubblici.
Peraltro, oltre al già ampio spettro di scelta tra le summenzionate tipologie di mercato elettronico normativamente previste, l’eventualità di prezzi inferiori reperibili sul mercato, rispetto a quelli catalogati, per i beni e servizi necessari, trova una risposta adeguata nel vigente testo normativo. Infatti, il sistema si configura come un “mercato aperto cui è possibile l’adesione da parte di imprese che soddisfino i requisiti previsti dai bandi relativi alla categoria merceologica o allo specifico prodotto e servizio e, quindi, anche di quella asseritamente in grado di offrire condizioni di maggior favore rispetto a quelle praticate sul Me. PA … . D’altro canto …nell’ambito dello stesso è prevista una duplicità di modalità d’acquisto: così, oltre all’ordine diretto che permette di acquisire sul Mercato Elettronico i prodotti/servizi con le caratteristiche e le condizioni contrattuali già fissate, è prevista la richiesta di offerta (cd. R.d.O.) con la quale è possibile negoziare prezzi e condizioni migliorative o specifiche dei prodotti/servizi pubblicati su cataloghi on line” (cfr. Sezione regionale di controllo Marche n. 169/2012).
A tal proposito, infatti, il comma 4 dell’art. 328 del D.P.R.207/2010 prevede che le stazioni appaltanti, servendosi del mercato elettronico, possano effettuare acquisti di beni e servizi sotto soglia “a) attraverso un confronto concorrenziale …..delle offerte ricevute sulla base di una richiesta di offerta rivolta ai fornitori abilitati; ….”.
Pertanto, attraverso la procedura della richiesta di offerta, pur nell’ambito del sistema del mercato elettronico, sono acquisibili prezzi più convenienti per i beni e servizi pur disponibili nei cataloghi on-line.
L’inderogabilità della richiamata procedura è suffragata dall’interpretazione letterale del dato normativo di cui al comma 450 dell’art. 1 della finanziaria 2007 e s.m.i. che non ammette deroghe neppure per gli enti locali, nonché alla luce della ratio di tutela della trasparenza e della concorrenzialità cui l’automaticità del meccanismo di aggiudicazione, normativamente previsto, è sotteso.
Ad ulteriore conferma, infine, il fatto che
l’acquisizione di beni e servizi secondo modalità diverse da quelle previste dal novellato art. 1, comma 450, della L. 296/2006 saranno causa di nullità del contratto stipulato con configurazione di un illecito disciplinare e di una fattispecie di responsabilità amministrativa, “non potendo revocarsi in dubbio che il Me.PA, sia ascrivibile al genus degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip Spa (cfr. Sezione regionale di controllo per le Marche n.169/2012).
Altresì,
la lettura coordinata e sistematica del summenzionato comma 450 con l’immediatamente precedente comma 449 della L. 296/2006 per cui, per l’acquisto di beni e servizi “Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 e s.m., possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma …. ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. ….” , comporta che “l’obbligo di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento descritti va mitigato ogni qualvolta il ricorso all’esterno persegue la ratio di contenimento della spesa pubblica contenuta nella norma (cfr. Sezione regionale di controllo per la Toscana n. 151/2013).
Quanto sopra pur, evidentemente, nella indispensabile giustificazione delle oggettive motivazioni del mancato esperimento della procedura della richiesta di offerta e/o della mancata adesione alla procedura da parte dell’offerente migliore, che dovrà, comunque, rispettare, ai sensi dell’art. 327 del D.P.R. 207/2010, i requisiti generali e di idoneità professionale previsti dagli artt. 38 e 39 del codice dei contratti pubblici (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, parere 17.12.2013 n. 286).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: OGGETTO: Interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 – Imposta di bollo nell'ambito del Mercato elettronico della Pubblica amministrazione (Agenzia delle Entrate, risoluzione 16.12.2013 n. 96/E).
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Il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate. Mercato elettronico della PA, forniture digitali con bollo.
Sono da assoggettare a imposta di bollo i documenti di offerta e accettazione, redatti in formato elettronico, scambiati tra enti e fornitori della pubblica amministrazione sulla piattaforma del MEPA.
Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 96/E/2013.
La risoluzione risponde a un’istanza di interpello in merito al corretto trattamento tributario applicabile, ai fini dell’imposta di bollo, ai documenti di offerta e accettazione per l’approvvigionamento di beni e servizi scambiati tra Enti e fornitori all’interno del Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA).
La società istante, nel dettaglio, ritenendo lo scambio telematico tra le due parti non equiparabile alla conclusione di un vero e proprio contratto riteneva che i documenti in parola potessero essere ricondotti nell’ambito di applicazione dell’art. 24 della Tariffa, parte seconda, allegata al D.P.R. n. 642/1972 (nel novero degli atti sotto forma di corrispondenza, dispacci telegrafici, ecc.) con conseguente assoggettamento a imposta di bollo solo in caso d’uso.
Di diverso avviso l’Agenzia delle entrate, secondo la quale gli accordi in questione sono equiparabili a una scrittura privata, da assoggettare a imposta di bollo ai sensi dell’art. 2 della Tariffa, parte prima.
Occorre evidenziare, infatti, che nel MEPA possono accedere, oltre alle pubbliche amministrazioni, esclusivamente aziende fornitrici che siano state previamente abilitate a presentare i propri beni o servizi, offerti sul sistema in forma di cataloghi. Secondo la risoluzione pertanto, i fornitori abilitati formulano, anche a seguito di specifiche richieste da parte della pubblica amministrazione, delle offerte pubbliche di beni e servizi. A seguito della presentazione di tali offerte, la pubblica amministrazione individua quella che risulta conforme alle proprie richieste, procedendo alla conclusione del contratto, tramite apposito “documento di stipula”. E tale documento, benché recante la sola firma digitale dell’amministrazione, può ritenersi sufficiente ad instaurare il rapporto contrattuale, non essendo la controparte tenuta a manifestare ulteriormente la propria volontà in tal senso.
Infine, la risoluzione ricorda che l’imposta assolta in relazione a tale documento potrà essere addebitata al soggetto che presenta l'offerta.
A pagare il bollo sarà dunque il fornitore aggiudicatario, il quale è responsabile del corretto assolvimento del tributo, come previsto dall’art. 53 del Regolamento sul sistema di e-procurement della Pubblica Amministrazione.
Non scontano l’imposta di bollo, infine, le offerte economiche presentate dagli operatori che non siano seguite dall’accettazione da parte della PA (commento tratto da www.ipsoa.it).
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PA: non evitano l’imposta di bollo le forniture tramite mercato digitale.
Gli scambi di documenti elettronici tra le parti confermano il rapporto contrattuale e si concludono con la stipula di un contratto che ha valore di scrittura privata.
Pagano l’imposta di bollo i documenti di offerta e accettazione, redatti in formato elettronico, scambiati tra enti e fornitori all’interno del Mercato elettronico della pubblica amministrazione (Mepa) per l’approvvigionamento di beni e servizi.
Così risponde l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 96/E del 16 dicembre, a una società che ritiene lo scambio telematico tra le due parti non equiparabile alla conclusione di un vero e proprio contratto, perché sul documento conclusivo compare soltanto la firma digitale di chi lo ha emesso, mentre manca la firma della controparte.
Questa circostanza, secondo l’interpellante, farebbe ricadere l’atto non tra quelli indicati nell’articolo 2 della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 642/1972, che stabilisce l’applicazione dell’imposta di bollo per le “Scritture private contenenti convenzioni o dichiarazioni anche unilaterali con le quali si creano, si modificano, si estinguono, si accertano o si documentano rapporti giuridici di ogni specie, descrizioni, constatazioni e inventari destinati a far prova tra le parti che li hanno sottoscritti”, ma tra quelli del successivo articolo 24 della tariffa, parte seconda, per i quali il tributo è previsto solo in caso d’uso, ossia gli “Atti e documenti di cui all'articolo 2 redatti sotto forma di corrispondenza o di dispacci telegrafici, ancorché contenenti clausole di cui all' articolo 1341 del codice civile”. (... continua) (link a www.fiscooggi.it).

APPALTI SERVIZI: Il Collegio si allinea al prevalente indirizzo giurisprudenziale che ritiene di sussumere il servizio di illuminazione votiva nella categoria dei servizi pubblici comunali, mentre l’eventuale affidamento a privati della gestione è qualificabile quale concessione di servizio pubblico.
Come ha evidenziato l’organo di appello il tratto distintivo della concessione di pubblico servizio è dato: <<a) dall'assunzione del rischio a carico del concessionario per la gestione del servizio;
b) dalla circostanza che il corrispettivo non sia versato dall'amministrazione, come nei contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, la quale, anzi, percepisce un canone da parte del concessionario;
c) dalla diversità dell'oggetto del rapporto, che nella concessione di servizi è trilaterale (coinvolgendo l'amministrazione, il gestore e gli utenti), mentre nell'appalto è bilaterale (stazione appaltante - appaltatore).>>
Peraltro, sulla questione si può anche richiamare l’orientamento di questo Tribunale secondo cui: “In forza di tali nozioni (cioè quelle di mero servizio e servizio pubblico, n.d.r.) non vi è dubbio che il servizio di pubblica illuminazione debba essere considerato servizio pubblico, poiché dell'erogazione dello stesso, da parte dell'appaltatore, beneficia direttamente ed esclusivamente la collettività (o il singolo utente) senza alcuna intermediazione del Comune nello svolgimento del processo produttivo”.
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L
'illuminazione elettrica di aree cimiteriali da parte del privato costituisce oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica, perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi e personale da destinare a un’attività suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore.
A conferma di ciò si può richiamare la regola generale sancita dall'art. 172, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 267/2000, che impone di allegare al bilancio di previsione, fra gli altri documenti, le deliberazioni con le quali sono determinati le tariffe per i servizi locali.
Sono considerati privi di rilevanza economica i servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono un’organizzazione di impresa in senso obiettivo, e in questo quadro appare indubbia la riconducibilità del servizio di illuminazione votiva tra quelli che rivestono spessore economico, e detta impostazione non è smentita dall’eventuale irrisorietà del guadagno che in concreto il servizio produca.

Anzitutto il Collegio si allinea al prevalente indirizzo giurisprudenziale che ritiene di sussumere il servizio di illuminazione votiva nella categoria dei servizi pubblici comunali, mentre l’eventuale affidamento a privati della gestione è qualificabile quale concessione di servizio pubblico (TAR Sicilia Catania, sez. II – 07/12/2012 n. 2851; Consiglio di Stato, sez. V – 29/03/2010 n. 1790). Come ha evidenziato l’organo di appello (sez. V – 11/08/2010 n. 5620) il tratto distintivo della concessione di pubblico servizio è dato: <<a) dall'assunzione del rischio a carico del concessionario per la gestione del servizio (cfr. Corte Giustizia CE, Sez. III, 15.10.2009, n. 196, caso Acoset);
b) dalla circostanza che il corrispettivo non sia versato dall'amministrazione, come nei contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, la quale, anzi, percepisce un canone da parte del concessionario (cfr. Cons. St., sez. VI, 05.06.2006, n. 3333; Sez. V 05.12.2008 n. 6049);
c) dalla diversità dell'oggetto del rapporto, che nella concessione di servizi è trilaterale (coinvolgendo l'amministrazione, il gestore e gli utenti), mentre nell'appalto è bilaterale (stazione appaltante - appaltatore).
>>
I predetti connotati sono rintracciabili nella convenzione del 30/09/1983, visto che sono previsti interventi gratuiti del concessionario i quali sostanziano l’erogazione del compenso dovuto al Comune (art. 11), e che l’utente instaura un rapporto diretto con il gestore versando a suo favore un corrispettivo (prezzo di abbonamento – allegato A della convenzione): dunque la Società Epis assume direttamente il rischio correlato all’equilibrio economico dell’operazione condotta.
Peraltro sulla questione si può anche richiamare l’orientamento di questo Tribunale (cfr. sentenza 27/12/2007 n. 1373 richiamata dalla sez. II – 15/01/2013 n. 26, che risulta appellata) secondo cui: “In forza di tali nozioni (cioè quelle di mero servizio e servizio pubblico, n.d.r.) non vi è dubbio che il servizio di pubblica illuminazione debba essere considerato servizio pubblico, poiché dell'erogazione dello stesso, da parte dell'appaltatore, beneficia direttamente ed esclusivamente la collettività (o il singolo utente) senza alcuna intermediazione del Comune nello svolgimento del processo produttivo”.
In secondo luogo, l'illuminazione elettrica di aree cimiteriali da parte del privato costituisce oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica, perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi e personale da destinare a un’attività suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore (Consiglio di Stato, sez. V – 24/01/2013 n. 435). A conferma di ciò si può richiamare la regola generale sancita dall'art. 172, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 267/2000, che impone di allegare al bilancio di previsione, fra gli altri documenti, le deliberazioni con le quali sono determinati le tariffe per i servizi locali. Sono considerati privi di rilevanza economica i servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono un’organizzazione di impresa in senso obiettivo, e in questo quadro appare indubbia la riconducibilità del servizio di illuminazione votiva tra quelli che rivestono spessore economico (Consiglio di Stato, sez. V – 23/10/2012 n. 5409), e detta impostazione non è smentita dall’eventuale irrisorietà del guadagno che in concreto il servizio produca.
In presenza di una concessione di pubblico servizio non risultano applicabili le invocate disposizioni di cui agli artt. 30 e 143 del D.Lgs. 163/2006, che imporrebbero di adottare provvedimenti di riequilibrio economico finanziario degli investimenti effettuati al mutare delle condizioni di fatto e dei presupposti. Detta conclusione discende anzitutto dal rilievo che l’art. 143 riguarda le concessioni di lavori pubblici, mentre nella fattispecie già si è argomentato nel senso del riconoscimento della natura di concessione di servizio pubblico (cfr. sulla specifica questione Consiglio di Stato, sez. V – 29/03/2010 n. 1790).
Inoltre, l’art. 30 fa riferimento al perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario del rapporto concessorio secondo una valutazione compiuta ex ante (al momento di avviare la gara), mentre nella fattispecie non si rinviene alcuna disposizione nella convenzione stipulata tra le parti.
Infine, la ricorrente ha soltanto genericamente prospettato l’omessa rideterminazione delle nuove condizioni, e non ha fornito –con l’ausilio di un dettagliato quadro economico– un resoconto puntuale delle circostanze sopravvenute che avrebbero inciso sull’equilibrio del sinallagma, in disparte la non insignificante questione dell’imminente cessazione del rapporto concessorio, come si vedrà in seguito (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 14.12.2013 n. 1132 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: G.U.U.E. 14.12.2013 n. L 335/17 "REGOLAMENTO (UE) N. 1336/2013 DELLA COMMISSIONE del 13.12.2013 che modifica le direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE e 2009/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardo alle soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti".

APPALTI: Contratto pubblico di appalto in modalità elettronica: proposta di Intesa.
La Conferenza delle Regioni in relazione al Contratto pubblico di appalto in modalità elettronica ha approvato, nella riunione del 05.12.2013, un proposta di intesa Governo-Regioni-ANCI.
Tale documento è stato consegnato al Governo in occasione della discussione in Conferenza Unificata dell’Intesa sulle modalità di stipula dei contratti pubblici conclusi ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legge 18.10.2012, n. 179, convertito dalla legge 17.12.2012 n. 221 (tratto da www.regioni.it).
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La disposizione di cui all’articolo 11, comma 13, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 così come modificata dall’articolo 6 del decreto legge 18.10.2012 n. 179, stabilisce che a partire dal 01.01.2013 "Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata”.
Il presente documento è finalizzato ad offrire alle pubbliche amministrazioni indicazioni per affrontare i diversi aspetti operativi e organizzativi derivanti dalla stipula in modalità elettronica dei contratti pubblici relativi ad appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture.
A fini di inquadramento è opportuno evidenziare come il contratto stipulato in modalità elettronica sia riconducibile ai concetti più generali di documento informatico, di cui al decreto legislativo 07.03.2005, n. 82 Codice dell’Amministrazione Digitale ed alle relative regole tecniche in corso di emanazione.
Il contratto stipulato in modalità elettronica è formato tramite l’utilizzo di appositi strumenti software oppure tramite acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un contratto cartaceo.
Le indicazioni contenute nel presente documento possono essere adottate anche per la stipula di accordi fra amministrazioni di cui all’art. 15 L. 241/1990. (... continua)
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Obbligo dei contratti d’appalto in modalità elettronica: arrivano le linee guida su come operare.
L’articolo 11, comma 13, del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei Contratti, come modificato dal D.L. 179/2012) stabilisce che dall'01.01.2013 i contratti d’appalto debbano essere stipulati, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero in modalità elettronica secondo le norme vigenti.
Con circa un anno di ritardo rispetto alla scadenza, la Conferenza unificata nella seduta del 05.12.2013 ha definito le modalità di stipula dei contratti elettronici con apposite linee guida.
Il documento fornisce le indicazioni per affrontare i diversi aspetti operativi e organizzativi derivanti dalla stipula in modalità elettronica dei contratti pubblici relativi ad appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture.
Secondo le nuove regole, il contratto deve essere generato tramite l’uso di software o attraverso l’acquisizione informatica del contratto cartaceo su supporto informatico.
Il contratto stipulato in modalità elettronica deve assumere le caratteristiche di integrità e immodificabilità, in modo che forma e contenuto non siano alterabili e ne sia garantita l’integrità nella fase di conservazione.
Le tipologie di firma elettronica da utilizzare sono:
la firma digitale
la firma elettronica qualificata
la firma elettronica avanzata
Per garantire l’interoperabilità, l’accesso e la leggibilità dei documenti elettronici, i documenti dovranno essere preferibilmente in uno dei seguenti formati:
pdf
rtf
txt
jpeg
xml
Vengono, inoltre, fornite indicazioni in merito a:
firma digitale del pubblico ufficiale rogante
firme elettroniche qualificate e digitali
acquisizione digitale della sottoscrizione autografa
atto pubblico amministrativo a mezzo Ufficiale Rogante
scritture private autenticate
scrittura privata
aggregato documentale informatico (12.12.2013 - commento tratto da www.acca.it).

LAVORI PUBBLICISubappaltatori pagati da chi fa l'appalto. Una norma del decreto sviluppo sblocca i cantieri. Expo: riassegnazioni di fondi per 165 mln.
Per non bloccare i cantieri, negli appalti pubblici i subappaltatori potranno essere pagati direttamente dalla stazione appaltante in caso di particolare urgenza e in pendenza di una procedura di concordato preventivo; per l'Expo 2015 previste revoche e riassegnazioni per 165 milioni; niente Iva sui project della Tem e della Pedemontana.
Sono questi alcuni dei punti più rilevanti del decreto-legge «Destinazione Italia», approvato ieri dal Consiglio dei ministri, relativi agli appalti pubblici e all'Expo 2015.
Prosecuzione degli appalti e pagamento subappaltatori. Lo schema di decreto-legge affronta le problematiche derivanti dalle crisi aziendali che toccano sempre più imprese di costruzioni e le inevitabili conseguenze rispetto alla prosecuzione degli appalti in corso. In particolare, per consentire il completamento dell'esecuzione del contratto di appalto e per condizioni di particolare urgenza, viene stabilito che la stazione appaltante –anche in deroga al bando di gara– possa procedere al pagamento diretto dei corrispettivi ai subappaltatori e ai cottimisti per quanto da essi eseguito.
Inoltre si prevede che nella pendenza di una procedura di concordato preventivo, la stazione appaltante possa pagare distintamente l'appaltatore principale e i subappaltatori, secondo le istruzioni impartite dal Tribunale competente, in modo da salvaguardare sia la parità di condizione tra i creditori dell'appaltatore in crisi aziendale, sia la prosecuzione dell'appalto. Ciò, ovviamente, laddove il bando non abbia già previsto il pagamento diretto dei subappaltatori o dei cottimisti. Si estende, infine, il regime di svicolo delle garanzie di buona esecuzione previsto dall'articolo 237-bis del codice degli appalti anche ai settori «speciali» (acqua, energia e trasporti) e anche per i contratti in essere.
Expo 2015. Il provvedimento interviene prevedendo meccanismi di revoca e rassegnazione di fondi per ottimizzare l'impiego delle risorse disponibili. Per quel che riguarda le somme oggetto della revoca delle assegnazioni disposte dal Cipe, complessivamente pari a 165,390 milioni, vengono destinate prioritariamente, per 53,2 milioni, a opere di connessione indispensabili per lo svolgimento dell'Expo 2015, al cui finanziamento vengono anche destinati ulteriori 42,8 milioni per l'anno 2013 (per un ammontare complessivo di 96 milioni) a valere sul fondo di cui all'articolo 18, comma 1, del decreto legge n. 69/2013, già assegnati dal Cipe con delibera del 09.11.2013 alla linea M4 della metropolitana di Milano e ritenuti non necessari nell'immediato.
A quest'ultimo intervento vengono contestualmente destinati 42,8 milioni a valere sulle risorse derivanti dalle revoche, al fine di mantenere inalterato l'ammontare complessivo del contributo assegnato dal Cipe in attuazione dell'articolo 18, comma 3, del decreto legge n. 69/2013. Quarantacinque milioni vengono indirizzati ad interventi per l'accessibilità ferroviaria dell'aeroporto di Malpensa. Infine si prevede che le risorse residuali derivanti dalle revoche siano destinate a interventi immediatamente cantierabili finalizzati al miglioramento della competitività dei porti italiani e al trasferimento ferroviario e modale all'interno dei sistemi portuali. Molto importante, in prospettiva, è l'estensione (dal 2008 al 2010) dell'arco temporale del termine entro il quale deve essere avvenuta l'assegnazione delle risorse da parte del Cipe, con ciò amplia il plafond delle risorse che possono essere revocate e riutilizzate per opere immediatamente cantierabili.
Una norma specifica riguarda poi la chiusura del closing finanziario e la prosecuzione dei lavori in corso relativi alla Tangenziale esterna est di Milano e alla Pedemontana Veneta. La norma chiarisce infatti che i contributi di 330 milioni e di 370 milioni stanziati per le due opere, strettamente necessari per garantire l'equilibrio economico-finanziario e la prosecuzione dei cantieri dei due progetti, non siano assoggettabili a Iva, come previsto dai piani economico-finanziari (articolo ItaliaOggi del 14.12.2013).

LAVORI PUBBLICI: Lavori specialistici a rischio contenzioso. Subito il decreto.
Risolvere con un decreto legge, da varare già nel prossimo Consiglio dei ministri, il nodo della qualificazione obbligatoria nelle categorie specialistiche, cancellata dal parere del Consiglio di Stato reso operativo dal Dpr 30.10.2013.

Al ministero delle Infrastrutture premono per una soluzione immediata, capace di sterilizzare da subito gli effetti del decreto andato in Gazzetta lo scorso 29 novembre. Il provvedimento autorizza le imprese qualificate a eseguire le attività di maggior valore all'interno di un'opera pubblica a realizzare direttamente tutti gli altri lavori  accessori anche in assenza di una specifica competenza. Una  sorta di impresa «factotum». ... (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.12.2013 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTI SERVIZI: Modalità di gestione di un servizio pubblico locale di rilevanza economica.
Allo stato attuale, la disciplina generale di riferimento per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica non indica, nel rispetto del diritto comunitario, una modalità predefinita per l'individuazione delle modalità di affidamento del servizio.
Il Comune è parte di una forma collaborativa, dotata di personalità giuridica, costituita per l'esercizio coordinato di funzioni e servizi.
Il Comune precisa che un servizio pubblico locale di rilevanza economica (d'ora innanzi 'spl economico'), nello specifico 'raccolta e smaltimento dei rifiuti' ('urbani' si ritiene) è attualmente gestito esternamente con contraente individuato con 'appalto europeo'.
Ciò posto chiede se la predetta forma collaborativa possa acquisire una partecipazione societaria in una società di capitali, alla quale sarebbe affidato 'in house' il spl economico in parola.
La materia dei spl economici è stata, in questi anni, interessata da una serie di discipline nazionali che si sono succedute nel tempo, determinando un quadro normativo di riferimento non sempre chiarissimo
[1].
Allo stato attuale, la materia è principalmente disciplinata
[2], per quanto riguarda la legislazione nazionale, dall'art. 34, commi 20 e 21, del decreto legge 18.10.2012, n. 179 [3], che così dispone: '20. Per i servizi pubblici di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuata sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste.
21. Gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea devono essere adeguati entro il termine del 31 dicembre 2013 pubblicando, entro la stessa data, la relazione prevista al comma 20. Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento. Il mancato adempimento degli obblighi previsti nel presente comma determinata la cessazione dell'affidamento alla data del 31.12.2013
'.
Queste disposizioni recepiscono il principio comunitario dell'indifferenza della forma utilizzata per la gestione dei servizi di interesse economico generale da parte degli enti: l'ente in sostanza è libero di auto organizzarsi, nel rispetto del diritto comunitario, mediante l'auto produzione o il ricorso al mercato. A tale proposito, la Corte costituzionale (con sentenza 325/2010) ha statuito che il diritto comunitario non ha mai espressamente ed univocamente affermato che per i spl economici ci sia, in capo agli enti locali, un obbligo assoluto ed inderogabile di affidarli a terzi sul mercato con l'esclusione dell'affidamento diretto a società in house.
Il Giudice amministrativo
[4], a commento dell'art. 34, commi 20 e 21, del dl 179/2012, ha così precisato: 'L'ordinamento nazionale non indica un modello preferibile -ossia non predilige né l'in house né la piena espansione della concorrenza nel mercato e per il mercato e neppure il partneriato pubblico privato- ma rinvia alla scelta concreta del singolo ente affidante. In definitiva, si profila una maggiore autonomia degli enti locali nella direzione da intraprendere... La scelta tra i differenti modelli va effettuata tenendo conto della concreta situazione di fatto, nel rispetto dei criteri introdotti dall'art. 34, comma 20 del dl 179/2012 ossia la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e l'adeguata informazione alla collettività di riferimento. Detti obiettivi devono necessariamente essere correlati al preminente interesse dell'utente del servizio a godere del miglior servizio possibile alle condizioni più convenienti ...'. L'ente locale quindi dovrà rispettare i principi comunitari, l'obbligo di motivazione (del resto ogni scelta discrezionale dell'ente locale deve essere sorretta da adeguata istruttoria e motivazione [5]), i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa.
Tra 'i requisiti dell'affidamento in house'
[6] -sempre citando il TAR lombardo- ci si sofferma su quello del 'controllo analogo da parte dei soci pubblici, che secondo la giurisprudenza comunitaria costituisce potere assoluto di direzione coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato e riguarda l'insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo...'. 'Per controllo analogo si intende un rapporto equivalente...ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario (C. St. sent. 25.1.2005, n. 168 ...)'. [7] 'La giurisprudenza comunitaria si è soffermata sulle modalità di esercizio del controllo analogo in caso di una pluralità di soci pubblici affrontando il tema se il controllo debba essere individuale o possa essere congiunto e addivenendo alla seconda soluzione...il controllo può essere esercitato congiuntamene dalle stesse deliberando eventualmente a maggioranza (C. Giust. CE, 13.11.2008 C-324/07)...si sono ritenuti indici di controllo analogo, oltre che la partecipazione totalitaria pubblica, taluni penetranti poteri di vigilanza, quali: l'obbligo di trasmettere mensilmente i verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale... trimestralmente al sindaco e all'assessore una relazione sull'andamento della società con particolare riferimento alla qualità e quantità dei servizi resi ai cittadini nonché dei costi di gestione in relazione agli obiettivi fissati; i poteri di nomina e revoca di un rilevante numero di amministratori e sindaci...' [8].
Quindi si ribadisce che, per aversi un affidamento in house, è indispensabile predefinire le modalità con le quali l'ente locale determina quello strettissimo legame con un soggetto terzo (e formalmente di diritto privato: un organismo societario) tale da 'equipararlo' ad un proprio ufficio: solo in tale caso si può derogare al ricorso al mercato scegliendo l'autoproduzione del servizio tramite il modello dello 'affidamento in house'.
L'art. 3-bis del dl 138/2011
[9] poi, per i servizi pubblici a rete a rilevanza economica (compresi quelli 'appartenenti al settore dei rifiuti urbani'), ha demandato alle Regioni la definizione di ambiti o bacini territoriali ottimali e della relativa disciplina organizzativa (comprendente anche l'individuazione dei relativi enti di governo).
La nostra Regione ha dettato la seguente disciplina (per il solo servizio di gestione rifiuti urbani)
[10]: 'In attuazione di quanto previsto dall'articolo 3-bis, comma 1, terzo e quarto periodo, del decreto legge 138/2011...e sulla base di deliberazioni degli enti locali interessati da perfezionare con relativa assunzione entro il 31.12.2013, nei casi di forme di cooperazione tra enti locali per la gestione diretta ed in house dei servizi pubblici relativi ai rifiuti urbani operanti per la raccolta differenziata ed il recupero in attuazione delle direttive comunitarie in materia, l'ambito unico di cui all'articolo 3, comma 51, della l.r. 11/2011..., che viene confermato anche successivamente al 31.12.2013 risulta articolato in zone funzionali corrispondenti alle predette forme di cooperazione. Le gestioni presenti in singoli Comuni non facenti parte delle predette forme di cooperazione proseguono o sono rinnovate in conformità alle norme vigenti in materia, attuando l'organizzazione del servizio pubblico su base sovracomunale anche mediante misure di integrazione disposte dai livelli istituzionali competenti. Resta fermo quanto previsto dalla normativa interna e comunitaria in materia di servizi pubblici locali e in particolare dall'articolo 34, commi 20 e seguenti, del decreto legge 179/2012...'.
Dal tenore di tali disposizioni, parrebbe evincersi che esse abbiano un significato 'ricognitorio' della situazione esistente in attesa dell'attuazione vera e propria del nuovo assetto gestione del servizio rifiuti urbani a livello unitario di ambito regionale. Le norme infatti prevedono, in questo momento, che l'unico ambito territoriale ottimale per la gestione integrata dei rifiuti urbani (coincidente con il nostro territorio regionale) sia articolato in zone funzionali corrispondenti 'alle forme di cooperazione' in essere tra gli enti locali per la gestione del servizio rifiuti urbani medesimo.
La ratio delle disposizioni infatti mira ad attuare l'obbligo nazionale della gestione associata dei spl economici.
Quindi, venendo al caso concreto (qui trattato per gli aspetti riguardanti la disciplina comunitaria, nazionale e regionale in materia di spl economici), se l'aggiudicazione attualmente in essere è avvenuta con procedura ad evidenza pubblica, come pare dal tenore del quesito, da parte di una forma collaborativa (e non da 'singoli comuni'
[11]) essa potrebbe proseguire fino a naturale scadenza in quanto apparirebbe rispettosa della legislazione vigente: lo strumento della gara rappresenta infatti attuazione della regola della concorrenza imposta dal Trattato [12].
In seguito, scaduta l'attuale aggiudicazione, la forma collaborativa in parola, tramite i propri enti partecipanti, potrà decidere come gestire il presente spl economico nel rispetto della disciplina di fonte comunitaria, statale e regionale, indicata.
Comunque per gli specifici aspetti interpretativi inerenti la legislazione regionale in materia di rifiuti, doverosamente, ci si rimette alle osservazioni che il Servizio gestione rifiuti della Direzione centrale ambiente ed energia, al quale è anche inviato il parere, riterrà di formulare essendo la materia di sua competenza.
Parimenti, per quanto riguarda la previsione recata art. 3-bis, comma 3, del dl 138/2011, che prevede che, nella scelta delle modalità di affidamento del servizio pubblico economico, l'evidenza pubblica costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli enti ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.l. 98/2011, conv. in legge 111/2011 (e quindi comporterebbe la possibilità di sottostare a vincoli di finanza pubblica meno gravosi)
[13], ci si rimette a quanto riterrà di formulare la Posizione organizzativa patto di stabilità e indennità amministratori di questa Direzione centrale funzione pubblica, autonomie locali e coordinamento delle riforme.
Si pregano quindi, per quanto di rispettiva competenza, il Servizio gestione rifiuti della Direzione centrale ambiente ed energia e la Posizione organizzativa patto di stabilità e indennità amministratori della Direzione centrale funzione pubblica, autonomie locali e coordinamento delle riforme, di voler dare direttamente riscontro all'Ente richiedente ed a questo Servizio per conoscenza.
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[1] L'art. 35 della legge 448/2001 aveva disciplinato, all'interno di un unico articolo (art. 113 TUEL) un vero e proprio corpus normativo di settore, che è stato in parte poi abrogato dall'art. 23-bis del dl 112/2008 (attuato dal dpr 168/2010). In seguito, nel giro di una manciata di anni, si sono succeduti, freneticamente i seguenti interventi: il referendum popolare abrogativo del 12-13.06.2011 (attuato dal dpr 113/2011) aveva espunto dall'ordinamento giuridico il predetto dall'art. 23-bis del dl 112/2008. In seguito, la disciplina veniva dettata dall'art. 4 del dl 138/2011, successivamente dichiarato incostituzionale con sentenza 199/2012. E si giunge finalmente alla legislazione del 2012 come esposta nel prosieguo della parte narrativa del presente parere.
[2] In via generale: restano tutt'ora vigenti singole discipline di settore.
[3] Conv. con la legge 17.12.2012, n. 221. Si deve rilevare che, ancora una volta, si è utilizzato lo strumento improprio della decretazione d'urgenza, concentrando in una manciata di commi, parte di una disciplina (quella dei servizi pubblici locali a rilevanza economica), che necessiterebbe invece in un intervento legislativo organico. In altre norme sparse (alcune sempre in forma di decretazione d'urgenza) infatti si trovano ulteriori disposizioni sulla materia.
[4] TAR Lombardia, Brescia, sent. 11.06.2013, n. 558, alla cui lettura integrale si rimanda. Ed ancora: 'Le autorità nazionali, regionali e locali devono poter stabilire liberamente i criteri di aggiudicazione.. secondo loro più adeguati rispetto all'obiettivo del contratto' parere del Comitato economico e sociale europeo del 26.04.2012 in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per l'aggiudicazione dei contratti di concessione.
[5] Onde evitare illogicità o irrazionalità (si veda anche TAR Campania, Napoli, sent. 1925/2013). Con il comma 20 dell'art. 4 del dl 179/2012 succitato 'si istituzionalizza l'obbligo di motivare e pubblicizzare il ricorso all'affidamento diretto o all'affidamento tramite gara' (C. Volpe' La normativa sui servizi pubblici locali di rilevanza economica..', in 'Giustizia amministrativa, documentazione, studi'), alla cui lettura si rimanda per una panoramica riassuntiva della disciplina attualmente vigente sulla materia. L'Autore peraltro fa anche rilevare comunque la 'stranezza della nuova normativa', che prevede la motivazione anche per il ricorso alla gara. Inoltre l'Autore evidenzia che 'se è vero che la scelta di non trasferire ad un soggetto terzo la funzione amministrativa idonea a soddisfare la domanda relativa ad un pubblico servizio costituisce per la PA una facoltà legittima, ciò non esclude che comunque la decisione di ricorrere ad una società in house anziché ad un soggetto terzo debba essere effettuata previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi offerti'.
[6] Oggetto di copiosissima giurisprudenza: i requisiti sono capitale interamente pubblico, esercizio del controllo analogo a quello esercitato dagli enti pubblici soci sui propri uffici e parte più importante dell'attività svolta in relazione alla sfera dei soci. Si vedano, per es., partendo dalla prima pronuncia comunitaria sulla materia (sent. Teckal 18.11.1999, C-107/98), molte altre sent. 11.02.2005 C-26/03 Stadt Halle, sent. 13.11.2008, C-324/07 Coditel Brabant SA, sent. 13.10.2005 C-458/03 Parking Brixen per arrivare a deliberazione C. Conti, sez. controllo Lombardia del 07.10.2013, n. 411/PAR (tale ultima pronuncia tratteggia anche utilmente i tratti salienti delle differenze tra società che gestiscono spl economici e società strumentali, le quali hanno una disciplina differente), TAR Lombardia, Brescia, sent. 23.09.2013, n. 780.
[7] C. St., sent. 11.2.2013, 762.
[8] Sempre C. St., sent. 11.02.2013, 762, e anche alla lettura integrale di tale sentenza si rimanda, contenendo spunti interpretativi utili per la fattispecie: la questione riguarda l'affidamento in house da parte di una comunità montana. Sempre in merito al controllo esercitato congiuntamente da più enti locali, si cita C. Giust. europea, sent. 29.11.2012, n. 182, nella quale si ribadisce la necessità per gli enti pubblici di esercitare un controllo strutturale e funzionale effettivo sulla società.
[9] Conv. con legge 148/2011.
[10] Art. 3, comma 25, della l.r. 14/2012, come sostituito dall'art. 4, comma 21, della l.r. 6/2013.
[11] Cfr. secondo periodo del comma 25 dell'art. 3 della l.r. 14/2012.
[12] Art. 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea: 'Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale ...sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza , nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata' ('costituita dalla soddisfazione dell'interesse generale...)' C.Volpe, op.cit..
[13] Facendo venire meno perciò sostanzialmente l'autonomia degli enti nella scelta delle modalità di affidamento anche se la norma non interviene sui presupposti dell'affidamento (essa, a tale proposito, ha anche resistito ad una pronuncia d'incostituzionalità: C.Cost. sent. 46/2013), ma sugli effetti della scelta, introducendo un meccanismo di premialità per gli enti 'virtuosi'
(11.12.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 07.12.2013 n. 287 "Seconda edizione delle Linee-Guida per i controlli antimafia di cui all’art. 3-quinquies del decreto-legge 25.09.2009, n. 135, convertito dalla legge 20.11.2009, n. 166, inerente la realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell’EXPO Milano 2015" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, deliberazione 20.11.2013).

LAVORI PUBBLICI: Oggetto: Abrogati gli articoli del regolamento sui contratti pubblici (DPR 207/2010) riguardanti i subappalti delle categorie super specializzate ed i criteri di affidamento delle categorie a qualificazione obbligatoria (ANCE Bergamo, circolare 06.12.2013 n. 253).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 49 del 05.12.2013, "Criteri e modalità per la presentazione delle domande di autorizzazione in deroga al regime proprio dei parchi, per la realizzazione di opere pubbliche e di reti ed interventi infrastrutturali (art. 18, comma 6-ter, l.r. 86/1983)" (deliberazione G.R. 29.11.2013 n. 990).

LAVORI PUBBLICI: Più poteri alle grandi imprese. Strada aperta ad aziende "factotum" anche per lavori specializzati.
Varato il Dpr che accoglie il parere del Consiglio di Stato  - Specialisti e Anie in rivolta.

Cantieri in fibrillazione dopo la pubblicazione del Dpr che di fatto permette alle imprese generali di eseguire le lavorazioni specialistiche, anche in assenza di qualificazione. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 04.12.2013 - tratto da www.centrostudicni.it).

LAVORI PUBBLICIVincere la causa non ridà l'appalto. Non si può cambiare esecutore perché nelle opere strategiche i tempi vanno rispettati. Giustizia amministrativa. Sentenza del Tar Lombardia sull'aggiudicazione dei lavori relativi all'autostrada Pedemontana.
Un nuovo tratto autostradale la cui realizzazione è contesa tra due raggruppamenti di imprese, un'aggiudicazione dell'appalto non coerente al bando di gara, 20 milioni di euro di danni da risarcire.
Sono questi gli elementi e l'esito di una corposa ed innovativa sentenza del TAR Lombardia-Milano - Sez. III (sentenza 03.12.2013 n. 2681).
L'originalità sta soprattutto nel fatto che in pratica i giudici hanno dato torto a tutti i contendenti. Anche a quello al quale hanno riconosciuto una parte di ragione.
L'autostrada è la Pedemontana Dalmine-Como-Varese, dichiarata infrastruttura strategica per la sua importanza nella congestionata rete di trasporti lombarda e posta in gara nel 2010 (con lavori oggi in corso). I contendenti sono consorzi tra le più qualificate imprese del settore. Il risarcimento record è stato posto a carico della concessionaria (Pedemontana Lombarda spa), che ha aggiudicato l'appalto in maniera erronea.
Il progetto dell'impresa cui è stato aggiudicato l'appalto è stato giudicato difforme da quello che avrebbe dovuto essere presentato, ma i giudici del Tar esprimono la considerazione secondo cui ormai non si può più sostituire. L'impresa seconda classificata, pur avendo ingiustamente perso una gara da 230 milioni, si vede riconosciuto circa l'1% di tale importo (un decimo di quanto pretendeva). Inoltre, adesso il concessionario, avendo scelto un progetto più oneroso per circa 120 milioni di euro rispetto a quello originariamente previsto, rischia responsabilità penali ed erariali: i magistrati amministrativi hanno deciso di trasmettere una copia degli atti alla Procura della Repubblica di Milano e alla Corte dei conti.
La decisione del Tar è originale: affida ad un consulente tecnico (di estrazione universitaria) la verifica dei progetti, accettandone le conclusioni critiche verso ambedue i contendenti. L'impresa che si è aggiudicata la gara aveva presentato un'offerta sostanzialmente difforme dal bando, che invece non prevedeva fossero apportate varianti. Ma anche l'altro partecipante aveva presentato un'offerta progettuale innovativa (in particolare per il ponte sul fiume Adda), con "fasi critiche" da risolvere in sede esecutiva e quindi un'elevata probabilità di dover ricorrere a varianti.
Facendo proprie le conclusioni della ponderosa verifica tecnica che avevano affidato ai consulenti d'ufficio scelti da loro, i magistrati del Tar di Milano hanno ribaltato l'esito di gara, promuovendo il secondo classificato. Ma la sostituzione effettiva dell'aggiudicatario dei lavori non è avvenuta: un'opera che sia stata dichiarata strategica non può essere interrotta, perché va conclusa nei tempi e modalità risultanti dalla gara. Per tenere indenne il consorzio ingiustamente scavalcato, non rimaneva che accordare un risarcimento danni, così il Tar ha posto innovativi principi.
L'utile d'impresa (10% di 230 milioni) è stato ridotto calcolandolo sul prezzo offerto (cioè con ribasso del 32%, sui 230 milioni); è stato poi ancora ridotto al 4%, a causa di un elevato rischio d'impresa (l'opera è comunque problematica) ed ancora al 2% perché macchinari e maestranze avrebbero potuto essere impiegate in altre attività.
Il danno "curriculare" (composto dai pregiudizi riportato all'immagine dell'impresa, al suo grado di affinamento tecnico e alla sua esperienza) è stato anch'esso ridotto, dal 3% del valore dell'appalto all'1,5% in quanto le imprese concorrenti erano già tutte espressione dei massimi livelli di qualità.
Al termine di questi calcoli, l'importo a carico della Pedemontana è stato comunque fissato dai giudici in oltre 20 milioni di euro, che la società concessionaria dell'opera dovrà ora versare al consorzio sconfitto in gara ma vincitore nelle aule. Tutto ciò sempre che in appello (grado di giudizio al quale certamente si arriverà) il verdetto non sia ribaltato. E sempre che la magistratuta penale e quella contabile non aggiungano altri capitoli alla vicenda
(articolo Il Sole 24 Ore del 12.12.2013 - tratto da www.centroctudicni.it).

LAVORI PUBBLICI: Rischi di contenzioso sugli appalti pubblici.
Appalti di lavori pubblici a rischio caos e contenzioso dopo l'annullamento delle norme del regolamento del Codice dei contratti pubblici sulla qualificazione delle imprese generali, oggi libere dai vincoli sul subappalto e sui raggruppamenti obbligatori con gli specialisti; a breve è atteso un decreto con nuove regole sulla qualificazione.

È questo l'effetto della pubblicazione del dpr 30 ottobre sulla gazzetta ufficiale n. 280 del 29.11.2013, che ha accolto il ricorso promosso dall'Agi (Associazione imprese generali), dopo che il Consiglio di Stato con parere n. 3014 del 26.06.2013 si era espresso per l'annullamento di alcune norme del dpr 207/2010.
Oggetto del ricorso erano le regole per qualificarsi a eseguire lavorazioni specialistiche che sono state annullate ed espunte dal regolamento del codice dei contratti pubblici (sembrerebbe con decorrenza 30 novembre visto che il dpr non dispone diversamente, cioè per una entrata in vigore differita di 15 giorni): l'articolo 109, comma 2 (per quanto attiene all'allegato A del dpr 207/2010) e l'articolo 107, comma 2. L'effetto dell'annullamento, semplificando questioni interpretative anche complesse, è che le imprese generali potranno eseguire le lavorazioni specialistiche a qualificazione obbligatoria anche se non possiedono l'attestato di qualificazione per tali lavorazioni.
Fino al 29 novembre, invece, avevano l'obbligo di subappaltare i lavori, oppure di associare imprese in possesso della qualificazione per le opere specialistiche che avrebbero svolto quelle determinate lavorazioni. È stata cancellata anche la norma del regolamento del codice (art. 85, comma 1) sulla utilizzabilità dei lavori subappaltati dall'impresa generale all'impresa specialistica, in percentuali diverse a seconda della tipologia di lavorazione (prevalente o scorporabile) e della qualificazione richiesta (obbligatoria o no).
Questa disposizione era stata dichiarata «irragionevole» dal Consiglio di stato, anche in relazione al suo meccanismo applicativo non lineare; adesso, determinandosi un sostanziale ritorno alle regole dell'abrogato dpr 34/2000, l'impresa potrà utilizzare senza limiti quanto subappaltato all'impresa specialistica (nella misura in cui riterrà di avvalersi del subappalto). I problemi, adesso, si spostano sulle stazioni appaltanti che dovranno tenere conto di questa situazione, senza però avere riferimenti certi e, quindi, con il rischio di determinare involontariamente un contenzioso.
Per evitare tutto ciò da tempo i tecnici del ministero delle infrastrutture stanno lavorando ad un nuovo dpr «ponte» che dia certezza alle amministrazioni e ottemperi alle indicazioni del Consiglio di stato. Trattandosi però di un intervento che ridefinisce implicitamente l'assetto del mercato, è evidente come la soluzione da individuare non sia così immediata (articolo ItaliaOggi del 03.12.2013 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTI SERVIZI: Appalti. Sentenza del Consiglio di Stato. Il codice Ateco vincola la gara.
Occorre non sottovalutare le conseguenze connesse alle informazioni sulla attività economica esercitata denunciata al Registro imprese.

È questo l'avvertimento implicito dato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 02.12.2013 n. 5729.
Il caso riguarda una pubblica amministrazione che ha emanato un bando per l'affidamento del servizio di catering e che nella lettera di invito lo ha qualificato come «servizio di preparazione, distribuzione del vitto». Tra le condizioni di partecipazione, pena l'esclusione, è prevista la «iscrizione per attività inerenti al presente affidamento pubblico nel Registro imprese». E il certificato del registro imprese di un concorrente riporta come attività prevalente svolta dalla società i «servizi di ristoro mediante distribuzione automatica di bevande e snack».
Il Consiglio di Stato ha contestato la mancanza di idoneità professionale della società in quanto: l'attività dichiarata prevalente dalla società non può essere compresa nella prescrizione del bando che si riferisce a ben altro tipo di servizio; l'attività inerente l'appalto deve essere intesa come l'attività prevalente svolta dalla società; ai fini del requisito professionale occorre valutare l'attività specifica dichiarata perché si tratta di selezionare tra imprese con esperienza nello stesso servizio; è irrilevante l'oggetto sociale dell'impresa, anche se include il catering, perché l'oggetto elenca le attività potenziali, mentre si tratta di verificare le attività reali.
Nessun dubbio che l'attività principale del concorrente non sia attinente all'oggetto dell'appalto come evidenziato anche dai codici Ateco: quello del catering è il 56.2; quello della somministrazione di alimenti e bevande con distributori automatici è il 47.99.2. Non si può invece condividere l'affermazione dei giudici sul significato giuridico e tecnico-economico delle informazioni riguardanti le attività economiche denunciate dagli imprenditori al registro imprese. Nella sentenza si afferma che «soltanto» l'attività prevalente è quella «qualificante», anzi, «l'unica che rileva ai fini dell'iscrizione nel registro imprese».
Si dichiara inoltre che l'attività prevalente «individua ontologicamente la tipologia di azienda,mentre l'attività secondaria viene inserita a fini descrittivi e di completezza informativa». La normativa del registro imprese (Dpr 581/1995 articoli 9 e 10) obbliga a denunciare tutte le attività effettivamente esercitate perché solo così l'anagrafe delle aziende è completa. Sono molto frequenti le imprese che esercitano in più settori e che, quando il settore è unico, curano più specializzazioni. In questi casi, come prevede la modulistica, occorre indicare la prevalente.
Le Camere di commercio nel 2013 hanno predisposto il sito http:\\ateco.infocamere.it per agevolare l'individuazione delle attività e la loro classificazione. In ogni caso, non esiste un parametro per definire la prevalenza; potrebbe anche non essere il fatturato se l'imprenditore intende valorizzare determinati tipi di prodotti o servizi. Il profilo giuridico dell'attività prevalente non è diverso da quello delle altre, anche perché nel tempo quella prevalente potrebbe diventare secondaria
 (articolo Il Sole 24 Ore del 07.12.2013).

APPALTI: Lodo arbitrale.
Domanda
Quali sono gli effetti del lodo arbitrale?
Risposta
Per rispondere alla domanda è necessario distinguere tra il lodo arbitrale derivante da un procedimento c.d. «rituale» e quello derivante da un procedimento c.d. «irrituale».
Nel primo caso, il lodo arbitrale ha la stessa efficacia di una sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria, così come disciplinato dall'art. 824-bis del codice di procedura civile. La statuizione degli arbitri sul merito della controversia, crea un vincolo per le parti che, decorso il termine per l'impugnazione (i.e. 90 giorni dalla data della notifica ovvero un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione), diviene definitivo. L'art 825 c.p.c. disciplina l'omologazione del lodo da parte del Tribunale ordinario. Tale omologazione servirà alla parte che la richiede, solo al fine di dare al lodo stesso efficacia esecutiva, ovvero di richiederne la trascrizione in tutte le ipotesi previste dal codice di rito per le sentenze del giudice, o, infine di procedere all'iscrizione dell'ipoteca nei casi previsti dalle norme civilistiche in tema di pubblicità.
Nel secondo caso, il lodo derivante da procedimento di arbitrato «irrituale» non ha efficacia di sentenza, ma produce gli stessi effetti di una determinazione contrattuale. In altre parole il lodo irrituale ha la stessa forza di un contratto stipulato tra le parti. Conseguentemente non sarà possibile per le parti richiedere al Tribunale ordinario l'omologazione del lodo e l'apposizione della formula esecutiva (articolo ItaliaOggi Sette del 02.12.2013).

LAVORI PUBBLICI: Lavori pubblici. Il sistema informatico Avcpass. Appalti, la verifica dei requisiti attende istruzioni.
Manca solo un mese all'operatività del sistema Avcpass per la verifica dei requisiti degli operatori economici partecipanti alle gare di appalto da parte delle amministrazioni pubbliche, ma emergono criticità che devono essere risolte e le stazioni appaltanti non dispongono di una versione dimostrativa per esercitarsi.

Il particolare percorso procedurale gestito in modo totalmente informatizzato è disciplinato dalla deliberazione dell'Avcp n. 111/2012, che fa riferimento all'articolo 6-bis del Codice dei contratti. Dal 01.01.2014 le amministrazioni aggiudicatrici potranno verificare i requisiti di ordine generale e di capacità solo mediante tale sistema, che consente l'accesso ai documenti depositati nella banca dati nazionale dei contratti pubblici.
L'impostazione dell'Avcpass desumibile dai tutorial e dai materiali formativi messi a disposizione dall'Autorità prefigura il suo utilizzo per la verifica in corso di gara sia dei requisiti di capacità (economico-finanziaria e tecnico-profesisonale), in base all'articolo 48 del Codice, sia di quelli di ordine generale, riferiti alle dichiarazioni sostitutive rese in ordine alle varie fattispecie previste dall'articolo 38, quindi secondo i criteri stabiliti per il riscontro della veridicità delle autocertificazioni.
Tuttavia i diagrammi di flusso proposti sembrano concentrare le verifiche sull'aggiudicatario e sul secondo classificato subito dopo la formazione della graduatoria di merito (dopo la valutazione delle offerte e l'eventuale verifica di quelle anomale), ma prima di pervenire all'aggiudicazione provvisoria, non sembrando utilizzabile per i controlli in sede di aggiudicazione definitiva e di stipulazione del contratto.
Un aspetto di ulteriore criticità si rileva in ordine alle ipotesi nelle quali la gara sia gestita da una centrale di committenza o da una stazione unica appaltante: in tal caso, infatti, la creazione della gara avviene da parte di un responsabile del procedimento (quello dell'amministrazione che approva il progetto e avvia la procedura) diverso da quello che dovrà gestire l'accesso all'Avcpass, con conseguente necessità di permettere a quest'ultimo la gestione del Cig per l'effettuazione delle varie operazioni nel sistema, in quanto deve registrarsi come soggetto tenuto alla verifica dei requisiti.
Il sistema presenta alcune criticità anche per gli operatori economici, i quali, comunque, dispongono nel sito dell'Autorità di una specifica versione dimostrativa.
Secondo la deliberazione n. 111/2012 le imprese che intendono concorrere a una gara devono inserire nel sistema solo alcune tipologie di documenti inerenti i requisiti di capacità economico-finanziaria (ad esempio le attestazioni bancarie) e di capacità tecnico-professionale (ad esempio i contratti e le fatture comprovanti i servizi o le forniture precedentemente svolti a favore di amministrazioni pubbliche), mentre i documenti inerenti i requisiti di ordine generale sono acquisiti dall'Avcpass mediante rapporto diretto con gli enti certificanti.
Tuttavia la simulazione dimostrativa evidenzia nella libreria (la repository dove l'operatore economico può inserire i file firmati digitalmente) e nella funzionalità di associazione dei documenti al «PassOe» numerose sezioni riferite al caricamento di documenti inerenti requisiti di ordine generale, che devono essere acquisiti d'ufficio dalla stazione appaltante, come il Durc relativo alla regolarità contributiva.
L'inserimento dei documenti relativi ai requisiti di ordine generale (collegati alle dichiarazioni sostitutive rese in sede di partecipazione alla gara) non è peraltro possibile per l'operatore economico, in quanto, in molti casi, si tratta di certificati, i quali, in base alle norme sulla decertificazione, non possono essere utilizzati nei rapporti con le amministrazioni pubbliche
(articolo Il Sole 24 Ore del 02.12.2013 -  tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTI: N. Durante, AMBITI DI DISCREZIONALITA’ IN MATERIA DI DOCUMENTAZIONE ANTIMAFIA PER LE IMPRESE (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E. De Falco, I costi della sicurezza da non assoggettare a ribasso d'asta (Quaderni di Legislazione Tecnica n. 4/2013).

APPALTI: C. Tomasini, Costo del personale: prime indicazioni per l’applicazione dell’art. 82, comma 3-bis codice dei contratti pubblici (Urbanistica e appalti n. 12/2013).

novembre 2013

LAVORI PUBBLICI: G.U. 29.11.2013 n. 280 "Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da AGI - Associazione imprese generali ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri per l’annullamento del decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207 ed in particolare delle seguenti disposizioni in parte qua: articolo 109, comma 2, articolo 107, comma 2; Allegato A, articolo 79, commi 17, 19 e 20; articolo 85, commi 1 e 2; articolo 86, comma 1, articolo 83, comma 4, articolo 357, comma 12; articolo 92, comma 2" (D.P.R. 30.10.2013).

APPALTI: Fallimento di soggetto creditore del Comune liquidazione fattura.
Da un lato, sussiste la previsione per cui deve essere ricompreso nel compendio fallimentare qualsiasi credito vantato dal fallito/appaltatore, cosicché si apra il concorso di tutti i creditori in relazione al patrimonio dell'imprenditore. Dall'altro lato, la specifica disposizione di cui all'art. 4, c. 2, d.P.R. 207/2010, entra in conflitto con la regola concorsuale della par condicio creditorum, in considerazione della sua finalità garantistica nei confronti dei diritti del lavoratore.
L'Ente deve procedere alla liquidazione di una fattura a favore di un soggetto sottoposto a procedura fallimentare. Il Comune domanda, pertanto, come comportarsi ai fini delle procedure preliminari alla liquidazione, in particolare per quanto attiene alle verifiche della regolarità contributiva e per quanto concerne l'eventuale inadempimento, da parte del proprio creditore, rispetto all'obbligo di versamento contributivo.
In particolare, il soggetto instante chiede:
a) se, in seguito alle sopra citate verifiche, in caso di riscontro di situazione debitoria contributiva, si debba procedere alla liquidazione della somma dovuta, a favore degli enti dai quali è vantato credito nei confronti del fallito (INPS, INAIL, ecc.) e, quindi, a favore della curatela fallimentare per la quota residua; ovvero
b) se, nel rispetto della par condicio creditorum, si debba procedere alla liquidazione complessiva del debito a favore della curatela fallimentare, lasciando l'onere dell'insinuazione nella massa passiva in capo ai summenzionati enti creditori.
Si anticipa, fin d'ora, che, sulla prospettata questione, lo scrivente ha ritenuto di formulare un quesito all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, in considerazione della complessità della evidenziata problematica, della sua portata di interesse generale e del ruolo rivestito, nel nostro ordinamento giuridico, dagli interessi ad essa sottesi, qui confliggenti (applicazione del principio di par condicio creditorum in sede fallimentare da un lato e tutela della posizione contributiva ed assicurativa del prestatore di lavoro dall'altro, garantita dallo strumento disciplinato dall'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207).
Si premette come l'applicazione della soluzione prospettata sub a) piuttosto che di quella illustrata sub b) è condizionata dall'interesse giuridico al quale si intende dare prevalenza all'interno della delineata antinomia (rispetto della par condicio creditorum in sede fallimentare ovvero tutela della posizione contributiva ed assicurativa del prestatore di lavoro). Le disposizioni che tutelano i summenzionati interessi giuridici -nell'un caso la legge fallimentare, nell'altro l'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 207/2010- sono ambedue norme imperative poste a tutela di valori generali e superiori del nostro ordinamento giuridico.
Poiché, dunque, nella fattispecie in esame, si assiste ad un caso di conflitto tra norme, che tutelano, entrambe, interessi superiori del nostro ordinamento giuridico, è necessario delineare i confini dell'efficacia della menzionata disposizione di cui all'articolo 4, comma 2, in quanto, nel caso ora in attenzione, si riscontra una contrapposizione tra la procedura concorsuale instaurata nei confronti dell'appaltatore e la particolare condizione soggettiva di pubblica amministrazione del committente che impone a quest'ultimo, in caso di inadempienza contributiva dell'esecutore di un contratto, di porre in atto la particolare tutela prevista dalla norma da ultimo citata, consistente nel cosiddetto 'intervento contributivo sostitutivo'
[1].
Si tratta, quindi, di capire se, a fronte di una instaurata procedura fallimentare, le disposizioni specifiche che la disciplinano prevalgano o meno rispetto alla normativa di settore degli appalti pubblici (nel cui alveo deve essere ricondotta anche la disposizione qui in esame, contenuta nel regolamento esecutivo ed attuativo del codice degli appalti pubblici - decreto del Presidente della Repubblica 207/2010).
Si rammenta, anzitutto, che il decreto del Presidente della Repubblica 207/2010
[2] -nella parte I- Disposizioni comuni - tra le novità di più rilevante interesse ai fini della disciplina in tema di durc, all'articolo 4, comma 2, ha introdotto il potere sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza contributiva dell'esecutore e del subappaltatore.
Il cosiddetto intervento sostituivo nei contratti pubblici si concretizza nel pagamento, da parte della stazione appaltante, direttamente ad Inail, Inps e Casse Edili, dell'importo corrispondente alla inadempienza contributiva segnalata nel durc. Oggetto dell'intervento è il pagamento diretto, agli enti previdenziali, di quanto dovuto per le inadempienze accertate, mediante il documento unico di regolarità contributiva, nei confronti dell'operatore economico. La somma che la stazione appaltante versa agli enti previdenziali è trattenuta dal corrispettivo dovuto all'operatore economico.
L'articolo 4, comma 2, introduce, pertanto, un particolare meccanismo, attraverso il quale, in presenza di un documento unico di regolarità contributiva che evidenzi delle irregolarità nei versamenti dovuti agli Istituti e/o alle Casse Edili, le stazioni appaltanti si sostituiscono al debitore principale versando -in tutto o in parte- le somme dovute in forza del contratto di appalto direttamente ai predetti Istituti e Casse
[3].
L'obiettivo della norma è, attraverso la soddisfazione della pretesa creditoria degli enti nei cui confronti l'operatore economico ha maturato un'esposizione debitoria, quello di concorrere al recupero della regolarità contributiva del medesimo
[4].
L'articolo 4, comma 2, trova, dunque, ragion d'essere in virtù dell'esigenza di garantire, in ogni caso, il soddisfacimento del credito previdenziale anche a fronte dell'eventuale inadempimento dell'appaltatore/debitore.
Si tratta di disposizione imperativa con finalità pubblicistiche e garantistiche di tutela sociale (garantire al lavoratore il versamento del credito previdenziale ed assicurativo a favore di Inps e Inail). Assicurare l'effettivo rispetto delle norme di tutela dei lavoratori è, invero, un'esigenza di interesse pubblico.
La particolare tutela accordata dalla summenzionata disposizione appare del resto conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento, in tema di diritti del lavoratore, quali si desumono dagli articoli 4, 35 e 36 della Costituzione.
Per quanto concerne, invece, la procedura concorsuale, si precisa che, in essa, devono confluire tutte le posizioni attive e passive afferenti al fallito. In considerazione della regola generale di diritto e logica giuridica ricavabile dal disposto degli articoli 51 e 52 della legge fallimentare, nel procedimento concorsuale devono confluire tutte le obbligazioni ed i crediti che incidono sull'accertamento del passivo e dell'attivo, poiché è grazie a tale confluenza che si realizza concretamente l'unità dell'esecuzione sul patrimonio del fallito ed è, così, soddisfatta in concreto l'esigenza della
par condicio creditorum.
Con la dichiarazione di fallimento inizia, dunque, una procedura concorsuale liquidatoria
[5] che coinvolge l'imprenditore con l'intero patrimonio ed i suoi creditori [6]. La procedura è diretta all'accertamento dello stato di insolvenza dell'imprenditore medesimo, all'accertamento dei crediti vantati nei suoi confronti e alla loro successiva liquidazione, secondo il criterio della par condicio creditorum.
Da un lato, sussiste, quindi, la previsione per cui deve essere ricompreso nel compendio fallimentare qualsiasi credito vantato dal fallito/appaltatore nei confronti del debitore/committente, somma per la quale si apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito stesso. Dall'altro lato, la specifica previsione di cui all'articolo 4, comma 2, pare sovrapporsi alla regola concorsuale della par condicio creditorum, in considerazione della sua finalità garantistica.
Al riguardo, vi è chi ha sottolineato che quella concorsuale è una procedura speciale che determina l'interruzione delle procedure legate all'esistenza dell'impresa e, quindi, anche quelle relative ai contratti di appalto; in particolare la procedura fallimentare prevale sulle disposizioni di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 207/2010, in quanto le disposizioni in materia di appalti presuppongono l'esistenza dell'impresa. La parte non fallita -ovvero la stazione appaltante- deve adempiere al sinallagma contrattuale per le prestazioni antecedenti alla dichiarazione di fallimento e l'adempimento corretto è sicuramente quello reso nei confronti del curatore fallimentare. Il pagamento del credito dovrà, pertanto, essere effettuato dal Comune alla curatela fallimentare
[7].
Si evidenzia, inoltre, che, per l'Inail - Direzione Centrale Rischi - Ufficio Entrate (circolare/nota di istruzioni emanata in data 21.03.2012), eventuali interventi contributivi sostitutivi, riguardanti soggetti per i quali risultino procedure concorsuali, esulano dalle modalità di pagamento indicate nella summenzionata circolare e 'devono essere gestiti alla luce della rispettiva normativa di riferimento, in relazione alla specificità del caso concreto'.
Vi è, tuttavia, chi rimarca che, nell'ipotesi di intervento sostitutivo, i Comuni agiscono in forza di una disposizione di legge -l'articolo 4, comma 2- emanata proprio per consentire, agli enti previdenziali, il diretto recupero delle somme contributive e che, in ogni caso, il 'fallimento non subisce alcun danno, evitando l'insinuazione dell'Inps e degli altri enti previdenziali, che essendo stati soddisfatti, mancherà. Sottolineandosi inoltre come non si evinca alcuna disposizione che nel conflitto tra le disposizioni in esame dia favore all'applicazione delle prescrizioni di cui alla legge fallimentare'.
[8]
Dando uno sguardo alla prassi, si sottolinea come, in relazione a casi simili a quelli delineati dal soggetto instante, siano state reperite sia determinazioni comunali che dispongono direttamente il pagamento dell'intera somma dovuta a favore della curatela fallimentare
[9] che determinazioni comunali che, al contrario, danno applicazione alla disposizione sull'intervento sostituivo anche in caso di fallimento, prevedendo, pertanto, il pagamento del debito contributivo a favore dell'ente previdenziale e soltanto la corresponsione della differenza a beneficio della curatela [10].
In conclusione, premesso che, trattandosi di normativa nazionale, la soluzione della problematica esaminata può essere indicata soltanto dai competenti uffici statali, nel quadro di incertezza applicativa sopra delineato ed in attesa di conoscere la presa di posizione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, si ritiene di poter propendere, in via meramente collaborativa, per la soluzione sub b), riconoscendosi, pertanto, nel raffigurato contrasto, prevalenza all'applicazione delle regole sottese alla procedura fallimentare ed al principio della par condicio creditorum.
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[1] Si rammenta che, in base al tenore letterale dell'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 207/2010, l'intervento sostitutivo contributivo è un obbligo per la stazione appaltante. In tal senso, i pareri Anci datati 26.07.2013 e 18.06.2013.
[2] Il regolamento è entrato in vigore l'08.06.2011.
[3] In tal senso, la circolare n. 3/2012 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per l'Attività Ispettiva.
[4] In tal senso, i pareri Anci datati 26.07.2013, 18.06.2013 e 22.01.2013, reperibili all'indirizzo internet www.ancitel.it
[5] Il fallimento è disciplinato dal regio decreto 16.03.1942, n. 267 (Legge fallimentare) e successive modificazioni, tra cui si richiama il decreto legislativo 09.01.2006, n. 5 ed il decreto legislativo 12.09.2007, n. 169.
[6] L'articolo 42 del regio decreto 267/1942 è la prima norma concernente gli effetti del fallimento per l'imprenditore: 'La sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione del fallimento'. Questi effetti rientrano nel concetto di spossessamento e decorrono dalla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento: il fallito perde, così, la disponibilità dei propri diritti patrimoniali. Gli effetti del fallimento, oltre che in capo all'imprenditore, si producono anche nei confronti dei creditori. Tali effetti sono regolati dal regio decreto 267/1942, negli articoli da 52 a 63.
[7] Si legga, in questo senso, il parere espresso dalla Regione Toscana - Direzione Generale Organizzazione e Risorse -Settore Contratti- datato 21.02.2012, reperibile sul sito ufficiale dell'ente.
[8] Motivazioni tratte da un forum di diritto fallimentare.
[9] In tal senso, si veda la determinazione del Comune di Cavagnolo, Provincia di Torino, n. 58 del 17.04.2013, reperibile sul sito internet dell'ente.
[10] Così, la determinazione del Comune di Lecco n. 507 dell'08.08.2013, reperibile sul sito internet dell'ente
(29.11.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI - EDILIZIA PRIVATA1)– Non può escludersi la generale ammissibilità di mezzi di adempimento diversi dal pagamento nel caso di transazioni commerciali tra ente locale e privati, originate da contratti di servizi e forniture, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del “Codice degli appalti pubblici” (D.Lgs.vo n. 163/2006). (In questo senso, è stato ritenuto che la disposizione ex art. 35, comma 3-bis, del D.L. n. 1/2012, sia applicabile anche agli EE.LL.).
La compensazione dei crediti commerciali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, con debiti tributari, trova le limitazioni contenute nelle specifiche norme in materia, non derogabili, che la ammettono su istanza del creditore o su sua specifica richiesta.
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2)- Nel caso della procedura di riequilibrio pluriennale non si rinvengono indicazioni specifiche, quali quelle prescritte per la procedura di dissesto, che impongano una particolare procedura di pagamento dei debiti, che possano essere ricondotte al principio della “par condicio creditorum”. (Nel parere si segnala, comunque, la disposizione contenuta all’art. 6 del D.L. n. 35/2013, che può fornire indicazioni di carattere generale e, dunque, non circoscritto alle sola ipotesi del riequilibrio pluriennale, sul corretto criterio di pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni).
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3)- Allo stato attuale della legislazione e fino a tutto il 2014, l’utilizzo delle risorse rivenienti dalle concessioni edilizie e dalle sanzioni previste dal DPR n. 380/2001, fermo il presupposto che le spese non siano consolidate e ripetitive e che l’entrata sia accertata sulla base degli introiti effettivi, nel rispetto dei principi di sana gestione, continua a essere disciplinato nel modo previsto dalla legge n. 244/2007, ancora non trovando applicazione il nuovo vincolo di destinazione impresso dall’art. 4 comma 3, della legge n. 228 del 24/12/2012.
Permane pertanto la possibilità di utilizzare, per la quota del 50%, le entrate rivenienti nei contributi per permesso di costruzione per la pulizia delle strade e per fronteggiare il debito fuori bilancio dell’Ente nei confronti di creditori che abbiano effettuato interventi per l’emergenza neve e per la manutenzione delle strade comunali.

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Con la nota in epigrafe il Commissario Straordinario del Comune di San Fele, dopo aver premesso che l’Ente ha adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale, pone i seguenti quesiti:
I- con riferimento alle norme in materia di compensazione di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati al 31.12.2012 nei confronti dei Comuni, si chiede se anche l’Ente possa legittimamente avvalersi di tale facoltà nei rapporti con i privati, anche allo scopo di prevenire danni da ritardo nei pagamenti ai propri creditori;
I.1- se, nel caso di risposta affermativa, sia corretto approvare preventivamente un atto di indirizzo/direttiva di Giunta per i responsabili dei settori e degli uffici;
II- se vi sono, e quali sono, le corrette azioni da intraprendere per non violare il principio della par condicio creditorum nell’attuazione della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale;
III- se le entrate derivanti dai contributi per permesso di costruzione possano legittimamente essere destinate a fronteggiare il debito dell’Ente nei confronti di creditori che abbiano effettuato interventi per l’emergenza neve e per la manutenzione delle strade comunali (prestazioni di servizi).
...
(... segue) (Corte dei Conti, Sez. controllo Basilicata, deliberazione 27.11.2013 n. 123).

APPALTIAppalti, l'Antitrust stringe sui cartelli. Vigilanza su eventuali distorsioni da subappalti e associazioni temporanee.
Lavori pubblici. Le ricadute sulle imprese del vademecum diffuso dell'Autorità per contrastare i comportamenti sospetti.
Nel settore degli appalti pubblici si innalza il livello dei controlli sui "cartelli". L'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha recentemente pubblicato un vademecum in cui sono indicati alcuni comportamenti sospetti, che potrebbero essere rivelatori di condotte illecite e restrittive della concorrenza.
Le pratiche nel mirino
Per le stazioni appaltanti il vademecum è uno strumento per individuare i comportamenti da segnalare all'Autorità, mentre alle imprese fornisce chiare indicazioni sui comportamenti da evitare, per non venire sanzionate. In realtà, la maggior parte dei comportamenti elencati nel vademecum ha una chiara valenza anticoncorrenziale. Appare ovvio che il boicottaggio della gara, le offerte di comodo, la rotazione congiunta delle offerte o la ripartizione del mercato e le anomalie delle offerte segnalate dall'Autorità siano conseguenza di una strategia comune e segreta per alterare il regolare svolgimento della gara e siano la prova dell'esistenza di un cartello tra due o più operatori del mercato degli appalti pubblici.
Ma altre prassi appaiono a prima vista del tutto lecite. L'Associazione temporanea di imprese (Ati) e il subappalto, ad esempio, sono strumenti disciplinati dal Codice degli appalti pubblici, che nella finalità del legislatore, anche comunitario, sono portatori di benefici pro concorrenziali in quanto consentono a un numero più elevato di imprese, soprattutto a quelle piccole e medie, di partecipare alle gare. Ma l'Antitrust teme che questi strumenti vengano utilizzati illegittimamente per suggellare alleanze tra imprese che, invece di competere, si accordano per la spartizione del mercato o della singola commessa. In altra parole, si vuole evitare che un'Ati o un accordo di subappalto altro non siano che la facciata di un'intesa illecita.
In questo contesto la valutazione della legittimità dell'Ati o del subappalto è particolarmente complessa. Gli indizi che l'Autorità indica come sintomatici di una possibile violazione del diritto della concorrenza, come essa stesse ammette, potrebbero essere anche letti come comportamenti genuinamente concorrenziali. La stessa giurisprudenza amministrativa ha, ad esempio, ritenuto lecito il raggruppamento di imprese già qualificatesi in modo separato. Infine le Ati tra i maggiori operatori –che l'Autorità vede con sospetto in quanto possibile strumento di una strategia escludente, cioè tesa a impedire a imprese minori di aggiudicarsi l'appalto– potrebbero invece consentire di offrire alla Pa la migliore combinazione di prodotti o servizi disponibile.
L'intervento dell'Antitrust si giustifica con l'importanza che hanno gli appalti pubblici per l'economia nazionale, essendo per l'appunto utilizzate risorse pubbliche. Infatti, collusioni illecite tra gli offerenti non fanno altro che aumentare il prezzo che l'amministrazione si ritroverà a pagare per la fornitura, senza che ciò sia accompagnato da un miglioramento qualitativo dell'offerta.
Ora l'Antitrust si attende un elevato numero di segnalazioni: sia dalle stazioni appaltanti, sia da soggetti terzi, ad esempio un'impresa che non si è aggiudicata la fornitura. È ammessa anche la segnalazione anonima. Per questo, l'Autorità ha deciso in un primo momento di limitare i controlli agli appalti il cui valore superi la soglia comunitaria e che presentino determinati profili di rischio. I fenomeni che dovranno essere segnalati non sono, infatti, ipotesi remote, ma si verificano frequentemente nel settore degli appalti pubblici, specialmente quando il mercato interessato è caratterizzato da pochi concorrenti con analoghe efficienze e dimensioni, i prodotti sono omogenei, le imprese che partecipano alle gare sono sempre le stesse, l'appalto è ripartito in più lotti dal valore economico simile.
L'esame delle segnalazioni
Spetterà all'Antitrust esaminare scrupolosamente le segnalazioni che riceverà e che comunque non giustificheranno l'interruzione della gara né la rinuncia ad assegnare l'appalto all'impresa risultata aggiudicataria.
È prevedibile allora che le imprese siano destinatarie di richieste di informazioni, siano cioè chiamate a fornire spiegazioni convincenti delle strategie adottate nelle gare. Se poi l'Antitrust dovesse accertare un'infrazione, nel caso in cui l'appalto fosse stato già aggiudicato la stazione appaltante potrà chiedere di essere risarcita dei danni subiti dalle imprese che hanno attuato una condotta anticoncorrenziale.
Il vademecum deve essere accolto con favore: già la sola pubblicazione ha un forte valore di deterrenza nei confronti dei partecipanti alle gare, che saranno ora coscienti che comportamenti anomali saranno segnalati all'Antitrust.
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Gli indizi rivelatori
I casi analizzati dal Garante nel vademecum
BOICOTTAGGIO DELLA GARA
Sono vietati comportamenti e accordi volti a vanificare la gara e a prolungare il contratto con il vecchio fornitore o per ripartire pro-quota il lavoro o la fornitura tra tutte le imprese interessate.
Campanelli d'allarme di un tentativo di boicottaggio sono:
- mancata presentazione di offerte;
-  presentazione di una sola offerta o di un numero di offerte insufficiente per aggiudicare;
- presentazione di offerte dello stesso importo
OFFERTE DI COMODO
Sono offerte che celano un innalzamento artificiale dei prezzi in presenza di un'apparente regolarità concorrenziale della gara. Possono essere indizi di questa pratica:
- una sequenza di gare aggiudicate alla stessa impresa;
- presenza di offerte per importi palesemente troppo elevati;
- offerte caratterizzate da condizioni che ne rendono certa l'esclusione;
- offerte più elevate rispetto ai prezzi di listino
SUBAPPALTI O ATI
Subappalto e associazione temporanea di impresa possono, secondo l'Antitrust, essere utilizzati in modo distorto per spartirsi il mercato.
Sono indizi del meccanismo spartitorio:
- imprese in grado di partecipare singolarmente alla gara ma che optano per la partecipazione in Ati o per il subappalto;
- imprese che svolgono la stessa attività prevalente;
- impresa che si ritira dalla gara e diventa poi subappaltatrice;
- nelle aggiudicazioni all'offerta economicamente più vantaggiosa,
presenza di Ati costituita dai maggiori operatori per impedire alle imprese minori di raggiungere il necessario punteggio qualitativo
SPARTIZIONE DEL MERCATO
Indicano una potenziale spartizione del mercato le seguenti situazioni:
- negli accordi di rotazione delle offerte, le imprese continuano a partecipare alle gare ma decidono di presentare a turno l'offerta vincente. Gli accordi possono essere attuati in modi diversi;
- un'attenta analisi può far emergere una "regolarità" sospetta nella successione delle aggiudicatarie così come nella ripartizione in lotti;
- le regolarità sospette possono riguardare tanto il numero delle aggiudicazioni quanto la somma dei relativi importi
MODALITÀ SOSPETTE
L'illecita concertazione tra concorrenti nel formulare un'offerta può essere tradita da banali disattenzioni che emergono fin dalla lettura del bando, come ad esempio:
- medesimi errori di battitura o di calcolo;
- stessa grafia;
- riferimento a domande di altri partecipanti alla gara;
- consegna contemporanea di più offerte (articolo Il Sole 24 Ore del 25.11.2013).

APPALTILa ricorrente richiama impropriamente la decisione n. 36/2012 dell’Adunanza Plenaria, la quale, in realtà, non ha ritenuto che il RUP abbia competenza esclusiva in ordine alla verifica di congruità delle offerte, ma solo che, nelle gare d'appalto da aggiudicare col criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, egli ha la facoltà di scegliere, secondo quanto previsto dall’art. 121 del d.P.R. nr. 207 del 2010, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, se procedere personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice.
Nel caso di specie il RUP ha preferito delegare la verifica di congruità delle offerte alla commissione tecnica, e ciò non solo non configura alcun profilo di illegittimità della procedura, ma semmai conferisce a tale adempimento le garanzie di approfondimento e di (maggiore) ponderazione proprie delle valutazioni collegiali.
Con un terzo profilo di censura, infine, la ricorrente ha lamentato che la verifica di anomalia sia stata svolta dalla commissione tecnica anziché dal R.U.P.
Anche tale doglianza è infondata.
La ricorrente richiama impropriamente la decisione n. 36/2012 dell’Adunanza Plenaria, la quale, in realtà, non ha ritenuto che il RUP abbia competenza esclusiva in ordine alla verifica di congruità delle offerte, ma solo che, nelle gare d'appalto da aggiudicare col criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, egli ha la facoltà di scegliere, secondo quanto previsto dall’art. 121 del d.P.R. nr. 207 del 2010, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, se procedere personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice.
Nel caso di specie il RUP ha preferito delegare la verifica di congruità delle offerte alla commissione tecnica, e ciò non solo non configura alcun profilo di illegittimità della procedura, ma semmai conferisce a tale adempimento le garanzie di approfondimento e di (maggiore) ponderazione proprie delle valutazioni collegiali
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZILe norme del Codice dei Contratti Pubblici che prevedono l’obbligo per le stazioni appaltanti di specificare i c.d. “oneri da interferenza” nei bandi di gara e l’obbligo per i concorrenti di specificare i c.d. “oneri da rischio specifico” nelle proprie offerte economiche sono sanciti dall’art. 86, commi 3-bis e 3-ter, e dall’art. 87, comma 4, del Codice dei Contratti.
Tali norme, per la loro stretta specificità di dettaglio, sono inidonee ad integrare principi generali, salvo che non si voglia ravvisarne uno in ogni frammento del reticolato normativo del Codice, secondo un ordine di idee che sarebbe, però, incompatibile con la ben diversa logica selettiva sottesa ai suoi articoli 20 e 27.
Non integrando principi generali, le predette norme non sono applicabili -neppure in via di eterointegrazione degli atti di gara- alle procedure che abbiano ad oggetto, come nel caso di specie, servizi di cui all’allegato II B, se non nell’ipotesi in cui la stazione appaltante si sia auto-vincolata ad osservarle richiamandole espressamente nella legge di gara.
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Nella gara in esame non era sancito l’obbligo per le imprese concorrenti di indicare già in sede di offerta economica l’importo degli oneri della sicurezza.
Ne consegue ulteriormente che la mancata indicazione degli oneri della sicurezza nell’offerta economica non avrebbe potuto comportare l’esclusione del concorrente, in base al principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei Contratti.
Tale conclusione, peraltro, non comporta che nelle gare aventi ad oggetto servizi esclusi dall’applicazione del Codice dei Contratti i concorrenti, in mancanza di una previsione specifica della legge di gara, siano esentati dal dovere di indicare gli oneri della sicurezza e dall’osservare le norme in materia di sicurezza sul lavoro: comporta soltanto che, ove la stazione appaltante non si sia auto-vincolata nella legge di gara ad osservare la disciplina di dettaglio dettata dagli art. 86, commi 3-bis e 3-ter, e 87, comma 4, del Codice dei Contratti, il concorrente che non abbia indicato gli oneri della sicurezza nella propria offerta, dovrà essere chiamato a specificarli successivamente nell’ambito della fase, eventuale, di verifica della congruità dell’offerta.
Ai predetti rilievi va aggiunto che, nella fattispecie in esame, neppure il modulo di offerta economica allegato alla lettera di invito contemplava uno spazio per l’indicazione degli oneri di sicurezza, con ciò rafforzando il legittimo affidamento dei concorrenti sulla correttezza di una formulazione dell’offerta economica che non contemplasse anche l’indicazione degli oneri della sicurezza.
Recentemente, il Consiglio di Stato -con affermazione che travalica il ristretto ambito degli appalti esclusi di cui all’allegato II B per estendersi, invece, a qualsivoglia procedura di gara– afferma che “l’Amministrazione che ricorre a moduli per la stipula di contratti pubblici, allorché vi siano contrasti tra prescrizioni predisposte per la gara, è tenuta al rispetto dei principi di buona fede e affidamento delle imprese nella lex specialis al fine di negare che ciò possa risolversi in un danno per le stesse, attraverso la loro espulsione dalla procedura, ed all’adempimento dell’obbligo di comunicare le cause di invalidità di cui abbia conoscenza, la cui violazione non può essere addossata alla parte privata”.
Se tale principio vale nel caso in cui il modulo di offerta sia difforme dalla legge di gara, come nel caso esaminato dalla sentenza da ultimo citata, a maggior ragione esso deve valere nel caso in cui esso sia invece conforme alla lex specialis, come nel caso in esame.

L’appalto di cui si discute rientra, per concorde ammissione delle parti, tra quelli di cui all’allegato II B del Codice dei Contratti, ed in particolare nella categoria n. 23: “Servizi di investigazione e di sicurezza, eccettuati i servizi con furgoni blindati”.
E’ noto che gli appalti di cui all’allegato II B del Codice dei Contratti sono esclusi dall’applicazione delle norme di dettaglio dello stesso Codice, fatta eccezione per quelle specificamente richiamate dall’art. 20 ma non conferenti al caso in esame (art. 68, specifiche tecniche; art. 65, avviso sui risultati della procedura di affidamento; art. 225, avvisi relativi agli appalti aggiudicati). Gli stessi appalti, secondo la previsione dell’art. 27 del Codice, sono assoggettati soltanto al rispetto del principi generali di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità.
Le norme del Codice dei Contratti Pubblici che prevedono l’obbligo per le stazioni appaltanti di specificare i c.d. “oneri da interferenza” nei bandi di gara e l’obbligo per i concorrenti di specificare i c.d. “oneri da rischio specifico” nelle proprie offerte economiche sono sanciti dall’art. 86, commi 3-bis e 3-ter, e dall’art. 87, comma 4, del Codice dei Contratti.
Tali norme, per la loro stretta specificità di dettaglio, sono inidonee ad integrare principi generali, salvo che non si voglia ravvisarne uno in ogni frammento del reticolato normativo del Codice, secondo un ordine di idee che sarebbe, però, incompatibile con la ben diversa logica selettiva sottesa ai suoi articoli 20 e 27.
Non integrando principi generali, le predette norme non sono applicabili -neppure in via di eterointegrazione degli atti di gara- alle procedure che abbiano ad oggetto, come nel caso di specie, servizi di cui all’allegato II B, se non nell’ipotesi in cui la stazione appaltante si sia auto-vincolata ad osservarle richiamandole espressamente nella legge di gara.
Non è questo il caso, però.
Nel caso di specie, infatti, la legge di gara (art. 1.26 del bando) richiamava esclusivamente l’art. 86, comma 1, in relazione ai casi in cui si sarebbe proceduto alla verifica di anomalia, e l’art. 87, comma 2, in relazione agli elementi che avrebbero potuto costituire oggetto di giustificazione in sede di verifica di congruità.
La legge di gara non richiamava, invece, né l’art. 86 ,commi 3-bis e 3-ter, né l’art. 87, comma 4, ossia gli unici articoli del Codice dei Contratti conferenti al caso di specie.
Ne consegue che nella gara in esame non era sancito l’obbligo per le imprese concorrenti di indicare già in sede di offerta economica l’importo degli oneri della sicurezza.
Ne consegue ulteriormente che la mancata indicazione degli oneri della sicurezza nell’offerta economica non avrebbe potuto comportare l’esclusione del concorrente, in base al principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei Contratti.
Tale conclusione, peraltro, non comporta che nelle gare aventi ad oggetto servizi esclusi dall’applicazione del Codice dei Contratti i concorrenti, in mancanza di una previsione specifica della legge di gara, siano esentati dal dovere di indicare gli oneri della sicurezza e dall’osservare le norme in materia di sicurezza sul lavoro: comporta soltanto che, ove la stazione appaltante non si sia auto-vincolata nella legge di gara ad osservare la disciplina di dettaglio dettata dagli art. 86, commi 3-bis e 3-ter, e 87, comma 4, del Codice dei Contratti, il concorrente che non abbia indicato gli oneri della sicurezza nella propria offerta, dovrà essere chiamato a specificarli successivamente nell’ambito della fase, eventuale, di verifica della congruità dell’offerta.
In questi termini la Sezione si è già pronunciata con sentenza n. 1376 del 21.12.2012, alle cui più ampie considerazioni si rinvia e dalle quali non v’è motivo per discostarsi (in senso analogo, anche Consiglio di Stato, sez. V, 06.08.2012, n. 4510).
Ai predetti rilievi va aggiunto che, nella fattispecie in esame, neppure il modulo di offerta economica allegato alla lettera di invito contemplava uno spazio per l’indicazione degli oneri di sicurezza, con ciò rafforzando il legittimo affidamento dei concorrenti sulla correttezza di una formulazione dell’offerta economica che non contemplasse anche l’indicazione degli oneri della sicurezza.
Anche su questo punto la Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi, oltre che nel precedente già citato, con sentenza n. 5 del 09.01.2012.
In senso conforme: Consiglio di Stato, sez. V, 06.08.2012 n. 4510, in cui si richiama il principio di prevalenza, in tali fattispecie, del favor partecipationis, e, soprattutto, la recentissima pronuncia della stessa Sezione del Consiglio di Stato 24.10.2013 n. 5155, in cui -con affermazione che travalica il ristretto ambito degli appalti esclusi di cui all’allegato II B per estendersi, invece, a qualsivoglia procedura di gara– si afferma che “l’Amministrazione che ricorre a moduli per la stipula di contratti pubblici, allorché vi siano contrasti tra prescrizioni predisposte per la gara, è tenuta al rispetto dei principi di buona fede e affidamento delle imprese nella lex specialis al fine di negare che ciò possa risolversi in un danno per le stesse, attraverso la loro espulsione dalla procedura, ed all’adempimento dell’obbligo di comunicare le cause di invalidità di cui abbia conoscenza, la cui violazione non può essere addossata alla parte privata”.
Se tale principio vale nel caso in cui il modulo di offerta sia difforme dalla legge di gara, come nel caso esaminato dalla sentenza da ultimo citata, a maggior ragione esso deve valere nel caso in cui esso sia invece conforme alla lex specialis, come nel caso in esame (in termini analoghi, e con specifico riferimento all’indicazione degli oneri aziendali per la sicurezza, cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 14.01.2013 n. 145) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZINelle procedure aventi ad oggetto gli appalti di cui all’allegato II B, l’obbligo di specificare gli oneri della sicurezza nella offerta economica a pena di esclusione dalla gara non può farsi discendere automaticamente dall’art. 26, comma 6, del D. L.vo 81/2008, il quale si limita a prescrivere che gli enti aggiudicatori, “nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte” valutino l’adeguatezza del valore economico al costo del lavoro e della sicurezza: é ben vero che quest’ultimo deve essere “indicato e risultare congruo rispetto all’entità ed alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture”, ma la norma non prescrive affatto che questa indicazione debba essere effettuata, dai partecipanti alla gara, a pena di esclusione nella offerta economica.
Tale conclusione non equivale ad esentare le imprese concorrenti dall’onere di indicare in gara gli oneri da rischio specifico, ma solo a rimandare l’esposizione di tali oneri nella sede, eventuale, del controllo di anomalia dell’offerta, sede nella quale il concorrente dovrà giustificare la sostenibilità e l’attendibilità della propria offerta economica anche alla luce dell’incidenza sul prezzo offerto degli oneri per la sicurezza, che in tale occasione -ma solo in questa- dovranno essere specificamente indicati.
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Ancora di recente, alcune condivisibili decisioni del giudice amministrativo hanno evidenziato che “nell’ipotesi in cui la lex specialis nulla abbia specificato in ordine all’onere d’indicare -a pena di esclusione- i costi di sicurezza aziendale, l’esclusione della ditta che abbia omesso tale indicazione verrebbe a colpire (in contrasto con i principi di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento e del favor partecipationis) i concorrenti che hanno presentato un’offerta perfettamente conforme alle prescrizioni stabilite dal bando e dall’allegato modulo d’offerta; legittimamente, pertanto, la stazione appaltante, in osservanza del suddetto principio del favor partecipationis, ammette a partecipare alla procedura di evidenza pubblica la medesima ditta".
La Sezione è consapevole che il tema degli oneri della sicurezza nella gare d’appalto è tuttora oggetto di orientamenti non univoci nella giurisprudenza amministrativa, sia di primo che di secondo grado (e talora anche all’interno della stessa Sezione del giudice d’appello), con effetti che possono talora produrre disorientamento negli operatori e disfunzionalità nel sistema.
Tuttavia, al di là del fatto che, ad un esame più approfondito, talune apparenti divergenze giurisprudenziali sembrano trovare fondamento e giustificazione nelle peculiarità delle singole fattispecie esaminate nelle varie decisioni -e in attesa, in ogni caso, di un opportuno intervento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria- vi è da osservare che l’orientamento più recente del giudice di appello, che il collegio reputa più ragionevole e decisamente più convincente, è quello efficacemente riassunto da Consiglio di Stato, sez, III, 10.07.2013, n. 3706, il quale, anche in riferimento ad appalti di servizi di cui all’allegato II A del Codice dei Contratti, sembra ormai orientato ad escludere che la mancata indicazione degli oneri di sicurezza nell’offerta economica possa comportare ex se l’esclusione del concorrente, potendo l’esclusione conseguire “soltanto all’esito –s’intende, ove negativo, di una verifica più ampia sulla serietà e sulla sostenibilità dell’offerta economica del suo insieme”.
Osserva il collegio che nelle procedure aventi ad oggetto gli appalti di cui all’allegato II B, l’obbligo di specificare gli oneri della sicurezza nella offerta economica a pena di esclusione dalla gara non può farsi discendere automaticamente dall’art. 26, comma 6, del D. L.vo 81/2008, il quale si limita a prescrivere che gli enti aggiudicatori, “nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte” valutino l’adeguatezza del valore economico al costo del lavoro e della sicurezza: é ben vero che quest’ultimo deve essere “indicato e risultare congruo rispetto all’entità ed alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture”, ma la norma non prescrive affatto che questa indicazione debba essere effettuata, dai partecipanti alla gara, a pena di esclusione nella offerta economica (TAR Piemonte, sez. I, 21.12.2012 n. 1376).
Naturalmente, va ribadito che tale conclusione non equivale ad esentare le imprese concorrenti dall’onere di indicare in gara gli oneri da rischio specifico, ma solo a rimandare l’esposizione di tali oneri nella sede, eventuale, del controllo di anomalia dell’offerta, sede nella quale il concorrente dovrà giustificare la sostenibilità e l’attendibilità della propria offerta economica anche alla luce dell’incidenza sul prezzo offerto degli oneri per la sicurezza, che in tale occasione -ma solo in questa- dovranno essere specificamente indicati.
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Ancora di recente, alcune condivisibili decisioni del giudice amministrativo hanno evidenziato che “nell’ipotesi in cui la lex specialis nulla abbia specificato in ordine all’onere d’indicare -a pena di esclusione- i costi di sicurezza aziendale, l’esclusione della ditta che abbia omesso tale indicazione verrebbe a colpire (in contrasto con i principi di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento e del favor partecipationis) i concorrenti che hanno presentato un’offerta perfettamente conforme alle prescrizioni stabilite dal bando e dall’allegato modulo d’offerta; legittimamente, pertanto, la stazione appaltante, in osservanza del suddetto principio del favor partecipationis, ammette a partecipare alla procedura di evidenza pubblica la medesima ditta" (TAR Bari, sez. II, 22.10.2013 n. 1429).
La Sezione è consapevole che il tema degli oneri della sicurezza nella gare d’appalto è tuttora oggetto di orientamenti non univoci nella giurisprudenza amministrativa, sia di primo che di secondo grado (e talora anche all’interno della stessa Sezione del giudice d’appello), con effetti che possono talora produrre disorientamento negli operatori e disfunzionalità nel sistema.
Tuttavia, al di là del fatto che, ad un esame più approfondito, talune apparenti divergenze giurisprudenziali sembrano trovare fondamento e giustificazione nelle peculiarità delle singole fattispecie esaminate nelle varie decisioni -e in attesa, in ogni caso, di un opportuno intervento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria- vi è da osservare che l’orientamento più recente del giudice di appello, che il collegio reputa più ragionevole e decisamente più convincente, è quello efficacemente riassunto da Consiglio di Stato, sez, III, 10.07.2013, n. 3706, il quale, anche in riferimento ad appalti di servizi di cui all’allegato II A del Codice dei Contratti, sembra ormai orientato ad escludere che la mancata indicazione degli oneri di sicurezza nell’offerta economica possa comportare ex se l’esclusione del concorrente, potendo l’esclusione conseguire “soltanto all’esito –s’intende, ove negativo, di una verifica più ampia sulla serietà e sulla sostenibilità dell’offerta economica del suo insieme” (in senso analogo, ancora più di recente, Cons. Stato, sez. III, 18.10.2013, n. 5070).
Sotto quest’ultimo profilo, va rilevato che, nel caso di specie, tale verifica a posteriori è stata effettuata dalla commissione di gara in sede di verifica di congruità e si è conclusa positivamente per entrambi i raggruppamenti aggiudicatari
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZII valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali non costituiscono un limite inderogabile, ma semplicemente un parametro di valutazione della congruità dell'offerta sotto tale profilo, ai sensi dell'art. 86 del decreto legislativo 12.04.2006, nr. 163: di modo che l'eventuale scostamento da tali parametri delle relative voci di costo non legittima ex se un giudizio di anomalia, potendo essere accettato quando risulti puntualmente giustificato.
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La verifica di anomalia dell'offerta deve avere a oggetto la congruità dell'offerta economica non con riferimento a ciascuna singola voce di essa, ma nella sua interezza e globalità, servendo le giustificazioni dell'impresa, e il contraddittorio che su di esse s'instaura ai sensi del citato art. 86, ad accertare l'effettiva sostenibilità e affidabilità dell'offerta nel suo complesso.
Al riguardo, giova preliminarmente richiamare l'indirizzo giurisprudenziale -che questa Sezione condivide- secondo cui i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali non costituiscono un limite inderogabile, ma semplicemente un parametro di valutazione della congruità dell'offerta sotto tale profilo, ai sensi dell'art. 86 del decreto legislativo 12.04.2006, nr. 163: di modo che l'eventuale scostamento da tali parametri delle relative voci di costo non legittima ex se un giudizio di anomalia, potendo essere accettato quando risulti puntualmente giustificato.
Del pari consolidato è l'indirizzo secondo cui la verifica di anomalia dell'offerta deve avere a oggetto la congruità dell'offerta economica non con riferimento a ciascuna singola voce di essa, ma nella sua interezza e globalità, servendo le giustificazioni dell'impresa, e il contraddittorio che su di esse s'instaura ai sensi del citato art. 86, ad accertare l'effettiva sostenibilità e affidabilità dell'offerta nel suo complesso
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’art. 84 del Codice dei Contratti dispone che la commissione valutatrice “è presieduta di norma da un dirigente della stazione appaltante e, in caso di mancanza in organico, da un funzionario della stazione appaltante incaricato di funzioni apicali, nominato dall’organo competente” (comma 3); inoltre, (comma 8) “I commissari diversi dal presidente sono selezionati tra i funzionari della stazione appaltante. In caso di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, nonché negli altri casi previsti dal regolamento in cui ricorrono esigenze oggettive e comprovate, i commissari diversi dal presidente sono scelti tra funzionari di amministrazione aggiudicatrici di cui all’art. 3, comma 25, ovvero con un criterio di rotazione tra gli appartenenti alle seguenti categorie:….” (professionisti e professori universitari di ruolo con determinati requisiti).
Il complessivo meccanismo dettato dall'art. 84, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 impone dunque, innanzitutto, di individuare i commissari all'interno della stazione appaltante, ritenendo il legislatore tale soluzione evidentemente non solo la più efficiente in termini di economicità e di semplificazione procedimentale, ma anche di imparzialità, e solo ove vi siano obiettive carenze di organico o professionalità tali da poter inficiare la bontà delle valutazioni dell'offerta tecnica, è ammesso rivolgersi all'esterno, rispettando per altro precisi requisiti di professionalità dei prescelti, oltre che meccanismi selettivi trasparenti.
Per quanto riguarda il requisito relativo alla competenza tecnica dei singoli commissari, è principio consolidato in giurisprudenza quello per cui il requisito richiesto dall’art. 84, comma 2, del Codice dei Contratti (essere “esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”) debba essere valutato compatibilmente con la struttura degli enti appaltanti, senza esigere, necessariamente, che l’esperienza professionale copra tutti gli aspetti oggetto di gara.
Sotto un primo profilo, la ricorrente ha lamentato che la delibera di nomina della commissione tecnica non avrebbe evidenziato alcuna specifica competenza in capo ai soggetti chiamati a far parte dell’organo; secondo la ricorrente, non si comprenderebbe di quale competenza possano essere dotati il direttore dell’ufficio S.C. I.C.T. (presidente) e il direttore dell’Ufficio Provveditorato negli specifici settori della vigilanza armata, del telecontrollo e del portierato.
La censura è infondata.
L’art. 84 del Codice dei Contratti dispone che la commissione valutatrice “è presieduta di norma da un dirigente della stazione appaltante e, in caso di mancanza in organico, da un funzionario della stazione appaltante incaricato di funzioni apicali, nominato dall’organo competente” (comma 3); inoltre, (comma 8) “I commissari diversi dal presidente sono selezionati tra i funzionari della stazione appaltante. In caso di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, nonché negli altri casi previsti dal regolamento in cui ricorrono esigenze oggettive e comprovate, i commissari diversi dal presidente sono scelti tra funzionari di amministrazione aggiudicatrici di cui all’art. 3, comma 25, ovvero con un criterio di rotazione tra gli appartenenti alle seguenti categorie:….” (professionisti e professori universitari di ruolo con determinati requisiti).
Il complessivo meccanismo dettato dall'art. 84, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 impone dunque, innanzitutto, di individuare i commissari all'interno della stazione appaltante, ritenendo il legislatore tale soluzione evidentemente non solo la più efficiente in termini di economicità e di semplificazione procedimentale, ma anche di imparzialità, e solo ove vi siano obiettive carenze di organico o professionalità tali da poter inficiare la bontà delle valutazioni dell'offerta tecnica, è ammesso rivolgersi all'esterno, rispettando per altro precisi requisiti di professionalità dei prescelti, oltre che meccanismi selettivi trasparenti.
Per quanto riguarda il requisito relativo alla competenza tecnica dei singoli commissari, è principio consolidato in giurisprudenza quello per cui il requisito richiesto dall’art. 84, comma 2, del Codice dei Contratti (essere “esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”) debba essere valutato compatibilmente con la struttura degli enti appaltanti, senza esigere, necessariamente, che l’esperienza professionale copra tutti gli aspetti oggetto di gara (Cons. Stato, sez. III, 12.09.2012, n. 4836; Cons. Stato, sez. V, 28.05.2012, n. 3124; TAR Piemonte, sez. I, n. 88/2010)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIE’ noto che nelle gare pubbliche spettano in via esclusiva alla commissione giudicatrice le sole attività di valutazione che implicano un giudizio connotato da discrezionalità, mentre qualora si tratti di espletare attività che non implicano valutazione o scelta non sussiste alcuna riserva di esclusività in capo alla commissione giudicatrice, potendo le stesse essere svolte da organi ordinari dell'Amministrazione.
L'attività valutativa demandata alla commissione tecnica dall’art. 84 del Codice dei Contratti non comprende le attività amministrative afferenti alla verifica della tempestività delle offerte e della regolarità della documentazione a corredo, compiti che, non presupponendo il possesso di alcuna competenza tecnica relativa allo specifico oggetto dell’appalto, possono essere senz’altro affidati agli organi ordinari della stazione appaltante.
Sotto un diverso profilo, la ricorrente ha lamentato la violazione del principio di unicità della commissione, sul presupposto che una prima commissione avrebbe proceduto all’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa e le offerte economiche e all’attribuzione del punteggio a queste ultime, mentre una diversa commissione avrebbe proceduto all’esame delle offerte tecniche e alla valutazione di non anomalia
Anche tale profilo di censura è infondato.
E’ noto che nelle gare pubbliche spettano in via esclusiva alla commissione giudicatrice le sole attività di valutazione che implicano un giudizio connotato da discrezionalità, mentre qualora si tratti di espletare attività che non implicano valutazione o scelta non sussiste alcuna riserva di esclusività in capo alla commissione giudicatrice, potendo le stesse essere svolte da organi ordinari dell'Amministrazione (Cons. Stato, sez. III, 12.09.2012, n. 4836).
Questa stessa Sezione ha avuto modo di affermare che l’attività valutativa demandata alla commissione tecnica dall’art. 84 del Codice dei Contratti non comprende le attività amministrative afferenti alla verifica della tempestività delle offerte e della regolarità della documentazione a corredo, compiti che, non presupponendo il possesso di alcuna competenza tecnica relativa allo specifico oggetto dell’appalto, possono essere senz’altro affidati agli organi ordinari della stazione appaltante (TAR Piemonte, sez. I, 30.06.2011, n. 711; TAR Piemonte, sez. I, 16.07.2010, n. 3132).
Alla stregua di tali principi, la procedura di gara in esame non appare affetta dal vizio denunciato dalla ricorrente, in quanto la commissione tecnica ha proceduto correttamente alla valutazione delle offerte tecniche, mentre il seggio di gara (composto da altri dipendenti della stessa ASL: dr. C.A., direttore struttura complessa economato, in qualità di presidente; dr.ssa S.S., collaboratore amministrativo con funzioni di assistenza alle operazioni di gara; e dr.ssa C.C., assistente amministrativo con funzioni di segretario verbalizzante) si è occupato solo di adempimenti privi di aspetti valutativi, quali la verifica della regolarità della documentazione amministrativa e all’attribuzione dei punteggi alle offerte economiche.
Il tutto in perfetto ossequio ai principi giurisprudenziali sopra menzionati
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Costo orario dei dipendenti da imprese e società esercenti servizi ambientali per il settore pubblico, con riferimento ai CCNL aventi come parte datoriale FEDERAMBIENTE, e per il settore privato, con riferimento ai CCNL aventi come parte datoriale ASSOAMBIENTE- Sezione Rifiuti Urbani, a valere dai mesi di luglio e di ottobre 2013 (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, decreto 22.11.2013).

APPALTI: Oggetto: Definizione di “socio di maggioranza” rilevante per le dichiarazioni prescritte ai fini della partecipazione alle procedure di gara d’appalto pubblico (ANCE Bergamo, circolare 22.11.2013 n. 250).

APPALTI: Deve essere esclusa dalla gara pubblica l'impresa che non ha prodotto l'attestazione del R.U.P. di presa visione dei luoghi dove devono eseguirsi i lavori, imposta a pena di esclusione dal disciplinare di gara; ciò in quanto, con il richiedere l'attestazione della presa di conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono influire sull'esecuzione dell'opera, e prima ancora sulla formulazione dell'offerta, la stazione appaltante pone a carico dell'appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui corrisponde una altrettanto precisa responsabilità contrattuale di quest'ultimo.
La provenienza di detto documento dall'Amministrazione aggiudicatrice assicura a quest'ultima maggiore tutela, a presidio dell'interesse, di ordine imperativo, all'individuazione del contraente più idoneo nonché alla correttezza e regolarità della gara, e, dunque, in coerenza con l'interesse pubblico sotteso a tale norma di azione.
Infatti, l'attestazione è qualcosa in più della semplice dichiarazione da parte della stessa ditta partecipante ad una gara, dovendosi trattare di una dichiarazione proveniente da un terzo ritenuto (per la particolare posizione rivestita) abilitato a renderla, in tal modo garantendosi (fino a prova contraria) la veridicità del suo contenuto.
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Non è applicabile la norma contenuta nell’art. 46, comma 1-bis, d.lgs. n. 163/2006 che ha codificato il principio della tassatività delle cause di esclusione dalla gare pubbliche, la quale è circoscritta al solo ambito della disposizioni di cui al Codice dei contratti pubblici e non costituisce norma di principio estensibile al di fuori di tale ambito.
Infatti, le disposizioni ed i principi contenuti nella normativa regolante le procedure ad evidenza pubblica non possono trovare piana applicazione (se non quando siano espressamente richiamati negli atti generali che costituiscono la lex specialis, autovincolante per l’Amministrazione) nelle procedure di dismissione e vendita di beni immobili da parte dello Stato e delle altre Amministrazioni pubbliche.
Né è applicabile, altresì, la norma, espressiva invece di un principio generale, ex art. 6, l. 241/1990, di cui all’art. 46, comma 1, d.lgs. n. 163/2006, che prevede il cd. “potere di soccorso”, atteso che, una volta constatata la sostanziale assenza di un requisito essenziale per la partecipazione in corso di gara, la conseguente regolarizzazione postuma si tradurrebbe, essenzialmente, in un'integrazione della domanda proposta, configurandosi perciò come una violazione del principio della "par condicio" nei riguardi di altri concorrenti.

Peraltro, come si evince da pag. 12 del predetto avviso, con inciso riportato con caratteri in grassetto ed opportunamente sottolineato, la lex specialis ha disposto che “La mancata presentazione di uno solo dei documenti, dichiarazioni o della cauzione costituisce automatica esclusione dalla partecipazione alla gara”.
Inoltre, l’art. 4 della lex specialis prescrive chiaramente che il concorrente doveva presentare, per ogni singolo lotto cui intendeva partecipare, a pena di esclusione, un plico contenente un’elencazione di documenti, tra cui, per la busta relativa alla documentazione amministrativa, l’attestazione per cui è causa; l’art. 9, relativo alle disposizioni di carattere generale, ribadiva che “L’assenza dei requisiti richiesti per la partecipazione alla gara e la violazione delle prescrizioni previste dal presente avviso determineranno l’esclusione dalla gara”.
Né tale omissione è surrogabile da un’autocertificazione ex d.P.R. 28.12.2000, n. 445 poiché l’efficacia probatoria equivalente di quest’ultima è stata espressamente esclusa, nella specie, dalla lex specialis, che ha prescritto un mezzo di prova più rigoroso.
Come d’altra parte ha già statuito la Sezione in caso analogo (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 03.07.2012, n. 3881, attinente agli appalti pubblici di lavori), deve essere esclusa dalla gara pubblica l'impresa che non ha prodotto l'attestazione del R.U.P. di presa visione dei luoghi dove devono eseguirsi i lavori, imposta a pena di esclusione dal disciplinare di gara; ciò in quanto, con il richiedere l'attestazione della presa di conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono influire sull'esecuzione dell'opera, e prima ancora sulla formulazione dell'offerta, la stazione appaltante pone a carico dell'appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui corrisponde una altrettanto precisa responsabilità contrattuale di quest'ultimo. La provenienza di detto documento dall'Amministrazione aggiudicatrice assicura a quest'ultima maggiore tutela, a presidio dell'interesse, di ordine imperativo, all'individuazione del contraente più idoneo nonché alla correttezza e regolarità della gara, e, dunque, in coerenza con l'interesse pubblico sotteso a tale norma di azione.
Infatti, l'attestazione è qualcosa in più della semplice dichiarazione da parte della stessa ditta partecipante ad una gara, dovendosi trattare di una dichiarazione proveniente da un terzo ritenuto (per la particolare posizione rivestita) abilitato a renderla, in tal modo garantendosi (fino a prova contraria) la veridicità del suo contenuto.
Non è, invece, applicabile la norma contenuta nell’art. 46, comma 1-bis, d.lgs. n. 163/2006 che ha codificato il principio della tassatività delle cause di esclusione dalla gare pubbliche, la quale è circoscritta al solo ambito della disposizioni di cui al Codice dei contratti pubblici e non costituisce norma di principio estensibile al di fuori di tale ambito.
Infatti, le disposizioni ed i principi contenuti nella normativa regolante le procedure ad evidenza pubblica non possono trovare piana applicazione (se non quando siano espressamente richiamati negli atti generali che costituiscono la lex specialis, autovincolante per l’Amministrazione) nelle procedure di dismissione e vendita di beni immobili da parte dello Stato e delle altre Amministrazioni pubbliche.
Né è applicabile, invece, la norma, espressiva invece di un principio generale, ex art. 6, l. 241/1990, di cui all’art. 46, comma 1, d.lgs. n. 163/2006, che prevede il cd. “potere di soccorso”, atteso che, una volta constatata la sostanziale assenza di un requisito essenziale per la partecipazione in corso di gara, la conseguente regolarizzazione postuma si tradurrebbe, essenzialmente, in un'integrazione della domanda proposta, configurandosi perciò come una violazione del principio della "par condicio" nei riguardi di altri concorrenti.
Non rilevanti sono le questioni relativa alla numerosità delle prescrizioni a pena di esclusione e non sono fondate quelle in ordine alla violazione del cd. favor partecipationis (come appena detto, non applicabile nel caso di violazione del principio della par condicio dei concorrenti) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.11.2013 n. 5470 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICIPur rivestendo, “in subiecta materia”, un rilievo determinante l’attività preparatoria dell’U.T.C., circa il sito ritenuto più idoneo per la realizzazione dell’isola ecologica– pur tuttavia, la concreta adozione della conseguente determinazione esuli dalle competenze immediatamente riferibili ai dirigenti, ai sensi delle richiamate disposizioni del d. l.vo 267/2000, essendo il Tribunale, in tale decisione, confortato dalla massima, in termini, che segue: “L’approvazione del progetto e la localizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti esulano dal mero esercizio della funzione tecnico-amministrativa spettante al dirigente per ricadere nell’ambito più ampio della funzione di indirizzo e di programmazione, affidata all’organo elettivo, quantomeno in relazione alla scelta discrezionale del sito”.
Tanto stabilito, va respinta la prima censura dei motivi aggiunti de quibus, con la quale s’è denunziata l’incompetenza della G.M. a licenziare la deliberazione gravata, ai sensi degli artt. 48 e 107 del T.U.E.L. (atto che rientrerebbe, ad avviso dei ricorrenti, nelle dirette competenze dell’ufficio tecnico comunale); al riguardo, ritiene il Tribunale che –pur rivestendo, “in subiecta materia”, un rilievo determinante l’attività preparatoria dell’U.T.C., circa il sito ritenuto più idoneo per la realizzazione dell’isola ecologica– pur tuttavia, la concreta adozione della conseguente determinazione esuli dalle competenze immediatamente riferibili ai dirigenti, ai sensi delle richiamate disposizioni del d. l.vo 267/2000, essendo il Tribunale, in tale decisione, confortato dalla massima, in termini, che segue: “L’approvazione del progetto e la localizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti esulano dal mero esercizio della funzione tecnico-amministrativa spettante al dirigente per ricadere nell’ambito più ampio della funzione di indirizzo e di programmazione, affidata all’organo elettivo, quantomeno in relazione alla scelta discrezionale del sito” (TAR Lazio – Sez. I, 22/05/2000, n. 4176) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 20.11.2013 n. 2290 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Oggetto: Dall’01.01.2014 in vigore il sistema denominato “AVCpass” per la verifica dei requisiti per la partecipazione alle gare d’appalto (ANCE Bergamo, circolare 19.11.2013 n. 249).

APPALTIIl giudizio di anomalia postula una motivazione rigorosa ed analitica ove si concluda in senso sfavorevole all’offerente, mentre non si richiede, di contro, una motivazione analitica nell’ipotesi di esito positivo della verifica di anomalia, nel qual caso è sufficiente motivare per relationem con riferimento alle giustificazioni presentate dal concorrente (sempre che a loro volta adeguate).
Il quarto motivo di ricorso è infondato in quanto la giurisprudenza ha chiarito che il giudizio di anomalia postula una motivazione rigorosa ed analitica ove si concluda in senso sfavorevole all’offerente, mentre non si richiede, di contro, una motivazione analitica nell’ipotesi di esito positivo della verifica di anomalia, nel qual caso è sufficiente motivare per relationem con riferimento alle giustificazioni presentate dal concorrente (sempre che a loro volta adeguate) (C.d.S, V, 29/02/2012 n. 1183) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 18.11.2013 n. 991 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 47 del 18.11.2013, "Approvazione criteri per l’assegnazione di contributi per la riqualificazione di impianti sportivi scolastici di uso pubblico" (deliberazione G.R. 08.11.2013 n. 902).

APPALTIIl credito certo con la Pa ora «sblocca» il Durc. Rilascio possibile anche se c'è un debito previdenziale. Regolarità contributiva. Resta il potere di riscossione coattiva degli enti coinvolti.
Le aziende che hanno crediti nei confronti della Pubblica amministrazione non perdono il diritto a ottenere dagli uffici il documento unico di regolarità contributiva (Durc).

È il chiarimento principale contenuto nella circolare 21.10.2013 n. 40/2013, emanata dal ministero del Lavoro.
In realtà, le specifiche ministeriali seguono le disposizioni normative introdotte su questa materia dal Dm del 13.03.2013 (pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» 165 del 16.07.2013), che ha dato attuazione al comma 5 dell'articolo 13-bis, del decreto legge 52/2012 (convertito dalla legge 94/2012): questa norma stabilisce, infatti, che il Durc «positivo» possa essere rilasciato in presenza di una certificazione che attesti la sussistenza e l'importo di crediti certi, liquidi ed esigibili nei confronti delle pubbliche amministrazioni, di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da uno stesso soggetto.
In sostanza, con questo intervento, è stata finalmente superata la criticità di ottenere il Durc, per le imprese che –pur avendo posizioni debitorie nei confronti di Inps, Inail e/o Casse edili– a loro volta sono creditrici nei confronti della Pubblica amministrazione.
Il principio generale
Il principio che regola il rilascio del Durc in queste situazioni, però, è strettamente correlato al regime che disciplina l'intervento sostitutivo delle stazioni appaltanti, in caso di irregolarità contributiva dell'operatore economico. Nell'alveo dei contratti pubblici, questo principio (articolo 3, comma 1, lettera b), del Dpr 207/2010) comporta che il pagamento dell'importo oggetto di liquidazione da parte della stazione appaltante in relazione alla fase del contratto, sia effettuato a favore degli istituti creditori dei contributi omessi dall'operatore economico.
Lo stesso meccanismo scatta altresì quando il Durc è stato richiesto per l'erogazione di sovvenzioni, benefici normativi e contributivi e altri sussidi. Anche questo aspetto, infatti, è stato toccato dal Dl 69/2013. Il ministero del Lavoro, con la circolare 36/2013, ha chiarito che la Pa deve acquisire il Durc prima di erogare alle imprese sovvenzioni, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici.
La circolare 40/2013 dello stesso ministero sottolinea, dunque, che: «data la sostanziale posizione debitoria nei confronti degli Istituti e/o delle Casse edili, gli stessi conservano tutte le facoltà inerenti il potere sanzionatorio e di riscossione coattiva previste in caso di inadempimento dei versamenti contributivi», tra cui, appunto, l'intervento sostitutivo.
I crediti vanno certificati
Passando invece ai dettagli operativi per ottenere il Durc in presenza delle situazioni descritte, gli enti previdenziali e le Casse edili sono tenuti a rilasciare il documento alle imprese che hanno ottenuto la certificazione di uno o più crediti nei confronti della Pa. Il presupposto per poter operare in questo ambito è dunque che i crediti siano stati certificati, secondo quanto previsto in materia dalle indicazioni di prassi del ministero dell'Economia e, in particolare, dalle circolari 35/2012, e 17, 19, 30 del 2013.
La richiesta
Sulle modalità di rilascio, se ci si trova in una delle ipotesi in cui a richiedere il Durc è un ufficio della Pa, sarà l'azienda interessata –nella fase di avvio del procedimento– a dover dichiarare l'esistenza del credito, indicando la data della certificazione, il numero di protocollo, l'importo del credito stesso e l'amministrazione che ha rilasciato la relativa certificazione.
Sarà necessario, inoltre, fornire il codice tramite il quale potrà essere verificata la certificazione, nella piattaforma informatica costituita ad hoc: in pratica, si tratta di un archivio a cui accedono gli Istituti previdenziali e le Casse edili per verificare l'esistenza del credito.
A livello operativo, senza passare attraverso l'amministrazione richiedente, la certificazione potrà essere presentata direttamente agli enti previdenziali e/o alle Casse edili dall'azienda, nel momento in cui riceve il preavviso dell'irregolarità (ed entro la scadenza assegnata per sanarla).
Quando il canale informatico avrà raggiunto la sua piena funzionalità (la piattaforma deve essere ancora implementata), l'interessato non dovrà più comunicare agli enti tutti i dati sulla certificazione, ma saranno direttamente questi a poterli visualizzare (lo ha precisato anche l'Inail con la circolare 53/2013 dell'11 novembre).
Gli enti coinvolti nel rilascio del Durc, verificata la certificazione del credito tramite il sistema della piattaforma, potranno quindi emettere il documento, che dovrà riportare la dicitura «Durc ex art. 13-bis, comma 5, Dl n. 52/2012».
Anche nel caso in cui il Durc sia richiesto direttamente dall'interessato (usando il portale www.sportellounicoprevidenziale.it) si possono inviare i dati tramite posta elettronica certificata (Pec), o con esibizione agli Istituti e alle Casse. 
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Per il saldo lavori il documento va sempre chiesto.
Le regole sul Durc sono in continua evoluzione: l'ultimo intervento sulla materia è avvenuto con il Dl 69/2013 (convertito dalla legge 98/2013).
Sulla validità, è stato previsto che il Durc acquisito ai fini dei contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture abbia una durata di 120 giorni dalla data del rilascio. Questa disciplina, essendo stata introdotta in sede di conversione del Dl, è entrata in vigore il 21 agosto scorso ed è applicabile esclusivamente ai documenti rilasciati a partire da quella data: quelli emessi prima godono invece di una validità di 90 giorni, così come previsto dal regime precedente.
Le modifiche introdotte riguardano poi la previsione in base alla quale –dopo il primo Durc (richiesto dalla Pa ai vincitori di gare d'appalto a conferma dell'autocertificazione del concorrente)– gli enti non devono richiedere un altro documento di regolarità contributiva, dopo la stipula del contratto, ma solo al verificarsi, concretamente, delle ipotesi di pagamento degli stati di avanzamento lavori e per il certificato di collaudo, di regolare esecuzione, di verifica di conformità.
In sostanza, viene così meno l'obbligo per le stazioni appaltanti di acquisire diversi Durc in occasione di ogni stato di avanzamento lavori ma si realizzano tre distinte fattispecie, in relazione alle fasi del contratto pubblico.
In base alla prima, il Durc per la verifica della dichiarazione sostitutiva sulla regolarità contributiva previsto dall'articolo 38 del Codice dei contratti (Dlgs 163/2006) e quello previsto per l'aggiudicazione e la stipula del contratto, ha validità di 120 giorni, con decorrenza dalla data di verifica della dichiarazione sostitutiva, indicata nel documento.
La seconda casistica si riferisce invece alle fasi successive alla stipula del contratto: pagamento di fatture o stati di avanzamento lavori (Sal), certificato di collaudo, certificato di regolare esecuzione o verifica di conformità, attestazione di regolare esecuzione.
In questi casi, il Durc è richiesto solo per lo stato di avanzamento lavori e il certificato di collaudo o di regolare esecuzione, ferma restando la validità per ogni documento, confermata a 120 giorni.
Nell'ultima fase, quella del pagamento del saldo finale, bisogna sempre acquisire un nuovo Durc, poiché non è prevista l'estensione di validità dei documenti richiesti nelle fasi precedenti, anche se non ancora scaduti. L'articolo 31, comma 3, del Dl 69/2013 ha ribadito quanto già previsto dal regolamento di esecuzione e attuazione del codice dei contratti pubblici: nell'ipotesi in cui il Durc segnali un'inadempienza contributiva relativa a uno o più soggetti impiegati nell'esecuzione del contratto, le amministrazioni sono tenute a trattenere dal certificato di pagamento l'importo corrispondente all'inottemperanza, versando quanto dovuto dall'appaltatore o dal subappaltatore direttamente all'Inps, all'Inail o alla Cassa edile (articolo Il Sole 24 Ore del 18.11.2013).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIAppalti pagati dopo la verifica. L'appaltatore non potrà emettere la fattura fino al controllo della sua attività.
Pubblica amministrazione. Diffuse le linee guida dell'Autorità di vigilanza sul regolamento attuativo del Codice dei contratti.
Le stazioni appaltanti devono effettuare controlli accurati sull'esecuzione degli appalti di servizi e forniture, facendo leva sulla figura del direttore dell'esecuzione, anche per gestire correttamente le eventuali varianti.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha definito nella determinazione 06.11.2013 n. 5, pubblicata ieri, le Linee guida per l'applicazione del Dpr 207/2010 (regolamento attuativo del Codice appalti) relative alla programmazione, alla progettazione, all'esecuzione, alle verifiche e alla gestione delle variazioni negli appalti di beni e servizi. L'Autorità evidenzia anzitutto che la programmazione degli acquisti, pur essendo facoltativa (articolo 271 del regolamento) è essenziale per la gestione delle risorse e un efficace sviluppo delle procedure selettive.
La linea di maggior attenzione è dedicata al flusso di gestione degli appalti, definito in sede di progettazione e modulato nei suoi effetti concreti attraverso le verifiche di esecuzione.
Il progetto di ogni appalto di beni e servizi (obbligatorio in base all'articolo 279 del Dpr 207/2010) deve essere predisposto dai dipendenti della stazione appaltante, anche ampliando i contenuti essenziali con elementi quali la stima analitica delle prestazioni, il cronoprogramma, la specificazione dei livelli di servizio mediante indicatori numerici o quantitativi e le modalità di esercizio del controllo.
Nell'analisi dell'Authority, proprio il controllo delle prestazioni rese dagli appaltatori costituisce l'elemento-chiave dell'intero processo di gestione dell'appalto di fornitura o di servizi.
In questo quadro, l'attore principale diviene la nuova figura del direttore dell'esecuzione, che deve essere distinto dal responsabile del procedimento quando l'appalto presenti rilevanti profili di complessità, come nel caso degli affidamenti di servizi sanitari o informatici.
L'Autorità evidenzia che i contratti di appalto devono prevedere clausole specifiche e dettagliate in ordine alle verifiche di conformità dell'esecuzione (disciplinate dagli articoli 312-325 del regolamento attuativo). I controlli, infatti, sono finalizzati a garantire la stazione appaltante dai comportamenti degli appaltatori riconducibili al "moral hazard", determinando una maggiore responsabilizzazione degli stessi, a fronte del rischio di risoluzione del contratto e della conseguente impossibilità di partecipare, per un certo periodo, a gare indette dalla stessa amministrazione.
Le verifiche, inoltre, sono indicate dall'Authority come passaggio propedeutico necessario per i pagamenti delle prestazioni (articolo 307, comma 2, del regolamento), per cui l'appaltatore non potrà emettere fattura sino all'intervenuto controllo della sua attività.
L'equilibrio nel rapporto deve essere garantito da penali specifiche, correlate ai possibili inadempimenti e definite in relazione ai livelli qualitativi delle prestazioni.
La determinazione 5/2013 focalizza l'attenzione sulle varianti in corso di esecuzione (regolate dagli articoli 310 e 311 del Dpr 207/2010), evidenziando come la stazione appaltante non possa richiedere alcuna variazione ai contratti stipulati, se non nei casi previsti dalle disposizioni del regolamento attuativo del Codice. La deroga al principio di immodificabilità del contratto è dunque di stretta interpretazione ed agisce in presenza di specifici presupposti.
Secondo l'Autorità, infatti, è nel quadro della rigorosa disciplina delle varianti (sia necessitate che migliorative) che si colloca, tra l'altro, il divieto delle proroghe e dei rinnovi taciti o espressi per gli appalti di servizi e forniture, poiché in tali casi l'uso di questi strumenti modifica la prestazione e il suo valore economico, fatta salva la disciplina prevista dall'articolo 57, comma 5, lettere a) e b), del Codice per i servizi analoghi e complementari
(articolo Il Sole 24 Ore del 16.11.2013).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIAppalti, il costo del lavoro rileva solo per l'anomalia.
In appalto pubblico è vietato prevedere l'esclusione dell'offerente in caso di mancata dichiarazione del rispetto dei contratti collettivi di lavoro e delle norme previdenziali; il rispetto delle norme sul costo del lavoro rileva invece ai soli fini della verifica di anomalia dell'offerta.

È quanto afferma il TAR Campania-Napoli, Sez. IV, con la sentenza 15.11.2013 n. 5143 rispetto a una clausola di un bando di gara che imponeva ai concorrenti, a pena di esclusione dalla gara, di rendere una dichiarazione sul rispetto dell'art. 86 del codice dei contratti pubblici.
In particolare la stazione appaltante aveva previsto l'obbligo di dichiarare che l'offerta fosse formulata «considerando il costo del lavoro calcolato sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva e dalle norme in materia previdenziale e assistenziale applicabili».
La stazione appaltante aveva disposto l'esclusione ma il Tar annulla il provvedimento: l'omissione della dichiarazione, si legge nella sentenza, non integra alcuna delle cause di esclusione tassativamente previste dal comma 1-bis dell'articolo 46 del codice dei contratti pubblici, non essendo espressamente prevista dall'ordinamento vigente.
La dichiarazione relativa al costo del lavoro attiene solo alla valutazione di possibile anomalia dell'offerta ex art. 86 codice di contratti pubblici, da effettuare, se del caso, in un momento successivo della procedura, cioè in sede di verifica dell'anomalia. Semmai la stazione appaltante potrebbe comunque chiedere al concorrente di sanare l'omissione mediante richiesta di integrazione ex art. 46, comma 1 del codice dei contratti pubblici. Per i giudici, quindi, dal punto di vista sostanziale, l'aspetto del costo del lavoro ai fini dell'anomalia dell'offerta non assume significato determinante tale da comportare l'esclusione.
Infatti, secondo giurisprudenza, il mancato rispetto dei limiti tabellari afferenti il costo del lavoro o, in mancanza, dei valori indicati dalla contrattazione collettiva, non determina l'automatica esclusione dalla gara pubblica dell'impresa alla quale si imputa tale trasgressione, ma costituisce un importante indice di anomalia dell'offerta, che dovrà essere verificata mediante un giudizio complessivo di remuneratività, in contraddittorio con l'offerente (articolo ItaliaOggi del 20.11.2013).

APPALTIAppalti, ribassi selvaggi verso il tramonto. Il decreto con i nuovi criteri alla firma del ministro.
È finita (forse) l'era delle liberalizzazioni selvagge nei bandi per la pubblica amministrazione. L'era in cui cioè, con l'eliminazione delle tariffe, le gare per i servizi di ingegneria e architettura venivano aggiudicate a prezzi stracciati con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo iniziale.

Dopo la recente firma del ministero delle infrastrutture Maurizio Lupi (che ha seguito quello della giustizia), infatti, il decreto ministeriale che determina «i corrispettivi a base di gare per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria», sia avvia a saltare l'ultimo ostacolo: il visto di legittimità della Corte dei conti, alla cui attenzione è attualmente.
Si tratta di un testo dall'elaborazione complessa (prima le consultazioni con le categorie tecniche, poi le bocciature del Consiglio e dell'Autorità superiore dei lavori pubblici) ma indispensabile per il settore degli appalti pubblici per superare, come rileva il Consiglio di stato nel suo recente parere (n. 3626/2013), «la situazione di indeterminatezza venutasi a creare a seguito dell'elaborazione di tutta la disciplina in materia di tariffe professionali». Ma soprattutto, un testo fondamentale dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le corrette procedure per l'affidamento.
Un'assenza di regole denunciata a gran voce dai periti industriali e dalle categorie tecniche tutte, che ha alimentato tra le altre cose un'eccessiva discrezionalità delle stazioni appaltanti. Queste ultime, infatti, in caso di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all'ingegneria e all'architettura, non disponevano più di riferimenti certi per la definizione dell'importo da porre a base di gara. Ecco perché, per sanare tale criticità il governo era intervenuto con il decreto sviluppo stabilendo che per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi tecnici, si sarebbero applicati i parametri individuati appunto con un decreto interministeriale che avrebbe anche definito «le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi». Nel frattempo per disciplinare la fase transitoria, il legislatore aveva previsto che nelle more dell'emanazione di tale decreto si sarebbero potute applicare le tariffe professionali stabilite nel dm 4/4/01(Aggiornamento degli onorari spettanti agli ingegneri e architetti).
Il punto è che tale opzione è stata disattesa dalla grande maggioranza delle stazioni appaltanti. Secondo i numeri forniti dal Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri infatti, il 61% dei bandi non dà alcun chiarimento sul criterio utilizzato per la determinazione dell'importo a base d'asta, un ulteriore 4,6% segue i dettami della legge 143/1949, il 4,5% quelli del decreto 207/10, mentre nel 14% vengono menzionati altri riferimenti normativi. Insomma l'offerta economica calcolata su basi fittizie, è diventata tristemente negli ultimi anni l'unica variabile nelle aggiudicazioni e le corse al ribasso per firmare contratti un po' usa e getta sono state la maggioranza. Ma non solo, perché nonostante l'evidente abnormità dei ribassi, le stazioni appaltanti, forse perseguendo un miope criterio di risparmio, non hanno quasi mai dato applicazione al concetto di offerta anomala.
Uno scenario quasi da Far West che sull'onda delle selvagge liberalizzazioni ha assimilato le attività professionali a quelle dell'impresa dove prevale il minor costo anche a scapito della qualità dei servizi. Ecco perché questo decreto è fondamentale ed è urgente sia approvato al più presto. Solo così, per i periti industriali si potrà risollevare l'alto livello qualitativo che, da sempre, ha caratterizzato gli studi di progettazione in Italia (articolo ItaliaOggi del 15.11.2013).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIProgrammi triennali per gli appalti pubblici. L'Autorità di vigilanza detta le linee guida alle p.a..
Obbligo di programmazione triennale anche per gli appalti pubblici di servizi e di forniture; verifica annuale sulla fattibilità tecnica, economica e amministrativa di ogni intervento; affidamenti a terzi solo per complessità dell'intervento.

Sono queste alcune delle indicazioni fornite dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la
determinazione 06.11.2013 n. 5 che detta le linee guida su programmazione, progettazione ed esecuzione del contratto nei servizi e nelle forniture, alla luce delle diffuse criticità rilevate dall'organismo di vigilanza.
L'intervento dell'Autorità presieduta da Sergio Santoro, deriva dall'aver rilevato problemi in termini sia di «debolezza» dei contratti (mancanza di chiarezza o incompletezza nell'articolato) sia in termini di scarsa attenzione prestata alla fase postaggiudicazione, che invece, dice l'Autorità, «appare di preminente rilievo ai fini della corretta esecuzione della prestazione».
La materia, regolata dal dpr 207/2010 (il regolamento del codice dei contratti pubblici), secondo una disciplina in larga parte modellata su quella dei contratti di lavori viene affrontata dalla determina partendo dalla fase di programmazione (facoltativa per questi contratti), in relazione alla quale l'Autorità auspica l'introduzione dell'obbligo di programmazione triennale anche negli appalti di servizi e forniture, per garantire una visione di insieme dell'intero ciclo di realizzazione dell'appalto.
La determina afferma inoltre che le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero, in ogni caso, provvedere all'adozione del programma annuale per l'acquisizione di beni e servizi e, successivamente, effettuare una verifica della fattibilità tecnica, economica e amministrativa di ogni singolo intervento.
Per quel che riguarda la fase di progettazione, la determina mette in evidenza che la predisposizione di un progetto preciso e di dettaglio, atto a descrivere in modo puntuale le prestazioni necessarie a soddisfare specifici fabbisogni della stazione appaltante, appare come uno strumento indispensabile per ovviare al fenomeno di porre in gara non specifici servizi, ma categorie di servizi; ciò avviene in particolare nel settore informatico ove spesso accade che il cui contenuto sia oggetto di specificazione successiva all'atto della richiesta di esecuzione.
Sull'affidamento a terzi di questa fase, la determina ricorda che soltanto in casi di particolare complessità si può appaltare a soggetti privati e che al progettista si applica il divieto di esecuzione, «posto a tutela della concorrenza, altrimenti alterata da situazioni di evidente asimmetria informativa».
Per l'esecuzione del contratti la determina chiarisce che il direttore dell'esecuzione è figura che coincide con quella del Responsabile unico del procedimento (Rup), salvo diversa indicazione della stazione appaltante, mentre il direttore dell'esecuzione deve essere sempre distinto dal Rup se il contratto vale più di 500.000 euro, o se si tratta di prestazioni complesse. In fase di esecuzione del contratto l'Autorità afferma l'opportunità di prevedere penali strettamente correlate ai livelli di servizio stabiliti nel capitolato prestazionale (articolo ItaliaOggi del 15.11.2013).

LAVORI PUBBLICI: Parere - debiti fuori bilancio.
Il verificarsi di una mancata entrata, che era stata precedentemente accertata, con conseguente impegno della relativa spesa in conto capitale ed aggiudicazione dei lavori, non costituisce un debito fuori bilancio, ma determina la necessità di ripristinare l’equilibrio finanziario del bilancio, adottando i provvedimenti previsti dall’art. 193 Tuel.
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Con nota n. 8416 in data 26.09.2013, trasmessa per il tramite del Consiglio delle Autonomie (nota n. 30261/2013) e pervenuta in data 03.10.2013, il sindaco del comune di Nole pone un quesito in materia di debiti fuori bilancio.
Premesso che in data 18/12/2009 è stata stipulata una convenzione con l’ASL T04 di Chivasso (TO) per la locazione di un fabbricato di proprietà comunale con obbligo da parte del comune di eseguire i lavori di ristrutturazione, il cui costo, pari a complessivi € 1.400.000,00, sarebbe stato parzialmente anticipato dall’ASL per € 933.000,00, scomputandolo dal canone, e che dopo l’aggiudicazione dei lavori l’ASL ha chiesto, a modifica della convenzione, la riduzione degli spazi locati e la conseguente riduzione proporzionale della quota del costo dei lavori di propria competenza, riducendola a complessivi € 513.000,00, l’amministrazione comunale chiede se il rifinanziamento dei lavori, applicando l'avanzo di amministrazione per € 336.000,00, sia da considerarsi debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194 del TUEL.
...
Com’è noto con il termine di “debito fuori bilancio” si intende un’obbligazione verso terzi per il pagamento di una determinata somma di denaro, assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa degli enti locali (Principio contabile n. 2, paragrafo 91). Si tratta di un fenomeno riconducibile al concetto di “sopravvenienza passiva”, trattandosi di debiti sorti al di fuori dell’impegno di spesa costituito secondo le prescrizioni dell’art. 191 Tuel e in assenza di una specifica previsione nel bilancio di esercizio in cui i debiti si manifestano.
L’art. 194 del individua le tipologie di debiti fuori bilancio che è possibile riconoscere, imputando l’obbligo insorto in capo all’ente, con l’adozione di apposita deliberazione del Consiglio.
Il primo comma della suddetta norma così testualmente dispone: "1. Con deliberazione consiliare di cui all'articolo 193, comma 2, o con diversa periodicità stabilita dai regolamenti di contabilità, gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da:
a) sentenze esecutive;
b) copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l'obbligo di pareggio del bilancio di cui all'articolo 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;
c) ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici locali;
d) procedure espropriative o di occupazione d'urgenza per opere di pubblica utilità;
e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'àmbito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza
.".
Secondo la costante giurisprudenza l’elencazione contenuta nella predetta norma ha carattere tassativo, sicché non è possibile riconoscere debiti fuori bilancio che non rientrano nelle tipologie individuate (ex multis delibera 314/2012 di questa sezione e precedenti ivi richiamati).
Con riferimento al caso di specie, fermo restando che questa Sezione non può che limitarsi all’esame degli aspetti contabili e ad indicazioni di carattere generale, rimanendo riservate alla esclusiva competenza dell’Amministrazione le valutazioni e le decisioni del caso concreto, si osserva che, secondo quanto riferito, al momento dell’aggiudicazione i lavori erano stati regolarmente finanziati ed era stato previsto in bilancio il relativo stanziamento.
Pertanto, la Sezione ritiene che non si tratti di un debito fuori bilancio, ma del verificarsi di una mancata entrata, che era stata precedentemente accertata, con la conseguente necessità di ripristinare l’equilibrio finanziario del bilancio, adottando i provvedimenti previsti dall’art. 193 Tuel (Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, parere 12.11.2013 n. 383).

APPALTIPatente a punti per gli appalti. Requisiti di onorabilità e sicurezza certificata in azienda. In arrivo il regolamento che istituisce la sezione speciale edilizia in camera di commercio.
Serve un «responsabile tecnico in possesso di adeguate competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro». E la dimostrazione da parte delle imprese del possesso del «requisito di onorabilità» (assenza di procedimenti in corso a carico degli operatori) e della capacità tecnico-finanziaria.

Queste alcune delle novità contenute nel regolamento per la qualificazione delle imprese (che ha ottenuto il via libera dal consiglio di stato e deliberato preliminarmente dal consiglio dei ministri) previsto dall'articolo 6, comma 8, lettera g), del dlgs 09.04.2008, n. 81.
Vengono dunque stabilisce i requisiti inderogabili richiesti alle imprese per il rilascio da parte della camera di commercio (sezione speciale per l'edilizia) della «patente a punti» per partecipare agli appalti. Il regolamento individua le caratteristiche, attinenti alla salute e sicurezza sul lavoro, delle quali le imprese devono essere in possesso per avere titolo preferenziale alla partecipazione di gare relative ad appalti e subappalti pubblici e per l'accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica.
La patente a punti sarà rilasciata dalla sezione speciale per l'edilizia, istituita presso la camera di commercio ove ha sede e domicilio l'operatore economico. La sezione speciale dell'edilizia, entro dieci giorni dal ricevimento della domanda, rilascia la patente oppure rifiuta adducendone il motivo. L'impresa può comunque iniziare provvisoriamente la sua attività nel caso in cui la sezione speciale ritardi nel rispondere alla richiesta. Le sezioni saranno interconnesse con le Asl, le direzioni territoriali del lavoro e l'inail attraverso un rete predisposta da unioncamere. La patente a punti verrà rilasciata automaticamente alle imprese già iscritte alla Camera di commercio, in possesso dell'attestazione soa e in regola con il documento unico di regolarità contributiva.
Potranno ottenere la patente a punti anche quanti, in possesso del Durc regolare e dei requisiti per la qualificazione, non abbiano l'attestazione soa. Il punteggio della patente professionale, comprensivo del valore attribuito inizialmente, verrà segnato in un apposito riquadro del documento unico di regolarità contributiva, il quale assume la funzione di attestato per la patente professionale. I requisiti che daranno diritto al rilascio della patente sono la designazione di un responsabile tecnico in possesso di adeguate competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro e l'assenza di misure di prevenzione per reati come riciclaggio, insolvenza fraudolenta o usura.
L'impresa deve inoltre dimostrare di possedere un'idonea attrezzatura tecnica, ma anche lo svolgimento di un addestramento specifico per il suo utilizzo. Il valore minimo dell'attrezzatura dovrà essere di 30 mila euro. Un successivo decreto attuativo del Ministero del lavoro definirà infine il punteggio iniziale, le procedure di verifica periodica e il meccanismo di decurtazione dei punti (articolo ItaliaOggi del 12.11.2013).

LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: G.U. 11.11.2013 n. 264 "Testo del decreto-legge 12.09.2013, n. 104, coordinato con la legge di conversione 08.11.2013, n. 128, recante: «Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca»".
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Di interesse si leggano:
● Art. 10 - Mutui per l’edilizia scolastica e per l’edilizia residenziale universitaria e detrazioni fiscali
● Art. 10-bis - Disposizioni in materia di prevenzione degli incendi negli edifici scolastici
● Art. 10-ter - Interventi di edilizia scolastica

APPALTICONSIGLIO DEI MINISTRI/ Appalti, sconti alle ditte verdi. Cauzioni e garanzie giù del 20% a chi è eco-certificato. Nel Collegato ambiente criteri ecologici minimi nei bandi.
Arriva un incentivo per gli operatori economici che partecipano ad appalti pubblici e sono muniti di registrazione Emas o Ecolabel: sarà ridotta del 20% la cauzione a corredo dell'offerta. Il bonus sarà esteso anche alla garanzia di esecuzione, prestata dall'aggiudicatario. E negli appalti pubblici di forniture e negli affidamenti di servizi diventeranno obbligatori anche i cosiddetti criteri ambientali minimi (Cam, definiti ai sensi del decreto interministeriale 11.04.2008): il costo di prodotti e dei servizi non sarà più riferito al mero prezzo di acquisto, ma al costo che il bene ha nel suo ciclo di vita. I nuovi criteri saranno vincolanti nei bandi e nei documenti di gara relativi agli acquisti della p.a., a partire dalla ristorazione collettiva e dalle derrate alimentari.

Sono due delle principali novità contenute in un disegno di legge collegato alla legge di stabilità, esaminato ieri in via preliminare dal consiglio dei ministri. Il testo reca disposizioni per promuovere misure di green economy e di contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali.
Ma andiamo per punti, dicendo subito che il Collegato estende anche il ventaglio applicativo del principio di responsabilità in capo al produttore di rifiuti. Che ricadrà anche sui proprietari di navi che trasportano carichi inquinanti. Petrolieri in primis.
Appalti verdi. Verrà introdotto un incentivo per le imprese munite di registrazione Emas (che certifica la qualità ambientale dell'organizzazione aziendale) e marchio Ecolabel (che certifica la qualità ecologica dei prodotti, comprensivi di beni e servizi). Come detto, partecipando ad appalti pubblici questi operatori beneficeranno di un taglio del 20% della cauzione a corredo dell'offerta. Beneficio che si estenderà anche alla garanzia di esecuzione, prestata dall'aggiudicatario. L'obiettivo è introdurre tra i criteri ambientali di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa anche quello per cui le prestazioni oggetto del contratto siano dotate di marchio Ecolabel. In più, tra i criteri, il collegato ambientale introduce anche il costo del ciclo di vita dell'opera, del prodotto o del servizio.
Sul fronte certificazioni ambientali, invece, basterà la mera Valutazione di impatto ambientale (Via) per autorizzare le attività di scarico in mare di acque derivanti da attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi. Stessa cosa per le attività di movimentazione fondali per la posa di cavi e condotte. Verranno, quindi, unificate in una sola le commissioni tecniche per il rilascio di Via (Valutazione di impatto ambientale), Vas (Valutazione ambientale strategica) e Aia (Autorizzazione integrata ambientale). La misura, che punta a contenere i costi a carico dello stato, detta anche un taglio dei componenti le rispettive commissioni. La cui attività, però, sarà svolta da sottocommissioni facenti capo alla commissione unificata.
Sul versante emissioni inquinanti, invece, il ddl esenta tutta una serie di impianti a scarso inquinamento dagli obblighi di incassare l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera. Avranno meno vincoli le linee di trattamento fanghi, gli essiccatoi agricoli, gli allevamenti in ambienti confinati a basso numero di capi e le cantine. Siano esse di vino, aceto e altre bevande fermentate. In più, i vincoli relativi al controllo delle emissioni a effetto serra decadranno anche per i velivoli di stato e per quelli legati alla sicurezza nazionale.
I cambi di governance. La prima rivoluzione di poteri riguarda i Parchi nazionali: il ddl punta a sottrarre la nomina dei direttori di Parco al ministro dell'ambiente, per affidarla ai rispettivi consigli direttivi. In più, viene disposta la cancellazione dell'albo direttori di Parco nazionale. Sul fronte rifiuti, invece, archiviato l'Osservatorio nazionale, tornerà al ministro dell'ambiente il compito di attuare le norme nel settore imballaggi e rifiuti di imballaggio. Al dicastero spetterà anche il controllo sui consorzi, la gestione del gettito del contributo ambientale e il riconoscimento dei sistemi autonomi di gestione imballaggi (articolo ItaliaOggi del 09.11.2013).

LAVORI PUBBLICIAl Tar Campania fattispecie normativamente prevista solo in raggruppamenti.
L'avvalimento non è ingessato. Se fallita può essere sostituita l'impresa che dà i requisiti.
Se in un appalto pubblico una impresa si è avvalsa dei requisiti di qualificazione di un'altra impresa, poi fallita, è legittimo consentire la sostituzione dell'impresa fallita con altra impresa; è invece illegittima la risoluzione del contratto da parte della stazione appaltante.

È quanto afferma il TAR Campania-Napoli, Sez. III, con la sentenza 11.11.2013 n. 5042 che affronta una fattispecie normativamente prevista soltanto nel caso di raggruppamenti temporanei di imprese e non in caso di utilizzo dell'«avvalimento», l'istituto che consente a un concorrente sprovvisto di requisiti di farseli «prestare» da un'altra impresa (la cosiddetta ausiliaria).
La vicenda riguardava un'impresa mandante di un raggruppamento temporaneo che si era avvalsa, per il fatturato, dei requisiti di un'altra impresa poi fallita. La stazione appaltante non aveva accettato la sostituzione dell'impresa ausiliaria con altra impresa (come proposto dall'appaltatore) e aveva proceduto alla risoluzione del contratto. Da qui il ricorso contro la risoluzione del contratto che il Tar accoglie integralmente partendo dal profilo del diniego di sostituzione, affrontato dal collegio partenopee rispetto alla possibilità di un'interpretazione analogica del comma 19 dell'articolo 37 del codice dei contratti pubblici.
La norma del codice, infatti, stabilisce che in caso di fallimento di uno dei mandanti, l'impresa mandataria possa sostituirlo con altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti e ciò, ovviamente, al fine di portare a termine il contratto. Non esiste però una disciplina relativa all'istituto dell'avvalimento, ma la sentenza afferma che si può senz'altro procedere all'applicazione analogica: se infatti il legislatore ha previsto la sostituzione del mandante di un raggruppamento, che è parte diretta del contratto, non si vede per quale ragione la si debba negare, nel silenzio della legge, per un'impresa ausiliaria di una mandante, che resta estranea al contratto e limita il proprio ruolo al prestito di un requisito, con annessa obbligazione di garanzia.
Per i giudici «non sussiste nessuna ragione giuridico-formale o pratico-operativa per impedire la sostituzione in un rapporto «minore» e meno intenso (quello di avvalimento tra ausiliata e ausiliaria) quando la legge ammette la sostituzione nel caso «maggiore» e più intenso (quello del raggruppamento temporaneo tra imprese, tutte pro quota direttamente obbligate alla prestazione principale)». I giudici non ritengono che la sostituzione possa violare il principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche, dal momento che in questo caso il fallimento dell'ausiliaria è intervenuto dopo l'aggiudicazione e non può in alcun modo alterare la par condicio tra i concorrenti.
Se quindi è legittima la sostituzione dell'impresa ausiliaria, negata dalla stazione appaltante, è senz'altro illegittima la risoluzione del contratto che, pertanto, viene annullata dalla sentenza del collegio campano (articolo ItaliaOggi del 07.12.2013 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTI: Diritto all’indennizzo – Bando di gara – Previsione di modalità limitative della responsabilità per fatti illeciti della P.A. – Illegittimità.
Il diritto all’indennizzo, previsto dalla legge, può essere escluso legittimamente dall’Amministrazione con un proprio atto –come ad es. il bando di gara– in tutti i casi in cui la pretesa patrimoniale non si ricolleghi a un fatto illecito dell’Amministrazione, come accade nelle ipotesi di revoca (ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990) e di annullamento di ufficio (ex art. 1, co. 136, l. n. 311/2004).
Allorquando invece siffatto diritto si ricolleghi a un fatto illecito, come accade nelle ipotesi di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., l’Amministrazione non può legittimamente imporre ai privati di formalizzare una preventiva rinuncia a siffatto diritto patrimoniale; è, del pari, illegittima la clausola del bando con la quale la stazione appaltante introduca in via preventiva, una modalità limitativa della responsabilità per fatti illeciti dalla stessa, posti in essere nello svolgimento del procedimento (Cons. Stato, Sez. IV, 14.01.2013, n. 156) (TAR Molise, sentenza 08.11.2013 n. 641 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIGare pubbliche trasparenti. Diritto penale. Per la sanzione basta l'inquinamento della procedura.
Massima severità a presidio della trasparenza dei bandi della pubblica amministrazione. Anche se la bozza di bando frutto di collusione non si è poi tradotta nella versione definitiva, la pena prevista dall'articolo 353 del Codice penale scatta egualmente.

Lo sottolinea la Corte di Cassazione con la sentenza 07.11.2013 n. 44896 della VI Sez. penale depositata ieri. La pronuncia sposa un concetto esteso di turbativa in coerenza con la classificazione come «di pericolo» del reato stesso.
L'obiettivo della norma penale è infatti quello di mettere in sicurezza la fase dei pubblici incanti antecedente alla pubblicazione del bando. L'azione illecita consiste allora nel turbare attraverso atti predeterminati (violenza, minaccia, doni, promesse, collusione o altri mezzi fraudolenti) il procedimento amministrativo di formazione del bando per condizionare la scelta del contraente. E allora il reato si consuma indipendentemente dal raggiungimento dell'obiettivo. «Per integrare il delitto, dunque, non è necessario che il contenuto del bando venga effettivamente modificato in modo tale da condizionare la scelta del contraente, né, a maggior ragione, che la scelta del contraente venga effettivamente condizionata». È sufficiente invece un inquinamento del procedimento amministrativo.
Cosa che, nel caso approdato in Cassazione, si è appunto verificata quando un sindaco ha consegnato al funzionario responsabile dell'ufficio appalti pubblici la bozza del bando frutto di un accordo collusivo. E nulla conta il fatto che poi il funzionario ha rifiutato l'imposizione e proceduto alla redazione di una diversa versione del bando (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.11.2013).

APPALTIPagamenti veloci negli appalti. I termini di 30 e 60 giorni si applicano anche ai lavori. Nel ddl europea-bis per il 2013 una norma che cristallizza l'interpretazione del Mise.
Pagamenti sprint negli appalti pubblici. Anche i contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi o forniture e la realizzazione di opere per la p.a. saranno soggetti alla tempistica accelerata (30 giorni prorogabili fino a 60, ma solo in casi eccezionali) prevista dal decreto legislativo n. 192/2012 che ha recepito in Italia la direttiva sui ritardati pagamenti.

A sancire l'applicabilità delle nuove norme ai lavori pubblici è lo schema di disegno di legge europea per il secondo semestre 2013 che è stato esaminato ieri dal preconsiglio dei ministri.
Si tratta di una norma di interpretazione autentica che fuga ogni dubbio sull'estensione dei nuovi termini di pagamento agli appalti. In realtà, che i contratti di cui al dlgs 163/2006 non potessero sfuggire al decreto di recepimento della direttiva voluta dal vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani, era già stato sancito dal ministero dello sviluppo economico con una circolare del 23.01.2013 (si veda ItaliaOggi Sette del 28/01/2013).
Il Mise aveva riconosciuto le lacune del dlgs 192 che non aveva accolto le indicazioni della direttiva 2011/7/Ue la quale invece nei «considerando» includeva nella nozione di «fornitura di merci e prestazione di servizi», rilevante ai fini della direttiva, anche «la progettazione e l'esecuzione di opere e di edifici pubblici, nonché i lavori di ingegneria civile».
Ma niente di tutto questo era stato trasposto nel testo del decreto legislativo che per di più si era limitato a modificare il dlgs 231/2002 senza sostituirlo integralmente. Di qui le incertezze sull'estensione dei pagamenti sprint agli appalti. Su sollecitazione dei costruttori edili e dello stesso Tajani (che aveva minacciato l'allora governo Monti di avviare un procedura di infrazione contro l'Italia qualora l'esecutivo non fosse intervenuto con una presa di posizione ufficiale), il dicastero ai tempi guidato da Corrado Passera era intervenuto a chiarire la necessità di «assoggettare anche i lavori pubblici a un'uniforme regolamentazione per i pagamenti derivanti dai relativi contratti» in modo da evitare distorsioni delle concorrenza.
Ma, pur trattandosi di una presa di posizione ufficiale, tale lettura non avrebbe potuto sanare i vizi del dlgs 192 che non ha applicato come avrebbe dovuto i princìpi contenuti nella direttiva comunitaria. Di qui la necessità di una norma di interpretazione autentica che è stata inserita nello schema di ddl.
L'art. 22 del provvedimento, oltre a far rientrare gli appalti pubblici nell'alveo della direttiva sui ritardati pagamenti, introduce una norma di favore per le imprese creditrici. Si prevede la possibilità di applicare termini di pagamento e tassi diversi rispetto a quelli dei dlgs 231/2002 e 192/2012 ma solo se più favorevoli per i creditori. Diversamente si applicheranno le regole generali che prevedono nelle transazioni commerciali tra p.a. e imprese, ma anche tra impresa e impresa (B2B), pagamenti entro 30 giorni con pochissime eccezioni.
Le parti, infatti, non possono decidere di allungare o meno i termini a proprio piacimento a meno che non vi siano circostanze eccezionali che legittimino lo slittamento del termine a 60 giorni (aziende pubbliche, sanità, particolari procedure di appalto come il dialogo competitivo). Al di fuori di questi casi, il periodo massimo per saldare le fatture resta di 30 giorni. Dopo scatteranno gli interessi di mora fissati dal 01.01.2013 all'8% più il tasso Bce (articolo ItaliaOggi del 07.11.2013).

APPALTI: Il principio di segretezza comporta che, fino a quando non si sia conclusa la valutazione delle offerte tecniche, è interdetta al seggio di gara la conoscenza delle percentuali di ribasso offerte per evitare ogni possibile influenza sulla valutazione dell’offerta tecnica, atteso che il principio della segretezza dell’offerta economica è presidio dell’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, predicati dall’art. 97 Cost., sub specie della trasparenza e della par condicio dei concorrenti, intendendosi così garantire il corretto, libero ed indipendente svolgimento del processo intellettivo-volitivo che si conclude con il giudizio sull’offerta tecnica e, in particolare, con l’attribuzione dei punteggi ai singoli criteri con i quali quest’ultima viene valutata.
La consolidata giurisprudenza di questo Consiglio afferma, infatti, che il principio di segretezza comporta che, fino a quando non si sia conclusa la valutazione delle offerte tecniche, è interdetta al seggio di gara la conoscenza delle percentuali di ribasso offerte per evitare ogni possibile influenza sulla valutazione dell’offerta tecnica, atteso che il principio della segretezza dell’offerta economica è presidio dell’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, predicati dall’art. 97 Cost., sub specie della trasparenza e della par condicio dei concorrenti, intendendosi così garantire il corretto, libero ed indipendente svolgimento del processo intellettivo-volitivo che si conclude con il giudizio sull’offerta tecnica e, in particolare, con l’attribuzione dei punteggi ai singoli criteri con i quali quest’ultima viene valutata (v., da ultimo, in questo senso Cons. St., sez. V, 19.04.2013, n. 2214) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 06.11.2013 n. 5309 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare pubbliche. Ordinanza Tar Milano
Bando alle cauzioni pari all'importo posto in garanzia. Una cauzione non può avere lo stesso importo del contratto che intende garantire.

Questo è il principio –valido negli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture– adottato dal TAR Lombardia-Milano, Sez. III, con l'ordinanza 06.11.2013 n. 1181.
La questione riguarda la futura autostrada Pedemontana lombarda, che aveva posto in gara il servizio di esazione dei pedaggi della propria viabilità (160 km di autostrade e tangenziali). Per la progettazione, realizzazione e manutenzione del servizio, la società autostradale richiedeva all'aggiudicatario una specifica cauzione, a copertura dell'eventuale mancato funzionamento dei sistemi di pedaggio. Il problema è sorto in quanto questa sola garanzia, volta a coprire eventuali mancati introiti della concessionaria, ammontava a 60 milioni di euro.
Questo importo sbilanciava la gara, introducendo una selezione sulla base di parametri diversi da quelli strettamente tecnici di progettazione, realizzazione e manutenzione del complesso sistema viario. Il Tar ha quindi sospeso la gara, ritenendo violato il principio di massima partecipazione. Un principio che impone un rapporto logico tra valore dell'appalto ed importo della cauzione.
Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto illogico porre a carico del progettista e gestore del servizio di esazione anche il rischio del mancato pagamento dell'utenza. In altri termini, attraverso una gara finalizzata a selezionare il miglior sistema tecnico di esazione dei pedaggi e la relativa manutenzione, è sembrato eccessivo pretendere la copertura anche un diverso settore, cioè quello più strettamente finanziario del rischio di mancato pagamento da parte dell'utenza.
Nelle opere pubbliche realizzate con finanza di progetto (articolo 153 del Dlgs. 163/2006), il piano economico finanziario assume particolare rilievo, tant'è vero che è previsto il coinvolgimento, fin dalla fase di progettazione, di uno o più istituti finanziatori. Ma per la singola gara, volta ad individuare il soggetto idoneo a progettare e gestire un settore specifico come l'esazione dei pedaggi, il Tar non ritiene possibile chiedere una fideiussione volta a coprire i mancati introiti.
Questo orientamento del Tar applica il principio di massima partecipazione, che impone una ragionevole proporzione tra il valore dell'appalto e le garanzie richieste. I principi di proporzionalità e di non aggravamento impediscono quindi alle amministrazioni di chiedere oneri inutili o eccessivamente gravosi, che diventerebbero elementi di selezione incongrui rispetto all'oggetto del lavoro, servizio o fornitura posti in gara.
Inoltre, inciderebbero sulla stessa partecipazione delle imprese, perché una garanzia di importo rilevante (nel caso specifico, 60 milioni di euro) presuppone una particolare solidità economica (articolo Il Sole 24 Ore del 10.11.2013).

APPALTI: L’espressione “socio di maggioranza” di cui alle lettere b) e c) dell’art. 38, comma 1, del d.lgs n. 163 del 2006, e alla lettera m-ter) del medesimo comma, si intende riferita, oltre che al socio titolare di più del 50% del capitale sociale, anche ai due soci titolari ciascuno del 50% del capitale o, se i soci sono tre, al socio titolare del 50%.
Riguardo ai quesiti posti con l’ordinanza di rimessione si afferma quindi il seguente principio di diritto: “L’espressione “socio di maggioranza” di cui alle lettere b) e c) dell’art. 38, comma 1, del d.lgs n. 163 del 2006, e alla lettera m-ter) del medesimo comma, si intende riferita, oltre che al socio titolare di più del 50% del capitale sociale, anche ai due soci titolari ciascuno del 50% del capitale o, se i soci sono tre, al socio titolare del 50%” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 06.11.2013 n. 24 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Composizione/modificazione del Raggruppamento temporaneo di imprese, ex art. 97, co. 9, Codice appalti.
Con la nota che si riscontra, codesto Ministero chiede di conoscere il parere di questo G.U. in ordine alla applicabilità del disposto di cui al comma 9 dell’art. 37 del d.lgs. 163/2006 rispetto alle sopravvenute modificazioni della composizione dell’ATI promotore finanziario, successivamente all’esperimento della procedura negoziata ai fini della aggiudicazione della concessione di cui all’oggetto, fase questa conclusasi senza l’individuazione di alcuna offerta concorrente con l’ATI promotore, e senza che sia intervenuta l’aggiudicazione provvisoria “per motivazioni non note a questa struttura di vigilanza”.
Riferisce ancora codesto Ministero che all’esito della procedura di selezione del promotore venne dichiarata di pubblico interesse “la proposta formulata dalla Prima ATI Si.”, proposta delibata positivamente dal Cipe, e, successivamente, il promotore “per poter prendere parte alla successiva fase di procedura negoziata” ha “costituito, nel rispetto delle disposizioni normative il Raggruppamento Temporaneo con l’aggiunta della M. s.p.a (di seguito Seconda ATI Si.)”.
Peraltro, nel corso della fase istruttoria posteriore all’espletamento della procedura negoziata comportante il diritto del promotore ad ottenere l’aggiudicazione della concessione di che trattasi in relazione alla già rappresentata carenza di partecipanti alla procedura stessa, il promotore (Seconda Ati Si.) “ha rappresentato la necessità di procedere ad un’ulteriore modifica della compagine del Raggruppamento Temporaneo”, in relazione alla procedura ex art. 160 e ss. della legge fallimentare che ha colpito l’Impresa S. ausiliaria di Si. s.pa.: in particolare, l’impresa Costruzioni G.M. s.p.a. non sarebbe più componente dell’ATI promotrice ma acquisirebbe il ruolo di ausiliaria di Seconda Ati Si. s.pa. in sostituzione di Impresa S., e, con nota del 01.10.2013, codesto Ministero ha trasmesso il relativo contratto di avvalimento.
In subordine, poi, rispetto al quesito dell’applicabilità al contesto del disposto dell’art. 37, comma 9, del d.lgs. 163/2006, codesta Amministrazione richiede l’avviso di questo G.U. circa “l’opportunità di procedere all’annullamento del bando relativo all’affidamento in oggetto, dato il notevole tempo trascorso e le conseguenti modifiche normative intervenute”.
Ritiene al riguardo questa Avvocatura Generale di dover rappresentare quanto segue. (... continua) (Rassegna Avvocatura dello Stato n. 4/2013, parere 05.11.2013 n. 439812 di prot.).

APPALTITrasparenza nelle gare da 40.000.
Dal 29 ottobre regole più stringenti per le comunicazioni all'osservatorio dei contratti pubblici. È stata infatti allineata a 40 mila euro la soglia minima per le comunicazioni riguardanti gli appalti pubblici. In precedenza la soglia a partire dalla quale le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori dovevano ottemperare ali obblighi di comunicazione previsti dall'articolo 7 comma 8 del codice degli appalti (dlgs n. 163 del 2006) era di 150 mila euro.

Questo è quanto prevede il comunicato dell'autorità di vigilanza sui contratti pubblici pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29.10.2013 n. 254. Per gli appalti successivi al 29.10.2013, data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del comunicato dell'Authority, passa da 150 mila a 40 mila euro la soglia a partire dalla quale le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori devono ottemperare ali obblighi previsti dall'articolo 7, comma 8, del codice degli appalti.
Le comunicazioni dei dati, da inoltrare all'osservatorio dei contratti pubblici, riguardano il contenuto dei bandi, i verbali di gara, i soggetti invitati, l'importo di aggiudicazione, il nominativo dell'affidatario, il nome del progettista, l'inizio e lo stato di avanzamento dei lavori, l'effettuazione del collaudo e l'importo finale. Per i contratti di lavori, servizi e forniture, di importo pari o superiore a 40 mila, dovranno essere inviati per i settori ordinari, i dati relativi all'intero ciclo di vita dell'appalto. Al di sotto dei 40 mila euro, invece, sarà necessaria solo l'acquisizione della smartcig.
Il comunicato del 22.10.2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 ottobre posticipa di circa sette mesi l'operatività dei nuovi obblighi di comunicazione. Infatti con il comunicato del 29 aprile scorso, infatti, era stato stabilito che le nuove regole delle comunicazioni riguardavano gli appalti pubblicati dal primo gennaio 2013 (articolo ItaliaOggi del 05.11.2013).

APPALTI: Oggetto: Provvedimenti antimafia – Operativa la procedura per l’iscrizione nelle cosiddette white list presso la Prefettura di Bergamo (ANCE Bergamo, circolare 04.11.2013 n. 236).

APPALTI: Gare, verifica dei requisiti a carico di appaltante via Bdncp. Le novità della legge sulla razionalizzazione delle p.a..
La verifica dei requisiti dichiarati in una gara di appalto dovrà essere effettuata dalle stazioni appaltanti obbligatoriamente e in via esclusiva attraverso la Banca dati nazionale sui contratti pubblici (Bdncp). Vietata la verifica attraverso la richiesta di documenti ai concorrenti.

È quanto stabilisce la legge 30.10.2013, n. 125 di conversione in legge del decreto-legge n. 101 sulla razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 255 del 30.10.2013).
Il provvedimento all'articolo 2, comma 13-sexies, modifica l'articolo 6-bis, comma 1, del codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006) rafforzando l'obbligo di acquisizione dei documenti necessari alla verifica dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi dichiarati in sede di gara (oggi la norma recita «acquisita presso» e la disposizione della legge 125 la modifica in «acquisita esclusivamente attraverso la Banca dati nazionale sui contratti pubblici»).
In sostanza si ribadisce l'operatività di quanto stabilito dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con l'obbligo di iscrizione al sistema dell'AVCPass, lo strumento operativo a disposizione di stazioni appaltanti e operatori privati per la verifica dei requisiti. La norma del codice in realtà prevedeva l'obbligo di verifica dal primo gennaio 2013, ma l'organismo di vigilanza ha modulato l'obbligo in funzione del valore dei contratti e comunque lo rende applicabile da inizio 2014 a tutti i contratti oltre i 40 mila euro. Dal 1° gennaio prossimo sarà vietata la verifica dei requisiti tramite richiesta dei documenti ai concorrenti. Dovranno essere le stazioni appaltanti a passare attraverso l'Autorità per accertare la regolarità di quanto dichiarato, con una notevole semplificazione per gli operatori privati.
La legge 125 ribadisce questo percorso vincolato e abroga, per maggiore chiarezza, l'articolo 49-ter del decreto-legge del fare (69/2013 convertito nella legge n. 90/2013) che, come già segnalato (si veda Italia Oggi del 31.07.2013), non risultava coerente con il sistema delineato dal Codice dei contratti. La norma abrogata, infatti, prevedeva l'obbligo di acquisizione della documentazione a comprova dei requisiti tramite la Bdncp per i contratti di appalto «sottoscritti» dalle amministrazioni a partire dai tre mesi successivi alla data di conversione del decreto. La norma non era affatto chiara visto che la verifica dei requisiti si effettua ben prima della sottoscrizione del contratto (anche per sorteggio, durante la gara).
Inoltre così facendo si sarebbe anticipata la scadenza dell'obbligo a metà novembre, rispetto al termine del primo gennaio 2014 fissato inderogabilmente dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. Da ciò la necessità di eliminare la norma (articolo ItaliaOggi dell'01.11.2013).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: A. Meale, Accordo procedimentale e atto negoziale paritetico: un problema di giurisdizione (tratto da www.ipsoa.it - Urbanistica e appalti n. 11/2013).

ottobre 2013

APPALTI: F. Manganaro, Esclusione dalle gare di appalto per violazioni tributarie definitivamente accertate (Urbanistica e appalti n. 10/2013 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: E. Occhipinti, L’arbitrato amministrato nelle opere pubbliche (Il Tecnico Legale n. 10/2013).

APPALTI SERVIZI: Opere e servizi pubblici o di pubblico interesse - Contratti di partenariato pubblico privato - Spesa di indebitamento e spesa di investimento - Criteri Eurostat - Rischi concretamente assunti dalle parti - Sussistenza e contabilizzazione.
Nel contratto di partenariato pubblico privato almeno due dei tre rischi indicati dall’Eurostat devono essere “effettivamente” assunti dal privato.
Con la decisione in rassegna un sindaco pugliese ha chiesto alla Corte dei conti un parere avente a oggetto la possibilità di affidare, previa una regolare gara, l’intero servizio d’illuminazione pubblica e la relativa manutenzione della rete a un soggetto privato a fronte del pagamento di un canone annuale che il comune dovrebbe versare per dieci anni all’aggiudicatario e come debba essere contabilizzata tale operazione.
In base a quanto prospettato dall’amministrazione locale, risulterebbero a carico del vincitore della gara i costi immediati di ammodernamento degli impianti e tutte le spese per la manutenzione e l’erogazione del servizio di energia elettrica.
Il progetto esposto dall’ente locale potrebbe configurare a parere della Corte un’ipotesi di partenariato pubblico privato (“publicprivate partnership” od anche “Ppp”) riconducibile all’art. 3, comma 15-ter, del Dlgs n. 163/2006. In base a tale norma, alle operazioni di partenariato pubblico privato si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat.
L’art. 14, comma 1, lett. c), del Dpr n. 207/2010 (Regolamento di esecuzione e attuazione del codice dei contratti pubblici) in ordine al ricorso ai Ppp prevede un apposito studio di fattibilità composto da una relazione illustrativa del progetto.
Il legislatore è intervenuto più volte nel corso degli ultimi anni sulle fattispecie contrattuali ascrivibili ai Ppp, sia per la possibilità di integrare le competenze del settore pubblico con quello privato, sia in considerazione delle ridotte risorse finanziarie a disposizione delle stazioni appaltanti.
Ai fini della riconduzione di una determinata operazione nell’alveo dei Ppp risulta necessario strutturare il contratto in modo tale che i rischi vengano allocati alla parte che sia meglio in grado di controllarli (cfr. Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, determinazione n. 4, del 22.05.2013).
Ai fini di tale esame occorre fare riferimento ai criteri contenuti nelle decisioni Eurostat e in particolare alla decisione “Treatment of publicprivate partnership” dell’11.02.2004, con la quale sono state fornite indicazioni specifiche per il trattamento nei conti economici nazionali per i Ppp.
Secondo la decisione dell’Eurostat
tali tipologie di partenariato devono essere caratterizzate da un rapporto contrattuale di lungo periodo tra pubblico e privato, avente a oggetto la costruzione di una nuova infrastruttura o la ristrutturazione di una già esistente. L’opera deve riguardare i settori in cui la pubblica amministrazione possiede un forte interesse pubblico, ovvero deve essere l’acquirente principale dei servizi. I beni oggetto di tali operazioni non devono essere registrati nei conti delle pubbliche amministrazioni ai fini del calcolo dell’indebitamento netto e del debito soltanto se vi è un sostanziale trasferimento di rischio dalla parte pubblica a quella privata, ovvero circostanza che si ha nel caso in cui il soggetto privato assuma il rischio di costruzione e almeno uno dei due rischi di disponibilità o di domanda.
Il rischio di disponibilità attiene alla fase operativa ed è connesso a una scadente o insufficiente gestione dell’opera pubblica a seguito della quale la qualità e/o quantità del servizio reso risultano inferiori ai livelli previsti nell’accordo contrattuale. Pertanto, affinché il rischio sia effettivamente trasferito sul privato è necessario che i pagamenti pubblici siano correlati all’effettivo ottenimento del servizio reso e la possibilità per il soggetto pubblico di ridurre i propri pagamenti nel caso in cui i parametri stabiliti ex ante non siano effettivamente raggiunti. La previsione di pagamenti costanti indipendentemente dal volume e dalla qualità dei servizi erogati implica, viceversa, un’assunzione di rischio di disponibilità da parte del soggetto pubblico.
Il rischio di domanda invece deve essere considerato come quello connesso alla variabilità della stessa, non dipendente dalla qualità del servizio prestato. Il rischio si considera assunto dal privato qualora i pagamenti pubblici siano correlati all’effettiva quantità domandata dall’utenza per un dato servizio, mentre è assunto dal soggetto pubblico nel caso di pagamenti garantiti anche per prestazioni non erogate. Tale è peraltro il rischio tipico delle “opere calde”, ovvero le opere o i servizi pubblici capaci di produrre flussi di cassa derivanti dal pagamento da parte di altri utenti di un canone o di una tariffa legati alla gestione economica della stessa opera.

La nuova versione del SEC ’95, pubblicata dall’Eurostat nell’ottobre del 2012, individua le differenti forme di finanziamento pubblico. Fra le stesse, qualora il costo del capitale è prevalentemente coperto dalla pubblica amministrazione (in misura superiore al 50 per cento) la maggioranza dei rischi è assunto dalla pubblica amministrazione e l’asset deve essere contabilizzato “on balance”.
Anche le garanzie, ove assicurino l’integrale copertura del debito o un rendimento certo del capitale investito dal privato e unitamente al contributo pubblico superino il 50 per cento del costo dell’opera, determinano la contabilizzazione dell’asset “on balance”, così come anche qualora si concordi un prezzo che l’amministrazione dovrà pagare alla scadenza del contratto superiore al valore di mercato, o inferiore perché la stessa ha già pagato ex ante per l’acquisizione.
Il trattamento contabile delle forme pure di Ppp consente quindi di non considerarle (almeno astrattamente) quali forme di indebitamento, anche se l’ampio margine lasciato all’autonomia negoziale può rendere difficoltoso profilare una ripartizione di rischi coerente con lo schema delineato nella decisione Eurostat e, pertanto, il corretto inquadramento di ciascuna di tali operazioni deve scaturire da una valutazione delle singole fattispecie (cfr. Corte dei conti, sez. riunite, deliberazione n. 6/2013 del 23 maggio, con cui è stato approvato il Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica).
Tra le diverse forme di Ppp deve essere ricompreso anche l’appalto di servizi con finanziamento tramite terzi (Ftt) definito dall’art. 2, comma 1, lett. m), del Dlgs n. 115/2008, recante l’attuazione della direttiva 2006/32/Ce relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici. La nozione di indebitamento può essere ricavata dalla legislazione vigente all’art. 3, comma 17, della legge n. 350/2003. La nozione di investimento è invece data dal successivo diciottesimo comma.
La Corte costituzionale ha precisato altresì che la nozione di spesa di investimento non può essere determinata a priori, e in modo assolutamente univoco, sulla base della sola disposizione costituzionale ma essa va desunta dai principi della scienza economica e dalle regole di contabilità.
Le definizioni di spesa di investimento e di indebitamento offerte dal legislatore derivano da scelte di politica economica e finanziaria effettuate in stretta correlazione con i vincoli di carattere sovrannazionale, cui anche l’Italia è assoggettata in forza dei Trattati europei e dei criteri politico-economici e tecnici adottati dall’Unione europea.
Poiché la normativa in materia di Ppp non prevede uno schema rigido e ben definito, secondo anche l’orientamento già espresso dalla stessa sezione della Corte dei conti con la delibera n. 66 del 31 maggio 2012,  il corretto inquadramento dell’operazione di Ppp, anche ai fini contabili di ciascuna operazione, non può che scaturire da un’attenta valutazione, caso per caso, delle singole fattispecie.
Gli enti pertanto nella redazione del capitolato prestazionale del bando di gara e delle conseguenti clausole contrattuali dovranno ben valutare le categorie di rischio onde fissare in maniera certa, trasparente e conforme ai criteri elaborati in sede europea la distribuzione dei rischi e dei rendimenti sottostanti il contratto di partenariato pubblico privato.
Secondo la decisione Eurostat, affinché l’operazione possa essere considerata “off balance” rispetto ai tre rischi di costruzione, di domanda e di disponibilità, almeno due (normalmente quelli di costruzione e di domanda negli interventi relativi alla realizzazione di opere pubbliche) devono pienamente sussistere a carico del privato in senso sostanziale e non solo formale.
Diversamente, l’operazione non ha realmente la natura di partenariato con utilizzo di risorse private ma, di fatto, rientra nella piena disponibilità e rischio dell’ente pubblico.
In assenza di tali condizioni quindi, l’operazione contrattuale non può essere considerata un Ppp e, dovendo essere inserita nel calcolo del disavanzo e del debito nazionale, analogamente deve essere qualificata come operazione di indebitamento dell’ente territoriale.
Ove non sussistano i requisiti sopra indicati, l’assunzione dell’obbligo del pagamento di un canone rientra quindi, a pieno titolo, nella nozione di indebitamento (cfr., sez. riunite, delib. n. 49/CONTR/2011 del 16.09.2011).
Qualora pertanto lo schema contrattuale possegga solo il nomen o gli aspetti meramente formali di un Ppp ma integri di fatto una vera e propria forma di finanziamento, il canone versato dall’ente locale dovrà essere allocato al titolo III, tra le spese per rimborso prestiti, per la quota afferente le opere di manutenzione straordinaria, mentre dovranno essere allocate al titolo I, tra la spesa corrente, le restanti quote del canone inerenti alla spesa per i consumi di energia elettrica e per manutenzione ordinaria.
L’ente dovrà altresì tenere conto del fatto che i contratti di servizi o gli altri aspetti posti in essere dalle regioni e dagli altri enti locali che si configurano elusivi del Patto di stabilità interno sono nulli (Corte dei Conti, Sez. controllo Puglia, parere 31.10.2013 n. 161 - commento tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 1/2014).

APPALTI: Chiarimenti sulle modifiche all’art. 6-bis del d.lgs. n. 163/2006, introdotte dalla legge di conversione del D.L. n. 101/2013 (comunicato del Presidente 30.10.2013 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L'Antitrust alle appaltanti: segnalate le violazioni.
L'Antitrust lancia un vademecum sui fenomeni anticoncorrenziali negli appalti e chiede alle stazioni appaltanti di segnalarli; una volta accertata la violazione delle regole antitrust la stazione appaltante potrà ottenere il risarcimento dei danni arrecati dal concorrente; offerte di comodo, boicottaggi delle gare, associazioni temporanee «sovrabbondanti» fra i fenomeni di maggiore indice anticoncorrenziale.

È quanto si desume nel vademecum dell'Antitrust (deliberazione 18.09.2013) che segnala alle stazioni appaltanti alcune criticità.
L'Antitrust, lambendo le competenze dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, esemplifica -a uso delle amministrazioni- alcuni indici rivelatori di fenomeni discorsivi della concorrenza: pochi concorrenti o concorrenti caratterizzati da analoga efficienza e dimensione; prodotti omogenei; perdurante partecipazione alle gare delle stesse imprese; appalto ripartito in più lotti dal valore economico simile.
Nello specifico, si sottolinea come il boicottaggio della gara venga individuato come sistema per prolungare il contratto con il fornitore abituale o per far ripartire pro quota il lavoro o la fornitura tra tutte le imprese interessate al contratto e si sostanzia in:
1) nessuna offerta presentata;
2) presentazione di un'unica offerta o di un numero di offerte comunque insufficiente per procedere all'assegnazione dell'appalto (quando la stazione appaltante stabilisce un numero minimo per la regolarità della gara);
3) presentazione di offerte tutte caratterizzate dal medesimo importo (soprattutto quando le procedure di gara fissate dalla stazione appaltante prevedono in queste circostanze l'annullamento della gara o la ripartizione dell'appalto pro quota).
Vi è poi il fenomeno delle offerte di comodo (o «di cortesia» o «fasulle»), vera e propria fattispecie di turbativa d'asta. Anche i subappalti e le Associazioni temporanee di imprese (Ati) sono visti dall'Antitrust come strumenti che, in un uso distorto, favoriscono la spartizione del mercato, o addirittura della singola commessa. Un indizio di tali fenomeni viene individuato nel fatto che una impresa si astiene dal partecipare ad una gara in vista di un successivo subappalto, o opta per la costituzione di un'Ati (con requisiti spesso sovrabbondanti) invece di partecipare singolarmente.
Anche nella fase di aggiudicazione l'Antitrust rileva che l'Ati tra i maggiori operatori può essere anche il frutto di una strategia escludente, tesa a impedire a imprese minori di raggiungere il necessario punteggio qualitativo. Anche dal punto di vista della rotazione delle offerte e della ripartizione del mercato si possono individuare cartelli anticoncorrenziali dal punto di vista non solo del numero di aggiudicazioni ma anche della somma dei relativi importi affidati ad uno stesso soggetto.
Nella delibera si chiede quindi alle stazioni appaltanti di segnalare i fenomeni anomali come esemplificati nel vademecum; laddove poi si dovesse pervenire all'accertamento di un'infrazione, la stazione appaltante potrà procedere alla richiesta degli eventuali danni (conseguenti la pratica anticoncorrenziale) laddove l'appalto fosse già stato assegnato (articolo ItaliaOggi del 29.10.2013).

APPALTILa banca dati sugli appalti debutterà solo a gennaio.
GLI STRUMENTI/ Certificato antimafia, Durc e casellario giudiziale saranno i documenti che l'Autorità dovrà acquisire
Ora che la banca dati delle opere incompiute ha preso il via, il prossimo appuntamento per imprese e amministrazioni del settore degli appalti pubblici è il primo gennaio. Data in cui, se non ci saranno sorprese dell'ultima ora, diventerà operativa la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, gestita dall'omonima Autorità.

Pensata per snellire il carico di documenti che imprese e professionisti devono presentare a ogni gara, la Banca dati sarà obbligatoria non solo per gli appalti di lavori pubblici, ma anche per quelli di servizi e di forniture, a partire da una soglia unica di 40mila euro.
Questo strumento, ribattezzato «Avcpass», eliminerà l'onere di presentare negli appalti all'amministrazione i certificati che comprovano i requisiti: dal casellario giudiziale al Durc, dalla regolarità dei versamenti alle Casse professionali al certificato antimafia.
Tutto sarà gestito attraverso un dialogo diretto tra Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ed enti competenti per il singolo certificato.
In questo modo la Banca dati dei contratti -prevista dal primo decreto legge sulla spending review (il Dl 5/2012)- dovrebbe garantire, a regime, un risparmio per le imprese di circa 140 milioni di euro l'anno, tra dematerializzazione e minori oneri burocratici.
Ma la macchina da mettere in moto è molto complessa. Basti pensare che ogni anno, secondo i dati forniti dalla stessa Autorità, vanno in gara oltre 125mila contratti, tra opere pubbliche, servizi e forniture di beni, per un valore che nel 2012 ha superato i 95 miliardi di euro. E infatti la prima partenza avrebbe dovuto, per legge, essere a gennaio di quest'anno ma è stata fatta slittare per dare modo a imprese e Pa di abituarsi. Quindi, anche se il Dl sulla spending review fissa ancora il termine del primo gennaio 2013, in realtà l'Avcpass diventerà l'unica via di comprova dei requisiti di gara (sempre salvo proroghe) soltanto dal prossimo primo gennaio, non più a scaglioni ma in modo unico per tutte le gare sopra i 40mila euro.
Come funzionerà? Per le imprese e i professionisti cambia poco: continueranno a partecipare alle gare dimostrando i requisiti morali, tecnici ed economici con autocertificazioni. Al momento delle verifiche -obbligatorie sui vincitori e su un campione di concorrenti- sarà la stazione appaltante a collegarsi all'Avcpass per richiedere il documento di comprova. Al momento saranno acquisiti in via telematica il Durc e il certificato del casellario giudiziale. Mentre, in assenza della Banca dati antimafia del Viminale, sarà l'Authority a farsi carico di richiedere -in via cartacea- le verifiche sull'antimafia.
La vera scommessa quindi sarà nella tenuta e nei tempi di risposta di tutto il sistema, che fa dell'Authority l'unico punto di snodo. «Noi siamo pronti - dichiara il consigliere dell'Autorità che segue la banca dati, Luciano Berarducci - ora bisogna vedere quanto anche il mercato vorrà aderire» (articolo Il Sole 24 Ore del 28.10.2013).

APPALTI: Indicazioni operative per la comunicazione del soggetto Responsabile dell’Anagrafe per la Stazione Appaltante (RASA) incaricato della compilazione ed aggiornamento dell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti (AUSA) (comunicato del Presidente 28.10.2013 - link a www.autoritalavoripubblici.it).
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Il Comunicato del Presidente del 28.10.2013 fornisce indicazioni operative per la comunicazione del soggetto Responsabile dell’Anagrafe per la Stazione Appaltante (RASA) incaricato della compilazione ed aggiornamento dell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti (AUSA). Il comunicato fa anche riferimento al Manuale utente che descrive le modalità operative con le quali il Responsabile deve richiedere l’associazione delle proprie credenziali al profilo di RASA.

APPALTIGli appalti dicono addio alla banca dati unica.
Abolita la norma di semplificazione della gestione dei contratti pubblici che consente di utilizzare una banca dati informatizzata unica, ai fini del controllo del possesso, da parte degli appaltatori, dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario.

Il colpo a un importante strumento di velocizzazione della gestione degli appalti pubblici è inferto dalla legge di conversione del decreto di riordino della pubblica amministrazione, il dl 101/2013 (noto come decreto sulle stabilizzazioni), frutto degli emendamenti in commissione alla camera.
Si tratta di un colpo duro inferto al «decreto del fare», propagandato come legge di semplificazione dell'azione amministrativa. Dietro il «fare» rimane sempre in agguato un «disfare», che lascia davvero perplessi.
La norma che la legge di conversione del dl 101 intende abolire è rubricata espressamente come «semplificazioni per i contratti pubblici». Ed è davvero curioso che una maggioranza intenta a mostrarsi come innovatrice e tesa verso la «sburocratizzazione» cancelli proprio una delle norme di semplificazione realmente efficaci e non di facciata del dl 69/2013.
L'istituzione della banca dati on-line per le verifiche sui requisiti è stata prevista ormai da molto tempo, precisamente dal dl 5/2012, convertito in legge 35/2012 e avrebbe dovuto vedere la luce già lo scorso 31.01.2013. Si tratta di una banca dati di estrema utilità, soprattutto per gli appalti di servizi e forniture, che mancano del sistema di certificazione Soa e, dunque, spesso scontano difficoltà nella verifica del possesso dei requisiti.
Inoltre, la banca dati potrebbe risolvere definitivamente il problema dell'acquisizione del Durc: infatti, il rispetto degli oneri previdenziali è parte integrante dei requisiti di ordine generale e la banca dati potrebbe consentire una facile ricognizione.
È evidente, comunque, che una banca dati integrata favorisce la semplificazione. Il «decreto del fare» l'aveva ripescata, spostando la sua messa a regime al 21.11.2013. Ma col decreto di «riordino» della pubblica amministrazione la norma di rispolvero della banca dati viene destinata nuovamente a un incerto oblio (articolo ItaliaOggi del 26.10.2013).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIForniture, niente automatismi per l'ok ai debiti fuori bilancio. Tar Marche. Il riconoscimento da parte della Pa è discrezionale.
Non c'è l'obbligo incondizionato per gli enti locali di riconoscere, con la procedura fissata dall'articolo 194, comma 1 del Tuel, i debiti fuori bilancio per acquisizione di beni e servizi avvenuta in violazione delle norme giuscontabili.

Per il TAR Marche (sentenza 25.10.2013 n. 749), a differenza di quanto previsto dalla lettera a) dello stesso articolo 194, che configura come atto dovuto il riconoscimento di debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive, la lettera e) consente la valutazione discrezionale dell'opportunità e della coerenza con l'interesse pubblico del riconoscimento del debiti di fornitura.
Nel caso, una società ha chiesto la declaratoria d'illegittimità dell'inerzia della Pa sull'istanza di riconoscimento di un debito relativo a lavori urgenti di sistemazione idrica.
Sul punto il Tar è stato chiaro: il potere di riconoscimento del debito fuori bilancio da acquisizione di beni e servizi in violazione delle regole d'impegno della spesa (articolo 191 del Tuel) non può ritenersi vincolato.
Nella delibera di riconoscimento l'ente deve chiarire:
- le ragioni della conformità dell'accollo del debito all'interesse pubblico;
- la riconducibilità dell'acquisizione dei beni e servizi all'espletamento delle funzioni e dei servizi di competenza;
- l'utilità e l'arricchimento derivanti dal riconoscimento.
Per la parte non riconoscibile, infatti, l'articolo 191, comma 4, del Tuel prevede che l'obbligazione sussista tra il privato e l'amministratore o funzionario che hanno consentito la fornitura. In questo caso, dunque, il creditore non ha la garanzia patrimoniale della Pubblica amministrazione, ma solo del soggetto che ha indebitamente ordinato la spesa.
In tempi di risorse scarse e di cronici ritardi di pagamento della Pa, la posizione del Tar riveste grande interesse sia per l'amministrazione sia per i fornitori.
La decisione, infatti, da un lato richiama gli enti locali a motivare compiutamente circa l'utilità e l'arricchimento conseguenti al riconoscimento del debito fuori bilancio, dall'altro invece rappresenta per i privati un monito al rispetto delle regole che disciplinano i rapporti finanziari con gli enti. In base all'articolo 194, comma 1, del Tuel, gli enti possono infatti eseguire spese solo a fronte dell'impegno sul capitolo e dell'attestazione di copertura finanziaria ex articolo 153, comma 5, dello stesso Tuel. Questi vanno comunicati al fornitore contestualmente all'ordinazione della prestazione e la successiva fattura deve essere completata con gli estremi della comunicazione. In caso contrario, sino alla comunicazione, il privato ha facoltà di non eseguire la prestazione (articolo Il Sole 24 Ore del 18.11.2013).

APPALTI: Con riferimento al procedimento di verifica dell'anomalia delle offerte, il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni compiute dalla stazione appaltante solo sotto lo stretto profilo della logicità e della congruità dell'istruttoria, senza poter operare autonomamente alcuna verifica della congruità dell'offerta presentata e delle singole voci atteso che, così facendo, invaderebbe una sfera propria della Pubblica amministrazione, connotata dall'esercizio di discrezionalità tecnica.
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In casi come quello in esame, ci si trova di fronte a due diverse prospettazioni della “realtà” dell’offerta, ove la Stazione Appaltante dipinge un quadro che presenta un’offerta lacunosa e inattendibile e dove, al contrario, la concorrente, attraverso le controdeduzioni e il presente ricorso dipinge un’offerta perfettamente congrua e attendibile, che sarebbe semplicemente oggetto di una sorta di “caccia all’errore” da parte della Stazione appaltante.
In casi come questi, va ricordato qual è il compito del giudice amministrativo. Infatti, va verificato se sono presenti profili sintomatici di eccesso di potere per illogicità o travisamento delle risultanze istruttorie del procedimento, o se si rimanga sulla soglia di una contrapposta versione dell'interessata, opinabile al pari del giudizio tecnico-discrezionale formulato dalla Commissione, tale dunque da non consentire il sindacato del giudice amministrativo, secondo il costante insegnamento espresso al riguardo.
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In materia di giudizio dell'anomalia dell'offerta si ritiene necessaria una motivazione approfondita quando la stazione appaltante considera l’offerta nel complesso inaffidabile.
L’onere motivazionale nel provvedimento negativo è stato tuttavia inteso con una certa flessibilità permettendo all’amministrazione di effettuare una valutazione di tutti gli elementi dell’offerta ritenendola nel complesso inaffidabile oppure di soffermarsi anche solo su singole, ma essenziali, componenti dell’offerta; se tali elementi essenziali non risultano congrui, in ossequio ad una concezione ‘sostanziale’ dell’agire amministrativo, non si reputa necessario esaminare le giustificazioni riguardanti le altre componenti, meno rilevanti, dell’offerta stessa, in quanto è da presumere che quelle voci incidano sulla serietà ed affidabilità dell'intera offerta, di modo che, accertata l'incongruità degli elementi giustificativi presentati e di conseguenza delle sottostanti voci di prezzo, non occorre che quel giudizio di incongruità sia anche suffragato da un ulteriore, separato, giudizio di incongruità della globalità dell'offerta.
Ancora, sul tema, non si può non richiamare l’intervento del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, che richiama il consolidato indirizzo che circoscrive il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni compiute in sede di verifica di anomalia delle offerte ai soli casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza, in considerazione della discrezionalità che connota dette valutazioni, come tali riservate alla stazione appaltante cui compete il più ampio margine di apprezzamento, nonché, l'altrettanto pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo cui la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, e non concentrarsi esclusivamente e in modo "parcellizzato" sulle singole voci di prezzo, dal momento che l'obiettivo dell'indagine è accertare l'affidabilità dell'offerta nel suo complesso, e non delle sue singole componenti.
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L’obbligo dell'Amministrazione di assicurare il contraddittorio nel sub-procedimento di verifica dell'anomalia non implica la confutazione puntuale di tutte le osservazioni svolte dagli interessati, essendo sufficiente che il provvedimento amministrativo sia corredato da una motivazione che renda nella sostanza comunque percepibile la ragione del mancato accoglimento delle deduzioni difensive del privato.
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Le ulteriori censure di disparità di trattamento dedotte da parte ricorrente con riguardo a materiali, mancata considerazione della pulizia delle strade, e altri profili minori si possono ricondurre ad una sorta di “richiesta alla Stazione Appaltante di verificare un’offerta non anomala ai sensi dell’art. 86 d.lgs 163/2006. Come è noto, il sospetto di anomalia concerne le «offerte in relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, sono entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara” (art. 86, c. 2, d.lgs 163/2006). Tale criterio impone la verifica delle offerte che presentano una notevole qualità tecnica a fronte di un prezzo particolarmente vantaggioso.
E’ del tutto evidente che il potere residuale per cui per cui la Stazione Appaltante può sempre sottoporre a verifica le offerte che risultino sospette in base ad “elementi specifici” è altamente discrezionale e sottoposto a precisi limiti, essendo sufficiente che non sia manifestamente irragionevole la determinazione dell’Amministrazione di non sottoporre a verifica “facoltativa” di anomalia, l’offerta risultata vincitrice della gara.
E’ la scelta di effettuare la verifica facoltativa di anomalia che esige una espressa ed adeguata motivazione ( in ordine alle ragioni ed agli elementi di fatto sulla base dei quali essa si sia risolta nel senso di attendere alla verifica di anomalia ai sensi del comma 3 dell’art. 86), mentre una motivazione non è (normalmente) necessaria quando l’amministrazione ritiene di non dover far uso di tale facoltà, il cui mancato esercizio non è pertanto censurabile.

Innanzitutto va detto che, come è noto, con riferimento al procedimento di verifica dell'anomalia delle offerte, il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni compiute dalla stazione appaltante solo sotto lo stretto profilo della logicità e della congruità dell'istruttoria, senza poter operare autonomamente alcuna verifica della congruità dell'offerta presentata e delle singole voci atteso che, così facendo, invaderebbe una sfera propria della Pubblica amministrazione, connotata dall'esercizio di discrezionalità tecnica (CdS sez. V 18.02.2013 n. 974).
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Essenzialmente, in casi come quello in esame, ci si trova di fronte a due diverse prospettazioni della “realtà” dell’offerta, ove la Stazione Appaltante dipinge un quadro che presenta un’offerta lacunosa e inattendibile e dove, al contrario, la concorrente, attraverso le controdeduzioni e il presente ricorso dipinge un’offerta perfettamente congrua e attendibile, che sarebbe semplicemente oggetto di una sorta di “caccia all’errore” da parte della Stazione appaltante.
In casi come questi, va ricordato qual è il compito del giudice amministrativo. Infatti, va verificato se sono presenti profili sintomatici di eccesso di potere per illogicità o travisamento delle risultanze istruttorie del procedimento, o se si rimanga sulla soglia di una contrapposta versione dell'interessata, opinabile al pari del giudizio tecnico-discrezionale formulato dalla Commissione, tale dunque da non consentire il sindacato del giudice amministrativo, secondo il costante insegnamento espresso al riguardo (CdS sez. III 14.02.2012, n. 710, CdS sez. V 02.2012 n. 3850).
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Alla luce dei principi sopra ricordati, ritiene il Collegio che, a fronte de citati rilievi effettuati dalla Stazione Appaltante, i quali sono contestati ma non smentiti dalla ricorrente, il giudizio di anomalia sia immune dai vizi dedotti.
Come è noto, in materia si ritiene necessaria una motivazione approfondita (CdS V, 23.10.2006, n. 4949) quando la stazione appaltante considera l’offerta nel complesso inaffidabile. L’onere motivazionale nel provvedimento negativo è stato tuttavia inteso con una certa flessibilità permettendo all’amministrazione di effettuare una valutazione di tutti gli elementi dell’offerta ritenendola nel complesso inaffidabile oppure di soffermarsi anche solo su singole, ma essenziali, componenti dell’offerta; se tali elementi essenziali non risultano congrui, in ossequio ad una concezione ‘sostanziale’ dell’agire amministrativo, non si reputa necessario esaminare le giustificazioni riguardanti le altre componenti, meno rilevanti, dell’offerta stessa, in quanto è da presumere che quelle voci incidano sulla serietà ed affidabilità dell'intera offerta, di modo che, accertata l'incongruità degli elementi giustificativi presentati e di conseguenza delle sottostanti voci di prezzo, non occorre che quel giudizio di incongruità sia anche suffragato da un ulteriore, separato, giudizio di incongruità della globalità dell'offerta (CdS. Sez. III, V, 18.09.2008, n. 4493, CdS Sez. III 16.03.2012 n.1467).

Ancora, sul tema, non si può non richiamare l’intervento del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria (sentenza 29.12.2012, n. 39), che richiama il consolidato indirizzo che circoscrive il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni compiute in sede di verifica di anomalia delle offerte ai soli casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza, in considerazione della discrezionalità che connota dette valutazioni, come tali riservate alla stazione appaltante cui compete il più ampio margine di apprezzamento, nonché, l'altrettanto pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo cui la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, e non concentrarsi esclusivamente e in modo "parcellizzato" sulle singole voci di prezzo, dal momento che l'obiettivo dell'indagine è accertare l'affidabilità dell'offerta nel suo complesso, e non delle sue singole componenti (sul punto Tar Cagliari 08.05.2013 n. 355).
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Con riguardo all’affermato difetto di contradditorio (secondo motivo di ricorso) è noto che l’obbligo dell'Amministrazione di assicurare il contraddittorio nel sub-procedimento di verifica dell'anomalia non implica la confutazione puntuale di tutte le osservazioni svolte dagli interessati, essendo sufficiente che il provvedimento amministrativo sia corredato da una motivazione che renda nella sostanza comunque percepibile la ragione del mancato accoglimento delle deduzioni difensive del privato (Cds sez. V 02.07.2012 n. 3850).
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Ancora, in tutta evidenza, le ulteriori censure di disparità di trattamento dedotte da parte ricorrente con riguardo a materiali, mancata considerazione della pulizia delle strade, e altri profili minori si possono ricondurre ad una sorta di “richiesta alla Stazione Appaltante di verificare un’offerta non anomala ai sensi dell’art. 86 d.lgs 163/2006. Come è noto, il sospetto di anomalia concerne le «offerte in relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, sono entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara” (art. 86, c. 2, d.lgs 163/2006). Tale criterio impone la verifica delle offerte che presentano una notevole qualità tecnica a fronte di un prezzo particolarmente vantaggioso (CdS sez. VI 26.11.2009, n. 7441).
E’ del tutto evidente che il potere residuale per cui per cui la Stazione Appaltante può sempre sottoporre a verifica le offerte che risultino sospette in base ad “elementi specifici” è altamente discrezionale e sottoposto a precisi limiti, essendo sufficiente che non sia manifestamente irragionevole la determinazione dell’Amministrazione di non sottoporre a verifica “facoltativa” di anomalia, l’offerta risultata vincitrice della gara (tra la tante decisioni Cds sez. IV, 27.06.2011, n. 3862).
E’ la scelta di effettuare la verifica facoltativa di anomalia che esige una espressa ed adeguata motivazione ( in ordine alle ragioni ed agli elementi di fatto sulla base dei quali essa si sia risolta nel senso di attendere alla verifica di anomalia ai sensi del comma 3 dell’art. 86), mentre una motivazione non è (normalmente) necessaria quando l’amministrazione ritiene di non dover far uso di tale facoltà (CdS sez. VI, 27.07.2011, n. 4489), il cui mancato esercizio non è pertanto censurabile (Cds Sez. III 10.05.2013 n. 2533).
Nel caso in esame, di fronte a due offerte caratterizzate da notevoli differenze nella formulazione tecnica ed economica, in tutta evidenza non sono configurabili i vizi dedotti da parte ricorrente, in considerazione della differenza di mezzi e risorse previsti nelle offerte, che hanno visto, per la controinteressata un’offerta economica ben al di sotto della soglia di anomalia.
Ciò in quanto la disparità di trattamento e l’eccesso di potere denunciato dalla ricorrente riguarda, in buona parte, vizi emersi durante la verifica di anomalia, non prevista per l’offerta della controinteressata
(TAR Marche, sentenza 25.10.2013 n. 727 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILEGGE DI STABILITA'/ Imprese e p.a., appalti verdi. Criteri ambientali minimi. Cauzioni scontate del 20%. In preconsiglio il collegato che si occupa anche di rifiuti.
Forniture verdi alla p.a., recupero semplificato dei rifiuti, sconti Tares per favorire il compostaggio, semplificazioni per le imprese che accedono alle procedure di valutazione e autorizzazione ambientale, maggiore libertà agli enti parco (anche per velocizzare i rapporti con le imprese), responsabilità allargate che per chi affida carichi da trasportare in nave, sanzioni rafforzate per i comuni che non attueranno gli obiettivi di raccolta differenziata imposti dall'Ue e obbligo per la p.a. di rifornirsi con beni e servizi ambientalmente sostenibili.

Misure per l'ambiente, ma anche per la semplificazione degli oneri delle imprese, a 360 gradi nel ddl ambientale collegato alla «Legge di Stabilità» esaminato ieri in preconsiglio dei ministri. Un ddl che sembra voler dare una volta per tutte piena attuazione al principio comunitario «dalla culla alla tomba», riferito al ciclo di vita dei beni.
Forniture verdi alla p.a. La spinta sugli appalti pubblici verdi (cd. «green public procurement») avviene in una duplice direzione. Da un lato trasformando in vero e proprio obbligo per le p.a. quello di fondare gli appalti per il soddisfacimento del proprio fabbisogno di beni e servizi sui criteri ambientali. Dall'altro attirando verso le gare pubbliche imprese ambientalmente già certificate.
Superando l'originaria impostazione della legge istituiva del «Gpp» (Legge 296/2006) che chiedeva alla p.a. di tenere conto degli eco-criteri solo «ogniqualvolta sia possibile», lo schema di ddl in discussione prevede ora il secco obbligo di inserire nei bandi di gara i «criteri ambientali minimi» elaborati (ed elaborandi) dal Minambiente per specifiche categorie di prodotti in attuazione del dm 11.04.2008 (Ndr: come recentemente aggiornato dm 25.07.2011), prodotti tra cui attualmente figurano: servizi energetici per edifici; attrezzature elettriche ed elettroniche d'ufficio; carta per copia; ristorazione collettiva; servizi di igiene e pulizia; prodotti tessili e arredi d'ufficio.
Ad attirare verso le gare pubbliche verdi i fornitori eco-certificati sarà invece lo sconto fino al 20% sulle cauzioni da fornire a corredo delle relative previsto a favore delle imprese griffate Emas (il marchio comunitario che garantisce la qualità ambientale dell'azienda) ed Ecolabel (il marchio che garantisce i prodotti offerti).
Recupero semplificato rifiuti. La spinta sul recupero passerà innanzitutto dal coordinamento tra le norme tecniche Ue di ultima generazione sul trattamento dei rifiuti e quelle burocratiche nazionali sul regime autorizzatorio dei relativi impianti. In base al ddl il trattamento dei rifiuti individuati dai regolamenti Ue su cd. «end of waste» (attualmente: rame, vetro, ferro, acciaio ed alluminio) potrà infatti avvenire secondo le procedure semplificate previste dal dlgs 152/2006 (avvio tramite mera comunicazione in luogo di vera e propria autorizzazione).
Più compostaggio. Arriva lo sconto fino al 50% dell'attuale «Tares» (proprio dalla legge di Stabilità destinata a confluire nella «Trise») a favore di coloro che procederanno (nei termini previsti dal «Codice Ambientale») all'autocompostaggio dei propri rifiuti organici, e ciò sia a titolo individuale che collettivo (tramite la nuova figura del cd. «compostaggio di comunità»).
Stop incenerimento rifiuti. Ancora, a dirottare le condotte verso il recupero sarà il previsto blocco di tutte le istanze di autorizzazione per l'avvio di nuovi impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti, tranne che nelle Regioni in emergenza ambientale. E questo fino all'adozione del futuro dm con il quale il Minambiente individuerà l'effettivo fabbisogno nazionale di ulteriori strutture a ciò deputate.
Discariche in controtendenza. In controtendenza rispetto alle descritte azioni appare invece essere la cancellazione, prevista dallo stesso ddl, del divieto di conferire in discarica rifiuti con «Pci» superiore a 13 mila kJ/kg. Divieto che secondo lo storico dlgs 36/2003 dovrebbe scattare dal prossimo 31.12.2013 in base all'ultima delle proroghe che si protraggono dal 2010.
Mari e parchi. Estesa la responsabilità solidale in caso di incidenti che coinvolgono navi: oltre all'armatore e al proprietario della nave, risponderà anche il proprietario del carico trasportato. Due le ragioni dell'ampliamento delle norme di cui alla legge 979/1982: spingere i proprietari di carichi inquinanti a scegliere vettori più sicuri e avvalersi di idonei equipaggi; favorire la possibilità dell'Erario di recuperare le spese antinquinamento sostenute (il recupero spese è infatti attualmente particolarmente oneroso, vista l'appartenenza dei mezzi utilizzati ai paesi più disparati, il che significa per il minambiente grossa difficoltà nel rintracciare i soggetti responsabili e riscuotere coattivamente il credito).
Valutazioni e autorizzazioni ambientali. Semplificate le procedure autorizzative in materia di scarichi in mare di acque derivanti da attività di ricerca, prospezione, coltivazione di idrocarburi in mare movimentazione di fondali marini. In particolare viene eliminata la specifica autorizzazione ministeriale alla posa di cavi e condotte facenti parte di reti energetiche di interesse nazionale: la valutazione d'impatto viene assorbita nella «Via» nazionale e, in casi residuali, viene mantenuta la competenza regionale. Istituita infine una Commissione tecnica unificata per Via (valutazione d'impatto ambientale), Vas (valutazione ambientale strategica) e Aia (autorizzazione d'impatto ambientale) (articolo ItaliaOggi del 23.10.2013).

APPALTI: Trasmissione dei dati dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - settori ordinari e speciali – allineamento a 40.000 € della soglia minima per le comunicazioni ex art. 7, co. 8, d.lgs. n. 163/2006 – rettifica (comunicato 22.10.2013 - link a www.autoritalavoripubblici.it).
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Il Comunicato dell’Avcp del 29.04.2013 sugli obblighi comunicativi ex art. 7, co. 8, del dlgs 163/2006 e s.m.i. è stato rettificato. Il nuovo Comunicato del 22.10.2013 precisa che per importi pari a 40.000 euro esatti non è più prevista l’acquisizione dello ‘smartCIG’, ma del ‘CIG’ tradizionale e il successivo invio delle schede informative, analogamente a quanto avviene per gli importi superiori a 40.000 euro.

APPALTI: G.U. 22.10.2013 n. 196 "Testo del decreto-legge 28.06.2013, n. 76, coordinato con la legge di conversione 09.08.2013, n. 99, recante: «Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti»".

APPALTI: Esclusione da una gara d’appalto per l’esistenza di precedenti penali.
In presenza di precedenti penali, il Codice dei contratti pubblici impone alla stazione appaltante di eseguire una specifica valutazione del precedente penale oggetto di dichiarazione, in relazione alla sussistenza di due autonomi e concorrenti elementi: la gravità del reato e la sua incidenza sulla moralità professionale.
I due elementi, per avere effetto ostativo sulla partecipazione alla gara, debbono coesistere ed entrambi necessitano, ai fini dell’esclusione dell’impresa, di una puntuale ed adeguata valutazione da parte della stazione appaltante.

La decisione in esame riguarda l’esclusione da una gara d’appalto per assenza del requisito di moralità professionale ex art. 38 del Codice dei contratti pubblici per l’esistenza di un precedente penale a carico di un direttore tecnico per un reato di gestione illecita dei rifiuti, contestata per difetto di motivazione dalla ditta esclusa.
Il Consiglio di Stato accoglie la doglianza di difetto di motivazione del provvedimento di esclusione, puntualizzando il contenuto delle valutazioni che la stazione appaltante deve effettuare in caso di esistenza di precedenti penali.
In particolare, motiva la sentenza, l’art. 38, comma 1, lett. c) del Codice dei contratti pubblici impone alla stazione appaltante di eseguire una specifica valutazione del precedente penale oggetto di dichiarazione, in relazione alla sussistenza di due autonomi e concorrenti elementi: la gravità del reato e la sua incidenza sulla moralità professionale.
I due elementi, per avere effetto ostativo sulla partecipazione alla gara, debbono coesistere ed entrambi necessitano, ai fini dell’esclusione dell’impresa, di una puntuale ed adeguata valutazione da parte della stazione appaltante.
In sostanza, la sola gravità non è di per sé sufficiente ad integrare la causa di esclusione, laddove il reato commesso sia insuscettibile di incidere sulla moralità professionale del concorrente e, di converso, l’astratta incidenza sulla moralità professionale non integra la suddetta causa, quando il reato medesimo non risponda al requisito della oggettiva gravità.
La stazione appaltante, quindi, pur non potendo prescindere dalla vincolatività della sentenza quanto ai fatti accertati dal giudice penale, deve accertare in via autonoma la sussistenza della gravità e della incidenza del reato commesso, tenendo conto anche degli spazi non coperti dal giudicato che pure emergano in maniera obiettiva ed inequivoca.
Il giudice penale accerta i fatti per sussumerli in una fattispecie astratta di reato ai fini dell’applicazione della pena, mentre la stazione appaltante deve valutare il precedente penale ai fini di salvaguardare l’esigenza di non avere rapporti contrattuali con appaltatori inaffidabili, che non garantiscano, cioè, una adeguata moralità professionale.
Nel caso di specie l’amministrazione ha omesso di effettuare in modo autonomo ed esaustivo una specifica e circostanziata valutazione in ordine alla sussistenza della gravità e della incidenza del reato commesso dal direttore tecnico e, pertanto, il provvedimento risulta illegittimo.
Né a tal fine è sufficiente una semplice valutazione di inerenza del reato commesso all’oggetto dell’appalto, né l’esistenza della recidiva, qualora ciò non sia accompagnato da una puntuale e esaustiva valutazione sulla effettiva gravità del reato e sulla sua reale incidenza sulla moralità professionale del soggetto interessato.
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Esito
Riforma TAR Campania Napoli, Sezione I, n. 4323/2012
Precedenti giurisprudenziali
TAR Valle d'Aosta Aosta Sez. I, 20.06.2012, n. 59; Cons. Stato Sez. III, 07.05.2012, n. 2607; Cons. Stato Sez. III, 07.05.2012, n. 2611
Riferimenti normativi

Art. 38 del Codice dei contratti pubblici
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.10.2013 n. 5122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDebiti sui contributi e crediti verso la Pa: Durc rilasciabile.
Le aziende che hanno dei debiti nei confronti degli Istituti previdenziali e assicurativi nonché verso le Casse edili ma, contemporaneamente, vantano crediti nei riguardi delle pubbliche amministrazioni, possono ottenere il Durc.

Lo chiarisce il ministero del Lavoro con la
circolare 21.10.2013 n. 40/2013 diffusa ieri. Nel documento vengono forniti i primi chiarimenti in merito alla disciplina contenuta nel decreto ministeriale del 13 marzo scorso. Si tratta delle disposizioni attuative delle previsioni contenute nel comma 5 dell'articolo 13-bis del Dl 52/2012 (convertito dalla legge 94/2012).
La norma regolamenta il rilascio del Durc (Documento unico di regolarità contributiva) in presenza di crediti certificati certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni, di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da parte di una stessa impresa.
La chiave
Dunque la certificazione dell'esistenza del credito verso la pubblica amministrazione è la chiave che apre la porta al Durc. Quella regolamentata dal Dm del 13.03.2013 (oggetto della circolare in commento) è una procedura speciale secondo cui le aziende possono ottenere la regolarità contributiva anche se, in realtà, presentano una posizione debitoria aperta, non avendo provveduto regolarmente al versamento dei contributi e/o dei premi assicurativi.
Va da sé che il particolare "salvacondotto" può operare solo qualora i crediti dell'impresa certificati verso la pubblica amministrazione siano di importo almeno pari alle somme non versate dalla stessa impresa agli Istituti e/o alle Casse.
Le due procedure
Il meccanismo è semplice se a chiedere il Durc è lo stesso soggetto che, poi, potrà avvalersene. Quando –al contrario– la regolarità contributiva viene richiesta d'ufficio, l'azienda dovrà dichiarare l'esistenza del credito, indicando la data di rilascio della certificazione, il numero di protocollo, l'importo del credito stesso e l'amministrazione che ha rilasciato la relativa certificazione. Dovrà, inoltre, fornire un codice che permetta, a tutti coloro che ne hanno interesse, di verificare l'esistenza della certificazione, attraverso la cosiddetta piattaforma informatica.
Quest'ultima è un archivio a cui accedono gli Istituti previdenziali e le Casse edili per verificare l'esistenza del credito. Dalla piattaforma si può stampare un documento con gli estremi del credito certificato con possibilità di verificare la sua effettiva disponibilità al momento della richiesta e dell'emissione del Durc.
Il regime transitorio
In attesa che tutto il procedimento vada a regime, il ministero ricorda che la verifica verrà effettuata sulla base delle certificazioni rilasciate dalla piattaforma informatica trasmesse via Pec o direttamente esibite; in tal caso, il tutto soggiace alla responsabilità anche penale del soggetto titolare del credito certificato.
Pur trattandosi di una procedura speciale di rilascio del Durc, il ministero afferma che il suo termine di validità resta fissato in 120 giorni dalla data del rilascio. Il documento di regolarità che verrà emesso riporterà la dicitura «ex art. 13-bis, comma 5, D.L. n. 52/2012», unitamente alle altre informazioni identificative del credito.
Nel documento, i tecnici ministeriali ricordano –tra l'altro– che il credito certificato può essere ceduto o se ne può richiedere un'anticipazione ma solo se è stato estinto il debito indicato sul Durc. In tal caso, dovrà essere prodotto un ulteriore documento di regolarità contributiva aggiornato, alla banca o all'intermediario finanziario
(articolo Il Sole 24 Ore del 22.10.2013).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: LEGGE DI STABILITÀ/ Debiti p.a., pagherà il dirigente. L'inosservanza nell'invio di fatture costa 25 al giorno. Lo prevede la bozza di decreto collegato, che è atteso in Cdm.
Per le p.a. lumaca sui debiti commerciali scaduti paga il dirigente: entro il 30.04.2014 le amministrazioni dovranno comunicare telematicamente le fatture per forniture, servizi o appalti non ancora saldate che danno luogo a interessi moratori. Responsabile dell'adempimento sarà la figura apicale dell'ente (o un suo delegato). E in caso di inosservanza questo pagherà alle casse pubbliche una sanzione di 25 euro per ogni giorno di ritardo, ferma restando la responsabilità disciplinare.

Il rafforzamento del monitoraggio dei debiti delle p.a. è previsto dalla bozza di decreto legge collegato alla manovra di stabilità 2014, che sarà esaminato nei prossimi giorni dal consiglio dei ministri.
Il dl dispone alcuni stanziamenti per fare fronte a esigenze immediate. A cominciare dal rifinanziamento della cassa integrazione in deroga (330 milioni di euro fino a fine anno) e della social card (35 milioni di euro). Ma in via sperimentale arriva anche un meccanismo di indennizzo per le imprese impegnate nella realizzazione dell'alta velocità sulla Torino-Lione che subiscono manomissioni e vandalismi a macchinari e materiali: per la quota di danni non coperta dalle polizze assicurative sarà possibile rivolgersi allo stato. Il Fondo di solidarietà civile istituito dal dl n. 187/2010 mette a disposizione fino a 5 milioni di euro. Le modalità attuative saranno stabilite con dpcm entro 30 giorni dall'entrata in vigore del dl.
Nel collegato alla legge di stabilità trovano spazio pure alcuni interventi fiscali. Uno va in soccorso del comune di Roma, alle prese con una difficile situazione di bilancio. La norma attribuisce al municipio capitolino la facoltà di incrementare l'addizionale Irpef di ulteriori 0,3 punti percentuali, rispetto all'attuale misura dello 0,9%. L'intervento legislativo si rende necessario in quanto il dlgs n. 360/1998 fissa l'aliquota massima del prelievo allo 0,8%. E il dl n. 78/2010, sul quale il collegato interviene, autorizza già una deroga a favore del Campidoglio che ha consentito di arrivare allo 0,9%.
Il dl reca poi un'altra mini-stangata tributaria sul mattone. Viene stabilita l'applicazione di un'imposta di registro minima di 1.000 euro per tutti gli atti, provvedimenti e trasferimenti in materia immobiliare. Inclusi, quindi, quelli soggetti a tassazione proporzionale che darebbero una somma inferiore a tale soglia. La novità avrà effetto a far data dall'entrata in vigore del provvedimento. La misura farà incassare all'erario 140 milioni di euro in più ogni anno (29 milioni nel 2013).
Non dovrebbe comportare aggravi, invece, la possibile manutenzione di aliquote che il governo si appresta a compiere sui prodotti da fumo. Sia le accise sui tabacchi sia l'imposta di consumo sulle sigarette elettroniche potranno essere rimodulate dal Mef, entro un range dello 0,7%, con l'obiettivo di «incidere in modo positivo sulle dinamiche dei prezzi, comunque nell'ottica di frenarne la possibile crescita e, specularmente, di evitare contrazione ulteriori sul lato della domanda». In questo caso, quindi, l'obiettivo di palazzo Chigi è mantenere il gettito del comparto e non incrementarlo. Il recente aumento dell'Iva ha fatto schizzare in alto i prezzi in maniera più che proporzionale. Con il risultato, specie in un periodo di crisi, di un'ulteriore frenata dei consumi in un mercato già in calo dall'inizio del 2013.
Il dl accelera anche sulle dismissioni pubbliche, sia in materia di partecipazioni sia di immobili. Con riguardo al primo tema, è messo a regime il comitato di esperti che deve supportare il Mef nell'elaborare la strategia di cessione delle quote statali. Con riferimento al secondo, viene snellito ulteriormente il procedimento di alienazione in blocco di fabbricati pubblici al fine di consentirne la conclusione in tempi brevi. L'elenco degli esoneri documentali già previsti viene integrato con l'attestato di prestazione energetica (la cui assenza minaccerebbe di nullità i contratti eventualmente stipulati). Peraltro, nella relazione tecnica è lo stesso governo a definire l'Ape un adempimento oneroso «sia in relazione ai costi che avrebbero dovuto essere sostenuti per l'ottenimento della certificazione energetica sia per quelli indiretti costituiti dalle risorse da impiegare per gli allineamenti catastali» (articolo ItaliaOgggi del 18.10.2013).

APPALTIIdoneità da verificare anche per i procuratori. Consiglio di Stato. Il bando può chiedere controlli sulle condizioni generali.
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 16.10.2013 n. 23 è intervenuta su uno dei punti più controversi del Dlgs n. 163/2006 (Codice degli appalti pubblici) sul quale per anni ha regnato l'incertezza degli orientamenti giurisprudenziali che hanno alimentato una enorme litigiosità: il dubbio se anche i procuratori dell'impresa concorrente siano tenuti a possedere i requisiti morali e professionali di idoneità alle gare previsti dall'articolo 38 lettere b) e c) del Codice.
La norma prescrive che l'accertamento sui requisiti (in particolare l'assenza di misure di prevenzione o di condanne per reati che incidono sulla moralità professionale) è svolto nei confronti «degli amministratori muniti del potere di rappresentanza o del direttore tecnico». Su di essa si sono formati due orientamenti giurisprudenziali contrapposti. Quello formale predilige un'interpretazione restrittiva e letterale della norma e limita l'obbligo del possesso dei requisiti di moralità ai soli amministratori muniti di potere di rappresentanza a cui fa riferimento l'articolo 2380-bis del Codice civile, con l'esclusione dei procuratori.
La tesi estensiva invece –in linea con l'articolo 45 della direttiva 2004/18/CE– valorizza quei soggetti che, pur non rivestendo le qualifiche formali previste dall'articolo 38, sono dotati di poteri così ampi e incisivi da coincidere sotto il profilo sostanziale con quelli dei veri e propri amministratori. In questo caso, l'esigenza da salvaguardare è di evitare che l'amministrazione possa firmare un contratto con una società governata in sostanza da persone prive dei necessari requisiti di onorabilità e affidabilità morale e professionale, che si giovino dello schermo di chi riveste la qualifica formale di amministratore con potere di rappresentanza. In base a questa seconda tesi anche i procuratori/amministratori sono quindi tenuti a soddisfare i requisiti di moralità prescritti dall'articolo 38.
Il Consiglio di Stato giunge però questa volta a una soluzione di compromesso, sollecitato da una «prassi che mostra figure di procuratori muniti di poteri decisionali di particolare ampiezza di spessore superiore a quelli che lo statuto assegna agli amministratori»: i requisiti di moralità vanno accertati anche nei confronti dei procuratori/amministratori, ma l'obbligo da parte loro di prestare la dichiarazione sussiste solo se nel bando vi sia un'espressa previsione in questo senso. In caso contrario, l'omessa dichiarazione da parte dei procuratori/amministratori non potrà essere causa di esclusione dalla gara. L'esclusione potrà invece essere disposta nel caso in cui venisse in concreto effettivamente riscontrata l'assenza del requisito.
Con questa scelta il giudice rimette alle singole amministrazioni il non agevole compito di verificare i poteri di cui sono titolari tutti i procuratori della singola impresa concorrente, di analizzarli per poi identificare i soggetti che sono stati investiti di poteri assimilabili a quelli degli amministratori. Il rischio è che le amministrazioni, spesso prive di strutture adeguate e chiamate ora a svolgere un "lavoro" che fuoriesce dalle loro normali competenze, si trovino a rallentare i tempi delle procedure. Senza contare che le diverse e disomogenee interpretazioni che verranno adottate dalle amministrazioni sull'ampiezza dei poteri dei procuratori potrebbero essere ancora fonte di contenzioso, a scapito della certezza del diritto (articolo Il Sole 24 Ore del 25.11.2013).

APPALTIAppalti, serve la moralità. Verifica obbligatoria anche per i procuratori. Il Consiglio di stato sui requisiti necessari per accedere ai bandi di gara.
Negli appalti pubblici sono necessari i controlli sulla moralità professionale anche per i procuratori e non soltanto per il direttore tecnico e gli amministratori con poteri di rappresentanza. È possibile l'esclusione dalla gara solo quando si dimostri che manca in concreto il requisito morale o professionale. E' illegittimo, se non è previsto nel bando di gara, escludere per la mera assenza della dichiarazione di insussistenza della causa di esclusione (auto certificazione) da parte del procuratore.
È quanto afferma il Consiglio di Stato con la sentenza 16.10.2013 n. 23 dell'Adunanza plenaria rispetto ad una controversia relativa alla fase di verifica dei requisiti che i partecipanti alle gare di appalto pubblico sono tenuti ad auto dichiarare ai fini della partecipazione.
Nel caso specifico era stata esclusa una impresa di costruzioni che non aveva prodotto la dichiarazione del procuratore, nonostante negli atti di gara non fosse stato richiesto anche al procuratore la dichiarazione sui requisiti morali e professionali di norma prodotta dal direttore tecnico e dagli amministratori. Il tema delle dichiarazioni da rendere in sede di gara e, in particolare, dei requisiti morali e professionali è disciplinato dall'art. 38, lettere b) e c), del dlgs 163/2006 (Codice dei contratti pubblici).
La norma prevede l'obbligo dichiarativo per gli «amministratori muniti del potere di rappresentanza» o per i direttori tecnici, se si tratta di società o di consorzi organizzati nelle forme diverse dall'impresa individuale, in accomandita, o in nome collettivo (o del socio unico persona fisica, o del socio di maggioranza per le società con meno di quattro soci). Si tratta di un profilo particolarmente delicato che si collega alla possibilità di escludere il partecipante alla gara in relazione al fatto che abbia riportato condanne per reati nominativamente individuati e che si incardina all'interno di una fase (verifica dei requisiti) molto complessa e fonte principale del contenzioso che si registra in sede di amministrativa.
La sentenza arriva a dirimere una spaccatura nell'orientamento della giurisprudenza dello stesso Consiglio di stato che, da una parte, ha in alcuni casi affermato la valenza limitativa della norma del Codice dei contratti pubblici (che richiede la compresenza della qualità di amministratore e dell'esistenza di un potere di rappresentanza) e, dall'altra, ha, invece, esteso l'obbligo anche per quei procuratori che, per avere consistenti poteri di rappresentanza dell'impresa, «siano in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell'ordinamento nei riguardi della propria condotta al soggetto rappresentato».
L'Adunanza plenaria aderisce al secondo orientamento, di maggiore garanzia per le stazioni appaltanti, verificata «l'emersione di figure di procuratori muniti di poteri decisionali di particolare ampiezza e riferiti ad una pluralità di oggetti così che, per sommatoria, possano configurarsi omologhi, se non di spessore superiore, a quelli che lo statuto assegna agli amministratori».
In sostanza accade che il procuratore spesso sia come un amministratore di fatto e, in forza della procura rilasciatagli, racchiuda in se anche il ruolo di rappresentante della società, sia pure per alcuni atti. La pronuncia apre, quindi, all'obbligo di verifica anche per i procuratori, ma stabilisce che se negli atti di gara non è prevista la pena dell'esclusione per il procuratore che non ha reso la dichiarazione, si potrà procedere all'esclusione dell'impresa non già per la semplice omessa dichiarazione ex art. 38 del Codice, ma soltanto dove sia effettivamente riscontrabile l'assenza del requisito in questione. La stazione appaltante, quindi, avrebbe dovuto, nel caso specifico, chiedere la prova del requisito al procuratore e soltanto in caso di verificata assenza del requisito, procedere all'esclusione.
Uno degli effetti della sentenza sarà quindi quello di aggravare gli oneri burocratici per le imprese, anche se l'auspicio è che con l'avvio, da gennaio 2014, dell' Avcp tutto ciò possa essere reso meno complicato da un sistema automatico di verifica dei requisiti gestiti dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (articolo ItaliaOggi del 22.10.2013).

APPALTI: IL REGIME DI SOLIDARIETA’ NEGLI APPALTI (Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, circolare 16.10.2013 n. 13).

ACQUISTO FORNITURE: Acquisto arredi urbani alla luce della normativa vigente.
La disposizione di cui all'art. 1, comma 141, L. n. 228/2012, sancente limiti di spesa, negli anni 2013 e 2014, per l'acquisto di mobili e arredi, non sembra da ritenersi riferibile, secondo la Ragioneria Generale dello Stato, al cosiddetto arredo urbano, nel presupposto che tale arredo sia destinato esclusivamente a strade pubbliche.
Ciò, ad avviso dell'Ufficio ministeriale, in quanto, in ragione di un'interpretazione logica, il limite di spesa si ritiene rivolto esclusivamente agli immobili intesi come 'unità immobiliari', giusta la definizione contenuta nell'art. 2 del decreto del Ministero delle Finanze 02.01.1998, n. 28, 'Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale', e cioè, sostanzialmente, porzioni di fabbricato, fabbricati, un insieme di fabbricati o aree, che presentano potenzialità di autonomia funzionale e reddituale.

Il Comune chiede di sapere se la disposizione di cui all'art. 1, comma 141, L. n. 228/2012
[1] (Legge di stabilità 2013) sancente limiti di spesa, negli anni 2013 e 2014, per l'acquisto di mobili e arredi, si applichi anche alle forniture del così detto 'arredo urbano'. L'Ente specifica come, in genere, trattasi di attrezzature (panchine, cestini, paletti dissuasori di traffico, etc.).
Sentito il Servizio finanza locale di questa Direzione centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
Il comma 141 dell'art. 1 della legge di stabilità 2013, come da ultimo novellata dall'art. 18, comma 8-septies, D.L. n. 69/2013
[2], convertito con modificazioni dalla L. n. 98/2013 [3], stabilisce che 'ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, negli anni 2013 e 2014 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, [ ... ] non possono effettuare spese di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi, se non destinati all'uso scolastico e dei servizi all'infanzia, salvo che l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili. In tal caso il collegio dei revisori di conti verifica preventivamente i risparmi realizzabili, che devono essere superiori alla minore spesa derivante dall'attuazione del presente comma. [...]".
Si osserva che il tenore letterale della norma, come da ultimo novellata, esclude espressamente dalla limitazione di acquisto i mobili e gli arredi destinati all'uso scolastico e dei servizi all'infanzia; viene, inoltre, indicata come eccezione alla misura di contenimento della spesa pubblica ivi prevista l'ipotesi in cui gli acquisti siano funzionali alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili.
Premesso che, trattandosi di una norma statale, l'individuazione specifica del significato della locuzione 'mobili e arredi' può provenire unicamente dai competenti organi statali, in via collaborativa, al fine di definire quali siano i beni interessati dalla misura finanziaria, si è ritenuto di contattare, per le vie brevi, la Ragioneria Generale dello Stato, Ispettorato Generale di Finanza.
Detto Ufficio, premesso che il comma 141 in argomento si presenta di non semplice applicazione, ha affermato in primo luogo che per la puntuale identificazione dei mobili e degli arredi da sottoporre al limite di spesa di cui al comma 141, si può fare utile riferimento al CPV (vocabolario comune per gli acquisti)
[4], predisposto dalla Commissione europea con la finalità di standardizzare, avvalendosi di un unico sistema di classificazione per gli appalti pubblici, la descrizione dell'oggetto dei contratti.
La Ragioneria Generale ha ritenuto, pur tuttavia, opportuno evidenziare che non esiste un legame inscindibile tra l'art. 1, comma 141, L. n. 228/2012, e il CPV. Infatti, nell'ambito del CPV, i beni sono identificati -attraverso un codice- con un livello di dettaglio molto elevato, per cui si rende necessaria, ogni volta che ricorra un acquisto, un'analisi approfondita dei codici e quindi dei corrispondenti beni cui applicare o meno il limite introdotto dalla legge.
Secondo l'Ufficio ministeriale, nel caso di specie, il limite disposto dal comma 141 non sembra da ritenersi riferibile al cosiddetto arredo urbano (panchine, cestini, paletti dissuasori di traffico), nel presupposto che tale arredo sia destinato esclusivamente a strade pubbliche, ciò in quanto, in ragione di un'interpretazione logica, il limite di spesa si ritiene rivolto esclusivamente agli immobili intesi come 'unità immobiliari', giusta la definizione contenuta nell'art. 2 del decreto del Ministero delle Finanze 02.01.1998, n. 28, 'Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale', e cioè, sostanzialmente, porzioni di fabbricato, fabbricati, un insieme di fabbricati o aree, che presentano potenzialità di autonomia funzionale e reddituale.
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[1] L. 24.12.2012, n. 228, recante: 'Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)'.
[2] D.L. 21.06.2013, n. 69, recante: 'Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia'.
[3] L. 09.08.2013, n. 98, recante 'Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (la legge è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 20.08.2013, n. 194, S.O.).
[4] Trattasi del CPV, sistema di classificazione unico per gli apparati pubblici volto a unificare i riferimenti utilizzati dalle amministrazioni e dagli enti appaltanti per la descrizione dell'oggetto degli appalti
(16.10.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: Nelle gare d’appalto, l’istituto dell’avvalimento risponde all’esigenza della massima partecipazione consentendo ai concorrenti, che siano privi dei requisiti richiesti dal bando, di concorrere ricorrendo ai requisiti di altri soggetti.
Il Collegio condivide l’orientamento secondo cui tutti i requisiti di capacità tecnica, economica e professionale devono essere sussunti nella categoria dei requisiti che possono essere oggetto di avvalimento e, quand’anche la certificazione di qualità riguardasse una qualità soggettiva dell’impresa, ugualmente potrebbe essere oggetto di avvalimento, rientrando tra i requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante tale strumento, attesa la sua portata generale.
Una volta ammessa l’astratta operatività dell’avvalimento per le attestazioni e le certificazioni, effettivamente non può essere trascurata l’evidente difficoltà “pratica” di dimostrare, in concreto, l’effettiva disponibilità di un requisito che, per le sue caratteristiche, è collegato all’intera organizzazione dell'impresa, alle sue procedure interne, al bagaglio delle conoscenze utilizzate nello svolgimento delle attività.

In primo luogo, nelle gare d’appalto, l’istituto dell’avvalimento risponde all’esigenza della massima partecipazione consentendo ai concorrenti, che siano privi dei requisiti richiesti dal bando, di concorrere ricorrendo ai requisiti di altri soggetti. Il Collegio condivide l’orientamento secondo cui tutti i requisiti di capacità tecnica, economica e professionale devono essere sussunti nella categoria dei requisiti che possono essere oggetto di avvalimento e, quand’anche la certificazione di qualità riguardasse una qualità soggettiva dell’impresa, ugualmente potrebbe essere oggetto di avvalimento, rientrando tra i requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante tale strumento, attesa la sua portata generale (Consiglio di Stato, sez. V, 23.10.2012, n. 5408).
Una volta ammessa l’astratta operatività dell’avvalimento per le attestazioni e le certificazioni, effettivamente non può essere trascurata l’evidente difficoltà “pratica” di dimostrare, in concreto, l’effettiva disponibilità di un requisito che, per le sue caratteristiche, è collegato all’intera organizzazione dell'impresa, alle sue procedure interne, al bagaglio delle conoscenze utilizzate nello svolgimento delle attività (cfr. Cons. Stato 18.04.2011, n. 23446) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 15.10.2013 n. 2306 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Guida alle semplificazioni del decreto legge del Fare (Dipartimento Funzione Pubblica, 15.10.2013).

LAVORI PUBBLICI: Opere pubbliche, il programma arriva al rush finale. Lavori. Approvazione entro domani.
IL DEBUTTO/ Dall'esercizio 2013 la pianificazione facoltativa si estende anche ai servizi e alle forniture su base annuale.

Entro domani, 15 ottobre le amministrazioni aggiudicatrici devono adottare lo schema di programma triennale degli aggiornamenti e dell'elenco annuale delle opere pubbliche.
La scadenza è stabilita dal decreto del ministero delle Infrastrutture 09.06.2005, con cui sono stati approvati anche gli schemi tipo che dovranno essere affissi per almeno sessanta giorni consecutivi nella sede dell'amministrazione. Il successivo Dm 11.11.2011, che si applica a partire dall'esercizio 2013, ha dettato nuove regole sulla programmazione, estesa anche all'acquisto di beni e servizi. Per questi ultimi, però, il programma è facoltativo e ha cadenza soltanto annuale.
Nel programma triennale dei lavori, che costituisce momento attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e quantificazione dei bisogni della collettività, devono trovare distinta indicazione anche eventuali immobili pubblici da cedere a titolo di corrispettivo del contratto di appalto (articolo 53, comma 6, Dlgs 163/2006).
L'elenco annuale deve poi essere approvato unitamente al bilancio di previsione, di cui costituisce parte integrante, e deve contenere l'indicazione dei mezzi finanziari stanziati, ovvero disponibili in base a contributi o risorse di soggetti pubblici o privati.
Le esigenze di coerenza del sistema programmatorio degli enti locali impongono la verifica della corrispondenza fra le previsioni di bilancio e quelle di realizzazione delle opere pubbliche.
Il bilancio annuale e pluriennale, nonché la relazione previsionale e programmatica, devono trovare piena corrispondenza nelle previsioni del programma triennale dei lavori pubblici e negli altri documenti di pianificazione strategica che l'ente è tenuto ad approvare, tra i quali il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari.
Per gli enti sperimentatori che adottano un bilancio armonizzato ai sensi del Dlgs 118/2011 la programmazione delle opere pubbliche deve andare oltre. È necessaria anche la formulazione del cronoprogramma (previsione degli importi degli stati avanzamento lavori) per ogni intervento programmato.
Ai fini della programmazione nel bilancio armonizzato, infatti, il principio della competenza finanziaria potenziato richiede che le spese di investimento siano impegnate negli esercizi in cui scadono le singole obbligazioni passive sulla base del relativo cronoprogramma.
Sempre sulla base del piano di realizzazione dei lavori l'ente sperimentatore prevede il fondo pluriennale vincolato, definito come il saldo finanziario costituito da risorse già accertate destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell'ente già impegnate, ma esigibili in esercizi successivi a quello in cui è accertata l'entrata.
Con il fondo pluriennale vincolato in sostanza sono rappresentati in bilancio i tempi di impiego (ultrannuale) delle risorse già acquisite.
La stessa fotografia dovrà essere recepita anche dal programma delle opere pubbliche, che dovrà essere "armonizzato" con i nuovi principi e le nuove regole contabili.
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In sintesi
01|LA SCADENZA
Il 15 ottobre è il termine ultimo per tutti gli enti pubblici per approvare il programma triennale delle opere pubbliche, l'aggiornamento e l'elenco annuale delle opere pubbliche
02|IL PROGRAMMA
Il programma triennale valuta i fabbisogni infrastrutturali della collettività e individua i finanziamenti
03|I SERVIZI
Da quest'anno l'ente potrà adottare un modello di programmazione, solo annuale, anche per servizi e forniture (articolo Il Sole 24 Ore del 14.10.2013).

APPALTIAppalti, pagamento subfornitori: cosa cambia con il Decreto Fare (12.10.2013 - link a www.giurdanella.it).

APPALTI: In sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, la stazione appaltante ha effettuato una approfondita disamina di tutte le componenti di costo indicate nelle giustificazioni riportate dall’impresa aggiudicatrice, specificando, in particolare, le ragioni per le quali ciascuna di esse risulti congrua con l’offerta presentata e, pertanto, idonea ad assicurare prestazioni conformi al servizio richiesto.
Altresì, nelle procedure di evidenza pubblica un’offerta non può ritenersi senz’altro anomala e comportante l’automatica esclusione dalla gara per il solo fatto che il costo del lavoro sia stato calcolato secondo valori non perfettamente corrispondenti a quelli risultanti dalle tabelle ministeriali; invero tali valori rappresentano non parametri inderogabili, ma indici del giudizio di congruità, conseguentemente affinché possa propendersi per l’anomalia dell’offerta, occorre (ma non è il caso di specie) che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata.

Osserva, invero, il Collegio, che in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, la stazione appaltante ha effettuato una approfondita disamina di tutte le componenti di costo indicate nelle giustificazioni riportate dall’impresa aggiudicatrice, specificando, in particolare, le ragioni per le quali ciascuna di esse risulti congrua con l’offerta presentata e, pertanto, idonea ad assicurare prestazioni conformi al servizio richiesto.
Sotto altro profilo, si deve, nondimeno, rilevare che nelle procedure di evidenza pubblica un’offerta non può ritenersi senz’altro anomala e comportante l’automatica esclusione dalla gara per il solo fatto che il costo del lavoro sia stato calcolato secondo valori non perfettamente corrispondenti a quelli risultanti dalle tabelle ministeriali; invero tali valori rappresentano non parametri inderogabili, ma indici del giudizio di congruità, conseguentemente affinché possa propendersi per l’anomalia dell’offerta, occorre (ma non è il caso di specie) che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 23.07.2012, n. 4206) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 11.10.2013 n. 1162 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Crediti vantati da subappaltatore non autorizzato per lavori/forniture effettuati nell'ambito dell'esecuzione dei lavori.
L'art. 21, L. n. 646/1982, vieta all'appaltatore di opere affidate dalla p.a. di concedere in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse senza l'autorizzazione dell'amministrazione committente.
Il D.Lgs. n. 163/2006 reca la disciplina del subappalto all'art. 118 che, al comma 8, prevede che la stazione appaltante provvede al rilascio dell'autorizzazione all'affidamento in subappalto entro 30 giorni dalla relativa richiesta, la cui decorrenza senza che si sia provveduto fa sì che l'autorizzazione si intenda concessa.
Secondo la giurisprudenza, il subappalto stipulato in assenza di autorizzazione, è nullo, per violazione di norma imperativa di legge (art. 21, L. n. 646/1982), ai sensi dell'art. 1418, c.c., e non può costituire un valido titolo sulla cui base fondare istanze creditorie nei confronti della p.a. committente.

L'Ente, in relazione ad un contratto di appalto di lavori pubblici in corso di conclusione, riferisce di aver pubblicato l'avviso di cui all'art. 218, D.P.R. n. 207/2010, per quanti vantassero crediti nei confronti dell'esecutore per indebite occupazioni di aree o stabili o per danni arrecati nell'esecuzione dei lavori. A seguito di detto avviso una ditta esterna, non rientrante tra i subappalti autorizzati, ha chiesto al Comune di provvedere al pagamento del credito da essa vantato nei confronti della ditta appaltatrice per lavori/forniture effettuati nell'ambito dell'esecuzione dei lavori, ma non autorizzati né conosciuti dall'amministrazione. Il Comune chiede, dunque, come sia corretto procedere rispetto alla pretesa creditoria avanzata dalla ditta esterna
[1].
Il subappalto è disciplinato dall'art. 118 del D.Lgs. n. 163/2006: in particolare, il comma 8 prevede che la stazione appaltante provvede al rilascio dell'autorizzazione all'affidamento in subappalto entro 30 giorni
[2] dalla relativa richiesta, la cui decorrenza senza che si sia provveduto fa sì che l'autorizzazione si intenda concessa.
L'autorizzazione al subappalto di cui all'art. 118, comma 8, è istituto manifestamente preordinato al perseguimento di interessi pubblici: le condizioni per l'ammissibilità del subappalto
[3], infatti, secondo la giurisprudenza, non appaiono intese (unicamente) a tutelare l'interesse dell'amministrazione committente all'immutabilità dell'affidatario, ma tendono ad evitare che nella fase esecutiva del contratto si pervenga, attraverso modifiche sostanziali dell'assetto di interessi scaturito dalla gara pubblica, a vanificare quell'interesse pubblico che ha imposto lo svolgimento di una procedura selettiva e legittimato l'individuazione di una determinata offerta come la più idonea a soddisfare le esigenze della collettività cui l'appalto è finalizzato [4].
La ratio della prescritta preventiva autorizzazione è, altresì, sottolineata dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP)
[5], la quale evidenzia il fine di preservare l'intuitus personae che connota i contratti pubblici, nonché lo scopo di prevenire il rischio che l'esecuzione delle prestazioni contrattuali sia svolta da soggetti (i subappaltatori appunto) privi dei requisiti di ordine generale e speciale necessari per contrarre con la pubblica amministrazione.
E ancora, l'AVCP osserva che l'esigenza di scongiurare tale rischio è sentita in modo talmente forte dall'ordinamento che il subappalto non autorizzato è penalmente sanzionato come reato contravvenzionale dall'art. 21, della legge 13.09.1982, n. 646 [6], che riconosce alla stazione appaltante 'la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto'.
L'art. 21 richiamato vieta all'appaltatore di opere affidate dalla p.a. di concedere in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse senza l'autorizzazione dell'Amministrazione committente; per cui, afferma la giurisprudenza
[7], il subappalto stipulato in violazione di tale norma imperativa è nullo ai sensi dell'art. 1418, c.c., perché in contrasto con una norma imperativa, e costituisce nel contempo grave inadempimento dell'appaltatore, che legittima la stazione appaltante a chiedere la risoluzione del contratto.
Per quanto concerne le pretese creditorie avanzate nei confronti della p.a. committente da parte del subappaltatore non autorizzato per crediti maturati verso l'appaltatore, risulta utile richiamare una pronuncia della Corte di Cassazione
[8], che, sia pure nel diverso caso della richiesta di pagamento alla p.a. proveniente da un appaltatore per le prestazioni fatte eseguire da un terzo non autorizzato, ha affermato il principio secondo cui l'istanza non può essere fondata sulla base di un subappalto non autorizzato.
Con riferimento alla fattispecie prospettata dal Comune, si può, pertanto, ritenere che nemmeno la ditta subappaltatrice non autorizzata possa vantare pretese creditorie verso la p.a., per prestazioni eseguite per la ditta esecutrice, sulla base di un contratto la cui stipulazione costituisce un fatto illecito dell'appaltatore nei confronti dell'amministrazione committente.
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[1] È il caso di osservare che la ditta esterna ha chiesto alla stazione appaltante di essere soddisfatta del proprio credito nei confronti della ditta appaltatrice per l'esecuzione di forniture/lavori, nell'ambito della procedura di avviso ai creditori di cui all'art. 218, D.P.R. n. 207/2010, norma, invero, relativa a crediti di altra natura e di cui si ritiene utile riportare il testo: 'All'atto della redazione del certificato di ultimazione dei lavori il responsabile del procedimento dà avviso al Sindaco o ai Sindaci del comune nel cui territorio si eseguono i lavori, i quali curano la pubblicazione, nei comuni in cui l'intervento è stato eseguito, di un avviso contenente l'invito per coloro i quali vantino crediti verso l'esecutore per indebite occupazioni di aree o stabili e danni arrecati nell'esecuzione dei lavori, a presentare entro un termine non superiore a sessanta giorni le ragioni dei loro crediti e la relativa documentazione'.
[2] Tale termine può essere prorogato una sola volta ove ricorrano giustificati motivi.
[3] Le condizioni per l'ammissibilità del subappalto sono indicate dal comma 2 dell'art. 118 in argomento: l'indicazione da parte del concorrente, all'atto della presentazione dell'offerta, o da parte dell'aggiudicatario, all'atto dell'affidamento, nel caso di varianti in corso di esecuzione, dei lavori, o delle parti di opere, ovvero dei servizi e delle forniture, o parti di servizi e forniture, che intende subappaltare; il deposito del contratto di subappalto nel termine previsto; il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione; l'insussistenza nei confronti del subappaltatore di alcuno dei divieti previsti dall'art. 10 della legge 31.05.1965, n. 575 ('Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere').
[4] Cfr. Cons. St., Sez. V, 23.01.2012, n. 262; Cons. St., Sez. IV, 24.03.2010, n. 1721.
[5] Cfr. Parere n. 16 del 27.09.2012.
[6] Recante: 'Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alla L. 27.12.1956, n. 1423, alla L. 10.02.1962, n. 57 e alla L. 31.05.1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia'.
[7] C. Cass., sez. I, sentenza 16.07.2003, n. 11131; C. Cass., sez. II, sentenza 18.11.1997, n. 11450.
[8] Cfr. C. Cass., n. 11131/2003, cit.
(11.10.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

LAVORI PUBBLICIFondi ai mini-enti, si parte. I 100 milioni stanziati saranno disponibili dal 24/10. Pubblicati in G.U. la convenzione tra ministero e Anci e il successivo atto aggiuntivo.
I 100 milioni di euro del Programma «6000 campanili» saranno ufficialmente in gioco a partire dal 24.10.2013, giorno di apertura dello sportello per presentare domanda. Sono stati infatti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 9 ottobre scorso la Convenzione sottoscritta il 29.08.2013 tra il ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Anci e il successivo Atto Aggiuntivo del 25.09.2013.
La pubblicazione fa quindi scattare i 15 giorni previsti per l'avvio dello sportello di presentazione. Sui siti internet del ministero di riferimento www.mit.gov.it e di Anci www.anci.it sono state inoltre pubblicate le prime Faq relative al programma.
Beneficiari i comuni fino a 5 mila abitanti. Possono presentare domanda di contributo finanziario i comuni che, sulla base dei dati anagrafici risultanti dal censimento della popolazione 2011, avevano una popolazione inferiore ai 5 mila abitanti, anche in associazione tra di loro.
Finanziati interventi infrastrutturali e messa in sicurezza. Sono finanziabili interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici ivi compresi gli interventi relativi all'adozione di misure antisismiche. Inoltre, sono finanziabili interventi per la realizzazione e manutenzione di reti viarie e infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse o reti telematiche di Ngn e Wi-fi, nonché interventi sulle reti viarie di competenza comunale ivi compresi gli eventuali lavori connessi a sottostanti sottoservizi. Infine, rientrano interventi per la salvaguardia e messa in sicurezza del territorio.
Finanziamento fino a un milione di euro. Ogni comune interessato potrà presentare un solo progetto anche comprendente più opere connesse funzionalmente. L'importo del finanziamento richiesto non potrà essere inferiore a 500 mila e superiore a 1 milione di euro.
Istanza via Pec. L'istanza di finanziamento, firmata digitalmente, dovrà essere inoltrata esclusivamente per Posta elettronica certificata (Pec), all'indirizzo pec@6000campanili.anci.it a partire dalle ore 9,00 del giorno 24.10.2013. Lo sportello rimarrà aperto per 60 giorni. È prevista una riserva di progetti finalizzata a finanziare almeno un progetto per regione/provincia autonoma tenendo sempre conto dell'ordine cronologico di ricezione delle richieste.
Necessaria una delibera di giunta successiva al 9 ottobre. All'istanza dovrà essere allegata una delibera di giunta di approvazione della richiesta di contributo finanziario, nomina del responsabile del procedimento, approvazione della relazione illustrativa dell'intervento e del approvazione del disciplinare. Oltre alla delibera di giunta, dovrà essere inviata una relazione illustrativa del Rup, apposita per la richiesta di finanziamento, nella quale saranno indicati la natura e le caratteristiche principali dell'intervento, lo stato di avanzamento delle attività procedurali, l'elenco dei pareri e permessi, la delibera, il cronoprogramma dei lavori e il Quadro economico dell'intervento.
Il richiedente dovrà inoltre produrre gli elaborati grafici idonei a consentire l'inquadramento generale dell'intervento. Infine, dovranno essere allegati una dichiarazione con indicazione del codice Iban e lo «Schema di disciplinare» compilato (articolo ItaliaOggi dell'11.10.2013).

APPALTI: Ai sensi dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm., il termine decadenziale di impugnazione, pari a 30 giorni, decorre “dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79” del d.lgs. n. 163/2006 (ndr: Art. 79 - Informazioni circa i mancati inviti, le esclusioni e le aggiudicazioni), “ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”.
Invero, come osservato da Cons. Stato, sez. VI, n. 6531/2011:
-- l’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006 è stato novellato dal d.lgs. n. 53/2010, al fine di garantire, attraverso forme puntuali di comunicazione, piena conoscenza e certezza della data di conoscenza in relazione agli atti di gara (segnatamente, esclusioni e aggiudicazioni);
-- la norma, tuttavia, da un lato, non prevede le elencate forme di comunicazione come ‘esclusive’ e ‘tassative’ e, d’altro lato, non incide sulle regole generali del processo amministrativo, in tema di decorrenza dei termini di impugnazione dalla data di notificazione, comunicazione o comunque piena conoscenza dell’atto; sicché lascia in vita la possibilità che la piena conoscenza dell’atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita con altre forme, ovviamente con onere della prova a carico di chi la eccepisce;
-- essa neppure ha inteso incidere sulla consolidata giurisprudenza in tema di decorrenza del termine di impugnazione dalla data della seduta pubblica in cui vengono adottati i provvedimenti di esclusione, se alla seduta è presente il rappresentante del concorrente e purché la conoscenza abbia i requisiti di ‘pienezza’;
-- a sua volta, l’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. si riferisce all’impugnazione di tutti gli atti delle procedure di affidamento, e fissa plurime decorrenze dei termini, o dalla ricezione della comunicazione ex art. 79, o, per i bandi, dalla pubblicazione ex art. 66, comma 8, del d.lgs. n. 163/2006, ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto;
-- l’espressione “in ogni altro caso”, non va riferita ad ‘atti diversi’ da quelli delle procedure di affidamento, e specificamente da quelli di cui all’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006, ma va riferita a ‘diverse forme’ di conoscenza dell’atto, diverse, cioè, da quelle dell’art. 79 e dell’art. 66, comma 8;
-- così interpretato, l’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. è coerente con la regola generale dettata dal precedente art. 41, comma 2, secondo cui il termine di impugnazione del provvedimento amministrativo decorre dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza dell’atto;
-- pertanto, esso non ha inteso fissare forme tassative di comunicazione degli atti di gara al fine della decorrenza del termine di impugnazione, ma ha inteso ribadire la regola generale secondo cui il termine decadenziale di impugnazione decorre o dalla comunicazione nelle forme di legge, o comunque dalla piena conoscenza dell’atto;
-- così, a prescindere dalla comunicazione nelle forme dell’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006, detto termine decorre, comunque, dalla piena conoscenza altrimenti acquisita.
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Se l’impresa assiste, tramite proprio rappresentante, alla seduta in cui vengono adottate le determinazioni sulle offerte anomale, è in detta seduta che essa acquisisce la piena conoscenza del provvedimento, ed è dalla data di detta seduta che decorre il termine per impugnare il provvedimento medesimo: la presenza di un rappresentante della ditta concorrente nella riunione nella quale la commissione giudicatrice ha escluso la ditta stessa dalla competizione non comporta, infatti, ex se, piena conoscenza dell’atto di esclusione ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, solo qualora non risulti che il rappresentante stesso era all’uopo incaricato oppure rivestiva una specifica carica sociale, onde potersi riferire la conoscenza avuta dal medesimo all’impresa concorrente.

Considerato, in rito, che:
- il ricorso introduttivo del presente giudizio risulta notificato (in data 22.08.2013) oltre il termine perentorio di 30 giorni ex art. 120, comma 5, cod. proc. amm., decorrente dalla piena conoscenza –perfezionatasi non oltre la seduta pubblica del 29.06.2013– dell’atto impugnato nei suoi contenuti essenziali e nella sua portata lesiva;
- in questo senso, giova rammentare che, già nella seduta pubblica del 28.06.2013, alla quale aveva assistito assistito il soggetto (Votino Giuseppe) all’uopo delegato dalla Irpinia Global Service, il presidente del seggio di gara aveva comunicato la motivata esclusione della ricorrente (“il presidente dà lettura delle motivazioni per le quali la ditta Irpinia Global Service va esclusa (allegato A)”: “la società Irpinia Global Service –recita l’allegato A al verbale di gara n. 2 del 28.06.2013– si è avvalsa di una ditta ausiliaria per il requisito di ordine economico-finanziario del fatturato globale, cumulando a quello proprio parte di quello posseduto dall’impresa ausiliaria (avvalimento parziale) … tale possibilità è esclusa dall’art. 49, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006”; “il contratto di avvalimento non rispetta le prescrizioni del disciplinare di gara di cui al paragrafo 16, punto 9, ove prevede che il contratto deve riportare in modo compiuto, esplicito ed esauriente le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico nonché la durata del contratto”);
- inoltre, nella successiva seduta pubblica del 29.06.2013, alla quale pure aveva assistito il soggetto (Iazzetta Ferdinando) all’uopo delegato dalla Irpinia Global Service, il presidente del seggio di gara aveva comunicato che, “anche in presenza delle osservazioni formulate nella seduta del 28.06.2013, si conferma l’esclusione dalla gara della ditta Irpinia Global Service per le motivazioni di cui all’allegato A al verbale del 28.06.2013”;
- ciò posto, occorre, a questo punto, rimarcare che, ai sensi dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm., il termine decadenziale di impugnazione, pari a 30 giorni, decorre “dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79” del d.lgs. n. 163/2006, “ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”;
- ora, non è ipotizzabile che tale disposizione ancori la decorrenza del termine decadenziale di impugnazione degli atti contemplati dal comma 5 dell’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006 (tra cui l’esclusione, sub lett. b) alle sole forme di comunicazione scritta previste dal successivo comma 5-bis (raccomandata con avviso di ricevimento, fax, posta elettronica certificata, notificazione) –come quella impiegata con la nota del 02.07.2013, prot. n. 3059– e non anche a modalità diverse di conoscenza –quale, appunto, quella attuata nella seduta pubblica del 29.06.2013–;
- ed invero, come osservato da Cons. Stato, sez. VI, n. 6531/2011:
     -- l’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006 è stato novellato dal d.lgs. n. 53/2010, al fine di garantire, attraverso forme puntuali di comunicazione, piena conoscenza e certezza della data di conoscenza in relazione agli atti di gara (segnatamente, esclusioni e aggiudicazioni);
     -- la norma, tuttavia, da un lato, non prevede le elencate forme di comunicazione come ‘esclusive’ e ‘tassative’ e, d’altro lato, non incide sulle regole generali del processo amministrativo, in tema di decorrenza dei termini di impugnazione dalla data di notificazione, comunicazione o comunque piena conoscenza dell’atto; sicché lascia in vita la possibilità che la piena conoscenza dell’atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita con altre forme, ovviamente con onere della prova a carico di chi la eccepisce;
     -- essa neppure ha inteso incidere sulla consolidata giurisprudenza in tema di decorrenza del termine di impugnazione dalla data della seduta pubblica in cui vengono adottati i provvedimenti di esclusione, se alla seduta è presente il rappresentante del concorrente e purché la conoscenza abbia i requisiti di ‘pienezza’;
     -- a sua volta, l’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. si riferisce all’impugnazione di tutti gli atti delle procedure di affidamento, e fissa plurime decorrenze dei termini, o dalla ricezione della comunicazione ex art. 79, o, per i bandi, dalla pubblicazione ex art. 66, comma 8, del d.lgs. n. 163/2006, ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto;
     -- l’espressione “in ogni altro caso”, non va riferita ad ‘atti diversi’ da quelli delle procedure di affidamento, e specificamente da quelli di cui all’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006, ma va riferita a ‘diverse forme’ di conoscenza dell’atto, diverse, cioè, da quelle dell’art. 79 e dell’art. 66, comma 8;
     -- così interpretato, l’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. è coerente con la regola generale dettata dal precedente art. 41, comma 2, secondo cui il termine di impugnazione del provvedimento amministrativo decorre dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza dell’atto;
     -- pertanto, esso non ha inteso fissare forme tassative di comunicazione degli atti di gara al fine della decorrenza del termine di impugnazione, ma ha inteso ribadire la regola generale secondo cui il termine decadenziale di impugnazione decorre o dalla comunicazione nelle forme di legge, o comunque dalla piena conoscenza dell’atto;
     -- così, a prescindere dalla comunicazione nelle forme dell’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006, detto termine decorre, comunque, dalla piena conoscenza altrimenti acquisita;
- nella specie, sussistono –come accennato– gli estremi della piena conoscenza dell’atto da impugnare sia nei suoi contenuti essenziali sia nella sua portata lesiva;
- in particolare, già nelle sedute pubbliche del 28.06.2013 e del 29.06.2013, sono stati comunicati e confermati sia il provvedimento di esclusione sia i motivi a suo fondamento ed era presente il soggetto all’uopo delegato dall’impresa esclusa, identificato nominativamente nel verbale di gara;
- a tale ultimo riguardo, la giurisprudenza afferma che, se l’impresa assiste, tramite proprio rappresentante, alla seduta in cui vengono adottate le determinazioni sulle offerte anomale, è in detta seduta che essa acquisisce la piena conoscenza del provvedimento, ed è dalla data di detta seduta che decorre il termine per impugnare il provvedimento medesimo: la presenza di un rappresentante della ditta concorrente nella riunione nella quale la commissione giudicatrice ha escluso la ditta stessa dalla competizione non comporta, infatti, ex se, piena conoscenza dell’atto di esclusione ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, solo qualora non risulti che il rappresentante stesso era all’uopo incaricato oppure rivestiva una specifica carica sociale, onde potersi riferire la conoscenza avuta dal medesimo all’impresa concorrente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1217/1999; sez. V, n. 6319/2004; n. 5728/2006; n. 2883/2008) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 10.10.2013 n. 4556 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' la valutazione di incongruità, ovvero di anomalia dell’offerta a soggiacere ad un serrato e stingente onere di motivazione, che deve possedere i caratteri della analiticità e completezza, laddove il giudizio positivo di congruità non richiede, di regola, l’espressione di una motivazione parimenti dettagliata, potendo essere formulato per relationem con riferimento alle giustificazioni e agli elementi integrativi di giudizio forniti dall’impresa in sede di espletamento del sub procedimento di valutazione dell’offerta anomala.
Invero, “nelle gare di appalto, mentre il provvedimento amministrativo che ritiene l’offerta anomala deve essere puntualmente motivato, quello che ritiene l’offerta non anomala non abbisogna di una motivazione analitica, essendo sufficiente anche un rinvio alle argomentazioni e giustificazioni della parte che ha formulato l’offerta sottoposta a verifica con esito positivo”.
Più specificamente si è più di recente chiarito affermato che “Nelle gare pubbliche d'appalto il giudizio positivo di congruità dell' offerta anomala non richiede un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni stesse, purché a loro volta queste siano state congrue ed adeguate” e che “In materia di gare di appalto nel caso in cui la valutazione sull' offerta sospetta di anomalia si traduca in un giudizio di congruità , non è necessario che il provvedimento finale sia sorretto da una motivazione articolata che descriva le singole giustificazioni corredandole con apprezzamenti ulteriori, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni”.
Su tale scia si era già precisato che “il giudizio di positiva attendibilità sull'offerta non richiede una analitica motivazione e può essere anche avvalorato per relationem con riferimento alle giustificazioni presentate dall'interessato che, si ripete, rilevano nel loro complesso, poiché l'attendibilità è questione complessiva e l'inattendibilità non discende ex se dall'errore in una singola argomentazione”.
Rimarca peraltro il Collegio che il naturale limite consustanziale al delineato indirizzo ermeneutico va ravvisato nell’adeguatezza e congruità, che si traduce poi nell’attendibilità, delle giustificazioni fornite dall’impresa scrutinata, carattere che solo può conferire alle stesse l’attitudine a fungere da elemento di riferimento su cui misurare per relationem il giudizio di congruità.
E’ infatti evidente che ove le giustificazioni prodotte dall’impresa a suffragio della pretesa congruità dell’offerta non siano munite del pregio della persuasività ed analiticità, le stesse non possono assurgere ad elemento sul quale la stazione appaltante può motivare per relationem la bontà della proposta contrattuale.
Invero il Consiglio di Stato ha efficacemente puntualizzato l’assunto in parola avendo precisato “in termini generali, che il giudizio positivo di congruità dell'offerta non richiede un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni stesse, purché a loro volta queste siano state congrue ed adeguate”.

Non sfugge alla Sezione l’approdo cui è pervenuta la giurisprudenza amministrativa in subiecta materia, avendo attinto e più volte ribadito il principio di diritto in ossequio al quale è la valutazione di incongruità, ovvero di anomalia dell’offerta a soggiacere ad un serrato e stingente onere di motivazione, che deve possedere i caratteri della analiticità e completezza, laddove il giudizio positivo di congruità non richiede, di regola, l’espressione di una motivazione parimenti dettagliata, potendo essere formulato per relationem con riferimento alle giustificazioni e agli elementi integrativi di giudizio forniti dall’impresa in sede di espletamento del sub procedimento di valutazione dell’offerta anomala.
Si rammenta che si è precisato che “nelle gare di appalto, mentre il provvedimento amministrativo che ritiene l’offerta anomala deve essere puntualmente motivato, quello che ritiene l’offerta non anomala non abbisogna di una motivazione analitica, essendo sufficiente anche un rinvio alle argomentazioni e giustificazioni della parte che ha formulato l’offerta sottoposta a verifica con esito positivo” (Cons. Stato, Sez. VI, 03.04.2002 n. 1853; Cons. Stato, Sez. VI, 08.03.2004 n. 1080, C.G.A., 29.01.2007 n. 5).
Più specificamente si è più di recente chiarito affermato che “Nelle gare pubbliche d'appalto il giudizio positivo di congruità dell' offerta anomala non richiede un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni stesse, purché a loro volta queste siano state congrue ed adeguate” (TAR Toscana Firenze Sez. I, 28.01.2013, n. 141) e che “In materia di gare di appalto nel caso in cui la valutazione sull' offerta sospetta di anomalia si traduca in un giudizio di congruità , non è necessario che il provvedimento finale sia sorretto da una motivazione articolata che descriva le singole giustificazioni corredandole con apprezzamenti ulteriori, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni” (TAR Lombardia Milano Sez. I, 23.02.2012, n. 593).
Su tale scia si era già precisato che “il giudizio di positiva attendibilità sull'offerta non richiede una analitica motivazione e può essere anche avvalorato per relationem con riferimento alle giustificazioni presentate dall'interessato che, si ripete, rilevano nel loro complesso, poiché l'attendibilità è questione complessiva e l'inattendibilità non discende ex se dall'errore in una singola argomentazione” (TAR Piemonte Torino Sez. I, 27.01.2011, n. 115).
Rimarca peraltro il Collegio che il naturale limite consustanziale al delineato indirizzo ermeneutico va ravvisato nell’adeguatezza e congruità, che si traduce poi nell’attendibilità, delle giustificazioni fornite dall’impresa scrutinata, carattere che solo può conferire alle stesse l’attitudine a fungere da elemento di riferimento su cui misurare per relationem il giudizio di congruità.
E’ infatti evidente che ove le giustificazioni prodotte dall’impresa a suffragio della pretesa congruità dell’offerta non siano munite del pregio della persuasività ed analiticità, le stesse non possono assurgere ad elemento sul quale la stazione appaltante può motivare per relationem la bontà della proposta contrattuale.
Invero il Consiglio di Stato ha efficacemente puntualizzato l’assunto in parola avendo precisato “in termini generali, che il giudizio positivo di congruità dell'offerta non richiede un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni stesse, purché a loro volta queste siano state congrue ed adeguate (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. V, 10.09.2012, n. 4785)” (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 10.10.2013 n. 4532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn caso di gare requisiti «in prestito» da più imprese. Corte europea. Sì all'avvalimento plurimo.
Non più una sola impresa in soccorso per prestare a un'altra i requisiti necessari a partecipare a una gara d'appalto di lavori. Da quando la Corte di giustizia europea ha bocciato il divieto italiano di avvalimento plurimo (ovvero di prestito dei requisiti tecnici) ora è possibile presentarsi in gara con più imprese ausiliarie.

Dopo la sentenza 10.10.2013 n. C-94/12 della Corte di giustizia è caduta la previsione contenuta al l'articolo 49, comma 6, del Dlgs 163/2006 (Codice degli Appalti), secondo cui il concorrente che partecipa a una gara di appalto di lavori per soddisfare i requisiti si può avvalere di una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione indicata nel bando. La norma è stata ritenuta in contrasto con la direttiva 2004/18/CE.
L'attuale formulazione del l'articolo 49, comma 6, era peraltro già il frutto di un adeguamento dell'originaria previsione che limitava l'avvalimento plurimo anche agli appalti di servizi e di forniture. All'esito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea con il Dlgs 152/2008 il legislatore aveva modificato la previsione nel senso oggi vigente.
Il contrasto tra le due legislazioni, quella comunitaria e quella nazionale, riflette due diverse esigenze. Infatti il legislatore italiano si preoccupa di tutelare la stazione appaltante che deve poter selezionare un operatore privato in grado di eseguire correttamente il contratto di appalto: questa esigenza sarebbe messa a rischio nel caso in cui il concorrente né direttamente né tramite l'ausiliaria sia in grado di possedere integralmente i requisiti di qualificazione richiesti.
L'obiettivo principale della direttiva comunitaria è, invece, «l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile» in modo da «facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese». Imporre invece un'impresa ausiliaria unica significherebbe non solo introdurre un vincolo che non trova corrispondenza in alcuna previsione della direttiva, ma significherebbe anche frustrare questo obiettivo.
Secondo la Corte quindi l'avvalimento deve essere utilizzato in modo coerente con la finalità di favorire la più ampia apertura del mercato, il che significa che di regola gli operatori potranno dimostrare il possesso dei requisiti di qualificazione richiesti, avvalendosi di due o più imprese e quindi sommando le loro attestazioni Soa al fine di raggiungere la categoria e la classifica richieste. Allo stesso modo, sarà possibile per il concorrente cumulare i propri requisiti a quelli della o delle imprese ausiliarie. Indipendentemente dal numero delle ausiliarie, a dover essere sempre verificata sarà invece l'effettiva messa a disposizione delle risorse, in modo da evitare che i contratti di avvalimento si traducano in mere previsioni di stile.
Certo, la Corte non nega che si possano manifestare situazioni in cui, in considerazione del l'importo dei lavori o della peculiarità degli stessi, sia necessario –prevedendolo prima nel bando– che i requisiti debbano essere posseduti da un unico soggetto (o da un numero limitato di soggetti). Ma si tratta comunque di ipotesi eccezionali lasciate alla discrezionalità della stazione appaltante che andranno motivate (articolo Il Sole 24 Ore del 25.11.2013).

LAVORI PUBBLICICorte europea. Avvalimento plurimo ammesso.
Va ammesso l'avvalimento plurimo per qualificarsi negli appalti di lavori; è quindi illegittimo l'articolo 49, comma 6 del Codice dei contratti pubblici.

È quanto afferma la sentenza 10.10.2013 n. C-94/12 della Corte di giustizia europea, che si è espresso sulla pregiudiziale del Tar Marche per una gara bandita dalla provincia di Fermo.
In particolare una impresa, violando il divieto di avvalimento plurimo previsto per i lavori dall'art. 49, comma 6 del Codice dei contratti, aveva dimostrato i requisiti di qualificazione in una categoria avvalendosi di più imprese, per dimostrare i requisiti di una specifica categoria. I giudici europei bocciano la norma italiana preliminarmente ricordando che la direttiva europea autorizza i raggruppamenti di operatori economici a partecipare a procedure di appalti pubblici senza limitazioni relative al cumulo di capacità e a subappaltatori.
Inoltre la precedente la giurisprudenza della stessa Corte aveva già ammesso la facoltà, per un operatore economico, di avvalersi, per eseguire un appalto, di mezzi appartenenti ad uno o a svariati altri soggetti, eventualmente in aggiunta ai propri mezzi. Così facendo infatti si persegue l'obiettivo dell'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, obiettivo perseguito dalle direttive a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma anche delle amministrazioni aggiudicatrici, facilitando l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
In relazione a tali presupposti la Corte afferma che la norma del Codice, prevedendo un divieto di carattere generale, non risulta conforme alla direttiva 2004/18 e quindi implicitamente costringerà il legislatore italiano ad una dovuta modifica per evitare una procedura di infrazione.
La pronuncia, in realtà ammette che, per lavori che presentino peculiarità tali da richiedere una determinata capacità che non si ottiene associando capacità inferiori di più operatori, si possa limitare l'avvalimento ma ciò deve rappresentare una eccezione, connessa e proporzionata all'oggetto dell'appalto singolo e non una regola generale (articolo ItaliaOggi dell'11.10.2013).

LAVORI PUBBLICILavori pubblici. Le imprese potranno qualificarsi con le caratteristiche di aziende nella stessa categoria di opere.
In gara con più requisiti in prestito. La Corte Ue cancella il divieto di «avvalimento plurimo» dal Codice dei contratti.
IL VANTAGGIO/ Sono soprattutto le Pmi ad «appoggiarsi» ad altre società per conquistare l'ammissione agli appalti.

Via libera all'avvalimento «plurimo» nel settore dei lavori pubblici. In nome dei principi di concorrenza, libertà di organizzazione dell'impresa e massima apertura del mercato degli appalti alle Pmi,
la Corte di Giustizia dell’Ue, con sentenza 10.10.2013 n. C-94/12, cancella la norma che impone a chi partecipa a una gara pubblica di avvalersi dei requisiti posseduti da una sola impresa per ciascuna categoria di lavori.
Il paletto imposto dal codice dei contratti pubblici (Dlgs 163/2006, articolo 49, comma 6) contrasta con la direttiva europea sugli appalti (2004/18/Ce). D'ora in avanti, dunque, un costruttore potrà partecipare a una gara di lavori dimostrando di poter contare sui requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi facendo leva su più imprese per la stessa tipologia di lavoro.
In sintesi è questo il principio stabilito dalla Corte di Giustizia europea, arrivata rapidamente a sentenza sul caso sottoposto la settimana scorsa dal Tar Marche in relazione al ricorso di una società esclusa da una gara d'appalto perché "accompagnata" in gara da più di un impresa ausiliaria.
Cade dunque il paletto secondo cui «un solo avvalimento deve essere sufficiente ad integrare i requisiti che il concorrente non possiede», come ricordava anche l'Autorità nella determinazione numero 2/2012, dedicata proprio a fornire le linee guida a stazioni appaltanti e imprese sull'utilizzo dell'avvalimento nelle procedure di gara.
Si tratta di una questione molto dibattuta in Italia, che ha dato adito anche a orientamenti ondivaghi della giurisprudenza. Rispetto alle indicazioni molto rigorose previste dal codice dei contratti che vietano esplicitamente di ricorrere ai mezzi di più di un'impresa "garante" per eseguire le lavorazioni previste da un appalto, le norme europee (articoli 47 e 48 della direttiva 2004/18/Ce), mantengono un'impostazione molto più "aperta". E infatti, ricorda ora la Corte Ue, «la direttiva non vieta ai candidati di fare riferimento alle capacità di più soggetti terzi per comprovare che soddisfano un livello minimo di capacità o i criteri fissati da un'amministrazione aggiudicatrice». Anzi, la giurisprudenza europea, ricorda la Corte, «ha indicato la facoltà, per un operatore economico, di avvalersi, per eseguire un appalto, di mezzi appartenenti ad uno o a svariati altri soggetti, eventualmente in aggiunta ai propri mezzi».
Secondo i giudici Ue, «un'interpretazione del genere è conforme all'obiettivo dell'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, obiettivo perseguito dalle direttive a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma anche delle amministrazioni aggiudicatrici, facilitando l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici».
La Corte non esclude «l'esistenza di lavori che presentino peculiarità tali da richiedere una determinata capacità che non si ottiene associando capacità inferiori di più operatori». In un'ipotesi del genere, continua la Corte «l'amministrazione aggiudicatrice potrebbe legittimamente esigere che il livello minimo della capacità in questione sia raggiunto da un operatore economico unico o da un numero limitato di operatori economici». Il punto è che deve trattarsi di «una situazione eccezionale» è non di «una regola generale».
Conclusione: il no all'avvalimento plurimo imposto dal codice contrasta con le norme europee e da ora in poi va disapplicato. Restano invece ancora in piedi gli altri due paletti previsti dal codice: quello che impone all'impresa ausiliaria (la società che presta i requisiti) di partecipare alla medesima gara in proprio e il divieto per la stessa impresa ausiliaria di prestare i requisiti a più di un concorrente in gara (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.10.2013).

LAVORI PUBBLICI: Appalti, illegittime le norme italiane che vietano attestazioni di più soggetti per lavori della stessa categoria.
Ancora una volta la Corte di Giustizia bacchetta l'Italia, stavolta in materia di appalti pubblici. Secondo gli eurogiudici, infatti,
è contrario al diritto dell'Unione il divieto generale di avvalimento plurimo all'interno della medesima categoria di qualificazione previsto dal nostro ordinamento. Si tratta, più precisamente, del divieto imposto ad una impresa di avvalersi di mezzi appartenenti ad uno o a più soggetti, nell'eventualità in aggiunta ai propri, secondo quanto disposto dal Codice dei Contratti pubblici.
Il caso
Davanti al TAR per le Marche pende una controversia che vede contrapposti, da un lato, la Swm Costruzioni 2 SpA e la Mannocchi Luigino DI, che hanno costituito un Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI), e, dall’altro, la Provincia di Fermo, a seguito della decisione di quest’ultima di escludere il citato RTI dalla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori.
In pratica, le due imprese di costruzioni sono state escluse dall’appalto dalla Provincia di Fermo per aver costituito un raggruppamento temporaneo d’impresa.
L’atto impugnato dinanzi al TAR è, per l’appunto, la decisione della Provincia di Fermo.
Il giudice amministrativo italiano, a sua volta, ha ritenuto opportuno proporre alla Corte di Giustizia dell’Ue una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione dell’art. 47, paragrafo 2, della direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.
In particolare, il giudice del rinvio chiede se gli articoli 47, paragrafo 2, e 48, paragrafo 3, della direttiva 2004/18 debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione nazionale che vieta agli operatori economici partecipanti ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di fare valere, per una medesima categoria di qualificazione, le capacità di più imprese.
La decisione della Corte
La Corte di Giustizia dell’Ue, con sentenza 10.10.2013 n. C-94/12, ha ribadito che alla luce del combinato disposto degli articoli 47, par. 2, 48, par. 3 e 44, par. 2 della direttiva 2004/18 sugli appalti pubblici, una normativa nazionale non può vietare agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, delle capacità di più imprese.
L’articolo 47, al paragrafo 1, lettera c), della direttiva sugli appalti pubblici prevede che l’amministrazione aggiudicatrice possa chiedere ai candidati o agli offerenti di provare la loro capacità economica e finanziaria mediante una dichiarazione concernente il fatturato globale nonché il fatturato del settore di attività oggetto dell’appalto, così come la prova delle loro capacità tecniche attraverso la presentazione dell’elenco dei lavori eseguiti negli ultimi cinque anni (art. 48, direttiva 2004/18).
Ciò posto –come rilevato anche dall’Avvocato generale al paragrafo 18 delle sue conclusioni– tali disposizioni non vietano, in via di principio, ai candidati o agli offerenti di fare riferimento alle capacità di più soggetti terzi per comprovare che soddisfano un livello minimo di capacità richiesta da un’amministrazione aggiudicatrice.
Tra l’altro, la Corte richiamando la giurisprudenza, afferma che un operatore economico può avvalersi, per eseguire un appalto, di mezzi appartenenti ad uno o a svariati altri soggetti, eventualmente in aggiunta ai propri mezzi.
Pertanto, deve considerarsi ammesso il cumulo delle capacità di più operatori economici per soddisfare i requisiti minimi di capacità imposti dall’amministrazione aggiudicatrice, purché alla stessa si dimostri che il candidato o l’offerente che si avvale delle capacità di uno o di svariati altri soggetti disporrà effettivamente dei mezzi di questi ultimi che sono necessari all’esecuzione dell’appalto.
In definitiva, la Corte, con la sentenza in commento, ha dichiarato che la normativa europea in materia di appalti (in particolare, gli articoli 47, paragrafo 2, e 48, paragrafo 3, della direttiva 2004/18/CE, letti in combinato disposto con l’art. 44, paragrafo 2) non ammette che una disposizione di uno Stato Membro –nella specie, l’Italia con l’art. 49, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei Contratti pubblici)– vieti, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori, di avvalersi delle capacità di più imprese, per una stessa categoria di qualificazione.
I possibili impatti pratico-operativi
Ancora una volta, dunque, la Corte di Giustizia ha bacchettato l’Italia, stavolta in materia di appalti pubblici.
A livello comunitario, la direttiva 2004/18/CE, che ha provveduto ad unificare tutte le norme comunitarie in materia di appalti pubblici (a parte i c.d. “settore speciali”, cioè quelli relativi agli enti erogatori di acqua e di energia e agli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, per i quali è stata contestualmente emanata la direttiva 2004/17/CE), ha come scopo l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, al fine di avvantaggiare non soltanto gli operatori economici, ma anche le amministrazioni aggiudicatrici.
Come rilevato dall’avvocato generale, la direttiva sugli appalti tende anche a facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
Pertanto, una disposizione nazionale –come quella italiana– non può vietare agli operatori economici partecipanti ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di fare valere le capacità di più imprese.
Gli eurogiudici hanno dimostrato di non gradire l’interpretazione restrittiva che il nostro legislatore –con la norma del Codice dei contratti– ha fornito sugli RTI e sull’avvalimento nelle attestazioni SOA, ritenendola perciò contraria al diritto dell’Unione.
Nella normativa europea, piuttosto, si rinviene chiaramente, un atteggiamento di “favore” volto a “favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici”, che ben possono, pertanto, mettersi insieme (in una RTI) per poter soddisfare i requisiti minimi di partecipazione contemplati dalle procedure di gara (CGUE, V Sez., sentenza 10.10.2013 n. C-94/12 - commento tratto da www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Istruzioni per la Valutazione Affidabilistica della Sicurezza Sismica di Edifici Esistenti (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Commissione di studio per la predisposizione e l'analisi di norme tecniche relative alle costruzioni, 10.10.2013).

APPALTI: E. Gregoraci, La (ir)rilevanza di precedenti esperienze analoghe nell’aggiudicazione di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - Nota a sentenza del Consiglio di Stato, n. 4405 del 04.09.2013 (10.10.2013 - link a www.filodiritto.com).

APPALTI: Segnalazione ai sensi dell’art. 6, comma 7, lettera f), del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 - Efficacia della sanzione di cui al comma 1-ter dell’art. 38 del Codice dei contratti (atto di segnalazione 09.10.2013 n. 5 - link a www.autoritalavoripubblici.it).
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Avcp segnala l'esigenza di cambiare il Codice. La lieve sanzione non mini il contratto.
Garantire la stipula del contratto in caso di lieve sanzione irrogata a seguito di false dichiarazioni rese in gara dal concorrente.

È quanto chiede, proponendo una apposita modifica al Codice dei contratti pubblici, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici presieduta da Sergio Santoro con la segnalazione 09.10.2013 n. 5 a Governo e Parlamento per intervenire sull'attuale formulazione dell'art. 38, comma 1, lett. h), del Codice dei contratti pubblici.
La norma impone alle stazioni appaltanti di escludere i soggetti (imprese, professionisti e ogni altro aspirante all'aggiudicazione di contratti pubblici) che risultino iscritti, a seguito di una apposita procedura in contraddittorio gestita dall'Autorità, nel casellario informatico dell'Osservatorio per presentazione in gara di documentazione falsa o di dichiarazioni false relativamente a requisiti o a condizioni rilevanti per la partecipazione alla procedura di affidamento.
L'organismo di vigilanza segnala un aspetto di particolare rigidità della norma che andrebbe rettificato; fa presente che un operatore economico, a cui sia stata inibita la partecipazione alle gare per un breve periodo di tempo (ad esempio 15 giorni) in ragione della lievità dei fatti, possa in concreto venire espulso dalle fasi di gara successive alla presentazione dell'offerta/domanda, con l'effetto di dilatare, nella pratica, l'efficacia della sanzione fino ad abbracciare un periodo molto più lungo di quello indicato nel provvedimento. Ciò determina, afferma l'Autorità, un'ultrattività della sanzione che arriva a coprire l'intero arco temporale dello svolgimento delle operazioni di gara.
La proposta dell'Authority è quindi quella di prevedere che la sanzione non impedisca al concorrente la stipulazione del contratto quando l'annotazione nel casellario sia intervenuta successivamente alla scadenza fissata per la presentazione della domanda di partecipazione o dell'offerta (data in cui, pertanto, l'operatore era in possesso del requisito in parola) e l'interdizione comminata abbia esaurito i suoi effetti prima dello svolgimento dei controlli sui requisiti, eventualmente espletati in corso di procedura, ivi compreso il controllo a seguito dell'aggiudicazione definitiva.
Infine l'Autorità chiede che sia anche fissato un minimo della sanzione (un mese) ed elabora quindi una proposta di modifica dell'articolo 38, comma 1, lettera h), conseguente a quanto segnalato (articolo ItaliaOggi del 25.10.2013).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 09.10.2013 n. 237 "Approvazione dell’Atto aggiuntivo alla Convenzione 29.08.2013 disciplinante i criteri per l’accesso all’utilizzo delle risorse degli interventi che fanno parte del primo Programma «6000 Campanili»" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, decreto 26.09.2013).
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Sulla materia, si legga tutta la normativa aggiornata ad oggi -e relativa modulistica- reperibile cliccando qui circa la pagina web opportunamente dedicata da parte del Ministero.

LAVORI PUBBLICIAvvalimento plurimo, divieto a rischio. Sul tavolo della Corte di giustizia europea la previsione del Codice dei contratti. Il tribunale amministrativo regionale delle marche solleva la questione.
È a rischio di illegittimità comunitaria il divieto di avvalimento plurimo previsto dall'art. 49 del Codice dei contratti pubblici. Sarà infatti la Corte di giustizia europea, alla quale il Tar Marche ha posto la questione, a dovere verificare se il limite imposto dal decreto legislativo 163/2006 all'articolo 49, comma 6, sia conforme al diritto comunitario.
Nel nostro ordinamento, infatti, la possibilità, per il concorrente, di dimostrare il possesso dei requisiti richiesti dalla lex specialis di gara facendo riferimento a quelli posseduti da altre imprese, dette ausiliarie, viene limitato nel settore dei lavori all'«utilizzo» di «una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione». Nel caso posto all'attenzione dei giudici marchigiani invece una impresa aveva utilizzato lo strumento dell'avvalimento rispetto a più imprese, risultando prima ammessa e successivamente esclusa dalla gara. Da ciò il ricorso al Tar e la trasmissione della questione pregiudiziale alla Corte di giustizia sulla compatibilità della norma nazionale con le direttive europee.
Nella direttiva 2004/18 e nella 2004/17 per i settori speciali, infatti, si prevede che «un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi». Nessun limite viene quindi previsto nella normativa comunitaria all'istituto dell'avvalimento, considerato dal legislatore europeo, anche nelle proposte di nuove direttive che dovrebbero essere approvate definitivamente all'inizio del prossimo anno, come strumento essenziale a tutela delle piccole e medie imprese.
La giurisprudenza italiana non aveva ancora approfondito l'argomento specifico, essendosi limitato il Consiglio di stato a escludere l'utilizzo di più imprese ausiliarie per ciascuna categoria di qualificazione, ma non già il cumulo tra avvalimento e associazione di una mandante per la medesima categoria, situazione che non genera cumulo tra requisiti ma si configura quale modalità partecipativa alla gara (sezione V, 15.11.2010, n. 8043). La Corte europea si dovrà pronunciare nei prossimi mesi (articolo ItaliaOggi del 09.10.2013).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTIIl diritto di accesso agli atti apre anche ai subappaltatori. Tar Lazio. A garanzia dei pagamenti.
L'INDICAZIONE/ Per i giudici amministrativi l'opportunità si estende a catena per poter «valutare» la situazione dei fornitori.

Non è necessario avere un rapporto diretto con un ente di natura pubblicistica per poter esercitare il diritto di accesso agli atti necessario a passare sotto esame la capacità dell'ente di effettuare i pagamenti nei confronti dei fornitori. Questo diritto si estende a catena, e riguarda anche chi ha stipulato un contratto con una società privata che, a sua volta, si è vista affidare un appalto dall'ente pubblico in questione: in particolare, se il privato appaltatore non onora i contratti con la società "a valle", quest'ultima può bussare direttamente alle porte dell'ente pubblico, e mettere gli occhi sul contratto di appalto, sugli stati di avanzamento lavori, sui certificati e sui mandati di pagamento emessi in favore dell'appaltatore.
Lo ha stabilito il TAR Lazio-Roma, Sez. III, nella sentenza 07.10.2013 n. 8639, che sulla base di questo ragionamento ha dato ragione a una Srl impegnata senza successo nella richiesta degli atti a un'università.
La Srl, infatti, aveva firmato un contratto con un'altra società privata, titolare di un appalto bandito dall'ateneo per una serie di interventi sulle strutture. Il lavoro era stato eseguito, ma i pagamenti previsti dal contratto (500mila euro) non erano mai arrivati.
Il Codice degli appalti (Dlgs 163/2006, articolo 118) tutela il subappaltatore, imponendo fra l'altro all'ente pubblico di bloccare i versamenti se l'affidatario non certifica puntualmente i pagamenti effettuati nei confronti dei privati che lavorano per lui; per esercitare questo diritto, dal momento che l'affidatario era finito nella procedura di concordato preventivo, la Srl ha chiesto all'ateneo di accedere ai documenti, ma non ha ricevuto risposta (in questi casi, in base all'articolo 25, comma 4, della legge 241/1990, il silenzio equivale a un rifiuto).
Da qui la lite, a cui il Tar Lazio ha offerto la prima soluzione.
Per i giudici amministrativi, la condizione di subappaltatore determina un «interesse concreto e attuale» all'accesso agli atti, perché con la documentazione in mano può chiedere il blocco dei pagamenti all'ente pubblico e decidere come agire in via giurisdizionale. Contratti e mandati di pagamento, specifica il Tar, hanno natura privatistica, ma rientrano nel novero dei «documenti amministrativi» se adottati da un ente pubblico (articolo Il Sole 24 Ore del 09.10.2013).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTIP.a. aperta ai subappaltatori. Crediti verso appaltatori? Stato dei lavori senza segreti. Sancito dal Tar del Lazio il diritto di accesso a tutela degli interessi delle imprese.
Il subappaltatore che vanta un credito verso l'impresa subappaltante può esercitare il diritto di accesso nei confronti dell'ente pubblico che ha commissionato i lavori. Quest'ultimo, quindi, è tenuto a rendere disponibile tutta la documentazione relativa al contratto di appalto e alla sua esecuzione.

L'importante chiarimento arriva dal TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 07.10.2013 n. 8639, che ha ordinato a una persona giuridica di diritto pubblico (rientrante nella categoria degli enti pubblici non economici) di esibire al subappaltatore, oltre al contratto di appalto, anche tutti gli stati avanzamento lavori (Sal), i certificati e i mandati di pagamento da essa emessi in favore dell'impresa appaltatrice.
Secondo i giudici laziali, la conoscenza di tale documentazione, dando riscontro sullo stato dei pagamenti effettuati dall'ente pubblico, consente al creditore di decidere sulle iniziative più adeguate al recupero delle somme che formano oggetto del suo credito.
La rilevanza pronuncia, peraltro, va al di là del caso specifico, in quanto essa afferma che i predetti documenti, sebbene abbiano natura privatistica, rientrano comunque nella nozione di «documento amministrativo» ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. d), della l 241/1990, in quanto sono stati adottati da un ente pubblico che persegue le proprie finalità pubblicistiche anche attraverso strumenti di diritto privato. Essi, pertanto, sono soggetti all'accesso e, quindi, ostensibili al privato (cfr, Consiglio di Stato IV sezione, sentenza 04.02.1997, n. 82).
Non solo, ma la sussistenza del diritto di accesso non è subordinato alla sussistenza di un subappalto ai sensi dell'art. 118 del Codice dei contratti: ciò che conta, infatti, è che vi sia un rapporto, seppure indiretto, tra il soggetto pubblico e una delle due imprese e che l'altra possa vantare un interesse concreto e attuale alla conoscenza del relativo fascicolo. In tal caso, l'ente pubblico non può negare l'accesso (articolo ItaliaOggi del 09.10.2013).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: La controversia si incentra nel chiarire se l’emissione di una sentenza secondo il rito del patteggiamento, in cui manca un giudizio formale di accertamento del fatto di reato, possa costituire o meno presupposto per l’irrogazione, da parte della P.A., del divieto all’esercizio dell’attività commerciale.
Osserva al riguardo il Collegio che, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., “la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”.
Dal tenore letterale della citata disposizione, quindi, emerge chiaramente la volontà del legislatore di escludere l’efficacia della sentenza patteggiata solo nell’ambito dei giudizi civili ed amministrativi, restando, per converso, ferma la sua equiparazione alla pronuncia di condanna ad ogni altro fine.
In altri termini, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non può essere posta dal giudice civile o amministrativo a fondamento di pronunce che postulino l’accertamento del fatto, né può spiegare effetti penali che siano subordinati a detto accertamento, in quanto priva dell’autorità propria del giudicato sostanziale, ma è “del tutto equivalente alla condanna ordinaria, in mancanza di una disposizione che lo escluda espressamente, rispetto a quegli effetti extrapenali che l’ordinamento automaticamente ricollega al fatto giuridico della condanna, indipendentemente dai presupposti e dalle modalità procedimentali con cui sia stata adottata”.
Ed una siffatta espressa esclusione non è rinvenibile nell’art. 5 del D.Lgs. 114/1998.
Il Collegio, pertanto, non ha, motivo di discostarsi dall’insegnamento giurisprudenziale ormai consolidato e coerente al citato dato normativo, secondo cui “quando una norma assume l’esistenza di una condanna penale come presupposto (più o meno vincolante) per l’adozione di un provvedimento amministrativo, ovvero quale preclusione all’esercizio di determinate facoltà o diritti, a questi fini vale come sentenza di condanna anche quella emessa a seguito di patteggiamento”.

È pacifico in causa che l’originario legale rappresentante della R. abbia subito una condanna, con sentenza passata in giudicato, per il reato di bancarotta fraudolenta.
La controversia si incentra, quindi, nel chiarire se l’emissione di una sentenza secondo il rito del patteggiamento, in cui manca un giudizio formale di accertamento del fatto di reato, possa costituire o meno presupposto per l’irrogazione, da parte della P.A., del divieto all’esercizio dell’attività commerciale.
Osserva al riguardo il Collegio che, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., “la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”.
Dal tenore letterale della citata disposizione, quindi, emerge chiaramente la volontà del legislatore di escludere l’efficacia della sentenza patteggiata solo nell’ambito dei giudizi civili ed amministrativi, restando, per converso, ferma la sua equiparazione alla pronuncia di condanna ad ogni altro fine.
In altri termini, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non può essere posta dal giudice civile o amministrativo a fondamento di pronunce che postulino l’accertamento del fatto (cfr. Corte Cost., 11.12.1995, n. 499), né può spiegare effetti penali che siano subordinati a detto accertamento, in quanto priva dell’autorità propria del giudicato sostanziale, ma è “del tutto equivalente alla condanna ordinaria, in mancanza di una disposizione che lo escluda espressamente, rispetto a quegli effetti extrapenali che l’ordinamento automaticamente ricollega al fatto giuridico della condanna, indipendentemente dai presupposti e dalle modalità procedimentali con cui sia stata adottata” (Cons. Stato, Sez. IV, 18.06.2009, n. 4006).
Ed una siffatta espressa esclusione non è rinvenibile nell’art. 5 del D.Lgs. 114/1998.
Il Collegio, pertanto, non ha, motivo di discostarsi dall’insegnamento giurisprudenziale ormai consolidato e coerente al citato dato normativo , secondo cui “quando una norma assume l’esistenza di una condanna penale come presupposto (più o meno vincolante) per l’adozione di un provvedimento amministrativo, ovvero quale preclusione all’esercizio di determinate facoltà o diritti, a questi fini vale come sentenza di condanna anche quella emessa a seguito di patteggiamento” (cfr. da ultimo e per tutte: Cons. Stato, Sez. III, 27.03.2012, n. 1781).
Ne consegue la fondatezza dell’appello principale interposto dal Comune di Padova,atteso che erroneamente il Tar, per l’applicazione dell’art. 5 del D.Lgs. 114/1998, non ha ritenuto la piena equiparabilità tra la sentenza di condanna e quella emessa su richiesta delle parti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.10.2013 n. 4921 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In materia di gare di appalto (D.Lgs. n. 163/2006 - Codice degli appalti) in una situazione di obiettiva incertezza (quando cioè le clausole della lex specialis risultino imprecisamente formulate o si prestino comunque ad incertezze interpretative) la risposta dell'amministrazione appaltante ad una richiesta di chiarimenti avanzata da un concorrente non costituisce un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta di interpretazione autentica, con cui l'amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis.
Si rammenta in proposito che, per consolidata giurisprudenza "in materia di gare di appalto (D.Lgs. n. 163/2006 - Codice degli appalti) in una situazione di obiettiva incertezza (quando cioè le clausole della lex specialis risultino imprecisamente formulate o si prestino comunque ad incertezze interpretative) la risposta dell'amministrazione appaltante ad una richiesta di chiarimenti avanzata da un concorrente non costituisce un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta di interpretazione autentica, con cui l'amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis" (Cons. Stato Sez. V, 17/10/2012, n. 5296) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 07.10.2013 n. 2236 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'obbligo di predisporre adeguate cautele a tutela dell'integrità delle buste contenenti le offerte delle imprese partecipanti a gare pubbliche, in mancanza di apposita previsione da parte del legislatore, discende necessariamente dalla ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l'individuazione del contraente, in quanto l'integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti è uno degli elementi sintomatici della segretezza delle offerte e della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità, consacrati dall'articolo 97 della Costituzione, ai quali deve uniformarsi l'azione amministrativa.
Sicché la mera circostanza che il plico sia pervenuto aperto alla commissione di gara implica l'esclusione della partecipante, indipendentemente dal soggetto cui sia addebitabile l'erronea apertura, stante l'esigenza di assicurare la garanzia dei principi di par condicio e di segretezza delle offerte.

... per l'annullamento della determinazione dirigenziale n. d19/53 del 02/10/2012, con la quale si è disposto "di non ammettere l'istanza presentata da polo per l'innovazione - cooperazione- sostenibilità soc.cons.coop. al pos fasr abruzzo 2007-20013 -attività di sostegno alla creazione dei polo di innovazione".
...
- Considerato che essendo il ricorso manifestamente infondato può essere emanata nella specie sentenza in forma semplificata ex art. 74 C.P.A..
- Che invero in primo luogo va precisato che l'avviso pubblico de quo all'articolo 2 ha previsto espressamente che avrebbero trovato applicazione le norme sugli appalti pubblici di cui al decreto legislativo 12.04.2006 numero 163;
- Che della normativa sugli appalti non si è fatta, pertanto, nella specie, applicazione analogica, bensì diretta, in quanto richiamata dalla legge speciale di gara;
- Che ciò stante, nella specie, non può non trovare applicazione l'articolo 46, comma 1-bis, (come aggiunto dall'articolo 4 del decreto-legge 13.05.2011 numero 70 convertito in legge 12.07.2011 numero 106) del decreto legislativo numero 163 del 2006, il quale, nel prevedere in via generale l'esclusione del concorrente per mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice, dal regolamento ed da altre disposizioni di legge vigenti, precisa che l'esclusione va comunque disposta "in caso di non integrità del plico contenente l'offerta";
- Che la giurisprudenza amministrativa ha affermato il principio secondo cui "l'obbligo di predisporre adeguate cautele a tutela dell'integrità delle buste contenenti le offerte delle imprese partecipanti a gare pubbliche, in mancanza di apposita previsione da parte del legislatore, discende necessariamente dalla ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l'individuazione del contraente, in quanto l'integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti è uno degli elementi sintomatici della segretezza delle offerte e della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità, consacrati dall'articolo 97 della Costituzione, ai quali deve uniformarsi l'azione amministrativa" (confronta Consiglio di Stato, sezione quinta, 28.03.2012, numero 1862);
- Che nella specie il principio della segretezza delle offerte risulta palesemente violato, posto che, è pacifico il fatto che nella specie il plico spedito dalla ricorrente è arrivato aperto presso la Direzione Sviluppo Economico e Turismo (l'accertamento è stato effettuato e dichiarato dal dipendente addetto al protocollo);
- Che ciò stante, nella specie, deve trovare necessariamente applicazione il principio giurisprudenziale secondo cui "la mera circostanza che il plico sia pervenuto aperto alla commissione di gara implica l'esclusione della partecipante, indipendentemente dal soggetto cui sia addebitabile l'erronea apertura, stante l'esigenza di assicurare la garanzia dei principi di par condicio e di segretezza delle offerte” (confronta Tar Veneto, prima sezione, 19.07.2005, numero 2867) (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 05.10.2013 n. 830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: ASSENZA DI FORMA SCRITTA NEI CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
Il riconoscimento di debiti fuori bilancio se da un lato consente di far salvi gli impegni di spesa in precedenza assunti senza copertura contabile, per altro verso non innova la disciplina che regolamenta la conclusione dei contratti da parte della p.a., né introduce una sanatoria per i contratti eventualmente nulli o comunque invalidi, come quelli conclusi in assenza di forma scritta ad substantiam per i contratti conclusi iure privatorum dalla p.a..
Sorge questione tra un ente locale e un appaltatore per il pagamento di un importo dovuto per forniture di merce, oggetto di riconoscimento in debito fuori bilancio.
Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettarono la domanda dell’appaltatore sul rilievo che i contratti di fornitura erano nulli perché privi di forma scritta, necessaria per ogni contratto della p.a. ed ancora osservando che le delibere ricognitive del debito fuori bilancio non potessero considerarsi ricognitive del debito, in quanto non portate a conoscenza del creditore.
La questione approda in Cassazione, che conferma le statuizioni di merito, seppur integrando la motivazione della pronuncia d’appello.
In particolare, merita di essere segnalato come la Cassazione abbia affermato che il riconoscimento, da parte degli enti locali di debiti fuori bilancio (ex art. 24 del D.L. 02.03.1989 n. 66, convertito con modificazioni in L. 24.04.1989 n. 144, nonché dell’art. 12-bis del D.L. 12.01.1991 n. 6, convertito con modificazioni in L. 15.03.1991 n. 80) se da un lato consente di far salvi gli impegni di spesa in precedenza assunti senza copertura contabile, per altro verso non innova la disciplina che regolamenta la conclusione dei contratti da parte della p.a., né introduce una sanatoria per i contratti eventualmente nulli o comunque invalidi, come quelli conclusi in assenza di forma scritta ad substantiam per i contratti conclusi iure privatorum dalla p.a.
Tale riconoscimento di debito fuori bilancio, quindi, presuppone l’esistenza di un’obbligazione validamente assunta dall’ente locale, pur se in assenza di copertura finanziaria, ma non può costituire fonte di obbligazione (cfr. Cass. n. 9412/2011; id. n. 2489/2007; id. n. 11021/2005; id. n. 26826/2006).
In altri termini, la procedura di riconoscimento dei debiti fuori bilancio sana la nullità conseguente alla mancata indicazione della copertura finanziaria ed ha cioè l’effetto contabile di rendere possibile il pagamento, ma non vale a sanare altre cause di nullità, né in particolare quella derivante dalla mancata attribuzione dell’incarico in forma scritta (Cass. civ. n. 7966/2008, id., n. 27406/2008) (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 04.10.2013 n. 22754 - tratto da Urbanistica e appalti n. 12/2013).

APPALTI: Appalti, solidarietà caso per caso. Se c'è avvalimento conta quanto scritto nel contratto. Sul rapporto tra i due istituti continua a esserci incertezza in giurisprudenza e tra gli operatori.
Le incertezze della giurisprudenza e i dubbi degli operatori di settore sono lo spunto per tornare a occuparsi brevemente di un tema ampiamente dibattuto nel settore dei contratti pubblici: l'istituto dell'avvalimento.
Sulla scorta delle indicazioni comunitarie e delle poche disposizioni di legge che riguardano l'argomento, la giurisprudenza ha nel tempo maturato il convincimento circa una massima possibilità di utilizzo dell'istituto. Da iniziali posizioni di maggiore rigidità si è, infatti, passati a una estensione e più corretta definizione dei limiti operativi dell'istituto, ammettendo che questo possa oggi riguardare anche requisiti all'inizio ritenuti incedibili, quale, ad esempio, l'iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali.
In tale opera di sempre migliore definizione dei contorni dell'istituto rimane esclusa, invece, la possibilità dell'avvalimento per i requisiti totalmente soggettivi (es. dichiarazioni ex art. 38 del dlgs n. 163/2006), mentre ancora dibattuta appare la possibilità di avvalersi di sistemi di qualità Iso riconosciuti ad altri soggetti (Tar Lazio – Roma, n. 4130/2013; Avcp, delibera n. 2/2012; in senso contrario Consiglio di stato, n. 2344/2011). Rispetto a tali profili, comunque fonte di ampio dibattito, appare viceversa non sufficientemente esplorato lo specifico ruolo che l'ausiliario va ad assumere nell'ambito della procedura di gara, nel rapporto plurilaterale che si viene a instaurare con aggiudicatario e stazione appaltante.
Al riguardo è, infatti, facile osservare che l'ausiliario non è un semplice soggetto terzo rispetto alla gara poiché in seno a essa assume un puntuale impegno, non solo verso l'impresa concorrente ausiliata ma anche verso la stazione appaltante, a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui questi è carente, diventando così titolare passivo di un'obbligazione accessoria a quella principale (del concorrente) e che si perfeziona con l'aggiudicazione a favore del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti (Tar Lazio - Roma, n. 10990/2007). Ed ancora non va dimenticato che, ai sensi di quanto disposto all'art. 49, comma 4, del dlgs n. 163/2006, concorrente e impresa ausiliaria sono responsabili in solido, nei confronti della stazione appaltante, in relazione alle prestazioni oggetto del contratto.
Ma proprio alla luce di tale ultimo profilo sorge spontaneo domandarsi se esistano o meno dei limiti entro i quali l'ausiliario è responsabile in solido con il soggetto ausiliato e ciò soprattutto allorché il requisito oggetto di avvalimento non attenga alla vera e propria prestazione dell'appalto ma -si supponga- sia funzionale alla mera ammissione alla gara (ad esempio, avvalimento di un requisito di fatturato, generale o specifico, ovvero avvalimento di un requisito di esperienza per lo svolgimento di determinati servizi/attività analoghi).
Quanto detto anche perché in ipotesi di avvalimento «immateriale», ovvero in un caso in cui l'ausiliario aveva «prestato» al concorrente la propria solidità economica e finanziaria, in modo del tutto disancorato dalla messa a disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali, è stato ritenuto che l'avvalimento, di fatto, ampliando lo spettro della responsabilità per la corretta esecuzione dell'appalto, estendesse la base patrimoniale della responsabilità da esecuzione dell'appalto.
Con la conseguenza di poter ritenere che, con riferimento all'avvalimento dei requisiti economici e finanziari (volume di affari o del fatturato) ovvero il c.d. avvalimento di garanzia (ammesso in taluni casi addirittura con riguardo alle referenze bancarie), l'istituto dispiegherebbe la sua funzione di assicurare alla stazione appaltante un partner commerciale che goda di una (complessiva) solidità patrimoniale proporzionata ai rischi dell'inadempimento o inesatto adempimento della prestazione dedotta nel contratto di appalto.
Peraltro, solo per tali motivi, e, dunque, solo per la possibilità di avere a disposizione risorse o capacità economiche maggiori e quindi un assoluto grado di responsabilità solidale delle imprese coinvolte in relazione all'intera prestazione dedotta nel contratto da aggiudicare, sarebbe ammissibile una deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione alla gara. Infatti, al di fuori di tale ipotesi, la messa a disposizione di requisiti (soggettivi e) astratti, cioè svincolati da qualsivoglia collegamento con risorse materiali o immateriali, snaturerebbe e stravolgerebbe l'istituto dell'avvalimento per piegarlo a una logica di elusione dei requisiti stabiliti nel bando di gara (cfr. Tar Campania, Napoli, n. 644 del 02/02/2011).
La pur pregevole ricostruzione, tuttavia, non sembra cogliere nel segno o quantomeno non pare applicabile alla complessiva categoria di contratti di avvalimento aventi ad oggetto requisiti (immateriali) di «esperienza» che non esplicano alcun effetto con riferimento specifico alla prestazione oggetto del contratto pubblico e che, invece, riguardano i requisiti di ammissione del soggetto alla gara.
In altre parole occorrerà tenere ben separati i casi di avvalimento che attestino una reale solidità economico/finanziaria del soggetto, dai casi in cui il fatturato (specifico), oggetto di avvalimento, è indice esclusivo di aver maturato una puntuale esperienza in un dato settore di mercato. Infatti, mentre nel primo caso potrebbero venire in rilievo le osservazioni anzidette in merito ad una assoluta solidarietà tra avvalente e ausiliato, nel secondo caso non potrà che rilevare, solo ed esclusivamente, quanto dedotto nel contratto di avvalimento.
I dubbi maggiori attengono alla necessità di dover contemperare all'interno del medesimo contratto: (I) da un lato, il prestito di un requisito immateriale di «esperienza» con la necessità (e diremo anche l'evidente difficoltà) di far corrispondere tale prestito immateriale ad una corretta definizione delle risorse e dei mezzi prestati in modo che l'assetto contrattuale risulti coerente alle previsioni del Regolamento e alle indicazioni giurisprudenziali relative ai contenuti minimi del contratto di avvalimento; (II) dall'altro, una corretta perimetrazione delle risorse messe a disposizione allo scopo di non far assumere all'ausiliario responsabilità eccessive (articolo ItaliaOggi del 04.10.2013).

APPALTIDecreto Fare e costo del lavoro negli appalti (04.10.2013 - link a www.giurdanella.it).

APPALTILa responsabilità solidale appalti dopo la conversione dei decreti Fare e Lavoro (04.10.2013 - link a www.giurdanella.it).

APPALTI SERVIZI: Il corpo di disposizioni dettate dal d.lgs. n. 157 del 1995 in tema di appalti pubblici di servizi, vigente nel periodo di svolgimento della gara, non reca specifiche previsioni sulla fissazione di termini perentori per la conclusione delle gare.
Lo stesso r.d. n. 827 del 1924, di approvazione del regolamento di esecuzione della legge di contabilità di Stato, codifica all’art. 71 la regola di conclusione della gara in un sol giorno con riguardo al solo metodo di scelta del contraente con asta pubblica.
Diverse esigenze presiedono, invece, l’andamento del procedimento nel caso in cui la selezione del contraente avvenga -come nella fattispecie di cui è causa- secondo il criterio dell’offerta più vantaggiosa, trattandosi di metodo che impone più articolate cadenze procedimentali ed una più complessa valutazione del merito delle offerte tecniche in più sedute del collegio giudicante.

Ed invero -quanto ai profili di violazione di legge- il corpo di disposizioni dettate dal d.lgs. n. 157 del 1995 in tema di appalti pubblici di servizi, vigente nel periodo di svolgimento della gara, non reca specifiche previsioni sulla fissazione di termini perentori per la conclusione delle gare.
Lo stesso r.d. n. 827 del 1924, di approvazione del regolamento di esecuzione della legge di contabilità di Stato, codifica all’art. 71 la regola di conclusione della gara in un sol giorno con riguardo al solo metodo di scelta del contraente con asta pubblica.
Diverse esigenze presiedono, invece, l’andamento del procedimento nel caso in cui la selezione del contraente avvenga -come nella fattispecie di cui è causa- secondo il criterio dell’offerta più vantaggiosa, trattandosi di metodo che impone più articolate cadenze procedimentali ed una più complessa valutazione del merito delle offerte tecniche in più sedute del collegio giudicante.
Non può, inoltre, ricondursi effetto viziante al superamento del termine di 180 giorni per la validità dell’offerte, stabilito al punto 14, lett. b), del capitolato di appalto.
Detto termine, fissato nell’interesse dell’ Amministrazione, è infatti disponibile da parte di quest’ultima. L’ente aggiudicatore, una volta scaduto, si è attivato, con scelta discrezionale non sindacabile nel merito, per ottenere la dichiarazione delle ditte partecipanti di mantenere ferma l’offerta come originariamente articolata
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 03.10.2013 n. 4884 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’art. 21, comma 5, della legge n. 109 del 1994 fissa la regola del numero dispari dei compenti della commissione con specifico riferimento agli appalti di opere pubbliche. Analoga disposizione non si rinviene nel d.lgs. n. 157 del 1995 in materia di appalti pubblici. L’organica e specifica regolamentazione di detto settore dei appalti pubblici, successiva alla legge n. 109 del 1994, preclude quindi ogni applicazione in via analogico/estensiva della norma invocata.
E’ stato del resto affermato in giurisprudenza con riferimento all'art. 84, comma 2, del codice dei contratti pubblici, che la regola ivi detta sulla composizione della commissione di gara con un numero dispari di componenti non superiore a cinque, non è espressione di un principio generale, immanente nell'ordinamento, tale da determinare l'illegittimità della costituzione di un collegio avente un numero pari di componenti, essendo numerose le ipotesi di collegi, sia giurisdizionali che amministrativi, che operano (o che occasionalmente possono operare) in composizione paritaria.

Q
uanto al primo profilo di doglianza, l’art. 21, comma 5, della legge n. 109 del 1994 fissa la regola del numero dispari dei compenti della commissione con specifico riferimento agli appalti di opere pubbliche. Analoga disposizione non si rinviene nel d.lgs. n. 157 del 1995 in materia di appalti pubblici. L’organica e specifica regolamentazione di detto settore dei appalti pubblici, successiva alla legge n. 109 del 1994, preclude quindi ogni applicazione in via analogico/estensiva della norma invocata.
E’ stato del resto affermato in giurisprudenza con riferimento all'art. 84, comma 2, del codice dei contratti pubblici, che la regola ivi detta sulla composizione della commissione di gara con un numero dispari di componenti non superiore a cinque, non è espressione di un principio generale, immanente nell'ordinamento, tale da determinare l'illegittimità della costituzione di un collegio avente un numero pari di componenti, essendo numerose le ipotesi di collegi, sia giurisdizionali che amministrativi, che operano (o che occasionalmente possono operare) in composizione paritaria (cfr. Cons. St. Sez. III, n. 3730 dell’11.07.2013)
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 03.10.2013 n. 4884 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il mutamento in prosieguo di gara del legale rappresentante della società che ha sottoscritto l’offerta non incide sulla regolarità delle precedente fase di qualificazione ed ammissione delle imprese che, in base al principio tempus regit actum, ha necessariamente assunto a riferimento, ai fini della verifica dei requisiti di moralità, l’assetto societario in atto alla data di scadenza del termine per la proposizione dell’offerta e, tantomeno, sulla capacità del nuovo rappresentante p.t. a confermare l’offerta.
Ogni successiva verifica in ordine alla permanenza dei requisiti morali rifluisce al momento dell’aggiudicazione e della stessa esecuzione del contratto, che presuppongono la permanenza dei requisiti di moralità e di affidabilità delle imprese affidatarie del servizio.

Ed invero:
- il mutamento in prosieguo di gara del legale rappresentante della società che ha sottoscritto l’offerta non incide sulla regolarità delle precedente fase di qualificazione ed ammissione delle imprese che, in base al principio tempus regit actum, ha necessariamente assunto a riferimento, ai fini della verifica dei requisiti di moralità, l’assetto societario in atto alla data di scadenza del termine per la proposizione dell’offerta e, tantomeno, sulla capacità del nuovo rappresentante p.t. a confermare l’offerta.
Ogni successiva verifica in ordine alla permanenza dei requisiti morali rifluisce al momento dell’aggiudicazione e della stessa esecuzione del contratto, che presuppongono la permanenza dei requisiti di moralità e di affidabilità delle imprese affidatarie del servizio.
Né, sul piano sostanziale, sono state sollevate mende in capo al nuovo rappresentante legale idonee a inficiare la capacità di confermare l’offerta
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 03.10.2013 n. 4884 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIConsip, Spending review: AGGIORNATA la tabella obblighi/facoltà per gli acquisti di beni e servizi.
E' stata pubblicata sul Portale degli acquisti (www.acquistinretepa.it) la tabella aggiornata a ottobre 2013 che riassume il quadro relativo all'obbligo/facoltà di utilizzo degli strumenti d'acquisto di Consip e delle centrali regionali di committenza.
La tabella, elaborata da Consip con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, intende orientare e facilitare le pubbliche amministrazioni nell'acquisto di beni e servizi, ponendosi come agile strumento di consultazione.
Le amministrazioni, attraverso la tabella, avranno rapido accesso alla normativa applicabile in base alla propria categoria di appartenenza (amministrazione centrale, regionale, territoriale, ente del servizio sanitario nazionale, scuola/università, organismo di diritto pubblico), alla tipologia di acquisto (sopra la soglia comunitaria o sotto la soglia comunitaria) e alla categoria merceologica a cui appartengono i beni o servizi oggetto di acquisto (03.10.2013).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Durc: semplificazione su regole e tempi dopo il decreto Fare (03.10.2013 - link a www.giurdanella.it).

APPALTINelle gare d’appalto l’obbligo di motivare in modo completo e approfondito sussiste solo nel caso in cui la stazione appaltante esprime un giudizio di non congruità sull’offerta anomala, mentre non sussiste uguale obbligo in caso di esito positivo della verifica di anomalia, risultando esaustiva la motivazione per relationem con le giustificazioni presentate dal concorrente aggiudicatario, se ritenute congrue ed adeguate.
Perciò, incombe su chi contesta l’aggiudicazione l’onere di individuare gli specifici elementi da cui il Giudice Amministrativo possa evincere che la valutazione tecnico-discrezionale dell’Amministrazione sia stata irragionevole o basata su fatti erronei o travisati.

Anche il terzo motivo di impugnazione non merita di essere accolto, atteso che, secondo un condivisibile e prevalente orientamento giurisprudenziale (cfr. da ultimo C.d.S. Sez. V Sent. n. 6061 del 29.11.2012; idem n. 5703 del 12.11.2012; idem n. 4785 del 10.09.2012; idem n. 3934 del 05.07.2012; idem n. 2552 del 03.05.2012; idem n. 1183 del 29.02.2012; C.d.S. Sez. III Sent. n. 4322 del 15.07.2011; C.d.S. Sez. IV Sent. n. 2055 dell’01.04.2011; C.d.S. Sez. V Sent. n. 1925 del 29.03.2011) nelle gare d’appalto l’obbligo di motivare in modo completo e approfondito sussiste solo nel caso in cui la stazione appaltante esprime un giudizio di non congruità sull’offerta anomala, mentre non sussiste uguale obbligo in caso di esito positivo della verifica di anomalia, risultando esaustiva la motivazione per relationem con le giustificazioni presentate dal concorrente aggiudicatario, se ritenute congrue ed adeguate.
Perciò, incombe su chi contesta l’aggiudicazione l’onere di individuare gli specifici elementi da cui il Giudice Amministrativo possa evincere che la valutazione tecnico-discrezionale dell’Amministrazione sia stata irragionevole o basata su fatti erronei o travisati (TAR Basilicata, sentenza 02.10.2013 n. 575 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: PA condannata a pagare una somma di denaro: astreinte da parte del giudice dell’ottemperanza?
Non è possibile disporre, in sede di giudizio di ottemperanza, una astreinte nel caso in cui la mancata esecuzione del giudicato da parte dell’amministrazione riguardi la condanna al pagamento di una somma di denaro.
Anche nel giudizio di ottemperanza dinanzi al g.a., come in quello di esecuzione dinanzi al g.o., la misura dell’astreinte è ammissibile solo per l’inottemperanza a sentenze di condanna relative a obblighi di non fare o fare infungibili.

L’art. 114, co. 4, lett. e, del c.p.a. prevede che in sede di giudizio di ottemperanza la parte possa chiedere, oltre alla nomina del commissario ad acta, anche la fissazione di una “somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato”.
La suddetta norma ha comportato una rilevante innovazione, introducendo anche nel processo amministrativo l’istituto della cd. astreinte, già disciplinato nel processo civile dall’art. 614-bis c.p.c..
Sull’applicazione di questa norma al giudizio di ottemperanza delle sentenze di condanna pecuniaria si è verificato un contrasto di giurisprudenza, non ancora sopito, tra alcuni TAR e il Consiglio di Stato.
Il TAR Napoli, conformandosi a un suo orientamento giurisprudenziale, si esprime negativamente sulla controversa questione della possibilità di disporre una astreinte nel caso in cui la mancata esecuzione della p.a. riguardi la condanna al pagamento di una somma di denaro.
In ciò si conforma, nel silenzio del c.p.a., alla disciplina del processo civile che consente l’astreinte solo per l’inottemperanza di obblighi di non fare o fare infungibili.
La pronuncia si pone in contrasto con il diverso orientamento del Consiglio di Stato che, considerando l’astreinte un rimedio di carattere generale, la differenzia da quella prevista dal c.p.a., ammettendola anche per gli obblighi di dare o fare fungibili e, in particolare, anche per le condanne al pagamento di somme di denaro
Il TAR Campano motiva la sua conclusione in base a diverse considerazioni:
a) L’astreinte costituisce un mezzo di coazione indiretta sul debitore, configurabile quando si è in presenza di obblighi di facere infungibili. Non sembra possibile né equo condannare l’Amministrazione al pagamento di ulteriori somme di denaro, quando l’obbligo di cui si chiede l’adempimento consiste, esso stesso, nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria. Occorre considerare che, in tal caso, per il ritardo nell’adempimento sono già previsti dalla legge gli interessi legali, ai quali la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ad aggiungersi, con effetti iniqui di indebito arricchimento per il creditore.
b) Una puntuale disanima dei lavori preparatori dei lavori preparatori della disposizione del c.p.a. in questione, nonché l’osservazione che il testo dell’art. 114, co. 4, lett. e, del c.p.a è simile a quello del corrispondente articolo del c.p.c. e per il processo civile il riferimento agli obblighi di fare infungibili è contenuto nella rubrica e non nel testo del 614-bis c.p.c., portano a conclude che l’intento del legislatore sia stato proprio quello di riprodurre la norma del c.p.c. nel c.p.a. e che si sia semplicemente “dimenticato” di esplicitare la limitazione agli obblighi di facere infungibile.
c) La stessa conclusione verrebbe ricavata anche dalla disamina della legge delega per la riforma del processo amministrativo (n. 69/2009), relativamente al giudizio di ottemperanza, in quanto ove si ritenesse la norma di portata difforme da quella del c.p.c., si potrebbe configurare un profilo di eccesso di delega, non facilmente superabile attraverso argomenti extratestuali.
d) Infine depongono nel senso indicato anche esigenze di omogeneità dell’ordinamento e il principio di eguaglianza. A fronte di una condanna pecuniaria del giudice ordinario la parte può scegliere se agire con il processo di esecuzione dinanzi al g.o. o adire il g.a. in sede di ottemperanza. Ora se si ammettesse l’astreinte per l’esecuzione di condanne pecuniarie nel giudizio di ottemperanza si finirebbe per consentire una tutela diversificata dello stesso credito a seconda del giudice dinanzi al quale si agisca. Il creditore pecuniario della p.a. potrebbe ottenere infatti maggiori utilità nel giudizio di ottemperanza rispetto a quelle conseguibili nel giudizio di esecuzione civile, e ciò semplicemente in base ad una opzione puramente potestativa. Tale tutela differenziata offerta al cittadino non sembra ragionevole all’interno di un sistema che svolge la stessa funzione esecutiva, ancorché dinanzi a giudici diversi.
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Esiti del ricorso
Accoglie il ricorso ma rigetta la domanda sul punto
Precedenti giurisprudenziali conformi
TAR Campania Napoli Sez. IV, 22.05.2013, n. 2644; TAR Campania Napoli Sez. IV, 22.05.2013, n. 2671; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 03/12/2012, n. 4887; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 19/03/2013, n. 1537; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 19/03/2013, n. 1538; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 15.04.2011, n. 2162;  TAR Puglia Lecce Sez. I, 21.06.2013, n. 1504; TAR Puglia Lecce Sez. I, 21.06.2013, n. 1506; TAR Puglia Lecce Sez. I, 07.06.2013, n. 1356; TAR Puglia Lecce Sez. I, 07.06.2013, n. 1357; TAR Puglia Lecce Sez. I, 07.06.2013, n. 1358; TAR Puglia Lecce Sez. I, 05.06.2013, n. 1336; TAR Lazio Roma Sez. II, 15.05.2013, n. 4885; TAR Lazio Roma Sez. II, 15.05.2013, n. 4886; TAR Lazio, Roma, sez. II-quater 31.01.2012, n. 1080
Precedenti giurisprudenziali difformi
Cons. Stato Sez. V, 19.06.2013, n. 3339; Cons. Stato Sez. V, 19.06.2013, n. 3340; Cons. Stato Sez. V, 19.06.2013, n. 3341; Cons. Stato Sez. V, 19.06.2013, n. 3342; TAR Basilicata Potenza Sez. I, 06.06.2013, n. 335; Cons. Stato Sez. III, 30.05.2013, n. 2933; Cons. Stato Sez. V, Sent., 14.05.2012, n. 2744
Riferimenti normativi

Art. 114, co. 4, lett. e, del c.p.a
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 01.10.2013 n. 4500 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Bandi di gara: anche per i servizi socio-educativi-culturali le stesse regole di pubblicità. Per importi sia inferiori che superiori alla soglia comunitaria.
Domanda
Quali sono le modalità di pubblicazione dei bandi di gara e degli avvisi di aggiudicazione inerenti i servizi socio-educativi-culturali elencati nell'allegato II B del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163, per importi sia inferiori che superiori alla soglia comunitaria?
Risposta
L'art. 2 comma 1, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 stabilisce che "1. L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice".
Si ritiene che, sebbene l'art. 20 D.Lgs. cit. stabilisca l'applicabilità agli appalti nei servizi di cui all'allegato II B di alcune norme soltanto del codice, debba comunque trovare applicazione il principio generale di adeguata pubblicità della gara in relazione al suo valore.
Infatti, l'AVCP con Deliberazione n. 108 del 19.12.2012 ha stabilito che "I servizi elencati nell'allegato II B restano soggetti, oltre che all'art. 20 del D.lgs. n. 163/2006, anche all'art. 27 del medesimo decreto in base al quale l'affidamento di contratti pubblici, sottratti in tutto o in parte all'applicazione del codice, deve avvenire nel rispetto di principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità".
Con Deliberazione n. 25 del 08.03.2012 ha stabilito che "La riconducibilità del servizio appaltato all'All. II B del Codice non esonera le amministrazioni aggiudicatrici dall'applicazione dei principi generali in materia di affidamenti pubblici desumibili dalla normativa comunitaria e nazionale, con particolare riferimento al principio di pubblicità, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost. (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 03.12.2008, n. 5943; 22.04.2008, n. 1856; 08.10.2007, n. 5217; 22.03.2007, n. 1369; TAR Lazio, Sez. III-ter, 05.02.2008, n. 951). Nella deliberazione n. 102 del 05.11.2009 l'Autorità ha, inoltre, sottolineato che sebbene i servizi rientranti nell'allegato II B siano soggetti, a stretto rigore, solo alle norme richiamate dall'art. 20 del D.Lgs. 163/2006, oltre a quelle espressamente indicate negli atti di gara (in virtù del c.d. principio di autovincolo), quando il valore dell'appalto è decisamente superiore alla soglia comunitaria è opportuna anche una pubblicazione a livello comunitario, in ossequio al principio di trasparenza (cui è correlato il principio di pubblicità), richiamato dall'art. 27 D.Lgs. 163/2006 a tenore del quale l'affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto".
La codificazione di tali principi conferma dunque la contrarietà per l'affidamento fiduciario. Pertanto, in ossequio ai principi del Trattato, la stazione appaltante dovrà opportunamente nell'ambito della propria discrezionalità scegliere il modulo procedimentale più consono, favorendo la procedura ristretta quando il criterio di aggiudicazione è quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Conseguentemente, occorre rispettare le regole di pubblicità dei bandi relativi alle gare di importo sopra e sotto soglia anche per le gare inerenti ai servizi di cui all'allegato II B (01.10.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

settembre 2013

APPALTIAcquisizioni di lavori, servizi e forniture in economia (Regione Piemonte, settembre 2013).
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Il suddetto volume, realizzato dalla Regione Piemonte e aggiornato al settembre 2013, contribuisce a risolvere i dubbi interpretativi ed applicativi dovuti alla continua evoluzione della normativa in materia.

APPALTI: R. Cippitani, Formalismi e verifica delle offerte anomale (Urbanistica e appalti n. 8-9/2013 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI SERVIZI: F. Dello Sbarba, Illegittimo l’affidamento diretto mediante convenzione a cooperative sociali (Urbanistica e appalti n. 8-9/2013).

APPALTI: Riammissione alla gara in seguito al successivo rinvenimento di documenti.
E’ illegittimo il provvedimento dell’amministrazione che, dopo aver escluso una ditta partecipante ad una gara per l’assenza di un documento necessario, riammetta la medesima concorrente in seguito al rinvenimento della documentazione originariamente ritenuta mancante, qualora tale ritrovamento sia avvenuto in seduta riservata anziché pubblica e a seguito di operazioni di verifica effettuate senza preventiva comunicazione ai partecipanti alla gara.
E’ stata portata all’esame del Consiglio di Stato su una fattispecie particolare dove un concorrente di una gara di appalto, inizialmente escluso per l’assenza di un documento necessario, è stato successivamente riammesso in seguito al rinvenimento della documentazione originariamente mancante.
Tale ritrovamento però è avvenuto in seduta riservata anziché pubblica e a seguito di operazioni di verifica effettuate senza preventiva comunicazione ai partecipanti alla gara e, pertanto, ne è stata contestata la legittimità.
Il medesimo Coniglio si è espresso per l’illegittimità del provvedimento di riammissione, ritenendo dirimente l’incertezza che circonda le modalità di “riemersione” della dichiarazione risultata alla Commissione di gara in un primo tempo mancante.
In particolare, la lettera di invito aveva prescritto, con riferimento alla procedura di aggiudicazione, che la verifica della regolarità formale delle buste contenenti la documentazione amministrativa, come pure quella della regolarità della documentazione medesima, dovessero avvenire in “seduta pubblica aperta a tutti”, così imponendo la pubblicità delle operazioni di acquisizione della documentazione presentata dai concorrenti, al fine di acclararne senza equivoci la correttezza.
Di fatto l’iniziale apertura delle buste era effettivamente avvenuta in seduta pubblica, comportando l’immediata esclusione della ditta concorrente, ma successivamente, dopo che anche le offerte economiche erano state esaminate, la medesima ditta è stata riammessa in forza di un autonomo rinvenimento del documento prima ritenuto mancante.
Tale ritrovamento è però avvenuto in seduta non pubblica, e a seguito di operazioni di verifica effettuate senza preventiva comunicazione ai concorrenti.
La pronuncia in esame ha puntualizzato in proposito che, se è vero che la Pubblica Amministrazione, in applicazione del principio di autotutela, può attivare procedimenti di riesame, questi devono però svolgersi con cautele atte ad assicurare garanzie equipollenti a quelle prescritte per gli atti e le operazioni che formano oggetto di rivalutazione.
Il rispetto del canone del contrarius actus è difatti necessario ad impedire l’elusione delle suddette garanzie.
Nella specie tale canone è stato violato, non essendo stata rispettata la regola della pubblicità della seduta, la quale era stata dettata dalla lex specialis per la verifica della regolarità della documentazione amministrativa e da tale “anomalia” deriva l’illegittimità del provvedimento di esclusione.
Ciò a maggior ragione se di consideri che dai verbali della gara non è affatto desumibile, in connessione con le modalità di riemersione del documento in questione, il rispetto delle garanzie di custodia e segretezza proprie delle procedure di evidenza pubblica.
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Esito
Conferma TAR Puglia Lecce, Sez. III, n. 743/2009
(commento tratto da www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.09.2013 n. 4842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIE' noto quanto consolidato l’insegnamento giurisprudenziale relativo all’istituto del c.d. dovere di soccorso codificato dall’art. 46 d.lgs. n. 163/2006, per cui l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può essere considerata alla stregua di un'irregolarità sanabile, e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali.
E ciò tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara.

In particolare, è noto quanto consolidato l’insegnamento giurisprudenziale relativo all’istituto del c.d. dovere di soccorso codificato dall’art. 46 d.lgs. n. 163/2006, per cui l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può essere considerata alla stregua di un'irregolarità sanabile, e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali.
E ciò tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara (cfr., tra le tante: C.d.S., V, 02.08.2010, n. 5084; 02.02.2010, n. 428; 15.01.2008, n. 36) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.09.2013 n. 4842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Revoca della gara per mancanza fondi: nessun limite per la PA.
Nelle procedure ad evidenza pubblica l'intervenuta aggiudicazione provvisoria (o definitiva) non osta alla revoca in autotutela dell'intera gara per sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria, dovendo sempre prevalere il potere/dovere dell'amministrazione di rivedere i suoi impegni di spesa, e ciò senza che possano prospettarsi profili di responsabilità precontrattuali volte ad avanzare pretese risarcitorie da parte dei partecipanti alla gara revocata.
Lo ha stabilito la III Sez. del Consiglio di Stato con la sentenza 26.09.2013 n. 4809.
Nel caso di specie una Azienda sanitaria locale ha indetto un appalto concorso per la realizzazione di un parcheggio con sistemazione del verde e della viabilità presso un polo ospedaliero. La gara ha registrato il suo corso fino all'aggiudicazione provvisoria. Dopodiché, rilevata l'anomalia dell'offerta presentata dall'aggiudicataria in sede di controllo, la stazione appaltante ha bruscamente interrotto la selezione.
Avverso il provvedimento con cui si dichiarava l'inaffidabilità dell'offerta della provvisoria aggiudicataria è stato proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale; e tuttavia, nelle more del giudizio, l'intera gara è stata revocata per mancanza di adeguata copertura finanziaria come anche della rispondenza dell'appalto alle effettive esigenze dell’amministrazione.
All'esito del sindacato di prime cure il giudice amministrativo ha rigettato tutte le richieste dell'impresa ricorrente, ritenendo il provvedimento congruamente motivato e la richiesta di risarcimento danno per responsabilità precontrattuale parimenti infondata sul presupposto dell'impossibilità di individuare l'asserita lezione della posizione soggettiva dell'impresa in presenza di un'aggiudicazione, allo stato, solamente provvisoria.
La lite è stata sottoposta all'attenzione dei giudici romani di Palazzo Spada, innanzi ai quali l'aggiudicataria ha reiterato le proprie censure nei confronti del comportamento serbato dall'amministrazione nei suoi confronti, giudicato lesivo del legittimo affidamento riposto sull'esito della procedura. Più precisamente, l'impresa appellante ha rimarcato l'erroneità della decisione del Tar nella parte in cui quest'ultimo ha negato che la posizione dell'impresa si fosse consolidata per effetto dell'intervenuta aggiudicazione provvisoria, per l'effetto negando qualsivoglia risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale dell'amministrazione connessa alla decisione di revocare l'intera procedura di gara.
Ebbene, nel pronunciarsi sulla questione, il Consiglio di Stato ha sposato l'orientamento secondo cui nelle gare di appalto, l'aggiudicazione provvisoria rappresenta un mero “atto endoprocedimentale” inidoneo ad assumere valenza di decisione definitiva in ordine al soggetto aggiudicatario della gara: i giudici capitolini hanno, invero, spiegato come la possibilità che ad un'aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva sia un “evento del tutto fisiologico”, la cui disciplina è rinvenibile agli artt. 11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del d.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici). Si esclude, dunque, che l'aggiudicazione provvisoria possa, di per sé, essere in grado di ingenerare qualunque affidamento tutelabile e obbligo risarcitorio, sempre che non sussista nessuna illegittimità nell'operato dell’Amministrazione.
Si è poi rimarcato come detta conclusione debba essere accolta a prescindere dall’inserimento, nel bando, di apposita clausola volta a prevedere l’eventualità di non dar luogo alla gara o di revocarla. Ed in ogni caso, ha soggiunto il Supremo Consesso di giustizia amministrativa, la revoca della gara in autotutela per il venir meno delle risorse finanziarie deve assumersi legittima, purché una tale decisione sia accompagnata da una adeguata motivazione, come peraltro accaduto nel caso di specie.
Infine, quanto ai profili di responsabilità precontrattuale dell'amministrazione, è stato precisato come la correttezza o meno del comportamento della stazione appaltante debba essere valutata complessivamente, tenuto conto dell'intero corso dello svolgimento della gara che sia pervenuta alla conclusione ed alla individuazione del contraente, nonché nella fase della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede, ai sensi dell'art. 1337 del codice civile. Ciò premesso, è un principio generale quello per cui, anche laddove sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva, non è precluso alla stazione appaltante di revocare l’aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, che ben può consistere nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera, posto che, anche in questo caso, “rimane integro il potere/dovere dell'amministrazione di rivedere i suoi impegni di spesa in ragione delle mutate condizioni delle risorse finanziarie disponibili” (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'aggiudicazione provvisoria è atto endoprocedimentale che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario della gara; la possibilità che ad un'aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli artt. 11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del d.lgs. 163/2006, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile e obbligo risarcitorio, qualora non sussista nessuna illegittimità nell'operato dell’Amministrazione, a prescindere dall’inserimento nel bando di apposita clausola che preveda l’eventualità di non dare luogo alla gara o di revocarla.
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Nei contratti pubblici, anche dopo l’intervento dell’aggiudicazione definitiva, non è precluso all’amministrazione appaltante di revocare l’aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, che ben può consistere nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera.
E ciò senza che vi sia contraddittorietà con gli atti di indizione della gara nei quali la stazione appaltante ha indicato la copertura finanziaria, perché, comunque, rimane integro il potere/dovere dell'amministrazione di rivedere i suoi impegni di spesa in ragione delle mutate condizioni delle risorse finanziarie disponibili.
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L’aggiudicazione provvisoria non determina l’insorgere di affidamento nella conclusione del contratto, e che, pertanto, non è configurabile la responsabilità precontrattuale anteriormente alla scelta del contraente, fase in cui gli interessati sono solo meri partecipanti alla gara.
Ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della P.A., difatti, rileva la correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall'Amministrazione durante il corso dello svolgimento della gara che sia pervenuta alla conclusione ed alla individuazione del contraente, nonché nella fase della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede, ai sensi dell'art. 1337 c.c..

Nelle gare di appalto, l'aggiudicazione provvisoria è atto endoprocedimentale che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario della gara; la possibilità che ad un'aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli artt. 11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del d.lgs. 163/2006, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile e obbligo risarcitorio, qualora non sussista nessuna illegittimità nell'operato dell’Amministrazione, a prescindere dall’inserimento nel bando di apposita clausola che preveda l’eventualità di non dare luogo alla gara o di revocarla (questione pure sollevata dall’appellante) (Consiglio di Stato Sez. III - sentenza 24.05.2013, n. 2838).
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Deve essere ribadito, inoltre, il consolidato indirizzo giurisprudenziale per il quale nei contratti pubblici, anche dopo l’intervento dell’aggiudicazione definitiva, non è precluso all’amministrazione appaltante di revocare l’aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, che ben può consistere nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera (C.d.S., Sez. III, 11.07.2012, n. 4116; Adunanza Plenaria, 05.09.2005, n. 6; C.d.S., sez. IV, 19.03.2003, n. 1457).
E ciò senza che vi sia contraddittorietà con gli atti di indizione della gara nei quali la stazione appaltante ha indicato la copertura finanziaria, perché, comunque, rimane integro il potere/dovere dell'amministrazione di rivedere i suoi impegni di spesa in ragione delle mutate condizioni delle risorse finanziarie disponibili (C.G.A., Sez. giurisdizionale, 25.01.2013, n. 47).
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Quanto al terzo motivo di appello, secondo cui a fronte della revoca legittima il primo giudice avrebbe però erroneamente ritenuto insussistente la responsabilità precontrattuale, si ribadisce che l’aggiudicazione provvisoria non determina l’insorgere di affidamento nella conclusione del contratto, e che, pertanto, non è configurabile la responsabilità precontrattuale anteriormente alla scelta del contraente, fase in cui gli interessati sono solo meri partecipanti alla gara.
Ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della P.A., difatti, rileva la correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall'Amministrazione durante il corso dello svolgimento della gara che sia pervenuta alla conclusione ed alla individuazione del contraente, nonché nella fase della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede, ai sensi dell'art. 1337 c.c. (C.d.S., Sez. IV, 07.02.2012, n. 662; Cons. Stato, Ad. Plen., 05.09.2005, n. 6)
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 26.09.2013 n. 4809 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAppalti, meno carte per le ditte. Documenti sui requisiti acquisiti direttamente dalle p.a.. Per il Consiglio di stato norma sull'acquisizione d'ufficio prevalente sul Codice contratti.
Meno scartoffie e adempimenti burocratici per chi partecipa agli appalti. I documenti a comprova dei requisiti devono infatti essere acquisiti direttamente dalle stazioni appaltanti e non richiesti ai concorrenti. E ciò perché prevale la disciplina generale sulla cosiddetta «acquisizione d'ufficio» rispetto al Codice dei contratti.

È quanto afferma il Consiglio di Stato, con la sentenza 26.09.2013 n. 4785 della III Sez., che affronta il tema dei rapporti fra il dpr 445/2000 e l'art. 48 del Codice dei contratti pubblici, dopo l'entrata in vigore (01.01.2012) delle modifiche apportate dalla legge di stabilità per il 2012 (legge 183/2011).
In particolare la legge 183, nel rafforzare il principio della inutilizzabilità dei certificati nei rapporti con la pubblica amministrazione, ha affermato l'obbligo, per quest'ultima, di acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 del dpr n. 445/2000.
La sentenza del Consiglio di stato precisa che gli accertamenti d'ufficio riguardano tutte le ipotesi di informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 dello stesso dpr 445, dichiarazioni sostitutive che, per le gare di appalto pubblico, attengono ai requisiti di partecipazione alle gare disciplinati dagli artt. 41 e 42 del codice dei contratti.
Lo stesso codice dei contratti stabilisce però (art. 48) che la richiesta della documentazione probatoria sia rivolta direttamente all'interessato anziché acquisita d'ufficio dall'amministrazione o dall'ente pubblico certificante. Al riguardo l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, con la determina 4/2012 (sul cosiddetto «bando tipo»), ha precisato che la norma del Codice ha natura di «norma speciale» rispetto alla disciplina generale del dpr n. 445/2000 e soddisfa «l'esigenza di assicurare la serietà dell'offerta, unitamente alla celerità della conclusione del procedimento di verifica». Secondo l'Autorità, quindi, rimangono in vigore le modalità di comprova del possesso dei requisiti previste dall'art. 48, con richiesta ai concorrenti.
Di tutt'altro avviso è invece il Consiglio di stato, il quale afferma che nelle gare di appalto non rileva la «specialità» della disciplina dei contratti pubblici. Il principio affermato viene dedotto anche dalla norma transitoria introdotta dalla legge di stabilità per il 2012 per la quale, fino alla data di avvio della Banca dati nazionale sui contratti pubblici, le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori verificano il possesso dei requisiti secondo le modalità previste dalla «normativa vigente» che non può che comprendere anche gli artt. 43 e 47 del dpr 445/2000, in vigore dal 01.01.2012.
Per i giudici, quindi, fino all'attivazione della banca dati, le stazioni appaltanti dovranno procedere d'ufficio tramite contatti con le amministrazioni interessate alla verifica dei requisiti auto dichiarati dai concorrenti. Dopo tale data i controlli d'ufficio diventeranno centralizzati attraverso il riferimento diretto alla Bdncp, «strumento pubblicistico di coordinamento e raccolta dati.» Implementato dal cosiddetto Avcpass, che costituisce un ausilio informatico per l'esercizio dei poteri-doveri di accertamento d'ufficio (articolo ItaliaOggi del 02.10.2013).

APPALTI: Le pubbliche amministrazioni sono tenute ad acquisire d’ufficio anche i documenti che comprovano i requisiti dei partecipanti ad una gara d’appalto, risultando irrilevante la presenza di una diversa disciplina speciale all’interno del codice dei contratti pubblici.
Il DPR n. 445/2000, in materia di documentazione amministrativa, pacificamente trova applicazione nella materia degli appalti pubblici, essendo lo stesso codice a legittimarne l’uso.
Sicché non può che trovare applicazione anche l’innovazione introdotta con l’art. 15 della legge 183/2011, che, per quanto qui interessa, ha introdotto il seguente comma all’art. 40: <<01. Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47>> ed all'articolo 43 ha sostituito il comma 1 col seguente: <<1. Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato>>.
E’ evidente, ad una lettura unitaria delle norme in questione, che gli accertamenti d’ufficio disciplinati dall’art. 43, comma 1, D.P.R. 445/2000, come novellato dal citato art. 15 della l. 183/2011, riguardano tutte le ipotesi di informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 dello stesso D.P.R., dichiarazioni sostitutive che gli artt. 41 e 42 del codice dei contratti pubblici consentono ai concorrenti di utilizzare per comprovare i requisiti tecnico-organizzativi ed economico-professionale, salvo verifica successiva da parte della stazione appaltante, ai sensi dell’art. 48 commi 1 e 3, senza che possa in alcun modo rilevare la “specialità” della disciplina dei contratti pubblici.

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Neppure l’art. 6-bis del codice degli appalti, introdotto dal d.l. 09.02.2012, n. 5, consente di rinviare, a partire dal 01.01.2013, l’applicazione della nuova disciplina alla istituzione di una banca dati nazionale dei contratti pubblici, cui le stazioni appaltanti dovranno attingere per verificare il possesso dei requisiti di partecipazione dichiarati in gara dai concorrenti.
La norma contiene una disciplina transitoria secondo cui, fino alla data di avvio della Banca dati, le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori verificano il possesso dei requisiti secondo le modalità previste dalla normativa vigente (comma 5).
Il riferimento alla “normativa vigente” include anche la novella disciplina degli artt. 43 e 47 del D.P.R. 445/2000, in vigore dal 01.01.2012.
La banca dati è uno strumento di semplificazione e di accelerazione dei procedimenti di accertamento, che costituisce un ausilio informatico per l’esercizio dei poteri-doveri di accertamento d’ufficio; ne consegue che il coordinamento tra le norme appare logicamente condurre alla conclusione che:
1) fino all’attivazione della Banca Dati, le stazioni appaltanti dovranno procedere d’ufficio tramite contatti con le amministrazioni interessate alla verifica dei requisiti auto dichiarati dai concorrenti, secondo quanto dispongono gli artt. 43 e 47 DPR 445/2000;
2) dopo l’attivazione della Banca Dati, i controlli d’ufficio diventano centralizzati attraverso il riferimento diretto a tale strumento pubblicistico di coordinamento e raccolta dati.

Quanto all’obiezione che solleva Lombardia Informatica, ovvero al carattere di specialità della disciplina dei contratti pubblici che impedirebbe l’applicazione della norma di carattere generale dettata dall’art. 15 della l. 183/2011 (in particolare, l’art. 41, comma 1, lett. “b” e “c”, in relazione al comma 4, del D.lgs. n. 163/2006, il quale prescrive che i servizi prestati ad amministrazioni pubbliche siano comprovati dall’aggiudicataria con certificazioni delle stesse, e l’art. 42, comma 1, lett. “a”, il quale prevede che i servizi e le prestazioni in favore di amministrazioni ed enti pubblici siano provati da certificati rilasciati o vistati delle amministrazioni o enti destinatari), il Collegio osserva che il DPR n. 445/2000, in materia di documentazione amministrativa, pacificamente trova applicazione nella materia degli appalti pubblici, essendo lo stesso codice a legittimarne l’uso.
Sicché non può che trovare applicazione anche l’innovazione introdotta con l’art. 15 della legge 183/2011, che, per quanto qui interessa, ha introdotto il seguente comma all’art. 40: <<01. Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47>> ed all'articolo 43 ha sostituito il comma 1 col seguente: <<1. Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato>>.
E’ evidente, ad una lettura unitaria delle norme in questione, che gli accertamenti d’ufficio disciplinati dall’art. 43, comma 1, D.P.R. 445/2000, come novellato dal citato art. 15 della l. 183/2011, riguardano tutte le ipotesi di informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 dello stesso D.P.R., dichiarazioni sostitutive che gli artt. 41 e 42 del codice dei contratti pubblici consentono ai concorrenti di utilizzare per comprovare i requisiti tecnico-organizzativi ed economico-professionale, salvo verifica successiva da parte della stazione appaltante, ai sensi dell’art. 48 commi 1 e 3, senza che possa in alcun modo rilevare la “specialità” della disciplina dei contratti pubblici.
Inoltre, ad avviso di questo Collegio, neppure l’art. 6-bis del codice degli appalti, introdotto dal d.l. 09.02.2012, n. 5, consente di rinviare, a partire dal 01.01.2013, l’applicazione della nuova disciplina alla istituzione di una banca dati nazionale dei contratti pubblici, cui le stazioni appaltanti dovranno attingere per verificare il possesso dei requisiti di partecipazione dichiarati in gara dai concorrenti.
La norma contiene una disciplina transitoria secondo cui, fino alla data di avvio della Banca dati, le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori verificano il possesso dei requisiti secondo le modalità previste dalla normativa vigente (comma 5).
Il riferimento alla “normativa vigente” include anche la novella disciplina degli artt. 43 e 47 del D.P.R. 445/2000, in vigore dal 01.01.2012.
La banca dati è uno strumento di semplificazione e di accelerazione dei procedimenti di accertamento, che costituisce un ausilio informatico per l’esercizio dei poteri-doveri di accertamento d’ufficio; ne consegue che il coordinamento tra le norme appare logicamente condurre alla conclusione che:
1) fino all’attivazione della Banca Dati, le stazioni appaltanti dovranno procedere d’ufficio tramite contatti con le amministrazioni interessate alla verifica dei requisiti auto dichiarati dai concorrenti, secondo quanto dispongono gli artt. 43 e 47 DPR 445/2000;
2) dopo l’attivazione della Banca Dati, i controlli d’ufficio diventano centralizzati attraverso il riferimento diretto a tale strumento pubblicistico di coordinamento e raccolta dati
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 26.09.2013 n. 4785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICICorrettamente l’approvazione del progetto definitivo e di quello esecutivo del primo lotto dei lavori è avvenuta con deliberazione dell’organo giuntale, non potendo detta approvazione considerarsi un atto di programmazione ed indirizzo come tale appartenente alla competenza dell’organo consiliare, a nulla rilevando la circostanza che le spese per la realizzazione dell’opera impegni più esercizi finanziari.
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Non è vietato ad un ente locale il ricorso per la realizzazione di opere e lavori pubblici alla contrazione di mutui o di altre forme di finanziamento, nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge, così che è legittima la deliberazione, con la quale venga approvato il progetto esecutivo di un’opera pubblica che comporti la necessità della copertura finanziaria, purché sia effettivamente indicata l’esistenza della copertura con la relativa attestazione da parte del responsabile del servizio finanziario, attestazione che può fare anche riferimento al ricorso all’indebitamento ma previa inclusione della relativa previsione o di apposita variazione nel bilancio dell’esercizio.
Del resto è stato precisato che la prescrizione (contenuta nell’art. 55 della legge 08.06.1990, n. 142) secondo la quale è nulla la deliberazione comunale di spesa priva di attestazioni della copertura finanziaria, deve essere interpretata nel senso che la nullità consegue alla sola carenza della previa attestazione della copertura e non è esclusa dal fatto che, in concreto, tale copertura sussista, ancorché non previamente attestata; peraltro, qualora sia stata effettivamente ed espressamente manifestata l’intenzione di contrarre un mutuo, deve ritenersi che l’obbligo della relativa copertura finanziaria sia stato effettivamente adempiuto.
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E' legittimamente omessa la comunicazione dell’avvio del procedimento per l’emanazione del decreto di occupazione di urgenza, trattandosi di atto di mera attuazione del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, con la conseguenza che le garanzie procedimentali relative alla partecipazione sono proprie solo di quest’ultimo.

A ciò consegue, sotto altro concorrente profilo, che correttamente l’approvazione del progetto definitivo e di quello esecutivo del primo lotto dei lavori sia avvenuta con deliberazione dell’organo giuntale, non potendo detta approvazione considerarsi un atto di programmazione ed indirizzo come tale appartenente alla competenza dell’organo consiliare (C.d.S., sez. IV, 05.02.1999, n. 110; 27.03.2002, n. 1742; 19.10.2004, n. 6714; 16.04.2006, n. 2992; sez. V, 16.06.2009, n. 3853), a nulla rilevando la circostanza che le spese per la realizzazione dell’opera impegni più esercizi finanziari.
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E’ sufficiente rilevare al riguardo che non è vietato ad un ente locale il ricorso per la realizzazione di opere e lavori pubblici alla contrazione di mutui o di altre forme di finanziamento, nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge, così che è legittima la deliberazione, con la quale venga approvato il progetto esecutivo di un’opera pubblica che comporti la necessità della copertura finanziaria, purché sia effettivamente indicata l’esistenza della copertura con la relativa attestazione da parte del responsabile del servizio finanziario, attestazione che può fare anche riferimento al ricorso all’indebitamento ma previa inclusione della relativa previsione o di apposita variazione nel bilancio dell’esercizio (C.d.S., sez. V, 16.01.2002, n. 216); del resto è stato precisato che la prescrizione (contenuta nell’art. 55 della legge 08.06.1990, n. 142) secondo la quale è nulla la deliberazione comunale di spesa priva di attestazioni della copertura finanziaria, deve essere interpretata nel senso che la nullità consegue alla sola carenza della previa attestazione della copertura e non è esclusa dal fatto che, in concreto, tale copertura sussista, ancorché non previamente attestata; peraltro, qualora sia stata effettivamente ed espressamente manifestata l’intenzione di contrarre un mutuo, deve ritenersi che l’obbligo della relativa copertura finanziaria sia stato effettivamente adempiuto (C.d.S., sez. sez. IV, 23.03.2000, n. 1561).
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Quanto alle censure sollevate nei confronti della determinazione dirigenziale 02.04.1999, n. 19, e dell’avviso di occupazione 07.04.1999, n. 3244, anche a voler prescindere dalla loro inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse, atteso che per effetto della nuova delibera n. 539 del 20.05.1999 detti provvedimenti devono considerarsi caducati, esse sono infondate:
- quella di illegittimità derivata, stante l’acclarata legittimità della citata delibera n. 1815 del 19.11.1998;
- quelle concernenti la pretesa violazione delle garanzie partecipative ed il presunto difetto di motivazione, in quanto, secondo un consolidato e condivisibile indirizzo giurisprudenziale, è legittimamente omessa la comunicazione dell’avvio del procedimento per l’emanazione del decreto di occupazione di urgenza, trattandosi di atto di mera attuazione del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, con la conseguenza che le garanzie procedimentali relative alla partecipazione sono proprie solo di quest’ultimo (C.d. S., sez. IV, 08.06.2007, n. 2999; 31.05.2007, n. 2874).
Né all’avviso di occupazione si sarebbe dovuto allegare, a pena di illegittimità dello stesso, il provvedimento di occupazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.09.2013 n. 4766 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn tema di verifica dell’anomalia dell’offerta costituisce jus receptum che:
a) il giudizio della stazione appaltante costituisce esplicazione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale che rendano palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta;
b) il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, cosa che rappresenterebbe invece un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione;
c) anche l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria offerta rientra nella discrezionalità tecnica dell’amministrazione, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, il giudice di legittimità può intervenire, fermo restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell’amministrazione;
d) sebbene, poi, la valutazione di congruità debba essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento che l’obiettivo dell’indagine è l’accertamento dell’affidabilità dell’offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che lo compongono, non può considerarsi viziato il procedimento di verifica per il fatto che l’amministrazione appaltante ovvero la commissione di gara si sia limitata a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia e non per le altre, giacché il concorrente, per illustrare la propria offerta e dimostrane la congruità, può fornire, ex art. 87, comma 1, D.Lgs. n. 163 del 2006, spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell’offerta e quindi anche su voci non direttamente indicate dall’amministrazione come incongrue, così che se un concorrente non è in grado di dimostrare l’equilibrio complessivo della propria offerta attraverso il richiamo di voci ed elementi diversi da quelli individuati nella richiesta di giustificazioni, in via di principio ciò non può essere ascritto a responsabilità della stazione appaltante per erronea o inadeguata formulazione della richiesta di giustificazioni.

In tema di verifica dell’anomalia dell’offerta costituisce jus receptum che:
a) il giudizio della stazione appaltante costituisce esplicazione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale che rendano palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta (C.d.S., sez. V, 26.06.2012, n. 3737; 22.02.2011, n. 1090; 08.07.2008, n. 3406; 29.01.2009, n. 497);
b) il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, cosa che rappresenterebbe invece un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione (C.d.S., sez. V, 18.02.2013, n. 974; 19.11.2012, n. 5846; 23.07.2012, n. 4206; 11.05.2012, n. 2732);
c) anche l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria offerta rientra nella discrezionalità tecnica dell’amministrazione, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, il giudice di legittimità può intervenire, fermo restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell’amministrazione (C.d.S., sez. V, 06.06.2012, n. 3340; 29.02.2012, n. 1183);
d) sebbene, poi, la valutazione di congruità debba essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento che l’obiettivo dell’indagine è l’accertamento dell’affidabilità dell’offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che lo compongono (C.d.S., sez. V, 27.08.2012, n. 4600; sez. V, 16.08.2011, n. 4785; sez. IV, 14.04.2010, n. 2070; sez. VI, 02.04.2010, n. 1893; sez. V, 18.03.2010, n. 1589; 12.06.2009, n. 3762), non può considerarsi viziato il procedimento di verifica per il fatto che l’amministrazione appaltante ovvero la commissione di gara si sia limitata a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia e non per le altre, giacché il concorrente, per illustrare la propria offerta e dimostrane la congruità, può fornire, ex art. 87, comma 1, D.Lgs. n. 163 del 2006, spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell’offerta e quindi anche su voci non direttamente indicate dall’amministrazione come incongrue, così che se un concorrente non è in grado di dimostrare l’equilibrio complessivo della propria offerta attraverso il richiamo di voci ed elementi diversi da quelli individuati nella richiesta di giustificazioni, in via di principio ciò non può essere ascritto a responsabilità della stazione appaltante per erronea o inadeguata formulazione della richiesta di giustificazioni (C.d.S., A.P., 29.11.2012, n. 36) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.09.2013 n. 4761 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISebbene non possa negarsi in generale che nell’ambito dei fondamentali principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, cui deve ispirarsi l’azione amministrativa anche nei procedimenti di scelta del contraente dei contratti pubblici (sub specie di correttezza, affidamento, trasparenza e parità di trasparenza, ex art. 2 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163) rientrino anche quelli di buona fede e collaborazione, principi che, per un verso, impongono innanzitutto alle stazioni appaltanti di privilegiare, nei limiti del possibile, una lettura ed una interpretazione non rigida e formalistica delle regole della lex specialis, onde assicurare la più ampia partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e, per altro verso, si concretizzano in un vero e proprio obbligo per l’amministrazione di cooperare con i concorrenti, invitandoli specialmente a completare la documentazione ovvero a fornire chiarimenti in ordine a certificati, documenti e dichiarazioni presentati, è altrettanto indiscutibile che il ricordato c.d. dovere di soccorso deve in ogni caso intendersi limitato a consentire la “sanatoria” di difformità e carenze di carattere meramente formale e facilmente riconoscibili, come tali inidonee a violare gli altrettanto fondamentali principi di parità di trattamento dei concorrenti e di non discriminazione, non potendo pertanto con esso supplirsi a sostanziali carenze dell’offerta presentata, integrandola o rielaborandola, così superando decadenze o situazioni di inammissibilità già verificatesi.
Sebbene, infatti, non possa negarsi in generale che nell’ambito dei fondamentali principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, cui deve ispirarsi l’azione amministrativa anche nei procedimenti di scelta del contraente dei contratti pubblici (sub specie di correttezza, affidamento, trasparenza e parità di trasparenza, ex art. 2 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163) rientrino anche quelli di buona fede e collaborazione, principi che, per un verso, impongono innanzitutto alle stazioni appaltanti di privilegiare, nei limiti del possibile, una lettura ed una interpretazione non rigida e formalistica delle regole della lex specialis, onde assicurare la più ampia partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e, per altro verso, si concretizzano in un vero e proprio obbligo per l’amministrazione di cooperare con i concorrenti, invitandoli specialmente a completare la documentazione ovvero a fornire chiarimenti in ordine a certificati, documenti e dichiarazioni presentati, è altrettanto indiscutibile che il ricordato c.d. dovere di soccorso deve in ogni caso intendersi limitato a consentire la “sanatoria” di difformità e carenze di carattere meramente formale e facilmente riconoscibili, come tali inidonee a violare gli altrettanto fondamentali principi di parità di trattamento dei concorrenti e di non discriminazione (C.d.S., sez. VI, 13.02.2013, n. 889; sez. V, 23.10.2012, n. 5408; 30.08.2012, n. 4654; 31.03.2012, n. 1896), non potendo pertanto con esso supplirsi a sostanziali carenze dell’offerta presentata, integrandola o rielaborandola, così superando decadenze o situazioni di inammissibilità già verificatesi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.09.2013 n. 4760 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Annullamento dell’atto presupposto: inefficacia del contratto dichiarabile in autotutela?
L’amministrazione vincolata da un rapporto negoziale non può dichiarare in autotutela l’inefficacia del contratto, incidendo unilateralmente sul rapporto contrattuale stipulato con la controparte, essendo tale misura rimessa solo al giudice.La domanda di declaratoria di inefficacia del contratto può essere proposta per la prima volta anche nel giudizio di ottemperanza, a patto però che sussistano i presupposti di fatto e di diritto e l’interesse della parte.
Il Consiglio di Stato si pronuncia, in sede di giudizio di ottemperanza, ancora una volta sulla vexata questio della caducazione del contratto come conseguenza della sentenza di annullamento dell’atto presupposto e, in particolare, sul potere di autotutela della p.a..
Nello specifico, in accoglimento di un ricorso straordinario al Capo dello Stato era stata annullata la deliberazione di un Comune di approvazione di un progetto di realizzazione di un parcheggio interrato (per la precisione dell’ampliamento del parcheggio) e di concessione del diritto di superficie sull’area, cui aveva fatto seguito la stipula del relativo contratto.
Il Comune, con apposita delibera, prendeva atto della decisione di annullamento, indicando però nel contempo che il relativo contrato “rimane efficace tra le parti”.
La parte che ha ottenuto l’annullamento proponeva un giudizio di ottemperanza, lamentando che l’Amministrazione, nel mantenere l’efficacia del contratto, non avesse dato corretta esecuzione alla pronuncia resa in accoglimento del ricorso straordinario.
La sentenza in esame dichiara infondata la domanda di ottemperanza per due ordini di motivi.
In primo luogo, la pronuncia del Capo dello Stato di cui si chiede l’esecuzione, nell’annullare la delibera comunale che ha approvato il progetto di ampliamento dei parcheggi nulla ha statuito in ordine al relativo contratto.
Nell’ordinamento vigente, la caducazione del contratto non è una conseguenza automatica ed ineluttabile della sentenza di annullamento dell’atto presupposto, essendo rimessi al giudice l’accertamento e la relativa dichiarazione (art. 245-bis del codice dei contratti pubblici, introdotto dal d.lgs. n. 53/2010, e art. 121 del codice del processo amministrativo).
In assenza di una statuizione sul punto, l’amministrazione non avrebbe potuto dichiarare autonomamente il contratto inefficace.
Non è ipotizzabile, infatti, che la p.a. decida la sorte del contratto in assenza di una decisione giurisdizionale.
L’amministrazione vincolata da un rapporto negoziale non può dichiarare in autotutela l’inefficacia del contratto, incidendo unilateralmente sul rapporto contrattuale stipulato con la controparte, essendo tale misura rimessa solo al giudice (Cass. sezioni unite, 18.01.2012, n. 17842).
In secondo luogo, è vero che la domanda di declaratoria di inefficacia del contratto può essere proposta anche nel giudizio di ottemperanza, in quanto deve essere intesa quale una delle possibili modalità di attuazione del giudicato, anche se non vi sia stata alcuna domanda in tal senso nel giudizio di cognizione.
Tuttavia tale domanda presuppone pur sempre la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto e l’interesse della parte, essendo la declaratoria di inefficacia sempre strumentale all’interesse del ricorrente di poter subentrare nel contratto o partecipare ad una nuova procedura di affidamento.
Questa situazione non ricorre nel caso in esame, atteso che il contratto è stato integralmente eseguito ed eventuali residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dall’esecutore originario, così che l’impresa ricorrente non ha nessuna possibilità di subentrare nel contratto o di vedersi affidare i lavori, avendo il contratto esaurito ogni effetto.
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Esito
Rigetta il ricorso
Precedenti giurisprudenziali sul potere di dichiarare in autotutela l’inefficacia del contratto

in senso conforme Cass. sezioni unite, 18.01.2012, n. 17842; in senso difforme: Cons. Stato Sez. V, 04.01.2011, n. 11; in senso sostanzialmente difforme, ancorché su diverso oggetto, anche Cons. Stato Sez. III, 23.05.2013, n. 2802, secondo cui l'annullamento in via di autotutela dell'aggiudicazione da parte dell'Amministrazione comporta l'automatica inefficacia del contratto medio tempore stipulato, tenendo presente che ciò che rileva è il collegamento sostanziale tra i due atti, l'aggiudicazione e il contratto, i quali simul stabunt, simul cadent, qualunque sia la sede dell'annullamento.
Precedenti giurisprudenziali sull’ammissibilità della domanda di declaratoria di inefficacia del contratto ottemperanza
Cons. Stato Sez. III, 19.12.2011, n. 6638
Riferimenti normativi

Art. 245-bis del D.Lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici); art. 121 del codice del processo amministrativo
(commento tratto da www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.09.2013 n. 4752 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIOEdifici scolastici sicuri, sostenibili ed adeguati alle nuove esigenze didattiche, ecco quanto proposto nelle nuove Linee Guida.
Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato le nuove “Linee guida per le architetture interne delle scuole”, per la corretta progettazione dell’edilizia scolastica.
La ridefinizione delle Linee guida, strettamente collegata al piano di innovazione digitale delle scuole, fornisce nuove soluzioni: non più solo aule, ma spazi modulari e polifunzionali, facilmente configurabili ed in grado di rispondere a contesti educativi sempre in evoluzione.
Tradizionalmente l’aula è sempre stata lo spazio unico della didattica quotidiana, un luogo in cui il docente, posto di fronte ai ragazzi disposti in file di banchi, trasmetteva agli studenti le conoscenze da acquisire. L’aula moderna è ancora uno spazio pensato per interventi frontali ma è ora uno dei tanti momenti di un percorso di apprendimento articolato e centrato sullo studente. Quindi cambiano radicalmente i principi alla base della progettazione funzionale.
La guida, in particolare, fornisce i criteri generali per la progettazione di edifici scolastici, con indicazioni operative su:
configurazione e articolazione interna degli edifici
ottimizzazione del sistema edificio/ambiente
scelta dei materiali da utilizzare
materiali da evitare
Particolare attenzione è dedicata nel testo agli impianti tecnologici, per i quali è necessario puntare sulla flessibilità.
Il documento è certamente interessante per tutti i tecnici che operano nel settore della progettazione di edifici ad uso collettivo (26.09.2013 - link a www.acca.it).

LAVORI PUBBLICIAppalti, la referenza resta. Validi i certificati esecuzione lavori pre 2006. L'Autorità lavori pubblici cambia rotta e salva tre anni di qualificazione.
Nelle gare pubbliche di appalto è possibile qualificarsi come imprese di costruzioni, anche presentando certificati di esecuzione dei lavori emessi in forma cartacea prima del luglio 2006. Ma la stazione appaltante dovrà garantire l'autenticità dei certificati stessi.

È quanto stabilisce l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la deliberazione 25.09.2013 n. 35 depositata il 29 ottobre (relatore Luciano Berarducci) che rettifica parzialmente e integra la precedente delibera n. 24 del 23.05.2013 relativa alle indicazioni fornite a Soa e stazioni appaltanti in materia di emissione dei cosiddetti Cel (Certificati esecuzione lavori).
Il problema si era posto rispetto all'articolo 83, comma 7, del dpr 207/2010 (il regolamento del codice dei contratti pubblici) che impone alle Soa di accertare la presenza dei certificati nel Casellario gestito dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ai fini del rilascio dell'attestazione e, in caso accertino che non siano presenti, impone loro di darne comunicazione all'Autorità per i conseguenti provvedimenti sanzionatori.
La norma prevede che i Cel non siano utilizzabili fino al loro inserimento nel casellario informatico e quindi non pone difficoltà, nel caso in cui i certificati siano stati emessi in forma digitale e inseriti nel Casellario. Ma per alcuni casi, precedenti il 2006 quando non era ancora in vigore l'obbligo di emettere i Cel in forma telematica, l'impresa disponeva soltanto di copie cartacee. Rispetto a questi certificati cartacei nel maggio scorso l'Autorità aveva stabilito la regola dell'inutilizzabilità, per cui le imprese avrebbero dovuto chiedere alle stazioni appaltanti, a distanza di molti anni, la emissione ex novo in forma telematica e la trasmissione al Casellario.
Dal momento che i requisiti di qualificazione prendono in considerazione anche dieci anni, per i certificati non inseriti nel Casellario e riguardanti gli anni dal 2003 al 2006, l'impresa si sarebbe trovata nell'impossibilità di utilizzare le referenze dei lavori eseguiti, ancorché fosse in possesso del regolare certificato emesso in forma cartacea. La delibera n. 24 (resa nota a luglio) prevedeva come ulteriore possibilità quella di considerare validi anche i certificati trasmessi, in via telematica, direttamente al casellario dalle stazioni appaltanti secondo i format previsti dall'organismo di vigilanza.
Con la delibera dei giorni scorsi l'Authority, per esigenze di semplificazione ammette la possibilità di utilizzazione, in sede di attestazione presso la Soa, dei Cel cartacei che però non dovranno più essere emessi nuovamente dalla stazione appaltante (attività che avrebbe potuto creare molte difficoltà operative); sarà infatti sufficiente la «previa conferma scritta circa la veridicità degli stessi da parte della stazione appaltante» per poterli utilizzare.
In ogni caso, dice l'Autorità, la mancanza di questa conferma scritta impedisce l'utilizzabilità del Cel e l'inerzia della stazione appaltante, a fronte della richiesta dell'impresa, costituisce elemento passibile di sanzione (fino a circa 26 mila euro) (articolo ItaliaOggi del 05.11.2013).

APPALTIIn tema di gara d’appalto per l’aggiudicazione dei contratti, va escluso che debbano essere immediatamente impugnate le clausole del bando o della lettera di invito che non incidano direttamente ed immediatamente sull’interesse del soggetto a partecipare alla gara, e, dunque, non determinino, per lo stesso, un immediato arresto procedimentale; pertanto, non sono suscettibili di impugnazione immediata le clausole relative alle modalità di valutazione delle offerte ed attribuzione dei punteggi e, in generale, alle modalità di svolgimento della gara, nonché alla composizione della commissione giudicatrice.
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Qualora la sottocommissione preposta alla valutazione delle offerte si sia limitata a svolgere attività strumentale, ossia di supporto alla valutazione della commissione di gara, mentre la fissazione dei criteri di assegnazione dei punteggi e la valutazione finale delle offerte sono state effettuate dalla commissione al completo, il principio di collegialità non può dirsi violato.
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Allorché la concorrente che si duole delle modalità di svolgimento della gara semplicemente alleghi il pericolo che, nella fattispecie concreta, si siano determinate conoscenze indebite delle valutazioni tecniche –pur riservate– già compiute dalla commissione giudicatrice, spetta alle controparti provare in giudizio che quel pericolo di inquinamento non si è, nei fatti, tradotto in realtà. Solo in tal modo –ossia, solo con l’assoluta certezza che il principio della segretezza degli atti di gara non sia stato intaccato– potrà essere salvato il segmento procedurale fino a quel momento compiuto, in base alla regola generale “utile per inutile non vitiatur”.
Quando invece non venga neanche allegato un pericolo concreto di inquinamento della gara, limitandosi la ricorrente a mere asserzioni teoriche in punto di violazione del principio di segretezza (come nel caso oggetto dell’odierno giudizio), non potrebbe evidentemente ritenersi che quella violazione, nei fatti, sia avvenuta.
In tal caso, allora, non può che riespandersi la contrapposta istanza che riposa nell’economicità dell’azione amministrativa, con necessità di riconoscere prevalenza alla salvezza del segmento di gara già compiuto. Detto altrimenti: qualora possa con certezza escludersi che il principio della segretezza non sia stato violato –o perché la ricorrente non ha nemmeno allegato l’esistenza di un concreto pericolo per esso, o perché le controparti sono riuscite a provare che nessun pericolo si era, nella specie, verificato– troverà applicazione la regola generale “utile per inutile non vitiatur” e potrà essere salvato il segmento procedurale già compiuto.
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L’obbligo di comunicare al partecipante ad una gara di appalto l’avvenuta esclusione dalla procedura selettiva entro un termine non superiore a cinque giorni, ai sensi dell'art. 79, comma 5, lett. b, d.lgs. n. 163 del 2006, non contiene alcuna espressa sanzione: pertanto, da un’omissione che non abbia arrecato alcun nocumento alla parte interessata non può dedursi l’esistenza di un vizio tale da rendere annullabile il provvedimento recante l’esclusione, con la precisazione che la tardività di tale comunicazione non incide sulla legittimità dell’aggiudicazione ma solamente sulla decorrenza del termine per l’impugnazione anche in ragione della natura ordinatoria del termine previsto dalla detta norma.

Deve, quindi, richiamarsi il costante insegnamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale, in tema di gara d’appalto per l’aggiudicazione dei contratti, va escluso che debbano essere immediatamente impugnate le clausole del bando o della lettera di invito che non incidano direttamente ed immediatamente sull’interesse del soggetto a partecipare alla gara, e, dunque, non determinino, per lo stesso, un immediato arresto procedimentale; pertanto, non sono suscettibili di impugnazione immediata le clausole relative alle modalità di valutazione delle offerte ed attribuzione dei punteggi e, in generale, alle modalità di svolgimento della gara, nonché alla composizione della commissione giudicatrice (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, n. 4699 del 2008).
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Come statuito in giurisprudenza, qualora la sottocommissione preposta alla valutazione delle offerte si sia limitata a svolgere attività strumentale, ossia di supporto alla valutazione della commissione di gara, mentre la fissazione dei criteri di assegnazione dei punteggi e la valutazione finale delle offerte sono state effettuate dalla commissione al completo, il principio di collegialità non può dirsi violato (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1902 del 2005; TAR Toscana, sez. I, n. 269 del 2009; TAR Campania, Napoli, sez. I, n. 4735 del 2007; TAR Marche, n. 1146 del 2006).
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Come già statuito da questo TAR (sez. II, sent. n. 2363 del 2010, peraltro invocata dalla stessa ricorrente), allorché la concorrente che si duole delle modalità di svolgimento della gara semplicemente alleghi il pericolo che, nella fattispecie concreta, si siano determinate conoscenze indebite delle valutazioni tecniche –pur riservate– già compiute dalla commissione giudicatrice, spetta alle controparti provare in giudizio che quel pericolo di inquinamento non si è, nei fatti, tradotto in realtà. Solo in tal modo –ossia, solo con l’assoluta certezza che il principio della segretezza degli atti di gara non sia stato intaccato– potrà essere salvato il segmento procedurale fino a quel momento compiuto, in base alla regola generale “utile per inutile non vitiatur”.
Quando invece non venga neanche allegato un pericolo concreto di inquinamento della gara, limitandosi la ricorrente a mere asserzioni teoriche in punto di violazione del principio di segretezza (come nel caso oggetto dell’odierno giudizio), non potrebbe evidentemente ritenersi che quella violazione, nei fatti, sia avvenuta. In tal caso, allora, non può che riespandersi la contrapposta istanza che riposa nell’economicità dell’azione amministrativa, con necessità di riconoscere prevalenza alla salvezza del segmento di gara già compiuto. Detto altrimenti: qualora possa con certezza escludersi che il principio della segretezza non sia stato violato –o perché la ricorrente non ha nemmeno allegato l’esistenza di un concreto pericolo per esso, o perché le controparti sono riuscite a provare che nessun pericolo si era, nella specie, verificato– troverà applicazione la regola generale “utile per inutile non vitiatur” e potrà essere salvato il segmento procedurale già compiuto.
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In ordine al ritardo con cui la stazione appaltante ha comunicato alla ricorrente l’avvenuta esclusione dalla gara (ottavo dei motivi aggiunti), si deve rilevare –in aderenza al costante orientamento della giurisprudenza– che l’obbligo di comunicare al partecipante ad una gara di appalto l’avvenuta esclusione dalla procedura selettiva entro un termine non superiore a cinque giorni, ai sensi dell'art. 79, comma 5, lett. b, d.lgs. n. 163 del 2006, non contiene alcuna espressa sanzione: pertanto, da un’omissione che non abbia arrecato alcun nocumento alla parte interessata non può dedursi l’esistenza di un vizio tale da rendere annullabile il provvedimento recante l’esclusione, con la precisazione che la tardività di tale comunicazione non incide sulla legittimità dell’aggiudicazione ma solamente sulla decorrenza del termine per l’impugnazione anche in ragione della natura ordinatoria del termine previsto dalla detta norma (cfr., di recente, ex multis: TAR Puglia, Lecce, sez. III, n. 706 del 2012; TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 2204 del 2012)
(TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 24.09.2013 n. 1036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Appalti: i lavori su beni dati in concessione vanno affidati a terzi.
Domanda
Un Comune, a seguito di procedura ad evidenza pubblica, ha dato in concessione ad un privato la gestione del centro sportivo comunale. Ora, di comune accordo, il concessionario ed il Comune vorrebbero potenziare gli impianti e gli immobili oggetto della concessione iniziale, prevedendo un maggior corrispettivo o una maggiore durata della iniziale concessione. Nulla dicendo in tema di ampliamenti e/o migliorie né il bando iniziale né l'atto di concessione in merito, si chiede se ciò sia possibile ed in quale misura questo sia legittimo nel rispetto delle norme e Direttive europee. Il valore della concessione vigente ha un valore di 520.000 IVA per la durata di 13 anni.
Risposta
L'art. 3 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 stabilisce che "29. Gli «enti aggiudicatori» al fine dell'applicazione delle disposizioni delle parti I, III, IV e V comprendono le amministrazioni aggiudicatrici, le imprese pubbliche, e i soggetti che, non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall'autorità competente secondo le norme vigenti".
Ne deriva che i lavori che devono essere svolti su beni dati in concessione (tra cui il potenziamento degli impianti e degli immobili oggetto della concessione iniziale) dovranno essere affidati dal concessionario o dal concedente a terzi secondo la procedura di evidenza pubblica, non potendo il concessionario realizzarli direttamente pena la violazione del superiore principio di libera concorrenza. Il Comune, per contro, può assumerli direttamente solo nei limiti di cui all'art. 125 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 (24.09.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI SERVIZIPassaggio di personale anche tra privati. Trasferimenti tra gestori del servizio integrato dei rifiuti.
L'art. 202, comma 6, del dlgs 152/2006, il quale stabilisce che vi sia un passaggio diretto e immediato al nuovo gestore del servizio integrato dei rifiuti del personale impiegato presso il gestore uscente, si applica anche nel caso in cui quest'ultimo sia un'impresa privata.

Questo è quanto ha precisato il TAR Lombardia-Brescia, Sez. II con la sentenza 23.09.2013 n. 780.
Nel caso in esame il comune di Calcinato, dopo aver praticato negli ultimi anni l'esternalizzazione della gestione del servizio di igiene urbana, aveva deciso di affidare il servizio mediante affidamento in house.
Il gestore prescelto era stata la società Garda Uno spa, di cui il Comune era divenuto socio mediante l'acquisto dello 0,1% del capitale per un importo pari a 10.000.
La controversia verte, oltre che sulla mancanza del requisito del controllo analogo, essendovi una minima partecipazione al capitale sociale, sulla presunta violazione dell'art. 202, comma 6, del dlgs 03.04.2006 n. 152, che prevede il passaggio diretto al nuovo gestore dei dipendenti presso il gestore uscente, otto mesi prima dell'affidamento del servizio.
Il Tar non rileva alcuna illegittimità.
I giudici amministrativi, dopo aver confermato come sussista il requisito del controllo analogo anche nel caso di partecipazione minoritaria, se dallo statuto della società risulti che il socio ultraminoritario eserciti il proprio controllo non solo in forma congiunta con gli altri enti pubblici, ma anche in modo effettivo, analizzano l'art. 202, comma 6, del dlgs152/2006: questa disciplina, che prevede il passaggio diretto del personale, si applica espressamente anche nel caso in cui il gestore uscente sia un'impresa privata.
Tale previsione, osserva il Collegio, pur avendo di mira un obiettivo di sicura utilità sociale come la tutela dell'occupazione, si espone a dubbi di costituzionalità, in quanto fa gravare sul nuovo gestore un costo aggiuntivo che può poi tradursi in incrementi tariffari per gli utenti o in minore qualità del servizio, oppure può costituire ex ante un disincentivo alla partecipazione a eventuali gare.
La disposizione, tuttavia, va applicata in base alla disciplina sopravvenuta, e in particolare alla stregua dell'art. 3-bis comma 2 del dl n. 138/2011, convertito dalla legge 14.09.2011, n. 148, secondo cui, nelle procedure a evidenza pubblica, «l'adozione di strumenti di tutela dell'occupazione costituisce elemento di valutazione dell'offerta e non condizione per il subentro nel servizio» (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.11.2013).

APPALTIAppalti, responsabilità limitata. Resta la parte relativa alle ritenute fiscali sui redditi. Cosa cambia per le imprese nella stipulazione dei contratti dopo i decreti Fare e Lavoro.
Nei contratti di appalto non opera più la responsabilità solidale ai fini Iva. Ma viene estesa quella ai fini contributivi e assicurativi anche ai lavoratori autonomi, con particolare riguardo ai co.co.pro. e ai lavoratori occasionali.
Sono queste le principali novità introdotte dal decreto Fare (dl 21.06.2013, n. 69, convertito dalla legge 98/2013) e dal decreto Lavoro (28.06.2013, n. 76 convertito dalla legge 99/2013), che hanno modificato il precedente assetto normativo in materia di responsabilità solidale tra committente e appaltatore.
Applicabilità ed esclusioni. La responsabilità solidale emerge in presenza di un rapporto contrattuale tra due imprese che abbiano le caratteristiche di cui all'art. 1655 c.c. Non rientrano, invece, in tale ambito i contratti aventi quale oggetto prevalente un'obbligazione di dare, come i rapporti di somministrazione, subfornitura, vendita o nolo, anche nell'ipotesi in cui prevedano un obbligo di «fare» accessorio rispetto a quello principale.
L'ambito soggettivo di applicazione della norma è esteso all'impresa committente e all'impresa appaltatrice: la prima risponderà dei debiti maturati anche dalle imprese subappaltatrici che abbiano collaborato alla realizzazione dell'opera o del servizio da essa affidato. All'interno della «filiera» di appalti, l'art. 29 secondo la Cassazione (sent. n. 6208 del 07.03.2008), prevede anche una responsabilità solidale dell'impresa subappaltante per i debiti maturati dall'impresa a cui abbia eventualmente affidato, in tutto o in parte, l'opera o il servizio.
Limitazione alla responsabilità fiscale. La responsabilità fiscale, in solido tra committente e appaltatore, introdotta dall'art. 35 del dl 223/2006 e da ultimo modificata dal dl 83/2012, con il decreto Fare, è stata dunque «limitata» alla sola parte relativa alle ritenute dei lavoratori impiegati nell'ambito dell'appalto o del subappalto. Viene dunque meno la responsabilità Iva, in un sistema economico in cui i contratti di appalto e subappalto, vengono principalmente impiegati nel settore edile.
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Obblighi allargati alle prestazioni di natura autonoma.
In seguito alle novità introdotte dal decreto legge n. 76/2013, la responsabilità solidale negli appalti riguarda non solo contratti di lavoro di tipo subordinato, ma anche le prestazioni di tipo autonomo. Sulla questione era già intervenuto l'Inps con la circolare n. 106/2012, precisando che l'art. 29 comprendeva anche le obbligazioni maturate a seguito di contratti di associazione in partecipazione e di co.co.pro. I contratti di lavoro autonomo indicati nel decreto lavoro (art. 9, comma 1), pertanto, vanno ad aggiungersi a tutti gli effetti all'elenco dei soggetti interessati dalla norma. Diversa sembra essere tuttavia la posizione dei prestatori d'opera professionale (di cui all'art. 2222 c.c.), che presentano un regime contributivo e assicurativo particolare.
Innanzitutto va precisato che le prestazioni autonome, se rese occasionalmente e quindi non professionalmente, da soggetti privi di partita Iva, non generano un'obbligazione contributiva sino alla soglia dei 5.000 euro di compenso lordo annuo.
Se, invece, tali prestazioni sono rese da soggetti titolari di una posizione Iva (indipendentemente dal fatto che possano essere artigiani, commercianti, liberi professionisti provvisti o meno di cassa previdenziale), non generano un obbligo contributivo in capo alla committenza. In tali casi l'unico soggetto dei contributi è il lavoratore autonomo e non il committente, il quale sarà destinatario (come nell'ipotesi di contribuzione alla gestione separata) di un obbligo di rivalsa nei rapporti interni col professionista. Pertanto, non risultando l'impresa appaltatrice o subappaltatrice (in qualità di committente di una prestazione autonoma) debitrice nei confronti dell'istituto previdenziale, sembrerebbe mancare il presupposto fondamentale della responsabilità solidale dell'impresa appaltante. Le stesse conclusioni possono essere tratte anche sul fronte dei premi Inail, dove l'obbligo assicurativo scatterà sempre e solo nei confronti del lavoratore autonomo artigiano che, anche in questi casi, sarà l'unico soggetto obbligato al pagamento del premio assicurativo.
Nel caso dell'esclusione della responsabilità solidale delle pubbliche amministrazioni, qualora siano committenti di un appalto pubblico, anche per questa tipologia di appalti erano in passato intervenuti chiarimenti. Al riguardo, il ministero del lavoro aveva chiarito l'esclusione della p.a. dal cono d'ombra dell'art. 29, sulla scorta dell'art. 1, dlgs n. 276/2003 che esclude dall'ambito di applicazione dell'intero decreto Biagi proprio le pubbliche amministrazioni. In ogni caso, non va dimenticato che la p.a., in qualità di stazione appaltante, risponderà, comunque, dei debiti retributivi delle ditte appaltatrici in virtù dell'art. 1676 c.c.
Deroga dei contratti collettivi. Un'altra novità introdotta dal decreto lavoro riguarda la derogabilità al regime solidaristico ex art. 29 da parte della contrattazione collettiva, ma solo sotto il profilo retributivo. Con la riforma Fornero, intervenuta direttamente sull'art. 29, era stata conferita alla contrattazione collettiva il potere di derogare al regime solidaristico, anche se già l'art. 8, comma 2, lett. a), della legge 148/2011 aveva previsto la possibilità di deroga a opera della contrattazione collettiva di prossimità.
Al riguardo la circolare n. 7258/2013 del ministero del lavoro aveva espresso una certa riserva a che la fonte contrattuale potesse derogare al regime previdenziale e assistenziale contenuto nell'art. 29, muovendo dall'assunto secondo cui le disposizioni collettive non potessero incidere direttamente sui saldi di finanza pubblica. Nonostante l'intervento del legislatore abbia precluso alla contrattazione collettiva di cui all'art. 29 di derogare al regime solidaristico, sotto il profilo contributivo e assicurativo, non può non osservarsi come la questione rimanga aperta in relazione alla contrattazione collettiva di prossimità di cui all'art. 8, che nelle materie «delegate» dal legislatore, subisce solo i limiti dei principi costituzionali e di diritto comunitario (articolo ItaliaOggi Sette del 23.09.2013).

APPALTIGare, pmi a rischio paralisi. Attesi chiarimenti sulla nozione di costo del lavoro. Operatori bloccati dalla norma sull'aggiudicazione al netto delle spese di personale.
Rischio paralisi per il settore degli appalti con la nuova norma del decreto del Fare sull'aggiudicazione al netto del costo del personale; particolarmente coinvolte le piccole e medie imprese e le amministrazioni che, dal 21 agosto, data di entrata in vigore della disposizione, stanno rallentando le procedure in attesa di chiarimenti che non arrivano; da più parti si chiede un intervento di semplificazione, o l'abrogazione della disposizione.

Il problema che sta tormentando commentatori, interpreti del complesso mondo normativo dei contratti pubblici e, soprattutto, operatori pubblici e privati chiamati a gestire le gare o a parteciparvi, ha la sua origine nell'articolo 82, comma 3-bis, del dlgs 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) come introdotto dal decreto legge del Fare n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013 che recita: «Il prezzo più basso è determinato al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative e significative sul piano nazionale, delle voci retributive previste dalla contrattazione integrativa di secondo livello e delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro».
La norma non è nuova per il Codice dei contratti pubblici (vedi box) e ha l'apprezzabilissima finalità di scongiurare comportamenti delle imprese che, proprio sul costo del lavoro potrebbero agire per compensare eccessivi ribassi in sede di offerta, violando quindi i minimi della contrattazione collettiva o, peggio, utilizzando manodopera «in nero».
Bisogna però ricordare che già nel 2011 quando, con l'emendamento Damiano, fu introdotta una norma analoga, per diversi mesi il settore finì in una sorta di paralisi operativa dettata dalle difficoltà di applicare la nuova norma.
Una situazione molto simile si sta verificando anche oggi, con la piccola differenza che in due anni i bandi di gara hanno subito un drammatico tracollo in termini di numero e di valore e che ulteriori problemi «sistemici» potrebbero causare ritardi e difficoltà probabilmente esiziali per l'intero settore. Il rischio maggiore è per gli appalti di minori dimensioni ove il criterio del prezzo più basso è di usuale applicazione e, quindi per quelle piccole e medie imprese che gli ultimi interventi normativi, nazionali e comunitari, vorrebbero agevolare e rilanciare sul mercato.
L'analisi della disposizione evidenzia alcuni problemi oggettivi che al momento non paiono facilmente superabili e che stanno determinando molte amministrazioni a chiedere al più presto l'abolizione della norma.
Un primo problema riguarda l'oggetto del contendere, cioè la nozione di «costo del lavoro», nozione che sostituisce quella vigente prima del 21 agosto concernente il costo della «manodopera»; ciò significa, tanto per fare un esempio, che non dovrà tenersi conto soltanto della manodopera operativa in cantiere, ma anche delle prestazioni intellettuali (progettazione, project management).
Un secondo profilo delicato è che non esiste una sola nozione di costo del personale, che, appunto, non è uno, ma plurimo nella sua definizione in ragione delle diverse tipologie di contratti, ferma poi restando la libertà dell'impresa di applicare Ccnl di altri settori, o di applicare soltanto contratti aziendali e individuali. A ciò si aggiunga il fatto che la norma del decreto del Fare ha anche previsto, come elemento del costo del lavoro, anche il riferimento alle «voci retributive previste dalla contrattazione integrativa di secondo livello».
C'è infine il problema dei problemi: chi deve stimare questi costi? Le stazioni appaltanti o le imprese in gara?. Anche in questo caso non c'è molta chiarezza: per alcuni spetta alle amministrazioni scorporare il costo del personale e individuare il prezzo soggetto a ribasso, ma non mancano posizioni particolarmente critiche rispetto alla valutazione della contrattazione integrativa aziendale o territoriale. Per molte amministrazioni si tratta di una vera «mission impossible». Per altri, invece, dovrà essere l'impresa in sede di offerta a rendere palese il costo che verrà sostenuto per il personale, definendo anche quanto pesa la contrattazione di secondo livello e quanto i costi per la sicurezza interna. In fase di verifica della congruità dell'offerta nuovamente la stazione appaltante dovrà poi entrare nel merito dell'applicazione della contrattazione integrativa.
Certo è che usualmente l'elemento dell'organizzazione aziendale dell'impresa, le caratteristiche soggettive del personale impiegato (si pensi per esempio agli affidamenti di direzioni lavori in cui la qualità professionale dell'ufficio di dl è fondamentale), sono elementi centrali nelle offerte che si presentano in gara; l'impressione è che la novella del decreto del Fare finisca per ingessare il tutto, disincentivando le imprese sul piano dell'efficientamento della propria organizzazione aziendale.
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Tutto parte dall'emendamento Damiano.
La storia della norma sul costo del personale nell'aggiudicazione degli appalti pubblici al prezzo più basso è breve, ma intensa. Quasi al termine del governo Berlusconi durante l'esame del decreto legge 70/2011 (uno dei tanti decreti legge Sviluppo), convertito dalla legge 106/2011, fu approvato un emendamento di iniziativa dell'ex ministro del lavoro Cesare Damiano che aggiungeva la lettera i-bis all'articolo 4, comma 2, del decreto, modificando l'articolo 81 del codice dei contratti pubblici con l'aggiunta del comma 3-bis: «L'offerta migliore è altresì determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro».
Immediatamente la norma creò il panico fra gli operatori del settore tanto che si misero in atto tentativi per dare un senso all'applicazione concreta della disposizione. Così fu in primis Itaca a predisporre le linee guida del 18.07.2011 in materia di «Costo del personale e sicurezza nella selezione delle offerte negli appalti» operando una pregevole distinzione fra i diversi elementi che compongono il costo del lavoro: il costo del personale, quello per la sicurezza e gli altri costi.
Si cimentò con il tentativo di dare coerenza applicativa al novello comma 3-bis anche l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con le «Prime indicazioni sui bandi tipo: tassatività delle cause di esclusione e costo del lavoro» raccolte in un documento base per una consultazione pubblica svolta a fine settembre del 2011 che, per questi profili, non portò mai all'emanazione di una determina (visto che poi la norma fu abrogata). Il dl 201/2011, preso atto delle innumerevoli difficoltà applicative, analoghe a quelle che oggi vengono evidenziate, abroga le norme introdotte dal decreto sviluppo concernenti la valutazione dei costi del personale nei bandi di gara.
Nel frattempo la giurisprudenza del Consiglio di stato e di numerosi Tar, nel corso del 2012, sancisce che sia il «costo del personale» sia il «costo per la sicurezza aziendale» sono liberamente valutabili dal concorrente e ribassabili (nel rispetto dei minimi salariali e del documento di valutazione dei rischi), e devono risultare congrui nonché passare positivamente il giudizio di congruità al momento della verifica delle offerte anomale; per gli «oneri per la sicurezza» la questione invece è più semplice in quanto non sono soggetti al ribasso e non possono essere oggetto di valutazione da parte del concorrente. Adesso, però, la questione si ripropone, in una disposizione valida solo per l'affidamento al prezzo più basso, diversamente dalla precedente valida anche per l'offerta economicamente più vantaggiosa, e si vedrà come sarà risolta (articolo ItaliaOggi Sette del 23.09.2013).

APPALTI SERVIZI - ENTI LOCALIAuto e consulenze, altra stretta. Congelati gli acquisti. Ridotta la spesa per studi e ricerche. Il giro di vite del dl 101 si applica a tutte le p.a. comprese le regioni e gli enti locali.
Ulteriori strette agli acquisti delle auto e alla spesa per le consulenze sono contenute nell'articolo 1 del dl n. 101/2013. Queste strette si applicano a tutte le pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli enti locali e le regioni.

Si deve arrivare a questa conclusione sulla base della formulazione utilizzata dal legislatore e della esplicita indicazione contenuta nell'ultimo comma dello stesso articolo: queste sono disposizioni, nel contempo, di attuazione di principi costituzionali e di coordinamento della finanza pubblica, per cui sono materie riservate alla competenza legislativa dello stato.
In primo luogo la disposizione prevede l'allungamento a tutto il 2015 (in precedenza il termine era fissato per la fine del 2014) del divieto per le p.a. di acquistare autovetture. Questo divieto non si applica solamente nei casi espressamente previsti dalla normativa, tra cui ricordiamo gli automezzi utilizzati dai vigili urbani, quelli necessari ai servizi sociali e, nelle interpretazioni prevalenti, quelli utilizzati dalla protezione civile. Occorre ricordare che questo divieto non si estende agli automezzi diversi dalle autovetture, quali per esempio gli scuolabus, i motocarri ecc.
La disposizione chiarisce che per determinare il tetto alla spesa per l'esercizio delle autovetture (tetto che viene calcolato nella percentuale del 50% di quelle sostenute nel 2010 allo stesso titolo) non devono essere conteggiate le somme utilizzate per il loro acquisto. Il che determina di fatto un'ulteriore contrazione delle risorse utilizzabili a questo fine e obbliga le amministrazioni pubbliche a realizzare un'effettiva riduzione del numero delle proprie automobili. Ancora una volta si deve sottolineare che questa scelta non tiene conto né della condizione dei piccoli comuni, in cui spesso vi è una sola autovettura, né della virtuosità della gestione precedente: infatti le modalità di calcolo del taglio sono indifferenziate, per cui gli spreconi sono equiparati ai virtuosi.
Inoltre tutte le amministrazioni devono partecipare al censimento delle autovetture della funzione pubblica: le inadempienze sono sanzionate sia in capo agli enti (taglio ulteriore delle spese per questa finalità) sia in capo ai responsabili (maturazione di responsabilità dirigenziale). Le norme sulle autovetture, come quelle sulle consulenze e sulle assunzioni flessibili, si concludono stabilendo la nullità degli atti adottati in violazione del dettato legislativo, nonché irrogando specifiche sanzioni e stabilendo il maturare di responsabilità amministrativa e dirigenziale: come si vede un insieme di sanzioni assai rigide.
Viene disposta la riduzione del 10% del tetto per la spesa che poteva essere sostenuta nell'anno 2013 per le consulenze e gli studi, nonché implicitamente per le ricerche: da evidenziare che il tetto non viene calcolato sulla spesa effettiva, ma su quella teorica.
Ricordiamo che il tetto della spesa 2013 è pari al 20% della spesa sostenuta allo stesso titolo nell'anno 2009 e che, sulla base delle indicazioni dettate dalla Corte costituzionale, gli enti locali e le regioni possono superare tale tetto a condizione che complessivamente garantiscano il rispetto dei tetti di spesa previsti dall'articolo 7 del citato dl n. 78/2010 (tagli alla formazione, alla pubblicità, alla rappresentanza, alle missioni ecc).
Si deve ritenere che questa indicazioni continui a essere applicabile in quanto elemento intrinsecamente collegato alla autonomia garantita dalla Costituzione a questi livelli istituzionali. Una novità assai rilevante è al riguardo costituita dalla non applicazione di tale tetto agli «incarichi di studio e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario» (articolo ItaliaOggi del 20.09.2013).

APPALTI: PRIME INDICAZIONI PER L’APPLICAZIONE DELLE MODIFICAZIONI INTRODOTTE ALL’ART. 82 DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI DALLA LEGGE 09.08.2013 N. 98 DI CONVERSIONE DEL DL 69/2013 (ITACA, 19.09.2013).
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L’art. 32, comma 7-bis della legge 09.08.2013, n.98 di conversione del decreto legge 21.06.2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), entrato in vigore lo scorso 21 agosto, ha introdotto il nuovo comma 3-bis all’art. 82 del D.Lgs. 163/2006.
Tale nuova disposizione normativa inerente al criterio del prezzo più basso valutato anche sulla base del costo del personale e degli adempimenti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, sta producendo delle importanti ripercussioni nel settore degli appalti pubblici.
La norma, volta a migliorare le condizioni di lavoro nel mercato dei contratti pubblici, non prevedendo un periodo transitorio, è in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione in gazzetta ufficiale (21/08/2013).
Il Gruppo di lavoro interregionale “Contratti pubblici” presso ITACA, ha realizzato un primo contributo operativo a supporto dell’attività delle stazioni appaltanti nella delicata applicazione della nuova disciplina normativa, soprattutto per quanto riguarda le modifiche e integrazioni da apportare ai documenti costituenti i bandi e la gestione delle gare.

APPALTI: Sull'istituto dell'avvalimento.
Appare preferibile, alla stregua di un criterio sistematico e funzionale rispetto alle finalità perseguite, di massima partecipazione alle gare pubbliche alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost. e di piena concorrenza secondo il Trattato europeo, una interpretazione dell'art. 49, comma 1, del D.Lgs 163/2006 più favorevole alla massima partecipazione alla gara, in base alla quale ciascuna impresa associata (mandataria e mandanti) ha diritto ad utilizzare uti singula l'istituto dell'avvalimento al fine di integrare i requisiti richiesti dal bando di gara dei quali risulti sprovvista.
La tesi secondo cui l'affitto di azienda può essere utilizzato soltanto ai fini della qualificazione SOA e non anche per acquisire in sede di gara il requisito del fatturato dell'azienda presa in affitto, sembra apertamente contrastare la disposizione generale dell'art. 2558, 3° comma, cod. civ., secondo cui il locatario dell'azienda subentra nelle identiche posizioni e situazioni giuridiche del locatore, e quindi anche nella sua pregressa attività ed esperienza.
Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sezione III, 18.04.2011, n. 2344), l'articolo 49 del Codice dei contratti pubblici, nel disciplinare l'istituto dell'avvalimento, non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante tale strumento, che assume una portata generale. D'altra parte, è fuori discussione che, nell'ottica dell'ordinamento comunitario, l'avvalimento miri ad incentivare la concorrenza, nell'interesse delle imprese, agevolando l'ingresso nel mercato di nuovi soggetti. Pertanto tale giurisprudenza ha escluso l'esistenza di un divieto assoluto e inderogabile di ricorrere all'avvalimento, per dimostrare la disponibilità dei requisiti soggettivi di "qualità" (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 18.09.2013 n. 8322 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Vademecum per le stazioni appaltanti, volto all’Individuazione di criticità concorrenziali nel settore degli appalti pubblici (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, deliberazione 18.09.2013).

APPALTI: Sulla illegittimità della richiesta documentale alle micro, piccole e medie imprese anche in sede di verifica ex art. 48 d.lgs 163/2006.
L'art. 13, III comma, della l. 11.11.2011, n. 180, stabilisce che "La pubblica amministrazione e le autorità competenti, nel caso di micro, piccole e medie imprese, chiedono solo all'impresa aggiudicataria la documentazione probatoria dei requisiti di idoneità previsti dal codice di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163".
La previsione vieta, quindi, alle stazioni appaltanti di controllare se il concorrente, rientrante nell'ambito soggettivo di applicazione della norma, possegga effettivamente i requisiti dichiarati con la domanda di partecipazione alla gara, e ciò fino all'esito della stessa, se a quegli favorevole.
Orbene, non si vede perché tale norma speciale, evidentemente destinata a esonerare le imprese minori dall'onere economico che la dimostrazione dei requisiti comporta, non dovrebbe applicarsi anche nella fase di verifica, di cui all'art. 48 d.lgs. 163/2006, e non dovrebbe riguardare anche le imprese di progettazione ex art. 53 cit., accumunate alle altre dall'onere economico suddetto (TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 17.09.2013 n. 8314 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gare. Esclusi dai ribassi anche i costi per la sicurezza.
Appalti, l'offerta garantisce i salari minimi da contratto.
LE CONSEGUENZE/ Se l'amministrazione allinea la base d'asta alle retribuzioni di base impedisce ai concorrenti di formulare l'offerta.

Gli operatori economici devono presentare le offerte nelle gare di appalto con il prezzo più basso nel rispetto dei minimi salariali previsti dal contratto nazionale per i propri dipendenti.
Il Dl 69/2013 ha introdotto nell'articolo 82 del codice dei contratti pubblici una disposizione che individua un limite ben preciso nel processo di valutazione delle offerte al massimo ribasso.

Lo prevede il Dl 69/2013, che ha introdotto all'articolo 82 del Codice contratti una norma che replica in molti elementi quella definita dalla legge 106/2011 e poi abrogata, ed è sempre finalizzata a impedire la presentazione di offerte economiche non coerenti con gli standard retributivi per i lavoratori impiegati nell'appalto.
L'articolo 82, comma 3-bis, stabilisce che il prezzo più basso è determinato al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti sia dalla contrattazione nazionale sia da quella di di secondo livello. Si prevede poi che la determinazione del prezzo migliore sia effettuata anche al netto dei costi degli adempimenti per le norme su salute e sicurezza sul lavoro, individuabili come gli oneri della sicurezza aziendali (da esplicitare secondo l'articolo 87, comma 4, del Codice).
Si determina quindi per i concorrenti la possibilità di formulare l'offerta solo sulla parte "eccedente" i minimi salariali e i costi della sicurezza aziendali (calcolati per quota parte), ossia sui costi amministrativi e sul margine dell'utile di impresa; questo comporta che le stazioni appaltanti valutino accuratamente il quadro dei valori retributivi dei contratti riferibili ai potenziali partecipanti alla gara per la formazione della base d'asta, poiché un valore dell'appalto corrispondente ai minimi renderebbe impossibile la formulazione dell'offerta.
Considerando le valutazioni espresse a suo tempo dall'Avcp sulla norma "gemella" contenuta nella legge 106/2011, l'attuale previsione sul rispetto dei minimi salariali nelle offerte potrebbe sancire l'obbligo di verificare la congruità del costo del lavoro su più piani: la produttività presentata dal concorrente, il livello e il numero del personale necessario per garantirla e il controllo dei corrispondenti minimi salariali previsti nella giustificazione (articolo Il Sole 24 Ore del 16.09.2013).

APPALTI SERVIZI - RIFIUTI: I rifiuti provenienti da esumazione e da estumulazione sono classificati per legge come urbani ex art. 184, c. 2, lett. f), del D.lgs. 152/2006.
Sicché, il trasporto di tali rifiuti può essere effettuato solo da chi è in possesso della relativa autorizzazione al trasporto di rifiuti “per conto terzi".

... per l'annullamento della determinazione del Responsabile del Servizio 30/10/2012 n. 342 che ha provveduto a revocare la gara d'appalto espletata in data 28/06/2012 e 12/07/2012 relativa all'affidamento del servizio alla ricorrente in quanto la stessa non risulterebbe in possesso dei requisiti tecnico-organizzativi previsti all'art. 42 del D.Lgs. n. 163/2006 e ss.mm.ii. e del provvedimento 08/11/2012 prot. n. 19695, con il quale è stata comunicata la medesima determinazione del Responsabile del Servizio 30/10/2012 n. 342.
...
Ritenuto che:
- i rifiuti provenienti da esumazione e da estumulazione sono classificati per legge come urbani ex art. 184, c. 2, lett. f), del D.lgs. 152/2006; né d’altra parte appare fondatamente sostenibile che i medesimi residui mortali derivino dall’attività di esumazione anziché essere preesistenti ad essa;
- il trasporto di tali rifiuti può essere effettuato solo da chi è in possesso della relativa autorizzazione al trasporto di rifiuti “per conto terzi”, non essendo rifiuti prodotti dall’attività di esumazione;
- pertanto, il provvedimento di revoca dell’affidamento della gara d’appalto è legittimo, avendo l’amministrazione correttamente rilevato, da parte della ditta affidataria del servizio di esumazione, la carenza di un requisito di legge di capacità tecnica e professionale, ovvero l’iscrizione all’albo nazionale per il trasporto di rifiuti per conto terzi (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 13.09.2013 n. 1107 - link a www.giustizia-amministrativa).

APPALTI: Oggetto: D.L. n. 76/2013 (cd. “Decreto lavoro”) – Circolare Ministero del Lavoro n. 35/2013 (ANCE di Bergamo, circolare 13.09.2013 n. 210).

APPALTILa informativa antimafia c.d. atipica (o supplementare), elaborata dalla prassi, rinviene il suo fondamento normativo nel combinato disposto dell’art. 10, comma 9, del d.P.R. 252/1998 e dell’art. 1-septies, del d.l. 629/1982, conv. in legge 726/1982, nonché nell’art. 10, comma 7, lett. c), del d.P.R. 252/1998, che consente al Prefetto autonomi accertamenti.
Deve dunque ritenersi sempre consentito al Prefetto di fornire alle stazioni appaltanti un’informativa atipica. Tuttavia, essa, a differenza di quella c.d. tipica, non ha carattere (direttamente) interdittivo, ma consente alla stazione appaltante l’attivazione di una valutazione discrezionale in ordine all’avvio o al prosieguo dei rapporti contrattuali, alla luce dell’idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con la P.A., sicché la sua efficacia interdittiva può eventualmente scaturire soltanto da una valutazione autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria.
In altri termini, l’informativa antimafia atipica, ancorché non sia priva di effetti nei confronti delle Amministrazioni, non ne comprime integralmente le capacità di apprezzamento, con la conseguenza che i provvedimenti di mantenimento o di risoluzione del rapporto debbono essere comunque il frutto di una scelta motivata della stazione appaltante (sulla attribuzione, alla stazione appaltante destinataria di una informativa atipica, di spazi valutativi sulla incidenza effettiva degli elementi di apprezzamento forniti dalla Prefettura nella procedura di riferimento.
La informativa atipica è pur sempre assoggettabile a sindacato giurisdizionale di legittimità sotto i profili della sufficienza della motivazione e della logicità, coerenza o attendibilità del giudizio, con riferimento al significato attribuito agli elementi di fatto e all’iter seguito per pervenire a determinate conclusioni.

Secondo la giurisprudenza (cfr., da ultimo, il quadro ricostruttivo fornito da CGA, 08.05.2013, n. 456), nel nostro ordinamento la informativa antimafia c.d. atipica (o supplementare), elaborata dalla prassi, rinviene il suo fondamento normativo nel combinato disposto dell’art. 10, comma 9, del d.P.R. 252/1998 e dell’art. 1-septies, del d.l. 629/1982, conv. in legge 726/1982, nonché nell’art. 10, comma 7, lett. c), del d.P.R. 252/1998, che consente al Prefetto autonomi accertamenti.
Deve dunque ritenersi sempre consentito al Prefetto di fornire alle stazioni appaltanti un’informativa atipica. Tuttavia, essa, a differenza di quella c.d. tipica, non ha carattere (direttamente) interdittivo, ma consente alla stazione appaltante l’attivazione di una valutazione discrezionale in ordine all’avvio o al prosieguo dei rapporti contrattuali, alla luce dell’idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con la P.A., sicché la sua efficacia interdittiva può eventualmente scaturire soltanto da una valutazione autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria (cfr. Cons. Stato, III, 14.09.2011, n. 5130; VI, 28.04.2010, n. 2441; I, 25.02.2012, n. 4774).
In altri termini, l’informativa antimafia atipica, ancorché non sia priva di effetti nei confronti delle Amministrazioni, non ne comprime integralmente le capacità di apprezzamento, con la conseguenza che i provvedimenti di mantenimento o di risoluzione del rapporto debbono essere comunque il frutto di una scelta motivata della stazione appaltante (sulla attribuzione, alla stazione appaltante destinataria di una informativa atipica, di spazi valutativi sulla incidenza effettiva degli elementi di apprezzamento forniti dalla Prefettura nella procedura di riferimento, cfr. Cons. Stato, VI, 11.12.2009, n. 7777; 03.05.2007, n. 1948; V, 28.03.2008, n. 1310).
La informativa atipica è pur sempre assoggettabile a sindacato giurisdizionale di legittimità sotto i profili della sufficienza della motivazione e della logicità, coerenza o attendibilità del giudizio, con riferimento al significato attribuito agli elementi di fatto e all’iter seguito per pervenire a determinate conclusioni (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.09.2013 n. 4511 - link a www.giustizia-amministrativa).

APPALTI: Si tratta di stabilire se le dichiarazioni ex art. 38, nella loro completezza, debbano essere espressamente riferite anche al legale rappresentante/amministratore dell’impresa dalla quale la concorrente (nel caso di specie, mandante dell’ATI concorrente) si sia resa affittuaria di un ramo di azienda.
Al quesito il Collegio ritiene di poter dare risposta affermativa.
Vero è che nel codice degli appalti manca una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o fitto d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori e direttori tecnici della cedente -atteso che l’art. 51 del codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda successiva all’aggiudicazione della gara- tuttavia non è neppure dubitabile che la norma di cui al citato art. 38, comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono.
Peraltro, l’esigenza di riferire le dichiarazioni anche agli amministratori dell’impresa dalla quale la concorrente ha ottenuto la disponibilità dell’azienda è ancora più evidente nel caso in cui si tratti di affitto e non di cessione dell’azienda, dal momento che l’influenza dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice degli appalti.

La questione giuridica da risolvere con riguardo alla presente censura è dunque quella di stabilire se le dichiarazioni ex art. 38, nella loro completezza, debbano essere espressamente riferite anche al legale rappresentante/amministratore dell’impresa dalla quale la concorrente (nel caso di specie, mandante dell’ATI concorrente) si sia resa affittuaria di un ramo di azienda.
Al quesito il Collegio ritiene di poter dare risposta affermativa.
Vero è che nel codice degli appalti manca una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o fitto d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori e direttori tecnici della cedente -atteso che l’art. 51 del codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda successiva all’aggiudicazione della gara- tuttavia non è neppure dubitabile che la norma di cui al citato art. 38, comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono (così TAR Napoli, Sez. I, 03.06.2013, n. 2868, nonché A.P. n. 10 del 2012 per la fattispecie specifica della cessione d’azienda).
Peraltro, l’esigenza di riferire le dichiarazioni anche agli amministratori dell’impresa dalla quale la concorrente ha ottenuto la disponibilità dell’azienda è ancora più evidente nel caso in cui si tratti di affitto e non di cessione dell’azienda, dal momento che l’influenza dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice degli appalti (cfr., in termini, Consiglio di Stato, Sezione III, 18.07.2011, n. 4354; C.G.A., 05.01.2011, n. 8 e 26.10.2010, n. 1314; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 16.03.2011, n. 488) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 11.09.2013 n. 1090 - link a www.giustizia-amministrativa).

APPALTI SERVIZI: Revoca dell'aggiudicazione per chi non rispetti la clausola sociale.
Nel caso in cui il bando di gara preveda espressamente l'obbligo per l'aggiudicataria di assunzione del personale già dipendente dell'impresa uscente, garantendo le medesime condizioni giuridico-economiche, è legittimo il provvedimento con cui la stazione appaltante abbia revocato in autotutela l'aggiudicazione per il venir meno del rapporto fiduciario con il contraente, in considerazione del fatto che l'impresa esecutrice dell'appalto aveva applicato nei confronti dei suddetti lavoratori condizioni economiche deteriori rispetto a quelle in godimento alle dipendenze della precedente ditta.

Il TAR Campania-Napoli, Sez. I, con la sentenza 10.09.2013 n. 4216, posto che l’art. 21-quinquies, L. n. 241/1990 non indica ipotesi tipizzate per l’esercizio del potere di autotutela che, anzi, trova fondamento negli stessi principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost., ha ravvisato la legittimità di un provvedimento di revoca di una aggiudicazione in favore di una società che non ha garantito ai dipendenti della ditta uscente l’assorbimento in servizio alle medesime condizioni contrattuali in corso –obbligo espressamente previsto dal bando: in tale evenienza, infatti, il provvedimento si giustifica con la grave compromissione del rapporto fiduciario tra la P.A. e l’aggiudicataria dovuta al mancato rispetto delle fondamentali garanzie poste a tutela dei lavoratori.
Analisi del caso
La ricorrente, aggiudicataria del servizio di pulizia di alcuni locali e impianti di proprietà di un Comune, avendo iniziato l’esecuzione in via d’urgenza del medesimo servizio, in assenza della previa stipulazione del contratto, era stata diffidata dalla civica P.A. ad assumere tutto il personale della ditta uscente, alle stesse condizioni già praticate, nel rispetto delle disposizione del capitolato speciale d’appalto.
In assenza di riscontro positivo alla specifica richiesta –imposta, in ogni caso, dalla lex specialis di gara– l’Amministrazione aveva provveduto alla revoca e annullamento in autotutela dell’aggiudicazione definitiva, con risoluzione del rapporto in essere, liquidato ogni compenso per l’attività comunque svolta, e aveva disposto il conseguente affidamento del servizio in favore dell’impresa seguente in graduatoria.
L’originaria aggiudicataria ha, così, adito il Collegio di Napoli per l’annullamento del provvedimento di revoca, per la declaratoria d’inefficacia del contratto stipulato con l’attuale ditta esecutrice del servizio e per la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno, censurando l’operato della P.A. per la violazione dell’art. 7, L. n. 241/1990, per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, per eccesso di potere per travisamento dei fatti posti a fondamento della revoca, nonché difetto di istruttorie e motivazione, atteso che tutti i dipendenti della precedente ditta sarebbero stati assunti e che la disparità di condizioni rispetto a quelle in godimento non sarebbe dipesa dalla volontà della stessa aggiudicataria, e comunque risulterebbe consentita dall’art. 4, lett. b), del C.C.N.L. del settore, trattandosi di appalto affidato a condizioni diverse dalle precedenti.
Si è costituito il Comune resistente che ha ribadito come l’aggiudicataria non avesse rispettato la c.d. “clausola sociale” in quanto aveva assunto i dipendenti dell’impresa uscente solo con orario di lavoro a tempo settimanale ridotto e che, per tale ragione, si era tenuto un incontro presso la Direzione territoriale del lavoro e risultava pendente un ricorso, con esito interinale cautelare favorevole, avverso la medesima aggiudicazione, poi revocata, presentato dalla concorrente seconda in graduatoria, esecutrice del servizio: in relazione a quest’ultima circostanza, la P.A. sollevava eccezione di inammissibilità del ricorso.
La soluzione
Il giudicante, prima di ogni altra considerazione, ha disatteso l’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dalla civica P.A., evidenziando come quel giudizio si fosse ormai concluso con una decisione in rito di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse e che, in ogni caso, la sola pendenza di un processo impugnatorio non sarebbe di per sé idonea a scalfire l’interesse dell’attuale ricorrente a conseguire l’annullamento del provvedimento di revoca, l’aggiudicazione e il risarcimento del danno.
Nel merito, il TAR ha confutato il primo motivo di ricorso, precisando che la partecipazione dell’interessata al procedimento è stata comunque garantita avendo la ricorrente partecipato all’incontro presso la locale D.T.L. e presentato le proprie giustificazioni a seguito del ricevimento della nota di diffida ad assumere tutto il personale già dipendente della impresa uscente – nota prodromica all’adozione della revoca dell’aggiudicazione: ha fatto, così, applicazione del principio del “raggiungimento dello scopo” recepito dall’art. 21-octies, L. n. 241/1990 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 02.11.2011, n. 7732).
Con riferimento agli ulteriori due motivi di gravame, poi, ha osservato come la norma dell’art. 4 del C.C.N.L. relativo ai servizi di pulizia integrati e multi servizi, non consentisse affatto la possibilità di derogare all’obbligo imposto dal capitolato speciale d’appalto di rispettare la c.d. “clausola sociale”, ma, al contrario, ordinava la convocazione dell’impresa aggiudicataria al fine di armonizzare le mutate condizioni dell’appalto con le esigenze di tutela dei lavoratori: a questo precipuo scopo, ha confermato il G.A., era stato indetto l’incontro presso la D.T.L. da cui era, però, emerso l’inadempimento da parte della ricorrente alle prescrizioni del bando, tale da giustificare l’esercizio del diritto di autotutela da parte della P.A..
Al riguardo, ha osservato la Sezione, in materia di appalti pubblici, anche dopo l’intervento dell’aggiudicazione definitiva, non è precluso alla stazione appaltante di revocare l’aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse pubblico, individuato in concreto, qual è, nel caso di specie, quello della tutela dei lavoratori (Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 11.07.2012, n. 4116), il cui mancato rispetto ha determinato un giudizio negativo della P.A. sulla capacità di gestione del servizio e sull’affidabilità dell’impresa, con il venir meno di quel necessario rapporto fiduciario, a base della normativa sui contratti pubblici e che deve esistere e persistere per tutta la durata dell’appalto.
Il Collegio ha, così, ritenuto idonee le motivazioni addotte dall’Amministrazione resistente a sostegno del provvedimento di revoca, rigettando il ricorso, anche nella parte della domanda risarcitoria.
I precedenti e i possibili impatti pratico-operativi
In riferimento ad analoghe questioni, la giurisprudenza si è sempre orientata nel senso di realizzare il principio costituzionale della “funzione sociale” dell’impresa, riconoscendo alla clausola sociale nei contratti pubblici la funzione di preservare il livello occupazionale in atto, costituendo essa una vera e propria “modalità di esecuzione del servizio”, non già un requisito di partecipazione richiesto ai concorrenti (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 06.08.2013, n. 19; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 05.12.2011, n. 9570; Trib. Salerno, Sez. I, 05.10.2007).
La decisione segnalata, dunque, si pone in termini di assoluta continuità con l’indirizzo unanimemente seguito dalla giurisprudenza e indica alle stazioni appaltanti la “via maestra” per un adeguato contemperamento degli interessi imprenditoriali e sociali; ove l’Amministrazione rilevi situazioni in cui l’esecuzione del servizio in violazione della clausola sociale -nella ridetta accezione delineata dall’Adunanza plenaria– potrà sempre adottare le proprie determinazioni a seguito della valutazione, altamente discrezionale e sindacabile solo in sede di legittimità per manifesta illogicità, della persistenza, o meno, dei requisiti di moralità professionale in capo alla ditta risultata aggiudicataria (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30.12.2005, n. 7580), scongiurando, però, ed è questo l’auspicio, il rischio di rimettere alla P.A. il potere di scelta del contraente in elusione delle procedure di gara, facendo leva proprio sulla natura “fiduciaria”, indefinita, se non per tratti soffusi, del rapporto d’appalto (tratto da www.ispoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa sottoscrizione dell’offerta tecnica assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell'offerta medesima e ne costituisce elemento essenziale di ammissibilità sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, con la conseguenza che la sua mancanza inficia la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà contenuta nell'offerta senza che sia necessaria, ai fini dell'esclusione delle offerte non sottoscritte, una espressa previsione della legge di gara.
Considerato:
- che, ai fini del regolamento delle spese processuali, deve essere ribadita la delibazione di manifesta fondatezza del ricorso, già anticipata in sede cautelare, con particolare riferimento alle censure che investono la mancata sottoscrizione dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria: al riguardo è appena il caso di precisare che, per giurisprudenza costante, la sottoscrizione dell’offerta tecnica assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell'offerta medesima e ne costituisce elemento essenziale di ammissibilità sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, con la conseguenza che la sua mancanza inficia la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà contenuta nell'offerta senza che sia necessaria, ai fini dell'esclusione delle offerte non sottoscritte, una espressa previsione della legge di gara (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.04.2012, n. 2317; id., 25.01.2011 n. 528) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 10.09.2013 n. 1260 - link a www.giustizia-amministrativa).

APPALTIDopo alcune oscillazioni, e all’indomani dell’introduzione per mano del legislatore del principio di tassatività delle cause di esclusione dagli appalti pubblici (con il comma 1-bis aggiunto dal D.L. n. 70/2011 all’art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006), questa Sezione ha aderito all’indirizzo che –sulla scorta di una lettura doverosamente rigorosa delle previsioni normative– limita gli obblighi dichiarativi ai soli amministratori muniti di poteri di rappresentanza, in conformità alla lettera dell’art. 38, che richiede la coesistenza di due requisiti (la carica formale di amministratore e la titolarità del potere rappresentativo) e non può, pertanto, trovare applicazione nei confronti di coloro che, pur muniti di potere di rappresentanza, non siano amministratori.
Intorno alla questione dell’applicabilità ai procuratori delle imprese concorrenti in una gara di appalto degli obblighi dichiarativi sanciti dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 si è sviluppato, com’è noto, un ampio dibattito giurisprudenziale, che ha condotto alla formazione di due indirizzi contrapposti: l’uno, in forza del quale sarebbe da assimilarsi alla posizione degli amministratori quella dei soggetti titolari di un significativo ruolo decisionale e gestionale all’interno dell’impresa, nonché dei procuratori cui siano stati conferiti poteri rappresentativi rilevanti al punto da giustificare l’assoggettamento all’obbligo di dichiarazione (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29.09.2012, n. 5150); l’altro, secondo cui l’obbligo di dichiarazione sarebbe di contro circoscritto ai soli amministratori muniti di poteri di rappresentanza e ai direttori tecnici, con esclusione dei procuratori, posto che l’art. 38 cit. costituirebbe disposizione eccezionale insuscettibile di essere applicata a soggetti diversi da quelli espressamente contemplati (da ultimo, cfr. Cons. Stato, sez. III, 06.05.2013, n. 2449).
Deve darsi conto, altresì, dell’esistenza di un orientamento “intermedio”, che, privilegiando una verifica casistica e in concreto, comprende nel novero dei soggetti tenuti a rendere le dichiarazioni ex art. 38 tutti coloro che, al di là della qualifica e dei poteri formalmente rivestiti, svolgano o abbiano svolto anche in via di mero fatto un’attività di amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.10.2010, n. 7578).
Dopo alcune oscillazioni, e all’indomani dell’introduzione per mano del legislatore del principio di tassatività delle cause di esclusione dagli appalti pubblici (con il comma 1-bis aggiunto dal D.L. n. 70/2011 all’art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006), questa Sezione ha infine aderito all’indirizzo che –sulla scorta di una lettura doverosamente rigorosa delle previsioni normative– limita gli obblighi dichiarativi ai soli amministratori muniti di poteri di rappresentanza, in conformità alla lettera dell’art. 38, che richiede la coesistenza di due requisiti (la carica formale di amministratore e la titolarità del potere rappresentativo) e non può, pertanto, trovare applicazione nei confronti di coloro che, pur muniti di potere di rappresentanza, non siano amministratori (cfr. TAR Toscana, sez. I, 07.02.2013, n. 187; id., 20.12.2012, n. 2074).
In attesa di un intervento che contribuisca a dirimere l’irrisolto contrasto interpretativo (la questione è stata rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza della V Sezione, 09.04.2013, n. 1943), il collegio intende mantenere ferma la propria giurisprudenza, di talché, come anticipato in sede cautelare, deve escludersi che la posizione di procuratori ricoperta all’interno delle imprese Rampasi Costruzioni e Poggiolini Restauri, rispettivamente, dai signori Cadile e Dalla Fior comportasse alcun obbligo dichiarativo a norma dell’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006 e della stessa lex specialis, la quale individua i soggetti tenuti ad attestare il possesso dei requisiti di moralità limitandosi a un pedissequo, quanto inequivocabile, richiamo alle disposizioni di legge (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 10.09.2013 n. 1258 - link a www.giustizia-amministrativa).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: IL DECRETO DEL FARE PUNTO PER PUNTO (Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, circolare 10.09.2013 n. 11).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 37 del 10.09.2013, "Approvazione dei criteri per la redazione della graduatoria regionale dei progetti presentati dalle Province e dai Comuni per la realizzazione degli interventi in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, in attuazione della l. 98/2013 (art. 18, commi 8-ter e 8-quater)" (deliberazione G.R. 06.09.2013 n. 615).

LAVORI PUBBLICI: Rilancio delle infrastrutture. Coinvolgendo i privati. Il "dl del fare" modifica la disciplina in materia di concessioni di costruzione e gestione di opere.
Nuovi impulsi da parte del governo per il rilancio del settore delle infrastrutture da realizzarsi con il coinvolgimento dei partner privati. Il «decreto del Fare» modifica la disciplina in materia di concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche.

L'articolo 19, infatti, del comma del dl 69/2013, convertito con modificazioni dalla legge 09/08/2013 n. 98, tra i diversi aspetti trattati, va, in particolare, ad introdurre alcune specificazioni agli articoli 143 e 144 del Codice degli appalti (dlgs 163/2006) relativi alle concessioni di lavori pubblici e alle procedure di affidamento delle stesse.
La prima integrazione vede interessato il comma 5 dell'articolo 143 che disciplina la fattispecie del contributo immobiliare riconosciuto dal concedente a titolo di prezzo per la realizzazione delle opere, in aggiunta allo sfruttamento economico delle stesse, consistente nel trasferimento al concessionario della proprietà o del diritto di godimento di beni immobili di propria disponibilità, la cui utilizzazione o valorizzazione, con modalità da definire al momento di approvazione del progetto, è necessaria per il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario della concessione.
Considerato, quindi, che tale contributo costituisce un presupposto essenziale per l'equilibrio economico-finanziario della concessione, il nuovo decreto va ad aggiungere in tale comma un nuovo periodo in cui è precisato, a garanzia del concessionario stesso, che, in relazione al progetto di utilizzazione e valorizzazione degli immobili in questione, il soggetto concedente dichiari all'atto di consegna dei lavori «di disporre di tutte le autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di consenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente e che detti atti sono legittimi, efficaci e validi».
Un'ulteriore modifica all'articolo 143 riguarda i casi di revisione della concessione per effetto di modifiche normative e regolamentari che comportino variazioni alle condizioni base e ai presupposti dell'equilibrio economico-finanziario, laddove al comma 8 è prevista la sostituzione della sola formulazione che faceva riferimento a modifiche implicanti «nuove condizioni per l'esercizio delle attività previste nella concessione», con il riferimento generale a norme legislative e regolamentari «che comunque incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario, previa verifica del Cipe sentito il Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (Nars)».
Sempre sul tema dell'alterazione dell'equilibrio economico-finanziario della concessione e dell'attivazione delle procedure di revisione, il nuovo provvedimento legislativo introduce a completamento del citato comma 8, il nuovo comma 8-bis che dispone che le convenzioni devono definire «i presupposti e le condizioni di base del piano economico-finanziario le cui variazioni non imputabili al concessionario, qualora determinino una modifica dell'equilibrio del piano, comportano la sua revisione».
In aggiunta, sempre nel nuovo comma, si prevede che le convenzioni definiscano espressamente l'equilibrio economico-finanziario della concessione facendo riferimento agli indicatori di redditività del progetto e di sostenibilità finanziaria intesa come capacità di rimborso del debito accesso per la realizzazione degli investimenti. Altresì, dovranno contenere le modalità e i termini con cui procedere alla verifica dell'equilibrio economico-finanziario e avviare, se necessario, la revisione della stesse.
Tra le nuove disposizioni il decreto in esame va ad integrare anche l'articolo 144 al comma 3-bis delineando, nell'ottica di attivare progetti infrastrutturali «bancabili», cioè che possano essere finanziati dagli istituti di credito, la possibilità, per le concessioni da affidarsi con procedura ristretta, di attivare, se appositamente previsto nel bando di gara, una consultazione preliminare con i concorrenti invitati a presentare offerte, mirata a verificare l'eventuale sussistenza di criticità del progetto posto a base di gara tali da incidere sulla finanziabilità dello stesso e a procedere a una conseguente modifica della documentazione di gara con differimento del termine originario di presentazione delle offerte. È precisato, tuttavia, che non potrà essere oggetto di consultazione preliminare l'importo delle misure di defiscalizzazione e dei contributi pubblici da riconoscere al concessionario.
Il tema del finanziamento dei progetti è poi anche alla base dei nuovi commi 3-ter e 3-quater aggiunti sempre nell'articolo 144. Nel comma 3-ter si prevede la facoltà per le amministrazioni aggiudicatrici di richiedere nel bando di gara che l'offerta possa essere anche corredata da una manifestazione di interesse di uno o più istituti finanziatori disposti a finanziare l'operazione, anche in considerazione dei contenuti dello schema di contratto e del piano economico-finanziario.
Il nuovo comma 4-ter dispone, inoltre, che il bando di gara indichi un congruo termine, non superiore a 24 mesi, decorrenti dalla data di approvazione del progetto definitivo, entro i quali il concessionario dovrà reperire le risorse finanziarie per la realizzazione degli interventi attraverso la sottoscrizione del contratto di finanziamento con gli istituti di credito o la sottoscrizione e il collocamento dei project bond ex art. 157 del dlgs 163/2006. Il mancato reperimento delle risorse finanziarie di cui sopra entro il termine prestabilito dal bando costituisce caso di risoluzione, da prevedere espressamente nel contratto, della concessione senza diritto a rimborso delle spese sostenute inclusi anche i costi per la progettazione definitiva.
Il concessionario potrà liberamente reperire risorse finanziarie secondo altre forme di finanziamento previste dall'ordinamento vigente purché nello stesso termine previsto dal bando. Il bando di gara potrà, inoltre, prevedere che in caso di parziale finanziamento del progetto e, comunque, per uno stralcio tecnicamente ed economicamente funzionale, che il contratto di concessione possa rimanere valido limitatamente alla parte che regola la realizzazione e gestione di tale stralcio del progetto.
Infine, è precisato che le disposizioni di cui sopra non si applicano alle procedure di finanza di progetto con bando già pubblicato alla data di entrata in vigore del decreto o alle procedure per le quali sia già intervenuta, alla stessa data, la dichiarazione di pubblico interesse delle proposte presentate (articolo ItaliaOggi del 06.09.2013).

LAVORI PUBBLICICorte Ue. Le indicazioni dell'avvocato generale. Tariffe minime più salde per le «Soa» negli appalti.
IL PROBLEMA/ Non convince la possibilità di moltiplicare l'importo in caso di più gare in assenza di oneri aggiuntivi per la valutazione
Le tariffe minime obbligatorie previste per le società organismi di certificazione (Soa) che si occupano dell'idoneità delle imprese che partecipano alle procedure di appalti pubblici sono compatibili con il diritto Ue. Questo perché servono a salvaguardare la qualità del servizio e l'indipendenza degli organismi di certificazione. A patto, però, che la formula di calcolo delle tariffe non produca un aumento automatico degli importi per il solo fatto che un'impresa partecipi a più gare di appalto.
È la posizione dell'avvocato generale Cruz Villalón che, nelle conclusioni depositate oggi (causa C-327/12), ha salvato il sistema delle tariffe per l'attività di attestazione delle Soa previsto in Italia, aprendo la strada, però, ad alcuni cambiamenti rilevanti nella quantificazione degli importi. Adesso la parola passa alla Corte di giustizia, non vincolata dalle conclusioni.
È la prima volta che la questione del regime legale italiano dei minimi tariffari viene affrontato dalla Corte di giustizia nel contesto delle Soa, ossia in rapporto a organismi che hanno una funzione giuridica ed economica di rilievo pubblico. La vicenda approdata a Lussemburgo ha preso il via dal ricorso al Tar Lazio dalla Soa nazionale costruttori secondo la quale il decreto Bersani, nella parte relativa all'abrogazione dei minimi tariffari obbligatori, doveva essere applicato anche alle Soa. Di diverso avviso sia l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici dei lavori sia il ministero dello Sviluppo economico secondo i quali l'abolizione delle tariffe minime non riguardava le Soa.
Il Tar aveva dato ragione all'organismo di certificazione costruttori, ma il Consiglio di Stato, prima di decidere, si è rivolto agli eurogiudici. In base alla legge 34/2000, modificata dal Dpr 207/2010, le Soa, società per azioni di diritto privato che operano sul mercato con autorizzazione dell'Autorità di vigilanza dei contratti pubblici, previa verifica dei requisiti di autonomia e di indipendenza, con competenza esclusiva nella certificazione delle imprese che partecipano a procedure di aggiudicazione di lavori pubblici, devono ricevere un corrispettivo secondo criteri fissi stabiliti dalla legge.
La previsione di queste tariffe minime, per l'avvocato generale, è compatibile con il diritto Ue e, in particolare con la libertà di stabilimento (articolo 49 del Trattato) perché serve a salvaguardare un motivo imperativo di interesse generale ossia la qualità del servizio. Senza dimenticare la necessità di assicurare l'indipendenza delle Soa nell'esercizio delle funzioni. Le tariffe obbligatorie, quindi, svolgono una «funzione di garanzia dell'integrità finanziaria delle Soa».
Detto questo, però, non convince l'avvocato generale e la Commissione il metodo di calcolo stabilito dalla legge italiana perché una Soa può moltiplicare automaticamente l'importo della tariffa se un'impresa partecipa a più appalti e questo malgrado la valutazione sulla stessa impresa non comporti oneri aggiuntivi. Di qui, la necessità di una modifica per lo meno con l'introduzione di un criterio moderatore (articolo Il Sole 24 Ore del 06.09.2013).

APPALTILe informazioni prefettizie antimafia possono essere ricondotte alle seguenti tre tipologie:
a) quelle ricognitive di cause di per sé interdittive, di cui all'art. 4, comma 4, D.L.vo 08.08.1994 n. 490;
b) quelle relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del Prefetto ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998;
c) quelle supplementari (o atipiche), la cui efficacia interdittiva scaturisce da una valutazione autonoma e discrezionale dell'Amministrazione destinataria dell'informativa, prevista dall'art. 1-septies D.L. 06.09.1982 n. 629.
Come è noto, l’informativa atipica non ha carattere interdittivo ma –atteggiandosi quale atto endoprocedimentale- consente l'attivazione da parte dell'Amministrazione che ne è destinataria degli ordinari strumenti di discrezionalità, al fine di valutare l'avvio o il prosieguo dei rapporti contrattuali in atto in relazione all'idoneità morale del privato, con il quale ha intrattenuto o intende intrattenere rapporti che introducano oneri a carico delle risorse pubbliche.
Diversamente, l’informativa tipica -una volta accertati da parte del Prefetto i presupposti previsti dall'art. 4, comma 4, D.L.vo 08.08.1994 n. 490 ed in particolare la sussistenza di tentativi di infiltrazioni criminali tendenti a condizionare le scelte della società o dell'impresa– ha un effetto sostanzialmente preclusivo di ulteriori rapporti negoziali con le Amministrazioni appaltanti ed in pratica determina in capo all’impresa una situazione generale di incapacità a contrarre nei confronti di qualsivoglia stazione appaltante.
Dal momento che l’informativa tipica induce dunque a carico dell’impresa prevenuta una sorta di status negativo, non è ragionevolmente ipotizzabile che il Prefetto possa formulare una informativa positiva nei confronti di un soggetto imprenditoriale tuttora gravato aliunde da una informativa negativa valida ed efficace.
In sostanza, non è giuridicamente ipotizzabile che il Prefetto possa consentire ad una impresa, già gravata da informativa tipica in relazione ad un appalto, di conseguire nel prosieguo un diverso appalto.
Quindi, dal punto di vista ordinamentale, l’adozione di una informativa favorevole nei confronti di una impresa assorbe ogni precedente valutazione prefettizia tipica di stampo negativo riferita allo stesso soggetto.

Come ha da tempo chiarito la giurisprudenza anche di questo Consiglio le informazioni prefettizie antimafia possono essere ricondotte alle seguenti tre tipologie:
a) quelle ricognitive di cause di per sé interdittive, di cui all'art. 4, comma 4, D.L.vo 08.08.1994 n. 490;
b) quelle relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del Prefetto ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998;
c) quelle supplementari (o atipiche), la cui efficacia interdittiva scaturisce da una valutazione autonoma e discrezionale dell'Amministrazione destinataria dell'informativa, prevista dall'art. 1-septies D.L. 06.09.1982 n. 629 (cfr. ex multis CGA n. 227 del 2012).
Come è noto, l’informativa atipica non ha carattere interdittivo ma –atteggiandosi quale atto endoprocedimentale- consente l'attivazione da parte dell'Amministrazione che ne è destinataria degli ordinari strumenti di discrezionalità, al fine di valutare l'avvio o il prosieguo dei rapporti contrattuali in atto in relazione all'idoneità morale del privato, con il quale ha intrattenuto o intende intrattenere rapporti che introducano oneri a carico delle risorse pubbliche.
Diversamente, l’informativa tipica -una volta accertati da parte del Prefetto i presupposti previsti dall'art. 4, comma 4, D.L.vo 08.08.1994 n. 490 ed in particolare la sussistenza di tentativi di infiltrazioni criminali tendenti a condizionare le scelte della società o dell'impresa– ha un effetto sostanzialmente preclusivo di ulteriori rapporti negoziali con le Amministrazioni appaltanti ed in pratica determina in capo all’impresa una situazione generale di incapacità a contrarre nei confronti di qualsivoglia stazione appaltante.
Dal momento che l’informativa tipica induce dunque a carico dell’impresa prevenuta una sorta di status negativo, non è ragionevolmente ipotizzabile che il Prefetto possa formulare una informativa positiva nei confronti di un soggetto imprenditoriale tuttora gravato aliunde da una informativa negativa valida ed efficace.
In sostanza, come efficacemente nota l’Azienda, non è giuridicamente ipotizzabile che il Prefetto possa consentire ad una impresa, già gravata da informativa tipica in relazione ad un appalto, di conseguire nel prosieguo un diverso appalto.
Quindi, dal punto di vista ordinamentale, l’adozione di una informativa favorevole nei confronti di una impresa assorbe ogni precedente valutazione prefettizia tipica di stampo negativo riferita allo stesso soggetto.
Di talché, venendo al caso all’esame, non è rilevante la circostanza che il Prefetto nel rendere l’informativa finale favorevole abbia fatto riferimento soltanto all’informativa negativa del 2009, in quanto in chiave sistematica il rilascio della informativa favorevole non può che assorbire e superare, come si è detto, ogni precedente valutazione pregiudizievole formulata nei confronti dello stesso soggetto imprenditoriale.
Tanto chiarito sul punto nodale dell’odierna controversia, non sembra poi a questo Collegio che la nuova (e favorevole) determinazione prefettizia esibisca quei profili disfunzionali che l’impresa appellante tenta di lumeggiare.
In sostanza, secondo la Difesa dell’appellante, il provvedimento sarebbe intrinsecamente contraddittorio in quanto l’Autorità prefettizia avrebbe modificato il proprio precedente orientamento senza che medio tempore fossero intervenuti fatti nuovi o risultanze investigative ulteriori rispetto a quelle che avevano fondato il precedente negativo giudizio nei confronti dell’impresa appellata.
In proposito conviene innanzi tutto ricordare che, come posto in luce dalla univoca giurisprudenza anche di questo Consiglio, la discrezionalità delle valutazioni attribuita al Prefetto in sede di emissione dell'informativa antimafia è particolarmente ampia ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della illogicità, incoerenza o inattendibilità, con riferimento al significato attribuito agli elementi di fatto e all'iter seguito per pervenire a certe conclusioni (cfr. CGA n. 130 del 2012) (CGARS, sentenza 05.09.2013 n. 740 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'obbligo del partecipante alla gara di dichiarare le condanne penali per "reati gravi".
L'obbligo del partecipante alla gara di dichiarare le condanne penali per "reati gravi" non ricomprende le condanne per reati estinti o depenalizzati, non già per il fatto che quei fenomeni estintivi siano ex se sintomatici della "non gravità" dei reati, quanto piuttosto in ragione dell'effetto privativo che l'abrogatio criminis (ovvero il provvedimento giudiziale dichiarativo della estinzione del reato) opera sul potere della stazione appaltante di apprezzare la incidenza, ai fini partecipativi, delle sentenze di condanna cui si riferiscono quei fatti di reato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.09.2013 n. 4392 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIL'art. 57, comma 7, d.lgs. n. 163 del 2006 […] contiene il divieto espresso di rinnovo tacito dei contratti della p.a. aventi a oggetto servizi, lavori e forniture, finalizzato ad evitare che l’affidamento di un dato contratto sia sottratto al confronto concorrenziale tra gli operatori del relativo settore economico; esso rappresenta un principio di carattere generale, attuativo di un vincolo comunitario discendente dal trattato CE che, in quanto tale, opera per la generalità dei contratti pubblici ed è estensibile anche alle concessioni di servizi pubblici.
Detto principio prevale sulle altre e contrarie disposizioni dell’Ordinamento e della lex specialis e [ne] è consentita una deroga limitata solo con riguardo alla possibilità di prevedere una proroga del contratto e sempre che, con puntuale motivazione, l’Amministrazione dia conto degli elementi che conducono a disattendere il principio generale.
In altri termini, se l’Amministrazione opta per l’indizione della gara, nessuna particolare motivazione è necessaria; non così invece se ci si avvale della possibilità di proroga prevista dal bando. Detta ultima opzione dovrà essere analiticamente motivata, dovendo essere chiarite le ragioni per le quali si sia stabilito di discostarsi dal principio generale.
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Il principio generale, da ultimo sancito dall’art. 57, comma 7, del codice dei contratti pubblici […] vieta il rinnovo tacito delle stipulazioni contrattuali.
Il rinnovo tacito altro non è che una forma di trattativa privata che esula dalle ipotesi ammesse dal diritto comunitario.
L’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 6 della legge n. 537/1993 e poi con l’art. 23 legge 62/2005 al fine di adeguare l’ordinamento interno ai precetti comunitari, ha quindi valenza generale e portata preclusiva di opzioni ermeneutiche e applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici. Solo rispettando il canone interpretativo appena indicato, infatti, si assicura l’effettiva conformazione dell’ordinamento interno a quello comunitario che considera il rinnovo e la proroga come un contratto originario necessitante della sottoposizione ai canoni di evidenza pubblica, mentre, accedendo a letture sistematiche che limitino la portata precettiva del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici scaduti e che introducano indebite eccezioni, si finisce per vanificare la palese intenzione del legislatore di adeguare la disciplina nazionale in materia a quella europea.
In definitiva la legislazione vigente, partendo dal presupposto che la procrastinazione meccanica del termine originario di durata di un contratto sottrarrebbe in modo intollerabilmente lungo un bene economicamente contendibile alle dinamiche fisiologiche del mercato, non consente di procedere al rinnovo o alla proroga automatica dei contratti in corso, ma solo alla loro proroga espressa per il tempo strettamente necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica.
[…] il divieto in esame, pure se fissato dal legislatore in modo espresso […] con riguardo agli appalti di sevizi, opere e forniture, esprime un principio generale attuativo di un vincolo comunitario discendente dal Trattato e, come tale, operante per la generalità dei contratti pubblici ed estensibile anche alle concessioni di beni pubblici. L’obbligo di dare corpo a procedure di evidenza pubblica deriva, infatti, in via diretta dai principi del Trattato dell’Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne, in guisa da tenere in non cale disposizioni interne di segno opposto.

Esaminando, infine, il merito del ricorso, e ricordato che la Pellegrino deduce, in definitiva, la violazione dei principi generali in tema di concorrenza e delle norme che, in applicazione degli stessi, circoscrivono rigidamente per la p.a. la possibilità del rinnovo dei contratti in corso, va osservato che <<l’art. 57, comma 7, d.lgs. n. 163 del 2006 […] contiene il divieto espresso di rinnovo tacito dei contratti della p.a. aventi a oggetto servizi, lavori e forniture, finalizzato ad evitare che l’affidamento di un dato contratto sia sottratto al confronto concorrenziale tra gli operatori del relativo settore economico; esso rappresenta un principio di carattere generale, attuativo di un vincolo comunitario discendente dal trattato CE che, in quanto tale, opera per la generalità dei contratti pubblici ed è estensibile anche alle concessioni di servizi pubblici (Tar Liguria, II, 28.03.2012, n. 430).
Detto principio prevale sulle altre e contrarie disposizioni dell’Ordinamento e della lex specialis e [ne] è consentita una deroga limitata solo con riguardo alla possibilità di prevedere una proroga del contratto e sempre che, con puntuale motivazione, l’Amministrazione dia conto degli elementi che conducono a disattendere il principio generale.
In altri termini, se l’Amministrazione opta per l’indizione della gara, nessuna particolare motivazione è necessaria; non così invece se ci si avvale della possibilità di proroga prevista dal bando. Detta ultima opzione dovrà essere analiticamente motivata, dovendo essere chiarite le ragioni per le quali si sia stabilito di discostarsi dal principio generale (Consiglio di Stato, sez. VI, 24.11.2011, n. 6194)
>> (Tar Lecce, II, 03.01.2013, n. 8).
E ancora: <<il principio generale, da ultimo sancito dall’art. 57, comma 7, del codice dei contratti pubblici […] vieta il rinnovo tacito delle stipulazioni contrattuali.
Il rinnovo tacito altro non è che una forma di trattativa privata che esula dalle ipotesi ammesse dal diritto comunitario (Cons. di Stato, VI, n. 6458 del 31.10.2006).
L’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 6 della legge n. 537/1993 e poi con l’art. 23 legge 62/2005 al fine di adeguare l’ordinamento interno ai precetti comunitari, ha quindi valenza generale e portata preclusiva di opzioni ermeneutiche e applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici. Solo rispettando il canone interpretativo appena indicato, infatti, si assicura l’effettiva conformazione dell’ordinamento interno a quello comunitario che considera il rinnovo e la proroga come un contratto originario necessitante della sottoposizione ai canoni di evidenza pubblica, mentre, accedendo a letture sistematiche che limitino la portata precettiva del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici scaduti e che introducano indebite eccezioni, si finisce per vanificare la palese intenzione del legislatore di adeguare la disciplina nazionale in materia a quella europea.
In definitiva la legislazione vigente, partendo dal presupposto che la procrastinazione meccanica del termine originario di durata di un contratto sottrarrebbe in modo intollerabilmente lungo un bene economicamente contendibile alle dinamiche fisiologiche del mercato, non consente di procedere al rinnovo o alla proroga automatica dei contratti in corso, ma solo alla loro proroga espressa per il tempo strettamente necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica.
[…] il divieto in esame, pure se fissato dal legislatore in modo espresso […] con riguardo agli appalti di sevizi, opere e forniture, esprime un principio generale attuativo di un vincolo comunitario discendente dal Trattato e, come tale, operante per la generalità dei contratti pubblici ed estensibile anche alle concessioni di beni pubblici (così Cons. Stato, VI, 21.05.2009, n. 3145; n. 3642/2008; V, n. 2825/2007; VI, n. 168/2005). L’obbligo di dare corpo a procedure di evidenza pubblica deriva, infatti, in via diretta dai principi del Trattato dell’Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne, in guisa da tenere in non cale disposizioni interne di segno opposto
>> (Consiglio di Stato, V, 07.04.2011, n. 2151; v. anche Consiglio di Stato, V, 03.05.2012, n. 2552, secondo cui l’art. 30, d.lgs. 12.04.2006 n. 163, conformemente al diritto comunitario, esclude dall’ambito applicativo del codice dei contratti pubblici gli affidamenti dei servizi pubblici, imponendo però che la scelta del gestore del servizio avvenga nel rispetto dei principi comunitari in materia di tutela della concorrenza nonché di quelli nazionali generali relativi ai contratti pubblici -di trasparenza e d’imparzialità dell’azione amministrativa).
Sulla base di quanto fin qui esposto, e così ritenuto che il rinnovo delle convenzioni violasse la previsione dell’art. 57, comma 7, citato, per quanto scritto principio generale applicabile anche alle concessioni di servizi ai sensi dell’art. 30, comma 3, d.lgs. n. 163, il ricorso deve in definitiva essere accolto, sussistendo tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 03.09.2013 n. 1807 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTIConsiglio di Stato. Progetto respinto per vizi procedurali e poi bocciato perché arrivato troppo tardi.
Uffici lenti, arrivano i danni. Riconosciuto a un'impresa, dopo 13 anni, il risarcimento per inerzia della Pa.
Un'impresa ha diritto di vedersi riconosciuto il danno causato dai ritardi dalla Pubblica amministrazione, anche se i fatti precedono il recente diluvio normativo scatenato nel tentativo di garantire «tempi certi» all'attività degli uffici pubblici. Anche i tempi per ottenere giustizia, però, possono essere biblici, e trovano una consolazione molto parziale nel riconoscimento degli interessi legali che aumentano un po' l'indennizzo per il danno.

Sono queste le conclusioni a cui si giunge nella lettura della sentenza 02.09.2013 n. 4344, con cui il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha chiuso una vicenda che oppone un'impresa al comune di Camerino e alla regione Marche dal 1997.
A causa del «lucro cessante» e del «danno emergente» determinati dall'impossibilità di utilizzare una cava per il mancato arrivo di un'autorizzazione ambientale, i giudici amministrativi riconoscono all'impresa un rimborso da 100mila euro, che con gli interessi aumentano di circa un terzo, condannando in solido al pagamento il Comune e la Regione. Lo stop forzato dall'assenza delle carte risale però al periodo 1997-2000, mentre la sentenza definitiva è di questi giorni.
La vicenda trascende il caso specifico, perché è esemplare dei cortocircuiti amministrativi che complicano la vita delle imprese e riconosce il diritto degli operatori economici che vi incorrono a ottenere i risarcimenti, anche in base a norme presenti nel nostro ordinamento da decenni. L'impresa in questione, che utilizzava la cava fin dal 1983, aveva inviato al Comune, che l'aveva girato alla Regione, un primo progetto per il recupero ambientale della cava: nell'attesa, aveva elaborato una variante, che riduceva il volume estraibile, e l'aveva inviato direttamente alla Regione per saltare un passaggio e accorciare i tempi.
Mal gliene incolse, perché il comitato regionale del territorio, bocciando il primo progetto, giudicava "irricevibile" la variante perché arrivata direttamente dall'impresa, e non tramite il Comune. La variante venne allora instradata sull'iter normale, ma giunta al comitato fu bocciata perché arrivata dopo l'esame negativo del progetto originario. Per questa ragione, venne anche respinta l'ipotesi, avanzata dal Comune di Camerino, che sulla variante si potesse formare il silenzio assenso. Il punto, paradossale, è evidente: la variante è arrivata in ritardo per un vizio procedurale contestato dalla Regione, ed è stata respinta dalla stessa Regione perché è arrivata in ritardo.
Su questa base è fiorita una folla di atti dilatori e di rimpalli fra Comune e Regione, che hanno rappresentato gli argomenti della battaglia legale ingaggiata dall'azienda. Battaglia legale che, a sua volta, è durata parecchio di più rispetto ai ritardi amministrativi che l'hanno generata. Il primo ricorso è stato presentato nel 2000 al Tar Marche, che si è preso sei anni per decidere, nella sentenza 560 del settembre 2006, di non accogliere la domanda di risarcimento. Di qui il nuovo ricorso, arrivato nei giorni scorsi al giudizio definitivo del Consiglio di Stato dopo 13 anni di pena (articolo Il Sole 24 Ore del 18.09.2013).

LAVORI PUBBLICI: Oggetto: Decreto Ministeriale per la compensazione dei prezzi dei materiali da costruzione negli appalti pubblici - anno 2012 limitato al bitume (ANCE Bergamo, circolare 02.09.2013 n. 194).

APPALTIAppalti, così si disinnesca la solidarietà. Anche dopo l'esclusione dell'Iva resta invariato l'iter dei controlli per evitare la responsabilità.
Le ultime modifiche confermano il regime sulle ritenute e lo estendono agli autonomi, limitando i margini riservati alla negoziazione.
Novità in chiaroscuro per le regole sulla responsabilità solidale negli appalti, il vincolo che obbliga l'appaltatore e il subappaltatore (e sul piano degli obblighi lavoristici anche il committente imprenditore), negli appalti di opere o di servizi, a rispondere in solido dei versamenti dovuti sul piano fiscale e contributivo: è l'effetto delle novità introdotte dai recenti provvedimenti legislativi, i decreti legge 69/2013 del 22 giugno (convertito dalla legge 98/2013) e 76/2013 (convertito dalla legge 99/2013).
Da un lato, infatti, l'articolo 50 del Dl 69 (il decreto del fare), ha modificato il Dl 223/2006 (articolo 35, comma 28), semplificando il regime della responsabilità solidale in campo fiscale, con la cancellazione parziale della solidarietà per quanto riguarda l'Iva a carico del subappaltatore e dell'appaltatore.
Dall'altro, invece, il Dl 76/2013 ha incluso nel vincolo solidaristico i lavoratori autonomi e ha limitato il potere regolatorio affidato dalla legge 92/2012 ai contratti collettivi nazionali di lavoro.
Restando in campo fiscale, dal 22.06.2013 è previsto che, in caso di appalto di opere o di servizi, l'appaltatore risponda in solido con il subappaltatore –nei limiti dell'ammontare del corrispettivo– del versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute, ma non più del versamento dell'Iva.
La "facilitazione", sebbene abbia in parte ristretto i confini della responsabilità, non ha però cambiato il sistema dei controlli disposto dal Dl 83/2012 (convertito dalla legge 134/2012), con le misure previste dall'articolo 35, commi 28, 28-bis e 28-ter, del Dl 223/2006. I soggetti coinvolti nella filiera degli appalti devono quindi continuare ad attenersi al sistema di verifica già in vigore, mettendo in piedi tutti i rimedi a loro disposizione.
La normativa sulla solidarietà passiva tributaria negli appalti e subappalti è entrata in vigore il 12.08.2012, coinvolgendo i soggetti che avevano sottoscritto o rinnovato un contratto di appalto a partire da quella data, in aggiunta alla solidarietà retributiva e contributiva prevista dall'articolo 29 della legge Biagi.
Il Dl 223/2006 prevede un diverso grado di responsabilità e di rischio economico rispettivamente per committente e appaltatore nei confronti del subappaltatore. Nel quadro attuale, l'appaltatore si trova nella posizione di coobbligato in solido con il subappaltatore –che è il debitore principale– per le ritenute sui redditi da lavoro dipendente dovute da quest'ultimo, in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di subappalto e nel limite del corrispettivo dovuto, che non può quindi eccedere l'importo che l'appaltatore deve corrispondere al subappaltatore.
Il committente, dal canto suo, pur non essendo chiamato a rispondere per il debito erariale, deve pagare il corrispettivo all'appaltatore solo dopo aver verificato che gli adempimenti degli obblighi tributari già scaduti, relativi al versamento delle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente a carico dall'intera filiera dell'appalto, sono stati eseguiti correttamente. Nel caso in cui questi paghi il compenso senza aver prima controllato la regolarità dei versamenti, è soggetto a una sanzione amministrativa da 5mila a 200mila euro.
Ma come devono procedere appaltatore e committente per verificare il puntuale pagamento degli obblighi tributari? Senza dimenticare i risvolti nell'alveo lavoristico, entrambi devono farsi rilasciare un'asseverazione predisposta dai soggetti abilitati, che attesti il corretto versamento delle ritenute fiscali inerenti il lavoro dipendente. In alternativa, l'agenzia delle Entrate ritiene valida anche una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (circolare 40/E/2012), resa in base al Dpr 445/2000, con cui l'appaltatore-subappaltatore attesta l'effettivo adempimento dei versamenti.
La circolare 2/E/2013 ha precisato che –in caso di più contratti tra le stesse parti– la certificazione può essere rilasciata in modo unitario e può essere fornita anche con cadenza periodica, purché, al momento del pagamento, si attesti la regolarità dei versamenti delle ritenute.
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La tutela si estende ai collaboratori.
Sul fronte lavoristico, la responsabilità solidale negli appalti è stata ritoccata dal decreto sull'occupazione, il Dl 76/2013. L'articolo 9 estende la solidarietà prevista dall'articolo 29 del Dlgs 276/2003 anche ai compensi e agli obblighi di natura contributiva e assicurativa in favore di lavoratori con contratti di natura autonoma, fatta eccezione per gli appalti stipulati dalla pubblica amministrazione.
È un intervento che va –di fatto– a dare una veste normativa a quanto già affermato dalla prassi. La circolare 5/2011 del ministero del Lavoro, infatti, facendo riferimento allo stesso articolo 29 della legge Biagi (che usava genericamente il termine «lavoratori») aveva indicato come beneficiari delle tutele poste dal regime della responsabilità solidale non soltanto i lavoratori subordinati ma anche gli altri soggetti impiegati nell'appalto con diverse tipologie contrattuali, come i collaboratori a progetto e gli associati in partecipazione. Anche l'Inps, nella circolare 106/2012, aveva ribadito lo stesso principio.
Questo consiste nell'obbligazione in solido che il committente imprenditore o datore di lavoro ha con l'appaltatore, e con gli eventuali subappaltatori, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e contributivi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del lavoro, entro due anni dalla cessazione dell'appalto.
Il decreto 76/2013, dal 28 giugno scorso, fa scattare la solidarietà anche in relazione ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale e assicurativa nei confronti dei lavoratori autonomi. Con la circolare 35/2013, il ministero del Lavoro ha chiarito che il riferimento della norma si limita ai collaboratori coordinati e continuativi e ai collaboratori a progetto impiegati nell'appalto, e non anche ai lavoratori autonomi che sono tenuti in via esclusiva ad assolvere i relativi oneri.
Anche questi soggetti godono dunque delle tutele già previste per i lavoratori dipendenti: la prima riguarda il compenso, l'altra è di natura contributiva. Quest'ultima, nell'ipotesi dei lavoratori cosiddetti parasubordinati, si traduce nell'obbligo di versare la contribuzione alla gestione separata, laddove sia dovuta.
Chi appalta deve quindi rispettare i presupposti di legge, anche per evitare rivendicazioni dai lavoratori impiegati nell'appalto: questi, infatti, possono proporre azione diretta nei confronti del committente perché risponda in solido con l'appaltatore, e con gli eventuali subappaltatori, dei trattamenti retributivi e previdenziali dovuti (sia contributivi e assistenziali, sia assicurativi).
Il limite temporale di due anni per far valere la responsabilità solidale per il pagamento dei debiti è un termine di decadenza per l'esercizio dei relativi diritti, sia per i lavoratori, sia per gli enti previdenziali. Sulle somme per le quali il committente è chiamato a rispondere in solido, il ministero del Lavoro (circolare 2/2012) ha precisato che, in seguito alla modifica apportata dal Dl 5/2012, il regime di solidarietà non si applica alle sanzioni civili.
Per cercare di evitare la corresponsabilità, bisogna adottare tutte le verifiche possibili sulla regolarità dei soggetti coinvolti nella filiera: ad esempio, richiedendo il Durc ma anche attraverso altre verifiche formali (l'iscrizione al registro imprese, il modello di comunicazione preventiva obbligatoria, e così via).
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Spazio ai Ccnl solo sul fronte retributivo.
Il decreto 76/2013 (articolo 9) opera una vera e propria compressione dell'autonomia negoziale sugli appalti, in virtù della quale la legge 92/2012 aveva affidato ai contratti collettivi nazionali di lavoro la possibilità di individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti.
Il Dl 76/2013, infatti, ha limitato il raggio d'azione dei Ccnl, rispetto a quanto disciplinato dalla riforma del lavoro, che era intervenuta sull'articolo 29 del Dlgs 276/2003 introducendo una «clausola di riserva»: seguendo un orientamento già espresso dal ministero del Lavoro con la lettera circolare del 22.04.2013, le eventuali disposizioni contrattuali potranno disporre la propria efficacia esclusivamente in relazione ai trattamenti retributivi dovuti ai lavoratori impiegati nell'appalto (o nel subappalto), con l'esclusione di qualsiasi conseguenza sul regime di solidarietà sui contributi previdenziali e assicurativi.
In pratica, dall'entrata in vigore del decreto Lavoro, l'obbligazione solidale tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori può essere inibita (esclusivamente in relazione ai trattamenti retributivi dovuti ai lavoratori impiegati nell'appalto/subappalto) se i contratti collettivi nazionali di lavoro -sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore- dispongano diversamente, individuando metodi e procedure di controllo della regolarità degli appalti, senza poter però incidere sul regime della contribuzione dovuta per il periodo di esecuzione del contratto.
Peraltro, tenendo conto che spesso le imprese della filiera non applicano lo stesso contratto collettivo, non è chiaro se il Ccnl che preveda regole ad hoc debba essere quello applicato dall'appaltante o dall'appaltatore.
Nell'attribuzione ai Ccnl del compito di individuare procedure specifiche di verifica della regolarità rientra anche la disciplina del coinvolgimento dei soggetti della filiera per incapienza dei beni di chi esegue l'opera, in caso di contenzioso nella materia.
In base a quest'ultima disposizione, il debitore solidale (committente imprenditore o datore di lavoro), chiamato a rispondere in sede giudiziale del pagamento insieme con l'appaltatore e con gli eventuali subappaltatori, può proporre un'eccezione con la quale chiede che sia preventivamente escusso il patrimonio di questi ultimi. In queste ipotesi, sebbene il giudice accerti la responsabilità solidale, l'azione esecutiva può essere promossa nei confronti del committente solo dopo che l'esecuzione verso il patrimonio del responsabile abbia dato esito infruttuoso. Inoltre, la norma conferma una procedura già esperibile nei casi di responsabilità solidale, che consiste nella possibilità da parte del committente, chiamato a rispondere al posto del responsabile, di richiedere la restituzione di quanto pagato attraverso l'azione di regresso (articolo Il Sole 24 Ore del 02.09.2013).

agosto 2013

APPALTIL’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, è quindi applicabile ogni volta in cui l’organigramma di un’impresa, partecipante a pubbliche gare d’appalto, preveda una figura dirigenziale, comunque denominata, assimilabile al direttore tecnico.
Invero, “con la decisione n. 1790 del 24.03.2011, dalle cui ragionevoli conclusioni non vi è ragione di discostarsi, questa stessa Sezione, richiamando peraltro anche un proprio recente arresto, ha rilevato che nelle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti è obbligatoria (ai sensi dell’art. 10, comma 4, del D.M. 28.04.1998) la figura del responsabile tecnico, che costituisce elemento indispensabile per la qualifica dell’impresa, evidentemente deputato allo svolgimento dei compiti tecnico–organizzativi relativi anche all’esecuzione del servizio commesso da parte dell’impresa, di cui assume, per stessa definizione, la responsabilità sotto altri aspetti, non diversamente dal direttore tecnico previsto dall’art. 26 del D.P.R. 25.01.2000, n. 34, in materia di imprese di lavori pubblici (cui competono, notoriamente, gli adempimenti di carattere tecnico organizzativo necessari per l’esecuzione dei lavori).
E’ stato aggiunto che non sono pertanto ravvisabili significative differenze tra il responsabile tecnico dell’impresa di gestione dei rifiuti ed il direttore tecnico, anche quest’ultimo potendo (ex art. 26 del D.P.R. 25.01.2000, n. 34) essere un soggetto esterno.
Di conseguenza quando la norma di cui all’art. 38 del D. Lgs. 12.04.2006, n. 163 (e quindi anche la lex specialis di gara) richiede che lo specifico requisito sia posseduto dal direttore tecnico ha riguardo, quanto alle imprese di servizi, alle figure tipiche di tale categoria, pur nominalmente diverse ma a quella sostanzialmente analoghe perché investite di compiti parimenti analoghi, rilevanti ai fini dell’esecuzione dell’appalto”

L’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, è quindi applicabile ogni volta in cui l’organigramma di un’impresa, partecipante a pubbliche gare d’appalto, preveda una figura dirigenziale, comunque denominata, assimilabile al direttore tecnico.
Tale conclusione è conforme ad orientamento già espresso in giurisprudenza.
C. di S., V, 11.01.2012, n. 83 ha infatti affermato che “con la decisione n. 1790 del 24.03.2011, dalle cui ragionevoli conclusioni non vi è ragione di discostarsi, questa stessa Sezione, richiamando peraltro anche un proprio recente arresto (26.05.2010, n. 3364), ha rilevato che nelle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti è obbligatoria (ai sensi dell’art. 10, comma 4, del D.M. 28.04.1998) la figura del responsabile tecnico, che costituisce elemento indispensabile per la qualifica dell’impresa, evidentemente deputato allo svolgimento dei compiti tecnico–organizzativi relativi anche all’esecuzione del servizio commesso da parte dell’impresa, di cui assume, per stessa definizione, la responsabilità sotto altri aspetti, non diversamente dal direttore tecnico previsto dall’art. 26 del D.P.R. 25.01.2000, n. 34, in materia di imprese di lavori pubblici (cui competono, notoriamente, gli adempimenti di carattere tecnico organizzativo necessari per l’esecuzione dei lavori).
E’ stato aggiunto che non sono pertanto ravvisabili significative differenze tra il responsabile tecnico dell’impresa di gestione dei rifiuti ed il direttore tecnico, anche quest’ultimo potendo (ex art. 26 del D.P.R. 25.01.2000, n. 34) essere un soggetto esterno.
Di conseguenza quando la norma di cui all’art. 38 del D. Lgs. 12.04.2006, n. 163 (e quindi anche la lex specialis di gara) richiede che lo specifico requisito sia posseduto dal direttore tecnico ha riguardo, quanto alle imprese di servizi, alle figure tipiche di tale categoria, pur nominalmente diverse ma a quella sostanzialmente analoghe perché investite di compiti parimenti analoghi, rilevanti ai fini dell’esecuzione dell’appalto
” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.08.2013 n. 4328 - link a www.giustizia-amministrativa).

APPALTI - SICUREZZA LAVORO: Oggetto: D.L. n. 76/2013 (conv. da L. n. 99/2013) recante “Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti” – indicazioni operative per il personale ispettivo (Ministero del Lavoro  e delle Politiche Sociali, circolare 29.08.2013 n. 35/2013).
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Di interesse, si leggano i seguenti paragrafi:
Solidarietà negli appalti (art. 9, comma 1) (a pag. 16);
Rivalutazione sanzioni in materia salute e sicurezza sul lavoro (art. 9, comma 2) (a pag. 17).

APPALTI: Aste elettroniche, ricorso in Europa. L'Autorità va in Corte di giustizia Ue.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti impugna davanti alla Corte di giustizia la disciplina nazionale sulle aste elettroniche per contrasto delle norme in materia di trasparenza e parità di trattamento della direttiva appalti pubblici; sarebbe illegittimo l'articolo 292 del dpr 207/2010 che consente, negli appalti dei «settori speciali», di impedire durante la fase dell'ultimo rilancio che i concorrenti conoscano la propria posizione in classifica.

La richiesta «pregiudiziale» viene posta dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nell'ambito di una procedura di «precontenzioso» presentata all'organismo di vigilanza da un concorrente che aveva partecipato a una procedura ristretta per un appalto di forniture di macchinari, esperita mediante asta elettronica. In particolare oggetto della contestazione era la clausola della lettera di invito in cui si prevedeva che, in caso di offerte migliorative durante la fase dell'ultimo rilancio, i concorrenti non sarebbero stati in grado, per cinque minuti prima del termine dell'asta, di visualizzare la propria posizione in classifica e le offerte degli altri operatori economici.
Rispetto a questa clausola veniva posta sia un'eccezione di contrasto con il principio generale di trasparenza e pubblicità del diritto comunitario, sia di violazione dell' articolo 56, sesto comma, della direttiva 2004/17/Ce che stabilisce che «nel corso di ogni fase dell'asta elettronica, gli enti aggiudicatori comunicano in tempo reale a tutti gli offerenti almeno le informazioni che consentono loro di conoscere in ogni momento la rispettiva classificazione».
Un primo profilo di interesse consiste nel fatto che l'Autorità, per la prima volta, rinvia una questione alla Corte di giustizia qualificandosi come «organo giurisdizionale» in virtù della sua indipendenza e terzietà, dell'obbligatorietà della sua giurisdizione, della natura contraddittoria del procedimento, e del fatto che l'organo applichi norme giuridiche per la risoluzione di controversie.
Il secondo profilo di interesse riguarda l'eccepita illegittimità comunitaria, da parte dell'organismo di vigilanza, di una norma del regolamento del Codice dei contratti pubblici, l'art. 292, quarto comma, del dpr 207 /2010 che, integrando la norma primaria dell'art. 85 del Codice, consente alle stazioni appaltanti operanti nei «settori speciali» (acqua, trasporti e telecomunicazioni), di impedire «durante la fase dell'ultimo rilancio» che i concorrenti conoscano la propria posizione in classifica.
Per l'Autorità, infatti, la previsione di un black-out di cinque minuti nella fase finale dell'asta elettronica, ossia nella fase solitamente decisiva per l'aggiudicazione dell'appalto al migliore offerente, «sembra porsi altresì in contrasto con i principi di trasparenza e parità di trattamento, dai quali discende l'esigenza che vi sia un'effettiva competizione tra i concorrenti, i quali tutti dovrebbero essere messi a conoscenza dell'effettivo valore del contratto attraverso l'osservazione dei comportamenti degli altri concorrenti, e in particolare degli ultimi rilanci, fino alla conclusione dell'asta elettronica» (articolo ItaliaOggi del 29.08.2013).

APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROGETTUALI: Le ricorrenti chiedono congiuntamente il ristoro economico per la mancata (e dovuta) aggiudicazione e il rimborso delle spese sostenute per la partecipazione alla gara.
La prima voce fatta valere è funzionale alla reintegrazione dell’interesse positivo, il quale consiste nel mancato conseguimento delle utilità economiche che gli aspiranti progettisti avrebbero ricavato dall’esecuzione del contratto posto a gara. Viceversa le spese sostenute per partecipare a quest’ultima costituiscono poste risarcibili nell’ambito del c.d. interesse negativo, azionabile in ipotesi di responsabilità precontrattuale dell’amministrazione aggiudicatrice (ad es. in caso di illegittima revoca dell’aggiudicazione o di ingiustificato rifiuto di stipulare il contratto).
Le predette poste sono tra loro alternative, poiché qualora sia riconosciuto un danno da mancata aggiudicazione, la misura corrisponde al risultato netto patrimoniale che il soggetto danneggiato avrebbe conseguito per effetto dell’affidamento illegittimamente negato, con detrazione delle spese sostenute dal concorrente per accedere alla selezione, poiché queste sarebbero state definitivamente a carico dello stesso anche in caso di aggiudicazione.
La partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico delle imprese medesime, sia in caso di vittoria, sia in caso di mancata aggiudicazione: il costo in questione sarebbe comunque stato sostenuto dall’impresa anche in caso di affidamento, per cui lo stesso deve ritenersi incorporato nella differenza tra ricavi e costi all’esito della quale si ottiene l’utile ritraibile dal servizio medesimo.
La medesima incompatibilità con il risarcimento del mancato utile ritraibile dall’esecuzione dell’appalto va registrata anche rispetto alla perdita di chance potenzialmente correlabile al risarcimento della lesione dell’interesse contrattuale negativo, in quanto dette chances riguardano le favorevoli occasioni contrattuali di segno alternativo alla partecipazione alla procedura di appalto della quale si tratti: il soggetto che domanda il ristoro per il mancato conseguimento dell’utile connesso ad una determinata procedura selettiva non può agire per cumulare un ulteriore risarcimento inteso a tenerlo indenne dalla contestuale perdita di occasioni alternative alla procedura stessa.

Le ricorrenti avanzano la pretesa risarcitoria per la mancata aggiudicazione dell’appalto di progettazione dell’intervento di riqualificazione di Piazza della Libertà, affidato ad altro raggruppamento di professionisti illegittimamente collocato al primo posto della graduatoria.
Sotto un primo versante, va sottolineato che le ricorrenti chiedono congiuntamente il ristoro economico per la mancata (e dovuta) aggiudicazione e il rimborso delle spese sostenute per la partecipazione alla gara. La prima voce fatta valere è funzionale alla reintegrazione dell’interesse positivo, il quale consiste nel mancato conseguimento delle utilità economiche che gli aspiranti progettisti avrebbero ricavato dall’esecuzione del contratto posto a gara. Viceversa le spese sostenute per partecipare a quest’ultima costituiscono poste risarcibili nell’ambito del c.d. interesse negativo, azionabile in ipotesi di responsabilità precontrattuale dell’amministrazione aggiudicatrice (ad es. in caso di illegittima revoca dell’aggiudicazione o di ingiustificato rifiuto di stipulare il contratto). Le predette poste sono tra loro alternative, poiché qualora sia riconosciuto un danno da mancata aggiudicazione, la misura corrisponde al risultato netto patrimoniale che il soggetto danneggiato avrebbe conseguito per effetto dell’affidamento illegittimamente negato, con detrazione delle spese sostenute dal concorrente per accedere alla selezione, poiché queste sarebbero state definitivamente a carico dello stesso anche in caso di aggiudicazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 12/02/2013 n. 799).
La partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico delle imprese medesime, sia in caso di vittoria, sia in caso di mancata aggiudicazione: il costo in questione sarebbe comunque stato sostenuto dall’impresa anche in caso di affidamento, per cui lo stesso deve ritenersi incorporato nella differenza tra ricavi e costi all’esito della quale si ottiene l’utile ritraibile dal servizio medesimo (Consiglio di Stato, sez. V – 18/04/2012 n. 2258).
La medesima incompatibilità con il risarcimento del mancato utile ritraibile dall’esecuzione dell’appalto va registrata anche rispetto alla perdita di chance potenzialmente correlabile al risarcimento della lesione dell’interesse contrattuale negativo, in quanto dette chances riguardano le favorevoli occasioni contrattuali di segno alternativo alla partecipazione alla procedura di appalto della quale si tratti: il soggetto che domanda il ristoro per il mancato conseguimento dell’utile connesso ad una determinata procedura selettiva non può agire per cumulare un ulteriore risarcimento inteso a tenerlo indenne dalla contestuale perdita di occasioni alternative alla procedura stessa (Consiglio di Stato, sez. V – 06/07/2012 n. 3966)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.08.2013 n. 738 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Può essere richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di jus poenitendi dell’amministrazione che –dopo l’avvio della procedura di scelta del contraente– mantiene il potere di revoca per documentate e motivate esigenze di interesse pubblico, anche consistenti in un diverso apprezzamento dei medesimi presupposti già considerati, in ragione delle quali sia evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione della gara stessa: è sufficiente al riguardo che non risulti illogica né illegittima per manifesta abnormità o travisamento dei presupposti di fatto la decisione di perseguire una strada diversa.
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Nel caso di pur legittima revoca di una procedura di gara, può residuare una responsabilità per violazione degli obblighi di buona fede prima della stipulazione del contratto, quando il comportamento tenuto dall’amministrazione risulti contrastante con le regole di lealtà e diligenza di cui all’art. 1337 del c.c. (ove abbia generato un danno).
Con il provvedimento di rimozione degli atti di gara l’amministrazione si orienta al miglior perseguimento dell’interesse pubblico, e tuttavia sussiste una responsabilità per culpa in contrahendo per la lesione dell’affidamento in capo all’impresa suscitato dagli atti della procedura di evidenza pubblica e perdurato fino alla comunicazione dell’avvenuto ripensamento. In sostanza, l’orientamento descritto ha operato una scissione fra la legittima determinazione di revocare l'aggiudicazione della gara e il complessivo tenore del comportamento tenuto dalla medesima amministrazione nella sua veste di controparte negoziale, non informato alle generali regole di correttezza e buona fede che devono essere osservate dall'amministrazione anche nella fase precontrattuale.
In concreto, il Collegio ravvisa un danno ingiusto determinato dalla violazione delle regole di correttezza amministrativa (evidenziate nella sentenza passata in giudicato), che ha provocato l’annullamento parziale della procedura di gara, con lesione dell’interesse giuridicamente rilevante del titolare dell’aspirante all’affidamento dell’appalto. Le censure accolte nella sentenza 1692/2002 –che hanno evidenziato un comportamento della Commissione di gara contrario ad elementari regole di svolgimento delle operazioni di valutazione delle offerte– integrano la “culpa in contraendo” dell’amministrazione, essendo mancato un corretto svolgimento delle operazioni valutative che avrebbero condotto all’individuazione del contraente, in contrasto con gli ordinari canoni di correttezza. L'obbligo appena evocato di buona fede nella conduzione degli affari negoziali va inteso infatti in senso "oggettivo", nel senso che non si richiede un particolare comportamento soggettivo di malafede, ma è sufficiente anche la condotta non intenzionale o meramente colposa della parte che, senza giustificato motivo, ha eluso le aspettative della controparte.
Quanto al danno che ne consegue, esso in astratto è risarcibile relativamente alle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto, nonché alla perdita, a causa della trattativa inutilmente intercorsa, di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, con onere della prova dell’ammontare del danno in capo al danneggiato in base ai principi generali.

E’ evidente, peraltro, che il giudicato formatosi sulla gara incisa dalla sentenza di questo TAR ha contemplato semplicemente l’annullamento dell’aggiudicazione alla controinteressata, mentre la stazione appaltante ha esercitato la facoltà di esplorare soluzioni alternative che risultassero maggiormente convenienti.
In quest’ottica può essere richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di jus poenitendi dell’amministrazione che –dopo l’avvio della procedura di scelta del contraente– mantiene il potere di revoca per documentate e motivate esigenze di interesse pubblico, anche consistenti in un diverso apprezzamento dei medesimi presupposti già considerati, in ragione delle quali sia evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione della gara stessa: è sufficiente al riguardo che non risulti illogica né illegittima per manifesta abnormità o travisamento dei presupposti di fatto la decisione di perseguire una strada diversa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 05/09/2011 n. 5002; TAR Puglia Lecce, sez. III – 25/01/2012 n. 139; sentenza Sezione 05/03/2013 n. 214, che risulta appellata).
Ebbene, le ragioni di opportunità (ossia le sopravvenienze giurisprudenziali e normative evocate nella motivazione del provvedimento di revoca) hanno indotto il Comune a non proseguire nella riedizione del confronto comparativo (consistente nel riprendere la gara dal segmento non intaccato dalla pronuncia di questo Tribunale), senza che sia stata censurata in sede giurisdizionale la coerenza e la ragionevolezza di tale condotta.
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A questo punto, si può ulteriormente dedurre che –nel caso di pur legittima revoca di una procedura di gara– può residuare una responsabilità per violazione degli obblighi di buona fede prima della stipulazione del contratto, quando il comportamento tenuto dall’amministrazione risulti contrastante con le regole di lealtà e diligenza di cui all’art. 1337 del c.c. (ove abbia generato un danno).
Con il provvedimento di rimozione degli atti di gara l’amministrazione si orienta al miglior perseguimento dell’interesse pubblico, e tuttavia sussiste una responsabilità per culpa in contrahendo per la lesione dell’affidamento in capo all’impresa suscitato dagli atti della procedura di evidenza pubblica e perdurato fino alla comunicazione dell’avvenuto ripensamento (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen. – 05/09/2005 n. 6). In sostanza, l’orientamento descritto ha operato una scissione fra la legittima determinazione di revocare l'aggiudicazione della gara e il complessivo tenore del comportamento tenuto dalla medesima amministrazione nella sua veste di controparte negoziale, non informato alle generali regole di correttezza e buona fede che devono essere osservate dall'amministrazione anche nella fase precontrattuale (in tal senso: Cons. Stato, Ad. Plen., n. 6 cit.; Cons. Stato Sez. V, 30.11.2007, n. 6137; id., Sez. V, 14.03.2007, n. 1248).
In concreto, il Collegio ravvisa un danno ingiusto determinato dalla violazione delle regole di correttezza amministrativa (evidenziate nella sentenza passata in giudicato), che ha provocato l’annullamento parziale della procedura di gara, con lesione dell’interesse giuridicamente rilevante del titolare dell’aspirante all’affidamento dell’appalto. Le censure accolte nella sentenza 1692/2002 –che hanno evidenziato un comportamento della Commissione di gara contrario ad elementari regole di svolgimento delle operazioni di valutazione delle offerte– integrano la “culpa in contraendo” dell’amministrazione, essendo mancato un corretto svolgimento delle operazioni valutative che avrebbero condotto all’individuazione del contraente, in contrasto con gli ordinari canoni di correttezza. L'obbligo appena evocato di buona fede nella conduzione degli affari negoziali va inteso infatti in senso "oggettivo", nel senso che non si richiede un particolare comportamento soggettivo di malafede, ma è sufficiente anche la condotta non intenzionale o meramente colposa della parte che, senza giustificato motivo, ha eluso le aspettative della controparte (Consiglio di Stato, sez. III – 18/01/2013 n. 279).
Quanto al danno che ne consegue, esso in astratto è risarcibile relativamente alle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto, nonché alla perdita, a causa della trattativa inutilmente intercorsa, di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, con onere della prova dell’ammontare del danno in capo al danneggiato in base ai principi generali (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV – 14/01/2013 n. 156; TAR Campania Napoli, sez. II – 04/02/2013 n. 704)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.08.2013 n. 738 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Requisiti di moralità professionale, con meno di quattro soci maggioranza a chi ha il 50+1 economico.
L'obbligo di rendere la dichiarazione circa il ossesso del requisito della moralità professionale da parte del socio di maggioranza in ipotesi di società con meno di quattro soci, da Codice dei contratti pubblici, incombe in via esclusiva su quel socio che detenga la maggioranza del capitale sociale inteso come valore economico assoluto (ossia 50% + 1).

Il TAR di Puglia-Bari, Sez. I, con la sentenza 27.08.2013 n. 1256, ha chiarito che è illegittima l'esclusione di una ditta da una gara d'appalto, motivata con riferimento all'omessa presentazione della dichiarazione del possesso del requisito della moralità professionale relativamente al socio di maggioranza (peraltro erroneamente indicato), nel caso in cui il capitale sociale sia suddiviso rispettivamente in due partecipazioni al 40% e una al 20%: in ipotesi, infatti, non si profila alcuna possibilità di condizionamento in concreto delle determinazioni societarie da parte di nessuno dei soci.
Analisi del caso
La ricorrente, partecipante a una gara mediante procedura aperta per la fornitura di materiale chirurgico a un'A.s.l., era stata esclusa dalla medesima selezione pubblica sul presupposto che non fosse stata presentata la dichiarazione ex art. 38, comma I, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006, in relazione all'indicato socio di maggioranza.
A seguito di richiesta di riammissione, con cui l'istante aveva precisato di aver indicato un socio di maggioranza per mero errore materiale –avendo compilato un modello prestampato fornito dall'Amministrazione aggiudicatrice– atteso che il capitale sociale era, invece, ripartito effettivamente tra due soci al 40% e un terzo, legale rappresentante e amministratore unico, al 20%, la Commissione giudicatrice aveva confermato l'esclusione, considerando mancante la prescritta dichiarazione con riferimento a entrambi i soci di maggioranza “relativa”.
La società esclusa ha così compulsato il G.A. di Bari per l'annullamento, previa disposizione della sospensione cautelare, del provvedimento escludente, oltre che di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale, in quanto viziato da violazione di legge per errata applicazione degli artt. 38, comma i, lett. b) e 46, D.Lgs. n. 163/2006, poiché, come rilevato da parte ricorrente, nessuno dei soci avrebbe potuto realmente qualificarsi come socio “di maggioranza” e perché, in ogni caso, l'Amministrazione non avrebbe esercitato il c.d. “potere di soccorso” mettendo la concorrente in condizione di integrare la documentazione asseritamente incompleta; in subordine ha avanzato richiesta di risarcimento, per equivalente, del danno da illegittima esclusione.
La soluzione
Il Collegio, dopo aver accolto la domanda cautelare, ha esaminato le censure sollevate, ritenendole meritevoli di accoglimento.
Ha infatti precisato che la disposizione di cui all'ultimo periodo del citato art. 38, comma I, lett. b) debba riferirsi in via esclusiva a quel socio che detenga la maggioranza del capitale sociale inteso come valore assoluto: in favore del proprio orientamento, ha ricordato, sussistono ragioni di ordine testuale, nonché logico-sistematico. In primo luogo, ha evidenziato la Sezione, la stessa espressione “socio di maggioranza” usata dal legislatore, in assenza di alcuna specifica previsione che fissi di una soglia minima di valore da cui potersi desumere una “maggioranza”, esclude che possa aversi riguardo a una possibile ripartizione del capitale sociale diversa da quella in cui vi sia un unico soggetto titolare del 50%+1 della società; ogni diversa accezione che si allontani dal dato testuale, ha proseguito, estenderebbe oltremodo l'ambito di operatività della norma inibitoria della partecipazione, in aperto contrasto con il principio della tassatività delle cause di esclusione, positivizzato nell'art. 46, D.Lgs. n. 163/2006, come novellato dal D.L. n. 70/2011.
Inoltre, ha ricordato il Giudice barese, la ratio della disposizione in questione sottende la presunzione –iuris et de iure– di identità, in compagini sociali con meno di quattro soci, tra il socio di maggioranza e quel soggetto che di fatto eserciti il controllo sulle determinazioni societarie, avendo, attraverso la concreta possibilità di condizionarle, la sostanziale capacità di gestione della società (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 04.04.2012, n. 1624).
Nella fattispecie al medesimo sottoposta, il TAR ha evidenziato come non sussistesse alcuna possibilità di diretto condizionamento delle decisioni societarie da parte di uno dei soci, non soltanto perché nessuno possedeva una quota di maggioranza in termini assoluti, ma anche in considerazione della specifica regolamentazione statutaria societaria che imponeva, all'art 17 dello Statuto, la maggioranza qualificata dei due terzi del capitale sociale per l'approvazione di ogni decisione e ha, pertanto, escluso l'obbligo di dichiarazione ai sensi del ridetto art. 38, comma I, lett. b), dichiarando l'illegittimità dell'impugnata esclusione.
Nell'accogliere il ricorso nella parte impugnatoria, stante anche la tutela diretta e specifica accordata in sede cautelare, il G.A. non ha delibato sulla domanda risarcitoria per equivalente avanzata in via subordinata dalla ricorrente.
I precedenti e i possibili impatti pratico-operativi
La giurisprudenza sul punto è ampia e controversa: recentemente il principio recepito in massima dal TAR di Bari era stato ribadito dalla Sez. III del TAR Lecce con la sentenza 01.08.2012, n. 1449; sul tema è poi intervenuto il Consiglio di Stato, Sez. VI che, con la decisione 28.01.2013, n. 513 ha, in termini contrari, specificato come la disposizione non vada intesa nel senso che si riferisca al solo socio detentore di una partecipazione superiore alla metà del capitale sociale e ha dato applicazione alla norma con riferimento a entrambi i soci “paritari” di una società partecipante a una gara pubblica.
Invero, la pronuncia di Palazzo Spada testé citata riguardava un caso diverso –società con due soli soci al 50%- e, comunque, non ha dimenticato di far riferimento alla ratio autentica della disposizione di cui all'art. 38, comma I, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006, ossia quella di portare a conoscenza della stazione appaltante la moralità professionale di tutti –e soltanto- quei soggetti suscettibili, in ragione della loro quota sociale, di esercitare un'influenza determinante sulle scelte strategiche del concorrente cui eventualmente affidare lavori, servizi o forniture e con il quale stipulare il relativo contratto d'appalto: d’altra parte, l’impostazione così stringente della sentenza segnalata rischia di evolversi sino al punto da non imporre l’onere della relativa dichiarazione ad alcuno dei soci –neppure a quello di maggioranza “assoluta”, ove previsioni statutarie richiedano quorum decisionali superiori alla partecipazione detenuta– potendo compromettere il principio di trasparenza che ispira l’intera disciplina dei contratti pubblici (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Imprese trasparenti con la p.a.. Tutte le vicende modificative devono essere comunicate. Il Tar Sicilia è intervenuto a proposito dei soggetti concorrenti negli appalti pubblici.
Le esigenze sottese al procedimento a evidenza pubblica, quali l'affidabilità, oggettiva e soggettiva, nonché i necessari requisiti di moralità dei soggetti che concorrono per l'affidamento di appalti pubblici possono conciliarsi con il carattere dinamico della vita delle imprese soltanto imponendo a tali soggetti di comunicare le avvenute trasformazioni alla pubblica amministrazione, onde consentire proprio l'esercizio dei necessari poteri di controllo e verifica.
Lo ha stabilito il TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, con sentenza 26.08.2013 n. 2200.
La verifica dell'idoneità, proprio per non alterare oltremisura il sistema procedimentale che presiede alle gare per le selezioni a evidenza pubblica, presuppone inoltre, secondo i giudici siciliani, che nel caso di impresa subentrante, questa al momento della comunicazione del subingresso, fornisca, così come ogni partecipante alla gara, tutti gli elementi utili per la verifica della sussistenza del possesso dei requisiti soggettivi.
Nel caso trova applicazione l'art. 51 del codice dei contratti che stabilisce, infatti, che «qualora i candidati o i concorrenti, singoli, associati o consorziati, cedano, affittino l'azienda o un ramo d'azienda, ovvero procedano alla trasformazione, fusione o scissione della società, il cessionario, l'affittuario, ovvero il soggetto risultante dall'avvenuta trasformazione, fusione o scissione, sono ammessi alla gara, all'aggiudicazione, alla stipulazione, previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante ai sensi dell'articolo 62, anche in ragione della cessione, della locazione, della fusione, della scissione e della trasformazione previsti dal presente codice».
Tutto ciò in accordo anche con la recentissima giurisprudenza secondo la quale «la ratio dell'art. 51 è quella di impedire che vicende modificative, che possano in qualche modo interessare soggetti partecipanti a una gara e che si verifichino nel corso del procedimento, possano tradursi in automatiche cause di esclusione, a ciò ostando il principio, di derivazione comunitaria, di massima libertà di organizzazione delle imprese.
L'ampiezza di tale facoltà trova un limite nella necessità, posta dal diritto interno, di tutelare l'esigenza delle stazioni appaltanti di ammettere o mantenere all'interno dei procedimenti di selezione dei propri contraenti solo chi, a seguito delle richiamate vicende modificative, si trovi comunque in possesso delle necessarie condizioni soggettive generali e speciali di partecipazione
» (cfr. Tar Reggio Calabria, 18.06.2013, n. 427).
In caso di trasferimento di azienda, poi, l'ammissione del subentrante è subordinata a due condizioni, ossia che gli atti di cessione siano comunicati alla stazione appaltante e che questa abbia verificato l'idoneità soggettiva e oggettiva del subentrante.
Il Tar catanese ha, quindi, affermato che l'onere della tempestiva comunicazione alla stazione appaltante delle modificazioni soggettive dei concorrenti risponda altresì al principio di buona fede che deve permeare anche i rapporti tra amministrazione e privati.
L'applicazione di tale principio all'ambito delle commesse pubbliche impone, secondo l'orientamento dei giudici etnei, che l'impresa partecipante, pur libera di scegliere le operazioni contrattuali e di riorganizzazione ritenute più idonee per la propria «sopravvivenza imprenditoriale», informi tempestivamente la stazione appaltante, in modo da non aggravare un procedimento che il legislatore europeo e nazionale vogliono improntato alla massima concentrazione e celerità (addirittura anche nella fase contenziosa), costituendo un settore strategico della concorrenza e del mercato (articolo ItaliaOggi Sette del 16.09.2013).

LAVORI PUBBLICI: Lavori pubblici. Il decreto del fare aumenta le garanzie finanziarie per realizzare le infrastrutture con la partecipazione dei soggetti privati.
Appalti, rafforzato il ruolo delle banche. Istituti coinvolti fin da subito per verificare la fattibilità dei piani economici nelle concessioni.
L'ANTICIPAZIONE/ Dal 21 agosto tutti i bandi devono prevedere di versare all'impresa il 10% del contratto all'apertura del cantiere.

Banche e istituti finanziatori devono essere coinvolti in anticipo nelle scelte sulle opere pubbliche da realizzare con capitali privati. Anche il Dl 69 –convertito nella legge 98/2013 dal Parlamento– con alcune modifiche agli articoli 143 e 144 del Codice degli appalti pubblici introduce una serie di importanti novità volte a creare le condizioni concrete per favorire la "bancabilità" e quindi il closing finanziario (ovvero il contratto di finanziamento) delle iniziative realizzate in concessione di lavori pubblici.
La principale novità consiste nel richiedere un costruttivo coinvolgimento degli istituti di credito, già dall'avvio della procedura di gara lanciata per affidare la concessione: lo scopo è quello di arrivare –diversamente da quanto è avvenuto sino a oggi– al closing finanziario a breve distanza dalla sottoscrizione del contratto di concessione con la stazione appaltante, in linea con le best practice europee.
Per la prima volta l'istituto finanziatore diventa anche formalmente uno degli attori con cui le amministrazioni pubbliche dovranno dialogare per poter impostare da subito l'operazione in modo che essa sia bancabile. Infatti il decreto "del fare" prevede che, se la concessione viene affidata con la procedura ristretta, la stazione appaltante può indire –prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte– una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare offerte al fine di verificare le eventuali criticità del progetto sotto il profilo della finanziabilità. In questo modo l'amministrazione può adeguare già gli atti di gara in funzione delle indicazioni ricevute e garantire l'effettiva coerenza dell'iniziativa con gli attuali parametri di bancabilità.
Anche in caso di procedura aperta, il bando di gara può prevedere che l'offerta sia corredata da una dichiarazione sottoscritta da uno o più istituti finanziatori con cui essi manifestano l'interesse a finanziare l'operazione. Non si tratta a rigore di un impegno vincolante da parte della banca, ma in ogni caso si creano anche concrete aspettative che poi quell'istituto di credito finanzierà l'iniziativa, dal momento che la manifestazione di interesse deve essere prestata tenendo conto dei contenuti dello schema di contratto e del piano economico-finanziario, e quindi all'esito –si suppone– di una approfondita valutazione della disciplina di concessione e della relativa matrice dei rischi.
Sempre nella prospettiva di agevolare il reperimento di capitale di debito, il Dl 69 ritorna sul tema cruciale dell'equilibrio economico-finanziario e chiarisce in modo fermo che quando per qualsiasi motivo indipendente dal concessionario, dovuto principalmente a un evento di cambiamento nella normativa, la sostenibilità dell'iniziativa è alterata, sorge sempre il diritto del privato a rivedere la concessione al fine di ristabilirne l'equilibrio. A ciò si lega la necessità, introdotta con il decreto, di:
- definire nella convenzione i presupposti e le condizioni su cui si basa l'equilibrio economico-finanziario dell'operazione;
- ancorare la definizione di equilibrio economico-finanziario a puntuali indicatori di redditività e di sostenibilità del debito;
- disciplinare in modo puntuale modalità e tempistiche di verifica dell'equilibrio.
Le banche, chiamate a intervenire in sede di consultazione preliminare e a manifestare il proprio interesse a finanziare l'operazione, avranno per l'appunto un ruolo decisivo nel dare alla stazione appaltante da subito indicazioni su come scrivere proprio queste previsioni della convenzione, che sono cruciali per la bancabilità dell'iniziativa.
Da adesso in poi la palla passa alle stazioni appaltanti chiamate a implementare le novità del decreto nel contesto concreto della gara e delle sue regole di trasparenza, imparzialità e par condicio. Anche se il legislatore è stato chiaro sul fronte del rischio finanziario: esso rimane a carico del concessionario e se entro un congruo termine fissato dal bando di gara –e comunque non superiore a 24 mesi dall'approvazione del progetto definitivo– il contratto di finanziamento non viene sottoscritto, la concessione va risolta e al privato non è dovuto alcun rimborso per le spese sostenute, neppure per quelle di progettazione.
Altra novità di rilievo per i lavori pubblici destinata a trovare l'ampio consenso delle imprese colpite dalla crisi economica riguarda la reintroduzione dell'anticipazione del prezzo d'appalto nella misura del 10%, in deroga al divieto già previsto dai tempi della legge Merloni.
Con la versione finale del decreto legge, l'anticipazione del prezzo prima prevista come una facoltà della stazione appaltante, è diventata obbligatoria per la Pa che la dovrà pubblicizzare nel bando. È questa una misura concreta che potrà dare ossigeno alle imprese di costruzione fino al 31.12.2014 e varrà per i lavori oggetto di bandi pubblicati dopo mercoledì 21 agosto, data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. La norma (articolo 26-ter) specifica che nel caso di contratti di appalto relativi a lavori di durata pluriennale l'anticipazione andrà compensata fino alla concorrenza dell'importo sui pagamenti effettuati nel corso del primo anno contabile.
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Le misure
LE AUTORIZZAZIONI - La dichiarazione
A rafforzamento del principio di bancabilità dell'opera pubblica il Dl 69 specifica che all'atto della consegna dei lavori il concedente deve dichiarare di disporre di tutte le autorizzazioni previste dalla normativa e che esse sono legittime, efficaci e valide.
Tra le cause più frequenti di ritardo e di incertezza nella realizzazione di questi interventi c'è proprio l'indisponibilità di tutte le autorizzazioni. In particolare, quando il prezzo è rappresentato dalla cessione di beni immobili il beneficio per il concessionario dipende dalla loro adeguata valorizzazione che però presuppone un quadro autorizzatorio completo, certo e coerente con le destinazioni dal punto di vista urbanistico.
LE BANCHE - La consultazione preliminare
Viene promosso un più tempestivo e concreto coinvolgimento degli istituti finanziatori già a partire dalla procedura di affidamento della concessione di lavori pubblici. In un mercato del credito che ha serie difficoltà ad erogare prestiti alle imprese, la bancabilità delle iniziative in finanza di progetto per essere migliorata richiede che i soggetti finanziatori vengano coinvolti dall'inizio: questo avviene attraverso il meccanismo della consultazione preliminare prima della presentazione delle offerte e attraverso la manifestazione di interesse a finanziare l'operazione, acquisita anche questa prima della conclusione della gara con cui si individua il partner privato.
LE CONSULTAZIONI - La procedura a inviti
Nelle concessioni affidate con la procedura ristretta (a inviti) la stazione appaltante può indire, prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte, una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare offerta al fine di verificare le eventuali criticità del progetto sotto il profilo della finanziabilità. Alla fine della consultazione l'amministrazione adeguerà gli atti di gara in funzione delle indicazioni ricevute in modo da garantire l'effettiva coerenza dell'iniziativa con i correnti parametri di bancabilità. Il nuovo termine di presentazione delle offerte non può essere inferiore a 30 giorni decorrenti dalla comunicazione agli interessati.
L'INTERESSE - L'impegno della banca
Nelle procedure aperte il bando di gara può prevedere che l'offerta sia corredata da una dichiarazione sottoscritta da uno o più istituti finanziatori che manifestano l'interesse a finanziare l'operazione. Per rendere la manifestazione di interesse il più possibile effettiva –e comunque più incisiva del mero «preliminare coinvolgimento» delle banche previsto dalla normativa precedente– viene richiesto che la manifestazione di interesse venga prestata in considerazione anche dei contenuti dello schema di contratto e del piano economico-finanziario e quindi sulla base di una approfondita valutazione della disciplina di concessione e della matrice dei rischi dell'iniziativa.
LA RISOLUZIONE - La mancata sottoscrizione
I contratti di concessione prevedono la risoluzione del rapporto nel caso in cui entro un congruo termine fissato dal bando di gara e comunque non superiore a 24 mesi dall'approvazione del progetto definitivo non dovesse venire sottoscritto il contratto di finanziamento o sottoscritti o collocati i project bond previsti dall'articolo 157 del Codice degli appalti. Dato che il finanziamento è un rischio che rimane comunque a carico del concessionario, in caso di risoluzione per mancato raggiungimento del financial closing dell'iniziativa, al privato non è dovuto alcun rimborso per le spese sostenute, comprese quelle di progettazione.
I LOTTI - Il finanziamento parziale
Nel caso in cui l'opera oggetto del contratto di concessione riesca a ottenere sul mercato un finanziamento solo parziale –corrispondente però a uno stralcio tecnicamente ed economicamente funzionale– la risoluzione del contratto è solo parziale. In un'ottica di conservazione del contratto, la concessione prosegue infatti per la parte coperta dal finanziamento. Questo consente di salvaguardare l'obiettivo di realizzazione anche parziale ma comunque utilizzabile dell'opera pubblica, ma al tempo stesso, è in linea con la novità introdotta dal decreto del fare a favore delle piccole e medie imprese, per cui gli appalti vanno di regola suddivisi e affidati per lotti funzionali.
L'ANTICIPAZIONE - Subito il 10%
Il Dl 69 ha ripristinato in via temporanea fino al 31.12.2014 l'anticipazione finanziaria sui lavori pubblici, abolita dall'epoca della legge Merloni.
Per bandi pubblicati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione –21 agosto– la stazione appaltante deve prevedere di erogare all' inizio dei lavori una somma pari al 10% dell'importo contrattuale. Ma all'impresa di costruzioni è richiesta una fideiussione bancaria o assicurativa progressivamente svincolata di pari importo. Nel caso di lavori pluriennali l'anticipazione va compensata in modo progressivo con i pagamenti effettuati nel corso del primo anno contabile (articolo Il Sole 24 Ore del 26.08.2013).

LAVORI PUBBLICIQualificazione da rifare per i lavori specialistici.
Sui lavori specialistici rischia di avere effetti a catena il ricorso straordinario dell'Agi (associazione grandi imprese di costruzione) al Presidente della Repubblica per ottenere l'annullamento di un ampio ventaglio di previsioni contenute nel Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici (Dpr 207/2010) considerate fortemente penalizzanti per queste imprese.

Il Consiglio di Stato, il 26 luglio scorso, attraverso una commissione speciale ha dato ragione alle obiezioni dell'Agi in tema di accesso delle imprese alle gare di lavori e ha espresso così parere positivo all'annullamento degli articoli 109, comma 2 e 107, comma 2, del Regolamento. Queste norme infatti hanno trasformato in eccezione la regola generale per cui l'impresa generale in possesso della qualificazione nella categoria prevalente di lavori da appaltare indicata nel bando, e cioè quella di importo più elevato, può qualificarsi ed eseguire anche tutti i restanti lavori di cui si compone l'opera (i cosiddetti lavori scorporabili), anche se non ha le qualificazioni specialistiche.
Di fatto questa regola è rimasta di marginale applicazione: se infatti i lavori scorporabili rientrano in una delle 46 categorie a qualificazione obbligatoria (su 52 totali) l'impresa generalista che intende partecipare alla gara deve subappaltare i lavori ad altri soggetti qualificati nelle categorie specialistiche. Oppure nel caso di opere «super-specialistiche» (in 24 categorie) di importo superiore al 15% dell'importo totale dei lavori, solo il 30% potrà essere subappaltato, mentre per la restante parte va costituita un'associazione tra impresa generale e specialistica.
Ora il Consiglio di Stato ha detto che la regola deve ritornare ad essere tale: la qualificazione in una categoria generale già comprende nella normalità dei casi l'idoneità a eseguire una serie di opere specialistiche accessorie.
Ma quali saranno le conseguenze? Da quando la nuova disciplina dovrà essere applicata? L'annullamento effettivo delle disposizioni del Regolamento dovrà attendere il decreto del Presidente della Repubblica, a cui è stato indirizzato il ricorso da parte dell'Agi e che recepirà il parere del Consiglio di Stato. Fino a quel momento il Regolamento rimarrà in vita e quindi le stazioni appaltanti dovrebbero continuare ad applicarlo integralmente. Non si possono tuttavia escludere contenziosi da parte di singoli operatori che non vorranno perdere l'occasione di giocarsi questa carta. Il parere rilasciato dal Consiglio di Stato infatti riconosce che il Regolamento ben potrebbe essere oggetto comunque di contestazione da parte dell'impresa al momento della pubblicazione del bando di gara e cioè quando la lesione si concretizza con l'atto applicativo: le disposizioni regolamentari in questione, se in violazione di norme di livello superiore potranno essere disapplicate dal giudice amministrativo.
Inoltre l'annullamento delle previsioni del Regolamento aprirà un vuoto da colmare al più presto: senza un'integrazione e un coordinamento delle norme si rischia un caos normativo che, mettendo a rischio la stessa esistenza delle categorie a qualificazione obbligatoria, porterebbe a una situazione di eccesso opposta a quella lamentata dall'Agi. Infatti le imprese generali qualificate nella categoria prevalente sarebbero sempre ammesse a partecipare alle gare di lavori anche in presenza di lavorazioni scorporabili riconducibili alle categorie a qualificazione «ex obbligatoria». All'opposto, le imprese qualificate nelle categorie a qualificazione «ex obbligatoria» entrerebbero in gara solo nella misura in cui l'impresa generale per propria strategia commerciale intenda subappaltare una parte dei lavori o comunque allargare l'iniziativa costituendo un'associazione temporanea.
Una volta che verranno annullate le previsioni censurate del Regolamento dovrà quindi intervenire il legislatore a ridefinire, in funzione del livello di complessità tecnica e del contenuto tecnologico, l'ambito delle categorie a qualificazione obbligatoria e di quelle super-specialistiche «al fine di realizzare un più equilibrato contemperamento» tra le opposte esigenze delle imprese generali e di quelle specialistiche, così come suggerito dal Consiglio di Stato. Certo questo è un iter lungo ed articolato. Nel frattempo le stazioni appaltanti nei loro bandi di gara potranno indicare solo categorie di lavori scorporabili che, seppure specialistiche o anche super-specialistiche, saranno a qualificazione non obbligatoria ai fini della gara e della successiva esecuzione dei lavori. Con la conseguenza ulteriore che solo nel caso in cui il concorrente decidesse di subappaltare questi lavori, le relative qualificazioni andranno richieste alle imprese subappaltatrici.
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In sintesi
01| IL PARERE
Il 26 luglio il Consiglio di Stato ha espresso parere positivo su un ricorso dell'Agi che chiedeva l'annullamento delle norme del Regolamento appalti che impongono alle imprese generali di subappaltare gran parte dei lavori specialistici alle imprese qualificate nella singola specializzazione oppure di costituire un'associazione temporanea di impresa
02|IL PRINCIPIO
Per i giudici di Palazzo Spada la qualificazione generale è talmente ampia da ricomprendere anche i lavori specializzati
03|LA DECORRENZA
L'annullamento dell'obbligo scatterà solo quando arriverà in «Gazzetta» il decreto con cui il Presidente della Repubblica accoglierà il parere del Consiglio di Stato. Ma intanto non sono esclusi contenziosi
04|LE CONSEGUENZE
In attesa di un intervento normativo le amministrazioni dovranno indicare nei bandi le categorie specialistiche senza obbligo di subappalto o di associazione temporanea e sarà l'impresa generale a decidere se eseguirle direttamente o subappaltarle (articolo Il Sole 24 Ore del 26.08.2013).

APPALTIAppalti, la solidarietà resta senza l'Iva. La responsabilità fiscale e sanzionatoria rimane per le ritenute operate sulle buste paga. Decreto del fare. Nella legge 98 eliminata qualunque verifica della controparte contrattuale rispetto al pagamento dell'imposta sul valore aggiunto.
PER IL LAVORO DIPENDENTE/ L'appaltatore risponde in solido verso l'erario nei limiti del corrispettivo. Al committente sanzioni fino a 200mila euro.

Molto rumore per nulla. Così potrebbe essere definita sinteticamente la vicenda della conversione del Decreto del fare (Dl 69/13), approdata in Gazzetta il 20 agosto scorso (legge 98/2013).
Scampato il pericolo di dover ricorrere alla richiesta del Durt per effettuare qualunque pagamento "smarcandosi" da possibili responsabilità e sanzioni (con l'aggravio di dover comunicare mensilmente all'Agenzia i dati per il rilascio del documento), committenti, appaltatori e subappaltatori devono continuare con i precedenti adempimenti almeno sinché non arriverà l'abrogazione integrale auspicata dall'ordine del giorno approvato dalla Camera lo scorso 8 agosto. Altrimenti, dal 2015, chi vorrà potrà comunicare quotidianamente alle Entrate i dati delle fatture d'acquisto e di vendita (articolo 50-bis del Decreto), "guadagnandosi" così, tra l'altro, l'integrale disapplicazione della disciplina in esame.
La situazione attuale, pertanto, è quella dell'originaria versione del Dl 69/2013, che già conteneva l'eliminazione di qualunque verifica della controparte contrattuale con riferimento ai versamenti Iva, ma manteneva intatta la disciplina per le ritenute di lavoro dipendente. Resta fermo, pertanto che, prima di effettuare qualunque pagamento con riferimento a contratti di appalto/subappalto stipulati o rinnovati dal 12.08.2012:
a) l'appaltatore deve richiedere al subappaltatore l'asseverazione di un soggetto qualificato (o, in alternativa, l'autocertificazione) attestante che i versamenti delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente inerenti il subappalto, già scaduti a tale data, siano stati «correttamente eseguiti»;
b) il committente deve comportarsi allo stesso modo nei confronti dell'appaltatore, il quale deve fornire anche la documentazione rilasciata da tutti i subappaltatori.
In assenza dell'attestazione cartacea (e in caso d'irregolarità nel versamento delle ritenute riferite alle prestazioni effettuate nell'ambito dell'appalto o dei vari subappalti), l'appaltatore risponde in solido verso l'erario con il subappaltatore "infedele" nei limiti dell'ammontare del corrispettivo dovuto, mentre il committente è passibile della sanzione da 5mila a 200mila euro. Guai, pertanto, a dimenticarsi, all'atto del pagamento dei corrispettivi, di richiedere l'ormai ben nota certificazione (che, emendata della parte riguardante gli adempimenti Iva, può essere redatta come da facsimile a lato). Nel caso in cui l'appaltatore (o il subappaltatore) non abbia dipendenti o assimilati, ovvero nessuno di questi abbia partecipato alle prestazioni connesse allo specifico rapporto contrattuale (e, quindi, non sia sorto alcun obbligo di ritenuta), si ritiene che debba essere rilasciata un'attestazione in tal senso. Onde evitare guai peggiori è comunque più che opportuno conservare ampia prova dell'effettività dei lavori svolti, delle modalità di pagamento e dell'esistenza "fiscale" del prestatore.
È altresì confermato che committente e appaltatore possono, fino a quando non ricevono una documentazione idonea, sospendere i pagamenti. Pur con la limitazione alle sole ritenute, restano ferme le limitazioni di legge, tra cui l'esclusione della sanzione quando il committente (persona fisica, condominio o società semplice) non opera in ambito Iva o applica il codice dei contratti pubblici (Dlgs 163/2006), e restano attuali tutti i chiarimenti forniti dall'Agenzia (Circolari 40/E/2012 e 2/E/2013).
Naturalmente, nulla cambia per quanto riguarda il vincolo di solidarietà, negli appalti di opere o servizi, con riferimento agli obblighi previdenziali ed assicurativi dei lavoratori e per le loro retribuzioni (articolo 29, comma 2, Dlgs 276/2003, modificato dal Dl 76/2013).
L'Amministrazione deve chiarire le conseguenze dell'eliminazione dei riferimenti ai versamenti Iva operata dall'articolo 50 del Dl 69/2013. In virtù del principio del "favor rei", la sanzione non potrà più essere comminata, nella specifica ipotesi, al committente (anche per inadempimenti precedenti al 22 giugno scorso), mentre è da definire se vige ancora la solidarietà Iva per gli inadempimenti anteriori ai pagamenti di corrispettivi effettuati in assenza di attestazione/autocertificazione nel periodo dall'11.10.2012 al 22.06.2013 (articolo Il Sole 24 Ore del 22.08.2013
).

APPALTI: Niente appalti ai morosi. È fuori gara chi non ha il placet del fisco. L'adunanza plenaria del Cds sulla rateizzazione delle imposte.
Resta fuori dalla gara d'appalto l'azienda che al momento in cui scade il termine per partecipare alla procedura non ha ancora ottenuto il placet dell'amministrazione finanziaria per saldare a rate il suo debito tributario.

Lo ribadisce l'adunanza plenaria del Consiglio di stato con la sentenza 20.08.2013 n. 20, che torna a occuparsi del requisito di regolarità fiscale di cui all'articolo 38, comma 1, lett. g), del codice dei contratti pubblici.
Non c'è verso: l'impresa che vuole candidarsi nella procedura a evidenza pubblica deve aver conseguito da Equitalia il provvedimento di accoglimento dell'istanza di rateizzazione al momento in cui spira termine di presentazione della domanda di partecipazione.
Novazione oggettiva. Il beneficio di poter pagare un tanto al mese il debito con il Fisco costituisce una novazione dell'obbligazione originaria, che risulta sostituita con una nuova e diversa, secondo un meccanismo che Palazzo Spada definisce «di stampo estintivo-costitutivo». Le conseguenze sono tutt'altro che trascurabili: con il via libera dell'agente della riscossione al pagamento dilazionato da parte della società contribuente la scadenza dei debiti tributari risulta rimodulata e l'esigibilità differita, configurando così la novazione oggettiva disciplinata dagli articoli 1230 cc e seguenti.
Il risultato è la nascita di una nuova obbligazione tributaria, caratterizzata da un preciso piano di ammortamento e soggetta a una specifica disciplina per il caso di mancato pagamento delle varie tranche.
Rischio-autodenuncia. Il punto è che prima del provvedimento di accoglimento, allora, resta in piedi il vecchio debito ed è lo stesso contribuente ad ammetterlo quando fa la domanda di pagamento rateale, istanza che dunque costituisce «un'autodenuncia». L'obbligazione tributaria risulta scaduta ed esigibile in base al comma 2 dell'articolo 38 del codice dei contratti pubblici e l'impresa non può dirsi in regola con il fisco.
La rateizzazione del debito verso il fisco, ragionano i giudici, è l'espressione del favore legislativo verso i contribuenti che si trovano in temporanea difficoltà economica, ai quali è offerta la possibilità di regolarizzare la propria posizione tributaria senza incorrere nel rischio di insolvenza.
La condizione per la concessione del beneficio è la dimostrazione dell'obiettiva situazione di crisi in cui versa il debitore impossibilitato a pagare in un'unica soluzione il debito iscritto a ruolo e, tuttavia, in grado di sopportare l'onere finanziario derivante dalla ripartizione dello stesso debito in un numero di rate congruo rispetto alle sue condizioni patrimoniali. Insomma: chi non ha chiuso la partita col Fisco non può partecipare alla procedura pubblica. Appello rigettato e spese di giudizio compensate (articolo ItaliaOggi del 07.09.2013).

APPALTI: Appalti, l'istanza di rateizzazione del debito fiscale in '"stand-by"' vale per partecipare alla gara?
Il Consiglio di Stato si è occupato della finalità del requisito della regolarità fiscale nelle gare di appalto e della sussistenza, o meno, del requisito stesso nel caso in cui, all'atto dell'offerta, l'impresa abbia presentato ai competenti uffici fiscali istanza di rateizzazione del debito tributario, ma essa non sia stata ancora accolta.
Il consolidato e condivisibile principio giurisprudenziale che richiede la permanenza del possesso del requisito della regolarità fiscale nelle gare di appalto nel corso di tutta la procedura di gara, dimostra l’infondatezza degli argomenti difensivi della SRL ricorrente;
non è ammissibile la partecipazione alla procedura di gara, ex art. 38, comma 1, lett. g, del D.Lgs. 163/2006, del soggetto che, al momento della scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione, non abbia conseguito il provvedimento di accoglimento dell’istanza di rateizzazione dei debiti fiscali.
La vicenda
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è stata chiamata a pronunciarsi su un caso che riguardava una SRL che aveva partecipato alla procedura ristretta bandita da una stazione appaltante per l’affidamento quinquennale dei servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani e assimilati, di raccolta differenziata e nettezza urbana, procedura da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
La SRL nella propria domanda di partecipazione, dichiarava di avvalersi dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale di un'altra società; quest’ultima società rendeva, quale impresa ausiliaria, la dichiarazione circa la sussistenza dei requisiti generali di cui all’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 (cd. Codice degli Appalti Pubblici) dichiarando, tra l’altro, di non aver commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse.
All’esito della procedura di gara, la stazione appaltante adottava il provvedimento che disponeva l’aggiudicazione provvisoria in favore della SRL.
Dopo un paio di settimane, tuttavia, la stazione appaltante comunicava all’aggiudicataria l’avvio del procedimento di revoca dell’aggiudicazione provvisoria a seguito della verifica dei requisiti dichiarati dall’impresa ausiliaria.
Segnatamente, da informazioni assunte presso l’Agenzia delle Entrate, era risultata l’esistenza a carico della predetta società di debiti tributari definitivamente accertati e non ancora pagati.
Secondo la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate del giugno 2011, risultavano a quella data insolute alcune cartelle esattoriali.
La difesa della SRL
La SRL, nell’ambito del procedimento di revoca da parte della stazione appaltante dell’aggiudicazione, affermava che le prime due cartelle esattoriali erano già state oggetto di un accordo di rateazione con l’Amministrazione finanziaria, intervenuto prima della pubblicazione del bando di gara e prima della dichiarazione ex art. 38 del Codice degli Appalti Pubblici resa dall’impresa ausiliaria, la quale, allo stato, era in regola con il pagamento dei ratei.
Un'altra cartella era stata notificata all’impresa ausiliaria in corso di gara, dopo che l’impresa aveva presentato la dichiarazione ex art. 38 (la quale, pertanto, non poteva essere ritenuta non veritiera); la stessa cartella, inoltre, aveva formato oggetto di una richiesta di rateazione formulata dall’interessata nel marzo 2011 e accolta da Equitalia in data 04.07.2011, con accordo di rateazione perfezionatosi prima dell’aggiudicazione definitiva.
La stazione appaltante, tuttavia, disponeva la revoca dell’aggiudicazione provvisoria in favore della SRL e aggiudicava definitivamente la gara ad una società concorrente.
Il TAR ha respinto il ricorso e la SRL si è appellata al Consiglio di Stato; ai fini della soluzione della questione di diritto relativa alla portata dell’art. 38, comma 1, lett. g), del Codice degli Appalti Pubblici il Consiglio di Stato ha deferito, con apposita ordinanza, la soluzione della controversia al vaglio dell’ Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 del codice del processo amministrativo.
La pronuncia dell’Adunanza Plenaria
La questione rimessa all’Adunanza Plenaria riguarda l’individuazione dell’esatta portata del concetto di definitività dell’accertamento della violazione tributaria, ex art. 38, comma 1, lett. g, del Codice degli Appalti Pubblici, laddove vengano in rilievo meccanismi di rateizzazione o dilazione del debito tributario ai sensi dell’art. 19 del DPR 602/1973 e di norme analoghe.
L’articolo 38, comma 1, lettera g, del Codice degli Appalti Pubblici stabilisce che “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti (…..) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”.
Il D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106, ha dettato un parametro quantitativo cui ancorare l’elemento della gravità della violazione (“si intendono gravi le violazioni che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse per un importo superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602”).
Su altro fronte, il D.L. 02.03.2012, n. 16, convertito in legge 26.04.2012, n. 44, è intervenuto fornendo una definizione normativa di “definitività” dell’accertamento (art. 1, comma 5, modificativo del comma 2 dell’art. 38 cit.: “costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle relative all’obbligo di pagamento di debiti per imposte e tasse certi, scaduti ed esigibili”), e, al contempo, regolando le situazioni poste in essere precedentemente all’entrata in vigore dello stesso decreto (art. 1, comma 6 : “Sono fatti salvi i comportamenti già adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto dalle stazioni appaltanti in coerenza con la previsione contenuta nel comma 5”).
La giurisprudenza comunitaria e quella nazionale, al pari dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (cfr. determinazione 16.05.2012, n. 1; determinazione 12.01.2010, n. 1; parere 12.02.2009, n. 23; deliberazione 18.04.2007, n. 120), hanno anche di recente ribadito, sulla scorta di argomentazioni suscettibili di condivisione, l’adesione alla tesi più rigorosa secondo cui il requisito della regolarità fiscale può dirsi sussistente solo qualora, prima del decorso del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara di appalto, l’istanza di rateizzazione sia stata accolta con l’adozione del relativo provvedimento costitutivo.
Per i giudici di Palazzo Spada si è a tale misura subordinata l’ammissione alla procedura alla condizione che “l'istanza di rateizzazione sia stata accolta prima della scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara e preceda l'autodichiarazione circa il possesso della regolarità, essendo inammissibile una dichiarazione che attesti il possesso di un requisito in data futura”.
La correttezza della tesi sposata dalla giurisprudenza pressoché univoca di questo Consiglio trova riscontro nella conformazione nella disciplina dell’istituto della rateizzazione fiscale ex art. 19, del DPR n. 602/1973.
L’ammissione alla rateizzazione, rimodulando la scadenza dei debiti tributari e differendone l’esigibilità, implica quindi la sostituzione dell’originaria obbligazione a seguito dell’insorgenza di un nuovo rapporto obbligatorio secondo i canoni della novazione oggettiva di cui agli artt. 1230 e seguenti del codice civile.
Il risultato è la nascita di una nuova obbligazione tributaria, caratterizzata da un preciso piano di ammortamento e soggetta a una specifica disciplina per il caso di mancato pagamento delle rate.
La configurazione del meccanismo novativo fa sì che, nell’arco di tempo che precede l’accoglimento della domanda, resta in vita il debito originario, la cui esistenza è ammessa dallo stesso contribuente con la presentazione della domanda di dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo.
Il debito che grava sul contribuente prima dell’accoglimento dell’istanza, in caso di istanza di rateizzazione non ancora accolta all’atto della scadenza dei termini di presentazione delle domande di partecipazione, è quindi unicamente quello originario, in quanto tale certo (tanto nella sua esistenza quanto nel suo ammontare), scaduto ed esigibile nei sensi richiesti dal comma 2, dell’art. 38 del Codice degli Appalti Pubblici.
Va, inoltre, affermato che l’inidoneità della semplice presentazione dell’istanza di dilazione a soddisfare il requisito della regolarità contributiva è rinforzata dalla considerazione che l’ammissione alla rateazione non costituisce, di norma, atto dovuto, in quanto l’art. 19 del DPR n. 602/1973 conferisce all’Amministrazione il potere discrezionale di valutare quell’"obiettiva difficoltà economica" che si è in precedenza visto essere presupposto per la concessione del beneficio.
Ne deriva che l’ammissione alla procedura del concorrente che non abbia ancora ottenuto il provvedimento favorevole, oltre a stabilire una deroga atipica al principio secondo cui i requisiti di partecipazione alle gare vanno verificati al momento della scadenza dei termini fissati per la presentazione delle domande, innesterebbe nello svolgimento della procedura di evidenza pubblica il fattore di incertezza legato all’accertamento di un requisito, collegato alla variabile della valutazione discrezionale dell’amministrazione tributaria.
Le conclusioni dell’Adunanza Plenaria
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ritiene che debba trovare conferma l’indirizzo ermeneutico secondo cui non è ammissibile la partecipazione alla procedura di gara, ex art. 38, comma 1, lett. g, del Codice degli Appalti Pubblici, del soggetto che, al momento della scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione, non abbia conseguito il provvedimento di accoglimento dell’istanza di rateizzazione.
Per i giudici amministrativi del Consiglio di Stato, pertanto, l’appello deve essere, in definitiva, respinto (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 20.08.2013 n. 20 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI... si tratta di stabilire se, ai fini dell’integrazione del requisito della regolarità fiscale di cui all'art. 38 cit., sia sufficiente che, entro il termine di presentazione dell'offerta, sia stata presentata da parte del concorrente istanza di rateazione del debito tributario oppure occorra che il relativo procedimento si sia concluso con un provvedimento favorevole.
Il Collegio ritiene che la quaestio iuris debba essere risolta in conformità al prevalente indirizzo interpretativo affermatosi in subiecta materia, da ultimo confermato da questa Adunanza Plenaria con la sentenza 05.06.2013, n. 15.
La giurisprudenza comunitaria e quella nazionale, al pari dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, hanno anche di recente ribadito, sulla scorta di argomentazioni suscettibili di condivisione, l’adesione alla tesi più rigorosa secondo cui il requisito della regolarità fiscale può dirsi sussistente solo qualora, prima del decorso del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara di appalto, l’istanza di rateizzazione sia stata accolta con l’adozione del relativo provvedimento costitutivo.
Si è a tale stregua subordinata l’ammissione alla procedura alla condizione che “l'istanza di rateizzazione sia stata accolta prima della scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara e preceda l'autodichiarazione circa il possesso della regolarità, essendo inammissibile una dichiarazione che attesti il possesso di un requisito in data futura”.

1. La questione rimessa all’Adunanza Plenaria riguarda l’individuazione dell’esatta portata del concetto di definitività dell’accertamento della violazione tributaria, ex art. 38, comma 1, lett. g, del codice dei contratti pubblici, laddove vengano in rilievo meccanismi di rateizzazione o dilazione del debito tributario ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. 29.09.1973, n. 602 e di norme analoghe (cfr. la sospensione amministrativa della riscossione di cui all'art. 39 del medesimo DPR n. 602/1973).
2. Deve essere, in via preliminare, riepilogato il quadro normativo che regola la fattispecie sottoposta all’esame dell’Adunanza Plenaria.
L’articolo 38, comma 1, lettera g, del codice dei contratti pubblici stabilisce che “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti…. che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”.
Il d.l. 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106, ha dettato un parametro quantitativo cui ancorare l’elemento della gravità della violazione (“si intendono gravi le violazioni che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse per un importo superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602”).
Su altro fronte, il d.l. 02.03.2012, n. 16, convertito in legge 26.04.2012, n. 44, è intervenuto fornendo una definizione normativa di “definitività” dell’accertamento (art. 1, comma 5, modificativo del comma 2 dell’art. 38 cit.: “costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle relative all’obbligo di pagamento di debiti per imposte e tasse certi, scaduti ed esigibili”), e, al contempo, regolando le situazioni poste in essere precedentemente all’entrata in vigore dello stesso decreto (art. 1, comma 6 : “Sono fatti salvi i comportamenti già adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto dalle stazioni appaltanti in coerenza con la previsione contenuta nel comma 5”).
La ratio della normativa fin qui passata in rassegna risponde all'esigenza di garantire l'amministrazione pubblica in ordine alla solvibilità e alla solidità finanziaria del soggetto con il quale essa contrae.
Concentrando l'esame sul concetto di "violazione definitivamente accertata", occorre poi rammentare che l'art. 38 citato è direttamente attuativo dell'articolo 45 della direttiva n. 2004/18, norma volta ad accertare la sussistenza dei presupposti di generale solvibilità dell'eventuale futuro contraente della pubblica amministrazione (Cons. Stato, sez. III, 05.03.2013, n. 1332).
L’attribuzione di un effetto rigidamente preclusivo all’inadempimento fiscale legislativamente qualificato risponde all’ esigenza di contemperare la tendenza dell’ordinamento ad ampliare la platea dei soggetti ammessi alle procedure di gara alla stregua del canone del favor partecipationis con la necessaria tutela dell’interesse del contraente pubblico ad evitare la stipulazione con soggetti gravati da debiti tributari che incidono in modo significativo sull'affidabilità e sulla solidità finanziaria degli stessi.
3. Tanto premesso in merito alla coordinate normative di riferimento e alla ratio che le ispira, si tratta di stabilire se, ai fini dell’integrazione del requisito della regolarità fiscale di cui all'art. 38 cit., sia sufficiente che, entro il termine di presentazione dell'offerta, sia stata presentata da parte del concorrente istanza di rateazione del debito tributario oppure occorra che il relativo procedimento si sia concluso con un provvedimento favorevole.
4. E’ da rilevarsi che, con riguardo alla questione di diritto rimessa all’Adunanza Plenaria, l’ordinanza di rimessione ha così riassunto le opzioni ermeneutiche astrattamente percorribili:
- una tesi più rigorosa ritiene che, ai fini della regolarizzazione della posizione fiscale, sia necessaria la positiva definizione del procedimento di rateazione con l’ accoglimento dell'istanza del contribuente prima del decorso del termine fissato dalla lex specialis per la presentazione della domanda di partecipazione;
- una tesi più elastica annette rilievo già alla presentazione dell’istanza di rateazione entro il suddetto confine temporale;
- una linea interpretativa mediana ammette alla partecipazione l’impresa che abbia presentato istanza di rateizzazione, sub condicione della positiva definizione della procedura prima dell’aggiudicazione della gara e della conseguente stipulazione del contratto.
5. Il Collegio ritiene che la quaestio iuris debba essere risolta in conformità al prevalente indirizzo interpretativo affermatosi in subiecta materia, da ultimo confermato da questa Adunanza Plenaria con la sentenza 05.06.2013, n. 15.
5.1. La giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte giust. CE, Sez. I, 09.02.2007, n. 228/04 e 226/04) e quella nazionale (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 22.03.2013, n. 1633; sez. III, 05.03.2013, n. 1332; sez. VI, 29.01.2013, n. 531; sez. V, 18.11.2011, n. 6084), al pari dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (cfr. determinazione 16.05.2012, n. 1; determinazione 12.01.2010, n. 1; parere 12.02.2009, n. 23; deliberazione 18.04.2007, n. 120), hanno anche di recente ribadito, sulla scorta di argomentazioni suscettibili di condivisione, l’adesione alla tesi più rigorosa secondo cui il requisito della regolarità fiscale può dirsi sussistente solo qualora, prima del decorso del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara di appalto, l’istanza di rateizzazione sia stata accolta con l’adozione del relativo provvedimento costitutivo.
Si è a tale stregua subordinata l’ammissione alla procedura alla condizione che “l'istanza di rateizzazione sia stata accolta prima della scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara e preceda l'autodichiarazione circa il possesso della regolarità, essendo inammissibile una dichiarazione che attesti il possesso di un requisito in data futura” (Cons. Stato sez. VI n. 531/2013 cit.; vedi anche, ex plurimis, Cons. St., sez. V, 18.11.2011, n. 6084, che mette l’accento sulle condizioni di ammissione date dall’“ottenimento della rateizzazione” o dalla “dimostrazione di aver beneficiato di un concordato al fine di una rateizzazione o di una riduzione dei debiti”).
5.2. La bontà della tesi sposata dalla giurisprudenza pressoché univoca di questo Consiglio trova riscontro nella conformazione nella disciplina dell’istituto della rateizzazione fiscale ex art. 19 del d.P.R. n. 602/1973.
5.2.1. Sul piano teleologico la rateizzazione del debito tributario è espressione del favore legislativo verso i contribuenti in temporanea difficoltà economica, ai quali viene offerta la possibilità di regolarizzare la propria posizione tributaria senza incorrere nel rischio di insolvenza. Pertanto, condizione per la concessione del beneficio è la dimostrazione dell’obiettiva situazione di temporanea difficoltà in cui versa il debitore impossibilitato a pagare in un’ unica soluzione il debito iscritto a ruolo e, tuttavia, in grado di sopportare l’onere finanziario derivante dalla ripartizione dello stesso debito in un numero di rate congruo rispetto alle sue condizioni patrimoniali.
5.2.2. Sul versante tecnico la rateizzazione si traduce in un beneficio che, una volta accordato, comporta la sostituzione del debito originario con uno diverso, secondo un meccanismo di stampo estintivo-costitutivo che dà la stura a una novazione dell’obbligazione originaria (cfr. Cons. St., Sez. IV, 22.03.2013, n. 1633).
L’ammissione alla rateizzazione, rimodulando la scadenza dei debiti tributari e differendone l’esigibilità, implica quindi la sostituzione dell’originaria obbligazione a seguito dell’insorgenza di un nuovo rapporto obbligatorio secondo i canoni della novazione oggettiva di cui agli artt. 1230 e seguenti del codice civile.
Il risultato è la nascita di una nuova obbligazione tributaria, caratterizzata da un preciso piano di ammortamento e soggetta a una specifica disciplina per il caso di mancato pagamento delle rate.
5.2.3. La configurazione del meccanismo novativo fa sì che, nell’arco di tempo che precede l’accoglimento della domanda, resta in vita il debito originario, la cui esistenza è ammessa dallo stesso contribuente con la presentazione della domanda di dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo.
Il debito che grava sul contribuente prima dell’accoglimento dell’istanza, in caso di istanza di rateizzazione non ancora accolta all’atto della scadenza dei termini di presentazione delle domande di partecipazione, è quindi unicamente quello originario, in quanto tale certo (tanto nella sua esistenza quanto nel suo ammontare), scaduto ed esigibile nei sensi richiesti dal comma 2 dell’art. 38 del codice dei contratti pubblici.
A sostegno dell’assunto depone viepiù la considerazione che l’art. 19 del d.P.R. 29.09.1973, n. 602, nel regolamentare l’istituto della dilazione del pagamento, al comma 1-quater, pone quale unico limite all’attività forzosa dell’agente della riscossione, una volta ricevuta la richiesta di rateazione, l’inibizione all’iscrizione di ipoteca ex art. 77. Ne deriva che, salva questa specifica prescrizione di favore a tutela del debitore richiedente, la presentazione dell’istanza non incide ex se sull’esigibilità del credito originario e sulla conseguente possibilità per il creditore pubblico di dare impulso alle procedure finalizzate alla relativa riscossione in executivis.
Va soggiunto che l’inidoneità della mera presentazione dell’istanza di dilazione a soddisfare il requisito della regolarità contributiva è corroborata dalla considerazione che l’ammissione alla rateazione non costituisce, di norma (fa eccezione l'art. 38 del d.lgs. 31.10.1990, n. 346, relativo all’imposta di successione), atto dovuto, in quanto l’art. 19 del d.P.R. n. 602/1973 conferisce all’Amministrazione il potere discrezionale di valutare quell’"obiettiva difficoltà economica" che si è in precedenza visto essere presupposto per la concessione del beneficio. Ne deriva che l’ammissione alla procedura del concorrente che non abbia ancora ottenuto il provvedimento favorevole, oltre a sancire una deroga atipica al principio secondo cui i requisiti di partecipazione alle gare vanno verificati al momento della scadenza dei termini fissati per la presentazione delle domande, innesterebbe nello svolgimento della procedura di evidenza pubblica il fattore di incertezza legato all’accertamento di un requisito in fieri, collegato alla variabile della valutazione discrezionale dell’amministrazione tributaria.
5.3. Le considerazioni da ultimo esposte ostano alla praticabilità anche della tesi mediana secondo cui l’istante che abbia presentato richiesta di rateazione dovrebbe essere ammesso a condizione del conseguimento del beneficio nel corso della procedura di gara.
A sostegno della soluzione in esame non può, infatti, militare in modo decisivo la valorizzazione del principio del favor partecipationis, in quanto la preferenza per un ampliamento del novero dei partecipanti non è un valore assoluto ma deve essere ricondotta nel suo alveo naturale, dato dalla sua funzione di strumento volto al conseguimento dell’ obiettivo di assicurare la scelta del miglior contraente in una gara celere e trasparente alla stregua del codice dei contratti pubblici.
Il favor admissionis non può pertanto giustificare l’ammissione di un contraente, sprovvisto al momento della domanda del requisito della regolarità tributaria, in forza di una riserva il cui scioglimento sarebbe caratterizzato da profili di aleatorietà sia sul piano dell’an che sul versante del quando.
Il principio della certezza del quadro delle regole e dei tempi della procedura di evidenza pubblica impone, infatti, che i requisiti di partecipazione siano verificati in modo compiuto al momento della scadenza dei termini di presentazione delle domande e impedisce un’ammissione condizionata che si rifletterebbe negativamente sui valori dell’efficienza e della tempestività dell’azione amministrativa, subordinando l’aggiudicazione e la successiva stipulazione a fattori caratterizzati dagli esposti profili di imponderabilità.
5.4. L’adesione all’orientamento più rigoroso non è scalfito, ai fini che in questa sede rilevano, dalla citata novella normativa secondo cui “costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle relative all’obbligo di pagamento di debiti per imposte e tasse certi, scaduti ed esigibili” (art. 1, comma 5, del decreto legge n. 16/2012 cit.).
Si è già osservato in precedenza che la presentazione di un’istanza di ripartizione del debito in rate, dando la stura ad un meccanismo volto alla produzione di un fenomeno novativo, non incide, alla luce della disciplina tributaria e della normativa civilistica, sulla sussistenza dei suddetti requisiti del credito nelle more della definizione della procedura.
Detto assunto è confermato dal tenore dei lavori preparatori.
In particolare, dall’esame della relazione tecnica (A.S. 3184) di accompagnamento al d.l. sulle semplificazioni fiscali si ricava come l’ intenzione del legislatore fosse quella di intendere non scaduti ed esigibili i debiti per i quali sia stato “concordato un piano di rateazione” rispetto al quale il contribuente è in regola con i pagamenti. Di tenore ancor più inequivocabile è la scheda di lettura (n. 625/4) redatta dall’Ufficio Studi della Camera dei Deputati in data 15.06.2012 in cui si afferma che i commi 5 e 6 sono volti a non escludere dalle gare pubbliche il contribuente “ammesso alla rateizzazione” del proprio debito tributario.
È pertanto chiara la volontà di considerare in regola con il fisco unicamente il contribuente cui sia stata accordata la rateizzazione e la conferma del principio secondo cui la mera presentazione dell’istanza di rateazione o dilazione non rileva ai fini della dimostrazione del requisito della regolarità fiscale.
5.5. Non può infine essere valorizzato, in senso contrario alla tesi rigorosa fin qui esposta, l’argomento secondo cui sarebbe iniquo che la tardiva definizione della procedura finalizzata alla concessione della rateazione o della dilazione si riflettesse negativamente sulla sfera giuridica dell’istante, sub specie di esclusione dalla procedura di evidenza pubblica regolate dal codice dei contratti pubblici. Si deve infatti osservare, in direzione opposta, che l’inibizione legale trova fondamento nella condizione di illiceità fiscale imputabile al concorrente e che il beneficio della rateazione è previsto da una normativa eccezionale i cui effetti favorevoli non possono superare i confini delle espresse previsioni legislative, riflettendosi nell’ammissione alla gara di un soggetto gravato da un debito tributario liquido, scaduto ed esigibile.
6. Questa Adunanza reputa in definitiva che, alla stregua delle considerazioni che precedono, debba trovare conferma l’indirizzo ermeneutico secondo cui non è ammissibile la partecipazione alla procedura di gara, ex art. 38, comma 1, lett. g, del codice dei contratti pubblici, del soggetto che, al momento della scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione, non abbia conseguito il provvedimento di accoglimento dell’istanza di rateizzazione.
7. L’applicazione di tali coordinate conduce alla reiezione dell’appello, ricavandosi dagli atti di causa che per una delle cartelle esattoriali prese in considerazione dalla stazione appaltante con riferimento alla posizione dell’impresa ausiliaria la rateazione si è perfezionata in data 04.07.2011, con accordo di rateazione intervenuto solo nel corso della procedura di gara.
Il consolidato e condivisibile principio giurisprudenziale che richiede la permanenza del possesso del requisito in parola nel corso di tutta la procedura di gara, dimostra l’infondatezza degli argomenti difensivi volti a mettere l’accento sulla duplice peculiarità cronologia che connota la vicenda, in ragione, per un verso, della sopravvenienza della notifica della cartella esattoriale in parola rispetto alla data di scadenza dei termini fissati dalla lex specialis per la presentazione delle offerte e, per altro verso, della definizione della procedura di rateazione in un torno di tempo anteriore alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria.
Alla favorevole valutazione della doglianza tesa a stigmatizzare la mancanza valutazione dell’ effettiva gravità della gravità della violazione fiscale si oppone la considerazione che il requisito della gravità è stato innovativamente introdotto, in epoca posteriore alla pubblicazione della lex specialis, dal citato d.l. 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.1011, n. 107, in una con il rilievo che, nella specie, l’ammontare del debito fiscale oggetto di accertamento, pari a 57.378,00 euro, consente ictu oculi la qualificazione del relativo inadempimento in termini di effettiva gravità.
9. L’appello deve essere, in definitiva, respinto (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 20.08.2013 n. 20 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 20.08.2013 n. 194, suppl. ord. n. 63/L, "Testo del decreto-legge 21.06.2013, n. 69, coordinato con la legge di conversione 09.08.2013, n. 98, recante: «Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia»".

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U. 20.08.2013 n. 194 "Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2013" (Legge 06.08.2013 n. 97).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Guida alle semplificazioni del decreto legge del Fare (20.08.2013 - Dipartimento della funzione pubblica, Ufficio per la semplificazione amministrativa).

APPALTIP.a., appalti senza solidarietà. L'amministrazione non paga i dipendenti degli appaltatori. Il decreto lavoro (dl 76/2013) esclude l'applicazione della legge Biagi al settore pubblico.
La legge Biagi non si applica alle pubbliche amministrazioni. Il decreto 76/2013, convertito in legge dalla camera (atto C-1458), esclude per i contratti pubblici la solidarietà delle stazioni appaltanti per il pagamento di salari ai dipendenti degli appaltatori, previsto dall'articolo 29 del dlgs 276/2003.
La norma è retroattiva e si applica a tutti i rapporti pendenti. Il decreto-legge invece, estende la tutela ai lavoratori autonomi negli appalti privati e detta la prevalenza delle forme di tutela dei lavoratori previste nella contrattazione collettiva. Ma vediamo il contenuto dell'articolo 9 del decreto 76/2013 e i suoi possibili effetti.
Contratti pubblici. Il decreto 76/2013, all'articolo 9, comma 1, come spiegano i lavori parlamentari, esclude dall'ambito dell'intero regime di solidarietà disciplinato dall'articolo 29 del dlgs 276/2003 i contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni (di cui all'art. 1, comma 2, del dlgs n. 165/2001).
In particolare non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni quanto disposto dal comma 2 del dlgs 276/2003. Questa norma stabilisce che in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, e anche con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
L'articolo 29 del dlgs 276/2003 è oggetto di diverse interpretazioni, proprio con riferimento agli appalti pubblici: alcune sentenze ritengono che la norma si applichi anche alle pubbliche amministrazioni. Chi propende per questa impostazione (e i tribunali in maggior parte vanno in questa direzione) fa leva sulla prevalente finalità di tutela del lavoratore: uno scopo che bisogna raggiungere anche quando il committente è un ente pubblico, per evitare discriminazione tra i lavoratori.
A favore della tesi contraria, che esclude le p.a. dall'articolo 29 della legge Biagi, ci sono considerazioni che riguardano la portata letterale della norma: l'articolo 29 non fa riferimento agli appalti pubblici; l'articolo 29 fa riferimento a committenti-imprese e tali non sono le pubbliche amministrazioni; poi l'articolo 2 della legge Biagi sembra escludere le p.a. dall'ambito di applicazione. Si sostiene, ancora, che l'articolo 29 è incompatibile con la disciplina degli enti pubblici nella parte in cui prevede l'assunzione dei lavoratori danneggiati presso il committente: nessun giudice, per il vero, ritiene che, a seguito della azione per far valere la responsabilità solidale, il lavoratore dell'appaltatore debba essere assunto dalla p.a. appaltante.
Se l'articolo 29 non si applica in una parte significativa (obbligo di assunzione) allora, si dice, vuol dire che non si applica alla p.a. nella sua interezza.
Il decreto legge 76/2013 ha fatto, ora, una scelta nel senso dell'esclusione della solidarietà ex articolo 29 dlgs 276/2003.
Va aggiunto che rimangono vigenti il codice civile e il regolamento del codice dei contratti pubblici (dpr 207/2010), che contiene norme specifiche per l'ipotesi di mancato pagamento dei salari: l'ente pubblico può pagare direttamente i lavoratori, ma solo nel limite di quanto eventualmente dovuto all'impresa appaltatrice.
Quanto all'ambito di applicazione va sottolineato che il decreto legge 76/2013 si autodefinisce, nella relazione di accompagnamento, quale norma di interpretazione autentica: questo significa, quindi, che si applica a tutti i rapporti pendenti, comprese le controversie in corso.
Lavoro autonomo. Il comma 1 dell'articolo 9 del decreto legge 76/2013 riguarda la responsabilità solidale del committente imprenditore o datore di lavoro e dell'appaltatore, nonché degli eventuali subappaltatori, con riferimento ai trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, ai contributi previdenziali ed ai premi assicurativi, dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto di opere o di servizi.
Il regime di responsabilità solidale dell'articolo 29 della legge Biagi viene esteso ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale ed assicurativa nei confronti dei lavoratori con contratto di lavoro autonomo.
Contratti collettivi. Il decreto 76/2013, articolo 9, specifica che le eventuali clausole dei contratti collettivi hanno effetto esclusivamente in relazione ai trattamenti retributivi dovuti ai lavoratori impiegati nell'appalto (o nel subappalto), con esclusione di qualsiasi effetto sul regime di responsabilità solidale relativo ai contributi previdenziali ed assicurativi; tale norma limita, dunque, l'ambito di applicazione della norma che fa salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi nazionali, che individuino metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti (tratto da ItaliaOggi del 20.08.2013).

APPALTIAppalti, anticipo con garanzia. Serve fideiussione bancaria svincolabile gradualmente. Gli effetti delle novità introdotte dal dl fare: sul prezzo conta il costo del personale.
Reintrodotta l'anticipazione del 10% per gli appalti di lavori, anche se facoltativa e fino a fine 2014; più difficile fare grandi appalti e non suddividere in lotti; il prezzo più basso va valutato al netto del costo per il personale; rafforzato l'obbligo di verifica dei requisiti di gara attraverso la banca dati dei contratti pubblici; rinviato il performance bond a giugno 2014; agevolata la qualificazione delle imprese di costruzioni e la partecipazione alle gare dei progettisti.
Sono queste alcune delle novità approvate con la definitiva conversione in legge, il 9 agosto scorso, del dl 69/2013 (cosiddetto del fare), che contiene anche alcune importanti disposizioni in materia di sblocco dei cantieri, avvio di piccole e medie opere sul territorio («programma dei 6.000 campanili») e stanziamenti per la ristrutturazione delle scuole
Il decreto legge contiene quindi l'ennesimo intervento sul Codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006), in una generale e complessiva ottica di agevolazione dell'operato delle imprese che ogni giorno si confrontano con il sistema delle procedure di appalto pubblico.
Rappresenta una effettiva novità, di cui però si dovrà verificare la reale applicazione sul campo, la reintroduzione della anticipazione contrattuale per gli appaltatori di lavori.
La norma approvata prevede infatti non un obbligo, bensì una mera facoltà per le amministrazioni, in deroga ai vigenti divieti di anticipazione del prezzo, di procedere al riconoscimento all'appaltatore di una anticipazione pari al 10% dell'importo contrattuale.
Quindi niente obbligo ma facoltà, peraltro ammessa per le gare bandite dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto 69 e fino a fine dicembre 2014. Dipenderà ovviamente dalle disponibilità di cassa delle stazioni appaltanti che comunque, dovranno indicare nel bando di gara che provvederanno a corrispondere l'anticipazione. La disposizione richiama anche gli articoli 124, commi 1 e 2, e l'articolo 140, commi 2 e 3 del dpr 207/2010 (Regolamento del codice) in base ai quali si prevede che l'anticipazione sia subordinata alla costituzione di una garanzia fideiussoria bancaria o assicurativa gradualmente svincolata nel corso dei lavori.
Il decreto interviene anche sulla disciplina del performance bond differendo ancora una volta l'entrata in vigore della garanzia globale di esecuzione di quasi un anno, a fine giugno 2014.
Sugli obblighi di verifica dei requisiti dichiarati in sede di gara viene rafforzata la validità del sistema fondato sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici (Bdncp) costituita presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici che ha messo a punto un articolato meccanismo informatico (Avcpass) che dovrebbe diventare obbligatorio a inizio 2014. Il decreto rafforza tale obbligo di verifica prevedendo che l'utilizzo di tale sistema sia l'unico meccanismo, decorsi tre mesi dalla pubblicazione della legge di conversione del decreto legge n. 69. Importante anche la norma sulla suddivisione in lotti degli appalti, strumento a tutela delle piccole e medie imprese spesso emarginate dalla pratica spesso utilizzata negli ultimi anni, dei maxilotti.
Il principio oggi in vigore è che la stazione appaltante, al fine di favorire l'accesso delle piccole e medie imprese, deve ove possibile ed economicamente conveniente suddividere gli appalti in lotti funzionali, il decreto aggiunge l'obbligo per le stazioni appaltanti di motivare, nella determina a contrarre, l'eventuale mancata suddivisione in lotti e impone di tenere conto di tale profilo anche nell'ambito delle comunicazioni che ciclicamente devono essere inviate all'Osservatorio presso l'Autorità. Sul fronte della qualificazione delle imprese di costruzioni si stabilisce che, fino a fine 2015, sarà possibile documentare i requisiti sulla cifra d'affari globale in lavori, sulle attrezzature e sull'organico con riguardo al decennio e non più al quinquennio né ai migliori cinque anni del decennio.
Viene inoltre prorogata l'applicazione della norma che consente, nelle gare per servizi di ingegneria e architettura di importo superiore ai 100.000 euro, di documentare i requisiti di partecipazione alle gare con riferimento (per il fatturato) ai migliori cinque anni del decennio e (per l'organico medio annuo) rispetto ai tre migliori anni dell'ultimo quinquennio. Infine di rilievo la norma che dispone che il prezzo più basso venga determinato al netto delle spese relative al costo del personale; così facendo il costo del personale non figurerà più nell'elemento prezzo e quindi non deve essere più sottoposto a verifica di congruità (tratto da ItaliaOggi Sette del 19.08.2013).

APPALTIContratti pubblici. La scelta di mantenere l'accorpamento va motivata nella determinazione.
Appalti frazionati per tutelare le Pmi.
Gli appalti devono essere suddivisi in lotti e, in caso contrario, le amministrazioni aggiudicatrici devono indicare nel bando le ragioni che hanno determinato la gestione unitaria.

La legge di conversione del Dl 69/2013 (decreto del fare) potenzia le misure previste nell'articolo 2 del Codice dei contratti pubblici per favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese alle gare di appalto, rafforzando l'obbligo di suddivisione funzionale delle prestazioni (lavori, servizi e forniture), ove possibile ed economicamente conveniente, stabilendo (articolo 26-bis) che nella determinazione a contrarre le stazioni appaltanti debbano indicare la motivazione circa la mancata suddivisione dell'appalto in lotti.
La connessione
Per gli appalti di lavori, questo elemento sarà facilmente desumibile dall'unitarietà del progetto in rapporto all'opera da aggiudicare (fatta eccezione per gli appalti a stralci), mentre per le forniture di beni e servizi l'analisi giustificativa dovrà evidenziare l'interconnessione tra le varie prestazioni e l'impossibilità di renderle in maniera distinta.
La partizione in lotti funzionali di un appalto deve peraltro essere vagliata sulla capacità del singolo lotto di assolvere autonomamente all'esigenza dell'amministrazione.
La suddivisione (o la scelta della gestione unitaria) devono essere anche comunicate all'autorità di vigilanza sui contratti pubblici (Avcp), nell'ambito delle informazioni relative alle procedure di aggiudicazione previste dall'articolo 7 del Codice dei contratti.
L'anticipazione
Un ulteriore elemento di grande interesse (anche se si tratta di una sorta di ritorno al passato) è previsto dall'articolo 26-ter della legge di conversione del decreto fare, il quale reintroduce l'anticipazione del prezzo per i soli appalti di lavori pubblici.
La scelta deve essere pubblicizzata nel bando dall'amministrazione aggiudicatrice, che dovrà corrispondere all'appaltatore all'avvio delle prestazioni il 10% dell'importo contrattuale. Nel caso di contratti di appalto relativi a lavori di durata pluriennale, l'anticipazione va compensata fino alla concorrenza dell'importo sui pagamenti effettuati nel corso del primo anno contabile.
L'utilizzo di questa possibilità favorisce le imprese nella gestione dei lavori, ma implica contestualmente per le stazioni appaltanti una maggiore attenzione nella fase di avvio dei lavori (peraltro dettagliatamente disciplinata dal Dpr 207/2010).
Il Durc
La semplificazione dei rapporti tra le amministrazioni e gli appaltatori è sostenuta anche dalle disposizioni sul Durc (articolo 31), che rafforzano l'obbligo di acquisizione d'ufficio del documento, introducendo tuttavia due grandi novità.
Le disposizioni della legge di conversione del Dl 69/2013 stabiliscono infatti che il certificato di regolarità contributiva ha validità per centoventi giorni dalla data del rilascio (riducendo il termine di 180 inizialmente previsto dal decreto) e che può essere utilizzato entro questo arco temporale per i pagamenti degli stati di avanzamento.
Qualora l'amministrazione aggiudichi un altro appalto a un'impresa e disponga di un Durc validito riferito alla stessa impresa in relazione a un rapporto contrattuale già in essere, può utilizzare questo documento per i controlli di regolarità contributiva riferiti all'aggiudicazione e alla stipula del contratto per il nuovo appalto (tratto da Il Sole 24 Ore del 19.08.2013).

LAVORI PUBBLICIConcessioni, garanzie sui piani economici. Credito e coperture. Rafforzare la bancabilità.
Le concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche devono essere impostate con una disciplina dettagliata del piano economico-finanziario e in modo tale da consentire in modo accurato la verifica di bancabilità.

L'articolo 19 del decreto del fare (Dl 69/2013 convertito in legge dal Parlamento) è stato integrato da numerose disposizioni introdotte in fase di conversione, tutte finalizzate a garantire la piena realizzabilità dell'opera. Per rendere chiaro il quadro di risorse e le condizioni di gestione, la convenzione deve definire i presupposti e le condizioni di base del piano economico-finanziario le cui variazioni non imputabili al concessionario, se determinano una modifica dell'equilibrio del piano, comportano la sua revisione.
La convenzione deve contenere inoltre una definizione di equilibrio economico finanziario che faccia riferimento a indicatori di redditività e di capacità di rimborso del debito, nonché la procedura di verifica e la cadenza temporale degli adempimenti connessi.
Per assicurare adeguati livelli di bancabilità, le nuove disposizioni richiedono una più ampia esplicitazione degli strumenti di reperimento delle risorse, prevedendo anche la risoluzione del contratto qualora, entro un termine massimo di 24 mesi, il concessionario non sia pervenuto alla sottoscrizione di un contratto di finanziamento o all'emissione delle obbligazioni di progetto necessarie sempre per la provvista finanziaria.
Peraltro, proprio per rafforzare le dinamiche economiche dell'opera, il bando può prevedere che l'offerta sia corredata dalla dichiarazione sottoscritta da uno o più istituti finanziatori di manifestazione di interesse a finanziare l'operazione, anche in considerazione dei contenuti dello schema di contratto e del piano economico-finanziario (tratto da Il Sole 24 Ore del 19.08.2013).

APPALTI: OGGETTO: Modello di versamento F24 enti pubblici – codice identificativo “51” denominato “Intervento sostitutivo – art. 4 del D.P.R. n. 207/2010” (INPS, messaggio 14.08.2013 n. 13154).
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Versamenti diretti all'Inps. Irregolarità senza F24.
Sì al versamento diretto all'Inps, senza F24, per gli interventi sostitutivi delle stazioni appaltanti.

Lo spiega l'Inps nel messaggio 14.08.2013 n. 13154.
La novità riguarda i Durc irregolari, concernenti cioè irregolarità contributive, per cui le stazioni appaltanti sono tenute a fare l'intervento sostitutivo per regolarizzare le inadempienze contributive dell'appaltatore o subappaltatore. Infatti con l'intervento sostitutivo la stazione appaltante trattiene dalla liquidazione del corrispettivo dell'appalto l'importo pari alle scoperture contributive indicate nel Durc, per riversarle agli istituti previdenziali e delle casse edili. La stazione appaltante effettua il pagamento non in proprio, ma sostituendosi all'adempimento del contribuente.
Conseguentemente è stato previsto che il pagamento della somma oggetto dell'intervento sostitutivo avvenga utilizzando stesse modalità e stesse specifiche previste per l'adempimento contributivo da parte dell'esecutore o del subappaltatore nei confronti dell'Inps. I pagamenti, in altre parole, vengono effettuati tramite il modello F24, che consente l'immediata canalizzazione dei versamenti sulle posizioni a debito dei contribuenti rendendo individuabili sia il versante (stazione appaltante) sia il beneficiario (debitore).
Tuttavia, alcune stazioni appaltanti in virtù della specifica regolamentazione contabile sono escluse dalla possibilità di effettuare i pagamenti con modello F24, operazione che, in base alla risoluzione del 09.10.2012, prot. n. 2012/140335 dell'agenzia delle entrate, avviene l'F24 enti pubblici (EP) per consentire di utilizzare tale modello per il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali agli enti.
L'Inps precisa che sono ammesse ad utilizzare modalità di pagamento diverse da quelle tramite F24 EP esclusivamente le amministrazioni non tenute a eseguire i pagamenti tramite F24. E che la possibilità di effettuare il pagamento, in via residuale, con modalità da concordare con la sede Inps che ha emesso il Durc al fine di consentire in modo immediato la corretta contabilizzazione degli importi versati a titolo di intervento sostitutivo (tratto da ItaliaOggi del 15.08.2013).

APPALTI: Da dichiarare la risoluzione contrattuale con altra P.A., pena l'esclusione dalla gara.
Qualora, in sede di presentazione della domanda di partecipazione alla gara, un concorrente ometta di dichiarare una precedente risoluzione contrattuale disposta nei suoi confronti da diversa stazione appaltante per inadempimento accertato giudizialmente, è legittimo il provvedimento di revoca in autotutela dell'aggiudicazione definitiva in favore della medesima ditta, in quanto tenuta a indicare la suindicata circostanza e, rilevata l'omissione doverosamente esclusa dalla gara.

La Sez. I del TAR Basilicata, con la sentenza 14.08.2013 n. 501, ha chiarito che l'omessa dichiarazione, nella domanda di partecipazione a una procedura competitiva per la scelta del contraente, di una precedente risoluzione contrattuale “subita” dal concorrente è causa di esclusione dalla gara medesima e comporta l'adozione di un provvedimento di revoca dell'eventuale aggiudicazione definitiva illegittimamente adottata in suo favore.
- Analisi del caso
Un'Azienda ospedaliera aveva indetto una procedura aperta per l'affidamento del servizio di manutenzione degli impianti elettrici e speciali a cui aveva partecipato, tra gli altri, una costituenda a.t.i., poi risultata aggiudicataria definitiva; in sede di verifica dei requisiti, la stazione appaltante aveva riscontrato sul casellario informatico delle imprese tenuto dall'A.v.c.p. la notizia di una risoluzione contrattuale disposta da un'altra P.A. in suo danno e, a seguito di procedimento in autotutela, aveva disposto la revoca dell'aggiudicazione stessa e l'esclusione dalla gara della ditta medesima, per violazione dell'art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 163/2006.
Avverso tale atto, la ricorrente ha mosso le proprie censure, eccependo la violazione e falsa applicazione degli artt. 38, comma 1, lett. f) e 46, comma 1-bis, D.Lgs. n.163/2006, nonché del D.P.R. n. 445/2000 e della lex specialis di gara; violazione dei principi di tassatività delle cause di esclusione e dell'affidamento dei concorrenti nonché carenza di istruttoria e difetto di motivazione alla luce della scusabilità dell'errore.
In particolare, la ricorrente ha sottolineato come l’intervenuta risoluzione contrattuale non avesse impedito alla stazione appaltante di affidare in precedenza altri servizi alla stessa ditta; ha, inoltre aggiunto come tanto il tenore letterale dell'iscrizione nel casellario quanto il successivo chiarimento reso dall’A.v.c.p. che ne cura la redazione e la tenuta, escludessero che tale risoluzione configurasse un “grave errore professionale”.
Ha così chiesto al G.A. lucano l’annullamento del gravato provvedimento, anche in considerazione della equivocabile formulazione della lex specialis di gara che faceva riferimento alla sola dichiarazione di “non aver commesso un errore già accertato dalla stessa stazione appaltante”.
- La soluzione
Il Collegio, accogliendo i rilievi mossi dall’Amministrazione resistente, ha ricordato come la questione non attenesse esclusivamente al possesso di un requisito di ordine generale ovvero all'interpretazione dell'art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 163/2006, ma interessasse anche l'operatività del comma 2, primo periodo del medesimo art. 38 che impone ai concorrenti di autodichiarare il possesso dei requisiti: nel caso in esame, ha precisato, rileva proprio la omessa dichiarazione da parte della a.t.i. ricorrente che ha, così, impedito alla stazione appaltante di compiere la propria valutazione in merito a una risoluzione contrattuale a suo tempo disposta da altra P.A. in danno della concorrente.
Ha, poi, sottolineato come fosse privo di pregio il richiamo di parte ricorrente al c.d. “falso innocuo” sulla considerazione per cui la stazione appaltante avesse già ritenuto, in altra precedente occasione, irrilevante la circostanza non dichiarata: la disposizione del citato art. 38, ha chiarito, riconosce alla stazione appaltante –e solo a questa– un potere di valutazione delle pregresse condotte dei concorrenti, finalizzato a reprimere ogni elemento che possa minare la legittima aspettativa della medesima P.A., non solo alla esecuzione a regola d'arte del servizio, ma anche all'assunzione di un contegno ispirato a correttezza e probità contrattuale, sulla necessità di garantire l'elemento fiduciario nei rapporti con l'Amministrazione sin dal momento genetico (cfr. TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 02.03.2010, n. 659).
Sicché, il TAR ha evidenziato come la ricorrente fosse incorsa nella violazione di un obbligo imposto dalla legge quello di dichiarare, includere e/o specificare, eventuali situazioni legate a errori nell'esercizio dell'attività professionale, indipendentemente dalla formulazione della lex specialis da intendersi, peraltro, integrata dalla legge in applicazione del noto principio di eterointegrazione del bando e dalla autonoma - epperò non decisiva in quanto il potere valutativo è riservato, come detto, unicamente alla stazione appaltante - valutazione della A.v.c.p. (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 02.07.2013, n. 3550; idem, Sez. V, 24.02.2011, n. 1193; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 30.05.2013, n. 1606); in ragione di tanto, ad avviso del G.A. non risulta violato neppure l'art. 46, comma 1-bis, D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui la sanzione dell'esclusione consegue anche in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal Codice, tra cui quella del ridetto art. 38, comma 2.
In considerazione di tanto, la Sezione I, accertata la legittimità dell’azione amministrativa in autotutela, rifacendosi ad un proprio precedente orientamento (cfr. TAR Basilicata, Sez. I, 26.11.2012, n. 518), ha respinto il ricorso, confermando l'esclusione dalla gara dell'a.t.i. ricorrente.
I precedenti e i possibili impatti pratico-operativi In merito all'interpretazione dell'art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 163/2006, la giurisprudenza è controversa: accanto a decisioni che privilegiano la salvaguardia dell'elemento fiduciario come base indefettibile dei rapporti contrattuali tra privati e l'Amministrazione, che deve essere sempre messa in condizione di compiere le proprie valutazioni, ve ne sono altre che valorizzano il principio della massima partecipazione alle gare pubbliche e, restringendo il novero delle tassative cause di esclusione, propendono per una lettura sostanzialistica della disposizione, accedendo alla teoria dell'errore scusabile, del falso innocuo ovvero, anche, ricorrendo al c.d. soccorso istruttorio, ex art. 46, comma 1, D.Lgs. n. 163/2006, in tutti i casi di omissione di dichiarazioni di “scarsa rilevanza” (a fortiori quando le circostanze sono già note alla stazione appaltante) o contraddittorietà nella formulazione degli atti di gara (ex multis, TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 25.06.2013, n. 1837; contra TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 16.10.2012, n. 2535).
La decisione segnalata aderisce quindi, a quella impostazione più rigorosa e formalistica compendiata dai principi del clare loqui dei concorrenti alle gare pubbliche e della parità di trattamento tra gli stessi; da questo angolo visuale, ogni impresa che intenda partecipare a procedure per l'affidamento di contratti pubblici è obbligata ad assumere un atteggiamento di totale trasparenza nei confronti della P.A. al fine di riservare solo a quest’ultima ogni legittima ed esclusiva valutazione (discrezionale) circa l’affidabilità del concorrente, in vista della salvaguardia dell’interesse pubblico all’esecuzione a regolare arte del contratto (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa).

APPALTI: Cassazione penale. La rilevanza dell'intesa tra imprese. Turbativa d'appalto con collegamento di fatto.
Basta un collegamento sostanziale tra imprese per fare scattare la turbativa della gara pubblica. Senza alcun profilo di contrasto con la giurisprudenza comunitaria e anche se il risultato non è stato raggiunto.

Lo puntualizza la Corte di Cassazione, Sez. II penale, con la sentenza 13.08.2013 n. 34917.
La pronuncia ha così respinto il ricorso presentato dalla difesa di un uomo condannato per alcuni episodi di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente.
La Cassazione sottolinea innanzitutto che, per la configurazione del reato, la prova della collusione e, quindi, del dolo dei concorrenti, può anche essere tratta dal collegamento sostanziale tra le imprese partecipanti alla gara.
Da questa circostanza, infatti, si può accertare l'esistenza di un unico centro di interessi che punta, attraverso la parcellizzazione delle offerte, ad aumentare le possibilità di aggiudicarsi l'appalto alterando il normale gioco della concorrenza.
A questo riguardo, la Cassazione avalla, tra l'altro, il ragionamento della Corte di appello (che aveva proceduto alla condanna dell'uomo pur cancellando il capo d'imputazione dell'associazione per delinquere), per la quale, nel dare rilevanza al collegamento di fatto tra imprese, non esistono profili di contrasto con il principio enunciato dalla Corte di giustizia europea del 2009. Allora i giudici Ue stabilirono che la pubblica amministrazione non può escludere automaticamente dalla gara le imprese che risultano collegate da un rapporto formale di controllo; va invece effettuato, sempre secondo la Corte europea, una verifica concreta dell'impatto del legame all'interno della procedura.
Di più, la Cassazione si concentra poi sulla fisionomia del reato e sulla rilevanza penale delle condotte che lo concretizzano. Ha così modo di precisare che il delitto di turbata libertà degli incanti, se realizzato con la condotta di collusione, si consuma nel momento in cui è stata presentata l'ultima delle offerte illecitamente concordate, mentre nessuna importanza deve essere assegnata al successivo atto di aggiudicazione perché l'illecita influenza sulla procedura si verifica per il solo fatto della presentazione delle offerte.
Inoltre, osserva ancora la sentenza, il reato in questione è un reato di pericolo che si configura non solo nel caso di un danno effettivo, ma anche nel caso di danno mediato e potenziale, «non occorrendo l'effettivo conseguimento del risultato perseguito dagli autori dell'illecito, ma la semplice idoneità degli atti a influenzare l'andamento della gara».
Per questo, già nei precedenti della Corte, è possibile trovare esempi di attribuzione di responsabilità penale allo scambio di informazioni tra più imprese prima dello svolgimento della gara, avvenuto con l'obiettivo di determinarne l'esito, malgrado poi, alla prova dei fatti, avesse inciso in maniera modesta sulla determinazione degli indici per l'individuazione dell'aggiudicatario e non fosse in assoluto idoneo a raggiungere l'obiettivo (tratto da Il Sole 24 Ore del 14.08.2013).

APPALTI: Contributo per la partecipazione alle gare.
L'obbligo del versamento del contributo, a favore dell'Avcp, da parte degli operatori economici operanti nel relativo mercato, costituisce, per espressa previsione dell'art. 1, c. 67, della L. 266/2005, 'condizione di ammissibilità dell'offerta'.
Al riguardo, tanto l'Avcp, quanto la giurisprudenza, hanno affermato che:
1) la norma opera ex lege, a nulla rilevando l'assenza del suo richiamo nel bando di gara o nella lettera d'invito;
2) la mancata dimostrazione, all'atto della presentazione dell'offerta, dell'avvenuto versamento del contributo costituisce causa di esclusione dalla procedura di gara;
3) tale omissione non può essere sanata dopo la scadenza del termine perentorio di presentazione delle offerte.

Il Comune, premesso che l'art. 1, comma 67
[1], della legge 23.12.2005, n. 266, prevede che l'obbligo del versamento del contributo, a favore dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp), da parte degli operatori economici operanti nel relativo mercato, costituisce 'condizione di ammissibilità dell'offerta' e ritenendo che la norma operi ex lege, a nulla rilevando l'assenza del suo richiamo nel bando di gara, chiede di conoscere se l'adempimento possa essere assolto successivamente al termine indicato per la presentazione dell'offerta.
Anzitutto, si rileva che, come correttamente sostenuto dall'Ente, la norma in questione trova applicazione indipendentemente dal suo richiamo nel bando di gara o nella lettera d'invito, «atteso che, in forza di un principio unanimemente riconosciuto, le disposizioni della lex specialis devono ritenersi integrate dalle norme di legge cd. autoesecutive (cioè quelle norme legislative che non abbisognano per la loro applicazione dell'emanazione di altre disposizioni normative di dettaglio), per cui il predetto obbligo, previsto dall'art. 1, comma 67, l. n. 266 del 2005 deve considerarsi inserito nella lex specialis, anche se dalla stessa non sia espressamente previsto»
[2].
Quanto alla possibilità che il versamento del contributo di cui trattasi possa essere utilmente eseguito oltre il termine indicato per la presentazione della offerta, si deve fornire risposta negativa.
La qualificazione del contributo in parola come condizione legale di ammissibilità dell'offerta, cui consegue l'onere di dimostrare l'avvenuto versamento al momento della presentazione dell'offerta medesima, in difetto del quale opera l'esclusione dalla procedura di gara, è stata costantemente sostenuta dall'Autorità competente
[3].
In adesione alla predetta impostazione, la giurisprudenza ha affermato che l'obbligo, gravante sugli operatori economici che intendono partecipare a gare pubbliche, di provvedere al pagamento del contributo previsto dall'art. 1, comma 67, della L. 266/2005 «assume la configurazione di una condizione di ammissibilità dell'offerta; cioè la mancata dimostrazione, al momento della presentazione dell'offerta, dell'avvenuto versamento del predetto contributo costituisce causa di esclusione dalla procedura di gara e tale omissione non può essere sanata dopo la scadenza del termine perentorio di presentazione delle offerte»
[4].[5]
La giurisprudenza ha anche chiarito che «La sanatoria ex post attraverso la regolarizzazione ex art. 46, d.lgs. n. 163 del 2006, che consentisse ad un concorrente che ha omesso di adempiere un obbligo costituente condicio iuris indispensabile per essere ammesso ad una gara inciderebbe sulla par condicio dei concorrenti in gara che hanno regolarmente adempiuto all'onere di versamento del contributo ed inoltre introdurrebbe un elemento di instabilità e di incertezza nelle procedure di aggiudicazione collidente con il principio di buon andamento tutelato a livello costituzionale con l'art. 97 Cost.»
[6].
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[1] «L'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, cui è riconosciuta autonomia organizzativa e finanziaria, ai fini della copertura dei costi relativi al proprio funzionamento di cui al comma 65 determina annualmente l'ammontare delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza, nonché le relative modalità di riscossione, ivi compreso l'obbligo di versamento del contributo da parte degli operatori economici quale condizione di ammissibilità dell'offerta nell'ambito delle procedure finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche. [...]».
L'obbligo di versamento del contributo in questione, originariamente previsto per i soli appalti di opere pubbliche, trova applicazione anche agli appalti di servizi e forniture, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 163/2006, che ha esteso le funzioni di vigilanza dell'Avcp a tali settori (v. TAR Sardegna-Cagliari, Sez. I, 22.12.2008, n. 2202; TAR Campania-Salerno, Sez. I, 01.10.2010, n. 11285 e TAR Sicilia-Catania, Sez. II, 01.02.2013, n. 377).
[2] Così TAR Sicilia-Catania, Sez. II, n. 377/2013, cit.. In precedenza, TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, 01.12.2006, n. 3888, aveva rilevato che l'art. 1, comma 67, della L. 266/2005 «integra norma eterointegrativa dei bandi di gara, attesa la totale assenza di discrezionalità dell'amministrazione in ordine alla sua applicabilità ed efficacia».
[3] V., in particolare, Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, deliberazione 26.01.2006 (art. 3, comma 2); Avcp deliberazioni 10.01.2007 (art. 3, comma 3), 24.01.2008 (art. 3, comma 2), 01.03.2009 (art. 3, comma 2), 15.02.2010 (art. 4, comma 2), 03.11.2010 (art. 5, comma 2) e 21.12.2011 (art. 3, comma 2); pareri 16.12.2010, n. 225 e 23.03.2011, n. 58.
[4] Così TAR Sicilia-Catania, Sez. II, n. 377/2013, cit..
[5] Il principio era già stato affermato, tra gli altri, da TAR Basilicata-Potenza, Sez. I, 14.01.2011, n. 32; TAR Sardegna-Cagliari, Sez. I, n. 2202/2008, cit..
[6] Così TAR Sicilia-Catania, Sez. II, n. 377/2013, cit.
(13.08.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

ACQUISTO FORNITURE: L. n. 228/2012, art. 1, comma 141. Limiti di spesa per l'acquisto di mobili e arredi.
L'art. 1, comma 141, L. n. 228/2012, prevede che, ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, negli anni 2013 e 2014, le amministrazioni pubbliche ivi indicate, tra cui le amministrazioni locali, non possono effettuare spese di ammontare superiore al 20% della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi, salvo che l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili.
Il Comune chiede di sapere se trova applicazione nella Regione Friuli Venezia Giulia la disposizione di cui all'art. 1, comma 141, L. n. 228/2012
[1] (Legge di stabilità 2013) e, in caso positivo, se sia da applicarsi anche nel caso di acquisto di mobili funzionali al completamento di un'opera pubblica la cui spesa sia prevista all'interno del quadro economico dell'opera stessa (l'Ente indica esemplificativamente l'acquisto di banchi e armadietti nell'ambito di lavori di ampliamento di una scuola materna).
Sentito il Servizio finanza locale di questa Direzione centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
Il comma 141 dell'art. 1 della legge di stabilità 2013 stabilisce che
«ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, negli anni 2013 e 2014 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, [...] non possono effettuare spese di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi, salvo che l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili. In tal caso il collegio dei revisori di conti verifica preventivamente i risparmi realizzabili, che devono essere superiori alla minore spesa derivante dall'attuazione del presente comma. [...]».
La misura di contenimento della spesa prevista dal comma 141 richiamato riguarda specificamente le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione come individuate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196.
Ai sensi dell'art. 1, comma 3, richiamato, la ricognizione delle amministrazioni pubbliche ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica è operata annualmente dall'ISTAT con proprio provvedimento pubblicato annualmente in Gazzetta Ufficiale.
Al riguardo, viene, da ultimo, in considerazione l'elenco di cui al Comunicato 28.09.2012
[2], comprendente, per quanto qui di interesse, le Amministrazioni locali (tra cui, le Regioni e province autonome, le Province, i Comuni, le Comunità montante e le Unioni di Comuni).
Si può dunque, affermare l'applicabilità della misura finanziaria di cui all'art. 1, comma 141, L. n. 228/2012, anche agli acquisti di mobili e arredi degli enti locali
[3].
Per quanto concerne la possibilità di procedere ad acquisti di mobili e arredi qualora gli stessi siano funzionali al completamento di un'opera pubblica e la cui spesa sia stata prevista all'interno del quadro economico dell'opera stessa, si osserva che il tenore letterale dell'art. 1, comma 141, indica un'unica eccezione alla misura di contenimento della spesa pubblica ivi prevista: l'ipotesi in cui gli acquisti siano funzionali alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili
[4].
Un'eventuale interpretazione della norma nel senso di individuare ulteriori ipotesi di salvezza non pertiene a questo Servizio, dovendo al riguardo intervenire i competenti organi statali.
Per completezza di esposizione, si segnala che ai sensi dell'art. 1, comma 165, L. n. 228/2012, 'I limiti di cui al precedente comma 141 non si applicano agli investimenti connessi agli interventi speciali realizzati al fine di promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale, di rimuovere gli squilibri economici, sociali, istituzionali e amministrativi del Paese e di favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona in conformità al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione e finanziati con risorse aggiuntive ai sensi del decreto legislativo 31.05.2011, n. 88', nell'ambito dei quali non sembra riconducibile la fattispecie prospettata dal Comune
[5].
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[1] L. 24.12.2012, n. 228, recante: 'Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)'.
[2] ISTAT, Comunicato 28.09.2012, recante: 'Elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196 (Legge di contabilità e di finanza pubblica)'.
[3] Si segnala, comunque, che la Regione FVG ha promosso ricorso di legittimità costituzionale avverso alcune norme della L. n. 228/2012, tra cui, per quanto qui di interesse, l'art. 1, comma 141, in relazione al quale è stata rilevata la violazione della competenza primaria regionale in materia di finanza locale, risultante dall'art. 4, n. 1-bis, dello Statuto FVG, e dall'art. 9, D.Lgs. n. 9/1997, secondo cui 'spetta alla regione disciplinare la finanza locale, l'ordinamento finanziario e contabile, l'amministrazione del patrimonio e i contratti degli enti locali', nonché 'la regione finanzia gli enti locali con oneri a carico del proprio bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3'.
[4] In tal caso è attribuito al collegio dei revisori di conti il compito di verificare preventivamente i risparmi realizzabili, che devono essere superiori alla minore spesa derivante dall'attuazione del comma in argomento (cfr. Ministero dell'economia e delle finanze, circolare n. 2 del 05.02.2013).
[5] Cfr. nota di questo Servizio n. 7679 del 07.02.2013, consultabile all'indirizzo web: http://autonomielocali.regione.fvg.it
(13.08.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTIDatabase contratti pubblici, il governo ci riprova.
Banca dati dei contratti pubblici, si riprova. La legge di conversione del «decreto del Fare» ha introdotto un nuovo articolo, 49-ter, che cerca di rilanciare un'idea di semplificazione estremamente utile per accorciare le procedure contrattuali: facilitare la verifica del possesso, da parte delle ditte aggiudicatarie, dei requisiti necessari per la stipulazione dei contratti, previsti dagli articoli 38, 41 e 42, del dlgs 163/2006.
L'idea è semplice: invece di chiedere, ad esempio, ai tribunali la sussistenza di cause di fallimento, invece che alle province il rispetto della normativa per l'assunzione dei disabili, che, in assenza della connessione tra le banche dati pubbliche, sempre evocata ma mai realizzata, si consente alle amministrazioni di accedere ad un'unica banca dati.
L'articolo 49-ter, a questo scopo, dispone che «per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni a partire da tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario è acquisita esclusivamente attraverso la banca dati di cui all'articolo 6-bis del codice di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163».
In effetti, ai sensi del citato articolo 6-bis, l'Autorità di vigilanza per i contratti pubblici deve stabilire con propria deliberazione i dati concernenti la partecipazione alle gare e la valutazione delle offerte in relazione che debbono essere inseriti nella banca dati, ma, soprattutto i termini e le regole tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento e la consultazione dei predetti dati contenuti nella Banca dati. Ciò consentirà alle stazioni appaltanti e agli enti aggiudicatori di verificare il possesso dei requisiti appunto esclusivamente tramite la banca dati nazionale dei contratti pubblici. Unico neo dell'impianto normativo rivitalizzato dal governo Letta è la circostanza che la banca dati, ai sensi del comma 1 dell'articolo 6-bis del codice dei contratti avrebbe dovuto entrare in funzione già dal 01.01.2013.
E c'era stato quasi un anno di tempo per organizzare tutto: l'impianto informatico e le delibere dell'Authority, visto che l'articolo 6-bis era stato introdotto dall'articolo 20, comma 1, lettera a), della legge 35/2012, entrata in vigore nell'aprile dello scorso anno. Se oltre un anno non è stato sufficiente per attivare uno strumento di semplificazione vera e non solo teorica, i tre mesi previsti dal «decreto del Fare» non lasciano oggettivamente ben sperare (tratto da ItaliaOggi del 13.08.2013).

APPALTIPuò essere sanzionata con l’esclusione dalla gara l’offerta che presenti un margine di incertezza significativo, sia per il contenuto intrinseco della stessa, sia in relazione all’oggetto dell’appalto: analogamente, sono da ritenere essenziali quegli elementi dell’offerta atti ad incidere in maniera significativa sul contenuto della stessa, tanto che la loro mancanza renda l’offerta non soddisfacente rispetto alle richieste della stazione appaltante.
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Il Collegio è consapevole dell’indirizzo che afferma la necessità dell’esclusione del concorrente il quale abbia omesso la sottoscrizione dell’offerta tecnica –la quale non è negozialmente imputabile ad alcuno– mentre la mancata esplicita previsione di tale carenza tra le cause di esclusione è irrilevante “trattandosi di mancanza di un elemento essenziale dell’offerta che anche nell’attuale assetto normativo disegnato dall’attuale art. 46, comma 1-bis, del Codice appalti, in cui è stato codificato il principio di tassatività delle cause di esclusione, rileva quale causa di estromissione del concorrente dalla gara d’appalto”.
In altri termini, “la mancata sottoscrizione dell’offerta tecnica, che costituisce uno dei documenti integranti la domanda di partecipazione alla gara, non può essere considerata, in via di principio, un'irregolarità solo formale sanabile nel corso del procedimento, atteso che essa fa venire meno la certezza della provenienza e della piena assunzione di responsabilità in ordine ai contenuti della dichiarazione nel suo complesso: …la sottoscrizione di un documento è lo strumento mediante il quale l'autore fa propria la dichiarazione anteposta contenuta nello stesso, consentendo così non solo di risalire alla paternità dell'atto, ma anche di rendere l'atto vincolante verso i terzi destinatari della manifestazione di volontà”.
E’ stato, altresì, rimarcato che la sottoscrizione dell'offerta di gara “si configura come lo strumento mediante il quale l'autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, serve a rendere nota la paternità ed a vincolare l'autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta. Essa assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell'offerta e costituisce elemento essenziale per la sua ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti dell'offerta come dichiarazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico. La sua mancanza inficia, pertanto, la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà contenuta nell'offerta senza che sia necessaria, ai fini dell'esclusione, una espressa previsione della legge di gara” (Consiglio di Stato ha ritenuto che “per “sottoscrizione” debba intendersi la firma in calce, e che questa nemmeno può essere sostituita dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti quella conclusiva della dichiarazione stessa”).
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I principi del favor partecipationis e della tutela dell’affidamento vietano l'esclusione di un’impresa che abbia fatto affidamento sul bando di gara e sui relativi allegati, compilando l’offerta in conformità al facsimile all’uopo approntato dalla stazione appaltante: è stato precisato che il concorrente il quale abbia puntualmente seguito le indicazioni fornite dall’Ente aggiudicatore nella legge di gara e nella modulistica ufficiale non può subire per questo un danno, dovendo prevalere, a fonte di un'oggettiva incertezza ingenerata dagli atti predisposti dall’amministrazione e della buona fede che va riconosciuta al concorrente, il principio del favor partecipationis.
In buona sostanza, nessuna esclusione può essere disposta sulla scorta di una lacuna formale indotta dall’amministrazione nella predisposizione degli atti di gara e che, qualora fosse accompagnata da un’applicazione formalistica della normativa, avrebbe l'unico risultato, contrario alla ratio prima ancora che alla lettera della disciplina degli appalti, di un fattivo quanto inammissibile restringimento della concorrenza in assenza di qualsivoglia lesione sostanziale.

In linea generale, con riferimento all’evocato art. 46, comma 1-bis, del dlgs 163/2206 sull’incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, occorre sottolineare che la citata disposizione va letta nel senso che può essere sanzionata con l’esclusione dalla gara l’offerta che presenti un margine di incertezza significativo, sia per il contenuto intrinseco della stessa, sia in relazione all’oggetto dell’appalto: analogamente, sono da ritenere essenziali quegli elementi dell’offerta atti ad incidere in maniera significativa sul contenuto della stessa, tanto che la loro mancanza renda l’offerta non soddisfacente rispetto alle richieste della stazione appaltante (TAR Puglia Lecce, sez. II – 06/03/2013 n. 472).
Sul punto specifico oggetto di ricorso, il Collegio è consapevole dell’indirizzo che afferma la necessità dell’esclusione del concorrente il quale abbia omesso la sottoscrizione dell’offerta tecnica –la quale non è negozialmente imputabile ad alcuno– mentre la mancata esplicita previsione di tale carenza tra le cause di esclusione è irrilevante “trattandosi di mancanza di un elemento essenziale dell’offerta che anche nell’attuale assetto normativo disegnato dall’attuale art. 46, comma 1-bis, del Codice appalti, in cui è stato codificato il principio di tassatività delle cause di esclusione, rileva quale causa di estromissione del concorrente dalla gara d’appalto” (Consiglio di Stato, sez. V – 21/06/2012 n. 3669).
In altri termini, “la mancata sottoscrizione dell’offerta tecnica, che costituisce uno dei documenti integranti la domanda di partecipazione alla gara, non può essere considerata, in via di principio, un'irregolarità solo formale sanabile nel corso del procedimento, atteso che essa fa venire meno la certezza della provenienza e della piena assunzione di responsabilità in ordine ai contenuti della dichiarazione nel suo complesso: …la sottoscrizione di un documento è lo strumento mediante il quale l'autore fa propria la dichiarazione anteposta contenuta nello stesso, consentendo così non solo di risalire alla paternità dell'atto, ma anche di rendere l'atto vincolante verso i terzi destinatari della manifestazione di volontà” (TAR Puglia Lecce, sez. III – 30/04/2013 n. 990).
E’ stato, altresì, rimarcato che la sottoscrizione dell'offerta di gara “si configura come lo strumento mediante il quale l'autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, serve a rendere nota la paternità ed a vincolare l'autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta. Essa assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell'offerta e costituisce elemento essenziale per la sua ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti dell'offerta come dichiarazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico. La sua mancanza inficia, pertanto, la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà contenuta nell'offerta senza che sia necessaria, ai fini dell'esclusione, una espressa previsione della legge di gara” (Consiglio di Stato, sez. V – 20/04/2012 n. 2317, che ha richiamato sez. V – 25/01/2011 n. 528 e sez. V – 07/11/2008 n. 5547, e ha ritenuto che “per “sottoscrizione” debba intendersi la firma in calce, e che questa nemmeno può essere sostituita dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti quella conclusiva della dichiarazione stessa”).
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La recente giurisprudenza (cfr. TAR Abruzzo Pescara – 24/02/2012 n. 86, richiamata da questa Sezione nella sentenza 10/05/2012 n. 814; TAR Piemonte, sez. I – 08/05/2013 n. 576; TAR Campania Napoli, sez. VIII – 11/04/2013 n. 1911; TAR Puglia Lecce, sez. II – 01/02/2013 n. 274) è dell’avviso che i principi del favor partecipationis e della tutela dell’affidamento vietano l'esclusione di un’impresa che abbia fatto affidamento sul bando di gara e sui relativi allegati, compilando l’offerta in conformità al facsimile all’uopo approntato dalla stazione appaltante: è stato precisato che il concorrente il quale abbia puntualmente seguito le indicazioni fornite dall’Ente aggiudicatore nella legge di gara e nella modulistica ufficiale non può subire per questo un danno, dovendo prevalere, a fonte di un'oggettiva incertezza ingenerata dagli atti predisposti dall’amministrazione e della buona fede che va riconosciuta al concorrente, il principio del favor partecipationis.
In buona sostanza, nessuna esclusione può essere disposta sulla scorta di una lacuna formale indotta dall’amministrazione nella predisposizione degli atti di gara e che, qualora fosse accompagnata da un’applicazione formalistica della normativa, avrebbe l'unico risultato, contrario alla ratio prima ancora che alla lettera della disciplina degli appalti, di un fattivo quanto inammissibile restringimento della concorrenza in assenza di qualsivoglia lesione sostanziale (cfr. TAR Piemonte, sez. I – 09/01/2012 n. 5)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.08.2013 n. 727 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 08.08.2013 n. 185 "Modifiche agli articoli 3 e 6 del decreto 26.02. 2013, in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, decreto 01.08.2013).

APPALTI SERVIZIIl Codice dei contratti non si applica a tappeto. Concessione di servizio pubblico, la tesi dell'adunanza plenaria del consiglio di stato.
In una concessione di servizio pubblico non tutte le norme del Codice dei contratti pubblici sono applicabili, ma solo quelle in materia di scelta del contraente, oltre ai principi generali di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento; legittimo applicare una disciplina unitaria quando l'affidamento riguarda sia servizi oggetto di concessione, sia servizi affidabili con un appalto, evitando di differenziare le clausole del bando di gara.

Lo afferma l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 06.08.2013 n. 19.
La questione riguarda la legittimità della definizione della cauzione provvisoria determinata, ex art. 75 del Codice dei contratti, con riguardo al valore totale del concessione (e non invece nella somma dei valori percentuali spettanti al concessionario a titolo di aggio per il servizio di biglietteria e per gli altri servizi) e della richiesta nella lettera di offerta della dichiarazione con la quale i concorrenti si impegnano «a garantire la continuità dei rapporti di lavoro in essere al momento del subentro (c.d. clausola sociale). Ad avviso dell'adunanza plenaria nulla osta «a che un determinato rapporto sia considerato, a determinati fini, in modo unitario, se è la legge a indicare la forma giuridica, e quindi il regime, cui il rapporto deve soggiacere».
Pertanto se l'amministrazione sceglie il sistema della gestione indiretta tramite concessione (ex art. 115, comma del dlgs 42/2004), non risulta irragionevole che le garanzie, richieste al concessionario, siano commisurate, a norma dell'art. 75 del codice dei contratti pubblici, sull'intero valore del rapporto.
Però non tutte le norme del codice sono applicabili alle concessioni di servizi. Ne consegue che l'applicabilità di disposizioni legislative specifiche, come la clausola sociale, si può affermare nei limiti in cui esse trovino la propria ratio immediata nei suddetti principi, sia pure modulati al servizio di esigenze più particolari (articolo ItaliaOggi del 13.09.2013).
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massima
In relazione alla procedura di affidamento della concessione del servizio di gestione di scavi archeologici, ai sensi dell’art. 75 del Codice dei contratti pubblici, per il quale l’importo della garanzia a corredo dell’offerta deve essere ‘pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito’, è legittima la clausola della ‘lettera di richiesta di offerta vincolante’ –pur se non indicata nella precedente sollecitazione a presentare le offerte– che commisura tale percentuale all’intero valore economico della concessione e non soltanto agli introiti ricavati dalla vendita dei biglietti.
In relazione alla procedura di affidamento della concessione del servizio di gestione di scavi archeologici, ai sensi dell’art. 30, comma 1, e dell’art. 69 del Codice dei contratti pubblici è legittima la clausola della ‘lettera di richiesta di offerta vincolante’ che, a pena di esclusione, impone ai concorrenti di rendere una dichiarazione con la quale essi si impegnano ‘a garantire la continuità dei rapporti di lavoro in essere al momento del subentro, con esclusione di ulteriori periodi di prova, di tutto il personale già impiegato nei servizi oggetto della presente concessione in esecuzione di precedenti convenzioni e riportato nell’apposito Allegato 1’ (cosi detta ‘clausola sociale’).

LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: Oggetto: Istruzioni e linee guida per la fornitura e posa in opera di segnaletica stradale (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nota 05.08.2013 n. 4867 di prot.).
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Un freno dai Trasporti alla segnaletica creativa.
La segnaletica stradale deve essere uniforme e adeguata alle direttive ministeriali. Sono quindi fuori legge tutte le iniziative locali finalizzate a valorizzare un attraversamento pedonale o un incrocio senza il rispetto delle specifiche tecniche richieste dalla normativa.

Lo ha chiarito il Ministero dei trasporti con la circolare 05.08.2013 n. 4867 di prot. avente per oggetto «istruzioni e linee guida per la fornitura e posa in opera di segnaletica stradale».
Nonostante l'art. 38/6° del codice stradale richiami chiaramente la necessaria uniformità della segnaletica stradale sono tanti gli enti proprietari delle strade che in questi anni hanno intrapreso scelte originali spesso molto censurabili.
Nonostante le continue e ripetute diffide e due direttive ad hoc del 24.10.2000 e del 27.04.2006 la questione è ancora molto combattuta per cui il ministero ha ritenuto opportuno riepilogare tutta la disciplina in materia alla luce del regolamento 305/2011/Ue che dal 1° luglio ha definitivamente sostituito la direttiva 89/106/Ce. In particolare ai sensi di questa dettagliata disposizione normativa ora tutta la segnaletica verticale deve essere marcata Ce e deve rispondere a specifiche tecniche ad hoc richiamate anche dall'art. 63 del codice degli appalti.
Per quanto non coperto da norme armonizzate, prosegue la nota centrale, restano valide le norme nazionali per esempio circa i vincoli e le modalità di impiego dei segnali e dei dispositivi contemplati nell'art. 45/6° del codice stradale per i quali è obbligatorio ricorrere a prodotti omologati o approvati. È il caso per esempio della segnaletica temporanea di cantiere, dei segnali complementari previsti dall'art. 42 Cds (tra cui i dispositivi destinati ad impedire la sosta o limitare la velocità) e tutti gli altri dispositivi analoghi previsti dal regolamento stradale.
La questione sulla corretta e uniforme applicazione delle norme in materia di segnaletica però è già stata adeguatamente approfondita in particolare dalla direttiva del 27.04.2006 che per la prima volta viene ufficializzata dopo un periodo di grande incertezza sull'ufficialità della stessa (articolo ItaliaOggi del 22.08.2013
).

APPALTI: Nella materia del risarcimento per il mancato affidamento delle gare d'appalto non è necessario provare la colpa dell'Amministrazione aggiudicatrice. La domanda va anzitutto riferita al mancato guadagno derivato a carico della ricorrente dalla mancata effettuazione dei lavori e servizi dedotti nel cottimo fiduciario (ed eseguiti dalla controinteressata) dal momento in cui gli stessi sono stati conferiti alla seconda classificata.
Poiché nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici il risarcimento del danno conseguente a lucro cessante (cioè al mancato profitto che l'impresa avrebbe ricavato dall'esecuzione dell'appalto) non va calcolato utilizzando il criterio forfetario del 10% del prezzo a base d'asta (cfr. Cons. St. cit.) il collegio ritiene che la percentuale di utile su cui detto risarcimento dovrà essere calcolato deve essere quella che l’impresa ricorrente ha indicato nelle proprie giustificazioni, presentate ai fini della verifica di non anomalia, a sostegno dell’offerta economica presentata in sede di procedura aperta (attesa la riconducibilità dei lavori dati a cottimo all’oggetto dell’appalto principale); ove tale dato fosse assente negli atti di gara, si indica come criterio da osservare da parte dell’amministrazione quello della prova rigorosa che l'impresa deve dare dell'utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria.
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Il mancato svolgimento dei lavori eseguiti dalla controinteressata a titolo di cottimo fiduciario e quelli, viceversa rimasti ineseguiti, dell’appalto principale, determinano anche danni cd. curriculari.
In tema di gara d'appalto, l'esistenza del danno curriculare può essere pragmaticamente ritenuta in re ipsa, in una certa contenuta misura, in quanto insita nel fatto stesso dell'impossibilità di utilizzare le referenze derivanti dall'esecuzione dell'appalto in controversia nell'ambito di futuri procedimenti simili cui la stessa ricorrente potrebbe partecipare, con la precisazione che il soggetto economico non può dirsi gravato, a questo proposito, da alcun particolare onere probatorio, che condizionerebbe soltanto l'accesso per la stessa voce ad un risarcimento più elevato.
Detti danni, ad avviso del collegio, ciascuno in relazione al rispettivo titolo giustificativo, possono essere determinati, in via equitativa, nella misura del 3% di ciascun lucro cessante che verrà liquidato dall’Azienda. Anche in questo caso, la sorte capitale dovrà essere ridotta del 40% avuto riguardo al concorso colposo del ricorrente nella determinazione dei danni per effetto della richiamata omessa contestazione della revoca della SOA per le categorie di lavori necessarie per l’esecuzione dell’appalto. Gli importi così determinati dovranno comunque essere liquidati solo previo calcolo di interessi e rivalutazione monetaria.

Come è noto, nella materia del risarcimento per il mancato affidamento delle gare d'appalto non è necessario provare la colpa dell'Amministrazione aggiudicatrice (cfr. fra le recenti Cons. St., V, 21/06/2013 n. 3397). La domanda va anzitutto riferita al mancato guadagno derivato a carico della ricorrente dalla mancata effettuazione dei lavori e servizi dedotti nel cottimo fiduciario (ed eseguiti dalla controinteressata) dal momento in cui gli stessi sono stati conferiti alla seconda classificata.
Poiché nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici il risarcimento del danno conseguente a lucro cessante (cioè al mancato profitto che l'impresa avrebbe ricavato dall'esecuzione dell'appalto) non va calcolato utilizzando il criterio forfetario del 10% del prezzo a base d'asta (cfr. Cons. St. cit.) il collegio ritiene che la percentuale di utile su cui detto risarcimento dovrà essere calcolato deve essere quella che l’impresa ricorrente ha indicato nelle proprie giustificazioni, presentate ai fini della verifica di non anomalia, a sostegno dell’offerta economica presentata in sede di procedura aperta (attesa la riconducibilità dei lavori dati a cottimo all’oggetto dell’appalto principale); ove tale dato fosse assente negli atti di gara, si indica come criterio da osservare da parte dell’amministrazione quello della prova rigorosa che l'impresa deve dare dell'utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria.
Tale prova, nell’eventualità di cui sopra, dovrà essere resa dalla ricorrente all’ATER su richiesta di quest’ultima. L’importo, una volta determinato, in applicazione dei principi di cui agli artt. 30, co. 3, c.p.a. e 1227 c.c., va poi tuttavia ridotto del 40% atteso che la ricorrente ha omesso di promuovere qualsiasi azione giurisdizionale avverso la disposta statuizione di revoca della SOA benché fin dal maggio 2012 fosse intervenuta la tutela cautelare da parte del Consiglio di Stato. In ogni caso la somma da risarcire dovrà essere aumentata di interessi e rivalutazione.
I criteri fin qui esposti vanno applicati -a fortiori- anche per il computo del risarcimento del mancato guadagno con riferimento all’appalto principale di cui la ricorrente era risultata aggiudicataria e che per effetto dell’illegittimo atto di autotutela adottato dall’ATER non le è più possibile eseguire.
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Il mancato svolgimento dei lavori eseguiti dalla controinteressata a titolo di cottimo fiduciario e quelli, viceversa rimasti ineseguiti, dell’appalto principale, determinano anche danni cd. curriculari. In tema di gara d'appalto, l'esistenza del danno curriculare può essere pragmaticamente ritenuta in re ipsa, in una certa contenuta misura, in quanto insita nel fatto stesso dell'impossibilità di utilizzare le referenze derivanti dall'esecuzione dell'appalto in controversia nell'ambito di futuri procedimenti simili cui la stessa ricorrente potrebbe partecipare, con la precisazione che il soggetto economico non può dirsi gravato, a questo proposito, da alcun particolare onere probatorio, che condizionerebbe soltanto l'accesso per la stessa voce ad un risarcimento più elevato (cfr. Cons. St., V, 5846 - 19.11.2012).
Detti danni, ad avviso del collegio, ciascuno in relazione al rispettivo titolo giustificativo, possono essere determinati, in via equitativa, nella misura del 3% di ciascun lucro cessante che verrà liquidato dall’Azienda. Anche in questo caso, la sorte capitale dovrà essere ridotta del 40% avuto riguardo al concorso colposo del ricorrente nella determinazione dei danni per effetto della richiamata omessa contestazione della revoca della SOA per le categorie di lavori necessarie per l’esecuzione dell’appalto. Gli importi così determinati dovranno comunque essere liquidati solo previo calcolo di interessi e rivalutazione monetaria
(TAR Basilicata, sentenza 03.08.2013 n. 486 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Dl fare, Durt verso la cancellazione. Manager, tetto agli stipendi a due vie.
Si va verso la cancellazione al senato del Durt, il documento unico di regolarità tributaria introdotto nel dl fare alla camera.

La conferma è arrivata da uno dei relatori al decreto, il senatore Paolo Guerrieri Paleotti (Pd). «Il governo», ha affermato, «dovrà prendere atto che l'intero arco di forze politiche ritiene che questo emendamento, non per gli obiettivi ma per il modo in cui li persegue, vada cancellato. Non si può, per un provvedimento che si prefigge di semplificare la vita degli imprenditori, complicargliela ulteriormente».
Per il tetto ai compensi dei manager pubblici arriva un sistema differenziato per le società non quotate controllate da società con titoli quotati rispetto a quelle controllate da società emittenti altri strumenti finanziari.
Lo prevede un emendamento del governo depositato nelle commissioni affari costituzionali e bilancio di palazzo Madama, che corregge una disposizione introdotta dalla camera. La norma prevede che il tetto ai compensi dei manager non si applica soltanto alle società controllate da capogruppo con titoli azionari quotati. Il relatore ha spiegato che si sta lavorando anche sul tema della base degli operatori che hanno accesso alle garanzie per il credito.
In particolare sulla possibilità che la base sia ulteriormente allargata ad altri comparti, come per esempio quelli dell'agricoltura, della pesca e piccole imprese. Altro tema importante riguarda le agevolazioni per chi acquista beni strumentali tra cui potrebbero rientrare anche beni non tangibili come il software (articolo ItaliaOggi del 03.08.2013).

APPALTI: Appalti, diventa obbligatoria l'anticipazione del 10%.
FONDI UE AL PIANO CITTÀ/ Sarà la Conferenza delle Regioni a definire una lista di progetti urbani cui si potranno destinare i fondi comunitari a rischio spesa.

Torna nella notte al Senato, in commissione Bilancio, la discussione sull'anticipazione del 10% per gli appalti di lavori pubblici. La Camera l'aveva reintrodotta, eliminando il divieto imposto fin dalla legge Merloni ma lasciando al tempo stesso alle amministrazioni appaltanti la scelta discrezionale di applicarla o meno. Ora a Palazzo Madama si affaccia un emendamento, concordato dai relatori con i gruppi di maggioranza e il Governo, che esclude la facoltatività per passare invece a un regime obbligatorio.
Nel testo le parole «è possibile» vengono sostituite con le parole «è prevista» e, quel che è più rilevante, viene soppressa la condizione introdotta dalla Camera che l'anticipazione si sarebbe pagata «purché la stessa sia già prevista e pubblicizzata nella gara di appalto». L'amministrazione non potrebbe più aggirare ora l'istituto reintrodotto limitandosi a non segnalarlo nel bando di gara.
L'emendamento possiede anche il timbro esplicito della Ragioneria generale che aveva una perplessità specifica per gli appalti di durata pluriennale. In passato, l'anticipazione data dall'amministrazione pubblica all'impresa per avviare il cantiere veniva poi riassorbita nell'arco dei pagamenti dei primi due anni. La Ragioneria generale temeva che l'anticipazione potesse comportare anche una maggiore erogazione di cassa nell'anno in corso rispetto alle previsioni di spesa. Per questo ha preteso l'inserimento nel testo di un paletto che mette al riparo da questo rischio. «Nel caso di contratti di appalto relativi a lavori di durata pluriennale -afferma l'emendamento- l'anticipazione va compensata fino alla concorrenza dell'importo sui pagamenti effettuati nel corso del primo anno contabile».
Il problema sollevato potrebbe riproporsi qualora il contratto di appalto fosse sottoscritto nell'ultimo trimestre dell'anno. In questo caso -afferma un comma ulteriormente aggiunto alla disposizione- «l'anticipazione è effettuata nel primo mese dell'anno successivo ed è compensata nel corso del medesimo anno contabile». Una posizione più rigida di quella presente in tutti gli emendamenti di origine parlamentare che ammettevano il pagamento nell'ultimo trimestre dell'anno ma solo fino a un importo di 90,8 milioni. La cifra corrisponde alle risorse previste nella legge di stabilità 2013 per l'allentamento del patto di stabilità interno, ma non utilizzate dalle Regioni entro la data del 30.06.2013.
Su un altro emendamento in materia di infrastrutture si registra una larga convergenza tra forze politiche di maggioranza, relatori e Governo. È la modifica all'articolo 9 che prevede la destinazione ai progetti del «piano città» non ancora finanziati dei fondi Ue a rischio di spesa nella fase finale della programmazione 2007-2013.
Nel testo della Camera si prevedevano «accordi diretti» fra le «autorità di gestione dei programmi operativi» e i singoli comuni, scavalcando di fatto le Regioni e senza una priorità chiara fra i progetti. Ora verrebbe reintrodotto il livello regionale: sarà la Conferenza delle regioni a stilare, entro 90 giorni, una lista di possibili interventi dotati delle caratteristiche tecnico-finanziarie di ammissibilità (articolo Il Sole 24 Ore del 03.08.2013).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Cosa si intende per legittimo affidamento nel rapporto con la P.A.?
Domanda
Nel nostro ordinamento vige il principio comunitario di tutela del legittimo affidamento che presuppone l'affidamento ragionevole generato da un precedente comportamento dell'amministrazione pubblica, e la correlativa tutela è funzionale alla protezione di situazioni consolidate contro revoche di atti amministrativi ampliativi o attributivi di benefici economici, i cui effetti siano stati acquisiti dal privato in buona fede.
Risposta
Una particolare disciplina di tale istituto è stata introdotta nella L. 27.07.2000, n. 212 "Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente" il cui articolo 10 è dedicato alla "Tutela dell'affidamento e della buona fede. Errori del contribuente".
La norma prevede che i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria siano improntati al principio della collaborazione e della buona fede.
Ne consegue che non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'Amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'Amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa.
Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta.
La giurisprudenza (Cass. civ. Sez. V, 03.07.2013, n. 16692) ha già dato attuazione a tale principio in vari ambiti, ad esempio con riferimento alle circolari ministeriali in materia tributaria che non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, per cui, qualora il contribuente si sia conformato ad un'interpretazione erronea fornita dall'Amministrazione in una circolare, è esclusa l'irrogazione delle relative sanzioni, in base al principio di tutela dell'affidamento.
In senso opposto (Cons. Stato Sez. III, 24.05.2013, n. 2838) si è ritenuto che nelle gare pubbliche d'appalto l'aggiudicazione provvisoria, quale atto endoprocedimentale, è inidonea ad ingenerare il legittimo affidamento che impone l'instaurazione del contraddittorio procedimentale prima della revoca in autotutela (01.08.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

luglio 2013

APPALTI: L'obbligo di seduta pubblica, per la fase di apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche, va ritenuto operativo solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art. 12 del d.l. 07.05.2012 n. 52.
Sulla questione riguardante l'applicazione, anche alle procedure che si erano svolte prima della decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 13 del 28/07/2011 (e dell'emanazione dell'art. 12 del d.l. 07/07/2012 n. 52), del principio secondo il quale (anche) l'apertura delle buste contenenti le offerte tecniche deve avvenire in seduta pubblica, si è recentemente espressa di nuovo l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con le decisioni n. 8 del 22/04/2013 e n. 16 del 27/06/2013, ha affermato l'ulteriore principio secondo cui l'obbligo di seduta pubblica, per la fase di apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche, va ritenuto operativo solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art. 12 del d.l. 07/05/2012 n. 52, conv., con modif., dalla l. 06/07/2012 n. 94, non potendo ritenersi applicabile anche alle gare indette prima di tale data.
Infatti il citato art. 12 non ha portata ricognitiva del principio affermato con la pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 13 del 2011, ma ha la specifica funzione transitoria di salvaguardare gli effetti delle procedure concluse o pendenti alla data del 09/05/2012, nelle quali si sia proceduto all'apertura dei plichi in seduta riservata, recando in sostanza, per questo aspetto, una sanatoria di tali procedure.
Del resto, come affermato dall'Adunanza Plenaria, il riconoscimento della natura sanante del suddetto art. 12 "è diretto a contenere gli oneri amministrativi ed economici che deriverebbero della caducazione, altrimenti inevitabile, di centinaia di gare che, diversamente, sarebbero di fatto travolte per il mero mancato rispetto dei canoni di pubblicità dell'apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche, in assenza di qualsivoglia indizio circa la manomissione o l'occultamento degli stessi da parte dell'amministrazione" (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 31.07.2013 n. 4037 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: La qualità di associazione di protezione ambientale non legittima il Codacons al ricorso proposto in ordine alla sponsorizzazione del restauro sull'Anfiteatro Flavio di Roma, più comunemente noto come "Colosseo".
Secondo un indirizzo giurisprudenziale le associazioni ambientaliste sarebbero legittimate a ricorrere in sede giurisdizionale, anche con riferimento ai beni culturali ed agli strumenti urbanistici, tenuto conto della nozione allargata di "ambiente" come complesso dei valori che caratterizzano il territorio. Tuttavia, il sistema normativo vigente, è fondato su una distinta scansione concettuale tra patrimonio culturale e ambiente.
La Costituzione accomuna nella tutela di cui all'art. 9 paesaggio e patrimonio storico e artistico (vale a dire il patrimonio culturale come definito nel codice di cui al d.lgs. n. 42/2004) e invece designa separatamente, tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, le funzioni di tutela dell'ambiente e dei beni culturali (art. 117, c. 2, lett. s) e, tra le materie di competenza concorrente (art. 117, c. 3), le funzioni di valorizzazione dei beni ambientali e culturali. In sintesi, quindi, l'ambiente è un bene immateriale unitario ma vi sono sue componenti che sono oggetto di disciplina, cura e tutela isolatamente e separatamente: tra queste, i beni culturali.
Ciò che occorre distinguere, al fine di valutare l'ambito della legittimazione a ricorrere delle associazioni di protezione ambientale, è se l'interesse fatto valere attenga all'ambiente inteso unitariamente ovvero al singolo bene culturale considerato isolatamente e separatamente.
Nel caso di specie, non viene in considerazione il possibile impatto che piani, programmi o progetti possono avere sul patrimonio culturale, né qualsiasi altro fatto che rientri nella funzione di tutela dell'ambiente. Viene invece in considerazione un intervento su beni culturali pubblici, che l'Amministrazione dei beni culturali governa con lo strumento dell'autorizzazione ai sensi degli artt. 21 e 24 del d.lgs. n. 42/2004; in particolare, un intervento di restauro, ossia di "intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all'integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali" (art. 29, c. 4, d.lgs. n. 42/2004), anzi, un contratto di sponsorizzazione stipulato in vista del restauro di un bene culturale: un fatto, dunque, che rientra nella funzione di tutela non dell'ambiente, ma dei beni culturali.
La qualità di associazione di protezione ambientale non legittimava, quindi, il Codacons al ricorso proposto in ordine alla sponsorizzazione del restauro sull'Anfiteatro Flavio di Roma, più comunemente noto come "Colosseo" (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.07.2013 n. 4034 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIDurt, il senato corre ai ripari. L'obiettivo è quello di tornare alle origini della norma. Il presidente della VI Commissione di Palazzo Madama spiega i lavori sul decreto del fare.
Revisione del Durt. Dilazione del debito tributario in 10 anni anche per i soggetti che aderiscono agli istituti deflattivi del contenzioso. Reinserimento del tetto ai compensi dei manager che gestiscono aziende che forniscono servizi pubblici. Abolizione della norma che blocca i rimborsi Iva per i tour operator extra Ue.

Queste le principali modifiche che la Commissione finanze del senato, intende apportare al cosiddetto decreto del fare, il dl 69/2013, approvato la scorsa settimana dalla camera e trasmesso a Palazzo Madama.
Il problema Durt (Documento unico di regolarità tributaria). Il senato deve correre ai ripari. Questo il grido di allarme che Palazzo Madama è stato, chiamato a raccogliere nel più breve tempo possibile. E così è stato. A tale richiesta, infatti, non ha tardato ad arrivare la risposta da parte del presidente della Commissione finanze del senato, Mauro Maria Marino: «ridimensionare il Durt è il nostro obiettivo principale. Non è, infatti, possibile che una norma nata con il preciso scopo di agevolare le imprese che già versano in situazione di difficoltà sia diventata una sorta di tranello del diavolo, utile solo a complicare gli adempimenti burocratici».
Una precisa dichiarazione di intenti, quindi, che lascia capire la volontà di voler porre rimedio il prima possibile a una situazione che, altrimenti, sarebbe insostenibile per le imprese della filiera degli appalti. Il mancato possesso del Durt da parte del subappaltatore impedisce, infatti, all'appaltatore di effettuare i pagamenti dovuti. Requisito di base per ottenere il Durt da parte dell'Agenzia delle entrate è l'essere in regola con i pagamenti fiscali.
Rateizzazione del debito. Possibilità in vista anche per i contribuenti che decideranno di usufruire di un istituto deflattivo del contenzioso. A oggi, l'art. 52 del decreto del fare, prevede che i contribuenti che versano in difficoltà economiche, possano chiedere la dilazione del pagamento dei propri debiti tributari fino a 120 rate mensili, ovvero fino a 10 anni. La stessa possibilità però non è prevista per chi decide di usufruire dell'accertamento con adesione. Obiettivo della Commissione finanze del senato, quindi, quello di estendere la possibilità di usufruire delle 120 rate mensili anche a quei contribuenti che abbiano optato per l'istituto deflattivo del contenzioso. «Siamo estremamente soddisfatti del lavoro che la camera ha fatto su questa norma», ha dichiarato a ItaliaOggi il presidente Marino, «ma riteniamo che il lavoro potrà dirsi completo solo con questo ampliamento».
Gli stipendi dei manager. Se durante i lavori alla camera era saltata, o meglio, era stata sbagliata la trascrizione della norma relativa al tetto sugli stipendi d'oro dei manager pubblici, è intenzione del senato farla tornare alle origini. Durante il passaggio del testo dalle Commissioni all'aula di Montecitorio, all'interno della disposizione contenente la norma sul tetto agli stipendi dei manager era, infatti, stato inserito un «non» di troppo che vanifica l'intento della disposizione. «Riteniamo importante», ha sottolineato Marino, «che tutti i manager, anche quelli delle società non quotate che erogano servizi pubblici, debbano avere un tetto ai loro compensi, così come avviene per gli altri amministratori delle società non quotate che possono arrivare al massimo a 300 mila euro».
Iva. Tra gli obiettivi del senato, infine, anche quello di abolire la norma che impedisce ai tour operator extra Ue di poter usufruire dei rimborsi Iva in caso di acquisto in Italia di beni e servizi per i lori clienti. «La disposizione, così come strutturata, è controproducente perché limita il settore turistico che per il nostro paese è vitale, ragion per cui» ha concluso il presidente della Commissione finanze del senato, «è necessario che la questione sia regolata livello comunitario per evitare discriminazioni tra i vari paesi europei» (articolo ItaliaOggi del 31.07.2013).

APPALTIAppalti, accelerata sulla verifica con Avcpass.
Entro metà novembre la banca dati dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici sarà l'unico strumento di verifica dei requisiti degli appaltatori, nonostante il sistema Avcpass sia obbligatorio soltanto da gennaio 2014.

È questo uno degli effetti della modifica introdotta al testo del cosiddetto decreto legge del fare, approvato alla camera la scorsa settimana e adesso al vaglio del senato (si veda articolo principale in pagina).
La semplificazione delle procedure di affidamento di contratti pubblici è materia sulla quale è intervenuto già l'articolo 6-bis del codice dei contratti pubblici, al fine di ridurre gli oneri amministrativi, prevedendo che la verifica dei requisiti dichiarati in gara, a partire dal 01.01.2013, avvenga attraverso la banca dati, istituita presso l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
L'Autorità sui contratti pubblici, con la delibera 111/2012, ha quindi introdotto l'Avcpass (Authority virtual company passport), sistema al quale gli operatori economici devono registrarsi dal 01.07.2013. A metà giugno, però la stessa Autorità ha differito il termine al primo gennaio 2014. Adesso con l'articolo 49-ter del decreto 69 si rafforza la vigenza della Banca dati nazionale dei contratti pubblici come unico strumento idoneo alla verifica dei requisiti. In particolare si stabilisce che per i contratti «sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni a partire da tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario è acquisita esclusivamente attraverso la banca dati di cui all'articolo 6-bis del codice». In teoria dalla prima metà di novembre scatterebbe quindi un obbligo che però l'Autorità ha differito a gennaio 2014.
In realtà la norma non brilla per chiarezza, perché il riferimento alla «sottoscrizione» dei contratti sembra volere dire che i documenti concernenti i requisiti relativi ai contratti che verranno stipulati a decorrere da tre mesi dalla conversione del decreto 69, dovrà essere acquisita esclusivamente, per le gare future, soltanto attraverso la Bdncp (Banca dati nazionale contratti pubblici).
È evidente, infatti, che la verifica dei requisiti non avviene mai dopo la sottoscrizione dei contratti, ma prima. Sarebbe bastato fare riferimento, invece che ai «contratti», alle «procedure affidate nei tre-quattro mesi successivi» (articolo ItaliaOggi del 31.07.2013).

APPALTI: Sulla legittimità del provvedimento con il quale la stazione appaltante procede, in autotutela, alla revoca dell'intera procedura di gara.
L'amministrazione è titolare del potere, riconosciuto dall'art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990, di revocare per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, un proprio precedente provvedimento amministrativo e che, con riguardo ad una procedura di evidenza pubblica, deve ritenersi legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto, disposta prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso, motivato anche con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in quanto la ricordata disposizione ammette un ripensamento da parte della amministrazione a seguito di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.
Anche di recente è stato affermato che, ai sensi del citato art. 21-quinquies, è legittimo il provvedimento con il quale la stazione appaltante procede, in autotutela, alla revoca dell'intera procedura di gara dopo averne individuato i presupposti nei sopravvenuti motivi di pubblico interesse di natura economica, derivanti da una forte riduzione dei trasferimenti finanziari, nonché da una nuova valutazione delle esigenze nell'ambito dei bisogni da soddisfare, a seguito di una ponderata valutazione che ha evidenziato la non convenienza di procedere all'aggiudicazione sulla base del capitolato predisposto precedentemente ed al fine di ottenere un risparmio economico.
Pertanto, nel caso di specie, sussistevano le ragioni di pubblico interesse all'esercizio del potere di autotutela dell'Amministrazione e che tali ragioni erano state chiaramente indicate dall'amministrazione negli atti impugnati (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 30.07.2013 n. 4026 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: DECRETO DEL FARE/ Maggiori oneri e burocrazia nel settore appalti dal documento approvato dalla camera.
Durt, corsa al credito a ostacoli. Nuovi adempimenti per l'impresa. O niente pagamenti.

Il decreto del Fare partorisce un nuovo meccanismo infernale: il Durt. Il Documento di regolarità tributaria lascia subito intendere che ci sono guai in arrivo per le imprese che appartengono alla filiera dell'appalto: maggiori oneri, maggiore burocrazia, maggiore difficoltà a incassare i crediti.
Ma anche notevoli contraddizioni nella norma che appare, su diversi passaggi, a dir poco controversa. Anche se il Durt è rubricato nel capo II del decreto del Fare denominato «semplificazioni in materia fiscale», nel caso in cui il testo approvato dalla camera non venisse modificato durante l'esame del senato (ma il governo, viste le polemiche suscitate, ha annunciato una pesante revisione, se non addirittura la cancellazione del provvedimento), sarebbe ben lungi da apportare un alleggerimento ai pesanti oneri che gravano sulle imprese già interessate dalle problematiche sulla responsabilità solidale negli appalti. Al contrario. Scimmiottando l'architettura dell'ormai tristemente noto Durc (documento di regolarità contributiva), il Durt, sostanzialmente, impedisce al committente di effettuare i pagamenti dovuti all'appaltatore se quest'ultimo non è in regola con determinati adempimenti fiscali, per i quali l'impresa deve effettuare un ulteriore sforzo organizzativo e sopportare ulteriori costi amministrativi e non solo.
Per esempio, per poter ottenere in tempo reale il Durt (rilasciato dall'Agenzia delle entrate), le imprese dovranno impegnarsi a liquidare l'Iva con periodicità mensile, a prescindere dal volume d'affari realizzato, con una forte penalizzazione per le piccole imprese che dovranno sostenere maggiori costi per l'assistenza fiscale.
Particolarmente gravoso sarebbe, sotto questo aspetto, la posizione del soggetto in regime dei minimi che anziché adempiere alle formalità una volta l'anno, sarebbe costretto a farlo ogni mese, con un non indifferente aggravio di oneri.
Cosa cambia con il Durt. Pur lasciando inalterata l'impalcatura generale delle diverse responsabilità tra i soggetti partecipanti all'appalto o al sub-appalto, l'attestazione che veniva rilasciata da ciascuna impresa per ottenere il pagamento dal proprio cliente, verrà sostituita dal Durt (il cui rilascio avviene da parte dell'Agenzia delle entrate).
Dopo il voto alla camera, l'Iva è stata esclusa dal decreto del Fare dal meccanismo della responsabilità solidale, ma solo apparentemente. Da un esame del testo licenziato con il voto di fiducia, appare evidente che le trasmissioni telematiche da effettuare con cadenza mensile non riguardino solo le ritenute dei dipendenti utilizzati per la realizzazione del subappalto, ma anche la liquidazione dell'Iva.
Viene pure confermato che il committente principale ha una responsabilità amministrativa al versamento di una sanzione da 5 mila a 200 mila euro, per il committente che non riceve la documentazione comprovante il corretto versamento delle ritenute da parte dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori.
Attualmente la documentazione che il subappaltatore deve rilasciare al proprio appaltatore e lo stesso appaltatore al proprio committente, consiste alternativamente:
1) nella documentazione comprovante il versamento delle ritenute dei dipendenti;
2) in un'asseverazione del corretto versamento delle ritenute dei dipendenti da parte di un professionista o Caf imprese;
3) in una autocertificazione sostitutiva dell'impresa subappaltatrice del corretto versamento delle ritenute.
Con le nuove regole del decreto del Fare, il subappaltatore e l'appaltatore devono chiedere all'Agenzia delle entrate il rilascio del Durt, che dovrà essere rilasciato all'appaltatore ovvero al committente.
Con tale documento l'Agenzia delle entrate dichiara che l'impresa è in regola con il versamento di debiti tributari per imposte, sanzioni o interessi, scaduti e non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo.
La trasmissione dei dati contabili. La nuova norma prevede inoltre la nascita di un portale dell'Agenzia delle entrate nel quale si può ricevere in tempo reale il Durt. Si tratta di un cassetto fiscale costantemente aggiornato sulla propria posizione tributaria. Per accedere a questo portale, occorre tuttavia impegnarsi alla trasmissione telematica periodica dei «dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate; ai contributi versati e alle imposte dovute». Appare evidente che da tali adempimenti scattino nuovi costi amministrativi (consulenza, assistenza, personale amministrativo ecc.) a carico delle imprese già pericolosamente in debito di ossigeno.
È evidente che l'Agenzia delle Entrate può certificare solamente che l'impresa ha versato le ritenute, ma non che l'impresa è in regola con il pagamento delle ritenute relative alla prestazioni di appalto. L'unica certificazione che può rilasciare l'Agenzia si riferisce ai versamenti riferiti all'anno solare per cui è già stato presentato il modello 770, alla data della richiesta da parte dell'impresa appaltatrice o subappaltatrice. Pertanto, attualmente, può essere certificato solamente il corretto versamento delle ritenute operate sull'anno 2011 in quanto il modello 770 relativo ai compensi erogati nel 2012 deve essere presentato entro il 20.09.2013.
La comunicazione periodica dei dati prevista dalla norma, pertanto, avendo lo scopo di controllare la regolarità dei versamenti delle ritenute con una probabilità elevata, sarà a carattere mensile, anche se non è specificato dalla norma.
Se questo sarà confermato in sede di approvazione al senato, la norma si pone in contraddizione con l'art. 51 dello stesso decreto del Fare, laddove si abroga a scopo di semplificazione, l'obbligo di comunicare mensilmente i dati contenuti nelle buste paga dei dipendenti, ossia di presentare mensilmente il modello 770 (articolo ItaliaOggi Sette del 29.07.2013).

APPALTI SERVIZI:  Servizi socio-educativi-culturali, quali le modalità di pubblicazione dei bandi?
Domanda
Quali sono le modalità di pubblicazione dei bandi di gara e degli avvisi di aggiudicazione inerenti i servizi socio-educativi-culturali elencati nell'allegato II B del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, per importi sia inferiori che superiori alla soglia comunitaria?
Risposta
L'art. 2 comma 1, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 stabilisce che "1. L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice".
Si ritiene che, sebbene l'art. 20 D.Lgs. cit. stabilisca l'applicabilità agli appalti nei servizi di cui all'allegato II B di alcune norme soltanto del codice, debba comunque trovare applicazione il principio generale di adeguata pubblicità della gara in relazione al suo valore.
Infatti, l'AVCP con Deliberazione n. 108 del 19.12.2012 ha stabilito che "I servizi elencati nell'allegato II B restano soggetti, oltre che all'art. 20 del D.lgs. n. 163/2006, anche all'art. 27 del medesimo decreto in base al quale l'affidamento di contratti pubblici, sottratti in tutto o in parte all'applicazione del codice, deve avvenire nel rispetto di principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità".
Con Deliberazione n. 25 del 08.03.2012 ha stabilito che "La riconducibilità del servizio appaltato all'All. II B del Codice non esonera le amministrazioni aggiudicatrici dall'applicazione dei principi generali in materia di affidamenti pubblici desumibili dalla normativa comunitaria e nazionale, con particolare riferimento al principio di pubblicità, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost. (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 03.12.2008, n. 5943; 22.04.2008, n. 1856; 08.10.2007, n. 5217; 22.03.2007, n. 1369; TAR Lazio, Sez. III-ter, 05.02.2008, n. 951).
Nella deliberazione n. 102 del 05.11.2009 l'Autorità ha, inoltre, sottolineato che sebbene i servizi rientranti nell'allegato II B siano soggetti, a stretto rigore, solo alle norme richiamate dall'art. 20 del D.Lgs. 163/2006, oltre a quelle espressamente indicate negli atti di gara (in virtù del c.d. principio di autovincolo), quando il valore dell'appalto è decisamente superiore alla soglia comunitaria è opportuna anche una pubblicazione a livello comunitario, in ossequio al principio di trasparenza (cui è correlato il principio di pubblicità), richiamato dall'art. 27 D.Lgs. 163/2006 a tenore del quale l'affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto
".
La codificazione di tali principi conferma dunque la contrarietà per l'affidamento fiduciario. Pertanto, in ossequio ai principi del Trattato, la stazione appaltante dovrà opportunamente nell'ambito della propria discrezionalità scegliere il modulo procedimentale più consono, favorendo la procedura ristretta quando il criterio di aggiudicazione è quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Conseguentemente, occorre rispettare le regole di pubblicità dei bandi relativi alle gare di importo sopra e sotto soglia anche per le gare inerenti ai servizi di cui all'allegato II B (26.07.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: Le domande di partecipazione alle procedure di gara possono essere presentate anche per telefono o per via elettronica.
Dall'esame delle disposizioni contenute negli artt. 73 e 77 del d.lvo n. 163 del 2006 non è dato scorgere, nella fase di presentazione delle domande di partecipazione alla procedura di gara, alcuna formalità da rispettare, atteso che la domanda può essere presentata anche per telefono o per via elettronica.
Va, anche, osservato che in sede di valutazione delle domande di partecipazione oggetto di esame è soltanto la documentazione atta a dimostrare la capacità tecnica, economica ed i requisiti morali dei partecipanti, i quali possono essere semplicemente dichiarati, per cui vengono valutati dalla stazione appaltante, ai fini dell'eventuale ammissione alle offerte, in modalità non pubblica (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 25.07.2013 n. 7636 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La regola posta dal disciplinare di gara per la valutazione delle offerte anomale deve essere letta complessivamente alla luce dei principi che governano la materia, così come posti dal codice dei contratti pubblici.
L'art. 1363 cod. civ. valido per l'interpretazione anche degli atti amministrativi prevede che le singole disposizioni di un provvedimento devono essere interpretate le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che deriva dal complesso dell'intero provvedimento; a ciò va aggiunto il principio di conservazione degli atti giuridici, art. 1367, le disposizioni devono essere interpretate rinvenendone un effetto, e l'art. 1369, vale a dire che le singole disposizioni devono essere inteso in senso più appropriato alla natura dell'articolato.
Pertanto, nel caso di specie, non si può prescindere dalla regola primaria posta dal disciplinare di gara, cioè che la valutazione della congruità della non congruità delle offerte deve essere svolta sulla base delle relative norme di legge, a partire dall'art. 86 e ss. D. Lgs 163/2006 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2013 n. 3964 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Non è necessario l'indicazione del subappaltatore allorché l'entità delle opere scorporabili trova capienza in un surplus di qualificazione nella categoria principale.
L'art. 92 del d.p.r. n. 207 del 2010, in materia di partecipazione alla gara stabilisce che "il concorrente singolo può partecipare alla gara qualora sia in possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico organizzativi relativi alla categoria prevalente per l'importo totale dei lavori ovvero sia in possesso dei requisiti relativi alla categoria prevalente ed alle categorie scorporabili per singoli importi".
E', dunque, l'esistenza della totale copertura della categoria prevalente a legittimare la partecipazione alla gara, pur in carenza dei requisiti nelle categorie scorporabili, purché accompagnata dalla dichiarazione di voler subappaltare le scorporabili. In sintesi, la qualificazione mancante deve essere posseduta in relazione alla categoria prevalente, dal momento che ciò tutela la stazione appaltante circa la sussistenza della capacità economico-finanziaria da parte dell'impresa.
Quanto alla identificazione del subappaltatore ed alla verifica del possesso da parte di questi di tutti i requisiti richiesti dalla legge e dal bando, essa attiene solo al momento dell'esecuzione. In tal senso, da ultimo, è anche la determinazione dell'AVCP n. 4 del 10/10/2012 che nello stilare le norme che le stazioni appaltanti devono tenere in fase di stesura dei bandi di gara, rammenta che, come voluto dall'art. 92 del d.p.r. n. 207/2010, "i requisiti relativi alle categorie scorporabili non posseduti dall'impresa devono da questa essere posseduti con riferimento alla categoria prevalente". La stessa determinazione precisa che la normativa "non comporta l'obbligo di indicare i nominativi dei subappaltatori in sede di offerta, ma solamente di indicare le quote che il concorrente intende subappaltare, qualora non in possesso della qualificazione per le categorie scorporabili".
Tale scelta è stata voluta dal legislatore, infatti, la prima stesura del d.lgs. n. 163/2006 prevedeva esplicitamente che le opere specializzate eccedenti il 15% potessero essere eseguite solo da a.t.i. nel caso in cui il partecipante alla gara non avesse avuto i requisiti tecnico-organizzativi ed economico-finanziari relativi alla categoria scorporabile; successivamente, con la modifica operata dal d.lgs. n. 152 dell'11/09/2008 è stata prevista la possibilità del subappalto anche per le opere specialistiche, senza alcuna specificazione, rinviando il tutto a quanto disposto dall'art. 118, c. 2, terzo periodo del d.lgs. n. 163/2006, non ritenendo di delineare in modo diverso le condizioni di partecipazione alla gara neppure nel caso in cui l'opera specialistica superi il 15% dell'importo complessivo.
Non può, quindi, nel caso di specie, che trovare applicazione la regola generale dettata dall'art. 118 del d. lgs. n. 163/2006 e dall'art. 109 del d.p.r. n. 207/2010, che non impongono di indicare già in sede di qualificazione l'appaltatore, rimandando anche il controllo dei requisiti al momento in cui verrà depositato il contratto di subappalto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2013 n. 3963 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALIArriva la Legge di conversione del Decreto del Fare?
La Camera ha votato la fiducia al disegno di Legge di conversione del “Decreto del fare.
Assicurazione professionale obbligatoria dal 15.08.2013, possibilità per i professionisti di accedere al fondo unico di garanzia e ristrutturazioni con modifica della sagoma tranne che in alcune zone dei centri storici sono alcune delle novità contenute nel provvedimento.
Tra le novità più interessanti che riguardano il settore segnaliamo:
Polizza professionale
L’obbligo di stipulare un’assicurazione professionale, che copra eventuali danni arrecati a terzi nell’esercizio della propria attività è confermato al 15.08.2013.
Solo i professionisti del settore sanitario beneficeranno della proroga di un anno. Quindi, ingegneri, architetti, geometri dovranno stipulare la polizza; al riguardo, rinviamo alla precedente notizia di BibLus-net con il Vademecum del CNI su come scegliere la polizza.
Fondo centrale di garanzia per i professionisti
Gli interventi del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese sono estesi ai professionisti iscritti agli ordini professionali e a quelli aderenti alle associazioni professionali iscritte nell’elenco tenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico.
I professionisti, quindi, dovrebbero avere un accesso facilitato al credito.
Cambio di sagoma con Scia
Le demolizioni e ricostruzioni potranno avvenire senza il rispetto della sagoma originaria e gli interventi potranno essere realizzati con SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività). I Comuni, comunque, individueranno le zone dei centri storici da escludere da questa semplificazione.
Fisco
Equitalia non potrà sequestrare il macchinario o il bene mobile se l’azienda o il professionista dimostra che esso è “strumentale” alla propria attività.
L’unica casa di abitazione non può essere pignorata.
Previste anche comunicazioni telematiche semplificate per le Partite Iva.
Disoccupati ed esodati che non hanno più il datore di lavoro a fare da sostituto di imposta, avranno comunque i crediti fiscali entro l’anno rivolgendosi al Caf.
Appalti
Per le gare d’appalto bandite dopo l’entrata in vigore della Legge di conversione e fino al 21.12.2014, l'ente pubblico potrà anticipare all’appaltatore il 10% dell’importo contrattuale a patto che ciò sia previsto dal disciplinare di gara (25.07.2013 - link a www.acca.it).

LAVORI PUBBLICIVariazioni percentuali dei materiali da costruzioni: in aumento di oltre il 10% solo il bitume.
Il Codice degli Appalti, all’art. 133, stabilisce che entro il 30 giugno di ogni anno il Ministero rilevi con proprio Decreto le variazioni percentuali dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi.
Qualora il prezzo dei singoli materiali da costruzione subisca variazioni superiori al 10 % rispetto al prezzo rilevato dal Ministero nell'anno di presentazione di un'offerta, si applicano compensazioni per la percentuale eccedente il 10 % e nel limite delle risorse previste tra imprevisti e le somme relative al ribasso d'asta.
Sulla Gazzetta Ufficiale del 19.07.2013, n. 168 è stato pubblicato il D.M. 03.07.2013 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, contenente la rilevazione dei prezzi medi per l’anno 2012 e delle variazioni percentuali annue (superiori al 10 %) relative all’anno 2011.
L’unico materiale ad aver subito tra il 2012 ed il 2011 una variazione superiore al 10% è il bitume (+12,87%).
Ricordiamo che l’istanza di compensazione può essere presentata dall’appaltatore alla stazione appaltante non oltre i 60 giorni dalla pubblicazione del Decreto.
Per determinare le compensazioni relative ai materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell'anno 2012 si può utilizzare la tabella allegata a questo articolo (25.07.2013 - link a www.acca.it).

APPALTI: Ritenuta dello 0,5% ex art. 4, comma 3, D.P.R. 207/2010.
L'art. 4, comma 3, del D.P.R. 05.10.2010, n. 207 stabilisce l'obbligo, per le stazioni appaltanti, di trattenere la percentuale dello 0,50% sull'importo netto progressivo delle prestazioni al fine di accantonare una somma da utilizzare nel caso in cui, nel corso del contratto, venga ravvisata un'inadempienza contributiva da parte dei soggetti affidatari del servizio.
Lo svincolo delle somme così accantonate, secondo l'interpretazione letterale delle disposizioni e secondo quanto ribadito nelle circolari del Ministero del lavoro e della politiche sociali e dell'Inps, non può avvenire in un momento anticipato a quello della fine del contratto, ma unicamente in sede di liquidazione finale e previa approvazione, da parte della stazione appaltante, del certificato di collaudo o di verifica di conformità e rilascio del documento unico di regolarità contributiva.

L'Ente instante riferisce che il Comune ha appaltato i servizi di una Casa anziani a più ditte e che alcune di queste intendono fatturare solamente al termine del contratto, mentre altre stanno emettendo, accanto alla fattura mensile per il servizio, una pari allo 0,5%, specificando nella stessa che essa andrà liquidata a fine appalto.
L'Ente chiede di sapere se, in vista di un aumento dell'I.V.A. che potrebbe comportare un incremento dello 0,5% sugli importi, il secondo modus operandi risulta essere corretto. Viene, inoltre, domandato se, nel caso in cui si abbia un immediato riscontro sulla corretta esecuzione del servizio, come quello di mensa o quello assistenziale, l'Ente possa liquidare annualmente lo 0,5% o se debba farlo comunque alla fine dell'appalto.
In via preliminare, si osserva che non compete a questo Ufficio fornire suggerimenti in merito alle modalità o alle tempistiche di fatturazione dei servizi appaltati dagli enti locali. Verranno in questa sede, invece, espresse alcune considerazioni generali sulla normativa richiamata dall'Ente instante.
L'art. 4, comma 3, del D.P.R. 05.10.2010, n. 207, stabilisce che: 'In ogni caso sull'importo netto progressivo delle prestazioni è operata una ritenuta dello 0,50 per cento; le ritenute possono essere svincolate soltanto in sede di liquidazione finale, dopo l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva'.
Tali disposizioni attuano quanto previsto dall'art. 5, comma 5, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), laddove si stabilisce che la disciplina esecutiva del Codice debba contenere disposizioni volte a regolare l'intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza retributiva e contributiva.
Come osservato in precedenti pareri rilasciati da questo Ufficio
[1], l'art. 4, comma 3, del Regolamento, stabilisce l'obbligo, per le stazioni appaltanti, di trattenere la percentuale dello 0,5% sull'importo netto progressivo delle prestazioni al fine di accantonare una somma da utilizzare nel caso in cui, nel corso del contratto, il responsabile del procedimento ravvisi un'inadempienza contributiva da parte dei soggetti affidatari del servizio.
Seguendo l'interpretazione letterale della norma, la ritenuta va effettuata sempre ed 'in ogni caso' dalla stazione appaltante e non solo a fronte di una irregolarità contributiva certificata da un DURC negativo
[2].
E' pertanto compatibile con tali previsioni operare la ritenuta dello 0,50% nei contratti di servizi, come paiono essere quelli menzionati dall'Ente instante, in sede di liquidazione delle singole fatture periodiche emesse secondo le scadenze preventivamente stabilite nel contratto.
Lo svincolo delle somme così accantonate, secondo l'interpretazione letterale delle disposizioni e secondo quanto ribadito nelle circolari n. 3/2012 del Ministero del lavoro e della politiche sociali e n. 54/2012 dell'Inps
[3], non può avvenire in un momento anticipato a quello della fine del contratto, ma unicamente in sede di liquidazione finale e previa approvazione, da parte della stazione appaltante, del certificato di collaudo o di verifica di conformità e rilascio del documento unico di regolarità contributiva.
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[1] V. pareri prot. n. 11525 dd. 28.03.2012, n. 22950 del 03.07.2012 e n. 27828 del 30.08.2012.
[2] In senso concorde anche l'ANCI con il parere dd. 15.01.2013.
[3] Circolare n. 3 del 16.02.2012 del Ministero e circolare n. 54 del 13.04.2012 dell'INPS
(24.07.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALIDl del Fare, percorso in salita. Non convince lo stop ai tetti sugli stipendi ai manager. Il provvedimento ottiene la fiducia della camera ma è inondato da odg. Oggi seduta fiume.
Subissato di ordini del giorno (oltre 250, che hanno imposto ieri la seduta notturna) e «lievitato» di oltre il 30%, passando da 86 a 114 articoli, il cosiddetto decreto del fare (69/2013) ottiene la fiducia dell'aula di Montecitorio. Ma i nodi restano: contestati gli emendamenti sulle borse di studio agli universitari meritevoli per introdurre un doppio canale di finanziamento («ministeriale» e «regionale»), sull'eliminazione del tetto di circa 300 mila euro ai manager delle società pubbliche e sulla nomina di un commissario per la spending review che, per tagliare la spesa pubblica, percepirà un compenso di 950 mila euro.
Norme che, probabilmente, vista la contrarietà di parte della maggioranza (oltre che di M5s, Sel e Lega), saranno riviste dai senatori, così come, annuncia il viceministro allo sviluppo economico Antonio Catricalà, i 20 milioni «scippati» alla dotazione per la banda larga, e posti nel finanziamento di radio e tv locali, saranno recuperati dal governo nella prossima legge di stabilità.
Il testo, che a causa dell'ostruzionismo delle opposizioni si avvia a una votazione «a oltranza» nelle prossime ore (deputati allertati in vista di una «seduta fiume»), interviene in materia fiscale, facendo slittare il versamento della tassa sulle transazioni finanziarie (Tobin tax) al 16 ottobre, e rendendo poi lo spesometro facoltativo: dal 1° gennaio 2015, infatti, i soggetti titolari di partita Iva potranno, per scelta, inviare telematicamente e giornalmente alle Entrate i «dati analitici delle fatture di acquisto e cessione di beni e servizi», comprese le note di accredito ricevute o emesse, oltre che l'ammontare dei «corrispettivi delle operazioni effettuate e non soggette a fatturazione».
Novità rilevante per tutti i professionisti (iscritti, o meno ad un ordine) l'ampliamento delle maglie del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, grazie al quale godranno delle medesime opportunità delle aziende nell'ottenere i finanziamenti necessari; per le imprese, inoltre, sì a 2,5 miliardi per il rinnovo dei macchinari (fino a 2 milioni a società), nonché alla sperimentazione di «zone a burocrazia zero», mentre in edilizia gli interventi di ristrutturazione con modifiche della sagoma non saranno più soggetti a permesso, bensì basterà la procedura semplificata (Scia, Segnalazione certificata di inizio delle attività).
Il wi-fi pubblico sarà realmente «free»: gli esercizi commerciali che lo offrono gratis, non dovranno identificare il cliente che si connette. Converrà pagare le multe entro 5 giorni, perché si usufruirà di uno sconto del 30%, mentre il decreto concederà ad alcune regioni, Puglia e Piemonte, Emilia e Lazio altri 280 milioni per saldare i propri debiti sanitari. E i sindaci-deputati manterranno (anche) lo scranno, giacché i primi cittadini di comuni fino a 15 mila abitanti eletti in Parlamento potranno non essere ritenuti incompatibili fino alle consultazioni amministrative del 2015.
Contestazioni anche dal mondo produttivo: Ivan Malavasi, presidente di Rete Imprese Italia s'aspettava «un provvedimento che alleggerisse la burocrazia, i risultati sono purtroppo antitetici. Chiedevamo l'abolizione della responsabilità solidale negli appalti, e troviamo, invece» chiude, altri adempimenti come il Durt, «un nuovo mostro» (articolo ItaliaOggi del 24.07.2013).

APPALTISolidarietà fiscale, ko parziale. Benefici condizionati dal possesso del durt.
Responsabilità solidale per le ritenute in fuori gioco, ma solo con il possesso del Documento unico di regolarità tributaria (Durt).

Questa è la scomoda novità introdotta nel ddl di conversione del cosiddetto decreto del fare (dl 69/2013) sulla solidarietà fiscale nell'ambito dei contratti di appalto.
Il provvedimento, innanzitutto, dispone che, in presenza di un appalto, l'appaltatore risponde «in solido» per il sub-appaltatore dell'omesso versamento delle ritenute fiscali operate sui redditi di lavoro, nei limiti dell'ammontare del corrispettivo dovuto.
Viene soppressa, invece, la parte della previgente disciplina attraverso la quale lo stesso appaltatore si metteva al riparo anche dalle sanzioni (da 5 mila a 200 mila euro) se si faceva trovare in possesso della documentazione che confermava l'avvenuto e regolare versamento delle dette ritenute o, in alternativa, dell'asseverazione rilasciata da soggetti abilitati (Caf, commercialisti o consulenti del lavoro), che attestasse l'avvenuto versamento. In luogo di questa possibilità, con il provvedimento in commento, viene introdotta una nuova possibilità per liberarsi dalla solidarietà passiva, consistente nell'ottenimento di un Documento unico di regolarità tributaria (Durt); il committente, prima di procedere al pagamento di quanto dovuto per la prestazione, deve ottenere il detto documento dall'appaltatore, pena l'applicazione delle sanzioni indicate.
Il rilascio del documento di regolarità avverrà per via digitale e certificata a cura dell'Agenzia delle entrate che provvederà alla creazione di un portale ad hoc, utilizzando anche i dati reperibili dai modelli Uniemens. Tutti coloro che esercitano attività d'impresa e che «hanno interesse» a farlo, potranno registrarsi in detto portale, comunicando periodicamente i dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte. Per i soggetti registrati nel portale risulterà impossibile mantenere o optare per la liquidazione Iva trimestrale, giacché le disposizioni introdotte in commissione bilancio, con uno specifico emendamento, dispongono che i soggetti registrati nel portale, a prescindere dall'applicazione o meno della disciplina, devono eseguire le liquidazioni Iva e i relativi versamenti con cadenza mensile, ai sensi del richiamato comma 1, art. 1, dpr 100/1998. Peraltro, si ricorda che la disciplina in commento non è più applicabile per l'Iva e che questa richiesta sembra avere, quale unico scopo, quello di obbligare i contribuenti a tenere in linea la contabilità, implementando ulteriormente gli adempimenti posti a carico delle imprese.
Con un provvedimento dell'Agenzia delle entrate, di concerto con l'istituto previdenziale nazionale (Inps), da adottare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, saranno fissate le modalità per il rilascio del documento di regolarità e nei due mesi successivi il via libera all'applicazione della nuova procedura (articolo ItaliaOggi del 24.07.2013).

APPALTI: Eventuali omissioni degli atti di gara non possono riverberarsi a danno dei concorrenti che hanno fatto affidamento sulla correttezza ed esaustività del modello predisposto dall’amministrazione, a maggior ragione nel caso in cui la ricorrente abbia presentato dichiarazioni nella stessa forma e quindi si esponga alla rilevazione del medesimo vizio nei suoi confronti.
Appare ragionevole ritenere che solo la presentazione dell’istanza, predisposta nei termini voluti dall’Amministrazione, costituisca adempimento richiesto a pena di esclusione, mentre la sottoscrizione della stessa da parte di altri soggetti, che risultino investiti di poteri di rappresentanza –pur corrispondendo ad un indirizzo giurisprudenziale (peraltro non univoco) di stampo “sostanzialista”, circa l’obbligo di rendere la dichiarazione stessa da parte di chiunque fosse in grado di impegnare la società– può giustificare una richiesta di integrazione documentale da parte della stazione appaltante, ma non anche l’esclusione di una società che abbia, come nella fattispecie avvenuto, diligentemente compilato il modulo in questione.

In merito il Collegio ritiene necessario aderire a quell’orientamento secondo il quale eventuali omissioni degli atti di gara non possono riverberarsi a danno dei concorrenti che hanno fatto affidamento sulla correttezza ed esaustività del modello predisposto dall’amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 22.05.2012 n. 2973), a maggior ragione nel caso in cui la ricorrente abbia presentato dichiarazioni nella stessa forma e quindi si esponga alla rilevazione del medesimo vizio nei suoi confronti.
In merito altra giurisprudenza ha chiarito che appare ragionevole ritenere che solo la presentazione dell’istanza, predisposta nei termini voluti dall’Amministrazione, costituisca adempimento richiesto a pena di esclusione, mentre la sottoscrizione della stessa da parte di altri soggetti, che risultino investiti di poteri di rappresentanza –pur corrispondendo ad un indirizzo giurisprudenziale (peraltro non univoco) di stampo “sostanzialista”, circa l’obbligo di rendere la dichiarazione stessa da parte di chiunque fosse in grado di impegnare la società– può giustificare una richiesta di integrazione documentale da parte della stazione appaltante, ma non anche l’esclusione di una società che abbia, come nella fattispecie avvenuto, diligentemente compilato il modulo in questione (Cons. Stato, VI, ordinanza 01.02.2013 n. 634) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 23.07.2013 n. 1933 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGli appalti vanno suddivisi in lotti.
Possibile l'anticipazione del 10% per gli appalti di lavori. Più difficile fare grandi appalti e non suddividere in lotti. Crescita dei fondi per la ristrutturazione delle scuole. Due miliardi per lo sblocco dei cantieri soltanto per le opere infrastrutturali strategiche. Più facile la qualificazione delle imprese di costruzioni.

Sono alcune delle novità introdotte a seguito degli emendamenti approvati al testo del disegno di legge di conversione del dl n. 69/2013 (il cosiddetto decreto del fare), da oggi all'esame dell'aula di Montecitorio.
Una prima novità introdotta dalle commissioni riguarda l'anticipazione del prezzo, argomento sul quale anche il ministro Maurizio Lupi, durante l'assemblea Ance, si era impegnato pubblicamente. In realtà la norma approvata prevede una mera facoltà per le amministrazioni, in deroga ai vigenti divieti di anticipazione del prezzo. Non solo, ma la facoltà è ammessa per le gare bandite dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto 69 e fino a fine dicembre 2014. E ancora: la possibilità di anticipazione deve essere prevista e pubblicizzata nella gara di appalto. Con il richiamo alle norme del regolamento viene poi previsto che l'anticipazione è subordinata alla costituzione di una garanzia fideiussoria bancaria o assicurativa gradualmente svincolata nel corso dei lavori.
Un'altra norma introdotta ex novo in commissione è quella sulla suddivisione in lotti degli appalti, tema di cui si parla molto anche in sede comunitaria, nell'ambito della revisione delle direttive europee, vedendo in esso uno strumento a tutela delle piccole e medie imprese. Oggi la disposizione del codice dei contratti stabilisce che al fine di favorire l'accesso delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali. La norma approvata la scorsa settimana aggiunge l'obbligo per le stazioni appaltanti di motivare, nella determina a contrarre, l'eventuale mancata suddivisione in lotti. Della suddivisione in lotti le stazioni appaltanti dovranno inoltre tenere informato anche l'Osservatorio presso l'autorità.
Sul fronte della qualificazione delle imprese di costruzioni il testo delle commissioni prevede che, fino a fine 2015, sarà possibile documentare i requisiti sulla cifra d'affari globale in lavori, sulle attrezzature e sull'organico con riguardo al decennio e non più al quinquennio né ai migliori cinque anni del decennio. Per la messa in sicurezza degli edifici scolastici (Inail stanzia 100 milioni per ognuno degli anni dal 2014 al 2016), è stata inserita una posta di 3,5 milioni per ognuno dei citati anni per «l'individuazione di un modello unico di rilevamento e potenziamento della rete di monitoraggio e di prevenzione del rischio sismico». Altri 150 milioni per il 2014 sono destinati alla riqualificazione e messa in sicurezza delle scuole statali per le quali sia stata rilevata la presenza di amianto. I fondi dovranno però essere utilizzati entro il 28 febbraio del 2014, pena la revoca totale dei finanziamenti.
Per il fondo sblocca-cantieri è stato chiarito che i due miliardi disponibili saranno utilizzati solo per accelerare la realizzazione di opere inserite nel programma di infrastrutture strategiche della ex legge obiettivo (443/2001); introdotto anche l'obbligo, per il ministro delle infrastrutture, di relazione al parlamento ogni sei mesi sull'utilizzazione dei fondi. Ammessi interventi per l'adozione di misure antisismiche e per infrastrutture annesse o funzionali alle reti telematiche NGN, o wi-fi (articolo ItaliaOggi del 23.07.2013).

APPALTI: M. Asprone e A. Salvati, La procedura negoziata: aspetti normativi (23.07.2013 - link a www.diritto.it).

APPALTI: Offerta tecnica oltre le pagine consentite: non può escludersi il concorrente.
In applicazione dell'ormai positivizzato principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare a evidenza pubblica, il TAR di Salerno ha chiarito come deve comunque ritenersi legittima l'aggiudicazione di una gara d'appalto in favore di una ditta che abbia presentato la propria offerta tecnica in un numero di pagine diverso ''superiore'' a quello consentito dal bando.

Analisi del caso
La ricorrente, seconda in graduatoria, ha adito il competente G.A. per l’annullamento della determinazione dirigenziale del servizio finanziario di un Comune recante l’aggiudicazione definitiva di una gara d’appalto per la fornitura di beni e servizi in favore della controinteressata e per la declaratoria d’inefficacia del relativo contratto eventualmente stipulato, chiedendo il subentro nello stesso.
Pertanto ha eccepito la violazione dell’art 20 del bando di gara che prevedeva l’automatica esclusione del concorrente, aggiudicatario che aveva presentato l’offerta tecnica in un numero di pagine superiore a 100.
Il Tribunale campano, sentite sul punto le parti, ha deciso la questione in forma semplificata ex art. 60, D.Lgs. n. 104/2010. -
La soluzione
Il Collegio ha evidenziato che la censurata, citata violazione della legge di gara atteneva alla mancata osservanza del limite massimo di pagine consentito nella presentazione dell’offerta tecnica, giacché, nella specie, unitamente all’offerta tecnica di 98 pagine era presente nella busta un documento denominato “allegato all’offerta tecnica” composto di ulteriori 26 pagine, per un totale di 124.
Ha ulteriormente precisato che, ove anche si fosse voluto considerare che il predetto allegato non concorresse a formare l’offerta tecnica –così che il limite sarebbe stato rispettato– vi sarebbe comunque violazione della medesima disposizione che impone il divieto di inserire nella busta contenente l’offerta tecnica “altri documenti”.
Il G.A. ha tuttavia rilevato che l’art. 46, comma 1-bis, D.Lgs. n. 163/2006 dispone che la stazione appaltante esclude un concorrente soltanto: in caso di mancato adempimento alle disposizioni del codice e di altre disposizioni di legge vigenti; nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o la provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o altri elementi essenziali; in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza (cfr. Determinazione A.v.c.p., 10.10.2012, n. 4).
Ha poi aggiunto che la stessa disposizione di legge vieta che i bandi e le lettere di invito possano contenere ulteriori e diverse prescrizioni a pena di esclusione e sancisce la nullità di tali clausole eventualmente inserite nelle leggi di gara.
Nel merito, ha sostenuto il giudicante, le violazioni contestate non potevano portare all’esclusione dell’aggiudicataria in quanto le stesse non integravano alcuna delle ipotesi tassative indicate dal citato art. 46, né poteva farsi riferimento alla causa di esclusione “speciale” dell’art. 20 del bando, giacché da ritenersi nulla e, pertanto, inefficace in quanto in contrasto col principio di tassatività.
Ha infine ulteriormente considerato che, nel caso di specie, non è configurabile neppure alcuna sostanziale violazione della par condicio dei concorrenti, atteso che, come ha evinto dal verbale della seduta pubblica, la Commissione giudicatrice, ai fini della valutazione dell’offerta, non aveva preso in considerazione il controverso documento allegato, ma si era limitata a constatarne la presenza all’interno della busta, impedendo così che la ricorrente potesse risultare svantaggiata dal proprio comportamento conforme alle –sebbene nulle– prescrizioni speciali di gara.
Per l’effetto, l’adito TAR ha respinto il ricorso perché infondato e ritenuto legittimo l’operato della P.A. che ha correttamente disapplicato quelle clausole del bando nulle.
I precedenti e i possibili impatti pratico-operativi
Non constano specifici precedenti in termini, ma la produzione giurisprudenziale in tema di tipicità e tassatività delle cause di esclusione è vastissima e varia (cfr. tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 15.04.2013, n. 2064; TAR Trentino Alto Adige, Sez. I, 22.05.2013, n. 168).
Particolarmente importante è del resto la considerazione conclusiva della decisione segnalata per le implicazioni operative che potrebbe avere in termini di contemperamento dei concomitanti fondamentali principi che ispirano la materia delle procedure competitive di scelta del contraente: appare necessario, infatti, tenere in considerazione non soltanto il rispetto formale della tassatività, ma anche la sostanziale tutela dell’affidamento dei concorrenti che si trovino di fronte a clausole del bando ambigue, dal cui rispetto/violazione, o applicazione/disapplicazione, possano trarre vantaggi/svantaggi che rischiano di alterare l’imprescindibile condizione di parità di trattamento che deve essere sempre garantita tra tutti i partecipanti alle gare (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 22.07.2013 n. 1609 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDecreto del fare. L'emendamento approvato in Commissione introduce l'obbligo di dimostrare di non avere debiti con il Fisco.
Appalti, prima il Durt poi si paga. Dal 2014 le imprese dovranno esibire il Documento unico di regolarità tributaria.

Prima di ricevere il pagamento della prestazione, le imprese appaltatrici dovranno consegnare dall'anno prossimo il nuovo Documento unico di regolarità tributaria (Durt).
Lo prevede un emendamento approvato dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera al decreto legge «del fare» (Dl 69/2013).
Analizzando l'emendamento, viene confermata l'abrogazione di ogni obbligo per committente e appaltatore in relazione all'Iva non versata nell'ambito della "catena" dell'appalto, semplificazione in vigore dal 22 giugno scorso. Tuttavia, per quanto riguarda le ritenute sui redditi di lavoro dipendente relative al rapporto di subappalto, in luogo dell'attuale documentazione (consistente in una asseverazione rilasciata da professionisti e Caf, ovvero, in alternativa, in un'autocertificazione del prestatore) è prevista l'acquisizione da parte dell'appaltatore presso l'agenzia delle Entrate di un documento (il Durt) attestante l'inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni o interessi, scaduti e non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo o di parti di esso. Se il pagamento avviene in assenza della prescritta documentazione, scatta la responsabilità solidale dell'appaltatore per le omissioni nei versamenti delle ritenute di lavoro dovute dal subappaltatore.
Il problema è che l'agenzia delle Entrate non ha mai a disposizione dati "in tempo reale" sulle violazioni nei versamenti, per cui viene prevista l'istituzione di un portale in cui «i soggetti interessati» avranno l'obbligo di trasmettere, in via digitale, «i dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte dovute». Se si pensa alla dimensione e alla strutturazione contabile della maggior parte dei subappaltatori, è facile immaginare che questo costituirà l'adempimento amministrativo più complesso che graverà su di loro, destinato (stando al testo normativo) a interrompersi solo con la piena attuazione delle procedure di fatturazione elettronica.
Il provvedimento attuativo del rilascio del Durt dovrebbe vedere la luce entro quattro mesi dalla conversione del Dl 69, e gli obblighi dovrebbero scattare (previo avviso da pubblicarsi sulla «Gazzetta Ufficiale») entro sei mesi dalla conversione, per cui, indicativamente, a fine gennaio 2014. Fino ad allora, si prosegue con asseverazioni e autocertificazioni, per le quali occorre comprendere se, una volta operativo il Durt, avranno ancora un ruolo o diverranno inutili.
Mentre la responsabilità riguarda le sole ritenute (peraltro relative a quel singolo appalto), il Durt è riferito indistintamente a tutti i debiti tributari, per cui il subappaltatore risulterà "non in regola" anche se non ha versato l'imposta di registro su un contratto di affitto o (se persona fisica) se ha in sospeso una cartella per oneri deducibili non documentati.
L'emendamento approvato riscrive anche il comma 28-bis dell'articolo 35 del Dl 223/2006, che si occupa dei rischi che si assume il committente per le omissioni di ritenute tanto da parte dell'appaltatore quanto del subappaltatore. Il committente paga i corrispettivi senza rischiare la sanzione (da 5mila a 200mila euro) solamente se prima ottiene dall'appaltatore il suo Durt e quello di tutti i subappaltatori di cui egli si è servito (qui la norma riferisce il Durt solo alla regolarità sulle ritenute). Rispetto alla norma vigente, questo comma contiene un inciso piuttosto nebuloso («ferma restando la responsabilità in solido ai sensi del primo periodo del comma 28») che può essere letto in due modi, entrambi negativi. Se sta a significare che la sanzione applicata al committente non elimina la responsabilità solidale dell'appaltatore, l'inciso è inutile. Qualora, invece, si intenda con ciò "trascinare" anche il committente nella solidarietà (cui si aggiungerebbe la sanzione), il peggioramento rispetto alla situazione attuale è di tutta evidenza.
Committente e appaltatore hanno diritto di sospendere il pagamento del corrispettivo fino alla consegna del Durt e che le norme nulla dispongono nel caso in cui la procedura segnali delle irregolarità tributarie del subappaltatore; è prevedibile che sia statuito l'obbligo di dirottare il pagamento alle casse erariali fino a concorrenza del debito. Ma che cosa succede se quest'ultimo deriva da un atto impositivo impugnato dal subappaltatore presso le Commissioni tributarie? (articolo Il Sole 24 Ore del 21.07.2013).

APPALTIDECRETO DEL FARE/ Alle Entrate i dati su retribuzioni, contributi e imposte.
Spauracchio Durt sulle pmi. Un'altra bega burocratica. Per essere pagati prima.
Sei mesi di tempo per la messa in funzione del Durt, il nuovo documento unico di regolarità tributaria che gli appaltatori dovranno acquisire per schivare la responsabilità solidale sulle ritenute.
Alle imprese toccherà anche comunicare periodicamente all'Agenzia delle entrate i dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte dovute, almeno fin quando le procedure sulla fatturazione elettronica non saranno messe a regime. L'adempimento sulla carta è facoltativo, ma per chi vorrà ottenere le certificazioni in tempo reale (e quindi essere pagato rapidamente dal committente o appaltatore) sarà di fatto un obbligo.

Sono questi ulteriori elementi che emergono dall'emendamento approvato mercoledì notte dalle commissioni riunite I e V della camera, che riscrivendo l'articolo 50 del decreto Fare (69/2013) ha rivisto il regime della responsabilità fiscale negli appalti (si veda ItaliaOggi di ieri).
L'Agenzia delle entrate, di concerto con l'Inps, dovrà stabilire le modalità attuative per il rilascio del Durt, che sarà un «gemello» del Durc già previsto ai fini contributivi. Il provvedimento dovrà essere emanato entro quattro mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del dl n. 69/2013. Per il rilascio in via digitale e certificata del documento sarà creato un apposito portale web, anche avvalendosi del sistema Uniemens già utilizzato dall'istituto previdenziale.
Gli operatori «che vi abbiano interesse», prevede l'emendamento, potranno chiedere la registrazione al sistema. Per farlo, però, appaltatori e subappaltatori dovranno impegnarsi a comunicare all'Agenzia i dati sulle retribuzioni dei dipendenti. Le Entrate, quindi, certificheranno la regolarità della posizione tributaria del soggetto: il Durt comproverà l'inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni o interessi scaduti e non ancora pagati dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo contrattuale.
Il Durt sostituirà integralmente le diverse tipologie di documenti oggi utilizzabili per disapplicare il regime di responsabilità solidale (documentazione attestante il versamento delle ritenute dei dipendenti, asseverazione della regolarità fiscale rilasciata da un professionista o da Caf, oppure autocertificazione sostitutiva dell'impresa subappaltatrice). Si ricorda che resta invece confermata l'esclusione dalla responsabilità solidale negli appalti dei versamenti Iva, come già previsto nella versione originaria del dl n. 69/2013 approdata in G.U. e attualmente in vigore. Rimane invariata pure la sanzione amministrativa da 5 mila a 200 mila euro in capo al committente, laddove questo provveda a effettuare il pagamento senza che l'appaltatore e/o subappaltatore abbiano esibito la documentazione di regolarità tributaria.
Non cambia neppure l'ambito oggettivo della disciplina: le tipologie di appalto (come definite dall'articolo 1655 del codice civile) interessate dalla normativa permangono quelle individuate dall'Agenzia delle entrate con la circolare n. 2/E del 01.03.2013 (articolo ItaliaOggi del 20.07.2013).

APPALTI: DECRETO DEL FARE/ Imposta di soggiorno anche ai comuni dell'hinterland milanese.
Appalti, una mano alle imprese. Qualificazioni Soa meno ostiche. Anticipi ai costruttori
Esteso da cinque a 10 anni il periodo di tempo al quale le imprese possono far riferimento per conseguire le attestazioni Soa, indispensabili per poter partecipare alla gare pubbliche. Mentre nei contratti di appalto relativi a lavori, disciplinati dal decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, affidati fino al 31.12.2014, in deroga ai vigenti divieti di anticipazione del prezzo, sarà possibile la corresponsione in favore dell'appaltatore di una anticipazione pari al 10 per cento dell'importo contrattuale, purché la stessa sia già prevista e pubblicizzata nella gara di appalto.

Queste alcune delle novità emergenti dal testo del decreto del fare (69 del 2013) licenziato ieri dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera dei deputati e pronto ad approdare in aula la settimana prossima.
Per quanto riguarda le attestazioni Soa, Tino Iannuzzi e Raffaella Mariani, deputati del Partito democratico, esprimono soddisfazione per l'approvazione del loro emendamento. «Questa norma -spiegano- era molto attesa dal mondo delle imprese operanti nel settore degli appalti pubblici. Infatti, in una fase di crisi economica così pesante e prolungata e di enorme contrazione del mercato degli appalti, è sempre più difficile per le imprese, soprattutto piccole e medie, poter ottenere le qualificazioni Soa considerando volume di fatturato e lavori eseguiti solamente negli ultimi cinque anni. Il nuovo periodo di tempo di 10 anni, introdotto dal nostro emendamento, consentirà una maggiore e proficua partecipazione delle pmi alle gare di appalto».
Ma non sono le uniche novità che hanno trovato spazio nel provvedimento. Una di rilievo riguarda i professionisti. Non solo i notai ma anche gli avvocati diventano infatti protagonisti nelle divisioni ereditarie. Nei casi di divisione a domanda congiunta, si legge nella norma approvata, quando non sussiste controversia sul diritto alla divisione né sulle quote o altre questioni pregiudiziali, gli eredi o condomini e gli eventuali creditori e aventi causa che hanno notificato o trascritto l'opposizione alla divisione possono domandare la nomina di un notaio ovvero di un avvocato con potere di autentica delle firme avente sede nel circondario al quale demandare le operazioni di divisione. La versione originaria del decreto faceva riferimento esclusivamente ai notai.
Sul piano delle amministrazioni locali legate a Expo 2015, si prevede che anche i comuni della provincia di Milano, e successivamente ricompresi nella istituenda Area metropolitana, possono istituire l'imposta di soggiorno ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 14.03.2011, n. 23. Mentre nelle zone a burocrazia zero scatterà una semplificazione dei controlli. Anzi si intenderanno addirittura non sottoposte a controllo tutte le attività delle imprese per le quali le competenti pubbliche amministrazioni non ritengano necessarie l'autorizzazione, la segnalazione certificata di inizio attività o la mera comunicazione.
Le p.a. dovranno pubblicare sul proprio sito istituzionale l'elenco delle attività soggette a controllo. La disposizione vale per le amministrazioni centrali ma le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, adegueranno i propri ordinamenti alle disposizioni valide per le altre p.a. (articolo ItaliaOggi del 20.07.2013).

APPALTIAppalti, torna l'anticipazione. Via il divieto imposto dopo tangentopoli: sarà facoltativa per gli enti appaltanti.
«SEIMILA CAMPANILI» - Confermati i 100 milioni al fondo per gli interventi dei piccoli Comuni, ora si aggiungono risorse dai fondi Ue 2014-2020.

Pioggia di misure per appalti, infrastrutture, edilizia, urbanistica. Le due novità più importanti, anche politicamente, del passaggio del «decreto legge del fare» alla Camera sono l'abolizione del divieto assoluto di anticipazione negli appalti di lavori e, sul fronte dell'edilizia privata, la possibilità di utilizzare la Scia (segnalazione certificata di inizio attività) per interventi di demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma.
Dopo lunghe discussioni, sono uscite dalle commissioni Bilancio e Affari costituzionali due norme di compromesso, la cui applicazione sarà controversa. Spazi per ulteriori correzioni ci sono nell'Aula di Montecitorio, i relatori ci stanno lavorando. Ma in entrambi i casi il principio imposto è comunque forte.
Nel caso degli appalti, l'abolizione del divieto assoluto di concedere un'anticipazione, imposto dalla legge Merloni dopo la stagione di Tangentopoli, non significa obbligo di farlo per le amministrazioni appaltanti: il ricorso allo strumento, nella misura del 10 per cento, sarà facoltativo. Il compromesso finale sconta un'opposizione molto dura dell'Anci, l'associazione dei Comuni, per cui la norma avrebbe esasperato ulteriormente i vincoli del patto di stabilità, rischiando di bloccare ulteriormente tutto il sistema dei lavori pubblici. Per la demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma dell'edificio nei centri storici, sarà ammessa con Scia (quindi senza richiesta del permesso di costruire) solo nelle aree espressamente individuate dai Comuni. Anche qui, soluzione di mediazione fra la proposta del ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, e l'opposizione espressa soprattutto dal pd Maurizio Morassut.
La terza norma approvata dalla Camera che rafforza i segnali già presenti nel decreto legge è l'ulteriore stanziamento per l'edilizia scolastica. Ai 300 milioni di fondi Inail per un piano di manutenzione straordinaria si sommano ora altri 150 milioni che andranno, però, a un ulteriore piano che avrà prioritariamente attenzione allo smaltimento dell'amianto. Un segno politico di grande interesse per la sicurezza delle aule scolastiche, ma al tempo stesso un'esasperazione dei limiti dei piani di edilizia scolastica: ora sono cinque i veicoli, con fondi distinti, competenze distinte, procedure distinte.
Nel capitolo delle semplificazioni, versante pubblico, non si può ignorare la nuova disciplina in materia di terre e rocce da scavo. Viene introdotta una nuova procedura semplificata che sarà applicabile sia ai piccoli cantieri sotto i 6mila metri cubi di materiale estratto sia ai cantieri intermedi, non sottoposti a Via e Aia. Le imprese appaltatrici potranno utilizzare le procedure dell'articolo 184 bis del codice dell'ambiente (Dlgs 152/2006), emendato con una serie di semplificazioni che consentono di cambiare la destinazione di riutilizzo del materiale o di allungare i tempi della procedura oltre l'anno finora previsto.
Numerose correzioni anche al piano sblocca-cantieri. La più rilevante riguarda il piano «seimila campanili», il fondo per i piccoli interventi per i Comuni con meno di 5mila abitanti: confermato lo stanziamento di 100 milioni, si aggiunge che bisognerà trovare nei fondi europei 2014-2020 le risorse per continuare il programma fino al 2020. Saranno ammesse anche infrastrutture annesse o funzionali alle reti telematiche NGN o wi-fi.
Quanto al piano per la sicurezza stradale, curiosamente la priorità si dovrà dare alle piste ciclabili e all'asse viario Terni-Rieti. Per il piano sblocca-cantieri previsto anche un gruppo di opere di riserva che saranno finanziate qualora non si riuscirà a sbloccare le opere già citate nel decreto (si veda Il Sole-24 Ore del 13 luglio per l'intera mappa delle opere) (articolo Il Sole 24 Ore del 20.07.2013).

APPALTIDal nodo della solidarietà alla strettoia del «Durt»
IMPRESE CONTRARIE/ Il procedimento ipotizzato per ottenere il «Documento di regolarità tributaria» rischia di tradursi in un ulteriore vincolo.

Per il momento è ancora sulla carta, ma il documento unico di regolarità tributaria (Durt), previsto da un emendamento al Dl 69/2013, viene già bocciato da una parte del mondo imprenditoriale.
Secondo quanto previsto dall'emendamento a firma del deputato Girolamo Pisano del M5S, e approvato dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera, viene prevista una nuova procedura per esonerare l'appaltatore dalla responsabilità solidale.
A oggi, per effetto delle modifiche apportate dall'articolo 50 del decreto legge 69/2013 all'articolo 13-ter del Dl 83/2013, la disciplina sulla responsabilità solidale in materia di appalti di opere e servizi prevede in primo luogo la responsabilità dell'appaltatore con il subappaltatore per il versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente (e non più anche dell'Iva dovuta) in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di subappalto. La responsabilità, che è comunque limitata all'ammontare del corrispettivo dovuto, può essere evitata ottenendo, anteriormente al pagamento del corrispettivo, la documentazione che attesta la corretta esecuzione dei versamenti scaduti da parte del subappaltatore, cioè il Durt.
In sostanza questo documento certifica l'inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni e interessi scaduti e non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo. Viene inoltre confermata una sanzione amministrativa da 5.000 a 200.000 euro in capo al committente nel caso in cui questi paghi l'appaltatore senza essere in possesso della documentazione prevista.
Tuttavia, la circolare 40/E/2012 dell'agenzia delle Entrate ha chiarito che la documentazione può essere costituita da un'autodichiarazione resa in base all'articolo 46 del Dpr 445/2000 che attesti il regolare adempimento degli obblighi richiesti da parte del subappaltatore. Quindi la responsabilità solidale dell'appaltatore è esclusa se quest'ultimo ottiene dal subappaltatore l'autodichiarazione.
Appare ragionevole ritenere che il Durt, se definitivamente introdotto, debba essere considerato uno strumento alternativo rispetto all'autocertificazione, perché gli uffici dell'Agenzia potrebbero essere chiamati a rilasciare un numero consistente di dichiarazioni con l'ovvio allungamento dei tempi. In questo senso occorre tenere presente che l'appaltatore e il committente sono legittimati a non pagare il corrispettivo della prestazione fino al rilascio della documentazione.
Una sonora bocciatura della novità è arrivata ieri da Rete Imprese: «Deve essere cancellato -ha affermato il presidente Ivan Malavasi- l'emendamento al decreto del fare che rischia di dare il colpo di grazia a molte imprese già messe a dura prova da una crisi che sembra non avere fine. Con un procedimento paradossale si chiede alle imprese di comunicare periodicamente all'agenzia delle Entrate i dati delle buste paga al fine di consentire alla stessa Agenzia di accertare che le imprese sono in regola con il fisco». Secondo Rete Imprese il provvedimento aumenta gli adempimenti burocratici a fronte della richiesta delle aziende di andare nella direzione opposta.
L'emendamento prevede che per il rilascio del Durt in via digitale le Entrate realizzino un portale dedicato tramite cui acquisire le informazioni necessarie anche utilizzando il sistema Uniemens dell'Inps. In attesa della fatturazione elettronica, però, i soggetti d'imposta devono trasmettere «per via digitale i dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte dovute» (articolo Il Sole 24 Ore del 20.07.2013).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 19.07.2013 n. 168 "Avvio del Sistema informatico di monitoraggio delle opere incompiute (SIMOI). Attuazione del decreto 13.03.2013, n. 42" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, comunicato).

APPALTIAppalti, spunta il «Durt» nella responsabilità solidale. Fondo di garanzia esteso ai professionisti. Tetto anche agli stipendi dei dirigenti dei servizi pubblici locali.
INFRASTRUTTURE/ Anticipazioni del 10% alle imprese appaltatrici. Opere «di riserva» già individuate qualora non si sblocchino gli investimenti prioritari.

Maratona notturna per il via libera al decreto del fare nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera. Una giornata piena di tensioni, con diversi punti di divergenza con il Governo, sancisce l'approdo del testo in Aula in ritardo rispetto alle previsioni. C'è in campo l'ipotesi fiducia, ma Francesco Boccia, presidente della Bilancio e relatore insieme a Francesco Paolo Sisto (Pdl), considera possibile la discussione se ci sarà accordo sul presentare non più di 100 emendamenti.
È stata una seduta convulsa, come ha dimostrato un emendamento sul Parco geominerario della Sardegna, non approvato, sul quale il Governo è stato battuto in una fase di confusione dei lavori. Caos su un emendamento M5S sulla responsabilità solidale negli appalti, approvato con parere positivo del governo, che istituisce il Durt (Documento unico di regolarità tributaria), da acquisire per via telematica da un portale dell'Agenzia delle entrate. Secondo le imprese anziché semplificare la norma potrebbe rappresentare una complicazione. «La norma sarà comunque migliorata» rassicura Boccia, probabilmente al Senato.
Tra le novità, arriva con un emendamento dei relatori concordato con il viceministro all'Economia Stefano Fassina l'estensione del Fondo di garanzia anche ai professionisti, nel limite massimo di assorbimento delle risorse del fondo non superiore al 5%. Quanto alla polizza per i professionisti, il rinvio dovrebbe riguardare solo i medici. In arrivo 150 milioni per la «riqualificazione e messa in sicurezza» degli edifici scolastici. Compromesso sugli incentivi all'energia rinnovabile da bioliquidi: regime di «phasing out» per i produttori che accettano di uscire gradualmente dal regime delle agevolazioni. Arriva una norma che agevola fiscalmente le emittenti tv locali che hanno ricevuto fondi a titolo risarcitorio per liberare frequenze.
Sempre con emendamento dei relatori, viene previsto un comitato interministeriale per la spending review ed è definito l'incarico del commissario straordinario che dovrà presentare un piano entro 20 giorni dalla nomina. Il commissario potrà restare in carica al massimo tre anni e sarà il suo compito sarà tutt'altro che gratuito: percepirà 150mila euro quest'anno, 300mila euro nel 2014 e 2015 e 200mila nel 2016. Si dispone poi la semplificazione delle procedure per il trasferimento di immobili dello Stato, a titolo non oneroso, a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
Per gli appalti pubblici affidati con gare bandite dopo la conversione in legge del Dl, è prevista in favore dell'appaltatore una anticipazione pari al 10% dell'importo contrattuale. Il tetto agli stipendi ai manager, oggi previsto per le società non quotate controllate dalla Pa, viene esteso anche alle società dei servizi pubblici locali. Sulle infrastrutture vengono individuate alcune opere di riserva, prevalentemente in Piemonte, nel caso in cui quelle già individuate e finanziate dal decreto per non partano entro il 2013. Spunta anche una norma che consentirà al Poligrafico dello Stato di gestire il progetto del documento unificato. Scatta poi il piano del commissario di governo Francesco Caio per accelerare l'Agenda digitale con il «sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale». Stop per due anni allo sversamento di rifiuti speciali e rifiuti urbani pericolosi da altre Regioni verso la Campania.
Confermato (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) lo stop all'incompatibilità tra le cariche di parlamentare e di sindaco di Comune superiore ai 5mila abitanti: la misura scatterà solo con le prossime amministrative. Tra gli emendamenti dei gruppi approvati, ci sono l'estensione di un anno a Regioni e Comuni per recedere dai contratti di affitto e la stretta sulle spese per le auto blu e i buoni taxi non si applicherà alle società pubbliche quotate, in pratica Eni, Enel, Finmeccanica e loro controllate. Viene "ripescata" Arcus, la spa del Ministero dei Beni culturali soppressa dalla spending review del Governo Monti. Via libera a un Programma nazionale per il sostegno degli studenti capaci e meritevoli a partire dal 2014 con borse di studio suddiviso per le lauree e i dottorati di ricerca.
Tornando a Caio e all'Agenda digitale, per superare i clamorosi ritardi finora accumulati nell'attuazione, verrà semplificata la natura dei regolamenti previsti dal decreto crescita bis e non ancora emanati. Approvato un Programma nazionale per il sostegno degli studenti capaci e meritevoli a partire dal 2014, suddiviso per le lauree, le lauree magistrali e i dottorati di ricerca. Le borse di studio verranno versate in una prima rata semestrale al momento dell'iscrizione all'università e in una seconda rata semestrale il primo marzo dell'anno successivo (articolo Il Sole 24 Ore del 19.07.2013).

APPALTI: Con l'entrata in vigore dell'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca del provvedimento amministrativo, prevedendo tre presupposti alternativi che ne legittimano l'adozione: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
In materia di revoca di atti gara nella fase antecedente alla aggiudicazione, la giurisprudenza è copiosa, "antologie” di sentenze dalle quali possono dedursi i seguenti indiscussi principi: il potere di ritirare gli atti di gara come l'aggiudicazione provvisoria, attraverso gli strumenti della revoca o dell'annullamento, è espressione del principio di buon andamento dell'attività amministrativa e costituisce una facoltà dell'amministrazione ancora attinente la fase di scelta del contraente; pertanto, non sono necessarie specifiche valutazioni dell'eventuale interesse dell'aggiudicatario provvisorio al mantenimento di un atto non più rispondente all'interesse pubblico.
L'aggiudicazione provvisoria di una gara, attesa la sua natura di atto endoprocedimentale ed i suoi effetti interinali, è inidonea ad attribuire in modo stabile il bene della vita cui si aspira e ad ingenerare il connesso legittimo affidamento che imporrebbe l'instaurazione del contraddittorio procedimentale prima della revoca in autotutela.
Fino a quando non sia intervenuta l'aggiudicazione, rientra nel potere discrezionale dell'amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara.
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Non sussiste l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento nel caso di revoca dell'aggiudicazione provvisoria, trattandosi di atto endoprocedimentale rispetto al quale l'aggiudicatario può vantare un mera aspettativa alla conclusione del procedimento e non già una posizione giuridica qualificata.
L'esercizio del potere di autotutela nel corso di un procedura di gara non ancora assistita, come quella di specie, neppure dalla aggiudicazione provvisoria, non dà luogo ad un nuovo procedimento amministrativo, ma si innesta all'interno dell'unico procedimento destinato a concludersi con l'intervento dell'aggiudicazione definitiva.
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Come noto, la responsabilità cd. precontrattuale -che trova il suo paradigma normativo negli artt. 1337 e 1338 c.c.- è stata identificata come l’istituto che tende a tutelare la libertà negoziale della parte, mettendola al sicuro da coartazioni od inganni incidenti sulle proprie determinazioni negoziali (art. 1337 c.c.), ovvero preservandola da trattative che si rivelino inutili, in quanto conducano alla stipulazione di un contratto invalido (art. 1338 c.c.).
La giurisprudenza ha riconosciuto il risarcimento del danno, per responsabilità precontrattuale, pur in presenza di una revoca legittima, laddove l’impresa abbia confidato sulla possibilità di diventare affidataria e, ancor più, in caso di aggiudicazione intervenuta e revocata, sulla disponibilità di un titolo che l'abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso.
Detto orientamento giurisprudenziale, che afferma non essere ostativo al risarcimento del danno in materia di procedure ad evidenza pubblica l'intervento di un atto di revoca assunto in via di autotutela ancorché quest'ultimo sia legittimo non è invocabile nel caso di specie in assenza del provvedimento di aggiudicazione, in una fase in cui la stazione appaltante doveva valutare il profilo economico finanziario della gestione.
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L'obbligo generale di indennizzo dei pregiudizi arrecati ai soggetti interessati in conseguenza della revoca di atti amministrativi, di cui all'art. 21-quinquies l. 241/1990, sussiste esclusivamente in caso di revoca di provvedimenti definitivi e non anche in caso di revoca di atti a effetti instabili e interinali, quale l'aggiudicazione provvisoria.
Questo porterebbe ad escludere ogni voce di indennizzo, considerato che la revoca, come visto nella fattispecie, è intervenuta prima dell’aggiudicazione provvisoria.

L’Amministrazione ha ritenuto di procedere alla revoca degli atti di gara, per una nuova valutazione degli interessi, certamente anche a seguito della modifica della maggioranza politica.
Con l'entrata in vigore dell'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca del provvedimento amministrativo, prevedendo tre presupposti alternativi che ne legittimano l'adozione: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
In materia di revoca di atti gara nella fase antecedente alla aggiudicazione, la giurisprudenza è copiosa, come dimostrano gli atti delle parti, “antologie” di sentenze, dalle quali possono dedursi i seguenti indiscussi principi: il potere di ritirare gli atti di gara come l'aggiudicazione provvisoria, attraverso gli strumenti della revoca o dell'annullamento, è espressione del principio di buon andamento dell'attività amministrativa e costituisce una facoltà dell'amministrazione ancora attinente la fase di scelta del contraente; pertanto, non sono necessarie specifiche valutazioni dell'eventuale interesse dell'aggiudicatario provvisorio al mantenimento di un atto non più rispondente all'interesse pubblico (TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 11.11.2010, n. 2582; TAR Puglia Bari, sez. I, 14.09.2010, n. 3459; TAR Sicilia Palermo, sez. I, 28.07.2010, n. 9011; TAR Piemonte Torino, sez. I, 23.04.2010, n. 2085; TAR Lazio Roma, sez. II, 09.11.2009, n. 10991; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 24.09.2008, n. 10735).
L'aggiudicazione provvisoria di una gara, attesa la sua natura di atto endoprocedimentale ed i suoi effetti interinali, è inidonea ad attribuire in modo stabile il bene della vita cui si aspira e ad ingenerare il connesso legittimo affidamento che imporrebbe l'instaurazione del contraddittorio procedimentale prima della revoca in autotutela.
Fino a quando non sia intervenuta l'aggiudicazione, rientra nel potere discrezionale dell'amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara (da ultimo Consiglio di Stato sez. V, n. 2418 del 06.05.2013).
Si tratta quindi, facendo applicazione dei principi consolidati sopra riportati, di valutare se la scelta di revoca della procedura de qua, fosse sorretta da concreti motivi di interesse pubblico.
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Inoltre va anche richiamato il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui non sussiste l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento nel caso di revoca dell'aggiudicazione provvisoria, trattandosi di atto endoprocedimentale rispetto al quale l'aggiudicatario può vantare un mera aspettativa alla conclusione del procedimento e non già una posizione giuridica qualificata (TAR Lazio Roma, sez. II, 09.11.2009, n. 10991; TAR Puglia Bari, sez. I, 14.09.2010, n. 3459; TAR Valle d'Aosta Aosta, 10.10.2007, n. 123; TAR Campania Napoli, sez. I, 27.01.2006, n. 1078; TAR Lombardia Milano, sez. III, 16.01.2006, n. 50; Consiglio Stato, sez. IV, 29.10.2002, n. 5903).
L'esercizio del potere di autotutela nel corso di un procedura di gara non ancora assistita, come quella di specie, neppure dalla aggiudicazione provvisoria, non dà luogo ad un nuovo procedimento amministrativo, ma si innesta all'interno dell'unico procedimento destinato a concludersi con l'intervento dell'aggiudicazione definitiva.
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Quanto alla domanda risarcitoria, per responsabilità pre-contrattuale, parte ricorrente richiama la decisione del Consiglio di Stato n. 5002/2011, sul riconoscimento del mancato utile nel caso di illegittima revoca della gara.
Come noto, la responsabilità cd. precontrattuale -che trova il suo paradigma normativo negli artt. 1337 e 1338 c.c.- è stata identificata come l’istituto che tende a tutelare la libertà negoziale della parte, mettendola al sicuro da coartazioni od inganni incidenti sulle proprie determinazioni negoziali (art. 1337 c.c.), ovvero preservandola da trattative che si rivelino inutili, in quanto conducano alla stipulazione di un contratto invalido (art. 1338 c.c.).
La giurisprudenza ha riconosciuto il risarcimento del danno, per responsabilità precontrattuale, pur in presenza di una revoca legittima, laddove l’impresa abbia confidato sulla possibilità di diventare affidataria e, ancor più, in caso di aggiudicazione intervenuta e revocata, sulla disponibilità di un titolo che l'abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso.
Detto orientamento giurisprudenziale, che afferma non essere ostativo al risarcimento del danno in materia di procedure ad evidenza pubblica l'intervento di un atto di revoca assunto in via di autotutela ancorché quest'ultimo sia legittimo (da ultimo Cons. Stato Sez. IV, 07.02.2012, n. 662) non è invocabile nel caso di specie in assenza del provvedimento di aggiudicazione, in una fase in cui la stazione appaltante doveva valutare il profilo economico finanziario della gestione.
La domanda risarcitoria deve pertanto essere respinta.
In subordine viene chiesto il riconoscimento di un indennizzo, ex art. 21-quinquies l. 241/1990, per i costi vivi di partecipazione, quantificati in € 20.500,00.
La giurisprudenza in materia ha affermato che "l'obbligo generale di indennizzo dei pregiudizi arrecati ai soggetti interessati in conseguenza della revoca di atti amministrativi, di cui all'art. 21-quinquies l. 241/1990, sussiste esclusivamente in caso di revoca di provvedimenti definitivi e non anche in caso di revoca di atti a effetti instabili e interinali, quale l'aggiudicazione provvisoria" (Consiglio di Stato, sez. V, 05.04.2012, n. 2007).
Questo porterebbe ad escludere ogni voce di indennizzo, considerato che la revoca, come visto, è intervenuta prima dell’aggiudicazione provvisoria.
In ogni caso si deve osservare come non sarebbe possibile, in questa fase, vagliare la domanda di indennizzo, poiché le voci di costo elencate non sono state supportate da alcuna prova documentale.
Anche la domanda di indennizzo va quindi respinta
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.07.2013 n. 1913 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il termine di dieci giorni, entro il quale l'impresa offerente, sorteggiata a campione per il controllo in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa o, in diverso momento, l’aggiudicatario e il concorrente secondo classificato, sono tenuti, ai sensi dell'art. 48 del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, ad ottemperare alla richiesta della stazione appaltante, ha natura perentoria, e le sanzioni conseguenti alla sua inosservanza non vanno applicate solo in caso di comprovata impossibilità per l'impresa di produrre la documentazione non rientrante nella sua disponibilità.
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La garanzia che correda l’offerta, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell'offerente, copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo.
Per giurisprudenza costante, la funzione della cauzione provvisoria è costituita dalla garanzia che l’amministrazione riceve dal concorrente sulla serietà dello stesso nel partecipare alla gara e si sostanzia in una forma di liquidazione anticipata del danno nel caso in cui la stipula del contratto non avvenga per recesso o per difetto dei requisiti del concorrente.
La ratio delle disposizioni sull’automaticità dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 48 va, invece, individuata nel contemperamento del principio del libero accesso alle gare, con la garanzia che vi partecipino imprese affidabili.
La norma, dunque, di spiccata funzione sanzionatoria, riveste la finalità di tutelare la correttezza e speditezza del procedimento di gara, tendendo a preservare la procedura stessa dalla partecipazione di imprese non adeguate, per mancanza dei requisiti richiesti, all'oggetto della gara medesima, risultando strumentale rispetto all'esigenza di garantire imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa e par condicio fra i concorrenti.
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L'esercizio del potere contrattuale, anche da parte di un'amministrazione pubblica committente, comunque operante nel campo dell'autonomia privata, deve essere conforme ai canoni generali di buona fede oggettiva, lealtà dei comportamenti e correttezza, alla luce dei quali vanno interpretati gli stessi atti di autonomia negoziale; ciò allo scopo di evitare che la libera estrinsecazione dell'autonomia contrattuale possa sfociare nell'arbitrio ovvero nell'abuso nell'esercizio del proprio diritto, principio che, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione e dell'art. 1175 c.c., permea le condotte di ciascun operatore giuridico e dunque anche dell’amministrazione, ravvisabile nel comportamento del soggetto che esercita verso l'altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati.

Nella fattispecie in questione deve ricevere, dunque, applicazione quella giurisprudenza in base alla quale il termine di dieci giorni, entro il quale l'impresa offerente, sorteggiata a campione per il controllo in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa o, in diverso momento, l’aggiudicatario e il concorrente secondo classificato, sono tenuti, ai sensi dell'art. 48 del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, ad ottemperare alla richiesta della stazione appaltante, ha natura perentoria, e le sanzioni conseguenti alla sua inosservanza non vanno applicate solo in caso di comprovata impossibilità per l'impresa di produrre la documentazione non rientrante nella sua disponibilità (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 16.02.2012, n. 810).
Nonostante le succitate previsioni legislative e il suddetto orientamento giurisprudenziale, il collegio ritiene che debba, invece, statuirsi l’illegittimità della determinazione della stazione appaltante di procedere all’incameramento della cauzione provvisoria prestata dalla ricorrente, sia in considerazione della ratio che è alla base di tale prestazione, nonché delle disposizioni dell’art. 48 del codice degli appalti, che delle specifiche circostanze ricorrenti nella fattispecie che ci occupa.
Ed invero, ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 6 dell’art. 75 del d.lgs. n. 163/2006, la garanzia che correda l’offerta, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell'offerente, copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo.
Per giurisprudenza costante, la funzione della cauzione provvisoria è costituita dalla garanzia che l’amministrazione riceve dal concorrente sulla serietà dello stesso nel partecipare alla gara e si sostanzia in una forma di liquidazione anticipata del danno nel caso in cui la stipula del contratto non avvenga per recesso o per difetto dei requisiti del concorrente (cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. V, 08.10.2011, n. 5499; 05.08.2011, n. 4712).
La ratio delle disposizioni sull’automaticità dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 48 va, invece, individuata nel contemperamento del principio del libero accesso alle gare, con la garanzia che vi partecipino imprese affidabili.
La norma, dunque, di spiccata funzione sanzionatoria, riveste la finalità di tutelare la correttezza e speditezza del procedimento di gara, tendendo a preservare la procedura stessa dalla partecipazione di imprese non adeguate, per mancanza dei requisiti richiesti, all'oggetto della gara medesima, risultando strumentale rispetto all'esigenza di garantire imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa e par condicio fra i concorrenti (cfr., in particolare, Cons. Stato, sez. V, 24.11.2011, n. 6239; 11.01.2012, n. 80; sez. IV, 16.02.2012, n. 810).
Deve, inoltre, osservarsi che il disciplinare di gara della procedura di specie, alla pag. 46, nell’ambito del paragrafo 6.3 dedicato all’aggiudicazione, prevedeva al punto II che, nel caso di mancata presentazione della documentazione richiesta a comprova dei requisiti economico-finanziari, Lombardia Informatica S.p.A. si riservasse il diritto di escutere la cauzione provvisoria.
Nella fattispecie in questione, in particolare, la ricorrente era in possesso dei requisiti economico-finanziari dalla stessa dichiarati in sede di offerta, come risulta dalla documentazione dalla stessa prodotta, seppur in ritardo; si era offerta di procedere alla stipula della convenzione, come si evince dalla corrispondenza versata in atti; non poteva verificarsi alcuna lesione della par condicio di eventuali altri concorrenti, essendo Celgene l’unica titolare del diritto di produrre i farmaci antitumorali infungibili oggetto dei lotti dei quali era risultata aggiudicataria.
Tali elementi, considerati nel complesso, ed in particolare alla luce delle specifiche previsioni della lex specialis di gara, per l’indubbio affidamento dalle stesse ingenerato nella ricorrente, avrebbero dovuto far propendere Lombardia Informatica per la sola esclusione di Celgene dalla procedura concorsuale, conseguendone, quindi, l’illegittimità dell’incameramento della consistente cauzione provvisoria per la violazione dei canoni civilistici di buona fede e affidamento.
Riceve, dunque, applicazione quell’orientamento giurisprudenziale, pure assunto dall’istante a sostegno delle proprie censure, secondo il quale l'esercizio del potere contrattuale, anche da parte di un'amministrazione pubblica committente, comunque operante nel campo dell'autonomia privata, deve essere conforme ai canoni generali di buona fede oggettiva, lealtà dei comportamenti e correttezza, alla luce dei quali vanno interpretati gli stessi atti di autonomia negoziale; ciò allo scopo di evitare che la libera estrinsecazione dell'autonomia contrattuale possa sfociare nell'arbitrio ovvero nell'abuso nell'esercizio del proprio diritto, principio che, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione e dell'art. 1175 c.c., permea le condotte di ciascun operatore giuridico e dunque anche dell’amministrazione, ravvisabile nel comportamento del soggetto che esercita verso l'altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati (cfr., in proposito, Cons. Stato, sez. II, 23.05.2012, n. 4930; sez. IV, 02.03.2012, n. 1209) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 18.07.2013 n. 1906 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Il ricorso ai sistemi telematici o agli strumenti elettronici messi a disposizione dalla Regione Lombardia non debbono essere intese quale ulteriore specificazione delle fattispecie di acquisto autonomo (tanto nei casi in cui l’oggetto dell’acquisizione sia già presente sul MEPA, quanto nelle ipotesi in cui non sia ivi rinvenibile), bensì quale vera e propria forma equipollente di e-procurement che permette l’approvvigionamento di beni e servizi mediante procedure telematiche previste dalla legge.
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... il Presidente della Regione Lombardia mediante nota del 20.06.2013, ha posto un quesito sulla disciplina e sulle modalità di accesso da parte delle pubbliche amministrazioni lombarde al Sistema telematico regionale (Sintel), quale piattaforma tecnologica alternativa al MEPA, agli altri mercati elettronici descritti nell’art. 328 comma1 del regolamento al Codice degli Appalti (D.P.R. n. 207/2010), al ricorso alla centralizzazione degli acquisti tramite convenzioni Consip.
...
Tutto ciò premesso, si rileva che il Sistema Telematico “regionale”:
- rappresenta un’alternativa al MEPA o altri mercati elettronici di cui all'articolo 328, comma 1, del regolamento del Codice degli Appalti (DPR 2010, n. 207) nell’ipotesi prevista dal richiamato comma 450, articolo 1, della legge 27 dicembre 2006, n.296.
- rappresenta un’alternativa alla centralizzazione delle acquisizioni (anche in ambito di lavori) dettate per i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti nell’ipotesi prevista dall’articolo 33, comma 3-bis del Dlgs n. 163/2006.
Tuttavia i pareri svolti dalla Corte dei Conti, Sezioni di Controllo della Regione Marche (n. 169/2012) e della Regione Lombardia sul tema (n. 165/2013 e n. 89/2013) non compiono alcun riferimento ai Sistemi Telematici messi a disposizione dalle Centrali di Committenza Regionali. Infatti tali pareri, nel descrivere le ipotesi in cui un Ente Locale è legittimato ad effettuare un acquisto autonomo, compiono riferimento unicamente alla fattispecie in cui l’oggetto dell’acquisizione non è presente nelle categorie merceologiche del MEPA o altro Mercato Elettronico non considerando l’alternativa fornita dai richiamati Sistemi Telematici delle centrali regionali.
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Tutto ciò esposto e in particolare alla luce della differenza sia formale che sostanziale richiamata, si chiede pertanto a codesta spettabile Sezione di confermare l’ambito di alternativa/equipollenza rappresentato dalla predetta locuzione sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento (nelle diverse accezioni sopra elencate) con riguardo al concetto di Mercato Elettronico. In particolare si richiede di confermare la legittimità delle modalità di acquisto descritte nelle ipotesi sub a) e sub b) ovvero che l’ente locale possa adempiere al dettato normativo anche utilizzando la piattaforma telematica regionale Sintel. Tale invero sembra essere senza alcun dubbio l’intenzione del legislatore e cioè quello di promuovere l’utilizzo di strumenti telematici di acquisto, siano essi gestiti dalla centrale di committenza nazionale (MEPA, da Consip) siano essi gestiti da centrali di committenza regionali (Sintel, in Lombardia, da ARCA).
Analogamente, alla luce delle considerazioni svolte in merito alle differenze tra diversi sistemi, si chiede a codesta spettabile Sezione di confermare l’ambito di alternatività portato dall’articolo 33, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 163/2006, per le acquisizioni di lavori, servizi e forniture dei Comuni con popolazione non superiore a 5.000, e segnatamente: in alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento.
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L’amministrazione regionale ha delineato nel contesto del quesito il quadro normativo che disciplina il sistema degli acquisti in rete mediante il quale le pubbliche amministrazioni devono conformarsi nel procurarsi beni e servizi.
Con riferimento alle questioni di coordinamento fra le varie discipline che si sono stratificate a partire dall’art. 26, commi 1 e 3, della legge n.488/1999, per concludere con i precetti dell’art. 1 del D.L. n. 95/2012, è sufficiente rinviare all’ampia disamina del quadro normativo delineato nei precedenti consultivi di questa Sezione, cui la stessa amministrazione istante si è riferita, tanto con riferimento al (SRC Lombardia, deliberazione n. 89/2013/PAR; deliberazione n. 165/2013/PAR, ed in termini SRC Marche deliberazione n. 169/2012/PAR; SRC Piemonte, deliberazione n. 271/2012/PAR).
I pilastri su cui si fonda il sistema di e-procurement possono essere individuati in primo luogo, nel vincolo di benchmark rispetto alle convenzioni Consip; in secondo luogo, nell’utilizzo del MEPA. per la generalità degli acquisti ed, infine, nella possibilità di aderire ai sistemi telematici e agli strumenti elettronici di negoziazioni messi a disposizioni dalle Centrali di committenza regionali e/o da altre Centrali di committenza di riferimento.
Ciò posto, ai fini della tenuta complessiva del sistema di e-procurement via via delineato dal legislatore, occorre ribadire la natura vincolistica dei recenti interventi che hanno profondamente innovato il quadro normativo relativo agli acquisti di beni e servizi della Pubblica Amministrazione in genere. Di qui l’adozione di un’interpretazione rigorosa delle disposizioni di cui trattasi tale da non frustrarne o eluderne i sottesi principi informatori, con prioritario rilievo al criterio letterale.
In particolare, per quanto concerne le convenzioni Consip, ai sensi del sopracitato art. 1, comma 449, l. n. 296/2006, le amministrazioni pubbliche non statali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti.
Ergo, in linea di principio, le sanzioni stabilite dall’art. 1, comma 1, del citato decreto legge n. 95 appaiono applicabili anche ai contratti stipulati dagli enti locali senza tener conto dei parametri prezzo-qualità delle convenzioni Consip quale limite massimo per l’acquisto di beni o servizi comparabili.
Per quanto concerne i Comuni di minore dimensione, dal momento dell’entrata in vigore dell’art. 33, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006 l’obbligo di avvalersi delle convenzioni Consip, degli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento trova applicazione per tutti gli enti inferiori a 5.000 abitanti, quale possibilità alternativa al ricorso ad un’unica centrale di committenza nell’alveo di un’unione o di un consorzio di comuni.
Resta fermo il disposto dell’art. 1, comma 7, del D.L. n. 95/2012, relativo ad alcune tipologie specifiche di acquisti da parte delle amministrazioni pubbliche e delle società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196, a totale partecipazione pubblica diretta o indiretta (senza esclusioni soggettive). Siffatti enti, relativamente alle categorie merceologiche di energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile, sono tenuti ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali di riferimento (costituite ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27.12.2006, n. 296), ovvero ad esperire proprie autonome procedure nel rispetto della normativa vigente utilizzando i sistemi telematici di negoziazione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati.
È fatta salva la possibilità di procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie merceologiche, anche al di fuori delle predette modalità, ma a condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori a quelli indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali. In tali casi i contratti dovranno comunque essere sottoposti a condizione risolutiva con possibilità per il contraente di adeguamento ai predetti corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico. La mancata osservanza delle disposizioni del presente comma rileva ai fini della responsabilità disciplinare e per danno erariale.
Passando al Mercato elettronico della P.A. (c.d. MEPA), il richiamato art. 1, comma 450, l. n. 296/2006 distingue il regime normativo delle “amministrazioni statali centrali e periferiche” rispetto a quello delle “altre amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 D.Lgs. n.165/2001”. Gli Enti locali, ai fini dell’affidamento di appalti pubblici di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario, debbono obbligatoriamente ricorrere al mercato elettronico.
Cionondimeno, non sussiste un obbligo assoluto di ricorso al Mercato Elettronico della P.A. (c.d. MEPA), essendo espressamente prevista la facoltà di scelta tra le diverse tipologie di mercato elettronico richiamate dall’art. 328 del d.p.r. 207/2010: segnatamente, tra il mercato elettronico realizzato dalla medesima stazione appaltante e quello realizzato dalle centrali di committenza di riferimento di cui all’art. 33 del Codice dei contratti.
Emerge, dunque, evidente un favor del legislatore per modalità di acquisto effettuata mediante sistemi c.d. di e-procurement tali da assicurare alla amministrazione la possibilità di entrare in contatto con una più ampia platea di fornitori; ma, soprattutto, emerge l’esigenza di garantire la tracciabilità dell’intera procedura di acquisto ed una maggiore trasparenza della stessa, attesa l’automaticità del meccanismo di aggiudicazione con conseguente riduzione dei margini di discrezionalità dell’affidamento.
Giova osservare che, a parte la gamma di possibilità offerta alla stazione appaltante alla stregua del richiamato art. 328 del Regolamento di esecuzione ed attuazione, lo stesso MEPA., diversamente dal sistema delle Convenzioni Consip, si atteggia come un mercato aperto cui è possibile l’adesione da parte di imprese che soddisfino i requisiti previsti dai bandi relativi alla categoria merceologica o allo specifico prodotto e servizio e, quindi, anche di quella o quelle asseritamente in grado di offrire condizioni di maggior favore rispetto a quelle praticate sul MEPA ovvero un bene/servizio conforme alle esigenze funzionali della amministrazione procedente.
L’amministrazione regionale riferisce di una carenza previsionale, allo stato dell’arte, negli approdi consultivi delle varie Sezioni regionali di Controllo, ed in particolare nell’omissione di ulteriori casi di legittimo acquisto autonomo da parte dell’Ente Locale, oltre le ipotesi nelle quali il bene o il servizio richiesto non è presente nelle categorie merceologiche del MEPA o di altro mercato elettronico, non considerando l’alternativa fornita dai richiamati Sistemi telematici messi a disposizione dalle Centrali Acquisti Regionali.
Come si può notare, l’orientamento consultivo già espresso dalla Sezione nella citata deliberazione n. 89/2013/PAR, conteneva alcuni richiami espliciti “agli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento”, quale forma alternativa di e-procurement previsto dal legislatore.
Orbene,
non vi è dubbio che la costituzione dell’Agenzia Regionale Centrale Acquisti, abbia ricevuto copertura legislativa attraverso la legge regionale n. 33/2007, quale organismo di committenza previsto dall’art. 33 del D.Lgs. n. 163/2006.
Il favor del legislatore per la costituzione e l’utilizzo delle centrali di committenza regionali è avallato dalla previsione testuale dell’art. 1, commi 449 e 450, della legge 27.12.2006, n. 296 e dall’art. 2, comma 574, della legge 24.12.2007, n. 244.
Peraltro, i servizi di centralizzazione presi in considerazione dalla norma di riferimento non si limitano all’acquisto centralizzato, ma anche alla predisposizione d’infrastrutture informatiche in grado di aumentare trasparenza, celerità e quindi economicità degli acquisti (piattaforme telematiche).
Ne consegue che
il ricorso ai sistemi telematici o agli strumenti elettronici messi a disposizione dalla Regione Lombardia non debbono essere intese quale ulteriore specificazione delle fattispecie di acquisto autonomo (tanto nei casi in cui l’oggetto dell’acquisizione sia già presente sul MEPA, quanto nelle ipotesi in cui non sia ivi rinvenibile), bensì quale vera e propria forma equipollente di e-procurement che permette l’approvvigionamento di beni e servizi mediante procedure telematiche previste dalla legge (sugli obblighi di utilizzare le strutture telematiche di e-procurement messe a disposizione dalla Regione per gli enti del Servizio Sanitario Regionale si veda il recente approdo del Consiglio di Stato, sentenza 18.01.2013, n. 288).
Occorre inoltre rilevare che
le funzionalità offerte dai sistemi telematici resi fruibili dalle centrali di committenza regionali alla platea delle amministrazioni locali possono garantire talune funzionalità aggiuntive rispetto ai cataloghi predefiniti di beni e di servizi presenti sul MEPA, consentendo l’individuazione selettiva di una categoria merceologica non presente nel sistema o nel mercato elettronico, ovvero la possibilità di utilizzare una piattaforma telematica per la gestione dell’intera procedura di acquisto, indipendentemente dalla forma di gara in concreto utilizzata.
Analogamente,
i Comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti, possono accedere ai sistemi telematici messi a disposizioni dalle amministrazioni regionali anche per l‘acquisizione di lavori, servizi e forniture di cui al richiamato art. 33, comma 3-bis, del D.Lgs. n.163/2006.
Quanto, infine, alla distinzione concettuale fra Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione e strumento telematico da utilizzare per le procedure di gara, c
orrettamente l’amministrazione istante individua nell’art. 289 del D.P.R. 05.10.2010, n. 207 la nozione di Sistema informatico di negoziazione quale piattaforma telematica strumentale mediante la quale possono essere gestite le diverse tipologie di procedure di gara disciplinate nel Codice degli Appalti, rispetto alla nozione di Mercato Elettronico richiamata dall’art. 328 del medesimo regolamento.
Va da sé, infine, sottolineare che
le piattaforme telematiche regionali debbano rispettare le condizioni legali di trasparenza, semplificazione ed efficacia delle procedure descritte nell’art. 295 del D.P.R. n. 207/2010, le caratteristiche tecniche delle comunicazioni telematiche previste dall’art. 77 del Codice degli Appalti, nonché l’utilizzo delle previsioni contenute nel D.Lgs. 07.03.2005, n. 82 (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 18.07.2013 n. 312).

LAVORI PUBBLICIL'imprenditore agricolo va in gara d'appalto.
Anche l'imprenditore agricolo che opera nella forma della società semplice può partecipare alle pubbliche gare, nonostante l'articolo 34 del codice dei contratti limiti la possibilità alle sole società commerciali.

Lo ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 17.07.2013 n. 3891 che chiude una vicenda iniziata nel novembre 2004, con la decisione dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (comunicato n. 42/2004) di negare in via di principio la possibilità per le Soa di rilasciare l'attestazione per la partecipazione alle pubbliche gare in favore delle società semplici.
Ciò in quanto, a suo dire, il dpr 34 del 2000 (il quale disciplina i presupposti e le condizioni per conseguire la qualificazione ai fini della partecipazione alle pubbliche gare) deve essere interpretato nel senso di riferirsi soltanto alle imprese che possono essere idonei concorrenti per le gare d'appalto, e questo non sarebbe stato il caso delle società semplici, che non possono svolgere attività commerciali.
La questione era stata sollevata davanti al giudice amministrativo da una società, imprenditore agricolo in base all'articolo 2135 del codice civile costituito nella forma della società semplice, che si era vista revocare l'attestazione per la partecipazione alle gare. Il Consiglio di stato, vista la complessità della questione, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (art. 267 del Tfue) al fine di ottenere indicazioni circa la corretta interpretazione delle disposizioni del diritto comunitario.
L'ordinanza di rimessione, in particolare, aveva osservato che nessuna disposizione del diritto nazionale sembrava ammettere le società semplici, alla partecipazione alle pubbliche gare, ma i giudici comunitari hanno invece ritenuto che, in base alla normativa comunitaria, si debba pervenire a conclusioni affatto diverse (ordinanza C-502/2011). Ciò in quanto «Il diritto dell'Unione, art. 6 della direttiva 93/37/Cee del Consiglio, del 14.06.1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, come modificata dalla direttiva 2001/78/Ce della Commissione, del 13.09.2001, osta ad una normativa nazionale, [_] che vieta a una società quale una società semplice, qualificabile come “imprenditore” ai sensi della direttiva 93/37, di partecipare alle gare d'appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica».
La sentenza della Corte di giustizia europea del 04.10.2012 vincola il giudice nazionale a disporre la disapplicazione della normativa primaria nazionale in quanto riconosciuta in contrasto con la pertinente normativa comunitaria. Dal che ne consegue, per un verso, l'illegittimità del comunicato dell'Autorità n. 42/2004, per la parte in cui richiama i tradizionali argomenti di diritto interno ostativi alla richiamata partecipazione e per altro verso, l'illegittimità del provvedimento di revoca dell'attestazione Soa a suo tempo rilasciata all'imprenditore agricolo (articolo ItaliaOggi del 24.07.2013).

APPALTI: G.U. 17.07.2013 n. 166 "Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali" (Ministero dell'Economia e delle Finanza, comunicato).
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Ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali: tasso 01/07-31/12/2013
Il saggio d'interesse per ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali per il semestre 01.07.2013-31.12.2013
è determinato all'8,50%.
E' quanto risulta dal comunicato del Ministero dell'Economia e delle Finanze pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 166 del 17.07.2013 che ha fissato il saggio di cui all'art. 5, comma 2, del D.lgs. n. 231/2002 (link a www.altalex.com).

APPALTI: MODIFICHE ALLA RESPONSABILITA’ SOLIDALE FISCALE - NUOVO FACSIMILE DI DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA (16.07.2013 - link a www.ancebrescia.it).

APPALTIAppalti, «concorso esterno» ampio. Basta la presentazione di un'offerta guidata per far scattare il coinvolgimento. Cassazione. Allargati i limiti dell'attività ausiliaria alle cosche mafiose: non è necessario dimostrare il vantaggio economico.
Basta anche la sola presentazione di offerte di comodo per conto del clan a far scattare, contro un imprenditore non affiliato a Cosa nostra, l'imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa. Alla prova della collusione, inoltre, non serve la dimostrazione di un effettivo incremento dei ricavi tra il periodo precedente l'assodata partecipazione esterna e quello di effettivo coinvolgimento con il clan: è sufficiente infatti la prova di un mero «rapporto di cointeressenza tale da produrre vantaggi (ingiusti) per entrambi i contraenti».
La VI Sez. penale della Corte di Cassazione (sentenza 15.07.2013 n. 30346) torna a delimitare il perimetro dell'attività "ausiliaria" alla mafia, confermando la condanna al titolare di una cooperativa coinvolta, alla fine degli anni '80, in operazioni per conto della cosca di Bernardo Provenzano.
Il Tribunale di Palermo nel 2004, per quelle stesse attività, aveva riconosciuto il vincolo di appartenenza diretta all'associazione, verdetto però attenuato quattro anni dopo dall'Appello, che le aveva riqualificate come «concorso esterno».
Nei due gradi di merito, scrive il relatore della sentenza finale, era emersa l'esistenza di un rapporto di consapevole e volontaria «collaborazione» della cooperativa con Cosa nostra «attraverso un'attività di illecita interferenza nell'aggiudicazione degli appalti pubblici, con reciproco vantaggio costituito, per l'imputato, dal conseguimento di commesse e, per il consorzio criminoso, dal rafforzamento della propria capacità di influenza nello specifico settore imprenditoriale». Una ricostruzione meramente indiziaria, contestava la difesa, a cui, tra l'altro, sarebbe mancata la prova dell'effettiva utilità ottenuta dal consorzio, atteso che non era stato riscontrato un incremento di lavoro tra il "prima" e il "dopo" del patto scellerato.
Ma proprio il dato contabile, sottolineano i giudici di Cassazione, non è tra gli indici necessari di "mafiosità esterna" cui fare riferimento, perché, ai fini della contestazione dell'articolo 110 del Codice penale associato al 416–bis, è sufficiente offrire «la propria disponibilità al mantenimento di tale sistema». Disponibilità che può ben manifestarsi attraverso la collaborazione nell'aggiudicazione di licitazioni private di imprese "prescelte", ma anche fornendo offerte di comodo, o ancora concorrendo nella fase della turbativa per arrivare a controllare le offerte arrivate da imprese «non manovrabili» e adeguare quindi l'offerta "collusa".
Quindi, argomenta la Sesta penale, per il «concorso esterno», disegnato dalla Corte già a partire dal 2005 (sentenza 46552/2005, confermata dalla successiva decisione 39042/2013) basta «un rapporto sinallagmatico di cointeressenza» con la cosca mafiosa, tale da produrre vantaggi reciproci. In particolare l'imprenditore colluso avrà «una posizione dominante sul territorio grazie all'ausilio del sodalizio, il cui apparato intimidatorio si è reso disponibile a sostenerne l'espansione negli affari, in cambio della sua disponibilità a fornire risorse, servizi o comunque utilità al sodalizio medesimo».
E tutto ciò a condizione che manchi, in capo all'imprenditore servente, sia l'affectio societatis sia l'inserimento nella struttura organizzativa della cosca. Condizioni che porterebbero, ovviamente, a una contestazione più grave rispetto al semplice concorso esterno (articolo Il Sole 24 Ore del 16.07.2013).

APPALTI: Accordo tra p.a. non evita la procedura pubblica.
Vietati gli accordi fra Amministrazioni se c'è un corrispettivo e se le attività possono essere svolte da operatori privati; obbligatoria la gara pubblica e illegittimo l'affidamento diretto.

Con la sentenza 15.07.2013 n. 3849 del Consiglio di Stato, la V Sez. del Consiglio di stato, nel confermare la pronuncia del Tar Puglia-Lecce 416/2010, ha affermato alcuni importanti principi in tema di legittimità degli accordi fra Amministrazioni.
Nel caso specifico -che ha visto come parti in causa da un lato l'Azienda Sanitaria Locale di Lecce e l'Università del Salento e dall'altro lato l'Oice (con l'Ordine degli ingegneri e degli architetti della Provincia di Lecce, il Consiglio nazionale degli ingegneri e il Consiglio nazionale degli architetti)- si è affermato che la presenza di un corrispettivo e il fatto che le attività oggetto dell'accordo siano reperibili presso operatori privati, oltre all'elemento della mancanza di un interesse comune fra le due amministrazioni, fanno sì che si debba procedere con appalto pubblico e non si possa utilizzare lo strumento previsto dall'articolo 15 della legge 241/1990.
La sentenza del Consiglio di stato -nel riconoscere che il contratto vede la Asl affidataria appropriarsi dietro corrispettivo del servizio svolto dall'Università che a sua volta si pone come operatore economico privato che offre sul mercato servizi rientranti nel campo di applicazione delle direttive Ue- recepisce in toto le considerazioni della Corte di giustizia europea del 19.12.2012 (causa C 159/11), che aveva dichiarato illegittimi gli accordi di collaborazione stipulati fra amministrazioni e Università per affidare in via diretta e senza gara, incarichi per servizi di ingegneria e di consulenza; la sentenza aveva affermato che gli accordi previsti dalla legge 241/1990 non possono essere utilizzati per eludere l'obbligo di affidare a terzi con gara contratti a titolo oneroso e sono legittimi soltanto se prevedono una effettiva cooperazione fra i due enti per l'adempimento comune di un servizio pubblico, senza prevedere un compenso.
Per Luigi Iperti, vicepresidente vicario Oic, «trionfano il libero mercato e la concorrenza» (articolo ItaliaOggi del 17.07.2013).

APPALTI: Anche questa Sezione si è espressa, in un passato anche recente, nel senso della non configurabilità della responsabilità precontrattuale della P.A. “anteriormente alla scelta del contraente, nella fase, cioè, in cui gli interessati non hanno ancora la qualità di futuri contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione , mentre non sussiste una relazione specifica di svolgimento delle trattative”.
Il fatto è che la ricaduta immediata di una simile impostazione è quella di finire, in pratica, con l’esonerare l’Amministrazione dal rispetto del dovere di diligenza e correttezza per tutto l’arco della sua azione sul terreno delle procedure dell’evidenza pubblica, che pure costituiscono la regola del suo agire nella dimensione contrattuale, finché l’Amministrazione stessa non sia pervenuta all’esito dell’aggiudicazione. E questo a dispetto della soggezione di principio, pur normalmente enunciata, della stessa P.A. all’istituto della culpa in contrahendo, che porta ad affermare che la sua responsabilità precontrattuale sarebbe “configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buonafede, alla cui puntuale osservanza anch'esso è tenuto, nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 cod. civ.”.
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La fase di formazione dei contratti pubblici, come è noto, è caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento amministrativo e di un procedimento negoziale. Il procedimento amministrativo è disciplinato da regole di diritto pubblico finalizzate ad assicurare il perseguimento, anche quando la p.a. agisce mediante moduli convenzionali, dell'interesse pubblico. Il procedimento negoziale è disciplinato da regole di diritto privato, finalizzate alla formazione della volontà contrattuale, che contemplano normalmente un invito ad offrire della p.a. cui segue la proposta della controparte e l'accettazione finale della stessa p.a. La presenza di un modello formativo della predetta volontà contrattuale predeterminato nei suoi profili procedimentali mediante la scansione degli atti sopra indicati, che vede normalmente la presenza di più soggetti potenzialmente interessati al contratto, non rappresenta un ostacolo all'applicazione delle regole della responsabilità precontrattuale.
Si è, infatti, in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto, non derogabile dalle parti, che si sviluppa secondo lo schema dell'offerta al pubblico. Non è, dunque, possibile scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale limitando l'applicazione delle regole di responsabilità precontrattuale alla fase in cui il "contatto sociale" viene individualizzato con l'atto di aggiudicazione. Del resto, anche nel diritto civile il modello formativo dell'offerta al pubblico presuppone normalmente il "contatto" con una pluralità di "partecipanti" al procedimento negoziale. Diversamente argomentando l'interprete sarebbe costretto a scindere un comportamento che si presenta unitario e che conseguentemente non può che essere valutato nella sua complessità.
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Nello svolgimento della sua attività di ricerca del contraente, l’amministrazione è tenuta non soltanto a rispettare le regole dettate nell’interesse pubblico (la cui violazione implica l’annullamento o la revoca dell’attività autoritativa) ma anche le norme di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune.
Il Collegio, per quanto precede, è dell’avviso che la circostanza che la procedura pubblicistica di scelta del contraente avviata non fosse ancora sfociata nell’aggiudicazione non valga, di per sé sola, ad escludere la configurabilità di una responsabilità precontrattuale in capo all’Amministrazione revocante, occorrendo invece all’uopo verificare in concreto la condotta da questa tenuta alla luce del parametro di diritto comune della correttezza nelle trattative (fermo restando, comunque, che il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale).
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La legittimità dell’atto di revoca non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento dell’Amministrazione dal punto di vista del rispetto, nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, dei canoni di buona fede e correttezza.
Secondo un’acquisizione giurisprudenziale già consacrata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la revoca dell’aggiudicazione e degli atti della relativa procedura, anche ove ritenuta legittima, lascia invero intatto “il fatto incancellabile degli “affidamenti” suscitati nell’impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi rimossi”, onde i relativi comportamenti dell’Amministrazione, allorché risultino contrastanti con le regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337 del cod. civ., si pongono quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale. E questa acquisizione si trova ribadita anche presso la giurisprudenza più recente.
In altre parole, quindi, “ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della p.a. non si deve tener conto della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall'Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art. 1337 c.c..

Il Comune con il primo mezzo d’appello assume che in materia di contratti pubblici una responsabilità precontrattuale della P.A. per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede potrebbe essere configurata solo in quella particolare fase della procedura che va dall’aggiudicazione alla stipula del contratto.
Prima dell’aggiudicazione, gli interessati sarebbero solo dei partecipanti al procedimento amministrativo volto alla selezione della migliore offerta, e come tali potrebbero soltanto far valere una pretesa alla legittimità degli atti compiuti dall’Amministrazione.
Poiché, quindi, nella specie la revoca di cui si tratta è stata disposta ancor prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, e perciò in assenza di qualsivoglia aggiudicazione, non sarebbe configurabile alcuna forma di culpa in contrahendo. Diversamente argomentando, viene aggiunto, si giungerebbe al “paradosso” che la tutela risarcitoria potrebbe essere invocata da tutti i partecipanti ad una procedura di gara pur legittimamente revocata.
Il motivo è infondato.
Il Collegio non potrebbe disconoscere il fatto che l’interpretazione su cui poggia il motivo abbia trovato importanti riscontri presso autorevole giurisprudenza (cfr. Cass. civ., SS.UU., 26.05.1997, n. 4673; Sez. I, n. 13164 del 18.06.2005).
Anche questa Sezione si è del resto espressa, in un passato anche recente, nel senso della non configurabilità della responsabilità precontrattuale della P.A. “anteriormente alla scelta del contraente, nella fase, cioè, in cui gli interessati non hanno ancora la qualità di futuri contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione , mentre non sussiste una relazione specifica di svolgimento delle trattative” (C.d.S., V, n. 3393 del 28.05.2010 e n. 6489 dell’08.09.2010: a fondamento di tale indirizzo, peraltro, è stata richiamata, a partire dalla sentenza della Sez. IV n. 5633 dell’11.11.2008, la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 6 del 05.09.2005, che oggettivamente tuttavia non risulta inscrivibile in tale orientamento).
Il fatto è che la ricaduta immediata di una simile impostazione è quella di finire, in pratica, con l’esonerare l’Amministrazione dal rispetto del dovere di diligenza e correttezza per tutto l’arco della sua azione sul terreno delle procedure dell’evidenza pubblica, che pure costituiscono la regola del suo agire nella dimensione contrattuale, finché l’Amministrazione stessa non sia pervenuta all’esito dell’aggiudicazione. E questo a dispetto della soggezione di principio, pur normalmente enunciata, della stessa P.A. all’istituto della culpa in contrahendo, che porta ad affermare che la sua responsabilità precontrattuale sarebbe “configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buonafede, alla cui puntuale osservanza anch'esso è tenuto, nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 cod. civ.” (Cass. civ., III, n. 12313 del 10.06.2005, richiamata da Sez. II, n. 477 del 10.01.2013).
Onde l’interpretazione sostenuta dall’appellante si traduce in un’aprioristica esenzione dal diritto comune dell’Amministrazione (proprio quando la medesima opera sul piano contrattuale) che appare di difficile giustificazione.
Occorre poi considerare che la gara non è “altro” rispetto alla formazione del contratto della P.A.; e che i privati che vi partecipano, sottoponendo le proprie offerte alla Stazione appaltante, hanno tutti la qualità di possibili futuri contraenti con l’Amministrazione.
Come ha esattamente osservato in sostanza il primo Giudice, invero, gli atti del procedimento dell’evidenza pubblica, in quanto preordinati alla conclusione del contratto, sono al tempo stesso configurabili anche quali atti di trattativa e di formazione progressiva del contratto stesso, e come tali rilevanti anche ai sensi dell’art. 1337 cod.civ..
Questo Consiglio ha recentemente osservato (Sez. VI, n. 5638 del 07.11.2012, e n. 4236 del 25.07.2012), infatti, che "La fase di formazione dei contratti pubblici, come è noto, è caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento amministrativo e di un procedimento negoziale. Il procedimento amministrativo è disciplinato da regole di diritto pubblico finalizzate ad assicurare il perseguimento, anche quando la p.a. agisce mediante moduli convenzionali, dell'interesse pubblico. Il procedimento negoziale è disciplinato da regole di diritto privato, finalizzate alla formazione della volontà contrattuale, che contemplano normalmente un invito ad offrire della p.a. cui segue la proposta della controparte e l'accettazione finale della stessa p.a. La presenza di un modello formativo della predetta volontà contrattuale predeterminato nei suoi profili procedimentali mediante la scansione degli atti sopra indicati, che vede normalmente la presenza di più soggetti potenzialmente interessati al contratto, non rappresenta un ostacolo all'applicazione delle regole della responsabilità precontrattuale. Si è, infatti, in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto, non derogabile dalle parti, che si sviluppa secondo lo schema dell'offerta al pubblico. Non è, dunque, possibile scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale limitando l'applicazione delle regole di responsabilità precontrattuale alla fase in cui il "contatto sociale" viene individualizzato con l'atto di aggiudicazione. Del resto, anche nel diritto civile il modello formativo dell'offerta al pubblico presuppone normalmente il "contatto" con una pluralità di "partecipanti" al procedimento negoziale. Diversamente argomentando l'interprete sarebbe costretto a scindere un comportamento che si presenta unitario e che conseguentemente non può che essere valutato nella sua complessità.”
Già in precedenza, peraltro, la revoca di una procedura contrattuale non ancora sfociata in aggiudicazione era stata considerata come possibile fonte di responsabilità precontrattuale da numerose decisioni di questo Consiglio, quali Sez. V, n. 2882 dell’11.05.2009 e n. 4947 dell’08.10.2008; Sez. VI, n. 5002 del 05.09.2011 e n. 4921 del 02.09.2011.
E la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 6 del 2005 aveva avvertito come “nello svolgimento della sua attività di ricerca del contraente l’amministrazione è tenuta non soltanto a rispettare le regole dettate nell’interesse pubblico (la cui violazione implica l’annullamento o la revoca dell’attività autoritativa) ma anche le norme di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune”.
Il Collegio, per quanto precede, è dell’avviso che la circostanza che la procedura pubblicistica di scelta del contraente avviata non fosse ancora sfociata nell’aggiudicazione non valga, di per sé sola, ad escludere la configurabilità di una responsabilità precontrattuale in capo all’Amministrazione revocante, occorrendo invece all’uopo verificare in concreto la condotta da questa tenuta alla luce del parametro di diritto comune della correttezza nelle trattative (fermo restando, comunque, che il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale).
Ne consegue l’infondatezza di questo primo mezzo di appello.
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Il Comune con il suo secondo mezzo oppone che la propria condotta sarebbe stata del tutto conforme ai canoni della correttezza e buona fede.
L’Ente adduce, difatti: di avere risposto in modo tempestivo e puntuale alle richieste di chiarimenti ricevute dopo la pubblicazione del bando di gara (G.U. 15.11.2010); di avere indi ragionevolmente deciso per la revoca della procedura, disposta con provvedimento del 24.12.2010: misura adottata a poco più di un mese dalla pubblicazione del bando, e prima del termine fissato per la presentazione delle offerte (il successivo giorno 28); di avere dato, infine, pronta quanto adeguata pubblicità a tale revoca, mediante pubblicazione sul proprio sito istituzionale il seguente 27 dicembre ed affissione all’albo pretorio a partire dal giorno 28 (oltre che mediante le forme a suo tempo seguite per il bando).
Queste considerazioni possono essere sostanzialmente condivise.
Il Tribunale, con il ritenere che dalla revoca di una procedura di gara, pur intrinsecamente legittima, potesse ben scaturire una responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, è partito da un principio di diritto astrattamente ineccepibile.
Esatta, infatti, è la sua osservazione che la legittimità dell’atto di revoca non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento dell’Amministrazione dal punto di vista del rispetto, nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, dei canoni di buona fede e correttezza.
Secondo un’acquisizione giurisprudenziale già consacrata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 6 del 05.09.2005), la revoca dell’aggiudicazione e degli atti della relativa procedura, anche ove ritenuta legittima, lascia invero intatto “il fatto incancellabile degli “affidamenti” suscitati nell’impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi rimossi”, onde i relativi comportamenti dell’Amministrazione, allorché risultino contrastanti con le regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337 del cod. civ., si pongono quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale. E questa acquisizione si trova ribadita anche presso la giurisprudenza più recente (cfr. C.d.S., VI: nn. 5638 del 07.11.2012 e 4236 del 25.07.2012, già richiamate sotto diverso profilo nel precedente paragrafo 2b; n. 1440 del 15.03.2012).
In altre parole, quindi, “ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della p.a. non si deve tener conto della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall'Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art. 1337 c.c.” (C.d.S., IV, 07.02.2012, n. 662, che richiama a sua volta V, 07.09.2009 n. 5245).
Tanto premesso, la Sezione deve tuttavia dissentire dal TAR nella parte in cui questo ha ritenuto che la condotta tenuta in concreto dal Comune fosse stata in contrasto con i parametri deontologici della fase precontrattuale ispirati al valore della correttezza.
Come ha già ricordato il primo Giudice, il provvedimento di revoca è stato motivato dall’Amministrazione comunale di Afragola con la “constatata equivocità nella formulazione di clausole che avevano dato luogo a numerose richieste di chiarimenti, ingenerando una notevole confusione nella giusta interpretazione della lex specialis, tale da indurre in errore i concorrenti nella procedura di gara. L’amministrazione, pertanto in vista di possibili contenziosi correlati alla constatata incertezza interpretativa, e dei connessi oneri futuri dovuti alla comune esperienza, ha inteso revocare la procedura di gara motivando la decisione con la necessità di garantire i principi fondamentali di trasparenza, correttezza, imparzialità e parità di trattamento nell’esperimento della gara medesima.”
Tali essendo le ragioni che hanno indotto il Comune a recedere dalla procedura contrattuale poco prima avviata, la loro serietà e plausibilità appaiono subito manifeste.
Partendo dall’equivocità della lex specialis, pur senz’altro ammessa dal Comune (tanto da porla a base del proprio atto di revoca), va osservato che tale connotato aveva carattere palese, essendo perciò manifesto anche per le ditte potenzialmente interessate. Come tale, pertanto, esso già in partenza menomava l’idoneità del bando a suscitare particolari affidamenti, in particolare con riferimento alla possibilità di una procedura dalla disciplina siffatta di andare a buon fine.
D’altra parte, il solo fatto dell’essersi una Stazione appaltante espressa, in occasione della redazione della disciplina di gara, con elementi equivoci, non può di per sé essere considerato alla stregua di un contegno lesivo del principio di correttezza nelle trattative: un’insufficiente chiarezza potrebbe essere stigmatizzata (al di là del caso estremo in cui sia addirittura seguita da un approfittamento della stessa parte dal contegno dianzi equivoco) solo quando sia stata senza giustificazione protratta nel tempo nel corso delle trattative, con il dare appunto seguito alla procedura a dispetto dell’ambiguità della sua lex specialis, tenendo in non cale le richieste di chiarimento avanzate dagli operatori. Ma una condizione del genere nella specie non ricorre.
Quanto alla circostanza che il Comune prima si sia adoperato per tentare di chiarire il senso della disciplina di gara, e solo in un secondo tempo si sia risolto per la revoca della procedura, tale punto, lungi dal poter formare materia di addebito, è semmai indice della cautela e del senso di responsabilità con cui l’Amministrazione si è mossa, optando per il recesso dalle trattative solo quando è risultato con sufficiente nitidezza che non esistevano margini tali da permettere di recuperare il procedimento mediante interventi di chiarimento interpretativo.
Va rilevato, infine, che la decisione di revoca della gara è stata presa con tempistica di per sé immune da possibili censure, e sollecitamente è stata resa conoscibile con i mezzi a disposizione (in generale, sulla necessità di dare notizia immediata della revoca di una procedura di evidenza pubblica cfr. già Ad.Pl. n. 6/2005 cit.).
Occorre difatti osservare che quella di cui si tratta era una procedura aperta, onde la Stazione appaltante non conosceva a priori l’identità delle imprese che avrebbero potuto parteciparvi, sì da poterle tempestivamente notiziare (a mezzo di fax o comunicazione di posta elettronica) prima che presentassero la loro offerta.
Non resta allora che rilevare che la revoca, decisa alla vigilia di Natale del 2010, è stata pubblicata sul sito istituzionale dell’Ente il primo giorno feriale successivo, vale a dire il 27 dicembre, e dall’indomani anche all’albo pretorio comunale, con tempistica dunque sufficientemente sollecita, e come tale non passibile di critica.
Per quanto precede, al Comune non può essere mosso alcun addebito di violazione del canone di correttezza nelle trattative
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.07.2013 n. 3831 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nelle gare pubbliche la formula da utilizzare per la valutazione dell'offerta economica può essere scelta dall'amministrazione con ampia discrezionalità e di conseguenza la stazione appaltante dispone di ampi margini nella determinazione non solo dei criteri da porre quale riferimento per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ma anche nella individuazione delle formule matematiche, con la conseguenza che il sindacato giurisdizionale nei confronti di tali scelte, tipica espressione di discrezionalità tecnico-amministrativa, può essere consentito unicamente in casi di abnormità, sviamento e manifesta illogicità.
E’ vero che è stato anche sottolineato che, proprio ai sensi dell'art. 83 del Codice dei contratti, nonché della direttiva CE 18/2004, nelle gare pubbliche il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa non può prescindere dal prezzo, con conseguente illegittimità di un criterio di valutazione dell'offerta prezzo che, mediante una formula aritmetica, conduca ad esiti opposti a quelli prefissati dal bando, giacché, seppure i criteri di attribuzione dei punteggi economici possono essere molteplici e variabili, ciò che conta è che nell'assegnazione dei punteggi, venga utilizzato tutto il potenziale range differenziale previsto per ciascuna voce ed in particolare della voce prezzo, al fine di evitare uno svuotamento di efficacia sostanziale della componente economica dell'offerta: tuttavia l’utilizzazione dell’intero potenziale del punteggio attribuibile in astratto all’offerta economica non può comportare, come pretenderebbero le appellanti, che la circostanza di aver presentato un’offerta economica migliore possa da sola giustificare l’aggiudicazione dell’appalto, proprio per la decisiva considerazione che nel metodo di scelta del contraente con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa deve tenersi conto anche dell’offerta tecnica e ben può accadere che possa risultare economicamente più vantaggiosa anche un’offerta che non sarebbe tale se si considerasse solo l’elemento economico.

E' sufficiente sul punto richiamare i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa (C.d.S., sez. V, 18.02.2013, n. 978; 27.06.2012, n. 3781; 22.03.2012, n. 1640; 01.03.2012, n. 1195; 18.10.2011, n. 5583; sez. III, 22.11.2011, n. 6146; sez. VI, 11.05.2011, n. 2795; Cass. civ., sez. un., 17.02.2012, nn. 2312 e 2313; Corte cost., 03.03.2011, n. 175), in forza dei quali, tra l’altro, nelle gare pubbliche la formula da utilizzare per la valutazione dell'offerta economica può essere scelta dall'amministrazione con ampia discrezionalità e di conseguenza la stazione appaltante dispone di ampi margini nella determinazione non solo dei criteri da porre quale riferimento per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ma anche nella individuazione delle formule matematiche, con la conseguenza che il sindacato giurisdizionale nei confronti di tali scelte, tipica espressione di discrezionalità tecnico-amministrativa, può essere consentito unicamente in casi di abnormità, sviamento e manifesta illogicità.
E’ vero che è stato anche sottolineato (C.d.S., sez. V, 31.03.2012, n. 1899) che, proprio ai sensi dell'art. 83 del Codice dei contratti, nonché della direttiva CE 18/2004, nelle gare pubbliche il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa non può prescindere dal prezzo, con conseguente illegittimità di un criterio di valutazione dell'offerta prezzo che, mediante una formula aritmetica, conduca ad esiti opposti a quelli prefissati dal bando, giacché, seppure i criteri di attribuzione dei punteggi economici possono essere molteplici e variabili, ciò che conta è che nell'assegnazione dei punteggi, venga utilizzato tutto il potenziale range differenziale previsto per ciascuna voce ed in particolare della voce prezzo, al fine di evitare uno svuotamento di efficacia sostanziale della componente economica dell'offerta: tuttavia l’utilizzazione dell’intero potenziale del punteggio attribuibile in astratto all’offerta economica non può comportare, come pretenderebbero le appellanti, che la circostanza di aver presentato un’offerta economica migliore possa da sola giustificare l’aggiudicazione dell’appalto, proprio per la decisiva considerazione che nel metodo di scelta del contraente con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa deve tenersi conto anche dell’offerta tecnica e ben può accadere che possa risultare economicamente più vantaggiosa anche un’offerta che non sarebbe tale se si considerasse solo l’elemento economico (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.07.2013 n. 3802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 15.07.2013 n. 164 "Modalità per l’istituzione e l’aggiornamento degli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 1, comma 52, della legge 06.11.2012, n. 190" (D.P.C.M. 18.04.2013).
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Arriva la white list degli appalti. L'iscrizione è volontaria ma semplifica le procedure. In G.U. il dpcm che istituisce l'elenco in vista dell'Expo e della ricostruzione in Abruzzo.
Expo 2015 e ricostruzione in Abruzzo al riparo da infiltrazioni mafiose. Sarà su base volontaria, e non obbligatoria per le imprese, l'iscrizione alla white list dei prestatori di servizi ed esecutori di lavori immuni da contaminazioni criminali. Ma essere iscritti all'elenco velocizzerà le procedure perché l'impresa che ne fa parte sarà esonerata per tutto il periodo di efficacia dello stesso (un anno) dal produrre la documentazione comprovante lo status di azienda «mafia free».
Il dpcm (datato 18.04.2013) che fa ufficialmente partire l'elenco è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 164 del 15.07.2013. Anche se per la definitiva entrata in vigore bisognerà attendere Ferragosto (30 giorni dalla pubblicazione in G.U.). Il provvedimento disegna una procedura molto rapida per l'iscrizione che potrà essere chiesta dal titolare dell'impresa o dal suo legale rappresentante anche per via telematica indicando i settori di attività. Sarà la prefettura competente per territorio a rilasciare il nullaosta all'iscrizione dopo aver interrogato la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia.
In caso di esito positivo la liberatoria antimafia sarà rilasciata immediatamente. Qualora invece risulti che l'impresa non è censita in Banca dati o qualora gli accertamenti antimafia siano più vecchi di un anno, la prefettura effettuerà le necessarie verifiche e, se accerta la mancanza dei requisiti, procederà al diniego dandone comunicazione all'interessato. In ogni caso la prefettura dovrà esprimersi entro 90 giorni dalla ricezione dell'istanza. Un mese prima che scada l'iscrizione, le imprese dovranno comunicare l'interesse a permanere in elenco anche per settori diversi da quelli per cui sono iscritte.
Le prefetture potranno effettuare in qualsiasi momento controlli a campione per verificare la pulizia delle imprese che fanno parte della white list.
L'elenco delle imprese iscritte sarà pubblicato sul sito istituzionale di ciascuna prefettura nella sezione «Amministrazione trasparente». Dovrà inoltre essere chiaramente indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata a cui possono essere inoltrate le richieste di iscrizione (articolo ItaliaOggi del 16.07.2013).

LAVORI PUBBLICICassazione. A carico dell'ente gestore. Se manca la legge resta l'obbligo di adeguare la strada.
L'ente gestore di una strada deve adeguarla ai più moderni standard di sicurezza anche se non c'è un espresso obbligo giuridico: basta il principio del neminem laedere. E la responsabilità del mancato adeguamento ricade direttamente sui vertici aziendali, se hanno deciso di non intervenire per motivi economici e non hanno adottato misure alternative per garantire la sicurezza.

Princìpi innovativi, stabiliti dalla IV Sez. penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 12.07.2013 n. 30190 diventata di attualità dopo la tragedia del bus precipitato domenica scorsa da un viadotto dell'autostrada A16 a Monteforte Irpino (Avellino).
In effetti, i princìpi di questa sentenza potrebbero essere applicati –in tutto o in parte– anche a questo incidente, perché i teatri dei due sinistri sono analoghi: viadotti con guard-rail non adeguati. La Cassazione si è pronunciata sul caso di un'auto che percorreva l'autostrada A20 ed è caduta dal pericoloso viadotto Ritiro, nell'abitato di Messina.
Su quel tratto di strada non erano state installate barriere in linea con i requisiti di sicurezza attuali, nonostante dal 1994 al 2003 dai viadotti dell'A20 ci siano stati 32 cadute (22 mortali e 10 con feriti): la direzione Tecnica e di esercizio del Cas (Consorzio autostrade siciliane) aveva escluso quel tratto dalla riqualificazione, per motivi economici. La carenza riguardava un solo senso di marcia, quello verso Palermo, in cui procedeva l'auto; l'altra carreggiata era ben protetta.
La sostituzione dei guard-rail era avvenuta volontariamente, perché in quel caso non c'era alcun obbligo specifico: la normativa attuale (Dm Lavori pubblici 223/92 e Dm Infrastrutture 21.06.2004) non si applica alle strade costruite prima del 1992, salvo che siano sottoposte a lavori significativi. E questo non era il caso del viadotto Ritiro al momento dell'incidente.
La pubblica accusa aveva così configurato una forma di colpa generica, come richiesto dalla parte civile, assistita dai legali dell'Aifvs (Associazione italiana familiari vittime della strada). La difesa aveva ribattuto che tale colpa non sarebbe configurabile quando gli imputati si sono comunque attenuta alle «disposizioni chiare e precise» del Dm 223/92.
La Corte ha richiamato una sua precedente sentenza (la 15229/08) per affermare che «l'osservanza delle norme precauzionali scritte non fa venir meno la responsabilità colposa dell'agente, perché esse non sono esaustive delle regole prudenziali realisticamente esigibili rispetto alla specifica attività o situazione pericolosa cautelata, potendo residuare una colpa generica in relazione al mancato rispetto della regola cautelare non scritta del neminem laedere, la cui violazione costituisce colpa per negligenza o imprudenza».
I giudici "suggeriscono" anche un modo per superare la mancanza di fondi: restringere la carreggiata per rallentare i veicoli e imporre un limite di velocità prudenziale (articolo Il Sole 24 Ore del 03.08.2013).

APPALTI: Appalti unificati. Centrale unica per i piccoli comuni. La Consulta ammette l'errore. La norma resta.
I piccoli comuni non sfuggono all'obbligo di costituire le centrali uniche di committenza per gli appalti. Entro fine anno gli enti fino a 5.000 abitanti dovranno individuare una stazione unica appaltante per l'acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito delle unioni di comuni esistenti o stipulando tra loro appositi accordi di tipo consortile.
È giunto a soluzione il piccolo giallo, scoperto da ItaliaOggi (si veda il giornale di ieri) sulla presunta abrogazione dell'art. 23, comma 4, del decreto Salva Italia (dl n. 201/2011) a opera della sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato la riforma delle province.
Non c'è stata nessuna dichiarazione di illegittimità della norma, ma si è trattato semplicemente di un errore materiale di redazione del comunicato che mercoledì scorso ha dato notizia del dispositivo (non ancora depositata) emanato dalla Corte. La certezza sul fatto che si sia trattato di un errore si avrà all'inizio della prossima settimana quando è atteso il deposito delle motivazioni della sentenza che, stando ad alcune indiscrezioni, potrebbe arrivare già lunedì.
La precisazione è arrivata a ItaliaOggi direttamente da palazzo della Consulta e restituisce certezza agli operatori dei piccoli comuni che in questi giorni non sapevano più che pesci prendere. Le centrali uniche di committenza, quindi, andranno costituite. E sul territorio gli enti iniziano già ad organizzarsi.
A Treviso, per esempio, Anci e Upi Veneto hanno sottoscritto una convenzione per la promozione di centrali uniche di committenza. Peccato però che i soggetti deputati a svolgere i nuovi compiti siano stati individuati proprio nelle province che dovrebbero invece essere cancellate. «Si tratta di un servizio gratuito per assicurare anche in tempi economici difficili trasparenza, regolarità ed economicità nella gestione dei contratti pubblici. Mettiamo a disposizione dei piccoli comuni le professionalità e le competenze delle province, perché possano far fronte alle necessità del territorio e per ottimizzare le risorse economiche e umane interessate», ha dichiarato il presidente dell'Upi Veneto e della provincia di Treviso, Leonardo Muraro (articolo ItaliaOggi del 12.07.2013).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl ministro. «Gli ecobonus saranno strutturali». Lupi: una vergogna l'Imu sull'invenduto. Appalti, torna l'anticipo.
ANTONIO TAJANI/ «La direttiva che impone alle Pa pagamenti in 30 giorni va applicata senza indugi altrimenti proporrò una procedura d'infrazione».

Una «bad practice» da insegnare nelle università delle vessazioni fiscali. Di più: una «vergogna». Di fronte alla platea di imprenditori infiammata dalle parole piuttosto dirette del presidente dell'Ance, che aveva parlato poco prima, il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, sceglie di non usare giri di parole, affrontando l'argomento più caldo per un costruttore: la cancellazione dell'Imu sull'invenduto. Il ministro sa che non è più tempo di annunci a vuoto e che il «fattore tempo è fondamentale» per rispondere alle attese di un settore «che ha pagato il conto più salato alla crisi economica».
Sull'Imu arrivano allora tre precisazioni. Entro il 30 agosto «quella sulla prima casa va cambiata e superata senza pregiudizi ideologici». Stessa posizione sull'imposta che grava sulle case invendute: il “magazzino” dei costruttori, che secondo gli ultimi calcoli effettuati dal Cresme includerebbe perlomeno 400mila abitazioni in tutta Italia.
«Il nostro Paese -dice Lupi- è l'unico al mondo in cui esiste un'imposta su un prodotto che non ha trovato sbocco sul mercato», aprendo la strada anche al riutilizzo degli immobili in un piano di housing sociale. Apertura anche sull'Imu pagata per i beni strumentali delle imprese: all'orizzonte non c'è la cancellazione. Ma, chiarisce Lupi, «non è pensabile che un imprenditore paghi 12 volte le tasse: l'Imu sui capannoni va inserita in bilancio e considerata come un costo».
Suonano come balsamo sulle piaghe aperte dalla crisi nei cantieri italiani anche le altre promesse del ministro ai costruttori che affollano il Palazzo dei Congressi di Roma. La prima riguarda la stabilizzazione degli incentivi fiscali per la riqualificazione degli immobili. «Ecobonus del 65% e sconti del 50% sulle ristrutturazioni dal primo gennaio 2014 dovranno diventare strutturali -annuncia il ministro-. Ci metto la faccia: e mi giudicherete dai fatti». Quanto agli investimenti in infrastrutture Lupi ricorda i 2 miliardi di «pronta cassa» sbloccati con il «decreto del fare». Risorse «capaci di assicurare una spesa reale di 50 milioni al mese».
Non lontana, è la sottolineatura, «dai 78 milioni di “tiraggio” garantita dalla spesa in opere pubbliche nel 2004», periodo pre-crisi. E per ovviare al credit crunch che strangola il settore arriva la proposta-choc: il ritorno della vecchia anticipazione sui lavori pubblici, abolita dalla riforma della legislazione sugli appalti varata in epoca post-Tangentopoli. «C'è un problema di liquidità delle imprese che va risolto già nella fase di conversione del decreto del fare». Chi vince un appalto, è la soluzione proposta, «deve ottenere un anticipo» sui lavori. Quanto? «Per me l'ottimo sarebbe il 20% -dice Lupi- ma se fosse anche il 15% o il 10% andrebbe comunque bene: in questa fase la cosa più importante è ribadire il principio, l'attenzione alla soluzione dei problemi».
Il tema dei pagamenti alle imprese è anche al centro dell'intervento di Antonio Tajani, vice presidente della Commissione europea.
«La direttiva che impone pagamenti in 30 giorni per lavori e forniture della Pa -dice Tajani- va applicata senza compromessi. Prima della pausa estiva convocherò i rappresentanti dell'Ance e della Confartigianato e se, come pare, si scoprirà che il recepimento non è confacente alle attese, sarò costretto a proporre una procedura di infrazione con costi notevoli per lo Stato» (articolo Il Sole 24 Ore del 12.07.2013).

APPALTIDecreto del fare. Possibile l'allargamento a tutti gli obblighi fiscali.
Appalti e responsabilità solidale: rispunta la cancellazione piena.
La solidarietà fiscale nell'ambito degli appalti potrebbe essere integralmente abrogata.

Questo è quanto prevede l'emendamento alla legge di conversione del decreto del fare presentato da Enrico Zanetti, deputato di Scelta Civica, e incluso tra le proposte di modifica accolte dalla Commissione Finanze della Camera e inviata ora alle Commissioni referenti (Bilancio e Affari costituzionali).
Inizialmente il decreto del fare, in effetti, prevedeva l'abolizione delle responsabilità solidali per Iva e ritenute alla fonte che obbligano le imprese a controlli onerosi e complicano le procedure di pagamento dei corrispettivi. Successivamente, però, nella versione finale del provvedimento, è stata cancellata solo la responsabilità solidale per l'Iva.
Alla riunione di ieri era presente anche il viceministro dell'Economia, Luigi Casero, che si è impegnato su questo punto a tenere conto del parere votato dalla Commissione Finanze. «È una bella notizia per tutte le imprese e per tutte le persone di buon senso –ha sottolineato, Zanetti-. Il decreto del fare aveva fatto un primo passo nella giusta direzione, ma era insufficiente perché abrogava solo per l'Iva e manteneva in piedi la disciplina per le ritenute alla fonte. Ora speriamo che questa disciplina, già abrogata una prima volta nel 2007, non risorga mai più e si smetta di intralciare chi cerca di lavorare e produrre con disposizioni figlie di una mentalità burocratica completamente slegata dalla realtà».
In commissione sono stati presentati anche altri emendamenti di semplificazione da Zanetti, su cui si conoscerà nei prossimi giorni il parere favorevole o meno di Commissione e Governo prima dell'approdo in Aula, dalla semplificazione dei modelli Intrastat alla trasformazione in adempimento annuale della comunicazione telematica delle dichiarazioni d'intento ricevute dai fornitori degli esportatori abituali, dalla semplificazione della comunicazione telematica delle operazioni con paesi black list all'abrogazione della comunicazione telematica dei beni di impresa concessi in uso a soci e familiari (articolo Il Sole 24 Ore del 12.07.2013).

APPALTI: Appalti, la p.a. non è solidale. Il lavoratore senza salario non può agire contro l'ente. Nel decreto legge sul lavoro l'interpretazione autentica del dlgs n. 276 del 2003.
La solidarietà per il pagamento degli stipendi ai dipendenti dell'appaltatore non si applica alle pubbliche amministrazioni. Il lavoratore, rimasto senza salario, non può invocare la legge Biagi (dlgs 276/2003) per agire contro la p.a., chiedendone la condanna, insieme al suo datore di lavoro, al pagamento delle retribuzioni.

Il decreto legge sul lavoro, 76/2013, all'articolo 9, con una disposizione di interpretazione autentica prevede, infatti, che le disposizioni di cui all'articolo 29, comma 2, del dlgs 276/2003 (legge Biagi) non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni. La norma si applica anche ai processi in corso.
L'articolo 2 citato dispone che in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, e anche con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
Stando all'ultima versione della norma il committente imprenditore o datore di lavoro deve essere citato in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può chiedere di pagare solo dopo che il lavoratore ha tentato l'esecuzione contro il suo datore di lavoro (beneficio della preventiva escussione).
In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento potrà rivalersi sul coobligato.
Nei tribunali si discute se questa disposizione si applica anche agli appalti pubblici e, cioè, quando il committente è una pubblica amministrazione: ci si chiede, quindi, se il dipendente dell'appaltatore può chiedere un decreto ingiuntivo contro la stazione appaltante pubblica o, comunque, fare causa all'ente pubblico per ottenere gli stipendi e i tfr non pagati.
A favore della tesi favorevole sta un ragionamento, che fa perno sulla finalità di tutela del lavoratore, finalità da perseguire anche quando il committente è un ente pubblico (altrimenti ci sarebbe discriminazione tra i lavoratori).
Va detto che la tesi favorevole prevale nelle sentenze di primo grado, mente ci sono pronunce di appello di diversa opinione.
A favore della tesi contraria, che esclude le p.a. dall'articolo 29 della legge Biagi, ci sono considerazioni che riguardano la portata letterale della norma: l'articolo 29 non fa riferimento agli appalti pubblici; l'articolo 29 fa riferimento a committenti-imprese e tali non sono le pubbliche amministrazioni; poi l'articolo 2 della legge Biagi sembra escludere le p.a. dall'ambito di applicazione. Si sostiene ancora che una spia dell'inapplicabilità alle p.a. è lo stesso articolo 29 nella parte in cui prevede l'assunzione dei lavoratori danneggiati presso il committente, norma, questa, incompatibile con le modalità di reclutamento dei dipendenti pubblici.
Inoltre bisogna considerare che nel momento attuale di crisi, in caso di inadempimento contributivo dell'imprenditore, molto spesso la stazione appaltante pubblica non può pagare l'imprenditore, dovendo invece, in caso di Durc negativo, corrispondere le somme dovute direttamente all'ente previdenziale: si trova esposta, magari senza avere avuto la realizzazione dell'opera pubblica, sia con i lavoratori, sia con gli enti previdenziali e assicurativi.
Infine il regolamento del codice dei contratti pubblici (dpr 207/2010) contiene norme specifiche per l'ipotesi di mancato pagamento dei salari: l'ente pubblico può pagare direttamente i lavoratori, ma solo nel limite di quanto eventualmente dovuto all'impresa appaltatrice. Si tratta di una norma speciale, che esclude già oggi, secondo alcuni, l'applicazione della legge Biagi negli appalti pubblici.
Non a caso il decreto legge 76/2013 si autodefinisce, nella relazione di accompagnamento, quale norma di interpretazione autentica: questo significa, quindi, che si applica anche alle controversie in corso (articolo ItaliaOggi dell'11.07.2013).

APPALTI SERVIZI: CONTRATTI PUBBLICI/ L'ok dell'Authority. Bandi tipo al via. Si parte con pulizie e polizze.
L'Autorità avvia i lavori per i bandi-tipo dando priorità ai servizi di pulizia e manutenzione degli immobili, ai servizi assicurativi e a quelli di ingegneria e architettura, da luglio a gennaio 2014; esclusi dai bandi-tipo i servizi di gestione dei rifiuti e quelli sanitari.

È quanto ha deciso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con il documento pubblicato l'08.07.2013 che conclude la consultazione avviata il 19.03.2013 sui bandi tipo per l'affidamento dei contratti pubblici di servizi e forniture.
L'indagine era stata utilizzata per comprendere in quali ambiti merceologici vi fossero maggiori criticità e per capire l'impatto economico sul mercato dei contratti di ogni settore. Inizialmente erano stati individuati i settore delle forniture in ambito sanitario (prodotti farmaceutici, apparecchiature medicali, dispositivi medici e materiale di consumo specialistico), i servizi di gestione degli immobili (servizi di pulizia e di manutenzione, i servizi energetici, i servizi integrati del facility management e del global service), i servizi di illuminazione pubblica, la gestione del ciclo dei rifiuti, i servizi assicurativi e i servizi di ingegneria ed architettura.
A seguito della consultazione l'Autorità ha però rilevato profonde differenze fra i diversi settori e quindi ha ritenuto efficace l'intervento di regolazione attraverso bandi-tipo soltanto in alcuni ambiti. In particolare sono stati esclusi i settori della gestione del ciclo dei rifiuti e dell'illuminazione pubblica, data «la complessità degli stessi, legata, soprattutto, al mutevole quadro normativo, alle competenze legislative di livello locale e alle varie articolazioni dei servizi, e la natura delle criticità riscontrate (talune delle quali non risolvibili attraverso la predisposizione di documentazione di gara standard)».
L'Autorità ha anche ritenuto non opportuno intervenire nei servizi del settore sanitario in quanto l'elaborazione di documentazione di gara standard è resa complessa dall'eterogeneità delle forniture, dai diversi schemi contrattuali utilizzati (semplice fornitura, noleggio, gestione dei servizi in modalità «full risk» ecc.), dall'esistenza di forme di centralizzazione degli acquisti. Per questi ambiti l'Autorità si è riservata di valutare altre «forme di intervento regolatorio più opportune» (articolo ItaliaOggi dell'11.07.2013).

APPALTI: Mini-enti, caos appalti. Giallo sulla centrale unica di committenza. L'obbligo sembrerebbe essere stato cancellato dalla Consulta.
A rischio l'obbligo di costituire, entro fine anno, centrali uniche di committenza per gli appalti nei piccoli comuni. La norma del decreto «salva Italia» (art. 23, comma 4 del dl 201/2011) potrebbe infatti essere stata spazzata via dalla Consulta nella sentenza che ha bocciato la riforma delle province.

Il condizionale è d'obbligo perché finora si conosce solo il dispositivo della decisione e non le motivazioni che verranno probabilmente depositate tra il 16 e il 17 luglio.
Nel comunicato diffuso dalla Corte costituzionale per anticipare i contenuti della sentenza, in effetti, si legge che, fra le disposizioni censurate da tale pronuncia, rientra anche l'art. 23, comma 4, del decreto «salva Italia» (dl 201/2011).
Ma secondo alcuni potrebbe trattarsi di un errore materiale, giacché tale previsione sembra essere piuttosto avulsa dalle altre esaminate dalla Corte. Peraltro, la norma incriminata ha poi subito una successiva modifica da parte dell'art. 1, comma 4, della «spending review» (dl 95/2012), che ha previsto, come alternativa all'incardinamento della centrale unica di committenza nell'ambito delle unioni di comuni esistenti, ovvero alla stipula di appositi accordi di tipo consortile fra i municipi interessati, la possibilità per gli stessi di rivolgersi alle centrali di committenza già esistenti, ovvero di passare attraverso il mercato elettronico della p.a. Tale successiva disposizione non risulta in alcun modo censurata, così come pare ancora in vigore il comma 5 del citato art. 23, laddove è stabilito il termine per l'adempimento. Il comunicato non cita neppure l'art. 1, comma 1, del dl 95, che prevede le sanzioni a carico degli enti inadempienti.
Tuttavia nel testo della norma la parola «provincia» compare eccome. Si legge infatti che «i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna provincia affidano obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito delle unioni dei comuni, di cui all'articolo 32 del Tuel, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici». Quindi, gli ambiti di organizzazione delle nuove centrali di committenza saranno o le unioni di comuni, se costituite, o in mancanza un accordo consortile tra gli enti.
Tra le nove regioni che con i loro ricorsi hanno contribuito a «picconare» la riforma delle province, solo una, il Friuli Venezia Giulia ha impugnato anche il comma 4 dell'art. 23 per violazione di svariate norme costituzionali, ma anche dello Statuto che, come per tutte le regioni autonome, ha rango pari a quello della Carta.
Ricordiamo che l'obbligo, che in origine avrebbe dovuto applicarsi e gare bandite dopo il 31.03.2012, è stato poi prorogato due volte, prima (dal dl 216/2011) al 31.03.2013 e poi (dal recente dl 43/2013) al 31.12.2013.
In ogni caso, la centrale unica di committenza ricade comunque nell'ambito delle funzioni fondamentali che i piccoli comuni devono mettere in forma associata entro la fine di quest'anno. La relativa «mappa» è contenuta nell'art. 19 del dl 95, che impone, fra l'altro, la gestione mediante unione o convenzione della funzione «organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo». Una dizione, questa, che pare includere anche gli appalti (articolo ItaliaOggi dell'11.07.2013).

APPALTI: Gare pubbliche, carte al bando. Certificati di esecuzione lavori al casellario informatico. In G.U. la delibera dell'Authority che sta destando preoccupazioni tra gli operatori.
Tutti i certificati di esecuzione dei lavori devono essere trasmessi al Casellario informatico dell'Autorità per la vigilanza ai fini del rilascio dell'attestato Soa di qualificazione; non più utilizzabili i certificati rilasciati in forma cartacea.
È questo l'effetto derivante dall'entrata in vigore della deliberazione 23.05.2013 n. 24 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 159 del 09.07.2013, che fornisce indicazioni alle stazioni appaltanti, alle Soa e alle imprese in materia di emissione dei certificati di esecuzione lavori (i cosiddetti Cel).
Si tratta della delibera di cui in questi giorni le Associazioni che riuniscono le Soa hanno chiesto il differimento (vedi ItaliaOggi di ieri). Le indicazioni hanno lo scopo di chiarire gli adempimenti per tutti i soggetti della filiera in relazione anche al fatto che, in base al dpr 207/2010 (regolamento del Codice), le Soa nell'attività di attestazione devono rilevare l'esistenza di Cel non presenti nel casellario informatico e darne comunicazione alle stazioni appaltanti e all'Autorità per gli eventuali provvedimenti sanzionatori.
In sostanza già oggi i Cel dovrebbero essere stati inseriti nel Casellario in forma digitale e non dovrebbero più essere utilizzabili i Cel cartacei; ciononostante l'Autorità rileva un «notevole rallentamento nell'attività di attestazione delle imprese provocato dal mancato rilascio dei Cel per via telematica con le conseguenti gravi ripercussioni sul regolare andamento del mercato dei contratti pubblici». Da ciò l'invito, in primis alle imprese di costruzioni, a chiedere formalmente l'emissione del Cel alla stazione appaltante. In secondo luogo la delibera chiede alle stazioni appaltanti di emettere i Cel secondo le modalità telematiche indicate dall'Autorità entro trenta giorni, previo rilascio di copia del Cel all'impresa o indicazione del numero di inserimento nella procedura informatica.
La procedura telematica è consultabile nel «Manuale Utente» presente sul sito dell'Autorità all'indirizzo www.avcp.it. L'organismo di attestazione (Soa) a sua volta, qualora nell'attività di attestazione della qualificazione dell'impresa dovesse riscontrare che il Cel non risulta presente nel casellario informatico, ha l'onere di darne diretta comunicazione alla stazione appaltante e all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici per l'eventuale adozione del provvedimento sanzionatorio.
In questa fase di segnalazione la Soa deve anche allegare la documentazione di comprova dell'avvenuta ricezione da parte della stazione appaltante della richiesta avanzata dall'impresa esecutrice dalla quale sono computati i prescritti 30 giorni per l'emissione del Cel. Queste indicazioni, si legge nella delibera, devono riguardare
«tutti i Cel utili ai fini della qualificazione dell'impresa, indipendentemente dalla loro data di emissione».
Ed è proprio questo il punto più delicato della delibera che Unionsoa e Usi hanno nei giorni scorso contestato (si veda ItaliaOggi di ieri); infatti in molti casi le stazioni appaltanti non si sono adeguate finora e molti sono i certificati rilasciati in forma cartacea che ancora vengono utilizzati (articolo ItaliaOggi del 10.07.2013).

APPALTI: Determinazione a contrattare e di aggiudicazione provvisoria, possono essere assorbite in un unico atto?
Domanda
Nel caso di affidamento diretto per lavori di importo inferiore ad Euro 40.000,00 la determinazione a contrattare e la determinazione di aggiudicazione provvisoria possono essere omesse ed assorbite entrambe, dopo aver verificato preliminarmente i requisiti oggettivi e soggettivi e la capacità a contrattare dell'affidatario, dalla determinazione di affidamento?
Risposta
Al fine di rendere più chiaro il quesito di cui si chiede la risoluzione, è opportuno indicare cosa s'intende per determinazione a contrarre e cosa s'intende per determinazione di aggiudicazione provvisoria.
Sommariamente la determinazione a contrarre è l'atto, di spettanza dirigenziale, con il quale la stazione appaltante, P.A., manifesta la propria volontà di stipulare un contratto; invece la determinazione di aggiudicazione provvisoria è l'atto con il quale una gara di appalto viene aggiudicata provvisoriamente in capo a colui che risulta aggiudicatario, essendo però questa un atto necessario ma non definitivo atteso che l'individuazione definitiva del concorrente risulta cristallizzata soltanto con l'aggiudicazione definitiva (cfr. da ultimo Cons. Stato Sez. V, 13.10.2010, n. 7460).
L'art. 11, comma 2, del Codice degli Appalti espressamente prevede che "Prima dell'avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici decretano o determinano di contrarre, in conformità ai propri ordinamenti, individuando gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte".
Inoltre, sulla questione occorre evidenziare come l'art. 125, comma 8, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, preveda espressamente : "... Per i lavori di importo inferiore a 40.000 euro è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento".
Fatte tali doverose premesse, secondo parte della dottrina è possibile rispondere positivamente al quesito proposto.
E' preferibile ritenere che anche per il ricorso all'affidamento diretto ad un operatore per importi inferiori alla suddetta soglia debba comunque esservi la previa determinazione a contrarre in quanto l'art. 11, comma 2, Codice dei Contratti, è espressione di un principio generale applicabile anche alle procedure in economia.
Per i lavori in economia, l'art. 174 del Regolamento di esecuzione ed attuazione rimette in genere tale potere "autorizzatorio" direttamente al responsabile del procedimento.
Nel caso di specie, pertanto, può ritenersi che le determinazioni di cui sopra possono essere assorbite entrambe in un unico atto, in quanto come si evince dal comma 8 dell'art. 125 D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 responsabile dell'affidamento, per i lavori di importo inferiore a 40.000,00, sarà il responsabile del procedimento il quale è investito nella diretta responsabilità della stazione appaltante che è al medesimo tempo committente e parte del rapporto contrattuale: ciò emerge chiaramente dalla stessa lettera della norma dove viene disposto che "Per ogni acquisizione in economia le stazioni appaltanti operano attraverso un responsabile del procedimento ai sensi dell'art. 10".
Ad ulteriore conferma di quanto sopra, al fine di assicurare la massima semplificazione della procedura, lo stesso Legislatore ha previsto all'art. 334, comma 2, del Regolamento che "il contratto affidato mediante cottimo fiduciario è stipulato attraverso scrittura privata, che può anche consistere in apposito scambio di lettere con cui la stazione appaltante dispone l'ordinazione dei beni o dei servizi, che riporta i medesimi contenuti previsti dalla lettera di invito".
Resta inteso che, in ogni caso, dovrà procedersi alla verifica del possesso di requisiti di ordine generale (art. 38) in capo all'affidatario che dovrà dimostrare anche la sussistenza dei requisiti di capacità tecnica necessari per l'esecuzione dei lavori in questione (10.07.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: Accesso agli atti.
Domanda
Vorrei sapere se nell'ambito di una gara per i servizi di assistenza domiciliare anziani la ditta arrivata seconda ha diritto di avere copia del progetto di chi l'ha preceduta. Naturalmente la prima classificata ha già risposto di opporsi a quest'evenutalità in quanto il progetto presentato è frutto del proprio lavoro, anche tramite dei consulenti pagati appositamente, e del proprio know-how.
Risposta
L'esigenza di permettere l'accesso agli atti in una procedura di gara è contemperato dalla corrispondente esigenza di tutela del c.d. know-how e della tutela giudiziaria. Come noto, l'art. 3 del Dpr 184/2006 prevede espressamente la notifica ai controinteressati, i quali devono essere messi nella condizione di poter esercitare la propria opposizione alla richiesta di accesso formulata da un altro concorrente.
Ovviamente tale opposizione deve essere motivata e, in relazione alla contrattualistica pubblica, ai sensi dell'art. 13, comma 5, D.lgs. 163/2006, potrebbe essere basata su una delle ragioni che permettono la sottrazione all'accesso:
a) informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali;
b) eventuali ulteriori aspetti riservati delle offerte, da individuarsi in sede di regolamento;
c) pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici;
d) relazioni riservate del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto.
Nel caso di specie, viene in considerazione soprattutto la lettera a) prima citata che, tuttavia, cede all'esigenza di avere una adeguata tutela giudiziaria, in base alle prescrizioni di cui all'art. 13, comma 6, del codice dei contratti. Per rafforzare la protezione della tutela dei dati progettuali, in alcuni casi il bando o il disciplinare prevedono specifiche indicazioni a tal proposito, ma, anche in questo caso, la tutela è comunque cedevole nel caso in cui il documento sia presupposto dall'indagine giudiziaria.
In questo senso, recentemente si è espressa la giurisprudenza, la quale ha chiarito che "La normativa sull'accesso è funzionale a garantire altri interessi e in questi limiti consente la visione e l'estrazione di copia. Pertanto, poiché né il diritto di autore né la proprietà industriale precludono la riproduzione sic et simpliciter, ma solo la riproduzione che consenta uno sfruttamento economico e non essendo l'accesso lesivo di tale diritto all'uso economico esclusivo del progetto, l'ostensione va consentita, fermo restando che l'uso appropriato delle informazioni così ottenute, rappresentato esclusivamente dalla strumentalità alla tutela dell'interesse fatto valere, costituisce non solo la funzione per cui è consentito l'accesso stesso, ma anche il limite di utilizzo dei dati appresi" (TAR, Bari, Puglia, sez. II, 13.02.2013, n. 217) (09.07.2013 - tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

APPALTI FORNITURE: Porte e finestre, mercato unico. Per i prodotti edili stesse norme ambientali e di sicurezza.  Il 1° luglio è entrato in vigore il regolamento della Ue che armonizza i requisiti.
Via libera al mercato unico europeo dei prodotti da costruzione. A partire dal primo di luglio i costruttori di porte, cemento, mattoni, cancelli, camini e finestre possono infatti contare su un alleato in più nel processo di espansione all'interno dell'Unione europea: il regolamento sui prodotti di costruzione (Cpr).
Adottato nel 2011 dal Parlamento Ue ma entrato in vigore solamente all'inizio di questo mese, il regolamento 305/2011 sostituisce la direttiva sui prodotti da costruzione (89/106/Cee) fornendo un linguaggio tecnico comune costituito da norme armonizzate che i costruttori potranno utilizzare per descrivere le prestazioni e le caratteristiche dei prodotti commercializzati in Europa.
Niente più ostacoli giuridici e tecnici alla libera circolazione dei prodotti all'interno del Vecchio continente, soggetti fino a pochi giorni fa a requisiti occupazionali, ambientali e di sicurezza diversi da Paese a Paese. «Il Cpr aiuterà i fabbricanti a commercializzare i prodotti da costruzione all'interno di un comune quadro normativo europeo semplificato, nel quale l'affidabilità della prestazione dichiarata di un prodotto da costruzione viene dimostrata dall'impiego della marcatura CE», hanno assicurato dalla Commissione europea secondo cui, aumentando la trasparenza del mercato, il nuovo regolamento garantirà una serie di vantaggi per progettisti, costruttori e appaltatori. «Gli architetti otterranno facilmente informazioni affidabili sulle prestazioni dei prodotti che intendono utilizzare, contribuendo così a garantire la sicurezza delle costruzioni, come previsto dalle rispettive norme nazionali».
Per armonizzare le condizioni di utilizzo dei prodotti all'interno dei Paesi membri, il regolamento ha semplificato le procedure utilizzate dai fabbricanti per ottenere la marcatura CE da apporre soltanto sui prodotti per i quali il fabbricante ha redatto una dichiarazione di prestazione. Elemento che si tradurrà in una significativa riduzione dei costi sostenuti dalle microimprese (quelle con meno di 10 dipendenti e un bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro) nel caso in cui non sussistano criticità in materia di sicurezza.
«Tutti i fabbricanti, in particolare i piccoli produttori, possono usare adesso i risultati di prova esistenti per suffragare una dichiarazione di prestazione, senza che i loro prodotti debbano essere sottoposti a un'inutile ripetizione delle prove», si legge nel documento. «Per ottenere la marcatura CE sono state introdotte procedure semplificate più snelle per i prodotti che non sono oggetto di norme armonizzate». In particolare, secondo l'articolo 8 del regolamento, uno Stato membro non potrà proibire né ostacolare, nel suo territorio o sotto la sua responsabilità, la messa a disposizione sul mercato o l'uso di prodotti da costruzione recanti la marcatura CE se la prestazione dichiarata corrisponde ai requisiti per l'uso in questione in tale Stato membro. Allo stesso tempo, dovrà garantire che l'uso dei prodotti da costruzione recanti la marcatura CE non sia ostacolato da norme o condizioni imposte da organismi pubblici o privati che agiscono come imprese pubbliche.
Ma è il successivo articolo 9 a indicare regole e condizioni per l'apposizione della marcatura che dovrà essere visibile, leggibile e indelebile sul prodotto da costruzione o su un'etichetta a esso applicata.
Nello specifico, la marcatura CE dovrà essere seguita dalle ultime due cifre dell'anno in cui è stata apposta per la prima volta, dal nome e dall'indirizzo della sede legale del fabbricante o dal marchio di identificazione che consente, in modo semplice e non ambiguo, l'identificazione del nome e dell'indirizzo del fabbricante. Non solo. La marcatura CE dovrà contenere anche il numero di riferimento della dichiarazione di prestazione, il livello o classe della prestazione dichiarata e il riferimento alla specifica tecnica armonizzata applicata. Oltre che il numero di identificazione dell'organismo notificato (articolo ItaliaOggi Sette dell'08.07.2013).

APPALTIContributi. Il decreto del fare consente la possibilità di rimediare a dimenticanze o a mancati versamenti
Durc, l'errore si sana in 15 giorni. La Pa avvisa il datore prima di emettere il documento negativo.

Niente più brutte sorprese o esclusioni inattese dalle gare pubbliche per problemi legati alla regolarità contributiva: l'articolo 31 del decreto legge 69/2013, ha infatti razionalizzato la disciplina del documento unico di regolarità contributiva, apportando alcune correzioni -meramente funzionali ma di notevole impatto per le aziende- nel Codice degli appalti pubblici, il decreto legislativo 163 del 12.04.2006.
La nuova disciplina ha infatti modificato -introducendo alcune semplificazioni- l'articolo 118 del Codice, con un opportuno allentamento di alcune "tagliole" previste dalla norma.
Possibile tornare in regola
In primo luogo -ed è questa la novità di maggior rilievo- è stato espressamente previsto all'articolo 31, comma 8 del Dl 69/2013, che ai fini della verifica del rilascio del Durc, in caso di mancanza di requisiti per il rilascio, prima di emettere il documento negativo (che segnala pertanto la presenza di debiti del datore di lavoro nei confronti degli enti previdenziali o assicurativi) o prima dell'annullamento del documento già rilasciato, l'ente competente a rilasciare il documento ha l'obbligo di informare l'interessato o il suo consulente del lavoro, con l'uso della posta elettronica certificata, del motivo della irregolarità riscontrata, indicandone analiticamente le ragioni e invitando il soggetto interessato a regolarizzare la sua posizione entro il termine massimo di quindici giorni dalla segnalazione.
Questa disposizione è sicuramente da accogliere con grande favore, poiché da un lato non attenua minimamente i controlli e i meccanismi di esclusione dalle gare o dalla sottoscrizione di contratti, di coloro che risultano non essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, dall'altro lato, però, consente ai datori di lavoro di rimediare immediatamente a errori formali, dimenticanze, o a versamenti non eseguiti per momentanea carenza di liquidità.
Il termine di quindici giorni concesso dall'Amministrazione all'interessato per adeguare la propria posizione a quanto stabilito dalla legge, appare infatti assolutamente congruo e tale da non rallentare in modo sensibile i già farraginosi meccanismi delle gare pubbliche. Peraltro, assicura al datore di lavoro che sia incorso in violazioni minime o comunque sanabili, di rimanere in corsa negli appalti pubblici o di ottenere il pagamento del dovuto dalla pubblica amministrazione.
I pagamenti della Pa
Un'altra novità introdotta dal cosiddetto decreto del fare riguarda i pagamenti della pubblica amministrazione (Dl 69/2013, articolo 31, comma 3): nel caso in cui sia riscontrata una inadempienza contributiva (non sanata nei quindici giorni), il soggetto pubblico tenuto al pagamento tratterrà ora solamente l'importo corrispondente all'inadempimento, provvedendo direttamente al versamento di questa somma agli enti previdenziali e assicurativi a credito ed emettendo regolarmente il certificato di pagamento in favore dell'imprenditore per il residuo.
In precedenza era invece previsto -sostanzialmente- il blocco dell'intero pagamento, con la conseguenza che anche per piccoli debiti contributivi o assicurativi l'imprenditore si vedeva sospesa l'erogazione di tutto il dovuto, spesso con sproporzioni assolutamente evidenti, con la conseguenza di privare l'azienda di liquidità importanti.
Anche questo provvedimento è certamente da ritenere positivo, poiché assicura comunque l'adempimento degli obblighi da parte dell'imprenditore -poiché la pubblica amministrazione trattiene il dovuto- ma, corrispondentemente, consente il pagamento di somme pacificamente dovute per lavori o servizi già prestati.
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Le novità introdotte dal Dl 69/2012 sulla regolarità contributiva e gli effetti rispetto al regime precedente
IL RILASCIO
01 | DURC POSITIVO O NEGATIVO
Finora, il Durc era rilasciato positivo (se non si registravano pendenze con la Pa), o negativo (se si segnalavano debiti con Inps o Inail)
02 | LA POSSIBILITÀ DI METTERSI IN REGOLA
Prima di rilasciare il Durc negativo o di revocare il Durc positivo già rilasciato, l'amministrazione invita l'interessato, tramite Pec (anche attraverso il consulente del lavoro), a regolarizzare la sua posizione entro 15 giorni. L'interessato può sanare le inadempienze e ottenere il Durc positivo
I DEBITI VERSO LA PA
01 | BLOCCO TOTALE
Il pagamento dei crediti dell'imprenditore era bloccato per intero se venivano segnalate inadempienze dell'imprenditore verso la Pa
02 | IL REGIME ATTUALE
Ora è trattenuta solo la parte di credito sufficiente a saldare i debiti verso gli enti, che sono pagati direttamente dal soggetto erogante le somme (in genere la stazione appaltante)
L'ACQUISIZIONE
01 | L'UFFICIO SI MUOVE IN AUTONOMIA
Mentre il passato il Durc doveva essere acquisito dall'interessato, oggi il documento è acquisito d'ufficio in via telematica, anche ai fini della verifica della dichiarazione sostitutiva, per l'aggiudicazione del contratto, per la stipula del contratto, per il pagamento dei saldi. Deve essere nuovamente acquisito per il saldo finale
LA VALIDITÀ
01 | TRE MESI DI DURATA
Prima delle modifiche introdotte dal Dl 69/2013, il Durc aveva una validità massima di tre mesi
02 | L'ESTENSIONE
Nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, la validità del Durc è estesa a 180 giorni, e il documento deve essere acquisito dalla stazione appaltante con strumenti informatici (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.07.2013).

APPALTIAppalti. Gli schemi dell'Autorità. Pronti i bandi tipo per gestire i contratti pubblici.
IN CONSULTAZIONE/ I modelli contengono già le clausole derogabili e adattabili alle necessità specifiche dei singoli enti pubblici.

Le stazioni appaltanti dovranno impostare le gare per appalti pubblici di lavori tenendo conto dei bandi-tipo elaborati dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, potendo intervenire solo su alcuni aspetti delle regole delle procedure selettive.
L'Autorità ha infatti avviato la consultazione relativa ai modelli di bandi per i lavori di valore superiore ai 150mila euro, dando una prima attuazione sotto il profilo operativo all'articolo 64 del Codice dei contratti pubblici e sviluppando in schemi dettagliati molte delle indicazioni già fornite con la determinazione n. 4/2012.
I modelli proposti (che non hanno ancora assunto una veste definitiva) non si limitano a specificare le clausole a pena di esclusione, ma configurano una compiuta disciplina della gara, evidenziando le parti obbligatorie e quelle rispetto alle quali le stazioni appaltanti hanno margine di intervenire (quali, in particolare, la definizione concreta dei requisiti di partecipazione e i criteri di valutazione).
Gli schemi sono accompagnati da una nota illustrativa che indica le linee interpretative fondamentali per la partecipazione alle gare di lavori pubblici e le caratteristiche e le modalità di compilazione dei modelli, con particolare riguardo alle parti non derogabili da parte delle stazioni appaltanti, relative alle cause tassative di esclusione di cui all'articolo. 46, comma 1-bis, del Codice.
Un punto-chiave dei bandi-tipo è la sezione dedicata alla specificazione delle categorie delle lavorazioni oggetto dell'appalto e delle relative classifiche per dimensionamento economico. Qui l'Avcp fa rilevare la piena responsabilità del progettista nell'individuazione esatta delle categorie, precisando le caratterizzazioni di quelle generali e di quelle specialistiche e specificando la valenza della codificazione come non obbligatorie o come obbligatorie.
I bandi-tipo presentano anche un quadro di dettaglio per la regolamentazione della partecipazione alla gara dei raggruppamenti temporanei di imprese e dei consorzi, nonché indicano in modo preciso le condizioni per l'avvalimento.
I modelli evidenziano anche una particolare attenzione per il subappalto, anche quando questo debba essere utilizzato dal concorrente per supplire alla mancanza della qualificazione obbligatoria per le lavorazioni scorporabili.
Negli schemi proposti l'Avcp chiarisce finalmente che anche negli appalti di lavori pubblici in sede di offerta devono essere indicati i costi della sicurezza aziendali, come richiesto dall'articolo 87, comma 4, del Codice.
Proprio in ordine alla presentazione delle offerte (e dei documenti per la partecipazione alla gara) l'Avcp ha dettato regole molto dettagliate, evidenziando in particolare le clausole a pena di esclusione, nonché fornendo elementi descrittivi di alcuni passaggi importanti (come la sigillatura dei plichi).
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L'identikit
01 | LE CATEGORIE
Nei bandi tipo l'Autorità chiarisce che il progettista deve individuare le categorie di lavori di cui si compone l'appalto distinguendo le categorie generali dalle specialistiche
02 | LA SICUREZZA
In sede di offerta devono essere indicati i costi della sicurezza aziendali
03 | LE OFFERTE
Nei bandi tipo l'Avcp spiega come presentare le offerte ed evidenzia in particolare le clausole a pena di esclusione, o come devono essere sigillate le buste per essere accettate (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.07.2013).

APPALTIAppalti, Consiglio di Stato sconfessato dalla Corte Ue.
L'INDICAZIONE/ L'Adunanza plenaria favorisce la stabilità delle aggiudicazioni. I giudici comunitari per un mercato integro.
La Corte di giustizia dell'Unione europea sconfessa il Consiglio di Stato su un tema che interessa molte imprese e cioè la tutela giurisdizionale in materia di appalti pubblici.

Con la sentenza
04.07.2013 in C-100/12 forse un po' sbrigativa, i giudici europei hanno infatti accolto un'interpretazione opposta a quella dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 4/2011) su una questione processuale che ha implicazioni pratiche rilevanti: i rapporti tra ricorso principale proposto dall'impresa che ha perso una gara e ricorso incidentale proposto dall'impresa aggiudicataria contro quest'ultima.
La questione sembra fin troppo tecnica, ma risulta più chiara se si considera il caso concreto posto all'esame della Corte di giustizia.
In attuazione di un contratto quadro aggiudicato dal Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (Cnipa) per la fornitura di linee dati e fonia, l'Asl di Alessandria stipula un contratto con Telecom Italia il cui progetto tecnico è ritenuto preferibile rispetto a quello di Fastweb. Quest'ultima impugna l'aggiudicazione davanti al Tar Piemonte lamentando che l'offerta di Telecom non rispetta le specifiche tecniche richieste dalla Asl. Telecom a sua volta propone un ricorso incidentale sostenendo che, in realtà, anche l'offerta di Fastweb è affetta dallo stesso vizio. Il Tar ritiene fondate entrambe le censure simmetriche con la conseguenza che l'intera procedura risulta viziata.
Se non che, secondo gli indirizzi dell'Adunanza plenaria, l'esito del processo non potrebbe essere l'annullamento dell'intera procedura. Infatti, in accoglimento del ricorso incidentale di Telecom, Fastweb, erroneamente ammessa alla gara, risulta priva di legittimazione a proporre il ricorso principale, che non va neppure esaminato. Resta dunque confermata l'aggiudicazione a favore di Telecom.
L'orientamento del Consiglio di Stato, che si basa su ragionamenti processuali sofisticati, favorisce dunque la stabilità delle aggiudicazioni e dei contratti, evitando ritardi dovuti al rinnovo della gara. Esso è stato mal "digerito" da alcuni Tar.
Alcuni, infatti, pur seguendo il Consiglio di Stato, hanno ritenuto di poter accertare anche la fondatezza del ricorso principale rimettendo alla stazione appaltante la decisione sul se annullare d'ufficio l'intera procedura (Tar Abruzzo-L'Aquila n. 424/2013). Il Tar del Piemonte invece ha sollevato la questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia.
Muovendo dalla normativa europea sui ricorsi in materia di appalti volta ad assicurare «mezzi di ricorso efficaci e rapidi» (direttiva 89/665/Cee), la Corte ha ritenuto errata la tesi del Consiglio di Stato. I giudici di Lussemburgo hanno fatto leva su un precedente nel quale avevano già sostenuto che non si può negare a un'impresa la possibilità di contestare l'esito di una gara per il fatto che l'impresa che propone il ricorso avrebbe dovuto essere esclusa già nella fase antecedente alla comparazione delle offerte (sentenza 19.06.2003 in C-249/01).
Pertanto, nel caso di specie, secondo la Corte, il giudice amministrativo è tenuto a esaminare sia il ricorso principale sia quello incidentale perché in questo modo si riesce «a constatare l'impossibilità di procedere alla scelta di un'offerta regolare».
Il diritto europeo ha dunque a cuore la concorrenzialità e l'integrità del mercato degli appalti, minate da aggiudicazioni illegittime, più che l'esigenza di non rallentare la stipula e l'esecuzione dei contratti (articolo Il Sole 24 Ore del 17.07.2013).

APPALTI: Chi vince l'appalto può perderlo. Gara a rischio anche se il concorrente non ha i requisiti. La Corte di giustizia Ue: il fatto che il ricorrente non sia in regola non salva l'aggiudicatario.
L'aggiudicatario, non in regola, rischia di perdere l'appalto, anche se chi ha impugnato la gara doveva essere escluso dal procedimento. Il giudice deve valutare tutte le offerte, sia dell'aggiudicatario sia di chi ha impugnato l'aggiudicazione, ed eventualmente annullare la procedura di aggiudicazione dell'appalto, che a quel punto è da rifare.

Cambiando radicalmente la tesi prevalente dei giudici amministrativi italiani, su sollecitazione del Tar Piemonte, la Corte di giustizia europea del Lussemburgo, con la sentenza 04.07.20123 causa C-100/12, ha stabilito che «se l'aggiudicatario, che ha proposto ricorso incidentale in un giudizio amministrativo, solleva un'eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell'offerente/ricorrente, con la motivazione che l'offerta di quest'ultimo avrebbe dovuto essere esclusa dall'autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche, la direttiva europea 89/665 non ammette che il ricorso sia dichiarato inammissibile senza verifica della compatibilità con le suddette specifiche tecniche dell'offerta sia dell'aggiudicatario, sia dell'offerente/ricorrente principale».
Cerchiamo di capire gli effetti della sentenza, partendo dalla giurisprudenza tradizionale dei Tar e del Consiglio di stato.
Il caso è quello del ricorso principale presentato da una ditta, che non ha vinto l'appalto, contro l'aggiudicazione assegnata a un'altra ditta. In corso di causa, la ditta, che ha vinto l'appalto, a sua volta, con un ricorso, chiamato incidentale, chiede al giudice amministrativo di dichiarare inammissibile il ricorso principale.
L'orientamento attuale della giurisprudenza amministrativa dice che l'esame di un ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, deve precedere l'esame del ricorso principale. Quindi, bisogna prima bisogna esaminare la domanda della ditta vincitrice, che contesta l'ammissibilità del ricorso della ditta perdente. Il Consiglio di stato ritiene, infatti, che la legittimazione a ricorrere contro la decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico spetti soltanto al soggetto che abbia legittimamente partecipato alla procedura di aggiudicazione. Se la ditta perdente non ha i requisiti per partecipare all'appalto, allora non può nemmeno impugnare gli esiti dello stesso.
Il Tar Piemonte, davanti al quale pendeva un ricorso che proponeva il quesito di diritto, ha rinviato la questione alla corte di giustizia. Che ha ritenuto fondato il dubbio del Tribunale amministrativo piemontese e ha stabilito che devono essere verificate sia l'offerta del ricorrente principale (ditta perdente) sia l'offerta del ricorrente incidentale (ditta vincente). Nella sua sentenza, la Corte ricorda che la direttiva 89/665 obbliga gli stati europei a rendere accessibili le procedure di ricorso, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione.
Nel procedimento italiano, il giudice ha constatato che sia offerta della ditta perdente sia l'offerta della ditte aggiudicataria non erano conformi alle specifiche tecniche.
In sostanza è solo per errore che l'offerta prescelta non sia stata esclusa al momento della verifica delle offerte, nonostante essa non rispettasse le specifiche tecniche della singola gara. Da qui la conclusione per cui la legislazione Ue non permette che un ricorso contro l'aggiudicazione di un appalto sia dichiarato inammissibile senza verifica della compatibilità con le specifiche tecniche dell'offerta sia dell'aggiudicatario, sia dell'offerente/ricorrente principale. Se in esito alla verificazione delle offerte presentate, il giudice constati che nessuna è conforme alle specifiche imposte dal piano, si apre la strada all'annullamento dell'aggiudicazione dell'appalto (articolo ItaliaOggi del 05.07.2013).

LAVORI PUBBLICIPolizze assicurative per i cantieri: ecco una guida utile per il direttore dei lavori e per le imprese.
In base alla norme vigenti, le imprese edili sono spesso chiamate a stipulare polizze assicurative a copertura o fidejussione dei loro impegni assunti in qualità di esecutori di opere.
E la maggior parte di esse sono obbligatorie: ad esempio, in caso di lavori pubblici, l’impresa deve stipulare le seguenti polizze assicurative:
fidejussione provvisoria;
fidejussione definitiva;
fidejussione per svincolo ritenute di garanzia sugli Stati Avanzamento Lavori;
Responsabilità Civile verso Terzi ed Operai (RCT-RCO);
polizza CAR (Constructor’s All Risks).
Altri tipi di polizze sono inoltre previste dalla Legge 210/2004, come ad esempio quelle a tutela di chi acquista un immobile, ossia la fidejussione a garanzia dell’anticipazione degli acconti versati dall’acquirente all’impresa esecutrice per l’acquisto dell’immobile ancora da costruire e la polizza postuma decennale.
Al fine di aiutare il direttore dei lavori a valutare l’esistenza, l’adeguatezza e la correttezza delle polizze sottoscritte dalle imprese con cui lavora, l'Associazione dei geometri fiscalisti (Agefis) ha pubblicato la guida “Le polizze assicurative obbligatorie per l’esecutore dell’opera - cenni utili per il direttore dei lavori”, nella quale sono evidenziate le caratteristiche principali delle stesse.
Nella guida proposta in allegato sono presenti definizioni, casistiche e riferimenti normativi, utili quindi sia alle imprese che ai tecnici chiamati a dirigere i lavori ed a gestire le contabilità di cantiere di lavori pubblici e privati (04.07.2013 - link a www.acca.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L’indicazione in sede di offerta degli oneri aziendali di sicurezza, non soggetti a ribasso, costituisce –sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture- un adempimento imposto dagli artt. 86, co. 3-bis, e 87, co. 4, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 ss.mm.ii. all’evidente scopo di consentire alla stazione appaltante di adempiere al suo onere di verificare il rispetto di norme inderogabili a tutela dei fondamentali interessi dei lavoratori in relazione all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura da affidare.
Stante la natura di obbligo legale rivestita dall’indicazione, resta irrilevante la circostanza che la lex specialis di gara non abbia richiesto la medesima indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una ignorantia legis.
Poiché la medesima indicazione riguarda l’offerta, non può ritenersene consentita l’integrazione mediante esercizio del potere/dovere di soccorso da parte della stazione appaltante (ex art. 46, co. 1-bis, cit. d.lgs. n. 163 del 2006), pena la violazione della par condicio tra i concorrenti.

Nel merito, il primo, articolato motivo di gravame è infondato alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 23.07.2010 n. 4849, 08.02.2011 n. 846 e 29.02.2012 n. 1172, nonché sez. III, 03.10.2011 n. 5421), pienamente condivisi dal Collegio, secondo cui:
- l’indicazione in sede di offerta degli oneri aziendali di sicurezza, non soggetti a ribasso, costituisce –sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture- un adempimento imposto dagli artt. 86, co. 3-bis, e 87, co. 4, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 ss.mm.ii. all’evidente scopo di consentire alla stazione appaltante di adempiere al suo onere di verificare il rispetto di norme inderogabili a tutela dei fondamentali interessi dei lavoratori in relazione all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura da affidare;
- stante la natura di obbligo legale rivestita dall’indicazione, resta irrilevante la circostanza che la lex specialis di gara non abbia richiesto la medesima indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una ignorantia legis;
- poiché la medesima indicazione riguarda l’offerta, non può ritenersene consentita l’integrazione mediante esercizio del potere/dovere di soccorso da parte della stazione appaltante (ex art. 46, co. 1-bis, cit. d.lgs. n. 163 del 2006), pena la violazione della par condicio tra i concorrenti (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 03.07.2013 n. 3565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTITar Lombardia. Prevale il principio di conservazione degli atti. Commissario escluso, appalto ok.
LA MOTIVAZIONE/ Il rinnovo dell'intero procedimento comprometterebbe la concorrenza tra i partecipanti
Uno dei componenti di una commissione giudicatrice di un appalto pubblico aveva svolto consulenze per la redazione del capitolato e degli atti di una gara, in violazione dell'articolo 84, commi 4 e 10 del Codice dei contratti pubblici. In seguito a questo fatto, con sentenza del giudice amministrativo, la sua nomina è stata annullata. È sorto il problema se, per concludere la gara, fosse necessario rinnovare l'intero procedimento o fosse sufficiente sostituire il componente della commissione.

Secondo l'ordinanza 03.07.2013 n. 246 del TAR Lombardia-Brescia, è possibile rinnovare soltanto l'atto viziato.
I giudici hanno seguìto l'orientamento dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 12/2012, che -su un caso simile- aveva valorizzato il principio di conservazione e di economicità degli atti pubblici, e aveva sostenuto che la rinnovazione dell'intero procedimento avrebbe alterato la concorrenza, perché le nuove offerte «sarebbero state formulate da concorrenti che erano a conoscenza delle originarie offerte degli altri partecipanti alla gara».
Non hanno seguìto, invece, l'orientamento di un'altra e più recente pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 13/2013, che ha ritenuto necessario rinnovare l'intero procedimento. L'ordinanza del Tar della Lombardia-Brescia è da condividere. Il vizio di un segmento di un procedimento amministrativo comporta conseguenze diverse dal vizio di un elemento essenziale di un contratto privato, e, nel caso considerato, è determinante il principio di conservazione degli atti. Il problema del rinnovo totale o parziale di un procedimento viziato in un solo punto presenta diverse sfaccettature, e questo giustifica i diversi orientamenti dell'Adunanza plenaria.
Sarebbe opportuno, comunque, che questi orientamenti confluissero in una soluzione unitaria, perché –in tempi di incertezze legislative– la giurisprudenza rappresenta una vera e propria bussola, sul piano giuridico, per gli operatori negli appalti pubblici (articolo Il Sole 24 Ore del 02.09.2013).

LAVORI PUBBLICILavori da oltre 150 mila Bandi-tipo per chi appalta. L'indirizzo dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
Al via i bandi-tipo che le stazioni appaltanti potranno utilizzare per l'affidamento di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro; entro fine luglio si chiuderà la consultazione con le categorie interessate, poi il parere del ministero delle infrastrutture e il varo del provvedimento; previsti 12 schemi suddivisi per procedure; gli appalti integrati (di progettazione e costruzione) da affidare solo con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa; necessaria una adeguata motivazione per il requisito del fatturato aziendale.
Sono questi alcuni degli elementi che emergono dalla lettura dei documenti messi in consultazione venerdì pomeriggio dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici in attuazione dell'articolo 64, comma 4-bis del Codice che attribuisce all'Autorità il compito di elaborare specifici modelli (bandi-tipo) sulla base dei quali le stazioni appaltanti sono tenute a predisporre i propri bandi di gara.
Per i lavori tale obbligo riguarda tutte le procedure di importo superiore ai 150.000 euro per le quali l'Autorità ha messo quindi a punto 12 schemi di disciplinare di gara e lettere di invito in relazione alle diverse procedure, aperta, ristretta e negoziata. All'interno di ogni modello una parte sarà sempre obbligatoria, altre parti varieranno in ragione delle diverse alternative che avranno a disposizione le stazioni appaltanti.
Nel dettaglio, i modelli di gara si riferiscono agli appalti di lavori di sola esecuzione, di esecuzione e progettazione esecutiva, di esecuzione, progettazione definitiva e progettazione esecutiva e sono articolati per procedura aperta, ristretta e negoziata e in base al criterio di aggiudicazione (prezzo più basso o offerta economicamente più vantaggiosa). Per gli appalti integrati, l'Autorità ha messo a punto soltanto modelli di bando per aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa che, come già chiarito dall'Autorità nella determinazione n. 5 del 27.07.2010, «appare il sistema di affidamento preferibile in relazione alla specificità e alla complessità dei servizi in questione, come confermato da varie disposizioni del Regolamento nelle quali si fa espresso riferimento all'utilizzo dell'offerta economicamente più vantaggiosa (cfr. artt. 120 e 266)».
I bandi-tipo contemplano anche i documenti che i concorrenti devono presentare per poter partecipare in forma di «aggregazione di imprese di rete». Per la verifica sul possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario, i bandi-tipo fanno riferimento all'utilizzo del sistema AVCpass, ancorché rinviato a inizio 2014. Infine fra le indicazioni fornite interessante è anche quella ai requisiti di fatturato per i quali l'Autorità afferma che ai sensi dell'art. 41, comma 2, del Codice occorre indicare una congrua motivazione in ordine ai limiti di accesso connessi al fatturato aziendale che «potrà essere riferita, per esempio, alla necessità di un'organizzazione progettuale di elevato livello imprenditoriale» (articolo ItaliaOggi del 02.07.2013).

APPALTI: E’ funzione propria della Stazione Unica Appaltante (S.U.A.), come prevista dal DPCM che ha dato attuazione alla previsione dell’art. 13 della legge n. 136/2010, collaborare con l'ente aderente alla corretta individuazione dei contenuti dello schema del contratto, tenendo conto che lo stesso deve garantire la piena rispondenza del lavoro, del servizio e della fornitura alle effettive esigenze degli enti interessati.
La circostanza che alcune delle funzioni sopra indicate facciano riferimento a una procedura di “gara” non vale, secondo questa Sezione, a circoscriverne l’attività alle sole procedure nelle quali la gara è obbligatoria e, pertanto, non vale a escluderne la ricorrenza allorquando, nelle procedure per l’affidamento di lavori di importo inferiore a 1 milione di euro, l’art. 122, comma 7, del “Codice” ammette la procedura negoziata senza pubblicazione di un bando di gara, ex art. 57, comma 6 dello stesso “Codice”.
La disposizione sopra ricordata (art. 13, L. n. 136/2010), che ha previsto l’istituzione, in ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti (S.U.A.), ha, infatti, come ulteriore finalità quella di assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose. Ovviamente, stante la natura volontaria dell’adesione dell’Ente alla S.U.A., occorrerà verificare, nel caso di specie, come la convenzione ha regolato i rapporti tra SUA e l’ente aderente, dal momento che è la convenzione che, appunto, determina l’ambito di operatività della S.U.A..

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L’art. 23, c. 4, del D.L. 06.12.2011 n. 201 [recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” (conv. con modificazioni dalla L. 22.12.2011, n. 214)] dispone che all’articolo 33 del d.lgs.vo n. 163/2006 sia aggiunto il comma 3-bis.
Il comma così aggiunto stabilisce che “I Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito delle unioni dei comuni, di cui all'articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici. In alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488, e il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328 del decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207”.
Il Sindaco del Comune istante espone che l’Ente, con atto consiliare (non indicato), è stato individuato quale Stazione Unica Appaltante in forma associata (S.U.A.). Tale organismo, secondo quanto previsto dall’art. 13 della legge n. 136/2010 e secondo il DPCM 30.06.2011 che lo regola, ha natura giuridica di centrale di committenza (art. 3, comma 34, D.Lgs.vo 12.04.2006, n. 163), e cura, per conto degli aderenti, l’aggiudicazione di contratti pubblici per la realizzazione di lavori, la prestazione di servizi e l’acquisizione di forniture, ai sensi dell'articolo 33 del citato D.Lgs.vo n. 163/2006, svolgendo tale attività in ambito regionale, provinciale ed interprovinciale.
Tanto esposto, il quesito sottoposto all’esame di questa Sezione regionale di controllo mira a conoscere se la procedura negoziata senza bando, di cui all’art. 122, comma 7, del D.Lgs.vo n. 163/2006, è funzione assorbita dalla Centrale di committenza o resta in capo al singolo ente, attesa l’assenza di pubblicità del bando, ovvero dell’invito a presentare l’offerta, e per essere il RUP a procedere all’affidamento previa individuazione diretta, da parte dello stesso RUP, degli operatori economici nel rispetto del medesimo art. 122, comma 7, citato.
...
Ciò posto, in attesa che trovi attuazione il precetto di cui al citato art. 33-bis a far data dal termine del 31.12.2013, secondo la proroga da ultimo concessa, il quesito sottoposto all’esame di questa Sezione regionale di controllo acquista un più circoscritto rilievo, mirando a conoscere se la procedura negoziata senza bando, di cui all’art. 122, comma 7, del D.Lgs.vo n. 163/2006, è funzione assorbita dalla Centrale di committenza o resta in capo al singolo ente, attesa l’assenza di pubblicità del bando, ovvero dell’invito a presentare l’offerta, e per essere il RUP a procedere all’affidamento previa individuazione diretta, da parte dello stesso RUP, degli operatori economici nel rispetto del medesimo art. 122, comma 7, citato.
In altre parole, il quesito mira a sapere se anche per i contratti pubblici aventi per oggetto lavori, servizi e forniture di importo sotto la soglia di rilevanza comunitaria, in particolare per i lavori di importo complessivo inferiore a 1 milione di euro (art. 122, comma 7, del “Codice”), la procedure negoziata senza la previa pubblicazione del bando (art. 57, comma 6 del “Codice”) resti ascritta all’attività della S.U.A. (centrale di committenza), ovvero resti nella disponibilità dell’Ente, attesa l’assenza di pubblicità del bando e atteso che è il RUP a procedere all’affidamento, previa individuazione dell’operatore economico.
Il quesito non concerne l’ambito di applicazione dell’art. 33-bis del “Codice”, se cioè esso si estende anche ai contratti sotto soglia o sia da applicarsi esclusivamente ai contratti sopra la soglia di rilevanza comunitaria (sul punto ci si limita a segnalare l’esistenza di pronunciamenti in sede consultiva della Sezione di controllo Piemonte, delibera n. 271/2012 e della Sezione di controllo per la Lombardia, delibera n. 165/2013).
La questione riguarda se in capo all’Ente che abbia aderito a una Stazione Unica Appaltante residui la possibilità, in caso di contratti sotto soglia, di svolgere attività e funzioni per l’affidamento del contratto senza dover fare ricorso alla centrale di committenza (S.U.A.).
Orbene, è funzione propria della S.U.A., come prevista dal DPCM che ha dato attuazione alla previsione dell’art. 13 della legge n. 136/2010, collaborare con l'ente aderente alla corretta individuazione dei contenuti dello schema del contratto, tenendo conto che lo stesso deve garantire la piena rispondenza del lavoro, del servizio e della fornitura alle effettive esigenze degli enti interessati. In questa funzione la S.U.A. non solo concorda con l’ente aderente la procedura di gara per la scelta del contraente, ma definisce, sempre in collaborazione con l'ente aderente, il criterio di aggiudicazione ed eventuali atti aggiuntivi e definisce in caso di criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, i criteri di valutazione delle offerte e le loro specificazioni. Infine cura gli adempimenti relativi allo svolgimento della procedura di gara in tutte le sue fasi, ivi compresi gli obblighi di pubblicità e di comunicazione previsti in materia di affidamento dei contratti pubblici e la verifica del possesso dei requisiti di ordine generale e di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa.
La circostanza che alcune delle funzioni sopra indicate facciano riferimento a una procedura di “gara” non vale, secondo questa Sezione, a circoscriverne l’attività alle sole procedure nelle quali la gara è obbligatoria e, pertanto, non vale a escluderne la ricorrenza allorquando, nelle procedure per l’affidamento di lavori di importo inferiore a 1 milione di euro, l’art. 122, comma 7, del “Codice” ammette la procedura negoziata senza pubblicazione di un bando di gara, ex art. 57, comma 6, dello stesso “Codice”.
Ritenere che l’attività della S.U.A. si risolva soltanto nell’ambito delle prescrizioni che il legislatore nazionale ha dettato per adeguarsi alle prescrizioni comunitarie in materia di concorrenza nell’affidamento dei contratti pubblici, non tiene conto, a parere di questa Sezione, del fatto che la disposizione sopra ricordata (art. 13, L. n. 136/2010), che ha previsto l’istituzione, in ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti (SUA), ha come ulteriore finalità quella di assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose.
Ovviamente, stante la natura volontaria dell’adesione dell’Ente alla S.U.A., occorrerà verificare, nel caso di specie, come la convenzione ha regolato i rapporti tra SUA e l’ente aderente, dal momento che è la convenzione che, appunto, determina l’ambito di operatività della SUA, con riferimento ai contratti pubblici di lavori, di forniture e servizi, “sulla base degli importi di gara o di altri criteri in relazione ai quali se ne chiede il coinvolgimento nonché i rapporti e le modalità di comunicazioni tra il responsabile del procedimento ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, ed il responsabile del procedimento della SUA ai sensi della legge 07.08.1990, n. 241” (art. 4, comma 1, lett. a), DPCM 30.06.2011) (Corte dei Conti, Sez. controllo Basilicata, deliberazione 01.07.2013 n. 98).

APPALTI: L. Prosperetti, La quantificazione del lucro cessante da illegittima esclusione dalla gara: una prospettiva economica (tratto da www.ipsoa.it - Urbanistica e appalti n. 7/2013).

giugno 2013

LAVORI PUBBLICIDOMANDA: Appalto di opere pubbliche: modalità di cessione del credito vantato verso una P.A. (Gazzetta Amministrativa n. 2/2013).

LAVORI PUBBLICIDOMANDA: Interpretazione art. 1, co. 19 e segg., L. 190/2012 in materia di arbitrato dei lavori pubblici (Gazzetta Amministrativa n. 2/2013).

APPALTI: M. De Cilla, AVVALIMENTO: IL GIUDICE AMMINISTRATIVO RIVEDE LA POSIZIONE GIURISPRUDENZIALE SULLA CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ - La risposta della giurisprudenza recente alla problematica connessa all’avvalimento della certificazione di qualità (Gazzetta Amministrativa n. 2/2013).

APPALTI: E. Gai, ESERCIZIO DELLA REVOCA NEL CASO DI AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA DI APPALTI PUBBLICI - È illegittima la revoca di un provvedimento di aggiudicazione definitiva che da tempo ha esaurito i suoi effetti a seguito della stipula del contratto d’appalto e dell’avvio della sua esecuzione (Gazzetta Amministrativa n. 2/2013).

APPALTI: D. Tomassetti e Ilaria De Col, IL PROCESSO AMMINISTRATIVO IN MATERIA DI APPALTI TRA TUTELA DELLA CONCORRENZA E REALIZZAZIONE DELL’OPERA - Le recentissime pronunzie della Corte di Giustizia e del Consiglio di Stato sull’ordine di esame del ricorso principale e di quello incidentale interdittivo (Gazzetta Amministrativa n. 2/2013).

APPALTI: S. Napolitano, IL PRINCIPIO DI TASSATIVITÀ DELLE CLAUSOLE DI ESCLUSIONE E IL DOVERE DI SOCCORSO ISTRUTTORIO: CONTRASTI GIURISPRUDENZIALI E RINVIO ALL'ADUNANZA PLENARIA - L'art. 4, co. 2, lett. d), del d.l. 11.05.2011, n. 70, convertito in legge il 12 luglio e in vigore dal 13.07.2011, ha introdotto l'art. 46, co. 1-bis, il quale prevede il principio di tassatività delle clausole di esclusione nelle gare di appalto (Gazzetta Amministrativa n. 2/2013).

APPALTI: M. Dell'Unto, PARTECIPAZIONE DELLE RETI DI IMPRESA ALLE PROCEDURE DI GARA PER L’AGGIUDICAZIONE DI CONTRATTI PUBBLICI AI SENSI DEGLI ARTICOLI 34 E 37 DEL D. LGS. 12.04.2006, N. 163 - Determinazione n. 3 del 23.04.2013 dell’Autorità per la vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture. Indicazioni sulla partecipazione alle gare delle reti di imprese (Gazzetta Amministrativa n. 2/2013).

APPALTI: A. Grappelli, L’OPERATIVITÀ AGGREGATIVA DELLE RETI D’IMPRESA NELL’AMBITO DEI CONTRATTI PUBBLICI DI APPALTO - Con il presente commento si affronta, nei suoi aspetti generali, il tema dei contratti di rete e del processo di innovazione nel settore degli appalti pubblici a seguito dell’inserimento della lettera e-bis) al co. 1 dell’art. 34 del d.lgs. 163/2006 smi. Le differenti modalità di strutturazione del contratto di rete incidono in modo rilevante ai fini della partecipazione e qualificazione dei retisti. In relazione alla tipologia di contratto di rete, la Stazione appaltane dovrà porre una particolare attenzione nella verifica del rispetto delle formalità di mandato, sottoscrizione della domanda di partecipazione e di offerta da parte dei retisti, nonché dei loro requisiti. Il tema individua ulteriori spunti di riflessione in merito alla futura operatività dei contratti di rete anche in relazione all’istituto del subappalto e del distacco del personale (Gazzetta Amministrativa n. 2/2013).

APPALTI: B. De Rosa, FOCUS decreto del "fare" - Le novità per gli appalti pubblici (Consulente Immobiliare n. 937/2013).

APPALTI: E. Mariotti, Transazioni commerciali: i ritardi nei pagamenti (Consulente Immobiliare n. 936/2013).

APPALTI: M. G. Vivarelli, L'avvalimento (Rivista Trimestrale degli Appalti n. 2/2013).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G. Musolino, La progettazione nell'appalto pubblico e nell'appalto privato (Rivista Trimestrale degli Appalti n. 2/2013).

LAVORI PUBBLICI: C. Crosato, Le attività del Rup: proposta per una lista di controllo - La lista di controllo permette al Rup di mettere a fuoco tutte le attività nell’ambito di un lavoro pubblico.
L’attività del Rup nella realizzazione di un lavoro pubblico si esercita nelle seguenti macroaree: nomina e programmazione, progettazione, individuazione dell’esecutore del lavoro, esecuzione e collaudo dei lavori. All’interno di tali macro attività si propone una lista di controllo costruita sulla base delle indicazioni fornite dal Codice dei contratti pubblici e dal Regolamento (Diritto e Pratica Amministrativa n. 6/2013).

APPALTI: M. Spagnuolo, L'erronea aggiudicazione determina la mancanza di contatto sociale qualificato (L'Ufficio Tecnico n. 6/2013).

APPALTI: O. Cristante, Sulle competenze del RUP, con riguardo alle procedure di aggiudicazione di contratti pubblici e, in particolare, al sub-procedimento di verifica dell'anomalia (I contratti dello Stato e degli Enti pubblici n. 2/2013).

APPALTIBandi, costi di pubblicità chiari. Gravano sulle imprese, quindi serve un'indagine di mercato. Documento della Conferenza delle regioni conferma l'obbligo di pubblicazione sui giornali.
I costi per la pubblicazione dei bandi di gara sui quotidiani dovranno essere chiaramente specificati negli avvisi, in considerazione del fatto che si tratta di oneri posti a carico dell'impresa che si aggiudica l'appalto. E proprio per garantire il miglior prezzo nei confronti delle aziende, sarà opportuno che le p.a. effettuino preventivamente un'indagine di mercato. Se poi la gara dovesse andare deserta o concludersi senza l'individuazione di un vincitore, gli oneri di pubblicità legale sui quotidiani resteranno a carico delle stazioni appaltanti.
A chiarirlo è la Conferenza delle regioni che ha elaborato le linee guida in materia di trasparenza e pubblicità degli appalti pubblici.
Una sorta di vademecum, predisposto da Itaca (Istituto per l'innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale), l'organo tecnico del parlamentino dei presidenti di regione, che fornisce una ricognizione puntuale delle norme vigenti in materia di pubblicità e di trasparenza sui contratti pubblici, anche alla luce della produzione normativa intervenuta di recente.
Il documento conferma quanto da sempre sostenuto da ItaliaOggi: e cioè che le p.a. devono continuare a pubblicare i bandi di gara sui quotidiani per effetto di quanto previsto dal recente decreto legislativo n. 33/2013 in materia di obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.
L'art. 37, comma 1, del dlgs richiama infatti tutte le disposizioni del Codice dei contratti pubblici (dlgs n. 163/2006) in materia di bandi, avvisi e inviti (articoli 63, 65, 66, 122, 124, 206 e 223) e quindi, a giudizio dei governatori, ne «conferma la piena efficacia». Un ulteriore tassello a favore dell'obbligo di pubblicità è poi rappresentato dalla decisione di porre a carico delle imprese aggiudicatarie gli oneri sostenuti dalle p.a. per la pubblicazione sui quotidiani. Tali oneri dovranno essere rimborsati alle stazioni appaltanti nel termine di 60 giorni dall'aggiudicazione. La novità, introdotta dal cosiddetto «decreto crescita 2.0» (dl 179/2012) e operativa «per tutti i bandi e gli avvisi pubblicati successivamente al 01.01.2013», richiama nuovamente gli obblighi previsti dal Codice dei contratti pubblici (articoli 66 e 122) e dunque ne conferma la vigenza.
Fatta chiarezza sul quadro normativo in vigore, il documento approvato dalla Conferenza delle regioni raccomanda alcune cautele da adottare da parte degli enti pubblici. Nei bandi bisognerà citare la norma che pone gli oneri a carico dell'aggiudicatario e individuare in modo specifico i costi dopo un'attenta analisi di mercato. In caso di gara deserta o senza vincitore gli oneri resteranno in capo alla stazione appaltante.
E qualora la gara preveda la suddivisione dell'affidamento in più lotti, in assenza di uno specifico dettato normativo, la soluzione individuata dalla Conferenza dei governatori prevede che «i costi debbano essere ripartiti tra gli aggiudicatari in proporzione all'importo a base d'asta di ciascun lotto» (articolo ItaliaOggi del 29.06.2013).

LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: La Sezione si pronuncia in merito alla richiesta di parere del Presidente della Regione Lombardia, relativamente all’interpretazione 12, comma 1-quater, della legge n. 111/2011 (comma inserito dall’art. 1, comma 138, della legge n. 228/2012).
In relazione all’oggetto del primo quesito, per effetto della recente norma di interpretazione autentica, si deve concludere che il divieto di acquisto di immobili di cui all’art. 12 del D.L. n. 98/2011 non sia ostativo alle acquisizioni effettuate all’interno delle procedure di cui al T.U. n. 327/2001 (testo unico espropriazione).
Per quanto riguarda il secondo quesito, resta impregiudicato il precedente quadro ermeneutico della giurisprudenza della Sezione. Ne consegue che,
ferme le eccezioni legali (ivi compresa la normativa sugli espropri, laddove applicabile), in linea di principio il divieto di acquisto a titolo oneroso riguarda non solo le procedure ascrivibili al patrimonio disponibile, ma anche quelle finalizzate al perseguimento di obiettivi previsti da legge regionale e statale riconducibili al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente. E’, comunque, fatta salva la salvaguardia del principio di necessità.

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Il Presidente della Regione Lombardia ha formulato alla Sezione una richiesta di parere del seguente tenore.
L’articolo 12, comma 1-quater, della legge n. 111/2011 (comma inserito dall’articolo 1, comma 138, della legge n. 228/2012) prevede quanto segue: “per l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, (…), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell'articolo 8 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto".
Il Presidente della Regione chiede se il divieto posto dall’articolo 12, comma 1-quater, della legge n. 111/2011 riguardi:
a) l’acquisizione tramite il procedimento espropriativo;
b) l’acquisizione al patrimonio indisponibile di aree ad elevata valenza naturalistica e forestale ai sensi dell’art. 5, comma 1, della l.r. 86/1983
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a. Acquisizione tramite procedimento espropriativo
La norma, ponendo in via generale il divieto di acquisizione di immobili a titolo oneroso, sembra non lasciare spazio ad alcuna eccezione così da ritenere incluso nel divieto anche l’acquisizione dell’immobile a seguito dell’espropriazione per pubblica utilità, dal momento che anche l’espropriazione comporta l’acquisizione di immobili a titolo oneroso.
Tuttavia l’applicazione della norma con riguardo alle espropriazioni si tradurrebbe nel divieto, per l’anno 2013, di realizzare anche le opere di pubblica utilità, quali le opere idrauliche, le opere di difesa del suolo, o comunque opere infrastrutturali in relazione alle quali gli immobili da espropriare sono da intestare al demanio pubblico o al patrimonio indisponibile.
In tali casi, si ritiene che la sospensione del procedimento espropriativo comporterebbe un sacrificio dell’interesse pubblico di rilievo superiore o comunque sicuramente comparabile all’interesse di riduzione della spesa pubblica.
Si chiede, pertanto, se il divieto di acquisto a titolo oneroso comporti l’indiscriminata sospensione per il 2013 di tutte le procedure espropriative, indipendentemente dalla finalità e dalla natura dell’opera da realizzare, o se occorra distinguere tra procedure volte all’acquisizione di immobili ascrivibili al demanio o al patrimonio indisponibile (ad esempio procedure di esproprio volte alla realizzazione di opere idrauliche, opere di difesa del suolo, opere infrastrutturali) e procedure relative ad immobili, pur riconosciuti di pubblica utilità, ascrivibili al patrimonio disponibile.
b) Acquisizione al patrimonio indisponibile di aree ad elevata valenza naturalistica e forestale ai sensi dell’art. 5, comma 1, della l.r. 86/1983
L’art. 5, comma 1, della L.r. n. 86/1983 dispone che “I piani dei parchi e delle riserve prevedono l'acquisizione in proprietà pubblica delle aree per le quali i piani medesimi prevedano un uso pubblico nonché delle aree per le quali i limiti alle attività antropiche comportino la totale inutilizzazione”.
La regione Lombardia, a decorrere dall’anno 2000, in attuazione dell’art. 5, comma 1, della l.r. 86/1983, ha attivato un processo di acquisizione al patrimonio indisponibile di aree ad elevata valenza naturalistica e forestale, localizzate all’interno del Sistema regionale delle aree protette (Parchi Regionali e Naturali, Riserve e Monumenti Naturali) e strumentali all’attività degli Enti gestori.
Nel corso degli anni, tale attività ha consentito l’acquisizione al patrimonio regionale di aree di rilevanza naturalistica, per una superficie catastale complessiva pari a circa 775 ettari. Questa superficie è ripartita in 24 Aree Protette Regionali, tra cui otto Riserve e Monumenti Naturali, quattordici Parchi Regionali e due PLIS.
Una volta acquisite, le aree entrano a far parte del patrimonio forestale regionale indisponibile e, successivamente, vengono assegnate in concessione agli enti gestori delle aree protette.
Le modalità di acquisizione al patrimonio regionale di aree, di proprietà privata, ad alta valenza naturale, sono state, da ultimo, definite con deliberazione di Giunta Regionale n. IX/2109 del 04.08.2011.
Le risorse disponibili per l’acquisizione delle aree sono allocate annualmente in un capitolo di bilancio appositamente dedicato.
Anche in questo caso l’estensione del divieto a questa tipologia di acquisto comporterebbe un sacrificio dell’interesse pubblico di rilievo superiore o comunque comparabile all’interesse di riduzione della spesa: ciò in quanto l’acquisizione di che trattasi è strumentale al perseguimento di obiettivi di tutele e salvaguardia riconducibili a Rete Natura 2000 (d.P.R. 357/1997), anche con presenza di habitat e specie prioritarie (Direttiva 92/43 CEE “Habitat”) o ad emergenza naturalistica (faunistiche/floristiche) a rischio di compromissione (legge regionale 10/2008 e d.g.r. 7736/2008).
Il Presidente della Regione chiede, pertanto, se il divieto di acquisto a titolo oneroso riguardi le sole procedure ascrivibili al patrimonio disponibile con esclusione di quelle, finalizzate al perseguimento di obiettivi previsti da legge regionale e statale e, in quanto tali, riconducibili al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente.
...
La Sezione si è già espressa in numerosi precedenti sul tema del divieto di acquisto di immobili sancito dall’art. 1, comma 138 della Legge 24.12.2012 n. 228. Tali pronunce, rese in sede consultiva, devono intendersi integralmente richiamate (SRC Lombardia, deliberazione nn. 73/2013/PAR; 162/2013/PAR; 163/2013/PAR, 164/2013/PAR, 173/2013/PAR, 181/2013/PAR, 193/2013/PAR).
Segnatamente, l’art. 12 del decreto-legge 06.07.2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111), novellato dalla richiamata norma del 2012 dispone: «1-quater. Per l’anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell’articolo 8 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto».
Inoltre, decorso il periodo di sospensione di cui alla prefata norma, ai sensi del comma 1-ter: «1-ter. A decorrere dal 01.01.2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente».
Il tema della estensibilità del divieto in oggetto alle procedure di esproprio è stato ampiamente affrontato nelle deliberazioni nn. 162 e 163/2013/PAR, nonché nn. 169 e 193/2013/PAR e nelle pronunce di altre Sezioni ivi richiamate.
In tali deliberazioni la Sezione riteneva che il ridetto divieto si applicasse alle procedure di esproprio, salve le procedure collegate ad opere di urgenza, anche a salvaguardia del principio di necessità (in questo senso anche SRC Liguria
parere 31.01.2013 n. 9).
Successivamente a tali pronunce rese dalla Magistratura contabile in sede consultiva, è intervenuta la legge 06.06.2013, n. 64, la quale ha proceduto alla conversione, con modificazioni, del decreto-legge 08.04.2013, n. 35 (recante “Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali. Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria”).
Tale fonte contiene al suo interno una “Norma di interpretazione autentica dell'articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111” (art. 10-bis) che, in modo risolutivo esclude dalla portata applicativa della disposizione alcune ipotesi, tra cui quelle relative alle procedure per acquisti di pubblica utilità di cui al T.U. espropriazioni (D.P.R 327/2001), e segnatamente: «1. Nel rispetto del patto di stabilità interno, il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso, di cui all'articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, non si applica alle procedure relative all'acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo unico di cui al D.P.R. 08.06.2001, n. 327, nonché alle permute a parità di prezzo e alle operazioni di acquisto programmate da delibere assunte prima del 31.12.2012 dai competenti organi degli enti locali e che individuano con esattezza i compendi immobiliari oggetto delle operazioni e alle procedure relative a convenzioni urbanistiche previste dalle normative regionali e provinciali».
In definitiva, in relazione all’oggetto del primo quesito,
per effetto della recente norma di interpretazione autentica, si deve concludere che il divieto di acquisto di immobili di cui all’art. 12 del D.L. n. 98/2011 non sia ostativo alle acquisizioni effettuate all’interno delle procedure di cui al T.U. n. 327/2001 (testo unico espropriazione).
Per quanto riguarda il secondo quesito, resta impregiudicato il precedente quadro ermeneutico della giurisprudenza della Sezione. Ne consegue che,
ferme le eccezioni legali (ivi compresa la normativa sugli espropri, laddove applicabile), in linea di principio il divieto di acquisto a titolo oneroso riguarda non solo le procedure ascrivibili al patrimonio disponibile, ma anche quelle finalizzate al perseguimento di obiettivi previsti da legge regionale e statale riconducibili al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente. E’, comunque, fatta salva la salvaguardia del principio di necessità (Corte dei Conti, Sez. contr. Lombardia, n. 162/2013) (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 28.06.2013 n. 267).

APPALTI: Oggetto: Eliminazione dell’IVA dalla responsabilità solidale (ANCE Bergamo, circolare 28.06.2013 n. 154).

APPALTI: Non sussiste l'obbligo della previa comunicazione di avvio del procedimento nel caso di adozione del provvedimento di revoca di in presenza di un'informativa prefettizia antimafia sfavorevole.
Il sistema delle informative essendo ispirato alla logica della massima anticipazione della soglia di difesa sociale non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari.

L'adozione del provvedimento di revoca di un'aggiudicazione o comunque di un incarico di svolgimento di pubblico servizio, in presenza di un'informativa prefettizia antimafia sfavorevole, configura un provvedimento non soltanto fortemente caratterizzato nel profilo contenutistico, ma anche connotato dall'urgenza del provvedere.
Ad escludere l'obbligo della previa comunicazione di avvio del procedimento concorre, quindi, il carattere spiccatamente cautelare della misura, che fa rilevare quelle esigenze di celerità, che rendono giustificata l'omissione della notizia partecipativa altrimenti prescritta. Pertanto, nel caso di specie, va respinta, in quanto priva di fondamento giuridico, la doglianza svolta con riguardo all'asserita violazione delle garanzie di comunicazione e partecipazione al procedimento.
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Il sistema delle informative essendo ispirato alla logica della massima anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata.
L'unico limite è rappresentato dalla non spendibilità -a salvaguardia dei principi di legalità e di certezza del diritto- di elementi di semplice sospetto o meramente congetturali, privi di riscontro fattuale (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 27.06.2013 n. 787 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICIQuesta Sezione ritiene che se per “accordo bonario” si fa riferimento all’atto di cessione volontaria cui fa espresso riferimento l'art. 20, comma 9, DPR 327/2001, l’ipotesi rientra senz’altro tra quelle escluse dal divieto di acquisire beni immobili. Infatti, la cessione volontaria è atto conclusivo del procedimento di espropriazione, comportando l'effetto traslativo della proprietà interessata dalla realizzazione dell'opera pubblica.
Come ha ricordato la Cassazione (sent. 11.03.2006, n. 5390), la cessione volontaria è contratto c.d. ad oggetto pubblico che si inserisce necessariamente nell’ambito di un procedimento di espropriazione; produce l’effetto di concludere il procedimento espropriativo senza emettere decreto di esproprio. Il proprietario, in seguito ad un sub procedimento, ha diritto di stipulare l’atto di cessione volontaria e il prezzo è determinato secondo criteri inderogabili stabiliti dalla legge.
In maggior dettaglio, si differenzia dalla compravendita di diritto comune per i seguenti elementi: a) si inserisce necessariamente in un procedimento espropriativo e consente di raggiungere il medesimo risultato (acquisizione della proprietà) con uno strumento di natura privatistica, alternativo al decreto di esproprio; b) il prezzo per il trasferimento volontario del fondo è correlato in modo vincolante a parametri di legge previsti per il calcolo dell’indennità di esproprio (la pa espropriante offre un’indennità all’espropriando il quale può solo rifiutarla o accettarla puramente e semplicemente).

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Il Commissario Straordinario della Provincia di Varese ha posto alla Sezione un quesito sull’interpretazione dell’art. 12, comma 1-quater, del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111.
In particolare, l’ente provinciale chiede se nel divieto legislativo in parola rientri anche l’ipotesi di “accordo bonario” per l’acquisizione di diritti immobiliari su aree di proprietà privata, nell’ambito di un progetto finanziato in parte dalla provincia (nella veste di capofila beneficiario coordinatore di un progetto presentato alla Ce all’interno del quarto bando LIFE+ dell’anno 2010).
Nell’istanza di parere si precisa che la Provincia aveva già fatto la variazione di bilancio nell’anno 2011 per realizzare l’opera e che gli acquisiti sono finanziati da fondi provenienti da una fonazione bancaria che assunto la veste di “soggetto esterno non pubblico” che partecipa alla realizzazione del progetto.
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Venendo al merito della richiesta, il quesito posto dall’ente provinciale va ricondotto alla portata della norma introdotta dall’art. 12, comma 1-quater, del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, laddove recita che “le Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della Pubblica Amministrazione di acquisire immobili a titolo oneroso e di stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti”.
Nelle more dell’adunanza è intervenuta la L. 06.06.2013, n. 64 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 08.04.2013, n. 35 che all’art. art. 10-bis ha introdotto una norma di interpretazione autentica dell'articolo 12 testé richiamato.
In particolare, il comma 1 ha stabilito che <<nel rispetto del patto di stabilità interno, il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso, di cui all'articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, non si applica alle procedure relative all'acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo unico di cui al d.P.R. 08.06.2001, n. 327, nonché alle permute a parità di prezzo e alle operazioni di acquisto programmate da delibere assunte prima del 31.12.2012 dai competenti organi degli enti locali e che individuano con esattezza i compendi immobiliari oggetto delle operazioni e alle procedure relative a convenzioni urbanistiche previste dalle normative regionali e provinciali>>.
Chiarito il quadro normativo, occorre affrontare la questione se nel divieto legislativo in parola rientri anche l’ipotesi di “accordo bonario” per l’acquisizione di diritti immobiliari su aree di proprietà privata, nell’ambito di un progetto finanziato in parte dalla provincia (nella veste di capofila beneficiario coordinatore di un progetto presentato alla Ce all’interno del quarto bando LIFE+ dell’anno 2010).
Prima dell’intervento della norma di interpretazione autentica, la magistratura contabile in sede consultiva ha reso numerose pronunce (investe questioni che sono state oggetto di trattazione in analoghe pronunce, ex plurimis SRC Lombardia deliberazioni n. 3/2013/PAR e n. 102/2013/PAR; SRC Liguria
parere 31.01.2013 n. 9 e SRC Marche, deliberazione n. 7/2013/PAR).
Tuttavia, alla stregua della norma di interpretazione autentica successivamente intervenuta,
occorre affrontare la questione se la fattispecie rappresentata rientri in una delle ipotesi in cui il divieto di acquisto non opera e, più in particolare, nell’ipotesi di “acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo unico di cui al d.P.R. 08.06.2001, n. 327”.
L’ente provinciale istante si limita a riferire che la procedura di acquisizione avverrà con “accordo bonario” e che gli acquisiti sono finanziati da fondi provenienti da una fonazione bancaria che assunto la veste di “soggetto esterno non pubblico” che partecipa alla realizzazione del progetto.
Questa Sezione ritiene che
se per “accordo bonario” si fa riferimento all’atto di cessione volontaria cui fa espresso riferimento l'art. 20, comma 9, DPR 327/2001, l’ipotesi rientra senz’altro tra quelle escluse dal divieto di acquisire beni immobili. Infatti, la cessione volontaria è atto conclusivo del procedimento di espropriazione, comportando l'effetto traslativo della proprietà interessata dalla realizzazione dell'opera pubblica. Come ha ricordato la Cassazione (sent. 11.03.2006, n. 5390), la cessione volontaria è contratto c.d. ad oggetto pubblico che si inserisce necessariamente nell’ambito di un procedimento di espropriazione; produce l’effetto di concludere il procedimento espropriativo senza emettere decreto di esproprio.
Il proprietario, in seguito ad un sub-procedimento, ha diritto di stipulare l’atto di cessione volontaria e il prezzo è determinato secondo criteri inderogabili stabiliti dalla legge.
In maggior dettaglio, si differenzia dalla compravendita di diritto comune per i seguenti elementi:
a) si inserisce necessariamente in un procedimento espropriativo e consente di raggiungere il medesimo risultato (acquisizione della proprietà) con uno strumento di natura privatistica, alternativo al decreto di esproprio;
b) il prezzo per il trasferimento volontario del fondo è correlato in modo vincolante a parametri di legge previsti per il calcolo dell’indennità di esproprio (la pa espropriante offre un’indennità all’espropriando il quale può solo rifiutarla o accettarla puramente e semplicemente) (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 27.06.2013 n. 262).

LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIOLa novella dell'art. 12 del DL 98/2011 (convertito dalla L. 111/2011), operata dal c. 138 dell'art. 1 della L. 228/2012, prevede “Per l’anno 2013 le amministrazioni pubbliche (…) non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti (…)”.
La stessa disposizione eccettua dal proprio perimetro applicativo una serie di norme. In linea di principio la Sezione ha (del.ne 200/2013) precisato che l’inderogabilità della norma, e la tassatività delle eccezioni indicate, escludono categoricamente ulteriori casi di inapplicabilità della previsioni in relazione alla vantaggiosità dell’operazione, nel senso auspicato dal comune. Circa l’applicabilità del divieto alle fattispecie di espropriazione per pubblica utilità, la questione è stata, tra l’altro, esaminata e confermata dalla SRC Liguria (del.ne 31.03.2013, n. 9).
Non si può concordare con la tesi per cui l’applicazione della norma proibitiva ai casi di espropriazione per pubblica utilità risulterebbe preclusa dalla natura originaria, e non derivativa, dell’acquisto compiuto dall’ente. Il testo della norma, riferito agli “acquisti”, non sembra eccettuare dal proprio perimetro applicativo gli acquisti a titolo originario, in quanto l’esigenza di contenimento delle spese pubbliche sussiste anche per le fattispecie in cui in capo all’ente l’acquisto si determini a titolo originario: la differenza tra le due modalità acquisitive pare irrilevante con riguardo al diverso tema delle ragioni di carattere finanziario. Elemento discretivo potrebbe essere la sussistenza a carico dell’acquirente di un obbligazione pecuniaria, solo requisito sussistente ai fini dell’applicabilità del divieto.
In secondo luogo, il codice civile conosce una serie di ipotesi, a titolo originario, che non prescindono da un’attività dell’acquirente, che può essere in condizione di determinare la propria condotta. Ma, soprattutto, ad abundatiam, il carattere originario dell’acquisto a titolo espropriativo risulta affermazione controversa in dottrina e giurisprudenza. La tesi dell’acquisto a titolo originario si basa su una serie di disposizioni (oggi contenute nel d.p.r. 08.06.2001, 327, t.u. espr.) quali l’art. 2; l’art. 25; più in generale, la circostanza che l’intero procedimento espropriativo prescinda dalla volontà negoziale dell’interessato.
Altra parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che la qualificazione giuridica dell’acquisto sia condizionata dalle peculiarità della fattispecie e dall’interferenza di un procedimento pubblicistico, che spiegherebbero le norme sopra descritte. Altri elementi sintomatici (l’art. 23 del d.p.r. 327/2001, che prevede la trascrizione dell’acquisto; l’istituto della c.d. retrocessione del bene, che presuppone l’individuazione di un precedente proprietario; più in generale, la potenziale interferenza di momenti di carattere negoziale e volontaristico) indurrebbero a ritenere che l’espropriazione disciplini e incida l’an del trasferimento e non anche il quomodo.
La diatriba risulta superata dal dato normativo: con la L. 64/2013, conversione, con modificazioni, del DL 35/2013, il legislatore ha ritenuto di dettare una disciplina espressa che (art. 10-bis) prevede “Nel rispetto del PdS interno, il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso, di cui all'art. 12, c. 1-quater, del DL 06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, non si applica alle procedure relative all'acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo unico”.
La sopravvenienza normativa determina la completa rivisitazione del quadro fattuale e normativo e rende superflua l’interpretazione della Sezione. Nulla osta a che l’ente interessato proceda ad acquisizioni espropriative ai sensi del d.p.r. 08.06.2001, n. 327.

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Il comune richiede chiarimenti sull'art. 12, comma 1-quater, della legge 15.07.2011, n. 111, inserito dall'art. 1, comma 138, della legge 24.12.2012 n. 228 (legge di stabilità 2013).
In particolare, il comune di Varese, ai fini della realizzazione di opere pubbliche, ha, nel corso degli ultimi anni, acquisito la disponibilità di aree di proprietà di terzi e, ciò, sia in forza di procedure espropriative avviate ai sensi della vigente normativa di cui al d.p.r. 08.06.2001, n. 327, previa occupazione anticipata ex art. 22-bis, concordando in seguito la cessione volontaria dei beni (art. 45) in superamento del procedimento ablatorio; che, in assenza di quest' ultimo, in forza di accordi sin dall'origine raggiunti con la proprietà per la bonaria acquisizione -a titolo oneroso- di dette aree.
Anche nella maggior parte dei casi di accordo bonario, l'ente, per ragioni di qualificata urgenza, ha infatti convenuto con i proprietari di poter occupare le aree necessarie per la realizzazione dell'intervento anteriormente alla stipula del formale atto di compravendita.
Il corrispettivo dell'acquisizione in parola è stato quindi determinato tenendo conto anche dell'indennità dovuta per la suddetta occupazione
Il perfezionamento degli atti di trasferimento immobiliare delle aree già nella disponibilità dell'Amministrazione ed irreversibilmente trasformate per effetto dell'avvenuta realizzazione delle previste opere pubbliche risulterebbe, oggi, inibito, nonostante l'obbligazione in tal senso antecedentemente assunta dall'Amministrazione e l'avvenuto accantonamento delle necessarie risorse finanziarie, dalle disposizioni di cui all'art. 1, comma 138, l. 228/2012.
Non risulterebbe infatti oggettivamente possibile procedere alla retrocessione di dette aree che, pertanto, l'Amministrazione continuerebbe a detenere, mantenendo a proprio diretto carico, pur non avendone la titolarità giuridica, ogni conseguente responsabilità ed onere manutentivo.
Al protrarsi del possesso conseguirebbe, necessariamente, anche un progressivo incremento dell'entità dell'indennità di occupazione dovuta alla proprietà. L'indennità, infatti, non è riferibile all'acquisto del diritto di proprietà o di altro diritto reale, ma, avendo sostanzialmente funzione sostitutiva della mancata percezione dei frutti ritraibili dai beni occupati, è direttamente proporzionale al periodo di occupazione.
Sarebbe quindi, prevedibile, come peraltro già paventato da taluni, che l'alterazione dell'equilibrio economico sotteso all'accordo raggiunto con la proprietà, conseguenza diretta dell'impossibilità per l'Amministrazione di perfezionare l'acquisto, si traduca nella necessità di una rinegoziazione del corrispettivo con la proprietà, con aggravio di costi per l'Amministrazione stessa.
Tanto premesso, il comune richiede se il divieto di procedere ad acquisizioni a titolo oneroso debba ritenersi operante anche in relazione a fattispecie, quali quelle sopra descritte, ove, al contrario, il perfezionamento dell'acquisizione, già nel 2013, si tradurrebbe in un concreto risparmio di spesa per l'Amministrazione.
...
La novella dell'art. 12 del decreto-legge 06.07.2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111), operata dal comma 138 dell'art. 1 della legge 24.12.2012, n. 228 prevede che “Per l’anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti”.
La stessa disposizione eccettua poi dal proprio perimetro applicativo una serie di norme, e in particolare:
i. gli acquisti compiuti dagli enti previdenziali pubblici e privati (sic);
ii. le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate in data antecedente a quella di entrata in vigore del decreto;
iii. le operazioni di acquisto destinate a soddisfare le esigenze allocative in materia di edilizia residenziale pubblica;
iv. le operazioni di acquisto previste in attuazione di programmi e piani concernenti interventi di perequazione socio-territoriale.
In linea di principio la Sezione ha (anche di recente: parere 08.05.2013 n. 200) avuto modo di precisare che l’inderogabilità della norma, e la tassatività delle eccezioni indicate, escludono in modo categorico che ulteriori casi di inapplicabilità della previsioni siano ravvisabili in relazione alla vantaggiosità dell’operazione, e quindi nel senso auspicato dal comune.
Passando al diverso problema relativo all’applicabilità del divieto alle fattispecie di espropriazione per pubblica utilità, tale questione è stata, tra l’altro, esaminata e confermata dalla sezione regionale di controllo per la Liguria della Corte dei Conti (
parere 31.01.2013 n. 9).
Non si può in nessun modo concordare con la tesi per cui l’applicazione della norma proibitiva ai casi di espropriazione per pubblica utilità risulterebbe preclusa dalla natura originaria, e non derivativa, dell’acquisto compiuto dall’ente.
In primis, occorre precisare che il testo della norma, laconicamente riferito agli “acquisti”, non sembra affatto eccettuare dal proprio perimetro applicativo gli acquisti a titolo originario, in quanto l’esigenza di contenimento delle spese pubbliche sussiste, con tutta evidenza, anche per le fattispecie in cui in capo all’ente l’acquisto si determini a titolo originario: la differenza tra le due modalità acquisitive, infatti, se assume un certo pregio al fine della risoluzione dei conflitti tra terzi, pare del tutto irrilevante con riguardo al diverso tema delle ragioni di carattere finanziario.
Elemento discretivo potrebbe, al massimo, essere la sussistenza a carico dell’acquirente di un obbligazione pecuniaria, solo requisito sussistente ai fini dell’applicabilità del divieto (cfr ultra).
In secondo luogo, occorre rammentare che il codice civile conosce una serie di ipotesi (si pensi, a puro titolo di esempio, alla costruzione operata dal fondo con materiali propri o all’usucapione) che, pur essendo a titolo originario, non prescindono certo da un’attività dell’acquirente, che quindi può essere in condizione di determinare la propria condotta.
Ma, soprattutto, ad abundatiam, va precisato che il carattere originario dell’acquisto a titolo espropriativo risulta affermazione ancora controversa in dottrina e giurisprudenza.
La tesi dell’acquisto a titolo originario si basa infatti su una serie di disposizioni (oggi contenute nel d.p.r. 08.06.2001, 327, t.u. espr.) quali l’art. 2, che prevede l’irrilevanza della difettosa individuazione del proprietario; l’art. 25, che indica quale effetto del procedimento l’estinzione dei diritti gravanti sul bene; più in generale, la circostanza che l’intero procedimento espropriativo prescinda dalla volontà negoziale dell’interessato.
Tuttavia, altra parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che la qualificazione giuridica dell’acquisto sia condizionata dalle peculiarità della fattispecie e dall’interferenza di un procedimento pubblicistico, che spiegherebbero le norme sopra descritte.
Per contro, altri elementi sintomatici (l’art. 23 del d.p.r. 327/2001, che prevede la trascrizione dell’acquisto; l’istituto della c.d. retrocessione del bene, che presuppone l’individuazione di un precedente proprietario; più in generale, la potenziale interferenza di momenti di carattere negoziale e volontaristico – cfr ultra) indurrebbero invece a ritenere che l’espropriazione disciplini e incida l’an del trasferimento e non anche il quomodo.
La diatriba risulta per vero ormai superata dal dato normativo, in quanto, con la legge 06.06.2013, n. 64, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 08.04.2013, n. 35, il legislatore ha ritenuto di dettare una disciplina espressa che, tra l’altro (art. 10-bis) tra l’altro prevede che “Nel rispetto del patto di stabilità interno, il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso, di cui all'articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, non si applica alle procedure relative all'acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo unico di cui al d.P.R. 08.06.2001, n. 327 (…)”.
La sopravvenienza normativa determina, ovviamente, la completa rivisitazione del quadro fattuale e normativo e, di conseguenza, rende superflua l’interpretazione della Sezione.
Pertanto, nulla osta a che l’ente interessato proceda ad acquisizioni espropriative ai sensi del d.p.r. 08.06.2001, n. 327 (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 27.06.2013 n. 251).

APPALTI: Offerte aperte in pubblico. Sono salve le vecchie gare.
Nelle gare l'obbligo di apertura delle offerte tecniche in seduta pubblica vale solo dopo il 09.05.2012; salve le gare emesse da luglio 2011 all'08.05.2012 per le quali si è proceduto in via riservata.

È quanto afferma la sentenza 27.06.2013 n. 16 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di stato, attivata su richiesta del Consiglio di stato per affrontare alcune questioni relative all'applicazione dell'art. 12, del decreto legge 07.05.2012, n. 52, convertito con modificazioni dalla legge 06.07.2012, n. 94, che prevede l'obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche.
Sul tema più generale, della portata dell'articolo 12, la stessa decisione è nel senso di riconoscere la natura sanante della disposizione per le gare emesse da luglio 2011 a maggio 2012. Le argomentazioni fanno riferimento all'esigenza di «contenere gli oneri amministrativi ed economici che deriverebbero della caducazione, altrimenti inevitabile, di centinaia di gare che, diversamente, sarebbero di fatto travolte per il mero mancato rispetto dei canoni di pubblicità dell'apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche, in assenza di qualsivoglia indizio circa la manomissione o l'occultamento degli stessi da parte dell'amministrazione».
Rilevante è anche il fatto che va tutelato anche «l'affidamento incolpevole da parte dell'aggiudicataria che abbia confidato sulla vigenza di determinate regole procedimentali che, nella specie, nella maggior parte dei casi, prevedevano l'apertura dei plichi in seduta riservata».
Infine il Consiglio di stato ritiene che non sarebbe logico, si deve concludere, attribuire alla norma altra ratio; non vi sarebbe ragione infatti per un intervento normativo che obbliga all'apertura pubblica dei plichi soltanto a partire da una certa data «anche per le gare in corso» (articolo ItaliaOggi dell'11.07.2013).

APPALTI: Sulla portata dell'art. 12 del D.L. 07.05.2012, n. 52, riguardante l'obbligo di seduta pubblica per la fase di apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche.
L'art. 12 del D.L. 07.05.2012, n. 52, riguardante l'obbligo di seduta pubblica per la fase di apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche non ha portata ricognitiva del principio affermato con la pronuncia n. 13 del 2011 ma ha la specifica funzione transitoria di salvaguardare gli effetti delle procedure concluse o pendenti alla data del 09.05.2012, nelle quali si sia proceduto all'apertura dei plichi in seduta riservata, recando in sostanza, per questo aspetto, una sanatoria di tali procedure.
L'orientamento volto a riconoscere la natura sanante dell'art. 12 del D.L. 07.05.2012, n. 52 è diretto a contenere gli oneri amministrativi ed economici che deriverebbero della caducazione, altrimenti inevitabile, di centinaia di gare che, diversamente, sarebbero di fatto travolte per il mero mancato rispetto dei canoni di pubblicità dell'apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche, in assenza di qualsivoglia indizio circa la manomissione o l'occultamento degli stessi da parte dell'amministrazione.
Non può, invero, non riconoscersi a tale tesi un'utilità non trascurabile dal punto di vista della deflazione del contenzioso amministrativo e del rispetto del principio di affidamento e buona fede, da riferire tanto alla stazione appaltante, quanto all'impresa aggiudicataria della gara, che legittimamente può avere confidato sulla vigenza di determinate regole procedimentali (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 27.06.2013 n. 16 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - VARI: Marca da bollo, rincari del 10%. Da ieri il costo è salito 2 e 16 euro.
Bollo rincarato del 10% circa per i contratti di locazione di qualsiasi tipo: da quelli per immobili a uso villeggiatura, brevi vacanze o weekend, ai contratti di comodato.

A segnalarlo è la Confedilizia, spiegando che si tratta dell'effetto della pubblicazione, sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 25 giugno, della legge n. 71/2013, di conversione del decreto legge n. 43/2013 (il cosiddetto decreto Emergenze).
La marca da bollo da 1,81 e quella da 14,62 euro, a prescindere dal contesto di utilizzo, diventeranno quindi rispettivamente di 2 di 16 euro (si veda ItaliaOggi del 13/06/2013).
Gli aumenti, in vigore da ieri, interessano tutti gli atti giuridici sottoposti a imposta di bollo e contribuiranno alla ricostruzione in Abruzzo con una cifra stimata in un miliardo e 200 milioni di euro. Così facendo lo stato potrà assicurare tra il 2014 e il 2019 circa 197 milioni annui per la riparazione di immobili danneggiati o l'acquisto di nuove abitazioni sostitutive.
Nel settore degli immobili, come spiega Confedilizia, per i contratti di comodato l'imposta sarà di 16 euro ogni 4 facciate (100 righe). Mentre sale a 2 euro la marca da bollo da applicarsi sulle ricevute relative al canone di locazione di importo superiore a euro 77,47 se non soggette a Iva. Esenti, invece, dal bollo (ai sensi dell'art. 13 della Tariffa allegata al dpr 26/10/72, n. 642) le ricevute degli oneri condominiali.
Al di là del settore immobiliare poi molteplici sono le attività interessate dall'aumento in quanto soggette a marca da bollo: dagli atti rogati, alle scritture private, le pubblicazioni di matrimonio, gli atti di notorietà, ricevute e quietanze, fino alle fatture e note dei professionisti senza partita Iva (articolo ItaliaOggi del 27.06.2013).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - VARIE l'imposta fissa di bollo è già cresciuta a 2 e a 16 euro. Il rincaro da ieri. La decisione con la legge 147/2013.
IL MECCANISMO/ L'importo andrà adeguato anche per registri e libri soggetti a bollatura e non utilizzati fino a martedì scorso.

Aumentano le misure fisse dell'imposta di bollo. Da ieri, con la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 147 del 25.06.2013 della legge 71/2013, di conversione del Dl 43/2013, in particolare, gli importi in precedenza stabiliti in 1,81 e 14,62 euro passano, rispettivamente, a euro 2 e 16 euro. Non sono interessati dalla novità gli atti finalizzati fino al 25 giugno, ancorché presentati in data successiva ad un ufficio pubblico per la registrazione.
L'aumento riguarda una serie di documenti che interessa diversi soggetti. In particolare l'imposta di bollo che oggi è pari a euro 2 riguarda: le fatture che contengono importi non assoggettati ad Iva; gli estratti conti o altri documenti di accreditamento o addebitamento per somme superiori a euro 77,47; ricevute o lettere commerciali presentate per l'incasso presso gli istituti di credito per somme inferiori a 129,11 euro.
L'aumento invece da euro 14,62 a euro 16 riguarda numerosi documenti (così come meglio identificati nei primi tre articoli della tariffa, parte I) nonché i documenti societari (libri sociali e registri contabili di cui all'articolo 16 della tariffa, parte I). A titolo esemplificativo questo aumento dell'imposta fissa riguarda: gli atti rogati o autenticati da un notaio o altro pubblico ufficiale; le scritture private contenenti convenzioni anche unilaterali che disciplinino rapporti giuridici di ogni specie; istanze, memorie, ricorsi, dirette agli organi dell'amministrazione dello Stato e degli enti pubblici territoriali tendenti ad ottenere rilasci di certificati ovvero provvedimenti amministrativi.
La modifica nell'imposta fissa ha anche altre implicazioni quali quelle nei riguardi dei soggetti autorizzati all'assolvimento dell'imposta in modo virtuale. Essi infatti all'atto della presentazione della dichiarazione per l'anno 2013 saranno tenuti ad indicare separatamente gli atti ai quali si applica l'aumento dell'imposta. Inoltre laddove l'agenzia delle Entrate provveda entro il prossimo mese di luglio a notificare la riliquidazione provvisoria delle rimanenti rate 2013, queste ultime dovranno essere modificate.
Per quanto invece riguarda l'adeguamento del bollo da assolvere sui libri e sulle scritture contabili, occorre fare delle distinzioni. Per i registri soggetti a bollatura, anche facoltativa, sui quali è già stata assolta l'imposta all'atto dell'effettuazione della formalità, sarà necessario procedere all'integrazione dell'imposta di bollo nel caso in cui siano completamenti inutilizzati. Ciò significa che gli accadimenti (rectius: verbali) in essi riportati devono essersi verificati prima del 26 giugno scorso. L'operazione potrà essere effettuata con l'annotazione nell'ultima pagina numerata degli estremi della ricevuta di pagamento modello F23, ovvero con l'apposizione delle marche da bollo necessarie per ottenere il nuovo importo, da annullarsi ex articolo 12 del Dpr 642/1972. Nel caso in cui i registri siano già stati utilizzati ancorché parzialmente non occorre integrare il bollo.
Per i registri contabili non soggetti a bollatura, per i quali l'imposta va assolta esclusivamente sulle pagine effettivamente utilizzate, ed è dovuta per blocchi di 100 pagine o frazioni di esse, l'imposta fissa nella nuova misura di 16 euro dovrà essere corrisposta per i blocchi di 100 pagine utilizzati a decorrere da ieri, utilizzando le stesse modalità di integrazione innanzi precisate. Anche in questo caso nulla è dovuto per i blocchi di 100 pagine che risultano ancorché in parte utilizzati.
È possibile continuare ad utilizzare le vecchie marche da bollo da euro 1,81 e da euro 14,62, integrandole qualora l'imposta si renda dovuta nella nuovo misura. Lo stesso discorso vale per la carta da bollo, ma la differenza va integrata con l'applicazione delle marche da bollo (articolo Il Sole 24 Ore del 27.06.2013).

APPALTINegli appalti solidarietà estesa agli autonomi. Il committente risponde con appaltatori e subappaltatori.
La responsabilità solidale negli appalti si estende ai lavoratori autonomi.

Questa la principale novità contenuta nel decreto legge che amplia l'applicazione del regime di solidarietà di cui all'articolo 29 del Dlgs 276/2003 ai lavoratori impiegati con un contratto di lavoro autonomo.
Ma non è questa l'unica modifica, in quanto la nuova norma, oltre a confermare che la solidarietà non si applica negli appalti stipulati dalla pubblica amministrazione, chiarisce che il potere di deroga da parte dei Ccnl in materia di solidarietà si applica solo all'obbligazione di tipo retributivo e non produce effetti nei confronti degli obblighi di natura previdenziale e assicurativa.
Il comma 2 dell'articolo 29 del decreto Biagi prevede che, negli appalti di opere e servizi ex articolo 1655 del codice civile, in caso di inadempimento da parte dell'appaltatore o del subappaltatore, il committente è obbligato in solido a corrispondere ai lavoratori utilizzati i relativi trattamenti retributivi, compreso il Tfr, nonché a versare i corrispondenti contributi previdenziali e i premi assicurativi maturati nel periodo di esecuzione del contratto.
Con la recente modifica, tale vincolo si estende al committente anche quando nell'appalto siano utilizzati lavoratori con contratti «di natura autonoma». Stante la generica espressione utilizzata dalla legge, sono da ricondurre nel più esteso vincolo solidaristico, i contratti di collaborazione a progetto, le vecchie co.co.co , le cosiddette mini co.co.co, ma anche le prestazioni di lavoro autonomo occasionale e le prestazioni d'opera professionale ex articolo 2222 del codice civile.
Nel caso dei collaboratori a progetto e dei co.co.co (comprese le "mini"), la responsabilità solidale è piena in quanto riguarderà non solo il pagamento del compenso, ma anche il versamento dei contributi alla Gestione separata e dei premi all'Inail.Per le prestazioni rese dai professionisti e dai prestatori di lavoro autonomo occasionale (salvo quelli con compenso oltre 5.000 euro), la solidarietà sarà limitata al pagamento del compenso.
Il decreto legge dichiara altresì in modo esplicito che il regime della solidarietà non trova applicazione nei confronti della pubblica amministrazione ex comma 2 dell'articolo 1 del Dlgs 165/2001 in qualità di committente del contratto di appalto. Non si tratta di una novità, posto che in base alle previsioni dell'articolo 1 del Dlgs 276/2003, tutto il decreto, ivi compreso l'articolo 29 non è applicabile nell'ambito della pubblica amministrazione. La necessità di questa conferma da parte del legislatore è probabilmente dipesa da alcune pronunce della magistratura che rifacendosi alla legge delega 30/2003, avevano ritenuto applicabile il regime della solidarietà negli appalti anche nei confronti dello Stato.
Importante e chiarificatrice è la precisazione secondo cui le eventuali diverse previsioni dei Ccnl in materia di responsabilità solidale, ammesse dallo stesso articolo 29 del Dlgs 276/2003, sono efficaci solo ai fini retributivi, ma non per gli obblighi contributivi e assicurativi, dei quali i Ccnl non possono disporre (articolo Il Sole 24 Ore del 27.06.2013).

APPALTI FORNITURE: Legittima esclusione del concorrente per tardivo deposito della campionatura.
E' legittima l'esclusione di un concorrente per tardivo deposito della campionatura oggetto di offerta. Lo stabilisce, nella sentenza in commento, la sesta sezione del Consiglio di Stato. In dettaglio, secondo i giudici del Consiglio di Stato è legittima l'esclusione di un concorrente per tardivo deposito di una parte della campionatura oggetto di fornitura, in quanto la campionatura era funzionale alla valutazione delle offerte da parte della commissione di gara.
Infatti, la stessa era indicata quale elemento da produrre a corredo della relazione tecnica (quest'ultima da inserire senz'altro nel plico contenente l'offerta tecnica) e che, pertanto, solo per ovvie ragioni di spazio la campionatura non doveva essere inserita nei plichi contenenti le offerte, pur dovendosi rispettare, per il suo deposito, la medesima scansione temporale fissata per la presentazione delle offerte (in particolare, la lex specialis disponeva che la stessa doveva essere prodotta "entro il termine di scadenza per la presentazione delle offerte").
Né, in questa situazione, ha motivo di porsi, un problema di possibile violazione dell'art. 46, c. 1-bis, del d.lgs. n.163 del 2006, che sancisce la tassatività delle clausole di esclusione; per vero, è lo stesso art. 42, c. 1, lett. l), del Codice dei contratti pubblici a prevedere, negli appalti di forniture, il deposito di campioni quale ordinaria modalità di prova del requisito di capacità tecnica, di tal che la clausola del bando risulta coerente con la richiamata previsione di rango primario, sia con riguardo alla natura dell'incombente posto a carico degli offerenti, sia in relazione alla necessità di fissare un termine perentorio per il deposito dei campioni di fornitura (in quanto funzionale a comprovare il requisito di capacità tecnica dell'offerente).
Va ritenuta immune da vizi, pertanto, la determinazione di esclusione assunta dall'Università in danno della originaria ricorrente che, avendo tardivamente prodotto la campionatura oggetto di offerta, era senz'altro da escludere dalla selezione, anche a garanzia del principio della par condicio competitorum (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 26.06.2013 n. 3516 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE: E' legittima l'esclusione di un concorrente per tardivo deposito della campionatura oggetto di offerta.
E' legittima l'esclusione di un concorrente per tardivo deposito di una parte della campionatura oggetto di fornitura, in quanto la campionatura era funzionale alla valutazione delle offerte da parte della commissione di gara.
Infatti, la stessa era indicata quale elemento da produrre a corredo della relazione tecnica (quest'ultima da inserire senz'altro nel plico contenente l'offerta tecnica) e che, pertanto, solo per ovvie ragioni di spazio la campionatura non doveva essere inserita nei plichi contenenti le offerte, pur dovendosi rispettare, per il suo deposito, la medesima scansione temporale fissata per la presentazione delle offerte (in particolare, la lex specialis disponeva che la stessa doveva essere prodotta "entro il termine di scadenza per la presentazione delle offerte").
Né, nel casi di specie, ha motivo di porsi, un problema di possibile violazione dell'art. 46, c. 1-bis, del d.lgs. n.163 del 2006, che sancisce la tassatività delle clausole di esclusione; per vero, è lo stesso art. 42, c. 1, lett. l), del Codice dei contratti pubblici a prevedere, negli appalti di forniture, il deposito di campioni quale ordinaria modalità di prova del requisito di capacità tecnica, di tal che la clausola del bando risulta coerente con la richiamata previsione di rango primario, sia con riguardo alla natura dell'incombente posto a carico degli offerenti, sia in relazione alla necessità di fissare un termine perentorio per il deposito dei campioni di fornitura (in quanto funzionale a comprovare il requisito di capacità tecnica dell'offerente).
Va ritenuta immune da vizi, pertanto, la determinazione di esclusione assunta dall'Università in danno della originaria ricorrente che, avendo tardivamente prodotto la campionatura oggetto di offerta, era senz'altro da escludere dalla selezione, anche a garanzia del principio della par condicio competitorum (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 26.06.2013 n. 3516 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIDECRETO DEL FARE/ LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE
La solidarietà negli appalti cancellata solo per l'Iva. Restano i vincoli per l'applicazione delle ritenute sul lavoro dipendente.

L'articolo 50 del decreto "del fare" interviene sul comma 28 dell'articolo 35 del Dl 223/2006, eliminando (ma solo per l'Iva) la tanto discussa responsabilità solidale posta "a tutela" dei mancati versamenti fiscali nell'ambito dei contratti di appalto e subappalto. Mentre in una prima versione del decreto si abrogavano integralmente i commi 28, 28-bis e 28-ter dell'articolo 35, cancellando del tutto l'estensione della responsabilità in campo fiscale, l'ultima formulazione lascia, dunque, inalterata la disciplina per quanto attiene alla ritenute di lavoro dipendente.
Queste disposizioni sono state introdotte dal Dl 16/2012, con una prima formulazione che ha subito importanti integrazioni con il Dl 83/2012.
Gli aggiornamenti
Ecco cosa prevede la disciplina aggiornata, in caso di appalti o subappalti di opere e servizi (senza limitazione al solo settore edile):
- da un lato la responsabilità solidale dell'appaltatore con il subappaltatore, con riferimento al versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente (e non più anche dell'Iva dovuta da quest'ultimo) in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di subappalto. Questa responsabilità è limitata all'ammontare del corrispettivo dovuto e può essere evitata ottenendo, anteriormente al pagamento del corrispettivo, la documentazione attestante che i versamenti scaduti sono stati correttamente eseguiti;
- dall'altro, una sanzione amministrativa da 5mila a 200mila euro in capo al committente, nel caso in cui egli paghi l'appaltatore senza essere in possesso della documentazione individuata al punto precedente.
Alcuni dei tanti dubbi applicativi sono stati affrontati dall'agenzia delle Entrate con le circolari 40/E/2012 e 2/E/2013. Il primo documento di prassi, in particolare, ha previsto l'applicazione delle nuove regole ai contratti stipulati (o rinnovati) dal 12.08.2012 e relativamente ai pagamenti intervenuti dall'11 ottobre scorso.
Gli effetti sulle imprese
Gli eccessi di queste disposizioni sono parsi fin da subito evidenti: si finisce con l'arruolare forzosamente le imprese in compiti di vigilanza che non competono loro, peraltro istituendo una procedura che favorisce la circolazione della "carta" senza realmente incrementare la possibilità che vengano meno le omissioni nei versamenti. Questo sistema finisce per causare problemi a chi agisce correttamente, mentre non ne crea a chi opera illecitamente.
Per la semplice dimenticanza di un "pezzo di carta", l'appaltatore (anche in buona fede) finisce per rispondere verso il fisco alla stessa stregua del subappaltatore "infedele", mentre il committente viene pesantemente sanzionato anche nel caso limite in cui è completamente all'oscuro di un eventuale subappalto concluso dall'appaltatore.
Proprio questi effetti deleteri potevano essere alla base di una censura da parte dell'Unione europea, poiché la Corte di Giustizia ha più volte affermato (ad esempio nella sentenza 21.06.2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11) che spetta «alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità e evasioni in materia di Iva nonché infliggere sanzioni al soggetto passivo che ha commesso dette irregolarità o evasioni».
Il timore di venir "bacchettati" in sede comunitaria ha fatto sì che venisse eliminata l'Iva tra i versamenti cui è applicabile la disciplina, con la conseguenza che tutte le perplessità emerse in questi mesi restano invariate per quanto riguarda i versamenti delle ritenute di lavoro dipendente omesse dal subappaltatore e/o dall'appaltatore.
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Il fronte del lavoro. Dopo la riforma Fornero.
Vincolo biennale su contributi e premi.

La riforma Fornero ha rimodulato la materia della solidarietà negli appalti determinando una netta separazione tra il regime della responsabilità solidale sul piano del rapporto di lavoro (articolo 29 del decreto legislativo 276/2003) e su quello fiscale (articolo 35 del Dl 223/2006).
Il decreto ora approvato dal Consiglio dei ministri interviene sulla materia fiscale, mentre non apporta alcun cambiamento alla disciplina della responsabilità solidale "lavoristica" disciplinata all'articolo 29 del decreto 276. Quest'ultima disposizione prevede un'obbligazione solidale tra il committente, l'appaltatore ed eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, con riferimento alla retribuzione, comprese le quote di Tfr, ai contributi previdenziali e ai premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto. Rimangono escluse dalla responsabilità solidale le sanzioni civili, per le quali risponde solo colui al quale viene addebitato l'inadempimento, ed è previsto il meccanismo del beneficium excussionis a favore del committente, che impone al creditore di aggredire in prima battuta il patrimonio del debitore principale (articolo 29, comma 2; circolare del ministero del Lavoro 2/2012).
La riforma Fornero ha introdotto una cosiddetta clausola di riserva, cioè la possibilità per i contratti collettivi nazionali, sottoscritti dalle associazioni dei lavoratori e datori comparativamente più rappresentative, di prevedere una deroga al regime di responsabilità solidale del committente, sia per le retribuzioni che, si deve ritenere, per gli obblighi contributivi e assicurativi.
La clausola di riserva dell'articolo 29 del decreto 276/2003 deve essere coordinata con l'articolo 8 del decreto legislativo 138/2011 (sul cosiddetto contratto di prossimità) che consente di derogare in peius alle disposizioni di legge in materia di solidarietà negli appalti, mediante contratti collettivi aziendali o territoriali (articolo 8, comma 2, lettera c). Ciò potrebbe far pensare che la deroga alla responsabilità solidale sia ormai ammessa solo tramite il contratto collettivo nazionale, con conseguente abrogazione implicita di quella parte dell'articolo 8 del Dl 138/2011 che attribuisce invece tale possibilità ad accordi di livello inferiore.
Tuttavia, nell'articolo 29 il riferimento al contratto collettivo nazionale appare finalizzato semplicemente a escludere che il potere di deroga spetti anche alla contrattazione di livello inferiore, secondo il tipico meccanismo della deregolamentazione contrattata. Viceversa, il sistema previsto dall'articolo 8 consente la deroga contrattuale al regime legale della solidarietà, in materia retributiva, su presupposti del tutto differenti, che si basano sulla vicinanza del contratto collettivo con la realtà produttiva oggetto di regolamentazione e sulla rappresentatività territoriale qualificata dei sindacati stipulanti. Pertanto, è plausibile pensare che se il legislatore avesse voluto modificare la disciplina del contratto di prossimità in materia di solidarietà nell'appalto, lo avrebbe fatto con una previsione espressa e non mediante il rinvio generale al contratto collettivo nazionale operato dall'articolo 29, secondo comma del decreto 276.
Un altro aspetto problematico relativo all'articolo 29 riguarda l'ambito applicativo della disciplina della solidarietà circa i lavoratori coinvolti (subordinati/autonomi) e i settori compresi (appalti pubblici/privati).
Sulla prima questione, la previsione dell'articolo 29, comma 2 utilizza un generico rinvio al termine "lavoratori", lasciando aperta la possibilità che i beneficiari delle tutele poste dal regime della responsabilità solidale siano non solo i lavoratori subordinati, ma anche altri soggetti impiegati nell'appalto con diverse tipologie contrattuali come i collaboratori a progetto e gli associati in partecipazione (lo hanno affermato ministero del Lavoro e Inps, rispettivamente nelle circolari 5/2011 e 106/2012). Tuttavia, si deve considerare che lo stesso articolo 29 fa riferimento alla "retribuzione" e "quote di Tfr", istituti che fanno pensare al lavoro dipendente, e che tradizionalmente il regime della solidarietà -che è istituto eccezionale e non applicabile in modo estensivo- ha sempre riguardato la materia del lavoro subordinato (si pensi all'articolo 1676 Codice civile e alla legge 1369/1960).
Per quanto concerne i settori coinvolti, l'esclusione del settore pubblico dal regime della solidarietà sembra derivare direttamente dal decreto 276 (articolo 1, comma 2) che lascia fuori dal proprio ambito applicativo le pubbliche amministrazioni e il loro personale (tale esclusione con riferimento alla solidarietà fiscale è espressamente sancita dall'articolo 35 del Dl 223/2006) (articolo Il Sole 24 Ore del 26.06.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 25.06.2013 n. 147 "Testo del decreto-legge 26.04.2013, n. 43, coordinato con la legge di conversione 24.06.2013, n. 71, recante: «Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015. Trasferimento di funzioni in materia di turismo e disposizioni sulla composizione del CIPE»".
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Si evidenziano i seguenti articoli di interesse:
Art. 5-ter - Acquisizione di lavori, servizi e forniture dei comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti
  
1. Il termine di cui all’articolo 23, comma 5, del decreto-legge 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214, già prorogato ai sensi dell’articolo 29, comma 11-ter, del decreto-legge 29.12.2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.02.2012, n. 14, è ulteriormente differito al 31.12.2013. Sono fatti salvi i bandi e gli avvisi di gara pubblicati a far data dal 10.04.2013 fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
Art. 6-ter - Incrementi di superfici in sede di ricostruzione
  
1. Il comma 13-bis dell’articolo 3 del decreto-legge 06.06.2012, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla legge 10.08.2012, n. 122, è sostituito dal seguente: «13 -bis  In sede di ricostruzione degli immobili adibiti ad attività industriale, agricola, zootecnica o artigianale, anche a seguito di delocalizzazione, i comuni possono prevedere un incremento massimo del 20 per cento della superficie utile, nel rispetto della normativa in materia di tutela ambientale, culturale e paesaggistica».
(ATTENZIONE: da applicarsi dal 26.06.2013)
Art. 7-bis - Rifinanziamento della ricostruzione privata nei comuni interessati dal sisma in Abruzzo
  
3. A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le misure dell’imposta fissa di bollo attualmente stabilite in euro 1,81 e in euro 14,62, ovunque ricorrano, sono rideterminate, rispettivamente, in euro 2,00 e in euro 16,00.
 (ATTENZIONE: da applicarsi dal 26.06.2013)
Art. 8-bis - Deroga alla disciplina dell’utilizzazione di terre e rocce da scavo
  
1. Al fine di rendere più celere e più agevole la realizzazione degli interventi urgenti previsti dal presente decreto che comportano la necessità di gestire terre e rocce da scavo, adottando nel contempo una disciplina semplificata di tale gestione, proporzionata all’entità degli interventi da eseguire e uniforme per tutto il territorio nazionale, le disposizioni del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10.08.2012, n. 161, si applicano solo alle terre e rocce da scavo prodotte nell’esecuzione di opere soggette ad autorizzazione integrata ambientale o a valutazione di impatto ambientale.
   2. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, in attesa di una specifica disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure, alla gestione dei materiali da scavo, provenienti dai cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale, continuano ad applicarsi su tutto il territorio nazionale le disposizioni stabilite dall’articolo 186 del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, in deroga a quanto stabilito dall’articolo 49 del decreto-legge 24.01.2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.03.2012, n. 27. 
(ATTENZIONE: da applicarsi dal 26.06.2013)
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Si legga un primo commento dal titolo: Terre e rocce da scavo (26.06.2013 - link a www.ance.it).

LAVORI PUBBLICIFuori dal Patto l'appalto a costo zero. Corte dei conti. Via libera all'offerta della gestione di una struttura in cambio della scuola.
L'appalto di lavori pubblici per la realizzazione di una nuova scuola primaria che non richiede esborso di poste finanziarie non ha problemi di compatibilità con il Patto, né con i limiti al debito. L'acquisto non incappa neppure nei limiti all'acquisto di beni immobili.

A dare il via libera all'operazione è la Corte dei conti Lombardia, nel parere 24.06.2013 n. 248.
Di fronte alla necessità di realizzare una nuova scuola, il Comune intende affidare l'opera a un privato (scelto con gara), remunerato attraverso l'esecuzione e la gestione di un'altra struttura socio-sanitaria e assistenziale da realizzare sull'area occupata dalla vecchia scuola da dismettere una volta realizzato il nuovo edificio. Il privato riconosce all'ente il corrispettivo per il diritto di superficie sul l'area della scuola e su quella utilizzata per la nuova struttura, e il Comune non deve erogare somme di denaro.
L'operazione, secondo i magistrati contabili, non rientra nella finanza di progetto, la quale richiede che ricada sul realizzatore, oltre al rischio di costruzione, uno dei due rischi fra quello di domanda (riferito all'utilizzo del l'opera da parte degli utenti finali) o di disponibilità (inteso come il fatto che il realizzatore deve mettere a disposizione degli utilizzatori l'infrastruttura e il committente corrisponderà un canone destinato a remunerare anche il costo dell'opera).
Mancando sia il rischio di domanda che quello di disponibilità, l'operazione rientra nel contratto di appalto, remunerato con la cessione di un fondo attrezzato per la realizzazione di un'impresa. L'appalto rientra nei vincoli di finanza pubblica, ma in questo caso la mancanza di esborso di denaro fa sì che non si ponga un problema di vincoli di finanza pubblica. L'operazione, quindi, non è elusiva del Patto.
Il parere esamina anche l'impatto dell'articolo 1, comma 138, della legge 228/2012, che vieta l'acquisto di immobili a titolo oneroso. Il Comune in questo caso acquista un bene immobile ma come mera conseguenza, differita nel tempo, dell'appalto di lavori pubblici, perciò non incappa nel divieto di acquisto immobili a titolo oneroso che colpisce le operazioni di compravendita per le quali è necessaria la presenza di un "corrispettivo" in senso tecnico, ovvero di un prezzo.
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L'iter
01 | LO SCAMBIO
Il Comune ha bandito una gara in cui chiedeva la realizzazione di una scuola, a costo zero, dando in cambio la concessione per una struttura sanitaria
02 | IL PATTO
Questo contratto di appalto secondo la Corte dei conti è fuori dai vincoli di contabilità del Patto perché manca l'esborso (articolo Il Sole 24 Ore del 22.07.2013).

LAVORI PUBBLICI: Le operazioni di partnership tra pubblico e privato, p.p.p., sono disciplinate dall'art. 3, c. 15-ter, del codice dei contratti pubblici. Elemento caratteristico delle operazioni p.p.p. è la suddivisione del rischio economico tra P.A. e privato, che giustifica un trattamento contabile parzialmente diverso dall'ordinario contratto di appalto.
Il trattamento contabile ai fini dei vincoli di finanza pubblica delle operazioni p.p.p. è stato affrontato dalle SSRR in sede di controllo, -del.ne di indirizzo 16.09.2011, n. 49. Per non essere considerata rilevante ai fini del calcolo del disavanzo e del debito pubblico la spesa inerente la costruzione di opere pubbliche non deve gravare sul bilancio dell'ente; ciò si verifica se: il c.d. rischio di costruzione ricada sul soggetto realizzatore nonché ricada sul realizzatore il rischio di domanda o il rischio di disponibilità. Tali considerazioni possono essere riferite all'anelata operazione di finanza di progetto, definita dalla SRC Veneto, 12.11.2011, n. 228.
Nel caso di specie il riferimento alla disciplina delle p.p.p. è di dubbia utilità: la remunerazione dell'operatore dovrebbe avvenire tramite gestione di struttura diversa e ulteriore rispetto a quella realizzanda per conto del comune e seguirebbe la cessione di un diritto di superficie sull'area su cui insisterebbe l'opificio necessario alla gestione dell'attività economica. Difettando il rischio d'impresa a carico del privato sembrerebbe trattarsi di un mero contratto di appalto, remunerato tramite cessione di un fondo attrezzato per la realizzazione di un'impresa, in quanto,come osservato dalle menzionate SSRR, ''La mancata sussistenza di almeno due parametri indica che l'operazione non ha realmente natura di partenariato con utilizzo di risorse private ma che, di fatto, rientra nella piena disponibilità e rischio per l'ente pubblico''.
Pur in presenza di un rapporto di appalto, astrattamente soggetto ai vincoli di finanza pubblica, non essendo previsto l'esborso di poste finanziarie, non si pone un problema di compatibilità con i vincoli di finanza pubblica o di indebitamento degli enti locali. In relazione alla astratta fattibilità potrebbe paventarsi il rischio dell'ente di incorrere nel divieto comminato dall'art. 1, c. 138, della L. 228/2012. Dal punto di vista oggettivo la fattispecie oggetto del divieto e' costituita dagli acquisti ''a titolo oneroso'' di beni immobili.
A parere della Sezione, l'operazione descritta dal Comune non trova ostacolo nella normativa finanziaria che limita l'acquisto di beni immobili. E' vero che l'Ente locale acquista un'opera pubblica ''un bene immobile'' ma l'articolo 1, c. 138, L. 228/2012 vieta l'acquisto di immobili a titolo oneroso e non la diversa ipotesi dell'appalto di lavori pubblici. D'altra parte, lo stesso articolo 12 della L. 111/2011,modificato dal citato c. 138, comma 1-ter, prevede che ''a decorrere dal 01.01.2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l'indispensabilità e l'indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento.
La congruità del prezzo è attestata dall'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data preventiva notizia, con l'indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell'ente: è chiaro ed evidente il riferimento giuridico alla fattispecie civilistica della compravendita,laddove le parti sono l'alienante e l'acquirente, e non a quella dell'appalto.

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Il comune specifica di essere proprietario di un edificio scolastico, attualmente insufficiente per la platea scolastica servita, occorrente di diversi interventi di ristrutturazione edilizia, anche in adeguamento, per i quali l'ente ha una disponibilità finanziaria non spendibile per i vincoli in essere del cd. patto di stabilità interno.
L'amministrazione comunale di Villa Cortese vorrebbe quindi procedere, tramite l’istituto della finanza di progetto, alla realizzazione della nuova scuola primaria –su altro fondo- per un importo definito sulla base di uno studio di fattibilità.
Con successivo atto di indirizzo del consiglio comunale, a parziale rettifica di un progetto originario, erano definite le linee guida dell’operazione, che prevedono:
i) la copertura dei costi dell'intervento (progettazione definitiva ed esecutiva, realizzazione dell'opera) a totale carico del soggetto promotore, scelto con gara ad evidenza pubblica;
ii) la remunerazione dell'operatore attraverso la gestione di una nuova struttura di tipo sociale, sanitario e assistenziale da realizzare, ad opera del promotore stesso, sull'area su cui insiste l'attuale scuola elementare da dismettere, una volta realizzato il nuovo edificio;
iii) la cessione del diritto di superficie sull’area su cui insiste il citato edificio scolastico al promotore, per una durata decorrente dalla data dì ultimazione dei lavori di realizzazione del nuovo complesso scolastico, da definirsi a seguito di esame del piano economico-finanziario presentato;
iv) il riconoscimento da parte del promotore all'ente, quale corrispettivo per l'accennata concessione del diritto di superficie, e a decorrere dalla data dì entrata in esercizio della nuova struttura socio-sanitario-assistenziale, un canone concessorio annuo.
Di conseguenza, si evidenzia che il comune non subirebbe esborsi di denaro per la realizzazione del nuovo complesso scolastico, ma un'entrata ulteriore determinata dal canone riscosso per il diritto di superficie concesso.
Tanto premesso, il comune richiede chiarimenti sulla esperibilità della finanza di progetto, o di altra formula di partenariato pubblico–privato, e in particolare sulla compatibilità di tali operazioni con le vigenti disposizioni in materia di patto di stabilità interno nonché di indebitamento degli enti locali.
...
A parere della Sezione, l’operazione descritta dal Comune non trova alcun ostacolo nella normativa finanziaria che limita l’acquisto di beni immobili.
E’ vero, infatti, che l’Ente locale acquista un’opera pubblica –e quindi un bene immobile– ma è altrettanto vero che l’articolo 1, comma 138, legge n. 228/2012 vieta l’acquisto di immobili a titolo oneroso e non la diversa ipotesi (in cui l’acquisto è mera conseguenza, differita nel tempo, dell’operazione) dell’appalto di lavori pubblici.
D’altra parte, lo stesso articolo 12 della legge n. 111/2011 (modificato dal citato comma 138), comma 1-ter, prevede che “a decorrere dal 01.01.2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente": è chiaro ed evidente il riferimento giuridico alla fattispecie civilistica della compravendita (laddove le parti sono l’alienante e l’acquirente) e non a quella dell’appalto.
Alla luce di quanto esposto dal Comune,
può in astratto ritenersi che l’operazione come strutturata, e salva ogni considerazione afferente alla sua concreta realizzazione, non pare presentare elementi ostativi con riferimento alle vigenti normative in materia di finanza pubblica (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 24.06.2013 n. 248).

APPALTI SERVIZI: Affidamento del servizio di tesoreria? Serve sempre la gara pubblica.
Il TAR della Campania ha accolto il ricorso da una società specializzata nel servizio di tesoreria e tributi nei confronti di un ente locale: per i giudici amministrativi il rinnovo del servizio di tesoreria nei confronti dello stesso operatore economico già aggiudicatario del servizio deve essere effettuato tramite gara pubblica.

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Il contenzioso amministrativo
La vicenda si sviluppa seguito del fatto che, con deliberazione del Consiglio Comunale, è stato rinnovato l’affidamento del servizio di tesoreria comunale alla Banca che già in precedenza lo gestiva , in assenza di indizione di procedura di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento del suddetto servizio.
Avverso tale provvedimento una banca si è opposta davanti alla competente sede del TAR.
L’analisi del TAR
I giudici amministrativi osservano che l’affidamento del servizio di tesoreria comunale, inteso ai sensi dell’art. 209 del D.Lgs. 267/2000 quale complesso di operazioni legate alla gestione finanziaria dell’ente locale, inclusa la riscossione delle entrate, la custodia di titoli e valori e gli adempimenti connessi, rientra nell’ambito di operatività della normativa di cui al D.Lgs. n. 163/2006, risultando assoggettato alle disposizioni del Codice degli Appalti Pubblici ai sensi del comma 2 dell’art. 20, in quanto incluso tra “i servizi finanziari” di cui all’allegato II A.
Nel caso in esame il servizio affidato dal Comune sulla base di una convenzione che ne stabiliva la remuneratività tramite la previsione di un compenso annuale a carico dell’ente si differenzia per tale ragione dalle concessioni di servizi in quanto l’onere del servizio viene a gravare integralmente sull’amministrazione per cui è riconducibile, anche sotto tale profilo, alla disciplina degli appalti.
Come previsto dall’art. 210 del D.Lgs. n. 267/2000 l’ente può procedere al rinnovo del contratto di tesoreria nei confronti del medesimo soggetto per non più di una volta solo “qualora ricorrano le condizioni di legge”.
Il TAR osserva che in seguito all’entrata in vigore dell’art. 23 della legge n. 62/2005, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito che, in tema di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti, ma vige il principio che l’amministrazione, una volta scaduto il contratto, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, deve effettuare una nuova gara.
L’art. 57, comma 5, lett. b), del Codice degli Appalti Pubblici, in tema di procedure negoziate senza previa pubblicazione di un bando di gara circoscrive i casi in cui è ammesso l’affidamento diretto all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale solo per i “nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi” alle condizioni indicate tra cui la “previa indicazione nel bando originario della possibilità del ricorso alla procedura negoziata”.
Le conclusioni
Per i giudici amministrativi del TAR essendo il quadro normativo di riferimento, e stante la preminenza della legislazione di derivazione comunitaria rispetto alle norme di diritto interno, nonché la necessità di privilegiare in ogni caso un’interpretazione del dato normativo il più possibile coerente con il diritto comunitario, deve escludersi che il rinnovo del servizio di tesoreria nei confronti del medesimo operatore economico già aggiudicatario del servizio possa avvenire, in via diretta, senza previo espletamento di una gara pubblica.
Tra l’altro, evidenziano i giudici amministrativi, l’ente locale con la delibera di rinnovo impugnata dalla banca interessata , ha altresì concordato ed approvato la modifica e l’integrazione di più clausole della convenzione in precedenza stipulata così modificando l’assetto contrattuale originariamente posto a base di gara; tale modifica dell’assetto contrattuale determinato nella originaria convenzione induce, altresì, ad escludere la ravvisabilità nella specie di una sorta di “proroga” della convenzione originariamente stipulata peraltro ammessa dalla legge, per il solo tempo strettamente necessario all’espletamento di una nuova gara, mentre nella specie il rinnovo è avvenuto per un periodo di quattro anni identico a quello coperto dalla precedente convenzione.
Il ricorso per il TAR merita accoglimento e la delibera dell’ente locale è, pertanto , da annullare (commento tratto da www.ispoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 21.06.2013 n. 3261 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 21.06.2013, suppl. ord. n. 50/L, "Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia" (D.L. 21.06.2013 n. 69).
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Per leggere la sintesi dei numerosi provvedimenti presi, si legga il comunicato stampa 15.06.2013 della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

APPALTI: Dipendente comunale, membro della commissione di gara o responsabile del procedimento?
Domanda
Può essere nominato membro di una Commissione di gara per l'affidamento di un servizio compreso nell'elenco di cui all'allegato II B del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 il dipendente comunale destinato a rivestire l'incarico di responsabile del procedimento nella fase di esecuzione del contratto da stipulare con il soggetto aggiudicatario?
Risposta
L'art. 20 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, che regola espressamente gli appalti di servizi elencati nell'allegato II B dello stesso D.Lgs., prevede che "l'aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B è disciplinata esclusivamente dall'art. 68 (specifiche tecniche), dall'art. 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento), dall'art. 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati)".
L'incompatibilità prospettata nella domanda è invece regolata dall'art. 84 comma 4, per cui "I commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta"; tra i ruoli che fanno sorgere l'incompatibilità la giurisprudenza ricomprende pacificamente anche il responsabile del procedimento (si veda, ex multis, la recente TAR Puglia Bari Sez. I, 06.02.2013, n. 174).
Per completezza, è opportuno citare anche l'art. 27 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 ("principi relativi ai contratti esclusi"), che stabilisce al comma 1: "L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità...".
Basandosi sul mero dettato normativo, si potrebbe affermare che l'art. 84 non è ricompreso tra gli articoli previsti dall'art. 20 come applicabili ai servizi di cui all'allegato II B del codice; sull'argomento è pero intervenuta, con orientamenti contrastanti, la giurisprudenza amministrativa. Si veda ad esempio Cons. Stato Sez. III, 17.10.2011, n. 5547, che riporta in massima "gli appalti esclusi, compresi nell'allegato II B dell'art. 20 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 (Codice degli appalti), sono soggetti esclusivamente all'applicazione delle norme ivi richiamate ovvero agli artt. 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento), 68 (specifiche tecniche) e 225 (avviso appalti aggiudicati nei settori speciali). La scelta della stazione appaltante di aggiudicare un appalto escluso con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa di cui all'art. 83 del codice non implica, salvo un esplicito richiamo contenuto negli atti di gara, l'applicazione del disposto di cui al successivo art. 84 relativo alla nomina e costituzione della commissione di gara", attenendosi quindi a un'interpretazione letterale del disposto normativo, laddove un'altra sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto che la ratio nell'art. 84 sia invece espressione di "principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa.
Secondo la giurisprudenza, essa, in quanto espressiva di un principio generale, è applicabile anche alle procedure di evidenza pubblica non disciplinate dal codice dei contratti pubblici
" (Cons. Stato Sez. IV, 10.01.2012, n. 27).
A dirimere questo contrasto è di recente intervenuta l'Adunanza plenaria, con la Sent., 07.05.2013, n. 13. La sentenza, pur intervenendo nello specifico sull'applicabilità o meno dell'art. 84 alle concessioni di servizi ex art. 30, stabilisce comunque principi generali che appaiono applicabili anche all'ambito dei contratti esclusi (ed è la stessa sentenza a richiamare più volte l'art. 27). In particolare il Consiglio di Stato statuisce che "deve ritenersi, quindi, che le regole, quali quelle contenute nell'art. 84 sui "tempi" della formazione e sulla "regolare composizione" di un organo amministrativo (tali regole aventi natura sostanziale e non ogni diversa disposizione procedurale) siano un predicato dei principi di trasparenza e di imparzialità, per cui le disposizioni di cui ai commi 4 e 10 devono ritenersi espressione di principio generale del codice".
Gli ultimi orientamenti giurisprudenziali portano quindi a ritenere che le norme dell'art. 84 siano espressione di principi generali tesi ad assicurare trasparenza e imparzialità, e in quanto tali applicabili anche alle procedure di evidenza pubblica non disciplinate dal codice dei contratti pubblici, come peraltro previsto dall'art. 27 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163. Per questi motivi, vista la non univocità delle soluzioni proposte dalla giurisprudenza, pare più prudente che lo stesso dipendente comunale non svolga ambedue le funzioni di membro della commissione e di responsabile del procedimento
(21.06.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI«Solidarietà» per le ritenute. Le imprese dovranno ottenere un'autocertificazione sulla regolarità dei versamenti.
LE CONTROMISURE/ La norma viene neutralizzata anche con l'acquisizione della documentazione o con l'asseverazione di un professionista.

La responsabilità solidale fiscale negli appalti privati resta per le ritenute di lavoro dipendente che il subappaltatore e l'appaltatore debbono versare all'erario in ragione delle prestazioni realizzate.
Questa situazione, che dovrà essere confermata dal testo definitivo del decreto approvato dal Consiglio dei ministri del 15 giugno, fa risorgere, almeno in parte le preoccupazioni che sul tema le imprese avevano manifestato nei mesi scorsi. In parte perché le modifiche appena apportate sollevano appaltatori e committenti dagli obblighi con riferimento all'Iva.
Certamente, però, anche con questa limitazione gli appaltatori e i committenti per evitare rispettivamente l'applicazione di una responsabilità solidale (subappaltatore-appaltatore) o di una "responsabilità sanzionatoria" (committente-appaltatore) devono acquisire la documentazione ovvero devono ottenere un'asseverazione da parte di professionisti abilitati ovvero (come ha interpretato l'agenzia delle Entrate con la circolare 40/E/2012) devono ottenere dal fornitore un'apposita autocertificazione che attesti che il prestatore del servizio abbia regolarmente effettuato le ritenute di lavoro dipendente.
È auspicabile che l'adempimento che non è certamente di facile realizzazione e, come più volte sottolineato, di poca utilità venga soppresso e possibilmente sostituito con un'attività di controllo preventivo delle autorità pubbliche.
A dire il vero questa forma di responsabilità solidale era già prevista dalla versione originaria del decreto legge 223/2006, anche se, all'epoca la norma era naufragata per effettiva impraticabilità.
Anche nel 2006, infatti, la responsabilità solidale veniva meno con l'acquisizione da parte dell'appaltatore, prima del pagamento del corrispettivo, della documentazione che comprovava il corretto adempimento da parte del subappaltatore. Per l'individuazione dell'idonea documentazione la norma rinviava a un decreto ministeriale, decreto che è stato emanato nel 2008 (Dm 74 del 25.02.2008). Successivamente le norme che definivano l'attuazione dell'adempimento e lo stesso decreto sono stati abrogati dall'articolo 3, comma 8, del Dl 97/2008.
A proposito del decreto 74/2008 è interessante notare che il legislatore dell'epoca aveva previsto un F24 specifico per ogni appalto. Pertanto l'appaltatore avrebbe dovuto ricevere dal subappaltatore un F24 per ogni appalto che aveva in piedi con lui e, di fatto, in questo modo poteva (anche in quel caso solo in modo forfettario) verificare se il versamento delle ritenute era coerente con il numero di lavoratori impiegati nel relativo appalto. L'F24, inoltre, era comunque accompagnato da un'autocertificazione del subappaltatore.
La situazione attuale è più complicata, in quanto la norma non prevede alcuna forma di versamento dedicato. Pertanto, nell'attuale quadro normativo sia l'appaltatore che il committente devono acquisire una documentazione ovvero un'autocertificazione dal rispettivo fornitore con riferimento all'appalto.
È chiaro che la soluzione che si può scegliere è quella di acquisire l'autocertificazione (ammessa dall'agenzia delle Entrate). Nell'autocertificazione comunque dovrà comparire, come ribadito da ultimo da Assonime nella circolare 18 del 12.06.2013, l'indicazione del periodo nel quale le ritenute sui redditi di lavoro sono state versate, mediante scomputo totale o parziale; l'indicazione degli estremi del modello F24 con il quale le ritenute, non scomputate, sono state versate.
È importante, inoltre, prevedere specifiche clausole contrattuali per evitare che il fornitore subappalti senza autorizzazione il lavoro. Infine è necessario, acquisire informazioni sul fornitore per evitare di essere coinvolto in comportamenti fraudolenti.
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L'impatto. Il confronto con la previdenza. Regole più severe sul fronte fiscale.
LA PENALIZZAZIONE/ Per l'erario non vale il limite temporale dei due anni dalla cessazione dei lavori.

Responsabilità "solidale" double face. L'intervento operato dal legislatore, teso a eliminare il riferimento agli obblighi Iva non modifica contenuti e procedure della responsabilità fiscale per omissioni altrui e lascia invariata l'asimmetria che sussiste tra questa disciplina e quella prevista dall'articolo 29, comma 2 del decreto legislativo 276/2003.
Quest'ultima prevede un vincolo di solidarietà, in caso di appalto di opere o servizi, tra committente, appaltatore e ciascuno degli eventuali subappaltatori in relazione ai trattamenti retributivi (comprese le quote di Tfr), ai contribuiti previdenziali e ai premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto. Nonostante le norme abbiano efficacia nei confronti delle medesime tipologie contrattuali, ed abbiano entrambe lo scopo di assicurare all'Erario la possibilità di recuperare gli omessi versamenti "risalendo" la catena dell'appalto, il funzionamento delle due disposizioni è significativamente differente (si veda la tabella a lato). A cominciare dai soggetti interessati: fiscalmente, si parla di responsabilità solidale unicamente in capo all'appaltatore (il committente può essere "solo" fatto oggetto di sanzioni, per quanto "salate"), mentre il Dlgs n. 276/2003 prevede che la solidarietà si estenda a tutti gli anelli della catena.
Ci sono alcuni aspetti in cui la norma tributaria è meno "severa" (previsione della attestazione di regolarità come "scudo" contro la solidarietà, limitazione all'importo del corrispettivo contrattuale) rispetto a quella retributiva e contributiva (dove l'attestazione non è prevista e non sono previsti limiti quantitativi).
A ben vedere, tuttavia, sotto molti altri aspetti è la norma tributaria a risultare più penalizzante, poiché non prevede né il beneficio della preventiva escussione del soggetto "infedele", né il limite temporale di due anni dalla cessazione dei lavori, né l'esonero del soggetto "solidale" dalle sanzioni di cui è chiamato a rispondere colui che ha omesso i versamenti. Dal lato dei soggetti tutelati, i verificatori che vigilano sull'applicazione del Dlgs n. 276/2003 hanno in questi anni mostrato di interpretare il termine "lavoratori" in una accezione molto ampia (ad esempio collaboratori, associati, soggetti "in nero"), secondo una lettura che la norma fiscale -letteralmente più puntuale- non sembra poter offrire.
Anche nell'esclusione delle forme contrattuali assimilabili all'appalto l'agenzia delle Entrate ha mostrato di voler tracciare confini molto distinti, spesso disapplicati in campo previdenziale. Sarebbe opportuno, a questo punto, creare una disciplina omogenea (articolo Il Sole 24 Ore del 20.06.2013).

APPALTISolidarietà, abrogazione parziale. Resta la responsabilità per i versamenti che riguardano retribuzioni e contributi.
IL PROBLEMA/ Le società devono prevedere forme di controllo interno sui fornitori per evitare di finire vittime delle frodi altrui.

Il decreto legge approvato sabato scorso dal Consiglio dei ministri ha abrogato la responsabilità solidale Iva nei rapporti tra appaltatore e subappaltatore e la relativa "responsabilità sanzionatoria" prevista tra appaltatore e committente.
Attenzione, però: il decreto non interviene sulla responsabilità solidale contributiva relativa alle ritenute d'imposta di lavoro dipendente. La norma finale lascia, infatti, inalterate le regole in materia di lavoro (si veda sull'argomento l'articolo pubblicato in questa stessa pagina). In particolare, il decreto prevede un intervento chirurgico all'articolo 35 del Dl 223/2006 abrogando solo i riflessi Iva della normativa.
L'abrogazione della responsabilità solidale Iva negli appalti è sicuramente una scelta attesa, sperata e sicuramente giusta.
In effetti, il provvedimento governativo, anticipando una probabile bocciatura comunitaria della norma, ha il merito di aver cancellato un adempimento che aveva creato per le imprese degli oneri del tutto sproporzionati. Inoltre, l'adempimento, nella sua concreta attuazione, era del tutto inefficace rispetto agli scopi per cui era stata approvato, essendosi ridotto a un mero formalismo con l'acquisizione meccanica di un'autocertificazione del fornitore.
La norma, però, seppur del tutto inadeguata, si proponeva di ridurre un fenomeno di frode Iva legato all'emissione da parte dei fornitori di fatture soggettivamente inesistenti. Il fenomeno sta rapidamente coinvolgendo molti cessionari/committenti, in molti casi, del tutto inconsapevoli. Nel corso degli ultimi anni, anche a causa della grave crisi finanziaria, molti operatori sono caduti nella trappola di fornitori scaltri che attraverso la frode Iva erano in grado di vendere beni e servizi a prezzi notevolmente inferiori. La frode si realizza seguendo uno schema ormai ben consolidato: il fantomatico fornitore si interpone tra il reale soggetto che cede il bene e il servizio e vende al nostro acquirente i beni o i servizi riscuotendo da quest'ultimo l'Iva, ma non provvede a riversare l'imposta all'Erario.
Così facendo questi fornitori sono in grado di vendere a prezzi sicuramente vantaggiosi i beni e/o i servizi potendo beneficiare in modo del tutto illegittimo dell'Iva incassata.
In questi mesi questi fenomeni hanno prepotentemente raggiunto gli onori delle cronache, in quanto la giurisprudenza nazionale di merito e di legittimità, nonché la Corte Ue si sono ampiamente occupate di questi casi. Inoltre del tema si è occupata la Commissione Europea nel libro bianco del futuro dell'Iva e, da ultimo, anche il legislatore nazionale che con il Dl 16/2012 ha cercato di limitare (si fa per dire) all'Iva i recuperi che nel frattempo l'agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza avevano fatto nei confronti dei contribuenti.
L'effetto del recupero è, allo stato attuale, identificabile nella indetraibilità dell'Iva relativa alle fatture emesse nei confronti degli acquirenti/committenti dai fornitori frodatori. Il fenomeno che ha riguardato e riguarda imprese di vari settori economici, impone al contribuente l'adozione di un'adeguata contromisura. In particolare, a prescindere dall'adempimento ora abrogato, le imprese devono introdurre una procedura di controllo economico-amministrativo dei propri fornitori.
La procedura che può sicuramente prendere spunto anche dai principi individuati dalla giurisprudenza, deve consentire all'acquirente/committente di verificare, per esempio, l'esistenza di un reale potere di rappresentanza del venditore rispetto all'impresa fornitrice; l'esistenza e l'attività dell'impresa fornitrice (attraverso l'acquisizione della visura camerale); la corrispondenza degli indirizzi della sede amministrativa e legale e della localizzazione dei pagamenti rispetto ai dati camerali
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Contratti nazionali con ruolo decisivo.
LE INTESE COLLETTIVE/ Potranno individuare i metodi e le procedure per la verifica della regolarità complessiva.

La responsabilità solidale negli appalti è confermata per le retribuzioni, i contributi previdenziali e i premi assicurativi anche dopo l'approvazione del decreto legge «del fare». Infatti, il provvedimento approvato sabato del Consiglio dei ministri non abroga l'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 276/2003 che contiene la responsabilità solidale più per i profili lavoristici mentre è stata eliminata la responsabilità in ambito fiscale riferita all'Iva (articolo 35 del Dl 223/2006).
L'articolo 29 invece, prevede che in caso di appalto di opere o servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, per corrispondere ai lavoratori trattamenti retributivi, contributi previdenziali e premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto. La solidarietà, dunque, riguarda sia il committente sia ciascuno degli appaltatori e subappaltatori e sono comprese anche le quote di Tfr maturato durante l'impiego del lavoratore nel contratto di appalto. Sono, invece, escluse da qualsiasi obbligo le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento. Rimane il dubbio sul titolo degli interessi dato che letteralmente la norma esclude solo le sanzioni civili.
Un ruolo decisivo lo hanno i contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni di datori di lavoro e lavoratori comparativamente più rappresentative del settore: essi possono individuare metodi e procedure di controllo e verifica della regolarità complessiva degli appalti. C'è una procedura specifica per azionare la responsabilità solidale: il committente può (e deve) eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori.
In questo caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli altri obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali (articolo Il Sole 24 Ore del 19.06.2013).

APPALTI SERVIZI: Nelle gare indette per la concessione di servizi la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici (fattispecie relativa al complesso del Vittoriano).
Ai sensi dell'art. 30, c. 3, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), nelle gare indette per la concessione di servizi la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.
Sebbene in tale quadro normativo, ai fini della verifica dell'effettiva capacità tecnica, l'elenco esemplificativo di cui agli artt. 41 e 42 del Codice dei contratti pubblici non costituisce, per la stazione appaltante un vincolo diretto, tuttavia in relazione al richiamo ai principi del Trattato UE, le determinazioni in materia di requisiti soggettivi di partecipazione alle gare non devono essere illogiche, arbitrarie, inutili o superflue e devono essere rispettose del "principio di proporzionalità", il quale esige che ogni requisito individuato sia al tempo stesso necessario ed adeguato rispetto agli scopi perseguiti.
Pertanto, il concreto esercizio del potere discrezionale deve essere funzionalmente coerente con il complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal pubblico incanto e deve rispettare i principi del Codice dei contratti pubblici, con la conseguenza che, nella scelta dei requisiti di partecipazione il ricordato principio di non discriminazione impone che la stazione appaltante deve ricorrere a quelli che comportino le minori turbative per l'esercizio dell'attività economica e l'intero impianto delle prescrizioni di gara non deve costituire dunque una violazione sostanziale dei principi di libera concorrenza, par condicio, non discriminazione trasparenza di cui all'art. 2, c. 1, del più volte citato Codice (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 18.06.2013 n. 6094 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: DECRETO FARE/Stop agli adempimenti per committenti e appaltatori a portata ridotta
Solidarietà, un no circoscritto. Abrogazione della responsabilità solo per i versamenti Iva.

Soppressione della solidarietà passiva negli appalti limitata alla sola Iva. Questa, in assenza della versione ufficiale del decreto legge del fare approvato sabato scorso dal governo, la scelta compiuta dall'esecutivo.
Il comunicato diramato a fine seduta afferma, infatti, che per i committenti e gli appaltatori arriva l'abrogazione della responsabilità solidale negli appalti ma «relativamente ai versamenti Iva».
Che vi possano anche rientrare le ritenute, è un busillis che sarà sciolto solo con la pubblicazione del dl in G.U.
Secondo la disciplina indicata, ai sensi dei commi da 28 a 28-ter, dell'art. 35, dl 04/07/2006 n. 223, convertito nella legge n. 248/2006, il committente o l'appaltatore possono procedere nel pagamento di quanto dovuto, per l'esecuzione di lavori concordati, all'appaltatore o al sub-appaltatore, soltanto se questi ultimi hanno puntualmente eseguito i versamenti delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva dovuta sulla prestazione.
Il pagamento è condizionato, infatti, alla preventiva consegna della documentazione attestante l'esecuzione dei versamenti, il cui termine risulta scaduto alla data del pagamento del corrispettivo.
La disciplina è articolata e distorta poiché, a fronte di un debito per Iva, per esempio, pari a 5 mila euro, ma a un corrispettivo maturato dal sub-appaltatore nei confronti dell'appaltatore per 50 mila euro, il pagamento non può avvenire per la differenza di 45 mila euro, subendo la totale sospensione e con il blocco dell'operatività dell'impresa esecutrice, legittimamente creditrice. L'intervento limitato non produrrebbe, però, l'alleggerimento auspicato dagli operatori.
Come indicato in un recente documento dell'Associazione dottori commercialisti ed esperti contabili (Aidc) di Milano (marzo 2013) si deve prendere atto che il tema dell'obbligazione solidale del pagamento dell'imposta dovuta, rientra nella competenza della direttiva Iva (Corte di giustizia, sentenza 11/05/2006, causa C-384/04 punto 24), ma che «essendo diretta emanazione di una facoltà riconosciuta agli stati membri, la disposizione riguardante la solidarietà nel pagamento dell'imposta non soggiace al regime di preventiva autorizzazione disciplinato dall'art. 395 della dir. 2006/112/Ce».
Peraltro, la detta disciplina prevede che il committente (o l'appaltatore, in presenza di sub-appalto), per i contratti stipulati a partire dal 12/08/2012 e per i pagamenti eseguiti dall'11/10/2012, sia assoggettabile a una sanzione da 5 mila a 200 mila euro se ha provveduto al pagamento di quanto dovuto per la prestazione, senza aver verificato il versamento delle ritenute o dell'Iva dell'appaltatore o in mancanza di una attestazione («dichiarazione sostitutiva») da parte dei prestatori o di una asseverazione da parte dei responsabili dei Caf o di professionisti abilitati.
Sul punto, l'Agenzia delle entrate (circolare n. 2/E/2013) aveva già precisato che, in presenza di più contratti stipulati tra le medesime parti, poteva essere rilasciata un'autocertificazione «unitaria» e «periodica», in presenza del pagamento del corrispettivo; in effetti, la detta autocertificazione deve far riferimento ai versamenti scaduti nel momento del versamento del corrispettivo e non deve aver come oggetto fatti successivi alla data del rilascio.
La commissione di studio dell'associazione citata aveva anche rilevato alcune incompatibilità (in eccesso e/o in difetto) della disposizione nazionale rispetto alla norma comunitaria, con particolare riferimento all'insorgere della solidarietà anche in assenza di intenti frodatori, al totale blocco dei pagamenti che creano un serio danno alle imprese, alla sproporzione del regime sanzionatorio e alla vanificazione degli effetti anti-evasione, nonché alla non considerata ma necessaria correlazione tra obbligo di solidarietà e adempimento, «in forza della quale l'appaltatore non può sostituirsi nell'adempimento (?) se non al successivo momento in cui l'infrazione venga contestata dall'amministrazione finanziaria».
Concludendo, in attesa della conferma dei contenuti della bozza del provvedimento in circolazione, con l'abrogazione esplicita del comma 28, dell'art. 35, dl 223/2006 che dispone che «in caso di appalto di opere o di servizi, l'appaltatore risponde in solido con il subappaltatore (?) del versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dell'imposta sul valore aggiunto», l'abrogazione varrà anche per le ritenute (articolo ItaliaOggi del 18.06.2013).

CONSIGLIERI COMUNALI - APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Anche il Segretario comunale è responsabile per l'approvazione illegittima di debiti fuori bilancio.
Osserva il Collegio che i lavori oggetto della presente controversia –determinativi del pagamento– non rientravano tra quelli oggetto di appalto e la loro realizzazione era stata decisa in piena autonomia dall’impresa, senza alcun coinvolgimento istituzionale della stazione appaltante o della direzione dei lavori.
Né sussisteva la presenza di apposite riserve negli atti adottati nelle varie fasi di esecuzione dell’appalto.
In altri termini l’impresa aveva deciso autonomamente e contra legem –vista la normativa di settore-, in assenza di richiesta o autorizzazione dell’Amministrazione comunale committente di effettuare lavori che esulavano dall’opus appaltato.
La normativa in tema di opere pubbliche preclude –in via generale– all’appaltatore la possibilità di operare con tali modalità pur, se in ipotesi, al fine di realizzare interventi caratterizzati da intrinseca utilità.
In siffatto modo l’art. 342, comma primo, della legge sui lavori pubblici (all. F) 20.03.1865 n. 2248, applicabile nella specie, impedisce in via generale all’appaltatore di apportare “variazioni o addizioni di sorta al lavoro assunto senza averne ricevuto l’ordine per iscritto dall’ingegnere direttore”, ed in seguito si aggiunge che “mancando una tale approvazione gli appaltatori non possono pretendere alcun aumento di prezzo od indennità per le variazioni od addizioni avvenute, e sono tenuti ad eseguire senza compenso quelle riforme che in conseguenza l’Amministrazione credesse opportuno di ordinare, oltre il risarcimento dei danni recati”.
Nella stessa direzione l’art. 134 del d.P.R. 21.12.1999 n. 554 dispone che “nessuna variazione o addizione al progetto approvato può essere introdotta dall’appaltatore se non è disposta dal direttore dei lavori e preventivamente approvata dalla stazione appaltante nel rispetto delle condizioni e dei limiti indicati dal’art. 25 della legge. Il mancato rispetto di tale disposizione non dà titolo al pagamento dei lavori non autorizzati e comporta la rimessione in pristino, a carico dell’appaltatore, dei lavori e delle opere nella situazione originaria secondo le disposizioni del direttore dei lavori”.
I regimi derogatori che si sono succeduti nel tempo non hanno mai permesso la possibilità di variazioni unilaterali dell’appaltatore, senza che questi ne avesse fatto riserva (sulla necessità di una tempestiva iscrizione di riserva, pena la decadenza del diritto al pagamento per i maggiori costi delle opere eseguite e preclusione anche dell’azione ai sensi dell’art. 2041 c.c.. cfr. Corte Cassazione 12.09.2003 n. 13440) o prescindendo dal coinvolgimento della direzione dei lavori.
Il Giudice di Legittimità ha, pertanto, più volte ribadito che “in materia di appalti l’onere dell’iscrizione nel registro di contabilità (di cui al RD n. 350 del 1895) condiziona la tutelabilità delle pretese dell’appaltatore non accolte dalla committente PA in ordine alle partite di lavoro eseguite".
Vieppiù il Giudice di Legittimità ha statuito che “non è poi esatto che l’appaltatore abbia l’onere di iscrivere la riserva per maggiori compensi pretesi soltanto al momento della scadenza contrattuale prevista …. In quanto dal combinato disposto degli artt. 53 e 54 r.d. n. 350 del 1895… si ricava la regola assoluta ed inderogabile che l’appaltatore che richieda maggiori compensi, rimborsi o indennizzi, per qualsiasi titolo e in relazione a qualsiasi situazione nel corso dell’esecuzione dell’opera, è tenuto a iscrivere nel registro di contabilità la riserva “immediatamente” e quindi contestualmente all’insorgenza e percezione del fatto dannoso. Solo dal registro di contabilità è rilevabile l’incidenza che le varie vicende potranno avere sui costi dell’appalto e per il committente e per l’appaltatore”.
Ove anche, come prospettato dalle parti convenute in ipotesi fossero da considerare opere extracontrattuali, ai sensi dell’art. 344 della l. 20.03.1865 n. 2248 all. F, era necessario un nuovo impegno di spesa ed un autonomo contratto, ad oggetto tipologie di opere e compensi spettanti all’appaltatore, dovendo ricorrere, a pena di nullità ed improduttività di effetti, un atto adottato dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, il solo legittimato a stipulare in nome e per conto di esso.
Sicché vi è improponibilità della domanda ex art. 2041 c.c. rivolta all’ente locale per opere e lavori commissionati senza alcun previo impegno di spesa né copertura finanziaria, come disposto dal previgente art. 23, comma 4, del D.L. 66 del 1989 convertito nella legge n. 144 del 1989 (norme più volte modificate ed infine cristallizzate negli artt. 191 e 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, sempre in armonia con il dettato dell’art. 23 D.L. 66/1989). La improponibilità deriva dal fatto che le norme, impositive di sole azioni dirette nei confronti del funzionario deliberante, hanno fatto venir meno la necessaria residualità dell’azione ex art. 2041 c.c. nei riguardi dell’ente locale.
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L’art. 1, comma 1–ter della l. n. 20/1994 dispone che “nel caso di deliberazioni di organi collegiali la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole. Nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”.
Pertanto, ribadisce il Collegio, che l’atto dannoso, ossia il riconoscimento del debito fuori bilancio, rientra tra le competenze dell’organo politico (art. 194 d.lgs. 267/2000) e non in quella propria dell’organo tecnico (che in ogni caso è responsabile in quanto proponente).
Nella fattispecie, non si è trattato di ratificare o approvare un atto proprio di altro organo (tecnico), ma di adottare un atto di riconoscimento di debito fuori bilancio, rientrante appieno nella propria sfera di competenza e responsabilità.
L’aver autorizzato l’accollo della spesa risulta, pertanto, decisione poco avveduta e assolutamente antigiuridica e, in ordine al profilo psicologico, va sicuramente affermata la colpa grave sia degli amministratori (rectius dell’apparato politico), sia dei funzionari amministrativi che hanno espresso parere favorevole all’adozione del provvedimento, in quanto la normativa di riferimento era assolutamente intellegibile, non sussistendo i presupposti per riconoscere quanto richiesto (non essendo state avanzate riserve o richieste di alcun genere sui lavori extracontratto per i quali non era stata coinvolta la direzione dei lavori o l’Amministrazione comunale).
Pertanto va affermata la colpa grave degli odierni convenuti in forza dei differenti ruoli rivestiti nell’ambito del Comune e della palese erroneità dell’atto nell’ambito delle rispettive competenze.
Il pagamento di lavori esulanti dal contratto, decisi in piena autonomia dall’impresa senza coinvolgimento dell’Amministrazione in mancanza della richiesta di pagamento durante la loro effettuazione o l’apposizione di riserve, determina una anomala richiesta di pagamento (a distanza di cinque anni dall’ultimo pagamento afferenti al lavori), e tale anomalia non poteva trovare “copertura” attraverso il riconoscimento di un debito fuori bilancio.
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Nel novero dei soggetti che hanno avuto un apporto causale più rilevante nella causazione del danno (pari al 70% dello stesso) va anche ritenuto responsabile il segretario comunale che aveva, ai sensi dell’art. 97 d.Lgs. n. 267/2000, il dovere di esercitare compiti di “assistenza giuridico amministrativa” ed era tenuto a segnalare l’illegittimità di un atto palesemente in contrasto con i principi in tema di contrattualistica pubblica, tanto più che non vi era in atti alcuna controversia, giudiziaria o stragiudiziale, che potesse indurre ad indirizzare verso una decisione (il riconoscimento del debito fuori bilancio) costituente un minor danno a fronte di ipotetici esborsi a seguito della soccombenza in giudizio.

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La Procura contesta agli odierni convenuti di aver espresso voto favorevole –o di aver consentito– alla legittimità del pagamento senza rilevare, nonostante le specifiche competenze istituzionali, l’intervenuta decadenza.
Osserva il Collegio che i lavori oggetto della presente controversia –determinativi del pagamento– non rientravano tra quelli oggetto di appalto e la loro realizzazione era stata decisa in piena autonomia dall’impresa, senza alcun coinvolgimento istituzionale della stazione appaltante o della direzione dei lavori.
Né sussisteva la presenza di apposite riserve negli atti adottati nelle varie fasi di esecuzione dell’appalto.
In altri termini l’impresa aveva deciso autonomamente e contra legem –vista la normativa di settore-, in assenza di richiesta o autorizzazione dell’Amministrazione comunale committente di effettuare lavori che esulavano dall’opus appaltato.
La normativa in tema di opere pubbliche preclude –in via generale– all’appaltatore la possibilità di operare con tali modalità pur, se in ipotesi, al fine di realizzare interventi caratterizzati da intrinseca utilità.
In siffatto modo l’art. 342, comma primo, della legge sui lavori pubblici (all. F) 20.03.1865 n. 2248, applicabile nella specie, impedisce in via generale all’appaltatore di apportare “variazioni o addizioni di sorta al lavoro assunto senza averne ricevuto l’ordine per iscritto dall’ingegnere direttore”, ed in seguito si aggiunge che “mancando una tale approvazione gli appaltatori non possono pretendere alcun aumento di prezzo od indennità per le variazioni od addizioni avvenute, e sono tenuti ad eseguire senza compenso quelle riforme che in conseguenza l’Amministrazione credesse opportuno di ordinare, oltre il risarcimento dei danni recati”.
Nella stessa direzione l’art. 134 del d.P.R. 21.12.1999 n. 554 dispone che “nessuna variazione o addizione al progetto approvato può essere introdotta dall’appaltatore se non è disposta dal direttore dei lavori e preventivamente approvata dalla stazione appaltante nel rispetto delle condizioni e dei limiti indicati dal’art. 25 della legge. Il mancato rispetto di tale disposizione non dà titolo al pagamento dei lavori non autorizzati e comporta la rimessione in pristino, a carico dell’appaltatore, dei lavori e delle opere nella situazione originaria secondo le disposizioni del direttore dei lavori”.
I regimi derogatori che si sono succeduti nel tempo non hanno mai permesso la possibilità di variazioni unilaterali dell’appaltatore, senza che questi ne avesse fatto riserva (sulla necessità di una tempestiva iscrizione di riserva, pena la decadenza del diritto al pagamento per i maggiori costi delle opere eseguite e preclusione anche dell’azione ai sensi dell’art. 2041 c.c.. cfr. Corte Cassazione 12.09.2003 n. 13440) o prescindendo dal coinvolgimento della direzione dei lavori.
Il Giudice di Legittimità ha, pertanto, più volte ribadito che “in materia di appalti l’onere dell’iscrizione nel registro di contabilità (di cui al RD n. 350 del 1895) condiziona la tutelabilità delle pretese dell’appaltatore non accolte dalla committente PA in ordine alle partite di lavoro eseguite": in termini C. Cass. Sez. I 4851/1997.
Vieppiù il Giudice di Legittimità ha statuito che “non è poi esatto che l’appaltatore abbia l’onere di iscrivere la riserva per maggiori compensi pretesi soltanto al momento della scadenza contrattuale prevista …. In quanto dal combinato disposto degli artt. 53 e 54 r.d. n. 350 del 1895… si ricava la regola assoluta ed inderogabile che l’appaltatore che richieda maggiori compensi, rimborsi o indennizzi, per qualsiasi titolo e in relazione a qualsiasi situazione nel corso dell’esecuzione dell’opera, è tenuto a iscrivere nel registro di contabilità la riserva “immediatamente” e quindi contestualmente all’insorgenza e percezione del fatto dannoso. Solo dal registro di contabilità è rilevabile l’incidenza che le varie vicende potranno avere sui costi dell’appalto e per il committente e per l’appaltatore”: cfr. Corte Cass., I Sez. Civ. 07.10.2010 n. 20828.
Ove anche, come prospettato dalle parti convenute in ipotesi fossero da considerare opere extracontrattuali, ai sensi dell’art. 344 della l. 20.03.1865 n. 2248 all. F, era necessario un nuovo impegno di spesa ed un autonomo contratto, ad oggetto tipologie di opere e compensi spettanti all’appaltatore, dovendo ricorrere, a pena di nullità ed improduttività di effetti, un atto adottato dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, il solo legittimato a stipulare in nome e per conto di esso: in termini Cass. I Sez. 28.02.2013 n. 5020.
Sicché vi è improponibilità della domanda ex art. 2041 c.c. rivolta all’ente locale per opere e lavori commissionati senza alcun previo impegno di spesa né copertura finanziaria, come disposto dal previgente art. 23, comma 4, del D.L. 66 del 1989 convertito nella legge n. 144 del 1989 (norme più volte modificate ed infine cristallizzate negli artt. 191 e 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, sempre in armonia con il dettato dell’art. 23 D.L. 66/1989). La improponibilità deriva dal fatto che le norme, impositive di sole azioni dirette nei confronti del funzionario deliberante, hanno fatto venir meno la necessaria residualità dell’azione ex art. 2041 c.c. nei riguardi dell’ente locale: cfr. Cass. 5020/2013 e 4216 del 2012).
Tanto ribadito in ordine al fatto causativo del danno erariale e ritenuta la sussistenza del rapporto di servizio, le parti convenute –apparato politico (i consiglieri comunali, il sindaco e l’assessore comunale)- invocano la cd. esimente politica, ai sensi dell’art. 1, comma 1–ter della l. n. 20/1994, avendo gli stessi fatto affidamento sull’istruttoria svolta dagli uffici tecnici comunali competenti preposti al momento gestorio amministrativo.
Osserva il Collegio che la norma invocata dispone che “nel caso di deliberazioni di organi collegiali la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole. Nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”.
Pertanto, ribadisce il Collegio, che l’atto dannoso, ossia il riconoscimento del debito fuori bilancio, rientra tra le competenze dell’organo politico (art. 194 d.lgs. 267/2000) e non in quella propria dell’organo tecnico (che in ogni caso è responsabile in quanto proponente).
Non si è trattato, quindi, di ratificare o approvare un atto proprio di altro organo (tecnico), ma di adottare un atto di riconoscimento di debito fuori bilancio, rientrante appieno nella propria sfera di competenza e responsabilità.
L’aver autorizzato l’accollo della spesa risulta, pertanto, decisione poco avveduta e assolutamente antigiuridica e, in ordine al profilo psicologico, va sicuramente affermata la colpa grave sia degli amministratori (rectius dell’apparato politico), sia dei funzionari amministrativi che hanno espresso parere favorevole all’adozione del provvedimento, in quanto la normativa di riferimento era assolutamente intellegibile, non sussistendo i presupposti per riconoscere quanto richiesto (non essendo state avanzate riserve o richieste di alcun genere sui lavori extracontratto per i quali non era stata coinvolta la direzione dei lavori o l’Amministrazione comunale): cfr. Corte conti Sez. III Centr. 12.05.2008 n. 161 e 27.12.2011 n. 888.
Pertanto va affermata la colpa grave degli odierni convenuti in forza dei differenti ruoli rivestiti nell’ambito del Comune e della palese erroneità dell’atto nell’ambito delle rispettive competenze.
Il pagamento di lavori esulanti dal contratto, decisi in piena autonomia dall’impresa senza coinvolgimento dell’Amministrazione in mancanza della richiesta di pagamento durante la loro effettuazione o l’apposizione di riserve, determina una anomala richiesta di pagamento (a distanza di cinque anni dall’ultimo pagamento afferenti al lavori), e tale anomalia non poteva trovare “copertura” attraverso il riconoscimento di un debito fuori bilancio.
L’adozione di un atto avente particolare rilievo finanziario e contabile determina pertanto una più rilevante responsabilità per il maggior rigore che avrebbero dovuto avere i convenuti cui si imputa il 70% del danno finanziario, ed in specie i sigg.ri Michele Bello, Enzo Bianchi, Franco Dringoli, Giuseppe Fanfani e Valter Tirannanzi.
Il sig. Giuseppe Fanfani, sindaco –e come tale organo di sovrintendenza al funzionamento dei servizi e degli uffici-, ha espresso voto favorevole sulla delibera C.C. n. 147 del 26.07.2007 nonostante la palese violazione della stessa per la normativa in tema di contrattualistica pubblica, ed essendo o dovendo essere a conoscenza della non debenza del pagamento dei lavori dell’impresa a fronte dell’assenza di apposizioni di riserve: cfr. questa Sezione 617/2009.
Parimenti responsabile è il sig. Franco Dringoli, assessore competente, per le medesime considerazioni mosse nei confronti del sindaco, cioè per la violazione palese della normativa in tema di contrattualistica pubblica, ma anche per le sue attribuzioni specifiche in materia di lavori pubblici.
Responsabile è anche il sig. Valter Tirinnanzi, direttore dei lavori, che con comportamento gravemente omissivo non ha vigilato adeguatamente sulla legittima esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto con specifica responsabilità nell’aver consentito variazioni ed integrazioni al contratto approvato dall’Amministrazione, ma anche per non aver rilevato la tardività delle richieste.
Fondata appare anche la richiesta di condanna del sig. Enzo Bianchi, responsabile dell’Area Servizi Infrastrutture che ha avuto un ruolo rilevante nella formazione del provvedimento contestato, poi sottoposto all’approvazione del Consiglio Comunale.
Infine nel novero dei soggetti che hanno avuto un apporto causale più rilevante nella causazione del danno (pari al 70% dello stesso) va anche ritenuto responsabile il segretario comunale che aveva, ai sensi dell’art. 97 d.Lgs. n. 267/2000, il dovere di esercitare compiti di “assistenza giuridico amministrativa” ed era tenuto a segnalare l’illegittimità di un atto palesemente in contrasto con i principi in tema di contrattualistica pubblica, tanto più che non vi era in atti alcuna controversia, giudiziaria o stragiudiziale, che potesse indurre ad indirizzare verso una decisione (il riconoscimento del debito fuori bilancio) costituente un minor danno a fronte di ipotetici esborsi a seguito della soccombenza in giudizio: in termini Sezione giurisdizionale Regione Calabria n. 208/2006.
Tutti i soggetti con il loro comportamento hanno contribuito, a parere del Collegio in pari misura, all’assunzione di un onere finanziario da parte del Comune in assenza di un obbligazione giuridicamente rilevante, non rilevando (o non facendo rilevare) la incontestabile esistenza della decadenza realizzata dall’impresa, ritenuta l’assenza di riserve da parte dell’appaltatore.
Né rileva, ai fini della individuazione delle responsabilità, l’argomentazione difensiva secondo cui l’inosservanza della prescritte procedure sarebbe dovuta alla “extracontrattualità” dei lavori eseguiti, atteso che non viene contestato che questi non fossero compresi nel contratto, ma che essi, benché connessi e strumentali a quelli appaltati, siano stati pagati con procedura irregolare: cfr. questa Sezione 16.11.2009 n. 617
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Toscana, sentenza 17.06.2013 n. 206).

APPALTII pagamenti della Pa. A ogni creditore va indicata la somma da pagare e i tempi del versamento – Verifica retrodatata sul Durc
Debiti da comunicare al 30 giugno. Sanzione di 100 euro al giorno e taglio degli «incentivi» per chi non adempie.
IL «FILTRO»/ La norma non disciplina i controlli sulla fedeltà fiscale previsti dal Dpr 602/1973 che possono bloccare il pagamento all'impresa.

L'accertamento della regolarità contributiva in caso di pagamento dei debiti pregressi della Pubblica Amministrazione deve essere effettuato con riferimento alla data di emissione della fattura o del documento equivalente.
La disposizione in questione, contenuta nella legge di conversione del decreto «sblocca-debiti» (Dl 35/2013 convertito con modificazioni nella legge 64/2013) integra le misure volte a favorire l'assolvimento delle obbligazioni pregresse da parte di Comuni e Province, ai quali vengono accordati importanti spazi finanziari per il calcolo dei saldi del Patto di stabilità interno e rilevanti anticipazioni di cassa al fine di allentare le tensioni di liquidità.
Numerosi sono però gli oneri imposti agli enti locali e le sanzioni che vengono disposte in caso di inadempimento o ritardo.
Tra le scadenze fissate dalla legge, occorre ricordare quella del 30 giugno, data entro la quale scatta l'obbligo di comunicare ai creditori, tramite Pec, l'importo e la data di pagamento delle somme maturate al 31.12.2012; l'omessa comunicazione rileva ai fini della responsabilità per danno erariale a carico del responsabile dell'ufficio competente.
La comunicazione deve essere sottoscritta dal dirigente incaricato con firma elettronica o digitale idonea a garantirne l'integrità e immodificabilità e deve essere pubblicata, entro il 5 luglio, nel sito internet dell'ente, per ordine cronologico di emissione della fattura o della richiesta equivalente di pagamento.
La mancata pubblicazione è rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti, che sono inoltre assoggettati ad una sanzione pecuniaria pari a 100 euro per ogni giorno di ritardo nella certificazione del credito.
L'indicazione dell'importo e scadenza del credito non sempre però è possibile; la comunicazione deve infatti essere riferita a tutti i debiti previsti dal primo comma dell'articolo 1 del decreto, cioè anche ai debiti in conto capitale per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento, ma che non risultano ancora liquidati al 30.06.2013.
Oltre alla verifica contributiva (Durc) è infatti indispensabile, in sede di liquidazione del credito, effettuare una serie di altre verifiche, quali, ad esempio, il corretto assolvimento da parte dei fornitori delle obbligazioni contrattuali o del pagamento di eventuali subappaltatori, l'assenza di morosità fiscali, di sequestri conservativi o pignoramenti presso terzi.
Se, da un lato, il Legislatore ha provveduto a far retroagire l' obbligo di accertamento contributivo alla data di emissione del documento fiscale, dall'altro nulla dice in merito agli adempimenti di cui all'articolo 48-bis del Dpr 602/1973, in base al quale le amministrazioni pubbliche sono tenute a verificare, per tutti i i pagamenti di importo superiore a diecimila euro, l'assenza in capo al creditore di inadempienze derivanti dalla notifica di cartelle di pagamento scadute.
Al fine di poter ottemperare agli obblighi di legge, si ritiene indispensabile effettuare la comunicazione al creditore anche in assenza di elementi certi, provvedendo tuttavia a descrivere eventualmente le cause per le quali non si può procedere al pagamento.
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Doppia verifica
01 | DURC
Il controllo della regolarità contributiva va effettuato in relazione alla data della fattura, e non a quella del pagamento
02 | FILTRO FISCALE
Per pagamenti sopra i 10mila euro, è obbligatoria la verifica della fedeltà fiscale del creditore, perché se esistono cartelle almeno di pari importo il pagamento va bloccato. La norma è in vigore, e lo «sblocca-debiti» non dispone nulla al riguardo, per cui nella comunicazione vanno indicati gli eventuali ostacoli al pagamento (articolo Il Sole 24 Ore del 17.06.2013).

APPALTI FORNITURETra amministrazioni per le forniture serve la gara pubblica.
LE INDICAZIONI/ Qualificata la fattispecie come appalto e considerata inapplicabile l'eccezione dell'affidamento in house.
Il principio della gara pubblica per la fornitura di beni e servizi vale anche per i contratti tra pubbliche amministrazioni.

Lo ha ribadito la Corte di Giustizia dell'Unione europea in relazione a un caso pendente davanti a una corte tedesca riguardante un appalto di servizi tra enti territoriali (sentenza 13.06.2013 n. C-386/11).
Il distretto di Düren, che raggruppa una pluralità di comuni, decide di affidare senza gara alla città di Düren la pulizia dei propri uffici ubicati nel territorio di quest'ultima per un periodo di due anni. Il contratto prevede un corrispettivo per le spese sostenute da quest'ultimo commisurato a un'aliquota di tariffa oraria. Inoltre, il distretto si riserva una facoltà di controllo sull'attività commissionata e il diritto di recesso.
Una società privata operante nel settore delle pulizie propone un ricorso per vietare la stipula di un siffatto contratto per due ragioni: l'oggetto dell'appalto si riferisce in realtà ad attività che possono essere offerte sul mercato da operatori privati; non si tratta di un affidamento in house sottratto alla normativa sugli appalti pubblici. Risultata soccombente in primo grado, la società propone appello e il giudice investe la Corte di giustizia in via pregiudiziale per ottenere un chiarimento sull'applicabilità della Direttiva 2004/18.
La Corte di giustizia conclude per l'applicazione del principio della gara, pur trattandosi di un contratto tra pubbliche amministrazioni, con una pluralità di argomenti.
In primo luogo, il contratto in questione va qualificato come un appalto pubblico di servizi (articolo 1, paragrafo 2, lett. d), della direttiva 2004/18). Infatti i servizi di pulizia rientrano nell'elenco dei servizi inclusi nella direttiva (All. II A). Non si tratta cioè di una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l'adempimento di una funzione di pubblico servizio sottratta alla normativa europea.
In secondo luogo, non opera neppure l'eccezione dell'affidamento in house, sul quale si è formata ormai un'ampia giurisprudenza europea (a partire dalla sentenza Teckal della Corte di Giustizia 18.11.1999 in C-107/98) e nazionale. Infatti, per assolvere al requisito del «controllo analogo», cioè dell'influenza penetrante dell'ente affidante rispetto all'affidatario tale da considerare quest'ultimo come un'articolazione organizzativa del primo, non basta una semplice clausola contrattuale che riserva al distretto un controllo sull'esecuzione del contratto.
In definitiva, in una fase nella quale si sollecitano le amministrazioni a cooperare e a razionalizzare la politica degli acquisti di beni e servizi, l'affidamento diretto non è lo strumento più idoneo. Ma, volendo, il Codice dei contratti pubblici prevede altri mezzi per farlo, come le centrali di committenza che consentono alle stazioni appaltanti anche di associarsi e di consorziarsi (articolo Il Sole 24 Ore del 06.07.2013).

LAVORI PUBBLICIIllegittimi gli albi regionali dei collaudatori. La corte bacchetta il Piemonte: nessun privilegio per i dipendenti.
Costituzionalmente illegittima la creazione di un «albo regionale dei collaudatori», con privilegio nella sua gestione per i dipendenti pubblici regionali. La fissazione di regole di accesso ai collaudi, che di fatto impediscono ai liberi professionisti di svolgere il servizio, contrasta con la normativa contenuta nel codice dei contratti e con le norme costituzionale in tema di potestà legislativa in materia di ordinamento civile e tutela della concorrenza.
La Corte costituzionale, con la sentenza 13.06.2013 n. 137 bolla di incostituzionalità l'articolo 47, commi da 1 a 9, della legge della regione Piemonte 04.05.2012, n. 5, che aveva creato una disciplina regionale sull'affidamento dei servizi di collaudo fortemente in contrasto con le disposizioni del dlgs 163/2006, fondandosi ancora su una malintesa potestà legislativa in tema di appalti che le regioni insistono a ritenere di possedere, nonostante una costante giurisprudenza della Consulta, a partire dal 2007, abbia circoscritto in termini molto restrittivi l'estensione del potere normativo regionale.
L'articolo 47 della legge regionale dichiarato incostituzionale aveva costruito, in Piemonte, un vero e proprio sistema «parallelo» a quello del codice dei contratti, per l'assegnazione degli incarichi di collaudo. Infatti, prevedeva che in prima battuta essi fossero affidati a dipendenti della regione iscritti in un elenco appositamente predisposto. Solo in mancanza di dipendenti idonei la norma incostituzionale consentiva alla regione di affidare i collaudi con procedure ad evidenza pubblica a soggetti esterni, ma in questo caso essi potevano anche non essere iscritti ad albi di collaudatori, a condizione che i provvedimenti indicassero le ragioni di tale scelte; infine, ancora, i collaudi potevano essere affidati a una commissione composta di massimo tre membri; in tali casi, l'appalto di servizio avrebbe potuto essere conferito col criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Infine, la norma demandava a un regolamento regionale il compito di disciplinare ulteriori aspetti organizzativi, economici e gestionali per la tenuta degli albi dei collaudatori, definendo le categorie di opere e lavori per i quali era possibile chiedere l'iscrizione all'albo per l'effettuazione dei collaudi, i criteri e le modalità per le iscrizioni negli albi, i compensi dei collaudatori e le modalità per l'affidamento dell'incarico, fissando anche alcune incompatibilità a svolgere il compito di collaudatore.
Un insieme di disposizioni vistosamente incidenti sull'ordinamento civilistico, tendenti, nella sostanza, a introdurre vincoli allo svolgimento della professione, creando in provetta un sistema regionale chiuso di collaudatori, per altro caratterizzato da modalità di affidamento molto divergenti da quelle previste dal codice dei contratti.
Sicché, la norma della regione Piemonte non ha superato il vaglio della costituzionalità. Infatti, ricorda la Consulta, le norme riguardanti la fase privatistica dell'esecuzione del contratto rientrano nella materia dell'ordinamento civile, di competenza esclusiva del legislatore statale, a eccezione delle sole disposizioni di tipo meramente organizzativo o contabile, principio peraltro sottolineato proprio con riferimento all'attività di collaudo con la sentenza 431/2007.
La norma regionale piemontese non si è limitata a regolare aspetti meramente organizzativi dell'attività di collaudo, ma si è spinta a regolare la scelta dei collaudatori, a fissarne il compenso e perfino a consentire di selezionare collaudatori non inseriti nell'albo apposito. In tal modo, la legge regionale si è posta in contrasto con l'articolo 117, comma 2, lettere e) (tutela della concorrenza) e l) (potestà legislativa esclusiva dello Stato in tema di ordinamento civile), della Costituzione (articolo ItaliaOggi del 14.06.2013).

APPALTI: Contratti pubblici: un "vademecum" per le amministrazioni.
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato, nel corso dell’ultima riunione, le linee guida in materia di trasparenza e pubblicità degli appalti pubblici (13.06.2013). Una sorta di vademecum -predisposto da Itaca (Istituto per l’innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale) ed elaborato da uno specifico gruppo di lavoro interregionale coordinato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia– che fornisce una ricognizione puntuale delle norme vigenti in materia di pubblicità e di trasparenza sui contratti pubblici, anche alla luce della produzione normativa intervenuta di recente.
La normativa sulla trasparenza, pubblicità e monitoraggio delle fasi degli appalti comporta adempimenti che ogni stazione appaltante è chiamata quotidianamente a svolgere e presuppone l’esistenza di strutture capaci di reggere l’impatto delle costanti innovazioni normative e tecnologiche. La complessità e la frammentarietà degli argomenti è però tale da rendere spesso particolarmente difficoltoso l’operato del singolo funzionario.
Proprio per far fronte alle difficoltà operative delle amministrazioni aggiudicatrici è stata predisposta questa guida operativa che costituisce un utile strumento di lavoro per coloro che a vario titolo seguono la disciplina degli appalti (13.06.2013 - tratto da www.regioni.it).
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INTRODUZIONE - Il presente documento si propone lo scopo di effettuare –in considerazione della cospicua produzione normativa recentemente emersa– una ricognizione delle norme vigenti in materia di pubblicità e di trasparenza, con particolare riferimento all’ambito dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nonché di fornire (anche attraverso l’elaborazione di alcuni schemi sintetici e sinottici) uno strumento operativo che possa essere utile alle stazioni appaltanti tenute ad applicare il D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, recante il “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE” (testo normativo che d’ora in poi verrà indicato, per brevità, anche semplicemente come Codice).
Più in particolare, alla luce dell’ampia produzione normativa sul tema della trasparenza amministrativa –e considerato il possibile “disorientamento” che tale recente normazione può comportare sulle stazioni appaltanti soggette all’adempimento dei nuovi obblighi– appare importante chiarire in quale modo le nuove norme vadano ad impattare (spesso sovrapponendosi ed aggiungendosi) rispetto agli obblighi di pubblicità già vigenti in materia di affidamento dei contratti pubblici d’appalto.
In via più generale, si può notare come la pubblicità e la trasparenza dell’attività amministrativa siano due principi distinti, benché indissolubilmente legati tra loro anche negli appalti: a riprova di ciò, si noti come già l’art. 2, comma 1 del Codice dispone espressamente che: “L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di … trasparenza … nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”.
Oltre a ciò, l’art. 11 del D.Lgs. 27.10.2009, n. 150 nonché, più di recente, l’art. 1, comma 15, della Legge 06.11.2012, n. 190, (c.d. legge anticorruzione) hanno definito la trasparenza dell’attività amministrativa come livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, facendola così assurgere a vero e proprio valore di rango costituzionale.
Da ultimo, l’articolo 1, comma 1, del D.lgs. 14.03.2013, n. 33, (Amministrazione trasparente) stabilisce che la trasparenza deve essere intesa come “accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, alla scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
In tale contesto, appare utile procedere ad una ricognizione degli obblighi attualmente vigenti in materia di trasparenza e di pubblicità, con particolare riferimento ai procedimenti di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi (che costituiscono diretta attuazione dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità), al fine di distinguere gli adempimenti che attengono alla sfera della trasparenza da quelli che concernono l’ambito della pubblicità, con conseguente evidenziazione delle specifiche applicative.
Mentre, infatti, la trasparenza –in conformità a quanto disposto all’art. 1, comma 15, della citata L. n. 190/2012– deve essere assicurata mediante la pubblicazione di una serie di dati all’interno dei siti internet istituzionali delle pubbliche amministrazioni, in formato aperto e facilmente Linee guida ITACA – Trasparenza e pubblicità: analisi dei nuovi obblighi e del loro impatto sull’affidamento dei contratti pubblici d’appalto elaborabile da chiunque vi abbia interesse, gli adempimenti in materia di pubblicità nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica vanno assolti attraverso la pubblicazione di documenti, redatti in formato chiuso, sul profilo di committente della stazione appaltante, ovvero secondo le specifiche modalità di volta in volta individuate dalla norma richiamata (cfr. Gazzetta ufficiale…).
Ed è proprio tale analisi che ITACA si è impegnata ad effettuare attraverso la costituzione di un Gruppo di lavoro a ciò dedicato “Trasparenza e pubblicità nei contratti pubblici” del quale fanno parte:
- step 1. Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia: dott.ssa Cristiana Bobbio, dott.ssa Diana Luddi, dott.ssa Gabriella Pasquale (Coordinatrice);
- step 2. Regione Emilia-Romagna: ing. Massimo Cataldi (NQ);
- step 3. Regione Toscana: dott.ssa Ivana Malvaso, dott. Andrea Bertocchini, dr.ssa Michela Megli;
- step 4. Regione Umbria: avv. Ilenia Filippetti, dott. Guido Maraspin;
- step 5. Regione Veneto: dott.ssa Maria Grazia Bortolin.

APPALTI: CONTRATTO PUBBLICO DI APPALTO IN MODALITÀ ELETTRONICA E PROBLEMATICHE INTERPRETATIVE ED OPERATIVE - INFORMATIVA SUL TAVOLO TECNICO E PROPOSTA DI EMENDAMENTO DEL COMMA 4, ARTICOLO 6, D.L. 179/2012 (CONVERTITO IN L. 221/2012) (Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, ordine del giorno 13.06.2013).

APPALTI SERVIZI: Convenzione per la gestione e manutenzione degli spazi verdi del Comune.
La convenzione per lo svolgimento di attività a favore del Comune da parte di un'associazione di volontariato e un eventuale contributo alla medesima non possono essere correlati tra loro, pena la qualificazione di 'corrispettivo' del contributo stesso, esclusa dalla vigente normativa.
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Il Comune chiede un parere in ordine alla possibilità di affidare la gestione e manutenzione degli spazi verdi di proprietà comunale al gruppo locale Alpini, a fronte di un contributo annuo.
L'articolo 4, commi 6, 7 e 8 del decreto legge 06.07.2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 07.08.2012, n. 135, ha disciplinato, fra l'altro, alcuni aspetti degli affidamenti delle pubbliche amministrazioni per l'acquisizione di beni e servizi, anche mediante convenzioni stipulate con le associazioni di volontariato.
In particolare, il comma 6 dispone che a decorrere dal 01.01.2013 le pubbliche amministrazioni, di cui al l'articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo da enti di diritto privato, anche mediante convenzioni, unicamente tramite le procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con quella comunitaria.
Gli enti di diritto privato di cui agli artt. da 13 a 42 del codice civile (società, associazioni, fondazioni e comitati) che forniscono servizi all'amministrazione anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche. Restano escluse da tale disposizione le fondazioni istituite con la finalità di promuovere lo sviluppo tecnologico e l'alta formazione tecnologica, gli enti operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni ed attività culturali, dell'istruzione e della formazione, le associazioni di promozione sociale, gli enti di volontariato (di cui alla l. 266/1991 'Legge quadro sul volontariato'), le organizzazioni non governative, le cooperative sociali, le associazioni sportive dilettantistiche nonché le associazioni rappresentative, di coordinamento e supporto degli enti territoriali e locali.
Il comma 7, al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, sancisce che, a decorrere dal 01.01.2014, i soggetti ivi contemplati, fra cui le pubbliche amministrazioni indicate al comma precedente, devono acquisire sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività, mediante le procedure concorrenziali previste dal codice appalti. E' consentita l'acquisizione in via diretta di beni e servizi tramite convenzioni realizzate con le associazioni di promozione sociale, iscritte negli specifici registri, le organizzazioni di volontariato iscritte negli specifici registri, le associazioni sportive dilettantistiche, le cooperative sociali, ai sensi delle vigenti normative nonché le convenzioni siglate con le organizzazioni non governative per le acquisizioni di beni e servizi realizzate negli ambiti di attività cooperazione allo sviluppo, previste della vigenti disposizioni.
Il comma 8 prevede che dal 01.01.2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico nel rispetto della normativa comunitaria per la gestione in house, a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto di affidamento sia pari o inferiore a 200.000 euro annui.
Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31.12.2014 e le acquisizioni in via diretta di beni e servizi il cui valore complessivo sia pari o inferiore a 200.000 euro in favore delle associazioni di promozione sociale, degli enti di volontariato, delle associazioni sportive dilettantistiche, delle organizzazioni non governative e delle cooperative sociali.
Con riferimento alla fattispecie in commento, sarà dunque preventivamente necessario accertare la natura di 'organizzazione di volontariato' dell'associazione nazionale alpini
[1] con la quale il Comune instante intende sottoscrivere la convenzione e verificare che la stessa risulti iscritta da almeno sei mesi nell'apposito registro. Infatti, tanto in virtù delle summenzionate norme statali, quanto ai sensi dell'articolo 14 della legge regionale 09.11.2012, n. 23, recante 'Disciplina organica sul volontariato e sulle associazioni di promozione sociale e norme sull'associazionismo', l'iscrizione nel registro ivi indicato è considerata un requisito essenziale per la stipula di convenzioni, tanto con la Regione e con gli enti e le aziende regionali, quanto con gli enti locali.
Una volta accertata la sussistenza dei requisiti prescritti dalla citata normativa e appurato il rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 14, lr 23/2012, ovvero che le attività oggetto della convenzione rientrano tra quelle indicate al comma 1
[2], e che gli interventi richiesti rientrano nel settore in cui l'organizzazione opera principalmente [comma 5, lett. a)], si potrà procedere alla stipula della convenzione in argomento.
Diversa questione concerne, invece, la possibilità di erogare un contributo annuo all'associazione e di collegarlo all'attività svolta in convenzione.
Infatti, l'articolo 14, comma 4, della lr 23/2012 dispone che l'attività prevista in convenzione sia svolta secondo le finalità e i principi di cui agli articoli 2, 3 e 4 della legge 11.08.1991, n. 266. Si osserva, in particolare che i predetti articoli, con riferimento alle organizzazioni di volontariato, prevedono espressamente l'assenza di fini di lucro, escludono la possibilità che l'attività dei volontari venga retribuita; il successivo articolo 5, indica tra le risorse economiche dell'organizzazione esclusivamente contributi, donazioni e lasciti ricevuti, e rimborsi derivanti da convenzioni.
Inoltre, con riferimento al comma 3 del citato art. 14, lr 23/2012, si osserva che tra gli elementi regolati dalle convenzioni non figurano in alcun modo proventi aventi natura di corrispettivo bensì, sub lettera a) 'il contenuto dell'intervento volontario e gratuito, nonché le modalità di svolgimento delle prestazioni che formano oggetto della convenzione' e sub lettera g) 'le modalità di erogazione, di rendicontazione, i rapporti finanziari, la tipologia delle spese ammissibili a rimborso, comprensive della copertura assicurativa a carico dell'ente e i tempi per il rimborso'.
Si ritiene, dunque, che
la convenzione per lo svolgimento delle attività indicate in premessa e un eventuale contributo all'associazione non possano essere correlati, pena la qualificazione di 'corrispettivo' del contributo stesso, esclusa, come ampiamente illustrato, dalle norme sopra riportate.
Per quanto concerne, invece, il diverso profilo dell'assegnazione di contributi al gruppo Alpini (non correlati con la convenzione stipulata), si rileva che, ai sensi del sopra richiamato articolo 4, comma 6, del DL 95/2012, il divieto di erogare contributi ivi contemplato non opera nei confronti degli enti di volontariato.
Tuttavia le modalità di erogazione di un contributo all'associazione de qua dovranno rispettare le prescrizioni di cui all'articolo 12 della legge 07.08.1990, n. 241, ai sensi del quale:  '1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.
2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1.
'.
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[1] Il gruppo Alpini è solitamente inteso come un'associazione apartitica che si propone di:
   a) tenere vive e tramandare le tradizioni degli Alpini, difenderne le caratteristiche;
   b) rafforzare tra gli Alpini di qualsiasi grado e condizione i vincoli di fratellanza nati dall'adempimento del comune dovere verso la Patria;
   c) promuovere e favorire lo studio dei problemi della montagna e del rispetto dell'ambiente naturale;
   d) promuovere e concorrere in attività di volontariato.
Per il conseguimento degli scopi associativi il gruppo Alpini, in genere, non ha scopo di lucro, si avvale in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri soci.
[2] Il comma 1 dell'art. 14 recita: 'In attuazione del principio di sussidiarietà e per promuovere forme di amministrazione condivisa, le organizzazioni di volontariato iscritte nel Registro da almeno sei mesi possono stipulare convenzioni con la Regione, gli enti e aziende il cui ordinamento è disciplinato dalla Regione e gli enti locali per lo svolgimento di:
   a) attività e servizi assunti integralmente in proprio;
   b) attività innovative e sperimentali;
   c) attività integrative complementari o di supporto a servizi pubblici;
   d) attività frutto di co-progettazione tra organizzazioni ed enti pubblici.'
(13.06.2013 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: a) nelle gare pubbliche, la formula da utilizzare per la valutazione dell’offerta economica può essere scelta dall’amministrazione con ampia discrezionalità e di conseguenza la stazione appaltante dispone di ampi margini nella determinazione dei criteri da porre quale riferimento per l’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa nonché nella individuazione delle formule matematiche;
b) nella scelta dei criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa sono connaturati i seguenti limiti:
   I) i criteri devono essere coerenti, con le prestazioni che formano oggetto specifico dell’appalto e essere pertinenti alla natura, all’oggetto e al contenuto del contratto;
   II) in base all’art. 83, co. 1, d.lgs. 163/2006, il criterio selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa impone alla stazione appaltante di determinare nella legge di gara i criteri di valutazione dell’offerta «pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto»;
   III) una volta optato per un determinato sistema (quale l’offerta economicamente più vantaggiosa) il quale riconosce adeguato rilievo alla componente-prezzo nell’ambito della dinamica complessiva dell’offerta, è poi illegittimo l’operato dell’amministrazione la quale fissi regole di gara tali da annullare il rilievo dell’offerta economica nell’economia complessiva dei fattori idonei a determinare l’aggiudicazione;
c) le posizioni soggettive delle imprese coinvolte nella procedura sono pacificamente qualificabili in termini di interesse legittimo ed è altrettanto assodato che le relative controversie non rientrano nel novero delle tassative ed eccezionali ipotesi di giurisdizione di merito sancite oggi dall’art. 134 c.p.a.;
d) il sindacato giurisdizionale nei confronti di tali scelte, tipica espressione di discrezionalità tecnico-amministrativa, è consentito unicamente in casi di abnormità, sviamento e manifesta illogicità; premesso che a seguito della storica decisione di questo Consiglio, è pacifico che il controllo sugli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione possa svolgersi attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni compiute da quest’ultima, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, è necessario precisare che tale riscontro esigibile dal giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve essere svolto extrinsecus, nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di invalidità e non alla sostituzione dell’amministrazione; la sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla p.a., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto; in base al principio di separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento costituzionale, solo l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure, conseguentemente, il sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali:
   I) deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti;
   II) non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa;
   III) deve tenere distinti i profili meramente accertativi da quelli valutativi (a più alto tasso di opinabilità) rimessi all’organo amministrativo, potendo esercitare più penetranti controlli, anche mediante c.t.u. o verificazione, solo avuto riguardo ai primi.

Ritenuto, circa l’ambito della discrezionalità esercitabile dalla stazione appaltante nell’individuare i criteri e sub criteri (con i relativi punteggi) indispensabili per selezionare l’offerta economicamente più vantaggiosa, la natura delle posizioni soggettive coinvolte e il sindacato esercitabile dal giudice amministrativo su tali scelte nell’ambito del quadro ordinamentale e processuale nazionale, che il collegio non intende decampare dai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. V, 18.02.2013, n. 978; sez. V, 10.01.2013, n. 88; sez. V, 27.06.2012, n. 3781, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, co. 1, 88, co. 2, lett. d), e 120, co. 10, c.p.a.), in forza dei quali:
a) nelle gare pubbliche, la formula da utilizzare per la valutazione dell’offerta economica può essere scelta dall’amministrazione con ampia discrezionalità e di conseguenza la stazione appaltante dispone di ampi margini nella determinazione dei criteri da porre quale riferimento per l’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa nonché nella individuazione delle formule matematiche;
b) nella scelta dei criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa sono connaturati i seguenti limiti:
   I) i criteri devono essere coerenti, con le prestazioni che formano oggetto specifico dell’appalto e essere pertinenti alla natura, all’oggetto e al contenuto del contratto;
   II) in base all’art. 83, co. 1, d.lgs. 163/2006, il criterio selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa impone alla stazione appaltante di determinare nella legge di gara i criteri di valutazione dell’offerta «pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto»;
   III) una volta optato per un determinato sistema (quale l’offerta economicamente più vantaggiosa) il quale riconosce adeguato rilievo alla componente-prezzo nell’ambito della dinamica complessiva dell’offerta, è poi illegittimo l’operato dell’amministrazione la quale fissi regole di gara tali da annullare il rilievo dell’offerta economica nell’economia complessiva dei fattori idonei a determinare l’aggiudicazione;
c) le posizioni soggettive delle imprese coinvolte nella procedura sono pacificamente qualificabili in termini di interesse legittimo ed è altrettanto assodato che le relative controversie non rientrano nel novero delle tassative ed eccezionali ipotesi di giurisdizione di merito sancite oggi dall’art. 134 c.p.a. (cfr., sotto l’egida della precedente normativa, identica in parte qua, Cons. St., ad. plen., 09.01.2002, n. 1);
d) il sindacato giurisdizionale nei confronti di tali scelte, tipica espressione di discrezionalità tecnico-amministrativa, è consentito unicamente in casi di abnormità, sviamento e manifesta illogicità; premesso che a seguito della storica decisione di questo Consiglio (cfr. sez. IV, 09.04.1999, n. 601), è pacifico che il controllo sugli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione possa svolgersi attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni compiute da quest’ultima, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, è necessario precisare che tale riscontro esigibile dal giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve essere svolto extrinsecus, nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di invalidità e non alla sostituzione dell’amministrazione; la sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla p.a., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto; in base al principio di separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento costituzionale, solo l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure, conseguentemente, il sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali:
   I) deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti;
   II) non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa;
   III) deve tenere distinti i profili meramente accertativi da quelli valutativi (a più alto tasso di opinabilità) rimessi all’organo amministrativo, potendo esercitare più penetranti controlli, anche mediante c.t.u. o verificazione, solo avuto riguardo ai primi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.06.2013 n. 3239 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICICondensa e infiltrazioni in casa? Il costruttore è tenuto a risarcire il danno derivante da difetti e carenze!
L’impresa è responsabile di tutti i difetti di costruzione, anche di quelli più piccoli.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 11.06.2013 n. 14650, precisando che la responsabilità del costruttore vale anche per i difetti di piccola portata e non solo per quelli in grado di incidere sulla staticità dell’edificio.
Nel caso in esame un condominio aveva citato in giudizio il costruttore per alcuni difetti nell’immobile acquistato tra cui infiltrazioni in corrispondenza degli infissi, distacco dell’intonaco circostante, condensa dovuta a ponti termici dovuti alla composizione non omogenea della parete esterna in cemento e laterizio.
Il Tribunale ordinario aveva accolto la richiesta, condannando il costruttore al pagamento di 71.000 euro a titolo di risarcimento.
La Corte d’Appello aveva ribaltato la sentenza sostenendo che il risarcimento sarebbe stato possibile solo per difetti costruttivi così gravi da incidere sulle componenti essenziali dell’opera in modo da pregiudicarne la normale utilità.
A detta della Cassazione, invece, per agire contro il costruttore è sufficiente qualsiasi alterazione incidente sulla struttura e sulla funzionalità dell’edificio che ne pregiudichi il godimento in misura apprezzabile e l’impiego duraturo cui è destinato.
Tra i gravi difetti di cui il costruttore è chiamato a rispondere, sostengono i giudici di legittimità, rientrano anche le infiltrazioni di acqua dovute a carenze dell’impermeabilizzazione che possono essere eliminate con interventi di manutenzione ordinaria (27.06.2013 - link a www.acca.it).

APPALTI: Non sussiste l'onere di immediata impugnazione delle clausole del bando di gara che non impediscano la partecipazione, o non risultino manifestamente incomprensibili o sproporzionate rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, manifestando un'efficacia lesiva solo a seguito dell'espletamento della gara e mediante l'applicazione che ne faccia l'Amministrazione.
Per esse, infatti, vale il principio della loro impugnazione unitamente agli atti che ne costituiscono specifica attuazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto interessato ed a rendere attuale la lesione della sua sfera giuridica.
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La presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale non implica certamente di per sé acquiescenza alle clausole del relativo bando, le quali anzi possono di regola essere impugnate solo dopo avere concretamente dimostrato, non solo la volontà di partecipare alla procedura selettiva, ma anche la lesione attuale e concreta dell'interesse legittimo azionato considerato, d'altro canto, che la presentazione della domanda è un atto normalmente necessario proprio per radicare l'interesse al ricorso.

Ed invero, è pacifico insegnamento giurisprudenziale quello per cui non sussiste l'onere di immediata impugnazione delle clausole del bando di gara che non impediscano la partecipazione, o non risultino manifestamente incomprensibili o sproporzionate rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, manifestando un'efficacia lesiva solo a seguito dell'espletamento della gara e mediante l'applicazione che ne faccia l'Amministrazione.
Per esse, infatti, vale il principio della loro impugnazione unitamente agli atti che ne costituiscono specifica attuazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto interessato ed a rendere attuale la lesione della sua sfera giuridica (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. III, 18.01.2013, n. 293).
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Né può ritenersi che la partecipazione alla gara a mezzo della presentazione della richiesta di DURC abbia costituito acquiescenza al bando, impedendone la successiva impugnazione.
La presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, infatti, non implica certamente di per sé acquiescenza alle clausole del relativo bando, le quali anzi possono di regola essere impugnate solo dopo avere concretamente dimostrato, non solo la volontà di partecipare alla procedura selettiva, ma anche la lesione attuale e concreta dell'interesse legittimo azionato considerato, d'altro canto, che la presentazione della domanda è un atto normalmente necessario proprio per radicare l'interesse al ricorso (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21.11.2011, n. 6135)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.06.2013 n. 3231 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il Consiglio di Stato illustra le fasi di gara nel caso di selezione delle offerte da svolgersi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (artt. 83 e segg. del Codice dei contratti pubblici), il cui procedimento di gara si svolge, normalmente, in tre fasi: in due fasi sono necessarie prevalenti competenze amministrative ed in una fase sono necessarie prevalenti competenze tecniche. (... leggere più sotto).
Per esaminare le censure sollevate che, tenuto conto della posizione occupata dall’appellante nella graduatoria di merito, riguardano (anche in appello) il procedimento seguito dall’amministrazione per l’aggiudicazione della gara, occorre ricordare che, nel caso di selezione delle offerte da svolgersi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (artt. 83 e segg. del Codice dei contratti pubblici), il procedimento di gara si svolge, normalmente, in tre fasi: in due fasi sono necessarie prevalenti competenze amministrative ed in una fase sono necessarie prevalenti competenze tecniche.
Dopo aver ricevuto le offerte, nel termine indicato dal bando, l’amministrazione in una prima fase svolge diverse operazioni preliminari alla valutazione delle offerte: verifica la regolarità dell’invio dell’offerta e il rispetto delle disposizioni generali e di quelle speciali contenute nel bando (o nella lettera di invito) e nel disciplinare di gara (e l’osservanza delle regole sulla produzione dei documenti).
La stazione appaltante provvede quindi, in seduta pubblica, all’apertura dei plichi delle diverse offerte che (di norma) contengono tre buste: la busta A (documentazione amministrativa), la busta B (documentazione tecnica) e la busta C (offerta economica).
La stazione appaltante, disposta l’idonea conservazione delle buste (C) contenenti le offerte economiche, procede quindi all’apertura delle buste (A) contenenti la documentazione amministrativa per verificarne il contenuto e per consentire la successiva verifica dei requisiti generali previsti dalla normativa sugli appalti pubblici (artt. 38 e 39 del codice degli appalti) e dei requisiti speciali, dettati dagli atti di gara (artt. 41 e 42 del codice), nonché di tutte le altre condizioni dettate per la partecipazione alla gara.
L’amministrazione procede poi, sempre in seduta pubblica (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 28.07.2011, n. 13 e poi art. 12 del d.l. 07.05.2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.07.2012, n. 94) all’apertura delle buste (B), contenenti la documentazione tecnica, per prendere atto del relativo contenuto e per verificare l’effettiva presenza dei documenti richiesti nel bando (o nella lettera di invito) e nel disciplinare di gara (schede tecniche, relazioni tecniche illustrative, certificazioni tecniche etc.). Anche tale documentazione è poi conservata in plico sigillato.
Tali attività, preliminari alla valutazione delle offerte, sono eseguite dal seggio di gara o direttamente dal responsabile del procedimento unico (RUP), di norma il dirigente preposto alla competente struttura organizzativa della stazione appaltante (che si avvale anche dei funzionari del suo ufficio), che, ai sensi dell’art. 10, comma 2 del Codice, «svolge tutti i compiti relativi alle procedure di affidamento previste dal presente codice, ivi compresi gli affidamenti in economia, e alla vigilanza sulla corretta esecuzione dei contratti, che non siano specificamente attribuiti ad altri organi o soggetti» e, ai sensi del comma 3, lettera c) «cura il corretto e razionale svolgimento delle procedure».
Dopo la preliminare fase di verifica dei contenuti dell’offerta, si passa alla seconda fase di valutazione delle offerte tecniche.
A tale seconda fase provvede l’apposita Commissione tecnica che è nominata ai sensi dell’art. 84 del Codice dei contratti e dell’art. 283, comma 2, del Regolamento di cui al D.P.R. n. 207 del 2010.
In una o più sedute riservate, la Commissione verifica quindi la conformità tecnica delle offerte e valuta le stesse, assegnando i relativi punteggi sulla base di quanto previsto dal disciplinare di gara (e delle altre regole che la stessa Commissione si è data).
Completato l’esame dell’offerta tecnica, l’amministrazione procede, nuovamente in seduta pubblica, ad informare i partecipanti delle valutazioni compiute, a dare notizia di eventuali esclusioni e a dare lettura dei punteggi assegnati dalla Commissione sulle offerte tecniche dei concorrenti non esclusi.
Quindi, verificata l’integrità del plico contenenti le buste con le offerte economiche (e l’integrità delle singole buste), l’amministrazione procede all’apertura delle stesse con la lettura delle singole offerte, con l’indicazione dei ribassi offerti e dei conseguenti prezzi netti e la determinazione (matematica) dei punteggi connessi ai prezzi.
Il seggio di gara formula quindi la graduatoria finale sulla base della somma dei punteggi assegnati per l’offerta tecnica e per l’offerta economica e procede all’aggiudicazione provvisoria in favore dell’offerta che ha raggiunto il maggiore punteggio complessivo.
Come si è esposto, nella prima fase della procedura, ai relativi atti (apertura dei plichi, verifica della documentazione amministrativa e presa d’atto della documentazione tecnica) provvede, in seduta pubblica, il seggio di gara.
Le operazioni di valutazione e di graduazione nel merito delle offerte tecniche, come si è ricordato, vengono espletate, in uno o più sedute riservate, dalla commissione giudicatrice.
Le operazioni della (terza) fase conclusiva dell’iter di gara (comunicazione dell’esito della valutazioni tecniche, lettura dei prezzi offerti, formulazione della graduatoria finale ed aggiudicazione provvisoria) sono infine espletate, in seduta pubblica, dal seggio di gara.
In proposito ogni questione che era stata prima sollevata circa l’esatta individuazione dell’organo tenuto agli adempimenti di tale fase deve ritenersi risolta a seguito dell’approvazione del regolamento di esecuzione del Codice dei Contratti pubblici (D.P.R. n. 207 del 2010) che, all’art. 283, comma 3, ha previsto che «in seduta pubblica, il soggetto che presiede la gara dà lettura dei punteggi attribuiti alle offerte tecniche, procede all’apertura delle buste contenenti le offerte economiche, dà lettura dei ribassi espressi in lettere e delle riduzioni di ciascuna di esse e procede secondo quanto previsto dall’articolo 284» alla verifica di anomalia di cui all’art. 86 del codice, avvalendosi anche di apposita Commissione (o della stessa Commissione tecnica) e dichiarando l’aggiudicazione provvisoria in favore della migliore offerta risultata congrua.
Per quanto riguarda, in particolare, il procedimento per la verifica dell’anomalia, l’art. 284 del D.P.R. n. 207 del 2010, nel dare attuazione all’art. 88 del Codice in relazione agli appalti di servizi, rinvia all’art. 121 del D.P.R. n. 207 che, al comma 10, per le gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prevede espressamente che, qualora vi siano offerte da sottoporre alla verifica di congruità, ai sensi dell’art. 86, comma 2, del Codice «… qualora il punteggio relativo al prezzo e la somma dei punteggi relativi agli altri elementi di valutazione delle offerte siano entrambi pari o superiori ai limiti indicati dall'articolo 86, comma 2, del codice, il soggetto che presiede la gara chiude la seduta pubblica e ne dà comunicazione al responsabile del procedimento, che procede alla verifica delle giustificazioni presentate dai concorrenti ai sensi dell'articolo 87, comma 1, del codice avvalendosi degli uffici o organismi tecnici della stazione appaltante ovvero della commissione di gara, ove costituita».
Da tali disposizioni si evince che è il responsabile del procedimento ad essere investito anche della funzione di svolgere la verifica dell’anomalia, potendosi avvalere, ove costituita, della apposita Commissione (o della stessa Commissione tecnica)
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 11.06.2013 n. 3228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' irrilevante il fatto che il nome del RUP sia già conosciuto prima del termine di presentazione delle offerte trattandosi di circostanza ordinaria.
Al contrario, è la commissione giudicatrice che, a garanzia della regolarità della gara, deve essere nominata solo dopo lo scadere del termine ultimo di presentazione delle offerte (art. 84, comma 10, del Codice).

Con il secondo motivo la Società E.P. ha sostenuto che la sentenza appellata è erronea anche nella parte in cui ha respinto il motivo (primo nel ricorso di primo grado) con il quale aveva lamentato la violazione dell’art. 84 del codice dei contratti perché la Commissione di gara, prevista nel caso di aggiudicazione di gara con l’offerta economicamente più vantaggiosa, non aveva svolto le attività di valutazione ed ammissione dei concorrenti e di graduazione dei punteggi ma aveva lasciato tali attività al RUP, il cui nome era peraltro già conosciuto prima del termine di presentazione delle offerte, o addirittura ad un suo delegato.
La censura non è fondata.
Nella fattispecie, come ha affermato anche il TAR, correttamente il Seggio di gara ha svolto tutte le attività che, come si è ricordato, possono ritenersi facenti parte della prima fase della procedura. Mentre all’attività di valutazione delle offerte ha regolarmente provveduto l’apposita Commissione giudicatrice.
Non ha quindi rilievo la circostanza che tali atti non siano stati compiuti dalla commissione in composizione plenaria, né ha rilievo la circostanza che il RUP si è fatto assistere da diversi soggetti posto che, nelle operazioni che procedono la valutazione tecnica delle offerte, il RUP è assistito da testimoni, uno dei quali con il ruolo di segretario verbalizzante. Ma, in ogni caso, né i testimoni né il segretario partecipano alla formazione delle decisioni adottate dal presidente di seggio in ordine alle modalità di gestione delle sedute di gara.
Contrariamente a quanto affermato dall’appellante, il seggio di gara ha svolto quindi compiti che potevano essere svolti dal seggio, riguardanti la verifica della regolarità dei plichi e dei requisiti per la partecipazione alla gara, nonché della documentazioni presentata.
Né può avere alcun rilievo la circostanza che il nome del RUP fosse già conosciuto prima del termine di presentazione delle offerte trattandosi di circostanza ordinaria. Mentre è la commissione giudicatrice che, a garanzia della regolarità della gara, deve essere nominata solo dopo lo scadere del termine ultimo di presentazione delle offerte (art. 84, comma 10, del Codice). E nella fattispecie, come ricordato anche dal TAR, la Commissione tecnica è stata nominata il 05.07.2012 dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte (16.04.2012).
Non risultano pertanto violati, come pure affermato dal TAR, data la natura meramente istruttoria dell’attività svolta, con esclusione di ogni attività valutativa, i principi di par condicio, imparzialità e trasparenza.
Le argomentazioni esposte consentono di respingere anche il terzo motivo (secondo motivo del ricorso di primo grado) con il quale l’appellante ha sostenuto che il seggio di gara, nella seduta del 24.04.2012, nella quale si ammettevano le ditte alla fase successiva, non era composto secondo il disciplinare e in ottemperanza alla delega conferita dal Dirigente
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 11.06.2013 n. 3228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare, responsabile del procedimento.
Il Consiglio di Stato ha affermato quali sono le competenze del seggio di gara e quelle del responsabile unico del procedimento (cd. RUP) : i giudici amministrativi nel respingere il ricorso di una società partecipante all'affidamento hanno confermato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale .
Il ricorso al TAR
Una SPA ha impugnato davanti al TAR il provvedimento con il quale una azienda sanitaria locale ha aggiudicato ad una ditta concorrente , capogruppo mandataria di un RTI, la gara per l’affidamento, per 12 mesi, prorogabili per altri 6, del servizio di ristorazione. I giudici di prime dopo aver ricordato che i servizi alberghieri e di ristorazione rientrano nell’All. II B del Codice degli Appalti, con la conseguenza che per le relative gare si applicano solo alcune disposizioni del Codice stesso di cui al D.Lgs. 163/2006 e s.m.i., ha rilevato che la ricorrente si era classificata al quarto posto nella graduatoria di merito ed ha ritenuto infondati i motivi riguardanti la regolarità della procedura di gara.
Avverso tale sentenza la SPA si è appellata al Consiglio di Stato.
Le fasi dell’aggiudicazione di gara nelle offerte economicamente più vantaggiose
Il procedimento seguito dall’amministrazione appaltante per l’aggiudicazione della gara, nel caso di selezione delle offerte da svolgersi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (artt. 83 e segg. del Codice dei contratti pubblici), si svolge, normalmente, in tre fasi: in due fasi sono necessarie prevalenti competenze amministrative ed in una fase sono necessarie prevalenti competenze tecniche.
Dopo aver ricevuto le offerte, nel termine indicato dal bando, l’amministrazione in una prima fase svolge diverse operazioni preliminari alla valutazione delle offerte: verifica la regolarità dell’invio dell’offerta e il rispetto delle disposizioni generali e di quelle speciali contenute nel bando (o nella lettera di invito) e nel disciplinare di gara (e l’osservanza delle regole sulla produzione dei documenti).
La stazione appaltante provvede quindi, in seduta pubblica, all’apertura dei plichi delle diverse offerte che (di norma) contengono tre buste: 1) la busta A (documentazione amministrativa); 2) la busta B (documentazione tecnica); 3) la busta C (offerta economica).
La stazione appaltante, disposta l’idonea conservazione delle buste (C) contenenti le offerte economiche, procede quindi all’apertura delle buste (A) contenenti la documentazione amministrativa per verificarne il contenuto e per consentire la successiva verifica dei requisiti generali previsti dalla normativa sugli appalti pubblici (artt. 38 e 39 del Codice degli Appalti) e dei requisiti speciali, dettati dagli atti di gara (artt. 41 e 42 del Codice degli Appalti), nonché di tutte le altre condizioni dettate per la partecipazione alla gara.
L’amministrazione procede poi, sempre in seduta pubblica all’apertura delle buste (B), contenenti la documentazione tecnica, per prendere atto del relativo contenuto e per verificare l’effettiva presenza dei documenti richiesti nel bando (o nella lettera di invito) e nel disciplinare di gara (schede tecniche, relazioni tecniche illustrative, certificazioni tecniche etc.).
Anche tale documentazione è poi conservata in plico sigillato.
Il responsabile del procedimento unico: il RUP
Le attività indicate nel paragrafo precedente sono eseguite dal seggio di gara o direttamente dal responsabile del procedimento unico (RUP), che in linea generale è il dirigente preposto alla competente struttura organizzativa della stazione appaltante (che si avvale anche dei funzionari del suo ufficio), che, ai sensi dell’art. 10, comma 2 del Codice degli Appalti svolge tutti i compiti relativi alle procedure di affidamento previste dal Codice stesso, compresi gli affidamenti in economia, e alla vigilanza sulla corretta esecuzione dei contratti, che non siano specificamente attribuiti ad altri organi o soggetti e cura il corretto e razionale svolgimento delle procedure.
Dopo la preliminare fase di verifica dei contenuti dell’offerta, si passa alla seconda fase di valutazione delle offerte tecniche.
A tale seconda fase provvede l’apposita Commissione tecnica che è nominata ai sensi dell’art. 84 del Codice degli Appalti e dell’art. 283, comma 2, del Regolamento di cui al D.P.R. n. 207/2010.
In una o più sedute riservate, la Commissione verifica quindi la conformità tecnica delle offerte e valuta le stesse, assegnando i relativi punteggi sulla base di quanto previsto dal disciplinare di gara.
In seguito l’amministrazione appaltante procede, nuovamente in seduta pubblica, ad informare i partecipanti delle valutazioni compiute, a dare notizia di eventuali esclusioni e a dare lettura dei punteggi assegnati dalla Commissione sulle offerte tecniche dei concorrenti non esclusi.
Quindi, verificata l’integrità del plico contenenti le buste con le offerte economiche (e l’integrità delle singole buste), l’amministrazione procede all’apertura delle stesse con la lettura delle singole offerte, con l’indicazione dei ribassi offerti e dei conseguenti prezzi netti e la determinazione (matematica) dei punteggi connessi ai prezzi.
Il seggio di gara formula, quindi, la graduatoria finale sulla base della somma dei punteggi assegnati per l’offerta tecnica e per l’offerta economica e procede all’aggiudicazione provvisoria in favore dell’offerta che ha raggiunto il maggiore punteggio complessivo.
Per quanto riguarda, in particolare, il procedimento per la verifica dell’anomalia, l’art. 284 del D.P.R. n. 207/2010, nel dare attuazione all’art. 88 del Codice degli Appalti in relazione agli appalti di servizi, rinvia all’art. 121 del D.P.R. n. 207 che, al comma 10, per le gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prevede espressamente che, qualora vi siano offerte da sottoporre alla verifica di congruità, ai sensi dell’art. 86, comma 2, del Codice «(…..) qualora il punteggio relativo al prezzo e la somma dei punteggi relativi agli altri elementi di valutazione delle offerte siano entrambi pari o superiori ai limiti indicati dall'articolo 86, comma 2, del Codice, il soggetto che presiede la gara chiude la seduta pubblica e ne dà comunicazione al responsabile del procedimento, che procede alla verifica delle giustificazioni presentate dai concorrenti ai sensi dell'articolo 87, comma 1, del Codice avvalendosi degli uffici o organismi tecnici della stazione appaltante ovvero della commissione di gara, ove costituita».
Da tali disposizioni si evince che è il responsabile del procedimento ad essere investito anche della funzione di svolgere la verifica dell’anomalia, potendosi avvalere, ove costituita, della apposita Commissione (o della stessa Commissione tecnica).
La sentenza del Consiglio di Stato
I giudici del Consiglio di Stato, in primo luogo, esaminano la censura della SPA ricorrente secondo la quale l’offerta della Capogruppo aggiudicataria dell’affidamento era stata sottoposta a verifica di anomalia, ai sensi dell’art. 86, comma 2, del Codice degli Appalti, in quanto i punteggi assegnati superavano i quattro quinti del punteggio massimo attribuibile sia per l’elemento qualità, sia per l’elemento prezzo.
Per il Consiglio di Stato la motivazione è infondata.
La Commissione Tecnica, ha comunicato che l’offerta risultava “nel suo complesso attendibile, non ravvisandosi elementi che possono compromettere la corretta esecuzione dell’appalto” ed ha quindi invitato il RUP alla formalizzazione dell’aggiudicazione alla quale questi ha provveduto.
La SPA ricorrente, tuttavia, non si è lamentata dell’anomalia dell’offerta ma ha contestato la mancata convocazione di una (ulteriore) seduta pubblica per la comunicazione dell’esito della verifica di anomalia e della conseguente aggiudicazione provvisoria.
Per i giudici del Consiglio di Stato la mancanza di una (ulteriore) seduta pubblica per tale comunicazione deve ritenersi del tutto irrilevante.
Per il Consiglio di Stato la conseguenza che la mancata comunicazione formale in seduta pubblica anche dell’esito della verifica di anomalia (con la conseguente aggiudicazione provvisoria) non costituisce un vizio capace di inficiare la procedura, né da tale mancanza può essere derivato alcun danno alla SRL ricorrente che ha avuto modo, anche a seguito delle comunicazioni effettuate dall’amministrazione, di far valere le sue ragioni nei confronti delle valutazioni effettuate dall’amministrazione.
In secondo luogo la SPA ricorrente ha, inoltre, censurato la violazione dell’art. 84 del Codice degli Appalti perché la Commissione di gara, prevista nel caso di aggiudicazione di gara con l’offerta economicamente più vantaggiosa, non aveva svolto le attività di valutazione ed ammissione dei concorrenti e di graduazione dei punteggi ma aveva lasciato tali attività al RUP, il cui nome era peraltro già conosciuto prima del termine di presentazione delle offerte, o addirittura ad un suo delegato.
Per il Consiglio di Stato anche il questo caso il motivo è infondato.
In particolare non ha rilievo la circostanza che tali atti non siano stati compiuti dalla commissione in composizione plenaria, né ha rilievo la circostanza che il RUP si è fatto assistere da diversi soggetti posto che, nelle operazioni che procedono la valutazione tecnica delle offerte, il RUP è assistito da testimoni, uno dei quali con il ruolo di segretario verbalizzante. Ma, in ogni caso, né i testimoni né il segretario partecipano alla formazione delle decisioni adottate dal presidente di seggio in ordine alle modalità di gestione delle sedute di gara; né può avere alcun rilievo la circostanza che il nome del RUP fosse già conosciuto prima del termine di presentazione delle offerte trattandosi di circostanza ordinaria. Mentre è la commissione giudicatrice che, a garanzia della regolarità della gara, deve essere nominata solo dopo lo scadere del termine ultimo di presentazione delle offerte (art. 84, comma 10, del Codice).
E nella fattispecie, come ricordato anche dal TAR, la Commissione tecnica è stata nominata dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 11.06.2013 n. 3228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Deve essere esclusa la teoria del “falso innocuo” poiché il falso è innocuo quando non incide neppure minimamente sugli interessi tutelati.
Nelle procedure di evidenza pubblica la completezza delle dichiarazioni, invece, è già di per sé un valore da perseguire perché consente –anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità– la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara.
Conseguentemente, una dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara.
In altri termini, nel diritto degli appalti occorre poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le necessarie determinazioni in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara o alla sua esclusione.

La vicenda riguarda il ricorso della società Impresig Srl contro l’aggiudicazione definitiva dell’appalto dei lavori di riqualificazione ambientale del molo Capo S. Giovano e dell’area interessata APQ -interventi su ecomostri- in favore del raggruppamento temporaneo di imprese Kronos s.r.l. - Parasporo ing. Carlo, disposta dalla Stazione Unica appaltante della Provincia di Reggio Calabria, in relazione ad una gara per un importo a base d’asta di euro 740.000,00 oltre IVA (di cui euro 20.000 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso).
La società Impresig Srl ha partecipato alla gara, collocandosi al secondo posto della graduatoria (con un ribasso del 31,7480% a fronte del ribasso del 31,7800 della controinteressata; verbale di gara del 27.06.2011) e ha lamentato l’omessa presentazione, da parte della prima classificata, aggiudicataria, della dichiarazione inerente il possesso dei requisiti ex art. 38 Codice appalti in capo agli amministratori cessati nel triennio, in ossequio a quanto esplicitamente previsto, in merito, dal bando di gara, al punto 16.2.2.
Tale disposizione elenca, tra i documenti necessari alla partecipazione (elencazione che, a pag. 11 del bando, è descritta “a pena di esclusione dalla gara”), le dichiarazioni attestanti o l’insussistenza di soggetti cessati dalle cariche societarie indicate all’art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 163-2006 o l’indicazione di tali soggetti (ai fini della dichiarazione della insussistenza a loro carico di sentenze di condanna o della dissociazione dell’impresa dalla loro condotta), ivi compresi quelli “cessati per acquisizioni, cessioni di azienda o fusioni, rivestenti le qualifiche di cui all’art. 38, comma 1, lett. c)”.
L’aggiudicataria ha dichiarato quale unico soggetto cessato dalla carica nel triennio precedente il sig. Fabio Varacalli (classe 1973), nella qualità di direttore tecnico della “GMC Mediterranea Costruzioni Srl”, società cedente del ramo di azienda alla Kronos s.r.l. che risultava già come direttore tecnico della Kronos s.r.l., e quindi era comunque tenuto in tale veste a rendere le prescritte dichiarazioni ex art. 38 cit., ma non ha reso alcuna dichiarazione relativamente al sig. Luigi Varacalli (classe 1968), amministratore della predetta società “GMC Mediterranea Costruzioni”.
Peraltro, il medesimo sig. Luigi Varacalli figurava anche quale amministratore unico della società N.A.Edil s.r.l. che, in data 19.02.2010, aveva trasferito l’azienda in favore della Kronos s.r.l. mandataria del raggruppamento aggiudicatario dell’appalto.
Il TAR ha dato rilievo alla circostanza che, in giudizio, è stata prodotta da parte della difesa della controinteressata la documentazione inerente l’assenza di condanne in capo al sig. Luigi Varacalli (carichi pendenti e casellario giudiziale), trattandosi, pertanto, di un ipotesi di cd. “falso innocuo”.
Secondo il Collegio, invece, tale circostanza è del tutto influente, poiché altrimenti qualsiasi deficienza delle dichiarazioni ex art. 38 Codice appalti potrebbe essere surrogata in giudizio, in contrasto con il principio della par condicio dei concorrenti che deve essere assicurato nel procedimento amministrativo di selezione e non nell’eventuale procedimento giurisdizionale, a posteriori.
Infatti, deve essere esclusa la teoria del “falso innocuo” poiché il falso è innocuo quando non incide neppure minimamente sugli interessi tutelati. Nelle procedure di evidenza pubblica la completezza delle dichiarazioni, invece, è già di per sé un valore da perseguire perché consente –anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità– la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara. Conseguentemente, una dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara. In altri termini, nel diritto degli appalti occorre poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le necessarie determinazioni in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara o alla sua esclusione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 16.03.2012, n. 1471, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).
Pertanto, la motivazione della sentenza del TAR impugnata non è condivisibile e deve essere corretta.
Nel caso di specie, l’appellante invoca anche i principi autorevolmente sanciti dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio (04.05.2012, n. 10 e 07.06.2012, n. 21), secondo cui, l’art. 38, comma 1, lett. c), codice appalti, presenta un contenuto normativo che già di per sé comprende ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono, quando il soggetto cessato dalla carica sia identificabile come interno al soggetto concorrente.
In tale quadro, la citata adunanza n. 10 del 2012 è stata dell'avviso che sia necessaria la dichiarazione suddetta nelle ipotesi di fusione o di incorporazione di società, ancorché venute in essere antecedentemente all'avvio della gara ove si realizza una successione a titolo universale fra i soggetti interessati ovvero, alla luce della riforma del diritto societario disposta dal d.lgs. 17.01.2003, n. 6, la loro mera trasformazione, lasciando dunque ferma la continuità dell'attività imprenditoriale, ma anche e a maggior ragione nelle ipotesi di cessione di azienda o di ramo di azienda in cui si verifica una vicenda di successione a titolo particolare e si ha comunque il passaggio all'avente causa dell'intero complesso dei rapporti attivi e passivi nei quali l'azienda stessa o il suo ramo si sostanzia; il che rende la vicenda ben suscettibile di comportare pur essa la continuità tra precedente e nuova gestione imprenditoriale.
La plenaria n. 10 del 2012, affermato tale principio, ha osservato che, tuttavia, possa aversi riguardo alla peculiarità dei casi specifici:
a) anzitutto, è comunque dato al cessionario comprovare l'esistenza nel caso concreto di una completa cesura tra vecchia e nuova gestione, tale da escludere la rilevanza della condotta dei precedenti amministratori e direttori tecnici operanti nell'ultimo triennio e, ora, nell'ultimo anno, presso il complesso aziendale ceduto;
b) resta altresì fermo -tenuto anche conto della non univocità delle norme circa l'onere del cessionario- che in caso di mancata presentazione della dichiarazione e sempre che il bando non contenga al riguardo una espressa comminatoria di esclusione, quest'ultima potrà essere disposta soltanto là dove sia effettivamente riscontrabile l'assenza del requisito in questione.
Tale orientamento è stato ribadito dalla menzionata sentenza dell’adunanza plenaria 07.06.2012, n. 21 anche in riferimento al novellato art. 2504-bis cod. civ. che configura le operazioni di trasformazione o fusione societaria non come successione universale, ma come vicenda evolutiva dei medesimi soggetti originari partecipanti alla operazione societaria (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.06.2013 n. 3214 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Il soggetto che intenda partecipare alla gara per l’affidamento di un appalto pubblico deve comunque indicare la ripartizione dei servizi e delle attività oggetto di gara fra le singole imprese affidatarie per consentire all’Amministrazione di verificare se le imprese esecutrici finali delle lavorazioni siano in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento delle stesse, e che non può ragionevolmente pervenirsi ad una conclusione diversa in dipendenza della circostanza per cui l’offerta è stata presentata da un consorzio di cooperative.
Anche di recente è stato del resto affermato che l’obbligo di specificazione delle parti del servizio da eseguire dalle singole imprese raggruppate o consorziate, sancito dall’art. 37 comma 4, del D.L.vo 12.04.2006 n. 163, costituisce espressione di un principio generale che non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento (“verticale” o “orizzontale”), alla tipologia delle prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o unitarie) o al dato cronologico del momento della costituzione del raggruppamento temporaneo di imprese.

In termini generali, inoltre, a ragione il giudice di primo grado ha evidenziato che il soggetto che intenda partecipare alla gara per l’affidamento di un appalto pubblico deve comunque indicare la ripartizione dei servizi e delle attività oggetto di gara fra le singole imprese affidatarie per consentire all’Amministrazione di verificare se le imprese esecutrici finali delle lavorazioni siano in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento delle stesse, e che non può ragionevolmente pervenirsi ad una conclusione diversa in dipendenza della circostanza per cui l’offerta è stata presentata da un consorzio di cooperative.
Anche di recente è stato del resto affermato che l’obbligo di specificazione delle parti del servizio da eseguire dalle singole imprese raggruppate o consorziate, sancito dall’art. 37 comma 4, del D.L.vo 12.04.2006 n. 163, costituisce espressione di un principio generale che non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento (“verticale” o “orizzontale”), alla tipologia delle prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o unitarie) o al dato cronologico del momento della costituzione del raggruppamento temporaneo di imprese (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. V, 18.12.2012 n. 6513) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.06.2013 n. 3152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICirca il fatto che la "dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà" presentata sia priva della prima pagina e, come tale, sarebbe nulla o inesistente perché priva di elementi identificativi del soggetto dichiarante oltre che della formula “dichiara”,  tuttavia è vero che le altre due pagine sono state presentate, complete dei dati richiesti e sottoscritte, datate e timbrate dal legale rappresentante, che le ha espressamente qualificate come “dichiarazione” e con allegazione della copia del documento identificativo fronte retro.
Pertanto non si vede come non possano considerarsi atti perfettamente idonei a comprovare le attestazioni in essi contenute risultando del tutto irrilevante che la parola “dichiarazione” e, si badi, il conseguente impegno, sia rinvenibile nella terza pagina, prima della firma, e non anche all’inizio della dichiarazione, quasi a configurare, a pena di inesistenza, una rigidità sacramentale della dichiarazione stessa, comunque sconosciuta al nostro ordinamento.
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Quanto al mancato richiamo delle sanzioni penali previste per il caso di false dichiarazioni, la giurisprudenza ha da tempo osservato che tale adempimento non costituisce un requisito sostanziale per la validità delle dichiarazioni ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 in quanto la qualificazione come falso, e le relative conseguenze penali, prescindono dall’avvenuto uso in concreto della formula, mentre la ignoranza della legge penale comunque non scusa il falso dichiarante, sia che abbia invocato per iscritto l’art. 76 del d.P.R. 445/2000, sia che non lo abbia invocato.
In effetti l’art. 48 del t.u. n. 445/2000 non richiede, a pena d’invalidità, che il soggetto si impegni esplicitamente a rendere una dichiarazione veritiera, e neppure che si dichiari consapevole delle sanzioni penali previste per le false dichiarazioni. Al contrario, è la p.a. che deve richiamare le sanzioni penali, nel momento in cui invita il privato a rendere le dichiarazioni e gli fornisce il relativo modello (peraltro facoltativo).

Insiste la appellante, nel secondo motivo, con argomentazione sostenuta anche dalla stazione appaltante, che la dichiarazioni prodotta dalla società Di Betta Giannino, in quanto priva della prima pagina, sarebbe nulla o inesistente perché priva di elementi identificativi del soggetto dichiarante oltre che della formula “dichiara”, da non potere giustificare neppure il soccorso istruttorio di cui all’art. 46 del d.lgs. n. 163/2006.
Sotto un secondo profilo, che il mancato richiamo nella dichiarazione sostitutiva della solenne formulazione di rito e delle sanzioni penali previste per il caso di false dichiarazioni renderebbe insanabilmente invalida la dichiarazione. Si sostiene al riguardo che la possibilità di certificare stati e capacità “in via sostitutiva” ex artt. 38 e 46 del d.P.R. n. 445/2000 sarebbe astretta a precise e solenni formalità che per il loro rigore e per la eccezionalità della previsione non ammettono equipollenti e non consentono emenda, neppure ex art. 46 del d.lgs. 163/2006 non essendo, altrimenti, l’atto in grado di dispiegare gli effetti certificativi per difetto di una forma essenziale prescritta dalla legge, non altrimenti sanabile.
Tali assunti non vengono condivisi dalla Sezione.
Se è vero che la prima pagina del fac simile di dichiarazione risultava mancante, (salvo, come già evidenziato, rinvenire aliunde i dati mancanti, come consentito dalla lettera di invito), è altrettanto vero che le altre due pagine erano senz’altro esistenti, complete dei dati richiesti e sottoscritte, datate e timbrate dal legale rappresentante, che le ha espressamente qualificate come “dichiarazione” e con allegazione della copia del documento identificativo fronte retro; pertanto non si vede come non potessero considerarsi atti perfettamente idonei a comprovare le attestazioni in essi contenute risultando del tutto irrilevante che la parola “dichiarazione” e, si badi, il conseguente impegno, fosse rinvenibile nella terza pagina, prima della firma, e non anche all’inizio della dichiarazione, quasi a configurare, a pena di inesistenza, una rigidità sacramentale della dichiarazione stessa, comunque sconosciuta al nostro ordinamento.
Quanto al mancato richiamo delle sanzioni penali previste per il caso di false dichiarazioni, la giurisprudenza ha da tempo osservato che tale adempimento non costituisce un requisito sostanziale per la validità delle dichiarazioni ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 in quanto la qualificazione come falso, e le relative conseguenze penali, prescindono dall’avvenuto uso in concreto della formula, mentre la ignoranza della legge penale comunque non scusa il falso dichiarante, sia che abbia invocato per iscritto l’art. 76 del d.P.R. 445/2000, sia che non lo abbia invocato.
In effetti l’art. 48 del t.u. n. 445/2000 non richiede, a pena d’invalidità, che il soggetto si impegni esplicitamente a rendere una dichiarazione veritiera, e neppure che si dichiari consapevole delle sanzioni penali previste per le false dichiarazioni. Al contrario, è la p.a. che deve richiamare le sanzioni penali, nel momento in cui invita il privato a rendere le dichiarazioni e gli fornisce il relativo modello (peraltro facoltativo) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10.06.2013 n. 3146 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Avvalimento in materia di gare pubbliche, quale la finalità dell'istituto?
Domanda
In materia di gare di appalto l'istituto dell'avvalimento (art. 49, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 - Codice degli appalti) è di immediata e generale applicazione. L'istituto, di matrice comunitaria, è finalizzato a consentire in concreto la concorrenza aprendo il mercato ad operatori economici di per sé privi di requisiti di carattere economico-finanziario, tecnico-organizzativo, consentendo di avvalersi dei requisiti di capacità di altre imprese.
Risposta
La finalità dell'avvalimento non è quella di arricchire la capacità (tecnica o economica che sia), del concorrente, ma quella di consentire a soggetti che ne siano privi di concorrere alla gara ricorrendo a requisiti di altri soggetti se e in quanto da questi integralmente e autonomamente posseduti, in coerenza con la normativa comunitaria sugli appalti pubblici che è volta in ogni sua parte a far si che la massima concorrenza sia anche condizione per la più efficiente e sicura esecuzione degli appalti.
La formulazione dell'art. 49, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 (Codice degli appalti) è molto ampia e non prevede alcun divieto, sicché ben può l'avvalimento riferirsi anche alla certificazione di qualità di altro operatore economico, attenendo essa ai requisiti di capacità tecnica.
Nelle gare d'appalto, l'avvalimento deve essere reale e non formale, nel senso che non può considerarsi sufficiente "prestare" la certificazione posseduta, giacché in questo modo verrebbe meno la stessa essenza dell'istituto, finalizzato, come si è detto, a consentire a soggetti che ne siano sprovvisti di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri soggetti, garantendo nondimeno l'affidabilità dei lavori, dei servizi o delle forniture appaltati.
Ne consegue, per la giurisprudenza (TAR Lazio-Roma Sez. III-quater, 05.02.2013, n. 1258) che, perché il ricorso all'istituto dell'avvalimento sia legittimo, occorre l'espresso impegno da parte dell'impresa ausiliaria, nei confronti dell'impresa ausiliata e della stazione appaltante, di mettere a disposizione per tutta la durata dell'appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente (10.06.2013 - tratto da www.ispoa.it).

APPALTI SERVIZI: Servizi ict, la consulenza è out. La stabile organizzazione richiede la gara d'appalto. La Corte dei conti Lombardia fornisce indicazioni su come esternalizzare i servizi.
È da qualificare come appalto di servizi e non consulenza l'attività di elaborazione di dati informatici e flussi informativi, finalizzati allo snellimento delle procedure.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, col parere 07.06.2013 n. 236 torna sulla delicata questione della distinzione tra appalto e consulenze, fornendo indicazioni preziose rispetto ai presupposti da rispettare per esternalizzare i servizi.
Il parere prende le mosse dal quesito avanzato da un comune, che aveva chiesto se un servizio finalizzato all'elaborazione di dati informatici, bonifica archivi e svolgimento di attività istruttorie finalizzate alla gestione dell'ufficio tributi potesse configurarsi come consulenza e, dunque ricadere nella disciplina dell'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001, invece che in quella del codice dei contratti.
La sezione in primo luogo evidenzia bene che, a prescindere dalla qualificazione (consulenza o appalto) del rapporto che regola l'esternalizzazione, occorre avere cura di dimostrare la sussistenza di ragioni giustificatrici dell'assegnazione delle attività lavorative all'esterno.
Vi sono, dunque, valutazioni preliminari da svolgere, da porre come base della motivazione della conseguente scelta gestionale.
In primo luogo, occorre evidenziare che l'oggetto della prestazione richiesta a terzi «non rientri nelle funzioni ordinarie e nelle mansioni istituzionali» che devono essere necessariamente svolte dalle strutture amministrative dell'ente, ad opera dei dipendenti preposti.
In secondo luogo, occorre obbligatoriamente accertare la carenza di risorse umane, ma anche strumentali, tale da rendere necessario sopperire ai fabbisogni lavorativi, mediante l'esternalizzazione.
Secondo il parere, proprio in relazione all'obbligo di motivare la necessità dell'amministrazione di rivolgersi all'esterno per acquisire prestazioni non ascritte alle obbligatorie mansioni istituzionali, un servizio come il riordino degli archivi e lo svolgimento di attività istruttorie dell'ufficio tributi non può drasticamente essere affidato a terzi. Infatti, si tratta di mansioni istituzionali, spettanti in via ordinaria agli uffici, sicché l'assegnazione di tali attività all'esterno comporterebbe un'ingiustificata duplicazione delle funzioni ordinarie e, dunque, una spesa che potrebbe costituire danno.
Invece, l'elaborazione e distribuzione nel sistema informativo di dati informatici può configurarsi come una prestazione non necessariamente configurabile come ordinaria.
Per la Corte dei conti, la complessità delle attività svolte ed il risultato da garantire, poiché richiedono un'organizzazione stabile, fanno sì che il contratto non possa configurarsi come consulenza, bensì come appalto di servizi.
Non convince, tuttavia, il percorso cui la Corte dei conti giunge alla corretta conclusione. Il parere, infatti, si rifà ancora alla distinzione tra la prevalenza dell'elemento personalistico della prestazione, che caratterizzerebbe la consulenza o comunque l'incarico di prestazione d'opera professionale, distinguendole dall'appalto, che richiede, invece, una stabile organizzazione imprenditoriale di mezzi e servizi. Tali distinzioni, ricavate dall'ordinamento civile italiano, risultano ormai superate dalla normativa europea di regolazione dei servizi e dallo stesso codice dei contratti, ai sensi del quale è operatore economico anche la persona fisica, se svolge le prestazioni di servizi in via continuativa nel mercato.
La reale differenza tra consulenze e appalti di servizi non va ricavata dalle caratteristiche soggettive del prestatore, ma dal risultato atteso.
Se si tratta di un prodotto finale, che l'ente si limita a utilizzare così com'è, è un appalto. Nel caso di un sistema di data warehousing risultato è appunto l'organizzazione dei dati in un sistema informativo funzionale e solido, assicurata da un appaltatore di servizi.
Laddove, invece, il risultato dell'incaricato esterno sia un risultato intermedio, allora si tratta di consulenza o collaborazione.
Il caso dei «pareri», prodotto tipico delle consulenze, è emblematico: il parere non chiude l'istruttoria, ma viene utilizzato dagli uffici per produrre essi, col provvedimento finale, il prodotto finale (articolo ItaliaOggi del 28.06.2013).

APPALTIIL PACCHETTO SVILUPPO / FOCUS / Appalti senza responsabili in solido. Cancellata la disposizione del 2006 - Addio anche alla dichiarazione mensile sulle ritenute.
Abrogazione della responsabilità solidale negli appalti, eliminazione del modello 770 mensile (di fatto un adempimento mai diventato operativo) e modifiche alla disciplina sul rilascio del Durc.
Sono alcuni degli interventi di semplificazione adottati nel decreto legge passato ieri al vaglio del Consiglio dei ministri.
Con la la soppressione all'articolo 35 del Dl n. 223/2006 (commi da 28 a 28-ter), viene meno la discussa disciplina che prevede la responsabilità solidale dell'appaltatore e la responsabilità "sanzionatoria" del committente (da 5mila a 200mila euro) per il versamento all'Erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva dovuta dal subappaltatore o dall'appaltatore.
Per non far scattare queste forme di responsabilità l'appaltatore/committente è obbligato ad acquisire una documentazione da cui emerga che il subappaltatore/appaltatore, alla data del pagamento del corrispettivo, abbia effettuato regolarmente i versamenti fiscali. L'agenzia delle Entrate aveva già tentato di alleggerire gli adempimenti con le circolari 40/12 e 2/13 concedendo all'appaltatore e al subappaltatore la chance di fornire la prova di aver versato le ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente e l'Iva con un'autocertificazione oppure mediante l'asseverazione rilasciata da un professionista abilitato o dal responsabile del Caf. Le complicazioni e i costi derivanti da questo regime avevano provocato le critiche delle aziende e la richiesta di una revisione radicale.
Semplificazioni rilevanti in arrivo anche per il Durc, il documento unico di regolarità contributiva. In questa prospettiva viene modificato il Codice degli appalti. Le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori dovranno acquisire d'ufficio Durc (in formato elettronico) anche per gli eventuali subappaltatori sia per l'accertamento delle clausole di esclusione sia ai fini del pagamento delle prestazioni. Il documento unico di regolarità contributiva rilasciato per i tutti i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture avrà validità di 180 giorni dalla data di emissione e non più quindi di soli tre mesi. La validità semestrale ha un'unica eccezione, in quanto per il pagamento del saldo finale «in ogni caso necessaria l'acquisizione di un nuovo Durc», a prescindere da quando sia stato rilasciato il precedente.
Sempre per tutti i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, si stabilisce poi che «ai fini della verifica amministrativo-contabile, i titoli di pagamento devono essere corredati dal documento unico di regolarità contributiva anche in formato elettronico». Il Durc una volta rilasciato avrà efficacia per tutti gli appalti promossi da una determinata stazione appaltante.
Infine, sarà codificata la norma di prassi che oggi prevede, in caso di mancanza dei requisiti, l'obbligo per gli enti autorizzati al rilascio (casse edili, Inps, Inail) di invitare mediante posta elettronica certificata o con lo stesso mezzo per il tramite del consulente del lavoro «a regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a quindici giorni, indicando analiticamente le cause della irregolarità».
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L'ANALISI
Una mossa corretta per cancellare la confusione.

La solidarietà negli appalti perde, con il decreto legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri, la componente fiscale. In pratica l'appaltatore non risponderà più con il subappaltatore del versamento all'Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e sull'Iva per le prestazioni collegate ai lavori.
La norma, introdotta dal decreto legge 83/2012, aveva provocato gravi problemi operativi per l'impossibilità delle parti solidali di verificare la corretta esecuzione degli obblighi di versamento da parte deil subappaltatore. La norma interessa, in generale, le attività rilevanti ai fini Iva ed era stata inserita nell'articolo 35 del Dl 223/2006. La testimonianza della confusione collegata all'obbligo della solidarietà fiscale tra appaltatore e subappaltatore è stata raccolta nei mesi scorsi dalla casella di posta elettronica normeetributi.ilmiogiornale@ilsole24ore.com. Nei mesi scorsi sono arrivate centinaia di quesiti da parte dei lettori per capire l'ambito soggettivo e oggettivo della norma e le modalità per evitare la "brutta" sorpresa della solidarietà. Solo un riflesso della confusione tra imprese e fornitori e prestatori di servizi, con le prime alla ricerca di pezze d'appoggio sulla regolarità dei versamenti.
La solidarietà fiscale costituisce solo un esempio di quanto negativa possa essere la negligenza del legislatore, indifferente alle conseguenze di una norma, al di là delle buone intenzioni. Non è infatti in discussione la bontà dell'obiettivo, quello di evitare che negli appalti ritenute e Iva si disperdano in fiumi carsici. Tuttavia, la modalità –l'affidare la verifica alle parti contraenti dell'appalto– costituisce la resa da parte dell'amministrazione rispetto alle funzioni di controllo, caricando sul privato oneri non commisurati al rischio dell'attività economica.
La norma si applica(va) ai contratti di appalto stipulati dal 12.08.2012 e solo il 01.03.2013 l'agenzia delle Entrate ne ha chiarito (circolare 2/2013) l'ambito operativo. Non solo edilizia, hanno detto le Entrate, come invece poteva far pensare la collocazione, all'interno della disciplina sull'Iva immobiliare. La solidarietà si estende(va) a tutti gli appalti dove prevale il servizio, esclusi quelli di fornitura di beni e i contratti d'opera. Per sette mesi, le imprese hanno dovuto fare i conti con l'incertezza. Poco aiuto, vista la mancanza di chiarezza rispetto al perimetro oggettivo, aveva infatti portato la prima istruzione dell'Agenzia (circolare 40/2012), dove si era specificata la possibilità di evitare la solidarietà con un'autocertificazione sul versamento regolare delle ritenute.
La solidarietà tra committente e appaltatore –va ricordato– non sparisce ma sopravvive per quanto riguarda retribuzioni e contributi previdenziali e assicurativi (per due anni), così come stabilisce il decreto legislativo 276/2003. La possibilità di porre un argine è affidata alla contrattazione collettiva o agli accordi di prossimità in base all'articolo 8 del decreto legge 138/2011. Anche in questo campo, però, è necessario fare un po' di chiarezza: per esempio occorre capire se la deroga alla responsabilità può interessare solo le retribuzioni e come si intersecano contrattazione collettiva nazionale e contratti di prossimità (articolo Il Sole 24 Ore del 16.06.2013).

APPALTISEMPLIFICAZIONI/ Stop agli adempimenti extra a carico di committenti e appaltatori.
Gare, responsabilità solidale ko. E a partire dal 2014 va in soffitta il mod. 770 mensile. Stop alla responsabilità solidale fiscale negli appalti e al futuro invio (a partire dal 2014) del 770 mensile.

Queste alcune novità introdotte all'interno del pacchetto di semplificazioni, all'esame oggi del Consiglio dei ministri.
Responsabilità solidale. Si fa riferimento a quelle disposizioni attraverso le quali il committente o l'appaltatore hanno l'obbligo di verificare, di fatto in surroga all'amministrazione finanziaria, l'esecuzione del versamento delle ritenute e dell'Iva da parte dell'appaltatore e/o del subappaltatore; detta disciplina si applica ai contratti di opere e servizi, di cui all'art. 1655 c.c., con esclusione degli appalti riferibili alle forniture di beni, ai contratti d'opera e a quelli di trasporto.
La normativa pende, attualmente, sui soggetti che operano nel campo di applicazione dell'Iva, con la conseguenza che restano escluse, oltre alle stazioni appaltanti e ai condomini, le persone fisiche private, senza esclusione di alcun settore merceologico (tutti i settori e non solo l'edilizia).
Sul tema è intervenuta a più riprese anche l'Agenzia delle entrate (circolari n. 2/E/2013 e n. 40/E/2012), cercando di limitare al massimo il perimetro applicativo e precisando che l'applicazione resta limitata ai contratti stipulati a partire dal 12/08/2012.
Peraltro, la norma ha previsto, in assenza del possesso di un'idonea documentazione, attestante la correttezza dei versamenti all'erario (Iva e ritenute), l'applicazione di una sanzione da 5 a 200 mila euro, qualora il committente o l'appaltatore esegua il pagamento delle prestazioni in assenza di detti documenti, sostituibili anche mediante la ricezione di un'asseverazione sottoscritta da un Caf o da un professionista.
Con il provvedimento in commento si prende atto, preliminarmente, dell'inefficacia della disciplina al contrasto dell'evasione fiscale, con particolare riferimento alla presenza di lavoratori in nero e, soprattutto, dell'eccessiva produzione di documentazione, con aggravio di oneri posti a carico dell'impresa, e dell'inutilità dello stesso adempimento, per l'assenza di un vero e proprio controllo a cura di chi riceve la documentazione prescritta.
Inoltre si da atto di una giurisprudenza comunitaria (su tutte, Corte di giustizia Ue, sentenza 21/06/2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11) con la quale si sta consolidando un indirizzo attraverso il quale «spetta (_) in linea di principio, alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità e evasioni in materia di Iva nonché infliggere sanzioni al soggetto passivo che ha commesso dette irregolarità o evasioni».
Pertanto, stante la sussistente discriminazione in atto nei confronti dei committenti e degli appaltatori con sede sul territorio nazionale rispetto ai medesimi soggetti collocati negli altri paesi comunitari, con il pacchetto semplificazioni in commento, si prevede la soppressione dei commi da 28 a 28-ter, dell'art. 35, dl n. 223/2006, convertito nella legge 248/2006, con la conseguente abrogazione della disciplina sulla responsabilità solidale fiscale negli appalti.
Modello 770 mensile. L'adempimento, introdotto dal comma 1, dell'art. 44-bis, del dl n. 269/2003, prevede «al fine si semplificare la dichiarazione annuale presentata dai sostituti d'imposta» di comunicare, necessariamente ogni mese, i dati retributivi e le informazioni utili per il calcolo delle ritenute fiscali e dei relativi conguagli.
I commi 122 e 123, dell'art. 1, della legge 244/2007 hanno disposto che, con decreto del ministro dell'economia e delle finanze, emanato di concerto con il ministro del lavoro e della previdenza sociale, devono essere definite le modalità attuative della comunicazione e stabilite le modalità di condivisione dei dati tra l'Agenzia delle entrate e l'Inps, provvedendo alla semplificazione e all'armonizzazione degli adempimenti, di cui all'art. 4, dpr n. 322/1998 (modelli sostituti, ex 770).
La citata comunicazione deve essere presentata esclusivamente in via telematica, direttamente o tramite gli intermediari incaricati di cui ai commi 2-bis e 3, dell'art. 3, dpr n. 322/1998 (dottori commercialisti, esperti contabili, consulenti del lavoro, Caf e altri, comprese le società del gruppo), entro l'ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento.
Peraltro, detto adempimento doveva entrare in vigore a decorrere dal 2011 ma, per effetto di alcune proroghe (da ultimo, per effetto del comma 7, dell'art. 29, del dl n. 216/2011, convertito nella legge n. 14/2012), è stata prevista la messa a regime solo a partire dall'01/01/2014. Di conseguenza, la prima presentazione del 770 mensile, a cura del sostituto d'imposta, dovrebbe avvenire entro il 28/02/2014, facendo riferimento alle retribuzioni erogate nel mese di gennaio 2014, ma il pacchetto di semplificazioni in commento ne ha previsto l'abrogazione totale (articolo ItaliaOggi del 15.06.2013).

LAVORI PUBBLICIRipartono gli espropri per pubblica utilità. Pa. Possibilità riaperta dal Dl 35/2013 dopo i limiti posti dai vincoli sulle spese.
LE INDICAZIONI/ L'unico elemento da tenere presente è il rispetto del patto di stabilità interno.

Ripartono gli espropri per pubblica utilità, che erano stati frenati dalla legge e da interpretazioni della Corte dei conti: ciò è possibile grazie all'articolo 10-bis del decreto legge 35/2013 in vigore dall'8 giugno.
Nel periodo tra il gennaio 2013 (articolo 12, comma 1-quater, Dl 98/2011) e il giugno di quest'anno (articolo 10-bis Dl 35/2013) le norme sul contenimento delle spese hanno impedito qualsiasi acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni da parte di soggetti pubblici. Vi è stata quindi una paralisi nelle compravendite, negli espropri, nelle permute e financo, per analogia, nelle locazioni.
La Corte dei conti, poi, aveva aggravato il divieto con una serie di delibere delle sezioni locali (Toscana, Piemonte e Liguria, nn. 125, 52 e 9 del 2013) ipotizzando responsabilità erariali. Dall'8 giugno, quindi, sono di nuovo possibili espropri, cessioni bonarie, vendite finalizzate all'esecuzione di opere dichiarate di pubblica utilità ai sensi del Testo unico sull'espropriazione (327/2001); sono anche stipulabili permute (ma solo a parità di prezzo, quindi senza conguaglio) deliberate prima del 31.12.2012.
Via libera anche alle cessioni attuative di convenzioni urbanistiche, cioè alle cessioni di strade, verde, aree per servizi pubblici che i piani regolatori prevedono come corrispettivo dell'edificabilità. L'unico limite da tener presente, secondo l'articolo 10-bis del Dl 35/2013, è un generico «rispetto del patto di stabilità interno», la cui violazione tuttavia non ha conseguenze dirette sui contratti che risultino squilibrati rispetto al predetto accordo (al più, vi può essere una responsabilità del dirigente).
In questi mesi di difficoltà negli espropri per pubblica utilità, si è assistito all'incremento degli accordi di pianificazione, con ricorso a circuiti di scambio diversi da quelli che per 150 anni (dalla legge 2359/1865) hanno reso possibile l'esproprio per pubblica utilità. È stata proprio la Corte dei conti, nelle delibere del 2013, a suggerire agli enti locali di ricorrere, invece che a espropri, ad accordi, perequazioni, transazioni, senza movimentazioni finanziarie. La Corte ha infatti stimolato la crescita di accordi di diritto pubblico, di traslazioni di edificabilità, permute tra edificabilità e opere pubbliche, premi di volumetria che evitassero pagamenti in moneta e contestazioni.
Sul valore venale dei beni espropriati, si è sempre discusso perché prima di giungere al valore venale (oggi imposto dalla Corte di Strasburgo) ci si è sempre affidati a espressioni generiche quali il “giusto prezzo in libera contrattazione”, indennizzo “serio” e “non irrisorio”, con una serie di brutte figure europee. Ad esempio, l'esproprio Scordino (dal nome dell'ex proprietario, in lite dagli anni '90) è costato all'Erario diversi milioni di euro invece del previsto indennizzo di pochi milioni di lire: il debito, causato dalle sentenza della Corte dei diritti dell'uomo, causa oggi il dissesto del Comune (Tar Reggio Calabria 378/2012), cioè dell'ente espropriante cui lo Stato ha chiesto il rimborso in rivalsa (articolo 43 legge 234/2012) per gli importi pagati per ordine dei giudici di Stasburgo.
Avanzano quindi nuove forme di partenariato pubblico privato, ad esempio nel social housing, con presenza di fondi immobiliari e associazioni di imprese con soci di solo capitale (Consiglio di Stato, 2059/2013), ripensando alla possibilità di utilizzare la vendita o la locazione di cosa futura, o i contratti di disponibilità, eseguendo opere o servizi in cambio di volumi o concessioni (articolo Il Sole 24 Ore del 15.06.2013).

APPALTI: Appalti, obbligo di verifica slittato a fine 2013.
Confermato lo slittamento a fine 2013 dell'obbligo di verifica dei requisiti dichiarati in gara, tramite Avcpass.

Con il comunicato 13.06.2013 pubblicato sul proprio sito l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, conferma la proroga a fine anno delle scadenze previste dalla delibera 111 del 2012, così come anticipato da ItaliaOggi, lo scorso 12 giugno.
In sostanza per gli appalti di lavori oltre i 20 milioni di euro, sarà possibile procedere alla verifica documentale in via transitoria, fino al 31.12.2013. Analogo discorso per tutti gli appalti di importo a base d'asta pari o superiore a 40 mila euro, con esclusione di quelli svolti attraverso procedure interamente gestite con sistemi telematici, sistemi dinamici di acquisizione o mediante ricorso al mercato elettronico, nonché quelli relativi ai settori speciali per i quali una nuova delibera stabilirà il regime.
Dal giorno successivo, le dichiarazioni relative agli appalti di importo a base d'asta pari o superiore a 40 mila euro dovranno obbligatoriamente essere verificate tramite Avcpass (articolo ItaliaOggi del 14.06.2013).

APPALTILa Centrale unica può attendere. Slitta il nuovo sistema di acquisizione di lavori e servizi. Un emendamento approvato al senato proroga l'entrata in vigore al 31 dicembre.
Differita al 31.12.2013 l'entrata in vigore della Centrale unica di committenza per i comuni con popolazione non superiore a 5 mila abitanti.

Lo stabilisce un emendamento approvato dal senato al disegno di legge n. 576, di conversione del decreto legge 26.04.2013, n. 43.
La disposizione, introdotta dal decreto legge 201/2011 (articolo 23, comma 5) sarebbe dovuta entrare in vigore per i bandi pubblicati dopo il 31.03.2013, sono quindi fatti salvi i bandi e gli avvisi di gara pubblicati a far data dal 01.04.2013 fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge.
«La previsione della costituzione obbligatoria, entro il 31.03.2013, della Centrale unica di committenza per l'acquisizione di lavori, servizi e forniture, prevista per i comuni con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti, rischiava di determinare un ulteriore elemento di incertezza e di blocco degli investimenti locali», afferma il coordinatore nazionale Anci dei piccoli comuni, Mauro Guerra.
«L'attuazione della Centrale unica di committenza sta già provocando notevoli difficoltà attuative e interpretative nelle imprese operanti nei territori dei piccoli comuni che amministrano il 54% del territorio nazionale», aggiunge Guerra, evidenziando la forte e diffusa preoccupazione di un sistema imprenditoriale in palese sofferenza.
La proroga dell'entrata in vigore della Centrale unica di committenza è destinata a semplificare la vita a molte amministrazioni locali sotto i 5 mila abitanti alle prese con gli obblighi di gestione associata che impongono la cogestione delle nove funzioni fondamentali indicate dalla spending review entro il 01.01.2014.
«Migliaia di piccoli comuni, pur nella difficoltà del quadro attuale, si stanno adoperando per cercare di adempiere, entro la fine del 2013, al complesso degli obblighi di gestione associata delle funzioni fondamentali in Unione o convenzione. L'affidamento obbligatorio a un'unica Centrale di committenza avrebbe complicato le cose», sottolinea il parlamentare del Pd.
«È evidente l'irrazionale difformità dei termini previsti per entrambi gli adempimenti con l'aggravio della previsione della Centrale unica di committenza associata prima ancora che i piccoli comuni abbiano definito i loro nuovi assetti di cooperazione intercomunale», ha aggiunto Guerra.
L'Anci era più volte intervenuta chiedendo almeno una proroga al 31/12/2013, in allineamento con la definizione delle gestioni associate obbligatorie delle funzioni fondamentali, oltre a sollecitare ogni possibile chiarimento rispetto alle corrette modalità attuative di tale obbligo.
«Auspichiamo quindi», conclude Guerra, «che tale differimento venga confermato nei successivi passaggi parlamentari» (articolo ItaliaOggi del 14.06.2013).

APPALTI: Appalti, rinvio per le verifiche. Solo dal 2014 riscontro dei requisiti tramite Avcpass.  Il consiglio dell'organismo di vigilanza pronto a prorogare la scadenza di ottobre.
Verso la proroga a fine anno dell'obbligo di verifica dei requisiti tramite il sistema informatico dell'Avcpass; è quanto starebbe per deliberare, stando ad alcune dichiarazioni filtrate dalla stessa Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, lo stesso Consiglio dell'organismo di vigilanza.
Finirebbe quindi per entrare in vigore pienamente soltanto ad inizio 2014 l'obbligo per le stazioni appaltanti di verifica dei requisiti dichiarati dai concorrenti attraverso il sistema previsto dall'articolo 6-bis del codice dei contratti pubblici che, in realtà, sarebbe dovuto divenire operativo, per legge, dal primo gennaio 2013, mettendo in linea tutte le banche dati della pubblica amministrazioni e le informazioni fornite in via informatica dagli operatori economici.
A regime il sistema Avcpass dovrebbe snellire gli oneri per gli appaltatori (che caricheranno su un fascicolo virtuale documenti che oggi fotocopiano per ogni gara); e rendere più veloci le verifiche attraverso la consultazione on-line delle banche dati da parte delle stazioni appaltanti. Ad oggi, le scadenze previste dalla delibera n. 111 del 20.12.2012 sarebbero tali da fare scattare, dopo il periodo facoltativo partito a gennaio 2013, in assenza di una proroga, un vero e proprio obbligo di utilizzazione della piattaforma informatica dell'Avcpass dal primo luglio 2013 per gli appalti oltre i 150.000 euro e dal primo ottobre 2013 per i contratti di valore superiore a 40.000 euro.
L'ipotesi, stando alle voci che circolano in questi giorni, danno per scontato uno slittamento a fine anno della scadenza del primo ottobre (contratti oltre 40.000 euro). Diverse le ragioni che porterebbero allo slittamento dei termini; in primis la difficoltà di completare i test sul sistema in tempo utile date la complessità delle procedure e le diverse tipologie di contratti coinvolti (lavori, forniture e servizi), ognuno con le sue ulteriori tipicità.
Anche dagli incontri che la stessa Autorità sta organizzando in queste ultime settimane con operatori pubblici e privati sembrerebbero emergere diversi problemi applicativi tali da suggerire uno slittamento dei termini per avere il tempo di mettere in linea correttamente tutte le banche dati e testare a dovere il sistema (articolo ItaliaOggi del 12.06.2013).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTIIndennizzi per i ritardi della burocrazia. Pronte le semplificazioni: Durc «d'ufficio» - Scadenze unificate per adempimenti amministrativi e fiscali.
MENO ONERI PER LE IMPRESE/ Micro-liberalizzazioni e procedure veloci per edilizia, lavoro, ambiente Sull'opzione dei risarcimenti le perplessità del Tesoro.

Soddisfatti o rimborsati. Per le lentezze della burocrazia cittadini e imprese potrebbero beneficiare, per la prima volta, di un indennizzo, seppure in misura simbolica. Che scatterebbe automaticamente entro 60 giorni dall'accertamento del ritardo, ovvero del mancato rispetto dei termini fissati per la conclusione dei procedimenti amministrativi.
Il nuovo meccanismo, con la funzione di "deterrente" nei confronti della lentocrazia e di incentivo per i comportamenti virtuosi, potrebbe essere attivato dal nuovo piano di semplificazione che dovrebbe essere varato giovedì o venerdì dal Consiglio dei ministri. Anche se la misura sui "risarcimenti" resta a rischio viste le perplessità del Tesoro sui costi. Il piano è comunque a vasto raggio: spazierà dall'edilizia al lavoro passando per gli appalti e l'ambiente. E potrebbe contenere anche un capitolo fiscale.
Tra gli interventi ormai certi, l'accorpamento in due sole scadenze fisse all'anno delle date degli adempimenti amministrativi e fiscali (1° luglio e 1° gennaio successivi all'entrata in vigore dei provvedimenti di legge) per ridurre gli oneri burocratici per cittadini e imprese. E la procedura accelerata per il Durc (il documento di regolarità contributiva).
In particolare, sarà possibile il rilascio d'ufficio del Durc (necessario per gli appalti pubblici). Che avrà una durata di 180 giorni, senza più dover essere richiesto a ogni contratto, come accade attualmente. E che manterrà la propria validità nei confronti di tutte le stazioni appaltanti e degli enti aggiudicatori. Un dispositivo che dovrebbe consentire di accelerare i tempi di pagamento e di ridurre gli oneri a carico delle stesse amministrazioni.
Uno dei pilastri del piano di semplificazione sarà costituito dalle misure in chiave di mini-liberalizzazione per l'avvio delle attività produttive, sulle quali si sta concentrando il tavolo tecnico attivato allo Sviluppo economico dal ministro Flavio Zanonato e seguito in prima persona dal sottosegretario Simona Vicari.
Nel pacchetto verrebbe inserito l'obbligo di rilasciare i titoli di studio anche in lingua inglese.
Dovrebbe poi essere prevista una velocizzazione delle procedure per la dichiarazione per la tassa dei rifiuti e un'ulteriore accelerazione del percorso per il cambio di resistenza, sulla base delle indicazioni che arrivano dallo staff tecnico del ministro della Pubblica amministrazione, Gianpiero D'Alia.
Non dovrebbe mancare poi un nuova fase di delegificazione. I tecnici del ministero della Pubblica amministrazione, in collaborazione con quelli di Palazzo Chigi, dello Sviluppo economico e anche dell'Economia, stanno valutando un intervento di ripulitura definitiva del "bosco e del sottobosco" normativo con l'obiettivo di sopprimere espressamente tutte le disposizioni legislative statali oggetto di abrogazioni tacita o implicita: si tratta di quelle norme considerate obsolete.
A confermare che «il Governo presenterà presto un pacchetto di misure sulle liberalizzazioni» sul fronte burocratico è stato ieri il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni. Il punto di partenza è il Ddl semplificazioni bis targato Patroni Griffi che fu lasciato su un binario morto alla fine della scorsa legislatura. Ma con molte integrazioni. L'obiettivo è varate il pacchetto nel prossimo Consiglio dei ministri (v. Il Sole 24 Ore di ieri).
Alcuni nodi devono comunque essere ancora sciolti, a cominciare da quello dell'eventuale capitolo fiscale. E da definire è anche lo strumento legislativo da adottare: sul tavolo ci sono al momento due opzioni: un provvedimento unico oppure un doppio testo. Con il ricorso a un decreto legge per le semplificazioni più urgenti soprattutto sul versante delle imprese, come ad esempio quelle sull'accelerazione del Durc o quelle sul lavoro (che potrebbero anche finire nel Dl sul piano per l'occupazione giovanile su cui sta lavorando il ministro Enrico Giovannini).
In ogni caso il decreto verrebbe accompagnato da un disegno di legge con gli altri interventi anti-burocrazia al quale sarebbe garantita comunque una corsia preferenziale in Parlamento (articolo Il Sole 24 Ore del 09.06.2013).

APPALTI: G.U. 07.06.2013 n. 132 "Testo del decreto-legge 08.04.2013, n. 35, coordinato con la legge di conversione 06.06.2013, n. 64, recante: “Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali. Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria”".

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Deliberazione Corte dei conti: bene i risparmi, ma troppe ritrosie.
P.a., l'e-market non va. Forniture lente e pochi servizi postvendita.

L'introduzione dell'obbligo di effettuare gli acquisti sul mercato elettronico ha certamente portato giovamenti gestionali alla pubblica amministrazione, ma è innegabile che ancora oggi si nota una certa ritrosia ad avvalersi di tale sistema. Infatti, se da un lato sono stati ridotti i costi sotto il profilo del risparmio di risorse nel processo di acquisizione ed è stata data la possibilità di confrontare i prezzi e scegliere il prodotto più aderente alla proprie necessità, dall'altro si nota in alcuni casi, l'attuazione di veri e propri «sotterfugi» per sottrarsi alle regole del mercato elettronico.
Molti anche i problemi rilevati nelle procedure di acquisto. Tra questi, la presenza di beni con un prezzo superiore a quello rilevabile sul mercato libero e l'imposizione, a volte, di lotti minimi di acquisto eccedenti i fabbisogni effettivi delle amministrazioni.

Queste considerazioni emergono dalla lettura della deliberazione 06.06.2013 n. 3 della Corte dei conti - Sezione centrale di controllo sulle amministrazioni statali sullo stato degli strumenti di acquisto informatici.
L'indagine ha evidenziato che il ricorso al Me.Pa. (acronimo di Mercato elettronico per la Pubblica amministrazione), introdotto ormai da dieci anni, non è avvenuto nella stessa misura da parte di tutte le amministrazioni, nonostante l'obbligo di acquistare su tale mercato beni e servizi inferiori alla soglia comunitaria sia in vigore dal 2007 e reso più stringente dalle disposizioni introdotte con il dl n. 95/2012. Tranne i casi «eccezionali» legati alla particolarità del settore merceologico di interesse, la Corte ha rimarcato sull'inderogabilità delle disposizioni in materia di ricorso a tutti gli strumenti informatici di acquisto.
In particolare, si legge, con oltre un milione di prodotti disponibili sul mercato, è avvenuto che il rifiuto posto da alcune amministrazioni ad acquistare telematicamente, adducendo motivazioni «irrilevanti» quali l'esteticità del bene o la mancanza di fiducia sul fornitore, siano da ritenere delle vere e proprie «clausole di stile» addotte per ricorrere al mercato libero. La raccomandazione, quindi, è quella di acquisire il bene sul libero mercato, solo dopo aver condotto una ricerca presso tutti i bandi aperti sul mercato, al fine di accertarsi dell'esistenza del bene o del servizio richiesto.
Altra nota dolente rilevata dai magistrati contabili è quella riferita alla cronica mancanza di fondi che alcuni dicasteri hanno fornito durante l'istruttoria. In particolare, i ministeri dello sviluppo economico, della giustizia, delle politiche agricole, infrastrutture e trasporti e quello della giustizia, hanno lamentato la difficoltà di programmare annualmente i propri fabbisogni a causa delle limitate risorse disponibili. Per la Corte, però, questo non può impedire la programmazione degli acquisti. Anzi, vista l'aria che tira, è sempre preferibile l'avvio di una oculata programmazione, in quanto, in caso contrario, la spesa potrebbe aumentare proprio a causa del ricorso al libero mercato per gli acquisti in urgenza.
Infine, la Corte ha riscontrato che molte P.a. hanno lamentato che sul Me.Pa. i fornitori talvolta impongano lotti minimi di acquisto per quantità che superano gli effettivi fabbisogni. Il suggerimento dei magistrati contabili, su questo versante, è che le amministrazioni potrebbero costituirsi in «gruppi di acquisto», con la funzione di aggregare la domanda così da acquistare i beni che effettivamente necessitano.
Infine, alcune P.a. hanno lamentato che alcuni beni, a parità di qualità, sul mercato elettronico hanno un prezzo superiore a quello del mercato libero. La soluzione? Per la Corte occorre procedere all'acquisto non con un ordine diretto, ma con una richiesta di offerta. In pratica, le amministrazioni dovrebbero contrattare con il fornitore, accordandosi per un prezzo inferiore a quello di listino. Senza dimenticare che in molti casi le amministrazioni vengono lasciate al loro destino nella delicata fase del postvendita, in particolare, nel mancato rispetto dei tempi di consegna del bene (articolo ItaliaOggi del 12.06.2013).

LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Centro Raccolta Materiali in aree destinate a standard in zona P.I.P..
Il Centro di Raccolta Materiali asservito all’attività di gestione dei rifiuti urbani, qualificabile come servizio pubblico anche quando le prestazioni siano effettuate dal gestore privato, rientra nel novero delle “attività collettive” ex art. 5 D.M. n. 1444/1968; pertanto, la sua realizzazione è compatibile con la destinazione dell’area a standard (“verde pubblico” e/o “parcheggi”) nell’ambito del P.I.P. comunale.
Ciò tanto più alla luce dell’attuale tendenza dell’ordinamento al superamento della rigida zonizzazione del territorio e del principio di fungibilità delle opere pubbliche, già positivizzato dall’art. 1, co. 4, della legge n. 1/1978, quale poi ribadito dalla successiva legislazione regionale (massima tratta da www.lexambiente.it - TRIBUNALE di Brindisi, Sez. Riesame, ordinanza 06.06.2013).

LAVORI PUBBLICI: Approvazione di progetti di opere pubbliche - Non conformi alle specifiche destinazioni di piano - Principio di fungibilità delle opere pubbliche - Art. 1 Legge n. 1/1978 - Art. 5 D.M. n. 1444/1968 - Art. 44, c. 1, lett. a) e b), D.P.R. 380/2001.
L’approvazione di progetti di opere pubbliche, anche se non conformi alle specifiche destinazioni di piano e purché lo strumento urbanistico vigente contenga destinazioni specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici, non necessita l’adozione di varianti allo strumento urbanistico (c.d. principio di fungibilità delle opere pubbliche - Art. 1 Legge n. 1/1978 ).
Nella specie, la realizzazione di un centro di raccolta materiali asservito all’attività di gestione dei rifiuti urbani, è stato ritenuto compatibile con la destinazione dell’area a standard (“verde pubblico” e/o “parcheggi”) nell’ambito del P.I.P. comunale, essendo, lo stesso, qualificabile come servizio pubblico anche quando le prestazioni siano effettuate da un gestore privato rientrando, ex art. 5 D.M. n. 1444/1968, nel novero delle c.d. “attività collettive” (TRIBUNALE di Brindisi, Sez. penale riesame, ordinanza 06.06.2013 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIAppalti, bandi senza trucchi. Serve la supervisione di un responsabile del procedimento. Gare d'appalti senza trucchi con la supervisione del Responsabile unico del procedimento (Rup).
Dal Consiglio superiore dei lavori pubblici ok al decreto con osservazioni. Il dm allunga il passo.
È questo in sostanza il rilievo più significativo che il Consiglio superiore dei lavori pubblici esprime nel parere sul decreto che determina «i corrispettivi a base di gare per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria».
Un passaggio che non compromette il parere di qualche giorno fa (si veda ItaliaOggi del 18/05/2013) sul decreto che resta positivo, né l'iter di un provvedimento atteso da circa un anno dalle professioni di area tecnica. Ma che, secondo il Consiglio superiore dei lavori pubblici, andrebbe meglio esplicitato nel provvedimento in questione. In sostanza, secondo l'organo consultivo del governo, il ministero della giustizia dovrebbe precisare «che compete al responsabile del procedimento accertare che il corrispettivo da porre a base di gara non superi quello derivante dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del provvedimento de quo».
Del resto, come ricorda ancora il Cslp, era stata proprio la norma primaria a prevedere un paletto preciso, cioè che i nuovi parametri non avrebbero dovuto determinare un importo a base di gara superiore a quello che derivava dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore dello stesso decreto. E poiché, per il Consiglio superiore, per verificare il vincolo di non superamento delle precedenti tariffe non sono sufficienti le esemplificazioni allegate spetta al Rup «procedere, sempre e comunque, alla verifica, per ogni singola ipotesi di affidamento, del rispetto del calmiere imposto dalla norma primaria». A questo punto ora sta ai ministeri competenti inserire tener conto di questa previsione oppure no.
Il testo ora è sul tavolo dell'ufficio legislativo del ministero delle infrastrutture per il parere di concerto e sarà poi inviato al Consiglio di stato.
Cresce, quindi, l'attesa per le categorie tecniche dopo che lo scorso anno il decreto legge sulle liberalizzazioni (n. 1/12) aveva cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole certe per calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le corrette procedure per l'affidamento (articolo ItaliaOggi del 06.06.2013).

APPALTIAppalti aperti ai debitori a rate. In regola col fisco anche con la dilazione di pagamento. L'adunanza plenaria del Consiglio di stato sui requisiti per la partecipazione alle gare.
Gli appalti aprono le porte alla rateizzazione fiscale. Il contribuente può partecipare alle gare indette dalla pubblica amministrazione anche quando gli è stata accordata la possibilità di pagare a rate il proprio debito con l'erario. Il requisito della regolarità fiscale, necessario per la partecipazione alle gare, sussiste infatti anche con la rateizzazione.
Il tutto purché il parere positivo da parte dell'amministrazione finanziaria, arrivi prima della scadenza dei termini per la presentazione della domanda di partecipazione.

A mettere la parola fine sulla questione, la sentenza 05.06.2013 n. 15, dell'Adunanza plenaria del Consiglio di stato.
Il problema. Si scioglie quindi il nodo relativo al concetto di regolarità fiscale. I giudici di palazzo Spada erano infatti stati chiamati, in più occasioni a trovare una soluzione al problema (si veda ItaliaOggi del 7 marzo e del 7 maggio). In particolare, la decisione doveva sciogliere il dubbio relativo alla possibilità per le imprese di poter partecipare alle gare di appalto anche nel caso in cui versassero in situazione di irregolarità fiscale.
A questo proposito infatti, l'orientamento del Consiglio di stato, a più riprese, era stato nel senso di escludere dalla partecipazione alle gare tutte quelle imprese che non fossero in regola con il versamento dei tributi, comprese quelle che avevano avuto accesso al pagamento rateizzato. Un orientamento in questo senso, per quanto garantisse da un lato la stazione appaltate, non lasciava però possibilità di lavoro a quelle imprese che, per le ragioni più varie, non erano rimaste in pari con il versamento dei tributi.
La sentenza. Un'inversione di rotta quella assunta dall'Adunanza plenaria. In base a quanto stabilito nella sentenza infatti, le imprese possono partecipare alle gare di appalto, anche nel caso in cui l'intero importo dei tributi non sia stato versato.
C'è però un limite temporale da rispettare. È infatti necessario che l'impresa sia stata ammessa alla procedura di rateizzazione del debito prima della scadenza dei termini previsti per depositare la domanda di partecipazione. Il tutto, fermo restando che prima di ogni adempimento in questo senso è necessaria la presentazione dell'autodichiarazione circa il possesso del requisito di regolarità fiscale.
Secondo l'Adunanza plenaria infatti «è inammissibile una dichiarazione che attesti il possesso di un requisito in data futura». Da una pronuncia in questo senso, ne consegue che il contribuente versa in una situazione di irregolarità fiscale solo nel momento in cui, la richiesta di poter accedere alle dilazioni di pagamento, a seguito di un accertamento nei suoi confronti, gli venga negata.
L'accesso alla procedura di rateizzazione infatti, non solo non è un atto dovuto da parte dell'amministrazione finanziaria, ma non è nemmeno un meccanismo del tutto automatico. «La decisione dell'amministrazione finanziaria infatti, non è solo discrezionale», spiega il Consiglio di stato, «ma si basa sulla verifica della sussistenza in capo al contribuente interessato del requisito di obiettiva difficoltà economica».
La ratio. Una decisione quindi, volta ad ampliare quanto più possibile la platea dei partecipanti. Fermo restando però che, come spiega la pronuncia dell'Adunanza «l'ampliamento del novero dei partecipanti non è un valore assoluto ma deve essere ricondotto al suo alveo naturale, dato dalla sua funzione di strumento volto al conseguimento dell'obiettivo di assicurare la scelta del miglior contraente all'interno di una gara».
In quest'ottica quindi, si pone la decisione di stabilire alla scadenza della presentazione delle domande il termine ultimo per essere entrati in possesso del requisito di regolarità fiscale. Per i giudici infatti, il principio della certezza del quadro delle regole e dei tempi delle gare di appalto impone che «i requisiti di partecipazione siano verificati in modo compiuto al momento della scadenza dei termini di presentazione delle domande per impedire che si verifichi un'ammissione condizionata che si rifletterebbe negativamente sui valori dell'efficienza e della tempestività dell'azione amministrativa» (articolo ItaliaOggi dell'08.06.2013).

APPALTIAppalti segreti, il nulla osta sicurezza può essere girato
In un appalto pubblico «segreto», il nulla osta di sicurezza (Nos) può essere prestato da una impresa a un'altra attraverso l'istituto dell'avvalimento; si tratta di requisito speciale che l'impresa ausiliaria deve però mettere a disposizione assicurando gli indispensabili livelli di segretezza nell'esecuzione dell'appalto.

È quanto afferma la IV Sez. del Consiglio di Stato con la sentenza 04.06.2013 n. 3059 relativa a un appalto bandito dalla Procura della repubblica di Perugia, ai sensi dell'art. 17 del codice dei contratti pubblici, per «la fornitura di apparati per sistema di registrazione intercettazioni telefoniche, telematiche, ambientali e Gps».
Il bando di gara, in particolare, richiedeva per la presentazione dell'offerta, unitamente alla dimostrazione dei requisiti di ordine generale di cui all'articolo 38 del codice dei contratti pubblici, che fosse presentata una copia autenticata o dichiarazione sostitutiva «...di certificazione del nullaosta di sicurezza (Nos) previsto dall'articolo 9 della legge n. 124/2007 e dell'articolo 17, terzo comma del dlgs 163/2006».
Il Consiglio di stato, dovendosi esprimere sull'utilizzabilità dell'avvalimento per provare il possesso del Nos, chiarisce in primo luogo come il nulla osta di sicurezza non concerna affatto un requisito generale di partecipazione alle gare d'appalto. Per i giudici, infatti, sia la «costruzione letterale», sia «la collocazione sistematica della disposizione» rendono chiaro che il legislatore non ha affatto considerato il Nos nell'ambito dei requisiti generali di partecipazione relativi ai c.d. «requisiti morali».
In secondo luogo non si tratta neanche di un generico requisito di capacità tecnica di cui di cui all'art. 42 del codice dei contratti pubblici, all'interno dei quali figurano invece, qualificazioni professionali, risorse umane e attrezzature tecniche, ritenute necessarie per l'esecuzione del contratto tra quelle individuate. Pertanto, considerando la specificità della previsione dell'art. 17, comma 3, del codice dei contratti, «il Nos deve essere configurato come requisito speciale di capacità tecnica, analogamente alla fattispecie di cui all'art. 43 del codice dei contratti relativa al possesso del sistema di qualità».
Il Cds vede nel Nos un «requisito soggettivo speciale» del profilo organizzativo, rientrante fra quelli oggetto di avvalimento ex art. 49 codice contratti pubblici. Quindi, l'impresa ausiliata dovrà avere a disposizione personale e risorse necessari ad assicurare segretezza nell'esecuzione dell'appalto e non potrà limitarsi a «prestare» l'attestato Nos (articolo ItaliaOggi del 14.06.2013).

APPALTI SERVIZILa corretta interpretazione dell’espressione “accordo consortile” e le acquisizioni in economia mediante amministrazione diretta.
Enti locali - Accordo consortile - Art. 30 Tuel - Acquisizioni in economia - Gestione obbligatoria da parte della centrale unica di committenza.

La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per l’Umbria, si è pronunciata sulla richiesta di un parere avanzata dal sindaco di un comune relativa a due quesiti. In primo luogo veniva richiesto quale fosse la corretta interpretazione dell’espressione “accordo consortile” contenuta nel comma 3-bis dell’art. 33 del Dlgs n. 163/2006 (comma aggiunto dal Dl n. 201/2011) e quale sia il suo rapporto con la disposizione contenuta nell’art. 2, comma 186, della legge n. 191/2009, che ha invece sancito la soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali. In secondo luogo veniva richiesto alla Corte se nell’obbligo di acquisizione mediante la centrale unica di committenza rientrino anche le acquisizioni in economia ai sensi dell’art. 125 del citato Dlgs n. 163/2006.
Nello specifico, relativamente al primo quesito il sindaco umbro demandava se, stante soppressione dei consorzi disposta dalla legge n. 191/2009 richiamata, sia possibile assolvere l’obbligo previsto dal comma 3-bis dell’art. 33 del Dlgs n. 163/2006 mediante la stipula di una convenzione ex art. 30 del Tuel.
A parere della Corte, il termine “accordo consortile” di cui alla norma richiamata, deve essere considerato come un’espressione “atecnica” con la quale il legislatore ha inteso genericamente riferirsi alle convenzioni di cui all’art. 30 del Tuel, come strumento alternativo all’unione dei comuni. In tale ottica interpretativa dunque, l’espressione “accordi consortili” deve essere intesa non già come accordi istitutivi di un vero e proprio consorzio, ai sensi dell’art. 31 del Tuel (al quale spetterebbe successivamente la competenza a istituire una propria centrale di committenza) bensì come atti convenzionali volti ad adempiere l’obbligo normativo di istituire una centrale di committenza, evitando però la costituzione di organi ulteriori e con essi le relative spese. Pertanto, i comuni con meno di 5.000 abitanti possono assolvere l’obbligo di cui all’art. 33, comma 3-bis,
del Dlgs n. 163/2006 o nell’ambito dell’unione dei comuni ovvero mediante una convenzione, nei termini di cui all’art. 30 Tuel.
Quanto al secondo quesito, ovvero se nell’obbligo di acquisizione mediante la centrale unica di committenza rientrino anche le acquisizioni in economia ai sensi dell’art. 125 del citato Dlgs n. 163/2006, la Corte evidenzia che sulla stessa questione si era già espressa la stessa Corte dei conti, sezione di controllo per il Piemonte, con la deliberazione n. 271/2012, in base alla quale sono da ritenersi escluse dalla gestione obbligatoria da parte della centrale unica di committenza sia le acquisizioni in economia mediante amministrazione diretta sia le ipotesi eccezionali di affidamento diretto consentite dalla legge, quali quelle previste all’art. 125, commi 8 e 11, del Dlgs n. 163/2006 (Corte dei Conti, Sez. reg. controllo Umbria, parere 04.06.2013 n. 112 - commento tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 7-8/2013).

APPALTI: Stazione appaltante deve segnalare all'Autorità di Vigilanza false dichiarazioni.
I giudici del Consiglio di Stato si soffermano, nella pronuncia in rassegna, sul dovere per la stazione appaltante di segnalare all'Autorità di Vigilanza le ipotesi di false dichiarazioni relative ai requisiti di ordine generale.
In forza degli artt. 6, c. 11, e 38, c. 1, lett. h), del d.lgs. n. 163 del 2006, secondo i giudici di Palazzo Spada, la stazione appaltante è tenuta a segnalare all'Autorità di Vigilanza le ipotesi di false dichiarazioni relative ai requisiti di ordine generale; che trattasi di segnalazione doverosa per la stazione appaltante, la cui omissione è sanzionata con l'irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria; l'obbligo si esaurisce nella segnalazione, essendo rimessa all'Autorità l'eventuale iscrizione nel casellario informatico, a seguito di procedimento della stessa Autorità, del quale la parte deve essere notiziata; che questa fattispecie differisce da quella di cui all'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, la cui disciplina e le relative sanzioni sono rigidamente prefissate dalla legge.
Ad oggi, comunque, ogni questione deve ritenersi superata alla luce delle modifiche apportate all'art. 38 del codice dal d.l. 13.05.2011, n. 70 (decreto sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla l. 12.07.2011, n. 106. Il decreto sviluppo del 2011 ha, infatti, introdotto all'art. 38 del codice il c. 1-ter in virtù del quale, in caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti in subappalto, la stazione appaltante "ne dà segnalazione all'Autorità" che, laddove ritenga che siano state rese con dolo o colpa grave, dispone l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti in subappalto.
Pertanto, in base alla normativa vigente ratione temporis, era doverosa la segnalazione all'Autorità dell'accertamento negativo dei requisiti generali in testa alle imprese partecipanti ad una procedura ad evidenza pubblica (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.06.2013 n. 3045 - Link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI:  Linee guida sponsorizzazioni.
Domanda
Mi dicono dell'approvazione delle linee guida per sponsorizzazioni di beni culturali, ma non riesco a reperirne notizia. Chiedo di avere riferimenti al riguardo.
Risposta
Il decreto del ministero per i beni e le attività culturali 19.12.2012 recante «Approvazione delle norme tecniche e linee guida in materia di sponsorizzazioni di beni culturali e di fattispecie analoghe o collegate» è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12.03.2013.
Il decreto si pone come compimento di una serie di atti volti a regolare la prassi di sponsorizzazione di beni culturali (percorso iniziato con l'art. 120 del codice dei beni culturali, proseguito con gli articoli 26 e 27 del dlgs 163/2006 e la legge 35/2012) (articolo ItaliaOggi Sette del 03.06.2013).

APPALTI SERVIZI: A. Reggio d’Aci, Evidenza pubblica e associazioni di volontariato: l’onerosità della convenzione va valutata in termini comunitari (tratto da www.ipsoa.it - Urbanistica e appalti n. 6/2013).

maggio 2013

APPALTI - LAVORI PUBBLICIAnche dopo le modifiche introdotte dal c.d. decreto sviluppo di cui al d.l. n. 70/2011, è rimasta inalterata la facoltà delle amministrazioni aggiudicatrici di richiedere, a pena di esclusione, tutti i documenti e gli elementi ritenuti necessari o utili per identificare e selezionare i partecipanti ad una procedura concorsuale nel rispetto del principio di proporzionalità, ai sensi degli art. 73 e 74 del Codice dei contratti.
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Con riferimento all’attestazione del r.u.p. di presa visione dei luoghi dove devono eseguirsi i lavori, imposta dal disciplinare di gara, un orientamento ha affermato che con il richiedere tale attestazione “la stazione appaltante pone a carico dell'appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui corrisponde una altrettanto precisa responsabilità contrattuale di quest’ultimo. La provenienza di detto documento dall’amministrazione aggiudicatrice assicura a quest’ultima maggiore tutela, a presidio dell'interesse, di ordine imperativo, all’individuazione del contraente più idoneo nonché alla correttezza e regolarità della gara, in un ottica dunque di rafforzamento degli adempimenti dichiarativi imposti dall'art. 71, comma 2, del D.P.R. n. 554/1999 e dunque in coerenza con l'interesse pubblico sotteso a tale norma di azione”.
Tuttavia, nel caso di specie, il Comune ha introdotto un requisito di partecipazione ingiustamente limitativo della concorrenza in quanto ha imposto alle imprese di partecipare ad un sopralluogo prima della scadenza del termine di presentazione delle istanza di partecipazione.
In questo modo le imprese che hanno conosciuto all’ultimo momento il bando od hanno deciso di partecipare alla gara nel periodo intercorrente tra il giorno del sopralluogo e la scadenza del termine per la partecipazione, erano in sostanza già escluse dalla gara in quanto non in grado di presentare la suddetta attestazione del r.u.p.
L’adempimento richiesto viola quindi il principio di proporzionalità ed il termine di partecipazione alla gara, in quanto imponendo l’obbligo di maturare requisiti di partecipazione alla gara in data anteriore al termine finale di partecipazione, ha sostanzialmente ridotto i termini di partecipazione ed ha introdotto un adempimento non assolvibile dalle imprese che venivano a conoscenza del bando in data successiva alla data del sopralluogo ma prima della scadenza dei termini di partecipazione alla gara.
A ciò si aggiunge che l’attestazione del r.u.p. di presa visione dei luoghi dove devono eseguirsi i lavori è requisito che non trova adeguato supporto normativo in quanto l’art. 106 del D.P.R. 207/2010, nell’intento evidente di semplificare le modalità di partecipazione alla gara, si limita a prevedere la dichiarazione di sopralluogo a cura del partecipante e la richiede esclusivamente per gli appalti e le concessioni di lavori pubblici.
Occorre rammentare in merito che lo scopo della riforma delle cause di esclusione è stata quella di porre un freno al proliferare delle cause di esclusione inventate dall’amministrazione e giungere a rendere più omogenei e prevedibili i bandi, ottenendo così un freno al proliferare della litigiosità giudiziaria.
Con riferimento alla conoscenza dei luoghi occorre rammentare che la giurisprudenza amministrativa precedente la riforma considerava generalmente sufficiente ai fini dell’ammissione alla gara la dichiarazione di sopralluogo a prescindere dalle modalità con cui esso sia stato eseguito, a meno che non fosse espressamente richiesto anche uno specifico verbale di sopralluogo sulle relativa modalità.
La prescrizione del bando di gara che richiede, tra i documenti da allegare all’offerta, la certificazione, con la quale la stazione appaltante, e per essa il responsabile del procedimento, attesti l'effettiva presa visione del progetto e dei luoghi in cui debbono eseguirsi i lavori, è stata sempre considerata una previsione derivante da una scelta discrezionale della stazione appaltante ispirata all’intento di integrare e rafforzare, ma soprattutto verificare, con apposita certificazione del responsabile del procedimento, la dichiarazione prevista dall’art. 71, comma 2, del D.P.R. n. 554/1999 già resa dai concorrenti.
Si tratta quindi in sostanza dell’introduzione di un adempimento formale, privo di base normativa e con funzione esclusivamente rafforzativa delle garanzie di legge, che si pone in contrasto con le esigenze di semplificazione e standardizzazione dei bandi perseguita dal c.d. decreto sviluppo e da altre disposizioni normative, quali quelle introduttive dei bandi tipo.
Ne consegue che deve ritenersi sufficiente ai fini dell’ammissione ad una gara la dichiarazione di sopralluogo a prescindere dalle modalità con cui esso sia stato eseguito, e deve escludersi che la mancanza dell’attestazione del r.u.p. possa costituire causa di esclusione, avendo il legislatore già disciplinato la materia della conoscenza dei luoghi senza prevedere tale adempimento meramente formale.

In merito ai requisiti richiesti dal bando di gara per la partecipazione, la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare come anche dopo le modifiche introdotte dal c.d. decreto sviluppo di cui al d.l. n. 70/2011, sia rimasta inalterata la facoltà delle amministrazioni aggiudicatrici di richiedere, a pena di esclusione, tutti i documenti e gli elementi ritenuti necessari o utili per identificare e selezionare i partecipanti ad una procedura concorsuale nel rispetto del principio di proporzionalità, ai sensi degli art. 73 e 74 del Codice dei contratti (cfr. Cons. Stato, Sez, V, 12.06.2012, n. 3884).
Con riferimento in particolare all’attestazione del r.u.p. di presa visione dei luoghi dove devono eseguirsi i lavori, imposta dal disciplinare di gara, un orientamento ha affermato che con il richiedere tale attestazione “la stazione appaltante pone a carico dell'appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui corrisponde una altrettanto precisa responsabilità contrattuale di quest’ultimo. La provenienza di detto documento dall’amministrazione aggiudicatrice assicura a quest’ultima maggiore tutela, a presidio dell'interesse, di ordine imperativo, all’individuazione del contraente più idoneo nonché alla correttezza e regolarità della gara, in un ottica dunque di rafforzamento degli adempimenti dichiarativi imposti dall'art. 71, comma 2, del D.P.R. n. 554/1999 e dunque in coerenza con l'interesse pubblico sotteso a tale norma di azione”.
Venendo al caso in questione occorre rilevare che il Comune di Canegrate ha introdotto un requisito di partecipazione ingiustamente limitativo della concorrenza in quanto ha imposto alle imprese di partecipare ad un sopralluogo prima della scadenza del termine di presentazione delle istanza di partecipazione.
In questo modo le imprese che hanno conosciuto all’ultimo momento il bando od hanno deciso di partecipare alla gara nel periodo intercorrente tra il giorno del sopralluogo e la scadenza del termine per la partecipazione, erano in sostanza già escluse dalla gara in quanto non in grado di presentare la suddetta attestazione del r.u.p.
L’adempimento richiesto viola quindi il principio di proporzionalità ed il termine di partecipazione alla gara, in quanto imponendo l’obbligo di maturare requisiti di partecipazione alla gara in data anteriore al termine finale di partecipazione, ha sostanzialmente ridotto i termini di partecipazione ed ha introdotto un adempimento non assolvibile dalle imprese che venivano a conoscenza del bando in data successiva alla data del sopralluogo ma prima della scadenza dei termini di partecipazione alla gara.
A ciò si aggiunge, secondo il Collegio, che l’attestazione del r.u.p. di presa visione dei luoghi dove devono eseguirsi i lavori è requisito che non trova adeguato supporto normativo in quanto l’art. 106 del D.P.R. 207/2010, nell’intento evidente di semplificare le modalità di partecipazione alla gara, si limita a prevedere la dichiarazione di sopralluogo a cura del partecipante e la richiede esclusivamente per gli appalti e le concessioni di lavori pubblici.
Occorre rammentare in merito che lo scopo della riforma delle cause di esclusione è stata quella di porre un freno al proliferare delle cause di esclusione inventate dall’amministrazione e giungere a rendere più omogenei e prevedibili i bandi, ottenendo così un freno al proliferare della litigiosità giudiziaria.
Con riferimento alla conoscenza dei luoghi occorre rammentare che la giurisprudenza amministrativa precedente la riforma considerava generalmente sufficiente ai fini dell’ammissione alla gara la dichiarazione di sopralluogo a prescindere dalle modalità con cui esso sia stato eseguito, a meno che non fosse espressamente richiesto anche uno specifico verbale di sopralluogo sulle relativa modalità (Cons. St., sez. V, 07.07.2005 n. 3729).
La prescrizione del bando di gara che richiede, tra i documenti da allegare all’offerta, la certificazione, con la quale la stazione appaltante, e per essa il responsabile del procedimento, attesti l'effettiva presa visione del progetto e dei luoghi in cui debbono eseguirsi i lavori, è stata sempre considerata una previsione derivante da una scelta discrezionale della stazione appaltante ispirata all’intento di integrare e rafforzare, ma soprattutto verificare, con apposita certificazione del responsabile del procedimento, la dichiarazione prevista dall’art. 71, comma 2, del D.P.R. n. 554/1999 già resa dai concorrenti (TAR Lazio, Latina, 24.10.2003 n. 868; cfr., altresì, Cons. St., sez. IV, 13.09.2001 n. 4805; TAR Basilicata, Potenza, 05.11.2004 n. 742).
Si tratta quindi in sostanza dell’introduzione di un adempimento formale, privo di base normativa e con funzione esclusivamente rafforzativa delle garanzie di legge, che si pone in contrasto con le esigenze di semplificazione e standardizzazione dei bandi perseguita dal c.d. decreto sviluppo e da altre disposizioni normative, quali quelle introduttive dei bandi tipo.
Ne consegue che deve ritenersi sufficiente ai fini dell’ammissione ad una gara la dichiarazione di sopralluogo a prescindere dalle modalità con cui esso sia stato eseguito, e deve escludersi che la mancanza dell’attestazione del r.u.p. possa costituire causa di esclusione, avendo il legislatore già disciplinato la materia della conoscenza dei luoghi senza prevedere tale adempimento meramente formale (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 31.05.2013 n. 1434 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Oggetto: Lavori pubblici e iscrizioni a piattaforme telematiche (ANCE Bergamo, circolare 31.05.2013 n. 132).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATARisposta del ministero dell'economia a un'interrogazione parlamentare sul dl 83. Solidarietà negli appalti a 360°. Applicazione in tutti i settori e non solo nell'edilizia.
La solidarietà a favore del fisco vige in tutti gli appalti, e non solo nell'edilizia.

L'articolo 35 del decreto legge 223/2206 (modificato dal decreto legge 83/2012) va interpretato in senso estensivo, in quanto ispirato all'obiettivo della lotta all'evasione fiscale, che vale per tutti i settori merceologici.
È quanto chiarito in una risposta del Mef a un'interrogazione parlamentare in commissione finanze alla camera, che ha sollevato il dubbio dell'ambito di applicazione dell'obbligo solidale.
Ma partiamo dall'esame della disciplina. Nei contratti di appalto e di subappalto l'appaltatore risponde in solido con il subappaltatore del versamento all'Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dell'Iva dovuta dal subappaltatore all'Erario. Questo significa che l'appaltatore deve pagare le ritenute e l'Iva dovuta dal subappaltatore, anche se la responsabilità è contenuta nei limiti dell'ammontare del corrispettivo dovuto.
Per non incorrere nella responsabilità l'appaltatore deve acquisire la documentazione relativa all'avvenuta esecuzione degli obblighi fiscali (anche mediante una attestazione asseverata di soggetto abilitato). Tra l'altro si può sospendere il pagamento del corrispettivo fino a che non sia esibita la documentazione sulla regolarità tributaria: questo vale sia per l'appaltatore nei confronti del subappaltatore, sia per il committente nei confronti dell' appaltatore (se non osserva gli obblighi a suo carico).
Il problema interpretativo affrontato dall'interrogazione parlamentare è se la speciale procedura riguardi solo il settore dell'edilizia o si estenda ad altri campi. La risposta del Mef parte dallo scopo della normativa: contrastare l'evasione. Dunque il «nero» va combattuto, creando conflitti di interesse, non solo nel settore edile, ma in tutti gli appalti e subappalti a prescindere dal settore economico.
Altro tema è la definizione dei contratti di appalto e di subappalto coinvolti. L'articolo 28 citato si riferisce ai contratti di appalto di opere e servizi. A questo proposito si segnala che la risposta all'interrogazione elenca i contratti esclusi dalla procedura di solidarietà, individuandoli nei contratti diversi da quello tipico previsto dall'articolo 1655 del codice civile.
Rimangono, dunque, esclusi il contratto di opera, il contratto di trasporto, il contratto di subfornitura e le prestazioni rese nell'ambito di un rapporto consortile. Quanto agli appalti di fornitura dei beni, questi sono menzionati espressamente dal comma 28-ter dell'articolo 35 del decreto legge 223/2006, che dettaglia il campo di applicazione; tuttavia i precedenti commi 28 e 28-bis (dedicati alla descrizione dell'istituto della responsabilità solidale e dei suoi effetti) non ne parlano e si limitano a citare solo gli appalti di opere e servizi.
Per questa asimmetria l'agenzia delle entrate ha ritenuto gli appalti di fornitura di beni estranei alla disciplina della solidarietà. Disciplina che, dove applicabile, vige sia nei rapporti trilaterali (committente, appaltatore e subappaltatore) sia nei rapporti bilaterali (committente e appaltatore) (articolo ItaliaOggi del 31.05.2013).

APPALTI FORNITURE: Sul divieto di introdurre nelle clausole contrattuali specifiche tecniche che indicano prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza.
Le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all'apertura dei contratti pubblici alla concorrenza.

In materia di gare d'appalto opera il principio della libera concorrenza, che trova applicazione in primo luogo nella fase della determinazione del contenuto del contratto oggetto di gara, con particolare riferimento alla individuazione delle prestazioni richieste; quindi, in caso di gara per l'affidamento di un appalto di fornitura, sussiste il divieto di introdurre nelle clausole contrattuali specifiche tecniche che indicano prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza (art. 68, c. 3, lett. a), del d.lgs. n. 163/2006) ed esso può essere derogato inserendo nel bando la menzione "o equivalente", che è però autorizzata solo quando le Amministrazioni non possano fornire una descrizione dell'oggetto dell'appalto mediante specifiche tecniche sufficientemente precise, o formulando la "lex specialis" in termini funzionali (art. 68, c. 3, lett. b e lett. c, del d.lgs. n. 163/2006).
In tal senso, è stato ritenuto che, qualora le specifiche tecniche siano plasmate su quelle del prodotto coperto da brevetto e sia, altresì, carente la indicazione della menzionata espressione, ha luogo una evidente violazione dei principi in materia di par condicio e di non discriminazione nelle gare, con conseguente annullamento, per illegittimità, del provvedimento di esclusione della concorrente il cui prodotto non possegga quelle esatte e specifiche caratteristiche menzionate.
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L'art. 68 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti) intende tutelare la concorrenza e la par condicio dei partecipanti alle gare fin dalla determinazione del contenuto del contratto, ed è proprio a tal fine che (c. 2) "le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all'apertura dei contratti pubblici alla concorrenza".
In questo senso, il divieto di "menzione" o comunque di "riferimento" (o utilizzazione comparativa) a "un marchio, a un brevetto o a un tipo, a un'origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti", si pone come attuativo del principio generale di cui al c. 2 dell'art. 68.
In altre parole, il legislatore -nel prevedere come regola il citato divieto (costituendo la possibilità di menzione o di riferimento una espressa eccezione)- afferma appunto che la menzione o il riferimento ad un tipo o a una produzione specifica costituiscono ex se un "ostacolo ingiustificato" alla concorrenza, ed in particolare alla par condicio dei concorrenti, posto che uno di essi (anche solo potenzialmente) beneficia nella partecipazione alla gara di una posizione di vantaggio.
Né è sufficiente la mera menzione della possibilità di presentare tipi o prodotti "equivalenti" a giustificare la menzione o il riferimento suddetti (ed in via generale vietati) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.05.2013 n. 2976 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'informativa prefettizia, di cui agli art. 4 d.lgs. 29.10.1994 n. 490 e 10 d.P.R. 03.06.1998 n. 252, è funzionale alla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte delle imprese chiamate a stipulare contratti con la p.a., determinando l'esclusione dell'imprenditore, sospettato di detti legami, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l'utilizzo di risorse della collettività.
Di conseguenza, la misura è adottabile sulla base di accertamenti sommari e probabilistici, che non raggiungono, né possono raggiungere, le certezze che scaturiscono dai giudizi penali; ed è irrilevante la preesistenza di pregiudizi penali o procedimenti pendenti per reati di mafia così come sono irrilevanti le risultanze negative dei certificati penali delle persone interessate all’indagine.
Tuttavia, è altrettanto essenziale, in un sistema di legalità, non attribuire valore esclusivo al mero rapporto di parentela con soggetti pregiudicati o contigui ad ambienti criminali; tale elemento, però, unito ad altri può essere idoneo ad integrare il presupposto del tentativo di infiltrazione mafiosa.

Osserva il Collegio che la sentenza appellata ha esaminato puntualmente sia i principi elaborati dalla giurisprudenza al fine di una applicazione garantista delle norme concernenti la materia, sia le risultanze istruttorie del caso in esame, non rilevando vizi di illogicità e superficialità, e concludendo correttamente che “gli accertamenti condotti, pur non facendo palesare situazioni di effettiva e conclamata infiltrazione mafiosa hanno dato conto della presenza di circostanze poste alla soglia, giuridicamente rilevante, dell’influenza e del condizionamento latente dell’attività dell’impresa da parte delle organizzazioni criminali”.
Il Collegio condivide tali conclusioni: valore pregnante nella fattispecie assume il contesto, la compagine familiare sospetta; i fatti esaminati partitamente presentano nel loro insieme una coerenza logica sufficiente a giustificare la misura prefettizia, che, come più volte ribadito in giurisprudenza, ha una forte valenza di anticipazione “della soglia di prevenzione” rispetto ai tentativi di infiltrazione mafiosa nelle attività economiche.
"L'informativa prefettizia, di cui agli art. 4 d.lgs. 29.10.1994 n. 490 e 10 d.P.R. 03.06.1998 n. 252, è funzionale alla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte delle imprese chiamate a stipulare contratti con la p.a., determinando l'esclusione dell'imprenditore, sospettato di detti legami, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l'utilizzo di risorse della collettività.” (Consiglio Stato , sez. VI, 17.07.2006, n. 4574).
Di conseguenza, la misura è adottabile sulla base di accertamenti sommari e probabilistici, che non raggiungono, né possono raggiungere, le certezze che scaturiscono dai giudizi penali; ed è irrilevante la preesistenza di pregiudizi penali o procedimenti pendenti per reati di mafia così come sono irrilevanti le risultanze negative dei certificati penali delle persone interessate all’indagine (Consiglio Stato sez. VI, 03.03.2010, n. 1254).
Tuttavia, è altrettanto essenziale, in un sistema di legalità, non attribuire valore esclusivo al mero rapporto di parentela con soggetti pregiudicati o contigui ad ambienti criminali; tale elemento, però, unito ad altri può essere idoneo ad integrare il presupposto del tentativo di infiltrazione mafiosa (Consiglio Stato sez. V, 07.11.2006 n. 6536)
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 30.05.2013 n. 2941 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIModalità di ricorso agli strumenti offerti dal MEPa-Consip - l’obbligo di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento va mitigato ogni qual volta il ricorso all’esterno persegue la ratio di contenimento della spesa pubblica.
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Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla Sezione, con nota prot. n. 5548/1.13.9 del 25.03.2013, una richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di Chiesina Uzzanese contenente una serie di quesiti in materia di acquisto di prodotti e servizi.
In particolare chiede:
1. se sia possibile per l’ente rientrare nel concetto di amministrazione dello Stato di cui all’art. 1, comma 6 del d.l. n. 95/2012, convertito dalla L. n. 135/2012, come modificato dall’art. 1, comma 153, della L. n. 288/2012, e, pertanto, stipulare direttamente contratti con fornitori non inseriti fra quelli presenti su Consip qualora gli stessi vengano contratti a prezzi più bassi da quelli derivanti dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo messi a disposizione da Consip spa;
in caso di risposta negativa:
2. se sia sempre obbligatorio per l’ente utilizzare gli strumenti offerti da Consip spa o dalle centrali di committenza ovvero sia possibile per l’ente, nel caso in cui l’ordinativo minimo richiesto da Consip sia superiore alle necessità, procedere a procedura fuori da tali canali;
3. se sia possibile per l’ente, dopo aver individuato il fornitore su Consip o nelle centrali di committenza, procedere direttamente con lo stesso per l’adattamento dell’offerta fuori del mercato elettronico;
4. se sia possibile ricorre a fornitore esterno alle centrali di committenza o a Consip che proponga un prezzo più basso a parità di caratteristiche quali-quantitative;
5. se sia possibile evitare il ricorso al MEPA e alle centrali uniche di committenza nel caso di acquisti di beni o servizi siano di importo inferiore a 40.000 euro.
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Nel merito, l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 95/2012, convertito dalla L. n. 135/2012, come modificato dall’art. 1, comma 153, della L. 288/2012 (con decorrenza dal 01.01.2013) recita: “i contratti stipulati in violazione dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa. Ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e quello indicato nel contratto. Le centrali di acquisto regionali, pur tenendo conto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A., non sono soggette all'applicazione dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488. La disposizione del primo periodo del presente comma non si applica alle Amministrazioni dello Stato quando il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A., ed a condizione che tra l'amministrazione interessata e l'impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza”.
La norma nella sua prima parte fa rinvio all’art. 26, comma 3, della L. 488/1999, che prescrive la possibilità per le amministrazioni pubbliche di ricorrere alternativamente alle convenzioni stipulate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ovvero di utilizzarne “i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche utilizzando procedure telematiche”, prescrivendo la responsabilità amministrativa in caso di stipulazione di un contratto in violazione della norma suddetta.
Dall’analisi della formulazione dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 95/2012, che sancisce la responsabilità amministrativa in caso di alternativa violazione dell’art. 26 (appena citato) o dell’obbligo di rivolgersi a Consip, vien da sé che non esiste un obbligo generalizzato di rivolgersi alla Consip per qualunque tipo di acquisto o di prestazione, ma la prescrizione va letta alla luce delle altre disposizioni normative sulla materia.
Difatti il comma 1 dell’art. 1 del d.l. 95/2012 citato va combinato con il comma 7 del medesimo articolo che prescrive che “Fermo restando quanto previsto all'articolo 1, commi 449 e 450, della legge 27.12.2006, n. 296, e all'articolo 2, comma 574, della legge 24.12.2007, n. 244, quale misura di coordinamento della finanza pubblica, le amministrazioni pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196, a totale partecipazione pubblica diretta o indiretta, relativamente alle seguenti categorie merceologiche: energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile, sono tenute ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali di riferimento (…)”.
Dal combinato dei due commi si deduce che l’obbligo di rivolgersi alla Consip spa per l’acquisto di beni e servizi, da parte delle pubbliche amministrazioni, tra le quali gli enti locali, sussiste solo in riferimento alle diverse tipologie merceologiche elencate nel comma 7, di conseguenza nelle restanti ipotesi vige il residuo sistema di approvvigionamento dettato dalla legge che, come richiamato dal comma 7 sopra riportato, trova il suo fondamento, oltre che nell’art. 26 della l. n. 488/1999, nei commi 449 e 450 dell’articolo 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007).
In particolare il comma 449 prescrive che “(…) tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti.”
Il comma 450 prescrive: “Dal 01.07.2007, le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, per gli acquisti di beni e servizi al di sotto della soglia di rilievo comunitario, sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207. Fermi restando gli obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure.”
Tanto premesso, in risposta al primo quesito, un comune non può considerarsi rientrante nel novero delle “Amministrazioni dello Stato” ritenute esenti dall’applicazione del primo periodo della norma di cui all’art. 1, comma 1, del d.l. 95/2012 nelle ipotesi in cui “il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A..
A sostegno di tale assunto si pone il significato letterale della norma che nello stabilire che “La disposizione del primo periodo del presente comma non si applica alle Amministrazioni dello Stato” destina la possibilità di deroga alle amministrazioni rientranti nello Stato, secondo l’accezione di cui all’art. 114 della Costituzione, laddove se il legislatore avesse voluto destinare la facoltà derogatoria a tutte le amministrazioni lo avrebbe chiaramente indicato con una formulazione differente, come variamente riportato nelle altre disposizioni normative in materia.
La risposta ai successivi quesiti (2, 3, 4 e 5), investe la possibilità di derogare agli obblighi descritti nei confronti di Consip e MEPA in presenza di fattispecie specifiche illustrate dall’ente richiedente.
In merito ai quesiti 2 e 3, che per semplicità vengono trattati cumulativamente, il collegio non può che sottolineare la cogenza delle norme riportate (nelle ipotesi e con le modalità in cui si applicano al comune richiedente) ed evidenziare che le possibili deroghe -dettate da casistiche specifiche– alle procedure dettate in tema di approvvigionamento di beni e servizi non possono essere oggetto di trattazione ed interpretazione nell’ambito dell’attività consultiva delle Sezioni regionali della Corte dei conti, ma troverebbero miglior collocazione nelle sedi a ciò destinate (sede legislativa e, soprattutto, convenzionale).
In merito al quesito numero 4, il collegio sottolinea che la questione trova risposta analizzando la ratio sottesa alle norme sopra riportate in cui i principi di economicità e di efficienza perseguiti dalle norme sopra riportate si rinvengono in diversi punti. In particolare l’art. 1, comma 7 del d.l. n. 95/2012, convertito dalla l. 135/2012, nel fare salvo “quanto previsto all'articolo 1, commi 449 e 450, della legge 27.12.2006, n. 296” lascia inalterata la norma di cui al comma 449 ivi citato che espressamente prevede che “Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti”; in tal senso l’obbligo di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento descritti va mitigato ogni qual volta il ricorso all’esterno persegue la ratio di contenimento della spesa pubblica contenuta nella norma.
Del resto la tabella stilata da Consip-MEF “Tabella Obbligo-Facoltà dal 01.01.2013 - Strumenti del Programma di razionalizzazione degli acquisti” è chiara nello stabilire, in riferimento alle amministrazioni territoriali non regionali, la possibilità di operare “acquisti autonomi a corrispettivi inferiori a quelli delle convenzioni Consip e della CAT di riferimento” anche in riferimento alle tipologie merceologiche di cui al comma 7 più volte citato.
In risposta al quinto quesito in riferimento al ricorso al sistema MePA, la tabella stilata da Consip-MEF “Tabella Obbligo-Facoltà dal 01.01.2013 - Strumenti del Programma di razionalizzazione degli acquisti” è chiara nello stabilire, in riferimento alle amministrazioni territoriali non regionali, sancisce l’obbligo, sottosoglia comunitaria, di “ricorso al MePA o altri mercati elettronici (proprio o della CAT di riferimento) o sistema telematico della CAT di riferimento ovvero ricorso alle convenzioni Consip; in caso di assenza, facoltà di utilizzo degli AQ Consip e dello SDAPA (con obbligo di rispetto del benchmark Consip)”, nonché, in riferimento alle tipologie di cui al comma 7 più volte citato, prescrive la possibilità di “acquisti autonomi a corrispettivi inferiori a quelli delle convenzioni Consip e della CAT di riferimento”.
Nelle sopra esposte considerazioni è il parere della Corte dei conti –Sezione regionale di controllo per la Toscana- in relazione alla richiesta formulata dal Consiglio delle autonomie con nota prot. n. 5548/1.13.9 del 25.03.2013 (Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana, parere 30.05.2013 n. 151).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIAcquisto di beni o servizi da parte del comune: possibilità di derogare agli obblighi nei confronti di Consip.
Obbligatorio il ricorso al Mepa - Enti locali - Acquisto di prodotti e servizi - Obbligo di utilizzare gli strumenti offerti dalla Consip o dalle centrali committenti - Obbligo di ricorso al Mepa - Principi di economicità ed efficienza della spesa pubblica
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La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Toscana, ha pronunciato un parere sulla richiesta del sindaco di un comune relativa all’acquisto dell’ente di prodotti e servizi.
Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte la prima richiesta del sindaco riguardava la possibilità per l’ente di rientrare nel concetto di “Amministrazione dello Stato” ai sensi dell’art. 1, comma 6, del Dl n. 95/2012, (convertito dalla legge n. 135/2012, da ultimo modificato dall’art. 1, comma 153, della legge n. 288/2012) e conseguentemente avere quindi la possibilità di poter stipulare contratti con fornitori non inseriti nell’elenco della Consip, qualora gli stessi vengano stipulati a prezzi più bassi rispetto ai parametri di qualità/prezzo messi a disposizione dalla richiamata società.
In subordine, ovvero qualora la risposta a tale quesito fosse risultata negativa, il sindaco richiedeva alla Corte:
a) se qualora l’ordinativo minimo sia superiore alle necessità reali, il comune fosse comunque obbligato a utilizzare gli strumenti offerti dalla Consip o dalle centrali di committenza, oppure vi sia la possibilità di procedere al di fuori di tale procedura;
b) la possibilità per l’ente, dopo aver individuato il fornitore su Consip o nelle centrali di committenza, di procedere direttamente con lo stesso per l’adattamento dell’offerta al di fuori del mercato elettronico;
c) se sia possibile ricorrere a un fornitore esterno qualora quest’ultimo proponga un prezzo più basso rispetto a quello offerto dalle centrali di committenza, a parità di caratteristiche sia qualitative che quantitative;
d) se vi sia la possibilità di evitare il ricorso al Mepa e alle centrali uniche di committenza nel caso di acquisti di beni o servizi per importi inferiori a 40.000 euro.
Al primo quesito la Corte dà risposta negativa, ovvero un comune non può esser considerato nel novero delle “Amministrazioni dello Stato” ritenute esenti dall’applicazione del primo periodo dell’art. 1, comma 1, del Dl n. 95/2012. Ciò in riferimento al significato letterale della norma che destina la possibilità di deroga alle amministrazioni rientranti nello Stato, secondo l’accezione propria di cui all’art. 114 della Costituzione.
Invero, la Corte evidenzia che se il legislatore avesse voluto destinare tale facoltà derogatoria indistintamente a tutte le amministrazioni pubbliche lo avrebbe indicato in modo chiaro, come ha fatto in altre disposizioni normative in materia. Quanto ai quesiti sub a) e b) la Corte sottolinea la cogenza delle norme in materia ed evidenzia che le possibili deroghe alle procedure dettate in tema di approvvigionamento di beni e servizi non possono essere oggetto di trattazione e interpretazione nell’ambito dell’attività consultiva delle sezioni regionali
della Corte dei conti.
Quanto al quesito sub c), la Corte sottolinea che la domanda avanzata trova la sua naturale risposta nella ratio delle norme richiamate, che poggiano sui principi di economicità ed efficienza della pubblica amministrazione.
Invero, l’art. 1, comma 7, del Dl n. 95/2012, nel far salvo quanto previsto dall’art. 1, commi 449 e 450, della legge n. 296/2006 lascia inalterata la norma contenuta nel comma 449 richiamato, che espressamente dispone: “le restanti amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del Dlgs 30.03.2001, n. 165 e successive modificazioni, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzoqualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti”. In tal senso l’obbligo di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento descritti va mitigato ogni qual volta che il ricorso a un fornitore esterno persegue la ratio del contenimento della spesa pubblica contenuta nella normativa. Come evidenziato dalla Corte, a tal proposito chiara risulta anche la tabella stilata da ConsipMef “tabella Obbligo facoltà dal primo gennaio 2013 Strumenti del Programma di razionalizzazione degli acquisti” nello stabilire la possibilità di operare acquisti autonomi a corrispettivi inferiori a quelli delle convenzioni Consip e della categoria di riferimento, anche in relazione alle tipologie merceologiche di cui al comma 7 sopra richiamato.
Quanto all’ultimo quesito oggetto di parere, sempre dal riferimento alla tabella appena richiamata, risulta chiaro per le amministrazioni territoriali non regionali l’obbligo, sottosoglia comunitaria, di ricorrere al Mepa o ad altri mercati elettronici o al sistema telematico della Cat di riferimento, ovvero fare ricorso alle convenzioni Consip. In caso di assenza delle stesse, è invece prevista la facoltà di utilizzo degli acquisti Consip e dello Sdapa, con obbligo di rispettare comunque il benchmark della Consip (Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana, parere 30.05.2013 n. 151 - commento tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 7-8/2013).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIModalità di ricorso agli strumenti offerti dal MEPa-Consip - l’obbligo di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento va mitigato ogni qual volta il ricorso all’esterno persegue la ratio di contenimento della spesa pubblica.
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Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla Sezione, con nota prot. n. 5548/1.13.9 del 25.03.2013, una richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di Chiesina Uzzanese contenente una serie di quesiti in materia di acquisto di prodotti e servizi.
In particolare chiede:
1. se sia possibile per l’ente rientrare nel concetto di amministrazione dello Stato di cui all’art. 1, comma 6 del d.l. n. 95/2012, convertito dalla L. n. 135/2012, come modificato dall’art. 1, comma 153, della L. n. 288/2012, e, pertanto, stipulare direttamente contratti con fornitori non inseriti fra quelli presenti su Consip qualora gli stessi vengano contratti a prezzi più bassi da quelli derivanti dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo messi a disposizione da Consip spa;
in caso di risposta negativa:
2. se sia sempre obbligatorio per l’ente utilizzare gli strumenti offerti da Consip spa o dalle centrali di committenza ovvero sia possibile per l’ente, nel caso in cui l’ordinativo minimo richiesto da Consip sia superiore alle necessità, procedere a procedura fuori da tali canali;
3. se sia possibile per l’ente, dopo aver individuato il fornitore su Consip o nelle centrali di committenza, procedere direttamente con lo stesso per l’adattamento dell’offerta fuori del mercato elettronico;
4. se sia possibile ricorre a fornitore esterno alle centrali di committenza o a Consip che proponga un prezzo più basso a parità di caratteristiche quali-quantitative;
5. se sia possibile evitare il ricorso al MEPA e alle centrali uniche di committenza nel caso di acquisti di beni o servizi siano di importo inferiore a 40.000 euro.
...
Nel merito, l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 95/2012, convertito dalla L. n. 135/2012, come modificato dall’art. 1, comma 153, della L. 288/2012 (con decorrenza dal 01.01.2013) recita: “i contratti stipulati in violazione dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa. Ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e quello indicato nel contratto. Le centrali di acquisto regionali, pur tenendo conto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A., non sono soggette all'applicazione dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488. La disposizione del primo periodo del presente comma non si applica alle Amministrazioni dello Stato quando il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A., ed a condizione che tra l'amministrazione interessata e l'impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza”.
La norma nella sua prima parte fa rinvio all’art. 26, comma 3, della L. 488/1999, che prescrive la possibilità per le amministrazioni pubbliche di ricorrere alternativamente alle convenzioni stipulate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ovvero di utilizzarne “i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche utilizzando procedure telematiche”, prescrivendo la responsabilità amministrativa in caso di stipulazione di un contratto in violazione della norma suddetta.
Dall’analisi della formulazione dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 95/2012, che sancisce la responsabilità amministrativa in caso di alternativa violazione dell’art. 26 (appena citato) o dell’obbligo di rivolgersi a Consip, vien da sé che non esiste un obbligo generalizzato di rivolgersi alla Consip per qualunque tipo di acquisto o di prestazione, ma la prescrizione va letta alla luce delle altre disposizioni normative sulla materia.
Difatti il comma 1 dell’art. 1 del d.l. 95/2012 citato va combinato con il comma 7 del medesimo articolo che prescrive che “Fermo restando quanto previsto all'articolo 1, commi 449 e 450, della legge 27.12.2006, n. 296, e all'articolo 2, comma 574, della legge 24.12.2007, n. 244, quale misura di coordinamento della finanza pubblica, le amministrazioni pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196, a totale partecipazione pubblica diretta o indiretta, relativamente alle seguenti categorie merceologiche: energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile, sono tenute ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali di riferimento (…)”.
Dal combinato dei due commi si deduce che l’obbligo di rivolgersi alla Consip spa per l’acquisto di beni e servizi, da parte delle pubbliche amministrazioni, tra le quali gli enti locali, sussiste solo in riferimento alle diverse tipologie merceologiche elencate nel comma 7, di conseguenza nelle restanti ipotesi vige il residuo sistema di approvvigionamento dettato dalla legge che, come richiamato dal comma 7 sopra riportato, trova il suo fondamento, oltre che nell’art. 26 della l. n. 488/1999, nei commi 449 e 450 dell’articolo 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007).
In particolare il comma 449 prescrive che “(…) tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti.”
Il comma 450 prescrive: “Dal 01.07.2007, le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, per gli acquisti di beni e servizi al di sotto della soglia di rilievo comunitario, sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207. Fermi restando gli obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure.”
Tanto premesso, in risposta al primo quesito, un comune non può considerarsi rientrante nel novero delle “Amministrazioni dello Stato” ritenute esenti dall’applicazione del primo periodo della norma di cui all’art. 1, comma 1, del d.l. 95/2012 nelle ipotesi in cui “il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A..
A sostegno di tale assunto si pone il significato letterale della norma che nello stabilire che “La disposizione del primo periodo del presente comma non si applica alle Amministrazioni dello Stato” destina la possibilità di deroga alle amministrazioni rientranti nello Stato, secondo l’accezione di cui all’art. 114 della Costituzione, laddove se il legislatore avesse voluto destinare la facoltà derogatoria a tutte le amministrazioni lo avrebbe chiaramente indicato con una formulazione differente, come variamente riportato nelle altre disposizioni normative in materia.
La risposta ai successivi quesiti (2, 3, 4 e 5), investe la possibilità di derogare agli obblighi descritti nei confronti di Consip e MEPA in presenza di fattispecie specifiche illustrate dall’ente richiedente.
In merito ai quesiti 2 e 3, che per semplicità vengono trattati cumulativamente, il collegio non può che sottolineare la cogenza delle norme riportate (nelle ipotesi e con le modalità in cui si applicano al comune richiedente) ed evidenziare che le possibili deroghe -dettate da casistiche specifiche– alle procedure dettate in tema di approvvigionamento di beni e servizi non possono essere oggetto di trattazione ed interpretazione nell’ambito dell’attività consultiva delle Sezioni regionali della Corte dei conti, ma troverebbero miglior collocazione nelle sedi a ciò destinate (sede legislativa e, soprattutto, convenzionale).
In merito al quesito numero 4, il collegio sottolinea che la questione trova risposta analizzando la ratio sottesa alle norme sopra riportate in cui i principi di economicità e di efficienza perseguiti dalle norme sopra riportate si rinvengono in diversi punti. In particolare l’art. 1, comma 7 del d.l. n. 95/2012, convertito dalla l. 135/2012, nel fare salvo “quanto previsto all'articolo 1, commi 449 e 450, della legge 27.12.2006, n. 296” lascia inalterata la norma di cui al comma 449 ivi citato che espressamente prevede che “Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti”; in tal senso l’obbligo di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento descritti va mitigato ogni qual volta il ricorso all’esterno persegue la ratio di contenimento della spesa pubblica contenuta nella norma.
Del resto la tabella stilata da Consip-MEF “Tabella Obbligo-Facoltà dal 01.01.2013 - Strumenti del Programma di razionalizzazione degli acquisti” è chiara nello stabilire, in riferimento alle amministrazioni territoriali non regionali, la possibilità di operare “acquisti autonomi a corrispettivi inferiori a quelli delle convenzioni Consip e della CAT di riferimento” anche in riferimento alle tipologie merceologiche di cui al comma 7 più volte citato.
In risposta al quinto quesito in riferimento al ricorso al sistema MePA, la tabella stilata da Consip-MEF “Tabella Obbligo-Facoltà dal 01.01.2013 - Strumenti del Programma di razionalizzazione degli acquisti” è chiara nello stabilire, in riferimento alle amministrazioni territoriali non regionali, sancisce l’obbligo, sottosoglia comunitaria, di “ricorso al MePA o altri mercati elettronici (proprio o della CAT di riferimento) o sistema telematico della CAT di riferimento ovvero ricorso alle convenzioni Consip; in caso di assenza, facoltà di utilizzo degli AQ Consip e dello SDAPA (con obbligo di rispetto del benchmark Consip)”, nonché, in riferimento alle tipologie di cui al comma 7 più volte citato, prescrive la possibilità di “acquisti autonomi a corrispettivi inferiori a quelli delle convenzioni Consip e della CAT di riferimento”.
Nelle sopra esposte considerazioni è il parere della Corte dei conti –Sezione regionale di controllo per la Toscana- in relazione alla richiesta formulata dal Consiglio delle autonomie con nota prot. n. 5548/1.13.9 del 25.03.2013 (Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana, parere 30.05.2013 n. 151).

APPALTI: Cosa è la White list? (27.05.2013 - link a www.ambientelegale.it).

APPALTI: Capitolato di gara, i requisiti tecnico-finanziari e quelli di qualità viaggiano separati.
E’ da ritenersi sostanzialmente corretta la procedura della stazione appaltante che nel capitolato richiede, alle ditte partecipanti, solo i requisiti di capacità economico finanziaria e tecnica, mentre rimanda ad un apposito allegato la richiesta di dichiarazione circa il possesso di specifici requisiti di qualità.

il Consiglio di Stato ha legittimato la discrezionalità delle stazioni appaltanti che godono di un certo margine sia nella scelta dei criteri di aggiudicazione sia nel punteggio da attribuire a ciascun elemento.
Il contenzioso amministrativo
Nel caso specifico una azienda sanitaria aveva indetto una procedura aperta per l’affidamento del servizio di assistenza domiciliare, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la durata di tre anni (l’importo della gara era piuttosto elevato: 15 milioni di euro).
Alla base del contenzioso amministrativo vi era che le cooperative sociali, che in passato per molti anni erano state affidatarie del servizio, avevano impugnato il bando ed il capitolato della nuova gara censurandone i requisiti di partecipazione, sul presupposto che non fosse richiesto il possesso dei requisiti occorrenti per conseguire l’accreditamento; contestavano, inoltre, le modalità di aggiudicazione, con particolare riferimento alla previsione di un punteggio assai elevato, per chi avesse “esperienze pregresse in reparti di terapia intensiva”.
L’Azienda sanitaria aveva concluso la procedura di affidamento in favore di una SPA mentre il costituendo RTI di cooperative sociali si era classificato al secondo posto; il ricorso al TAR prevedeva, inoltre, la contestazione che l’impresa aggiudicataria non avesse i requisiti necessari per essere accreditata e che la composizione della Commissione giudicatrice non sarebbe stata legittima, con particolare riferimento al suo Presidente; che infine la valutazione delle offerte tecniche sarebbe stata errata in più punti.
Il TAR ha respinto il ricorso e avverso la sentenza le cooperative sociali del costituendo R.T.I. hanno proposto appello.
La legittimità dell’operato della stazione appaltante
Osserva il Consiglio di Stato che in riferimento ai requisiti di partecipazione richiesti, le cooperative ricorrenti ritengono errato il comportamento della stazione appaltante che avrebbe in questo caso preteso solamente il possesso di requisiti attinenti alla capacità economica finanziaria e tecnica delle imprese partecipanti, ai sensi degli artt. 41 e 42 del D.Lgs. 163/2003, cd. Codice dei Contratti Pubblici, trascurando del tutto dalle loro effettive dotazioni umane, strumentali ed organizzative.
I giudici amministrativi del Consiglio di Stato ritengono che simile presupposto sia, tuttavia, infondato poiché, come correttamente già sottolineato dal TAR, sebbene il capitolato d’oneri prevedesse all’apparenza i soli requisiti di capacità economica finanziaria e tecnica, il suo allegato obbligava pur sempre di dichiarare di essere in possesso anche dei requisiti di cui “all’art. 2 della legge regionale n. 6/2011 ed in particolare dei requisiti (sia quelli minimi per l’esercizio delle attività sanitarie e socio sanitarie che quelli ulteriori per l’accreditamento) previsti dal richiamato decreto del Commissario ad acta n. 90/2010 e successive modifiche”.
Per il Consiglio di Stato è sicuramente discutibile sul piano formale la scelta della stazione appaltante di non evidenziare già nel corpo del capitolato la necessità di tali requisiti “specifici”, ma non si può ragionevolmente dubitare che quegli stessi requisiti fossero richiesti, se non immaginando una procedura del tutto contra legem; tra l’altro, evidenziano i giudici di Palazzo Spada, la ditta aggiudicataria aveva autocertificato di possedere tutti i requisiti indicati dall’allegato.
Per il Consiglio di Stato, quindi, poiché la procedura di gara in questione richiedeva il possesso di determinati e specifici requisiti di qualità, connaturati all’assistenza domiciliare, e la SPA aggiudicataria ne ha autocertificato il possesso (spettando alla stazione appaltante procedere con attenzione ai necessari controlli) su questo punto il ricorso va respinto.
Con riferimento alla critica che le cooperative ricorrenti hanno rivolto all’entità dell’importo programmato dalla stazione appaltante, il Consiglio di Stato ritiene che non vi deve essere una critica al metodo di gara (l’opzione per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa dove, però, la competizione è stranamente limitata alla sola offerta tecnica, non potendo i concorrenti confrontarsi anche sul terreno dell’offerta economica), ma solo all’entità del corrispettivo presunto, che non sarebbe “in linea” con i principi della spending review e che impedirebbe persino l’approvazione della procedura da parte degli organi regionali.
Ma su questo punto, per il Consiglio di Stato, non vi è traccia nel motivo dedotto dalle cooperative ricorrenti; ne consegue che detta censura non è ammissibile nel presente giudizio, per carenza di interesse; lo stesso Consiglio di Stato ritiene che di tale questione ne debba essere investita la Procura della Corte dei Conti, per le valutazioni riservate alla sua competenza.
Il criterio del punteggio
Le cooperative ricorrenti contestano, inoltre, le modalità di attribuzione del punteggio; il Consiglio di Stato ricorda che il margine di discrezionalità di cui godono in generale le stazioni appaltanti nella determinazione dei criteri di aggiudicazione e del diverso peso da attribuire loro, come già indicato dal TAR, è una scelta compiuta immune da vizi logici, non potendosi dubitare della rilevanza riconoscibile alla pregressa esperienza maturata in entrambi gli ambiti sopra indicati, nell’ottica di un innalzamento generale della qualità del servizio. A ciò si può aggiungere che le differenze di punteggio registratesi su tali voci non si sono dimostrate neppure decisive ai fini della gara.
Le conclusioni
Per il Consiglio di Stato il ricorso è del tutto infondato e deve essere, quindi , respinto. Non è , pertanto, da censurare la scelta operata dalla stazione appaltante di assegnare un punteggio elevato alle esperienze pregresse maturate in specifici ambiti connessi al servizio richiesto (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 24.05.2013 n. 2846 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ai fini della declaratoria di incompatibilità ex art. 90, comma 8, d.lgs. n. 163 del 2006, la giurisprudenza nazionale e comunitaria richiede la presenza di indizi seri, precisi e concordanti sulla circostanza che il partecipante alla gara, o il soggetto a questo collegato, abbia rivestito un ruolo determinante nell'indirizzo delle scelte dell'Amministrazione o ne abbia ricevuto un tale flusso di informazioni riservate da falsare la concorrenza.
Tali indizi non devono necessariamente riguardare soltanto situazioni limite, ovvero l'essersi determinata, nel passato o nel presente, una situazione di influenza sulle scelte dell'Amministrazione o una situazione di connivenza, con conseguente flusso di informazioni, dall'Amministrazione all'impresa che pretenda di partecipare alla gara. Ciò in quanto le norme sulla incompatibilità ed i connessi divieti agiscono in prevenzione, ovvero sono norme che tendono a prevenire il pericolo di pregiudizio e, verificato il caso di incompatibilità, tendono a salvaguardare la genuinità della gara attraverso la prescrizione del divieto di partecipazione.
Di talché le stesse non presuppongono né intervenuta la lesione, né la sussistenza di un concreto tentativo di compromissione. È, dunque sufficiente che gli indizi (ferma la loro serietà, precisione e concordanza) riguardino situazioni che, oggettivamente, pongono un determinato concorrente in una posizione di squilibrio (per sé favorevole) nei confronti degli altri concorrenti e tale da determinare -indipendentemente dal concretizzarsi del vantaggio- una violazione della par condicio.
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La condizione ostativa alla partecipazione alle gare di cui all'art. 90, comma 8, d.lgs. n. 163/2006, viene posta non solo nei confronti del soggetto affidatario dell'incarico di progettazione, ma anche nei confronti di quei soggetti che possano ritenersi a vario titolo compartecipi dell'attività di progettazione (dipendenti; collaboratori; responsabili di attività di supporto a quella di progettazione) e che siano ricollegabili all'affidatario medesimo, nei termini normativamente previsti.
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La disciplina contenuta nell'art. 90, comma 8, c. contr. pubbl. va reputata quale espressione di un principio generale, in forza del quale ai concorrenti ad una procedura di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione deve essere riconosciuta un'omogenea posizione, "ex se" implicante la più rigorosa parità di trattamento, dovendo comunque essere valutato se lo svolgimento di pregressi affidamenti presso la stessa stazione appaltante possa aver creato, per taluno dei concorrenti stessi, degli speciali vantaggi incompatibili con i principi -propri non soltanto dell'ordinamento italiano, ma anche di quello comunitario- di libera concorrenza e di parità di trattamento. Conseguentemente, la valutazione di incompatibilità deve essere effettuata in concreto dalla stazione appaltante.

Il Collegio condivide la premessa dalla quale muove la difesa della ricorrente Lo Prete Group, secondo cui l’art. 90 cit. è espressione di un principio generale (Cons. Stato, IV, 23.04.2012, n. 2402; Cons. Stato, IV, 03.05.2011, n. 2647; Cons. Stato, V, 19.03.2007, n. 1302; Cons. Stato, VI, 02.10.2007, n. 5088), come tale posto a presidio degli indefettibili ed ineluttabili principi di imparzialità e di parità in fase di gara, e pertanto suscettibile di applicazione anche nei casi in cui un soggetto abbia in qualunque modo contribuito, attraverso la propria attività professionale, a determinare i contenuti, le linee programmatiche e gli obiettivi che l’Amministrazione intende perseguire con l’affidamento, oggetto della procedura di gara.
A tale proposito, secondo la giurisprudenza “Ai fini della declaratoria di incompatibilità ex art. 90, comma 8, d.lgs. n. 163 del 2006, la giurisprudenza nazionale e comunitaria richiede la presenza di indizi seri, precisi e concordanti sulla circostanza che il partecipante alla gara, o il soggetto a questo collegato, abbia rivestito un ruolo determinante nell'indirizzo delle scelte dell'Amministrazione o ne abbia ricevuto un tale flusso di informazioni riservate da falsare la concorrenza. Tali indizi non devono necessariamente riguardare soltanto situazioni limite, ovvero l'essersi determinata, nel passato o nel presente, una situazione di influenza sulle scelte dell'Amministrazione o una situazione di connivenza, con conseguente flusso di informazioni, dall'Amministrazione all'impresa che pretenda di partecipare alla gara. Ciò in quanto le norme sulla incompatibilità ed i connessi divieti agiscono in prevenzione, ovvero sono norme che tendono a prevenire il pericolo di pregiudizio e, verificato il caso di incompatibilità, tendono a salvaguardare la genuinità della gara attraverso la prescrizione del divieto di partecipazione. Di talché le stesse non presuppongono né intervenuta la lesione, né la sussistenza di un concreto tentativo di compromissione. È, dunque sufficiente che gli indizi (ferma la loro serietà, precisione e concordanza) riguardino situazioni che, oggettivamente, pongono un determinato concorrente in una posizione di squilibrio (per sé favorevole) nei confronti degli altri concorrenti e tale da determinare -indipendentemente dal concretizzarsi del vantaggio- una violazione della par condicio”. (TAR Roma Lazio sez. I, 18.10.2012 n. 8595)
La stessa giurisprudenza ha altresì chiarito che “La condizione ostativa alla partecipazione alle gare di cui all'art. 90, comma 8, d.lgs. n. 163/2006, viene posta non solo nei confronti del soggetto affidatario dell'incarico di progettazione, ma anche nei confronti di quei soggetti che possano ritenersi a vario titolo compartecipi dell'attività di progettazione (dipendenti; collaboratori; responsabili di attività di supporto a quella di progettazione) e che siano ricollegabili all'affidatario medesimo, nei termini normativamente previsti”.
Inoltre, è stato anche affermato che “La disciplina contenuta nell'art. 90, comma 8, c. contr. pubbl. va reputata quale espressione di un principio generale, in forza del quale ai concorrenti ad una procedura di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione deve essere riconosciuta un'omogenea posizione, "ex se" implicante la più rigorosa parità di trattamento, dovendo comunque essere valutato se lo svolgimento di pregressi affidamenti presso la stessa stazione appaltante possa aver creato, per taluno dei concorrenti stessi, degli speciali vantaggi incompatibili con i principi -propri non soltanto dell'ordinamento italiano, ma anche di quello comunitario- di libera concorrenza e di parità di trattamento. Conseguentemente, la valutazione di incompatibilità deve essere effettuata in concreto dalla stazione appaltante.” (Consiglio di Stato, Consiglio di Stato sez. IV 23.04.2012, n. 2402) (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 24.05.2013 n. 347 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: M. Belli, Responsabilità precontrattuale della p.a. nella fase antecedente all’aggiudicazione del contratto - Nota a Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.07.2012 n. 4236 (24.05.2013 - link a www.filodirittto.com).

APPALTI: L'atto con cui la stazione appaltante, in conseguenza dell'informativa prefettizia, recede dal contratto è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica.
L'atto con cui la stazione appaltante, in conseguenza dell'informativa prefettizia, recede dal contratto è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare l'esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali con imprese nei cui confronti emergano sospetti di legami con la criminalità organizzata.
Pertanto, trattandosi di atto estraneo alla sfera del diritto privato, in quanto espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto, la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 23.05.2013 n. 1210 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L’atto con cui la stazione appaltante, in conseguenza dell’informativa prefettizia, recede dal contratto è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare l'esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali con imprese nei cui confronti emergano sospetti di legami con la criminalità organizzata.
Pertanto, trattandosi di atto estraneo alla sfera del diritto privato, in quanto espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto, la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo.
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Con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica" la giurisprudenza amministrativa ha affermato:
- che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;
- che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l'interdittiva prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell'esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
- che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
- che, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazioni malavitose e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
- che, anche se occorre che siano individuati idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l'instaurazione di un rapporto dell'impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l'interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;
- che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell'impresa), ma occorre che l'informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l'autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l'impresa esercitata da loro congiunti;
- che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

Con riferimento al contratto di appalto, si è rilevato che l’atto con cui la stazione appaltante, in conseguenza dell’informativa prefettizia, recede dal contratto è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare l'esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali con imprese nei cui confronti emergano sospetti di legami con la criminalità organizzata.
Pertanto, trattandosi di atto estraneo alla sfera del diritto privato, in quanto espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto, la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo (Cass. Civ., Sez.. Un,. 29.08.2008, n. 21928).
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Si deve al riguardo ricordare che, con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall'art. 4 del D.Lgs. n. 490 del 1994 e dall'art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del D.Lgs. 06.09.2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. III, 19.01.2012) ha affermato:
- che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;
- che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l'interdittiva prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell'esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
- che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
- che, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazioni malavitose e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
- che, anche se occorre che siano individuati idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l'instaurazione di un rapporto dell'impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l'interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;
- che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell'impresa), ma occorre che l'informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l'autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l'impresa esercitata da loro congiunti;
- che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 23.05.2013 n. 1210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le prescrizioni contenute nel bando gara costituiscono la lex specialis della gara stessa, che vincolano non solo i concorrenti ma anche la stessa amministrazione, la quale non dispone di alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione né può disapplicarle neppure nel caso in cui talune di esse risultino inopportune, salva la possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, all'annullamento d'ufficio del bando.
Invero, in sede di gara indetta per l'aggiudicazione di un contratto, la p.a. è tenuta ad applicare le regole fissate nel bando, atteso che questo, unitamente alla lettera d'invito, costituisce la lex specialis della gara, che non può essere disapplicata nel corso del procedimento, neppure nel caso in cui talune delle regole in essa contenute risultino non conformi allo ius superveniens, salvo naturalmente l'esercizio del potere di autotutela; tale soluzione è giustificata dal rilievo che il bando è atto amministrativo a carattere normativo e lex specialis della procedura, rispetto al quale l'eventuale ius superveniens di abrogazione o di modifica di clausole non ha effetti innovatori.

È da rilevare anzitutto che le prescrizioni contenute nel bando gara costituiscono la lex specialis della gara stessa, che vincolano non solo i concorrenti ma anche la stessa amministrazione, la quale non dispone di alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione né può disapplicarle neppure nel caso in cui talune di esse risultino inopportune, salva la possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, all'annullamento d'ufficio del bando.
La giurisprudenza ha infatti precisato che “In sede di gara indetta per l'aggiudicazione di un contratto, la p.a. è tenuta ad applicare le regole fissate nel bando, atteso che questo, unitamente alla lettera d'invito, costituisce la lex specialis della gara, che non può essere disapplicata nel corso del procedimento, neppure nel caso in cui talune delle regole in essa contenute risultino non conformi allo ius superveniens, salvo naturalmente l'esercizio del potere di autotutela; tale soluzione è giustificata dal rilievo che il bando è atto amministrativo a carattere normativo e lex specialis della procedura, rispetto al quale l'eventuale ius superveniens di abrogazione o di modifica di clausole non ha effetti innovatori” (Cons. St., sez. IV 29.01.2008, n. 263) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 23.05.2013 n. 1205 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Vanno attribuiste alla giurisdizione amministrativa le controversie, anche risarcitorie, che abbiano a oggetto un'occupazione originariamente legittima, e che sia poi divenuta sine titulo a causa del decorso dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità senza il sopravvenire di un valido decreto di esproprio; ciò in quanto in questi casi trattasi non già di meri comportamenti materiali, ma di condotte costituenti espressione di un'azione originariamente riconducibile all'esercizio del potere autoritativo della p.a.
Altresì, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo l'azione con la quale i proprietari di un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione, ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla richiesta dell'indennità di occupazione legittima, senza che l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione anche in presenza di motivi di connessione.
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Il danno da occupazione illegittima si ricollega a una condotta antigiuridica con carattere permanente, in quanto si protrae nel tempo e dà luogo ad una serie di fatti illeciti, a partire dall'iniziale apprensione del bene, con riferimento a ciascun periodo in relazione al quale si determina la perdita di detti frutti, con la conseguenza che in ogni momento sorge per il proprietario il diritto al risarcimento del danno già verificatosi e nello stesso momento decorre il relativo termine di prescrizione quinquennale; pertanto, il diritto al risarcimento dei danni rimane colpito dalla prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio precedente la proposizione della domanda, anche qualora i frutti vengano richiesti secondo il criterio dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma corrispondente al valore venale dell'immobile.
Difatti, muovendosi dal rilievo che neanche il protrarsi dell’occupazione può costituire fattore impeditivo all’esercizio del diritto al risarcimento, deve concludersi nel senso che la prescrizione ricomincia a decorrere da ogni momento dell’illecito permanente (de die in diem); il risultato è che, in assenza di validi atti interruttivi, il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto unicamente per i cinque anni di occupazione anteriori alla proposizione dell’azione risarcitoria.
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Quanto al dedotto intervento dell’istituto della c.d. dicatio ad patriam, questo presuppone storicamente una manifestazione di volontà del privato proprietario nel senso dell'asservimento all'uso pubblico (dicatio ad patriam), che sussiste (ad esempio) quando vi sia stata una convenzione di lottizzazione o analogo atto d'obbligo, relativo alla realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla trasformazione del suolo mediante la realizzazione dell'opera e dall'effettiva utilizzazione di quest'ultima in conformità al progetto, ancorché sia rimasta inadempiuta l'obbligazione di trasferire all'ente pubblico la proprietà.
Inoltre, costituisce strada pubblica quel tratto viario avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche vie nonché la destinazione al transito di un numero indifferenziato di persone.
Sotto quest'ultimo aspetto, un'area privata può ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
In sintesi, l'adibizione a uso pubblico di un'area può avvenire, mediante la c.d. dicatio ad patriam , con il comportamento del proprietario che mette il bene a disposizione della collettività indeterminata di cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto nel tempo, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale.
Insomma, perché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltreché l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone per soddisfare un pubblico, generale interesse.
Sostanzialmente, quanto alla dicatio ad patriam e all’acquisto della proprietà o di una servitù di uso pubblico, rilevano essenzialmente: 1) l’esistenza di una manifestazione di liberalità da parte del proprietario (nella specie inesistente) nel caso di dicatio ad patriam; 2) il decorso di venti anni per l’acquisto della servitù di uso pubblico o della proprietà per usucapione.

E’ oramai consolidato l'orientamento che attribuisce alla giurisdizione amministrativa le controversie, anche risarcitorie, che abbiano a oggetto un'occupazione originariamente legittima, e che sia poi divenuta sine titulo a causa del decorso dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità senza il sopravvenire di un valido decreto di esproprio; ciò in quanto in questi casi trattasi non già di meri comportamenti materiali, ma di condotte costituenti espressione di un'azione originariamente riconducibile all'esercizio del potere autoritativo della p.a. (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 22.10.2007, nr. 12; id., 30.07.2007, nr. 9; id., 30.08.2005, nr. 4; C.g.a.r.s., 10.11.2010, nr. 1410; Cons. Stato, sez. IV, 06.11.2008, nr. 5498).
E’ stato anche affermato che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo l'azione con la quale i proprietari di un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione, ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla richiesta dell'indennità di occupazione legittima, senza che l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione anche in presenza di motivi di connessione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 04.02.2011, n. 804).
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Devono respingersi le eccezioni sollevate dalla difesa civica con le quali si eccepisce oltre alla prescrizione del diritto del ricorrente al risarcimento dei danni subiti, anche la c.d. “dicatio ad patriam” ossia l’acquisto della natura demaniale di una strada privata.
Escluso che la realizzazione dell’opera pubblica determini l’acquisizione dell’area alla mano pubblica, secondo l’indirizzo giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di aderire (Cfr. Cass. civ., sez. I, 07.03.2011, nr. 5381; Cons. Stato, sez. IV, 02.08.2011, nr. 4590), il danno da occupazione illegittima si ricollega a una condotta antigiuridica con carattere permanente, in quanto si protrae nel tempo e dà luogo ad una serie di fatti illeciti, a partire dall'iniziale apprensione del bene, con riferimento a ciascun periodo in relazione al quale si determina la perdita di detti frutti, con la conseguenza che in ogni momento sorge per il proprietario il diritto al risarcimento del danno già verificatosi e nello stesso momento decorre il relativo termine di prescrizione quinquennale; pertanto, il diritto al risarcimento dei danni rimane colpito dalla prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio precedente la proposizione della domanda, anche qualora i frutti vengano richiesti secondo il criterio dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma corrispondente al valore venale dell'immobile.
Difatti, muovendosi dal rilievo che neanche il protrarsi dell’occupazione può costituire fattore impeditivo all’esercizio del diritto al risarcimento, deve concludersi nel senso che la prescrizione ricomincia a decorrere da ogni momento dell’illecito permanente (de die in diem); il risultato è che, in assenza di validi atti interruttivi, il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto unicamente per i cinque anni di occupazione anteriori alla proposizione dell’azione risarcitoria.
Nella specie, il ricorrente ha inviato una prima richiesta con racc. del 22.09.1995, una successiva con nota del 25.03.1997 e un’altra in data 04.02.2002 sicché, essendo intervenuti atti interruttivi della prescrizione, questa non risulta maturata, con conseguente diritto al risarcimento a far data dalla occupazione del bene, ossia dal 23.11.1992 ( come risulta dal processo verbale di consegna del 23.11.1992).
Quanto al secondo aspetto, ossia al dedotto intervento dell’istituto della c.d. dicatio ad patriam, questo presuppone storicamente una manifestazione di volontà del privato proprietario nel senso dell'asservimento all'uso pubblico (dicatio ad patriam), che sussiste (ad esempio) quando vi sia stata una convenzione di lottizzazione o analogo atto d'obbligo, relativo alla realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla trasformazione del suolo mediante la realizzazione dell'opera e dall'effettiva utilizzazione di quest'ultima in conformità al progetto, ancorché sia rimasta inadempiuta l'obbligazione di trasferire all'ente pubblico la proprietà.
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, inoltre, costituisce strada pubblica quel tratto viario avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche vie (Cass. Civ., Sez. II, 07.04.2000 n. 4345; idem, 28.11.1988 n. 6412) nonché la destinazione al transito di un numero indifferenziato di persone (Cons. Stato, Sez. V, 07.12.2010 n. 8624).
Sotto quest'ultimo aspetto, un'area privata può ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (Cons. Stato, Sez. V, 14.02.2012 n. 728).
In sintesi, l'adibizione a uso pubblico di un'area può avvenire, mediante la c.d. dicatio ad patriam , con il comportamento del proprietario che mette il bene a disposizione della collettività indeterminata di cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto nel tempo, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (Cass. Civ., Sez. II, 21.05.2001 n. 6924; idem, 13.02.2006 n. 3075).
Insomma, la giurisprudenza con gli enunciati sopra esposti afferma che perché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltreché l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone per soddisfare un pubblico, generale interesse.
Sostanzialmente, quanto alla dicatio ad patriam e all’acquisto della proprietà o di una servitù di uso pubblico, rilevano essenzialmente: 1) l’esistenza di una manifestazione di liberalità da parte del proprietario (nella specie inesistente) nel caso di dicatio ad patriam; 2) il decorso di venti anni per l’acquisto della servitù di uso pubblico o della proprietà per usucapione.
Nella specie, non vi è stato alcun atto del privato idoneo a dar luogo alla dicatio ad patriam e comunque l’amministrazione comunale non ha in alcun modo provato la sussistenza degli elementi costitutivi all’uopo necessari
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 22.05.2013 n. 1174 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bando di gara pubblica, quando è lesivo?
Domanda
I bandi di una gara pubblica sono da ritenersi lesivi dei principi generali in materia di appalti quando c'è la concreta impossibilità per le imprese di formulare offerte coerenti e serie, a causa dell'eccessiva diversità, eterogeneità delle prestazioni, e dell'oggettiva indeterminatezza dell'oggetto del contratto.
Risposta
La giurisprudenza sottolinea come il concreto esercizio del potere discrezionale deve essere funzionalmente coerente con il complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal procedimento di appalto e deve rispettare le specifiche norme del Codice dei contratti. L'intero impianto non deve costituire dunque una violazione sostanziale dei principi di libera concorrenza, par condicio, non discriminazione, trasparenza di cui all'art. 2, comma 1, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e s.m..
Specie nel settore sanità sono stati utilizzati bandi con un contenuto variegato ed omnicomprensivi, tuttavia tali bandi diventano lesivi dei princìpi generali in materia di appalti quando vi sia la concreta impossibilità per le imprese di formulare offerte consapevoli a cagione della eccessiva diversità, della assoluta eterogeneità delle prestazioni, dell'oggettiva indeterminatezza dell'oggetto del contratto; della carenza e dell'illogicità e, conseguente l'inapplicabilità dei criteri selettivi previsti dal bando.
A seguito di queste premesse, bisogna specificare che la lesione effettiva dell'interesse giuridicamente rilevante dell'impresa partecipante e che legittima l'immediata impugnativa del bando, non deve essere necessariamente connessa alla presenza di clausole che possano comportare la sua esclusione dalla selezione.
Tale lesione può, infatti, consistere anche nella concreta impossibilità per l'impresa stessa di formulare un'offerta informata per le cause appena dette, a causa di disposizioni che impediscono di comprendere e valutare con sufficiente precisione l'entità delle prestazioni da offrire e gli oneri economici connessi (22.05.2013 - tratto da www.ispoa.it).

APPALTI: L’obbligo posto dagli artt. 4 della legge n. 490 del 1994 e 10 del d.P.R. n. 252 del 1998 a carico delle stazioni appaltanti di acquisire l’informativa antimafia per contratti o sub contratti di valore superiore alla soglia comunitaria, mentre introduce una doverosità assoluta di attivare il procedimento accertativo nei casi specificatamente presi in considerazione dalla legge, non assorbe la sfera di discrezionalità della stazione appaltante, che può acquisire l’informativa in determinate situazioni in cui scelte ed indirizzi delle imprese interessate possano ricevere condizionamento da parte della criminalità organizzata.
In linea con quanto ritenuto dalla Sezione in fattispecie analoga (cfr. Cons. St. sez. VI, n, 249 del 29.01.2008) va ribadito che l’obbligo posto dagli artt. 4 della legge n. 490 del 1994 e 10 del d.P.R. n. 252 del 1998 a carico delle stazioni appaltanti di acquisire l’informativa antimafia per contratti o sub contratti di valore superiore alla soglia comunitaria, mentre introduce una doverosità assoluta di attivare il procedimento accertativo nei casi specificatamente presi in considerazione dalla legge, non assorbe la sfera di discrezionalità della stazione appaltante, che può acquisire l’informativa in determinate situazioni in cui scelte ed indirizzi delle imprese interessate possano ricevere condizionamento da parte della criminalità organizzata (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 23.05.2013 n. 2798 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAppalti registrati. Iscrizioni aperte fino al 10 luglio. I committenti dovranno entrare nell'Anagrafe unica.
Entro il 10 luglio le stazioni appaltanti devono chiedere l'iscrizione all'anagrafe unica gestita dall'Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici. L'inadempimento dell'obbligo è previsto a pena di nullità degli atti di gara.

Questo è quanto afferma il presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, Sergio Santoro, che ha siglato la nota 16.05.2013 indirizzata a tutte le stazioni appaltanti.
La creazione dell'Anagrafe unica, è prevista dall'art. 33-ter del dl 179/2012. Per rendere effettiva l'attuazione dell'Anagrafe, la norma di legge, non soltanto impone la registrazione presso la banca dati gestita dall'Authority di via di Ripetta, ma annette a tale obbligo di registrazione anche l'ulteriore obbligo di aggiornamento annuale dei dati identificativi forniti dalle stazioni appaltanti.
È di particolare rilievo la conseguenza derivante dall'inadempimento degli obblighi di registrazione. La legge infatti prevede, in caso di inadempimento di entrambi gli obblighi, la nullità degli atti adottati e la responsabilità amministrativa e contabile dei funzionari responsabili. Per il funzionamento dell'intero sistema, è poi la stessa legge 221 a prevedere che sia l'Autorità per la vigilanza a dettare le regole.
Con la nota varata il 16 maggio, «nelle more dell'implementazione e della definizione delle modalità di iscrizione», è quindi il presidente Santoro a dettare le prime indicazioni transitorie, mettendo in relazione l'anagrafe con gli obblighi informativi che già spettano alle stazioni appaltanti registrate presso la banca dati. In particolare, si precisa che, in via transitoria, ai fini dell'adempimento all'obbligo di registrazione previsto dall'articolo 33-ter, le stazioni appaltanti già registrate presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, devono acquisire sul sito dell'Autorità, a partire dal 10.07.2013, l'Attestato di iscrizione all'Anagrafe unica. «L'attestato», si legge nella nota, «avrà validità per tutto il 2013 e sarà rilasciato ai soggetti richiedenti per il tramite dei propri utenti già titolari di credenziali per I'accesso ai servizi sul portale dell'Autorità».
Inoltre viene fatto presente che, a partire dal 01.09.2013 e comunque entro il 31.12.2013, le stazioni appaltanti dovranno anche comunicare, il nominativo del responsabile, il quale provvederà alla iniziale verifica o alla compilazione ed al successivo aggiornamento delle informazioni. Nel merito, le informazioni da fornire e le modalità con le quali verranno trasmesse, saranno però definite con una successiva nota, al fine di potere consentire il permanere dell'iscrizione nell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, da effettuarsi a cura del responsabile.
La nota infine ricorda che, l'aggiornamento delle informazioni dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, dovrà essere effettuato dal soggetto individuato, entro il 31 dicembre di ciascun anno (articolo ItaliaOggi del 22.05.2013).

APPALTIGli obblighi dichiarativi previsti dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 debbono ritenersi imposti a prescindere da una espressa previsione della legge di gara, che viene automaticamente eterointegrata dalla disposizione in questione.
Difatti, avendo il citato art. 38 “un chiaro contenuto di ordine pubblico, esso si applica a prescindere dal suo richiamo, inserimento espresso o inserzione fra le specifiche clausole che regolano la singola gara”.

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L’istituto del falso innocuo (ossia dell’irrilevanza della mancata dichiarazione in ordine alla insussistenza di cause di esclusione dalla gara da parte dei legali rappresentanti dell’impresa, allorquando non vi siano in concreto elementi ostativi alla partecipazione) non può essere applicato nelle gare d’appalto.
Difatti, “nelle procedure di evidenza pubblica la completezza [e, a fortiori, l’esistenza] delle dichiarazioni (…) è già di per sé un valore da perseguire perché consente –anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità– la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara. Conseguentemente una dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l’impresa meriti ‘sostanzialmente’ di partecipare alla gara. In altri termini, nel diritto degli appalti occorre poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le necessarie determinazioni in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara o alla sua esclusione. La dichiarazione ex articolo 38, dunque, è sempre utile perché l’amministrazione sulla base di quella può/deve decidere la legittima ammissione alla gara e conseguentemente la sua difformità dal vero o la sua incompletezza non possono essere “sanate” ricorrendo alla categoria del falso innocuo”.

Va premesso, in punto di fatto, che non è oggetto di contestazione la mancanza, nella documentazione prodotta da Charta, delle dichiarazioni personali da parte del proprio Presidente e legale rappresentante e di uno dei consiglieri, qualificato quale rappresentante dell’impresa.
La ricorrente principale contesta che la lex specialis contenesse una previsione specifica relativa al dovere dei propri amministratori di rilasciare una siffatta dichiarazione; di conseguenza, la predetta omissione, in ossequio al disposto di cui all’art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 163 del 2006, non avrebbe potuto comportare l’esclusione dalla gara di Charta.
In realtà, la mancanza di una espressa previsione in tal senso non appare decisiva, atteso che gli obblighi dichiarativi previsti dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 debbono ritenersi imposti a prescindere da una espressa previsione della legge di gara, che viene automaticamente eterointegrata dalla disposizione in questione.
Difatti, secondo una condivisibile giurisprudenza, avendo il citato art. 38 “un chiaro contenuto di ordine pubblico, esso si applica a prescindere dal suo richiamo, inserimento espresso o inserzione fra le specifiche clausole che regolano la singola gara” (TAR Sicilia, Catania, II, 03.08.2012, n. 1989).
Ulteriormente, la ricorrente principale richiama la teoria del falso innocuo, ossia dell’irrilevanza della mancata dichiarazione in ordine alla insussistenza di cause di esclusione dalla gara da parte dei legali rappresentanti dell’impresa, allorquando non vi siano in concreto elementi ostativi alla partecipazione, come pacifico nel caso di specie (cfr. all. 5 e 6 di Charta).
Ad avviso del Collegio, pur in presenza di opinioni dissonanti in merito, l’istituto del falso innocuo non può essere applicato nelle gare d’appalto.
Difatti, “nelle procedure di evidenza pubblica la completezza [e, a fortiori, l’esistenza] delle dichiarazioni (…) è già di per sé un valore da perseguire perché consente –anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità– la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara. Conseguentemente una dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l’impresa meriti ‘sostanzialmente’ di partecipare alla gara. In altri termini, nel diritto degli appalti occorre poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le necessarie determinazioni in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara o alla sua esclusione. La dichiarazione ex articolo 38, dunque, è sempre utile perché l’amministrazione sulla base di quella può/deve decidere la legittima ammissione alla gara e conseguentemente la sua difformità dal vero o la sua incompletezza non possono essere “sanate” ricorrendo alla categoria del falso innocuo” (Consiglio di Stato, III, 16.03.2012, n. 1471) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 21.05.2013 n. 1332 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: F. Di Chio, Esclusione dalla gara d’appalto per deficit di fiducia: rilevanza dell’onere motivazionale (21.05.2013 - link a www.filodirittto.com).

APPALTI: E' inaffidabile un'offerta con margine di utile pari a zero, anche se formulata da una Onlus priva, in quanto tale, di scopo di lucro.
La formulazione di un offerta da parte di un'ATI, ad una gara per l'affidamento del servizio di assistenza domiciliare integrata, con un margine lordo (utile) pari a zero la rende inaffidabile ed inattendibile, anche nel caso in cui la proposta provenga da una ONLUS priva, in quanto tale, di scopo di lucro.
L'ATI suddetta si sarebbe discostata dalle tabelle di cui al decreto ministeriale del 02.04.2012, senza, tuttavia, addurre alcuna logica giustificazione, né specificare le ragioni che consentirebbero di operare in condizioni più favorevoli; pertanto, le giustificazioni dell'ATI controinteressata non offrirebbero elementi di prova a supporto degli scostamenti dai dati tabellari, il che renderebbe inaffidabile l'offerta (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 20.05.2013 n. 781 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: L'offerta senza utile è illegittima. Anche se presentata da una onlus.
In una gara di appalto l'offerta senza utile è sempre illegittima anche se formulata da una Onlus; è irrilevante l'assenza di scopo di lucro della organizzazione.
È quanto afferma la sentenza del TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 20.05.2013 n. 781, che ha preso in esame una vicenda concernente un appalto per un servizio di «assistenza domiciliare integrata» aggiudicato, con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, a una onlus.
Veniva eccepito il fatto che l'offerta risultata poi vincente contemplava un margine lordo (utile) pari a zero. Nel ricorso del secondo classificato si sosteneva che tale circostanza avrebbe reso l'offerta stessa inaffidabile ed inattendibile. Viceversa l'aggiudicatario replicava che proprio in ragione della sua natura soggettiva una onlus, priva, in quanto tale, di scopo di lucro, ben poteva effettuare una offerta tale anche da non garantire alcun margine di utile.
Veniva, a margine, anche eccepito che l'aggiudicatario si sarebbe comunque discostato dalle tabelle di cui al decreto ministeriale del 02.04.2012, senza, tuttavia, addurre alcuna logica giustificazione, né specificare le ragioni che consentirebbero di operare in condizioni più favorevoli, ma si trattava comunque di una ulteriori questione di carattere accessorio rispetto alla questione principale posta dal secondo classificato. Nel merito il Tar accoglie il ricorso e annulla il provvedimento di aggiudicazione affermando che la formulazione di un offerta con un margine lordo (utile) pari a zero la rende inaffidabile ed inattendibile, anche nel caso in cui la proposta provenga da una onlus priva, in quanto tale, di scopo di lucro.
La sentenza richiama precedenti decisioni del Consiglio di stato sulle verifiche di congruità delle offerte anomale per sostenere che la stazione appaltante non avrebbe dovuto in alcun modo ritenere congrua l'offerta (anomala) presentata dalla onlus. In via generale, infatti, il Consiglio di stato aveva già avuto modo di precisare che la commissione giudicatrice deve sempre avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale e che, in tale ambito risulta in sé ingiustificabile soltanto una offerta con utile pari a zero.
In sostanza, se un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante (si pensi alle ricadute positive che possono discendere in termine di qualificazione, pubblicità, curriculum discendenti per una impresa dall'essersi aggiudicata e dall'avere poi portato a termine un prestigioso appalto), viceversa un utile pari a zero non è indice di serietà dell'offerta: «l'offerta seria rimane, anche laddove l'utile d'impresa si riduca, purché non risulti del tutto azzerato».
La «ratio» cui è preordinato il meccanismo di verifica della offerta anomala è infatti la piena affidabilità della proposta contrattuale. Si tratta di un principio generale che, ad avviso del Tar Puglia, non può essere intaccato neanche in assenza di scopo di lucro. Da ciò il necessario annullamento dell'aggiudicazione a favore della onlus (articolo ItaliaOggi del 28.05.2013 - tratto da link a www.ecostampa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità nel caso di aggiudicazione di una gara ad un consorzio di cooperative di produzione e lavoro, della designazione di secondo grado, o "a cascata".
L'art. 13, c. 4, della l. n. 109/1994 (ora art. 37, c. 7, del d.lgs. n. 163 del 2006), ha eccezionalmente previsto che i consorzi tra società cooperative di produzione e lavoro indichino, nell'offerta, per quali loro consorziati essi concorrano e non ha, invece, esteso anche ai soggetti (eventualmente costituiti in forma consortile) così designati di indicare, a loro volta, a cascata, i propri consorziati chiamati ad eseguire i lavori stessi.
Il consorzio concorrente ed aggiudicatario può avvalersi delle prestazioni di un'impresa cooperativa in esso associata e specificamente designata in sede di gara; e, in tal caso, l'impresa indicata può eseguire i lavori pur essendo priva dei requisiti di qualificazione tecnica; ma non anche, a quest'ultima, di avvalersi di un'ulteriore impresa -a sua volta, in essa associata- altrimenti potendosi innescare un meccanismo di designazioni a catena destinato a beneficiare non (secondo la ratio legis) il consorzio concorrente e le imprese cooperative in esso associate, ma, in ipotesi (come nel caso di specie) anche soggetti terzi, non concorrenti direttamente alla gara, né in questa puntualmente designati, secundum legem, dal concorrente risultato aggiudicatario, quali materiali esecutori dei lavori (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 20.05.2013 n. 14 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Affidamento del servizio di assistenza e del servizio infermieristico a favore degli ospiti del Centro sociale residenziale per anziani. Esclusione di un concorrente.
Le indicazioni fornite dalla giurisprudenza e dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp) in merito alla portata del precetto contenuto nell'art. 46, c. 1-bis, del D.Lgs. 163/2006, non appaiono univoche e generano, pertanto, l'oggettiva incertezza di stabilire se risulti legittimamente apposta la clausola, prevista dalla lex specialis, del possesso 'da almeno un anno' della certificazione di qualità, che costituisce requisito essenziale per la partecipazione alla gara.
Il Comune, che ha già posto un quesito
[1] circa la rispondenza, alle previsioni del bando di gara per l'affidamento del 'servizio di assistenza e servizio infermieristico rivolto agli ospiti del Centro sociale residenziale per anziani', della certificazione di conformità del sistema di qualità aziendale, prodotto da una ditta in virtù di un contratto di avvalimento, richiede l'ulteriore assistenza di questo Ufficio, al fine di stabilire se le contestazioni mosse dalla ditta medesima, a seguito della sua esclusione dalla gara, possano ritenersi fondate.
Occorre, anzitutto, ricordare che lo scrivente Servizio fornisce attività di consulenza giuridico-amministrativa, a favore degli enti locali, su problematiche aventi rilevanza di carattere generale e non implicanti valutazioni di casi specifici, tanto più ove si tratti di questioni che potrebbero sfociare in un contenzioso in sede giurisdizionale.
Si rammenta, inoltre, la possibilità, per l'Ente, di interpellare l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp)
[2].
Tuttavia, a titolo meramente collaborativo, si esaminano gli elementi normativi e giurisprudenziali che la ditta esclusa pone a fondamento delle proprie rimostranze, con l'auspicio di poter coadiuvare il Comune nell'assunzione delle proprie determinazioni al riguardo.
L'Ente ha disposto la predetta esclusione in considerazione dei seguenti elementi:
1) il contratto di avvalimento prodotto è inidoneo, giacché si limita a prevedere la disponibilità generica e astratta della certificazione ISO posseduta dall'impresa ausiliaria;
2) il campo di applicazione indicato nel certificato di qualità prodotto dalla ditta (Progettazione ed erogazione di servizi socio-educativi in regime diurno e socio-assistenziali in regime domiciliare per anziani, minori e disabili. Progettazione ed erogazione di corsi di formazione professionale) risulta sostanzialmente diverso dal servizio oggetto di gara (Servizio di assistenza e servizio infermieristico rivolto agli ospiti del Centro sociale residenziale per anziani);
3) la validità della certificazione di qualità decorre dal 23.07.2012, mentre il bando di gara richiedeva il possesso del requisito 'da almeno un anno'.
Avverso il predetto provvedimento la ditta esclusa ha inviato la comunicazione preventiva ai sensi dell'art. 243-bis
[3] del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, diffidando l'Ente a voler provvedere alla sua riammissione in gara e preannunciando, in difetto, l'intenzione di proporre ricorso giurisdizionale.
La ditta contesta la sanzione adottata nei suoi confronti facendo, peraltro, riferimento ad uno solo dei motivi posti alla base del provvedimento comunale. Essa sostiene, infatti, che la previsione, quale requisito di partecipazione alla gara, del possesso 'da almeno un anno' della certificazione di qualità è lesiva del principio della libera concorrenza, pregiudicando la partecipazione alla procedura di tutte quelle aziende che -come essa stessa- risultano costituite da meno di un anno e non possono, pertanto, possedere l'anzianità del requisito nei termini richiesti dal bando.
La ditta ricorda, in particolare, il principio di tassatività delle cause di esclusione, desumibile dall'art. 46, comma 1-bis
[4], del D.Lgs. 163/2006, il quale prevede che «La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle.».
Dopo aver svolto alcune considerazioni al riguardo
[5], la ditta richiama, a sostegno della propria tesi, la sentenza del Consiglio di Stato - Sez. V, 31.01.2012, n. 467, nella quale è stato statuito che «solo qualora la documentazione prodotta da un concorrente ad una pubblica gara sia presente, ma carente di taluni elementi formali, di guisa che sussista un indizio del possesso del requisito richiesto, l'Amministrazione non può pronunciare l'esclusione dalla procedura, ma è tenuta a richiedere al partecipante di integrare e chiarire il contenuto di un documento già presente, costituendo siffatta attività acquisitiva un ordinario 'modus procedendi', ispirato all'esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma.». [6]
Occorre, anzitutto, rilevare che tanto l'affermazione della ditta, quanto il richiamo giurisprudenziale, non appaiono inerire al caso di specie, nel quale viene in rilievo la carenza, di natura sostanziale, della prevista anzianità nel possesso di un requisito indispensabile per la partecipazione alla gara, ma alla diversa ipotesi di incompletezza meramente formale nella produzione della documentazione richiesta dal bando, rispetto alla quale deve essere tendenzialmente consentita la regolarizzazione, tranne ove -come chiarisce la predetta sentenza del Consiglio di Stato- si tratti di «integrare documenti che avrebbero dovuto essere prodotti a pena di esclusione in quanto attinenti a requisiti essenziali per la partecipazione».
Quanto alla portata della disposizione invocata dalla ditta, si rende necessario segnalare che la giurisprudenza non sembra esprimersi in maniera univoca al riguardo.
Infatti, essa afferma che:
- l'art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. 163/2006 «introduce il c.d. 'principio di tassatività delle cause di esclusione', secondo cui solo le violazioni di norme di legge o di regolamento o quelle che determinano irregolarità sostanziali in relazione a quanto esplicitamente indicato nella stessa disposizione, comportano l'esclusione dal procedimento. Ciò determina, da un lato, la nullità di quelle previsioni dei bandi ad oggetto omnicomprensivo, che rendono obbligatoria la presentazione di tutta la documentazione richiesta e nelle forme indicate, riconnettendo automaticamente l'esclusione della concorrente al generico difetto di una qualsiasi parte della documentazione stessa; e dall'altro, l'obbligo per il giudice di accertare se l'omissione di cui una concorrente si lamenta (ai fini della domanda di esclusione dalla gara di altro concorrente) sia effettivamente ascrivibile alle condizioni del menzionato art. 46»
[7];
- «In difetto di esplicite sanzioni di esclusione contenute nella legge e/o nel bando, deve ritenersi che non possa farsi luogo ad esclusioni, come prevede ora l'art. 46 comma 1-bis, del codice dei contratti, modificato dall'art. 4, comma II, lett. d), D.L. 13.5.2011, n. 70»
[8];
- «anche prima della positivizzazione (ad opera del decreto-legge n. 70 del 2011) del principio di tassatività delle clausole di esclusione nell'ambito delle pubbliche gare, la giurisprudenza aveva fissato il principio secondo cui le clausole della lex specialis, ancorché contenenti comminatorie di esclusione, non possono essere applicate meccanicisticamente, ma secondo il principio di ragionevolezza, e devono essere valutate alla stregua dell'interesse che la norma violata è destinata a presidiare per cui, ove non sia ravvisabile la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante, deve essere accordata la preferenza al favor partecipationis»
[9];
- a fronte dell'incompletezza, non colmabile ricorrendo al contenuto di altri atti, di autodichiarazioni da rendere ai fini della partecipazione alla gara, «in applicazione delle chiare ed inequivoche clausole del disciplinare», va disposta l'esclusione del concorrente, dovendosi ritenere che, anche nella vigenza dell'art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. 163/2006, «sia rimasta inalterata la facoltà delle amministrazioni aggiudicatrici di richiedere, a pena di esclusione, tutti i documenti e gli elementi ritenuti necessari o utili per identificare e selezionare i partecipanti ad una procedura concorsuale nel rispetto del principio di proporzionalità, ai sensi degli art. 73
[10] e 74 [11] del Codice dei contratti (cfr. Sez. V, 12.06.2012, n. 3884)» [12];
- «con riferimento all'attività della c.d. stazione appaltante prodromica all'avvio della selezione, pur confermandosi in capo ad essa il potere discrezionale a predisporre le regole di gara, detto potere appare essere ormai legislativamente ridotto nella latitudine di sviluppo, in quanto condizionato al rispetto delle prescrizioni normative che impongono all'Amministrazione procedente di non ignorare, in tema di introduzione di clausole ostative alla partecipazione ovvero di modalità di partecipazione il cui inadempimento provoca l'espulsione del concorrente, la recente formula normativa di estrinsecazione del principio della esclusiva indicazione legislativa, con portata tassativa, delle cause di esclusione dalla selezione. [...] D'altronde la disciplina di gara ben può richiedere ai concorrenti requisiti di partecipazione e di qualificazione più rigorosi e restrittivi di quelli minimi stabiliti dalla legge, purché tali ulteriori prescrizioni si rivelino rispettose dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza con riguardo alle specifiche esigenze imposte dall'oggetto dell'appalto e comunque non introducano indebite discriminazioni nell'accesso alla procedura (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 02.02.2010 n. 426, Sez. VI, 11.05.2007 n. 2304 nonché TAR Lazio, Sez. II, 09.12.2008 n. 11147)»
[13];
- «l'interpretazione delle clausole munite di sanzioni espulsive va condotta necessariamente alla luce dell'art. 46, c. 1-bis, del D.lgs. 12.04.2006 n. 163 (che assurge al rango di principio generale interpretativo), ossia per i casi previsti dalla legge, nonché in quelli '... di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte...'. Poiché nella specie, i plichi della controinteressata son stati verificati integri, completi, sicuramente provenienti e sottoscritti da questa e non manca l'atto richiesto, quello sì inderogabilmente, non è possibile interpretare la vicenda in esame fuori dal principio di tassatività delle cause d'esclusione indicati dalla norma»
[14].
Circa la posizione assunta, sulla questione, dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp), si ritiene utile segnalare le indicazioni fornite con determinazione 10.10.2012, n. 4
[15]:
- la ratio delle disposizioni contenute nell'art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. 163/2006 «è rinvenibile nell'intento di garantire un concreto rispetto dei principi di rilievo comunitario di massima partecipazione, concorrenza e proporzionalità nelle procedure di gara, evitando che le esclusioni possano essere disposte a motivo della violazione di prescrizioni meramente formali, la cui osservanza non risponde ad alcun apprezzabile interesse pubblico»;
- infatti, come si evince dalla relazione illustrativa del D.L. 70/2011, «la finalità è quella di effettuare una 'tipizzazione tassativa delle cause di esclusione dalle gare e di ridurre il potere discrezionale della stazione appaltante', limitando 'le numerose esclusioni che avvengono sulla base di elementi formali e non sostanziali, con l'obiettivo di assicurare il rispetto del principio della concorrenza e di ridurre il contenzioso in materia di affidamento dei contratti pubblici'»;
- «La norma elenca, quindi, i vincoli ed i criteri che le stazioni appaltanti, nonché la stessa Autorità, devono osservare nell'individuazione delle ipotesi legittime di esclusione, allorché redigono, rispettivamente, i documenti di gara ed i bandi-tipo»;
- «rispetto alle ipotesi tipizzate nel presente bando-tipo, le stazioni appaltanti possono prevedere ulteriori cause di esclusione, previa adeguata e specifica motivazione, solo con riferimento a disposizioni di leggi vigenti ovvero alle altre regole tassative previste dall'art. 46, comma 1-bis, del Codice».
Venendo, ora, all'unico motivo oggetto di contestazione da parte della ditta esclusa e rammentato che la giurisprudenza prevalente ritiene che la certificazione di qualità debba essere annoverata tra i requisiti speciali di carattere tecnico-organizzativo, si segnala che, con riferimento a tali requisiti, l'Avcp chiarisce che «essi costituiscono presupposti di natura sostanziale per la partecipazione alla gara, ai sensi dell'art. 2 del Codice».
Pertanto -prosegue l'Avcp- «la carenza dei requisiti speciali di partecipazione indicati nel bando di gara si traduce necessariamente nell'esclusione dalla gara».
Sul tema, la medesima Avcp ha, successivamente, affermato che «La stazione appaltante può introdurre nella lex specialis della gara d'appalto disposizioni che limitano la platea dei concorrenti, al fine di consentire la partecipazione di soggetti particolarmente qualificati, specialmente per ciò che attiene al possesso di requisiti di capacità tecnica e finanziaria, se tale scelta non sia eccessivamente o irragionevolmente limitativa della concorrenza. Siffatta scelta può essere sindacata dal giudice amministrativo in sede di legittimità solo in quanto sia manifestamente irragionevole, irrazionale, arbitraria, sproporzionata, illogica o contraddittoria (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 02.02.2009 n. 525 e 23.07.2008 n. 3655)»
[16].
Dal quadro degli orientamenti sopra esposti emerge l'oggettiva incertezza nella soluzione della questione posta, rispetto alla quale potrebbe esprimersi solo il giudice competente.
In relazione a quanto finora osservato si rileva che, anche ove la clausola del possesso, da almeno un anno, della certificazione di qualità, richiesta quale requisito essenziale per la partecipazione alla gara, dovesse ritenersi come non apposta, restano comunque ferme le ulteriori ragioni sostanziali che -stante quanto illustrato, con dovizia di richiami giurisprudenziali, nel parere già reso da questo Ufficio- hanno indotto la stazione appaltante a disporre l'esclusione della ditta e che si concretano:
a) nella diversità ed incompletezza, rispetto alla natura dei servizi oggetto di gara, del campo di applicazione cui il certificato di qualità si riferisce
[17];
b) nell'inidoneità -per l'assenza del contenuto minimo, già individuato dalla giurisprudenza ed ora previsto dall'art. 88, comma 1
[18], del decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207- del contratto di avvalimento prodotto dalla ditta esclusa, ai fini della dimostrazione della concreta ed effettiva disponibilità, nell'esecuzione dell'appalto, delle risorse, dei mezzi e delle attrezzature posseduti dalla ditta certificata.
A tale ultimo riguardo, si segnala un'ulteriore recente pronuncia del Consiglio di Stato
[19], nella quale risulta confermato che «l'avvalimento, così come configurato dalla legge, deve essere reale e non formale, nel senso che non può considerarsi sufficiente 'prestare' la certificazione posseduta (Cons. Stato, III, 18.04.2011, n. 2343) assumendo impegni assolutamente generici, giacché in questo modo verrebbe meno la stessa essenza dell'istituto, finalizzato non già ad arricchire la capacità tecnica ed economica del concorrente, bensì a consentire a soggetti che ne siano sprovvisti di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri soggetti (C.d.S., sez. V, 03.12.2009, n. 7592), garantendo l'affidabilità dei lavori, dei servizi o delle forniture appaltati».
Il supremo Giudice amministrativo ha, infatti, rilevato che la responsabilità solidale, che viene assunta con il contratto di avvalimento da parte dell'impresa ausiliaria nei confronti dell'amministrazione appaltante e che discende direttamente dalla legge, «si giustifica proprio per l'effettiva partecipazione dell'impresa ausiliaria all'esecuzione dell'appalto (Cons. Stato, VI, 13.05.2010, n. 2956, secondo cui l'impresa ausiliaria diventa titolare passivo di un'obbligazione accessoria dipendente rispetto a quella principale del concorrente, obbligazione che si perfeziona con l'aggiudicazione a favore del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti)».
Pertanto, il Consiglio di Stato ha ritenuto inidoneo il contratto di avvalimento sottoposto al suo giudizio
[20], «mancando del tutto l'autentica messa a disposizione di risorse, mezzi o di altro elemento necessario».
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[1] Al quale è stato fornito riscontro con parere prot. n. 12088 del 16.04.2013.
[2] Per le modalità di acquisizione dei relativi pareri, v. le informazioni reperibili all'indirizzo Internet avcp.it/portal/public/classic/FAQ/FAQ_precontenzioso.
[3] «1. Nelle materie di cui all'articolo 244, comma 1, i soggetti che intendono proporre un ricorso giurisdizionale informano le stazioni appaltanti della presunta violazione e della intenzione di proporre un ricorso giurisdizionale.
2. L'informazione di cui al comma 1 è fatta mediante comunicazione scritta e sottoscritta dall'interessato, o da un suo rappresentante, che reca una sintetica e sommaria indicazione dei presunti vizi di illegittimità e dei motivi di ricorso che si intendono articolare in giudizio, salva in ogni caso la facoltà di proporre in giudizio motivi diversi o ulteriori. L'interessato può avvalersi dell'assistenza di un difensore. La comunicazione può essere presentata fino a quando l'interessato non abbia notificato un ricorso giurisdizionale. L'informazione è diretta al responsabile del procedimento. La comunicazione prevista dal presente comma può essere effettuata anche oralmente nel corso di una seduta pubblica della commissione di gara ed è inserita nel verbale della seduta e comunicata immediatamente al responsabile del procedimento a cura della commissione di gara.
3. L'informativa di cui al presente articolo non impedisce l'ulteriore corso del procedimento di gara, né il decorso del termine dilatorio per la stipulazione del contratto, fissato dall'articolo 11, comma 10, né il decorso del termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale.
4. La stazione appaltante, entro quindici giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, comunica le proprie determinazioni in ordine ai motivi indicati dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in autotutela. L'inerzia equivale a diniego di autotutela.
5. L'omissione della comunicazione di cui al comma 1 e l'inerzia della stazione appaltante costituiscono comportamenti valutabili, ai fini della decisione sulle spese di giudizio, nonché ai sensi dell'articolo 1227 del codice civile.
6. Il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o tacito, è impugnabile solo unitamente all'atto cui si riferisce, ovvero, se quest'ultimo è già stato impugnato, con motivi aggiunti.».
[4] Come inserito dall'art. 4, comma 2, lett. d), del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106.
[5] 'La normativa in materia di appalti pubblici esprime sempre più la prevalenza dell'interesse sostanziale rispetto ai canoni meccanicamente formalistici codificando un modo di procedere volto a far valere la sostanza sulla forma, al fine di limitare le numerose esclusioni che avvengono solo sulla base di elementi formali e non sostanziali, e di ridurre, anche in quest'ipotesi, il contenzioso in materia di affidamento dei contratti pubblici.'.
[6] V. anche TAR Lazio-Roma, Sez. II, 19.02.2013, n. 1828, il quale afferma, al riguardo, che «Come è noto nelle procedure di tipo concorsuale quali gare d'appalto, concorsi pubblici, selezioni pubbliche per la concessione di finanziamenti et similia, per giurisprudenza assolutamente pacifica, la regolarizzazione documentale può essere consentita quando i vizi siano puramente formali o chiaramente imputabili a errore solo materiale, e sempre che riguardino dichiarazioni o documenti che non sono richiesti a pena di esclusione, non essendo, in quest'ultima ipotesi, consentita la sanatoria o l'integrazione postuma che si tradurrebbero in una violazione dei termini massimi di presentazione dell'offerta e, in definitiva, in una violazione della 'par condicio' (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 14.09.2010 n. 6687, Sez. IV, 19.06.2006 n. 3660 e 06.03.2006 n. 1068, Sez. VI 18.05.2001 n. 2781). Sanatorie documentali sono possibili, dunque, con la possibilità d'integrare successivamente la documentazione prodotta con la domanda di partecipazione alla gara o, comunque, con l'offerta, nel rispetto di un duplice limite: a) la regolarizzazione deve riferirsi a carenze puramente formali od imputabili ad errori solo materiali (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 31.08.2004 n. 5734); b) la regolarizzazione non può mai riguardare produzioni documentali che abbiano violato prescrizioni del bando (o della lettera di invito) sanzionate con una comminatoria di esclusione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 09.12.2002 n. 6675), sempreché queste ultime non si rivelino affette da nullità.».
[7] TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I, 22.03.2012, n. 245. Ai fini della corretta comprensione della riportata affermazione, si ritiene utile segnalare che il Giudice calabrese precisa, di seguito, che «L'obbligo di rendere le dichiarazioni di cui all'art. 38 lett. 'c' del Dlgs 163/2006 anche da parte di amministratori o tecnici appartenenti ad operatori economici terzi rispetto all'impresa concorrente, ma a questa legati da negozi di trasferimento dell'azienda o di un ramo di essa, deriva dalla previsione del bando, non dalla norma di legge o dal regolamento; pertanto la violazione della suddetta previsione non può determinare automaticamente l'esclusione dall'appalto della concorrente, dovendosi verificare se dall'ammissione sia derivato alla concorrente un effettivo vantaggio, mediante violazione della par condicio rilevante ai fini dell'art. 46 cit.».
[8] Consiglio di Stato - Sez. III, 04.10.2012, n. 5203.
[9] Consiglio di Stato - Sez. VI, 19.10.2012, n. 5389.
[10] La norma, che disciplina la forma e il contenuto delle domande di partecipazione, dispone, per quanto qui rileva, che «3. Le stazioni appaltanti richiedono gli elementi essenziali di cui al comma 2 nonché gli elementi e i documenti necessari o utili per operare la selezione degli operatori da invitare, nel rispetto del principio di proporzionalità in relazione all'oggetto del contratto e alle finalità della domanda di partecipazione.».
[11] La disposizione, che attiene alla forma e al contenuto delle offerte, prevede, ai fini di cui di discute, che «4. Le offerte sono corredate dei documenti prescritti dal bando o dall'invito ovvero dal capitolato d'oneri.» e che «5. Le stazioni appaltanti richiedono gli elementi essenziali di cui al comma 2, nonché gli altri elementi e documenti necessari o utili, nel rispetto del principio di proporzionalità in relazione all'oggetto del contratto e alle finalità dell'offerta.».
[12] Consiglio di Stato - Sez. V, 18.02.2013, n. 974.
[13] TAR Lazio - Roma, Sez. II, n. 1828/2013, cit., il quale precisa, inoltre, che:
- «alla luce dei principi di derivazione comunitaria ed immanenti nell'ordinamento nazionale, di ragionevolezza e di proporzionalità, nonché di apertura alla concorrenza degli appalti pubblici, il potere discrezionale della stazione appaltante di prescrivere adeguati requisiti ovvero speciali modalità per la partecipazione alle gare per l'affidamento di appalti pubblici è soggetto ai limiti connaturati alla funzione affidata alle clausole del bando volte a prescrivere i requisiti speciali o le peculiari modalità partecipative pretese in stretta relazione con le finalità proprie della selezione tra più aspiranti per la scelta di quello più idoneo e l'oggetto della commessa da affidarsi»;
- «in buona sostanza il potere discrezionale dell'amministrazione appaltante di determinare le regole della gara e, in specie, di introdurre requisiti di partecipazione alla gara, oggettivi e/o soggettivi ovvero modalità specifiche di partecipazione -ulteriori e maggiormente selettivi rispetto a quelli stabiliti dalle norme- incontra il limite del rispetto del principio di proporzionalità e di ragionevolezza»;
- «Fermo quanto sopra» si rammenta che, con la disposizione di cui all'art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. 163/2006 «il legislatore ha inteso rimettere alla sola fonte normativa la competenza ad individuare cause di non ammissione a procedure di gara, residuando in capo alle stazioni appaltanti, un'attività di stretta interpretazione di siffatte ipotesi, o comunque di mera ricognizione delle medesime».
[14] Consiglio di Stato - Sez. III, 14.03.2013, n. 1533. La vicenda riguarda l'esclusione di un concorrente a causa dell'erroneo inserimento di un atto -richiesto, come rileva lo stesso Consiglio di Stato, «quello sì inderogabilmente»- nella busta contenente la documentazione amministrativa, anziché in quella contenente la documentazione tecnica. Il supremo Giudice amministrativo osserva, infatti, che l'accaduto non integra affatto un inadempimento della legge di gara, poiché l'atto è comunque pervenuto alla stazione appaltante. Inoltre, aggiunge il Consiglio di Stato, «non v'è inadempimento anche perché, come evincesi dalla serena lettura della precisazione vincolante, il documento de quo era obbligatorio in sé e non nella sua collocazione specifica, in un luogo, piuttosto che in un altro».
[15] Recante «Indicazioni generali per la redazione dei bandi di gara ai sensi degli articoli 64, comma 4-bis e 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici».
[16] V. parere di precontenzioso 27.09.2012, n. 149.
[17] Si ricorda che il punto 6), lett. f), del bando di gara, richiedeva espressamente il possesso di tale certificazione «per il servizio oggetto di gara».
[18] «Per la qualificazione in gara, il contratto di cui all'articolo 49, comma 2, lettera f), del codice deve riportare in modo compiuto, esplicito ed esauriente:
a) oggetto: le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico;
b) durata;
c) ogni altro utile elemento ai fini dell'avvalimento.».
[19] V. Sez. V., 10.01.2013, n. 90.
[20] Contratto che si limitava a stabilire che l'ausiliaria si obbligava, nei confronti dell'impresa concorrente e della stazione appaltante, a fornire il requisito di cui l'impresa era carente, nonché a mettere a disposizione i mezzi e le attrezzature necessarie per tutta la durata dell'appalto, rinviando ad una separata scrittura privata la dettagliata regolamentazione degli impegni che l'ausiliaria avrebbe assunto nei confronti dell'impresa concorrente, qualora questa fosse risultata aggiudicataria dell'appalto
(16.05.2013 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Gli artt. 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, del d.l.gs. 163/2006 impongono, anche per gli appalti di servizi e forniture, la specifica indicazione nell’offerta economica di tutti i costi relativi alla sicurezza. Il combinato disposto delle due norme impone ai concorrenti di evidenziare gli oneri economici che ritengono di sopportare al fine di adempiere esattamente agli obblighi di sicurezza sul lavoro, al duplice fine di assicurare la consapevole formulazione dell’offerta con riguardo ad un aspetto nevralgico e di consentire alla stazione appaltante la valutazione della congruità dell’importo destinato a tale scopo.
Gli oneri della sicurezza -sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture- devono essere distinti tra oneri, non soggetti a ribasso, finalizzati all’eliminazione dei rischi da interferenze (che devono essere quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI) ed oneri concernenti i costi specifici connessi con l’attività delle imprese, che devono essere indicati dalle stesse nelle rispettive offerte, con il conseguente onere per la stazione appaltante di valutarne la congruità (anche al di fuori del procedimento di verifica delle offerte anomale) rispetto all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura.
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La mancanza di una specifica previsione sul tema in seno alla “lex specialis” non giustifica la mancata indicazione dei costi per la sicurezza, e ciò sul fondamentale rilievo del carattere immediatamente precettivo delle norme di legge che prescrivono di esibire tali costi, idonee come tali a eterointegrare le regole della singola gara (ai sensi dell’art. 1374 del c.c.), e a imporre, in caso di loro inosservanza, l’esclusione dalla procedura.
Pertanto, “anche in difetto di una comminatoria espressa nella disciplina speciale di gara, dunque, l’inosservanza della prescrizione primaria che impone l’indicazione preventiva dei costi di sicurezza implica la sanzione dell’esclusione, in quanto rende l’offerta incompleta sotto un profilo particolarmente rilevante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti ed impedisce alla stazione appaltante un adeguato controllo sull’affidabilità dell’offerta stessa”.
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L’esclusione dell’offerta si rivela doverosa anche ai sensi dell'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006, configurando l’omessa specificazione degli oneri di sicurezza un’ipotesi di “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice” idoneo a determinare “incertezza assoluta sul contenuto dell'offerta” per difetto di un elemento essenziale.

Secondo giurisprudenza costante:
A) “gli artt. 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, del d.l.gs. 163/2006 impongono, anche per gli appalti di servizi e forniture, la specifica indicazione nell’offerta economica di tutti i costi relativi alla sicurezza. Il combinato disposto delle due norme impone ai concorrenti di evidenziare gli oneri economici che ritengono di sopportare al fine di adempiere esattamente agli obblighi di sicurezza sul lavoro, al duplice fine di assicurare la consapevole formulazione dell’offerta con riguardo ad un aspetto nevralgico e di consentire alla stazione appaltante la valutazione della congruità dell’importo destinato a tale scopo.
Gli oneri della sicurezza -sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture- devono essere distinti tra oneri, non soggetti a ribasso, finalizzati all’eliminazione dei rischi da interferenze (che devono essere quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI) ed oneri concernenti i costi specifici connessi con l’attività delle imprese, che devono essere indicati dalle stesse nelle rispettive offerte, con il conseguente onere per la stazione appaltante di valutarne la congruità (anche al di fuori del procedimento di verifica delle offerte anomale) rispetto all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura
” (TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 19.02.2013, n. 181; nello stesso senso: TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 17.01.2013, n. 124; TAR Lazio, Roma, sez. II, 07.01.2013, n. 66; TAR Veneto, Venezia, sez. I, 04.12.2012, n. 1477; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 12.01.2012, n. 23);
B) la mancanza di una specifica previsione sul tema in seno alla “lex specialis” non giustifica la mancata indicazione dei costi per la sicurezza, e ciò sul fondamentale rilievo del carattere immediatamente precettivo delle norme di legge che prescrivono di esibire tali costi, idonee come tali a eterointegrare le regole della singola gara (ai sensi dell’art. 1374 del c.c.), e a imporre, in caso di loro inosservanza, l’esclusione dalla procedura.
Pertanto, “anche in difetto di una comminatoria espressa nella disciplina speciale di gara, dunque, l’inosservanza della prescrizione primaria che impone l’indicazione preventiva dei costi di sicurezza implica la sanzione dell’esclusione, in quanto rende l’offerta incompleta sotto un profilo particolarmente rilevante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti ed impedisce alla stazione appaltante un adeguato controllo sull’affidabilità dell’offerta stessa” (TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 19.02.2013, n. 181, nello stesso senso: Cons. di St., sez. V, 29.02.2012, n. 1172; TAR Venezia, Veneto, sez. I, 22.11.2011, n. 1720);
C) “l’esclusione dell’offerta si rivela doverosa anche ai sensi dell'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006, configurando l’omessa specificazione degli oneri di sicurezza un’ipotesi di “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice” idoneo a determinare “incertezza assoluta sul contenuto dell'offerta” per difetto di un elemento essenziale” (TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 19.02.2013, n. 181) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 15.05.2013 n. 1091 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: La normativa a tutela della concorrenza nel settore dell'acqua si applica anche agli appalti o ai concorsi riguardanti lo smaltimento o il trattamento delle acque reflue.
L'art. 209 del D.Lgs. n. 163/2006, riproduce pedissequamente l'art. 4 della Direttiva 2004/17/CE, in forza del quale la normativa a tutela della concorrenza nel settore dell'acqua si applica anche agli appalti o ai concorsi riguardanti lo smaltimento o il trattamento delle acque reflue, qualora siano attribuiti o organizzati da alcuno degli enti del settore speciale dell'acqua, analogamente è a dirsi per lo smaltimento dei fanghi prodotti dalla depurazione, che ne costituisce il necessitato complemento operativo. Il dato, tuttavia, non comporta di per sé che qualsivoglia affidamento avente ad oggetto lo smaltimento di fanghi da depurazione debba obbedire alla disciplina dettata dall'art. 209, posto che questa riguarda i soli affidamenti attribuiti od organizzati da enti che esercitano le attività di messa a disposizione o gestione di reti fisse in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acque potabile, ovvero l'alimentazione delle reti con acqua potabile.
Deve riconoscersi ad un'impresa operante nel settore dei rifiuti speciali non pericolosi e titolare dell'affidamento, da parte di enti pubblici, di numerosi servizi di prelievo e smaltimento di fanghi da depurazione, di un interesse qualificato ad accedere a tutti gli atti e documenti concernenti l'affidamento a terzi, da parte di Aquapur, società a prevalente partecipazione pubblica affidataria della gestione del depuratore, in quanto la summenzionata società riveste la qualità di organismo di diritto pubblico, e questo anche a voler ammettere che la prevalente attività esercitata presenti invece carattere industriale e commerciale. L'infrazionabilità dei reflui implica peraltro l'attrazione dell'intero affidamento del servizio di prelievo e smaltimento dei fanghi nella sfera pubblicistica dell'attività di Aquapur, non potendosi altrimenti garantire tutela ai superiori principi di libera concorrenza, parità di trattamento, imparzialità, pubblicità, trasparenza (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 15.05.2013 n. 813 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIEsclusi dalla gara e termini per il ricorso: rilevante come si ''comporta'' chi partecipa all'apertura.
Il Consiglio di Stato afferma che nonostante non vi sia stata formale comunicazione dell’esclusione dalla gara, è indubbio il fatto che la ditta esclusa era perfettamente a conoscenza della decisione della commissione di gara perché, nella seduta di apertura delle offerte, vi erano dei soggetti rappresentanti che erano entrati in contrasto con la commissione stessa per tale motivo.
Nell’ottobre del 2010 una stazione appaltante indiceva una procedura di gara ristretta per la fornitura triennale del servizio di pulizia di autobus, veicoli ausiliari e impianti fissi di proprietà o in uso alla stessa stazione appaltante, da aggiudicare con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Alla gara partecipavano due SRL specializzate nel settore.
Nella seduta pubblica del novembre 2010 la Commissione, sottoponendo a una verifica di congruità le offerte economiche presentate dalle partecipanti, dava comunicazione, in presenza di due delegati di una della due SRL , dell’ esclusione di detta società dalla gara, ritenendo inammissibile l’offerta presentata dalla stessa, alla stregua della normativa dettata dal disciplinare di gara.
Successivamente la stazione appaltante negava la richiesta riammissione in gara, sostenendo, altresì, che la società aveva appreso della propria esclusione, mediante i suoi rappresentanti, durante la seduta di gara.
La ricorrente ha, pertanto, proposto ricorso al TAR che, tuttavia, ha riconosciuto che il decorso del termine decadenziale di trenta giorni, decorreva dalla seduta in cui l’esclusione era stata comunicata ai rappresentanti della società.
La SRL ha impugnato la sentenza del TAR, davanti al Consiglio di Stato.
La comunicazione di esclusione o di aggiudicazione nelle gare di appalto
La stazione appaltante nelle gare di appalto comunica di ufficio:
a) l'aggiudicazione definitiva, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, all'aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un'offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l'esclusione, o sono in termini per presentare dette impugnazioni, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se dette impugnazioni non siano state ancora respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva;
b) l'esclusione, ai candidati e agli offerenti esclusi, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni dall'esclusione;
c) la decisione, a tutti i candidati, di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro; d) la data di avvenuta stipulazione del contratto con l'aggiudicatario, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, ai soggetti di cui alla lettera a).
Con il parere n. 181 del 07/11/2012, l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici ha osservato che ai sensi dell’art. 79, D.Lgs. 163/2006, comma 5, l’amministrazione è tenuta a comunicare d’ufficio a ciascun candidato l’esclusione entro un termine non superiore a cinque giorni dall’esclusione.
La ratio che sorregge la norma è duplice:
1. da un lato, garantire la celere conclusione della procedura ad evidenza pubblica a tutela dell’interesse pubblico, che sorregge indizione della stessa;
2. dall’altro assicurare al concorrente quella piena conoscenza dell’atto lesivo, dalla quale decorre il termine decadenziale per l’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo
L’analisi del Consiglio di Stato
I giudici di Palazzo Spada evidenziano che appare evidente dalla documentazione prodotta che, nel verbale alla seduta di gara del novembre 2010, è stata data comunicazione alla ricorrente dell’esclusione; a tale seduta erano presenti due rappresentanti della società ricorrente.
La qualifica di rappresentanti attribuita ai soggetti risulta evidente dal ruolo effettivamente svolto dagli stessi nel corso della seduta in esame, tale da evidenziare, al di là dell’ esistenza di un mandato formale o della specifica carica sociale rivestita, il ruolo “decisionale” che avevano in rappresentanza della società esclusa.
Osserva il Consiglio di Stato che è significativo il fatto che uno dei due rappresentanti non si sia limitato ad assistere alle operazioni di gara, ma vi abbia partecipato attivamente, criticando le decisioni della Commissione ed istituendo un vero e proprio contraddittorio.
Le conclusioni: le conseguenze del comportamento
Per il Consiglio di Stato il ricorso deve essere respinto; il dies a quo per l’impugnazione dell’atto è rappresentato dalla comunicazione di esclusione avvenuta durante la seduta della commissione di gara; il ricorso è stato, pertanto, proposto dalla ditta ricorrente oltre i trenta giorni previsti dalla normativa vigente in materia.
Emerge in maniera evidente dalla sentenza del Consiglio di Stato che le modalità di comportamento tenuta durante la seduta di gara, dai due soggetti incaricati della società ricorrente, fa propendere che non si trattava di due persone “chiamate” ad assistere alle operazioni di apertura delle offerte, ma di veri e propri rappresentanti, legittimati a manifestare la volontà dell’impresa e, conseguentemente, a rappresentarla anche ai fini della piena conoscenza.
La piena conoscenza delle motivazioni dell’atto di esclusione implica la decorrenza del termine decadenziale a prescindere dall’invio di una formale comunicazione ex art. 79, comma 5, del D.Lgs. 163/2006 (commento tratto da www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.05.2013 n. 2614 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La piena conoscenza delle motivazioni dell’atto di esclusione implica la decorrenza del termine decadenziale a prescindere dall’invio di una formale comunicazione ex art. 79, comma 5, del codice dei contratti pubblici.
Merita, infatti, condivisione l’indirizzo ermeneutico alla stregua del quale l’art. 120, comma 5 c.p.a., non prevedendo forme di comunicazione "esclusive" e "tassative", non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo, con precipuo riferimento alla possibilità che la piena conoscenza dell'atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita, come accaduto nel caso di specie, con forme diverse di quelle dell'art. 79 cit..

E’ documentato nel verbale in atti che alla seduta di gara del 26.11.2010, nella quale è stata data comunicazione alla ricorrente dell’esclusione, hanno presenziato due rappresentanti della società ricorrente.
La qualifica di rappresentanti attribuita ai soggetti in parola dal nel verbale di gara in parola è suffragata, in termini decisivi, dalla ruolo effettivamente svolto dagli stessi nel corso della seduta in esame, tale da evidenziare, al di là dell’ esistenza di un mandato formale o della specifica carica a sociale rivestita, l’attribuzione di un effettivo potere rappresentativo che esorbita dalla veste di mero nuncius della società concorrente. E’ significativa, soprattutto, la circostanza che uno dei suddetti soggetti non si sia limitato ad assistere alle operazioni di gara, ma vi abbia partecipato attivamente, censurando le determinazioni della Commissione e instaurando un vero e proprio contraddittorio.
La tipologia dei poteri esercitati dimostra, in definitiva, che non si tratta di persone incaricate solamente di ad assistere alle operazioni ma di veri e propri rappresentanti, legittimati a manifestare la volontà dell’impresa e, conseguentemente, a rappresentarla anche ai fini della piena conoscenza.
La piena conoscenza delle motivazioni dell’atto di esclusione implica la decorrenza del termine decadenziale a prescindere dall’invio di una formale comunicazione ex art. 79, comma 5, del codice dei contratti pubblici. Merita, infatti, condivisione l’indirizzo ermeneutico alla stregua del quale l’art. 120, comma 5 c.p.a., non prevedendo forme di comunicazione "esclusive" e "tassative", non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo, con precipuo riferimento alla possibilità che la piena conoscenza dell'atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita, come accaduto nel caso di specie, con forme diverse di quelle dell'art. 79 cit. (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 28.02.2013, n. 1204; sez. III, 22.08.2012, n. 4593; sez. VI, 13.12.2011, n. 6531) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.05.2013 n. 2614 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’art. 38, comma 1, lettera f), nello stabilire che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni, degli appalti i soggetti che “secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualunque mezzo di prova dalla stazione appaltante” comprende due ipotesi, l’una relativa a prestazioni affidate dalla stessa amministrazione che ha bandito l’appalto e l’altra che riguarda la negligenza professionale anche in rapporti con altre amministrazioni.
La vicenda relativa alla grave inadempienza con soggetto diverso dall’amministrazione che ha bandito la gara rientra per l’appunto nella seconda parte della disposizione, che consente la valutazione dei precedenti professionali delle imprese concorrenti anche in rapporti contrattuali intercorsi con amministrazioni diverse da cui desumere, eventualmente, l’affidabilità dell’impresa che concorre; l’accertamento del grave errore professionale può avvenire con qualsiasi mezzo di prova ed è rimesso al giudizio insindacabile dell’amministrazione , salvo il limite della abnormità che non si registra nel caso di specie.

La questione centrale della controversia riguarda l’interpretazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006 e l’erronea applicazione della suddetta disposizione da parte della stazione appaltante che non aveva esclusa Gema dalla gara, malgrado avesse reso falsa dichiarazione in ordine a detto requisito.
L’art. 38, comma 1, lettera f), nello stabilire che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni, degli appalti i soggetti che “secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualunque mezzo di prova dalla stazione appaltante” comprende due ipotesi, l’una relativa a prestazioni affidate dalla stessa amministrazione che ha bandito l’appalto e l’altra che riguarda la negligenza professionale anche in rapporti con altre amministrazioni.
La vicenda relativa alla grave inadempienza con soggetto diverso dall’amministrazione che ha bandito la gara rientra per l’appunto nella seconda parte della disposizione, che consente la valutazione dei precedenti professionali delle imprese concorrenti anche in rapporti contrattuali intercorsi con amministrazioni diverse da cui desumere, eventualmente, l’affidabilità dell’impresa che concorre; l’accertamento del grave errore professionale può avvenire con qualsiasi mezzo di prova ed è rimesso al giudizio insindacabile dell’amministrazione , salvo il limite della abnormità che non si registra nel caso di specie (cfr. in termini, Cons. Stato, sez. V, 15.03.2010, n. 1500; 14.04.2008, n. 1716; sez. VI, 10.05.2007, n. 2245; determinazione Autorità di vigilanza n. 1 del 2010 cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.05.2013 n. 2610 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La stipula del contratto preliminare, ed invero nemmeno quella del contratto definitivo, non escludono affatto la legittimazione, della stazione appaltante, all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione.
Invero, "il provvedimento di aggiudicazione definitiva non costituisce di per sé ostacolo giuridicamente insormontabile al suo stesso annullamento, anche in autotutela, oltre che all’annullamento degli atti amministrativi che ne costituiscono il presupposto.
Ed ancora, “non può accogliersi la tesi propugnata dalle appellanti secondo cui le sole (peraltro pacifiche) circostanze dell’intervenuta stipulazione del contratto e della sua attuale esecuzione, costituirebbero elementi sufficienti ad escludere nella fattispecie in esame la giurisdizione del giudice amministrativo e a radicare quella del giudice ordinario. Di fronte all’esercizio del potere di annullamento la situazione del privato è di interesse legittimo, a nulla rilevando che tale esercizio, in ultima analisi, produca effetti indiretti su di un contratto stipulato da cui sono derivati diritti.”

Le argomentazioni esposte legittimano, in conclusione, la decisione dell’Amministrazione di non procedere alla stipula del contratto definitivo, implicita nell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione.
Inoltre, la stipula del contratto preliminare, ed invero nemmeno quella del contratto definitivo, non escludono affatto la legittimazione, della stazione appaltante, all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione.
C. di S., V, 07.09.2011, n. 5032, ha infatti stabilito che “il provvedimento di aggiudicazione definitiva non costituisce di per sé ostacolo giuridicamente insormontabile al suo stesso annullamento, anche in autotutela, oltre che all’annullamento degli atti amministrativi che ne costituiscono il presupposto”; “non può accogliersi la tesi propugnata dalle appellanti secondo cui le sole (peraltro pacifiche) circostanze dell’intervenuta stipulazione del contratto e della sua attuale esecuzione, costituirebbero elementi sufficienti ad escludere nella fattispecie in esame la giurisdizione del giudice amministrativo e a radicare quella del giudice ordinario. Di fronte all’esercizio del potere di annullamento la situazione del privato è di interesse legittimo, a nulla rilevando che tale esercizio, in ultima analisi, produca effetti indiretti su di un contratto stipulato da cui sono derivati diritti.” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.05.2013 n. 2602 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La nuova responsabilità fiscale solidale nei contratti di appalto (dossier ItaliaOggi Sette del 13.05.2013).

APPALTIDECRETO PAGAMENTI/ Via libera al Durc retrodatato. Sarà rilasciato prima della compensazione effettiva. I principali emendamenti approvati e i nuovi presentati.
La retrodatazione del Documento unico di regolarità contributiva (Durc) diventa realtà. Le imprese che abbiano chiesto la compensazione del credito con la pubblica amministrazione potranno infatti il ottenere il Durc, nel momento in cui risultano idonee a poter richiedere la compensazione e non più nel momento in cui la compensazione diviene effettiva. Ciò consentirà loro di partecipare alle gare d'appalto (per le quali è necessario essere in possesso del Durc) immediatamente, senza dunque attendere l'effettiva compensazione. Prevista poi anche la creazione di una anagrafe della spesa per la pubblica amministrazione. Gli enti saranno infatti tenuti a comunicare al Ministero dell'economia e delle finanze l'elenco sia dei debiti sia dei crediti di cui sono titolari, esattamente come qualsiasi contribuente.

Questo il contenuto dei principali emendamenti al dl pagamenti (35/2013) approvati durante la seduta della Commissione bilancio alla Camera di giovedì 9 maggio.
Il Durc. In base a quanto previsto nella prima stesura dal dl 35, le imprese per poter ottenere il Durc non solo dovevano poter aver accesso alla compensazione, ma dovevano aspettare che essa diventasse effettiva. Con questo meccanismo, i tempi medi stimati per ottenere il Durc erano tra i 12 e i 18 mesi. Con la conseguenza che le imprese, in mancanza del Documento, sarebbero state costrette a sospendere l'attività.
L'emendamento all'art. 6, proposto dai relatori al decreto pagamenti, Maurizio Bernardo (Pdl) e Marco Causi (Pd), ribalta il meccanismo. In base alle modifiche apportate, le imprese potranno ottenere il Documento unico di regolarità contributiva dal momento in cui ricevono il via libera alla possibilità di compensare, ovvero nel momento in cui il rapporto di debito credito viene certificato.
Il fatto che poi, materialmente, la compensazione effettiva si completi in 12 o 18 mesi, non è più un fattore determinante per ottenere il Durc. Sempre per quel che riguarda la certificazione del credito, è stato approvato anche un emendamento all'art. 9, con il quale ha ottenuto il via libera l'apposito modulo di certificazione del credito previsto dal ministero dell'economia.
L'anagrafe della spesa. Via anche al regime di monitoraggio dei debiti scaduti delle pubbliche amministrazioni nei confronti dei propri fornitori. Con un emendamento all'art. 7 è stato infatti previsto che ogni anno, a partire dal 01.01.2014, entro il 30 aprile, le p.a. dovranno comunicare attraverso l'apposita piattaforma telematica tutti i debiti scaduti e non ancora pagati alla data del 31 dicembre precedente. Ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni che risulteranno inadempienti o che adempiranno con ritardo, saranno applicate le relative sanzioni.
Soddisfatto del risultato ottenuto con l'approvazione dell'emendamento a sua firma è Enrico Zanetti (Scelta Civica), secondo il quale «con questo meccanismo avremo nel tempo un quadro certo e aggiornato dei debiti che le pubbliche amministrazioni non avranno onorato nei tempi previsti, assicurando così che futuri piani di pagamento degli arretrati possano avvenire con procedure immediate». A tal fine, è stato approvato un altro emendamento all'art. 6, in base al quale le associazioni di categoria potranno stipulare delle convenzioni con il ministero dell'economia, tramite le quali esse stesse potranno fornire al dicastero le informazioni circa la situazione debitoria in cui versa la pubblica amministrazione.
Termini per i controlli. Sono stati infine approvati due emendamenti aventi ad oggetto dei termini perentori. Il primo emendamento, previsto per l'art. 2, sposta dal 30 giugno al 31 luglio il termine ultimo entro il quale il ministero dell'economia potrà effettuare i controlli sui singoli enti circa l'effettivo utilizzo in compensazione delle risorse finanziarie elargite. Il secondo, presentato per l'art. 6, stabilisce in 30 giorni il termine per la p.a. per effettuare i pagamenti alle imprese o i professionisti.
Gli emendamenti dei relatori. L'iter del dl pagamenti non è però ancora giunto al termine. I relatori, dopo l'incontro avvenuto ieri con i rappresentanti del Governo e della Ragioneria dello Stato, hanno infatti presentato un fascicolo di 28 emendamenti, ai quali possono essere presentati sub emendamenti entro le 11 di oggi.
Tra i più importanti, quelli che vertono sulla questione dell'ampliamento del patto di stabilità ai comuni virtuosi, sull'ampliamento delle compensazioni (si veda altro articolo in pagina) e sulla partecipazione delle società in house al meccanismo delle compensazioni (articolo ItaliaOggi dell'11.05.2013).

APPALTI: Nelle gare d’appalto, ciascun membro di un’associazione temporanea può impugnare a titolo individuale gli atti della procedura, atteso che il fenomeno del raggruppamento di imprese non dà luogo a un’entità giuridica autonoma che escluda la soggettività delle singole imprese che lo compongono.
Tale legittimazione –che si correla alla posizione sostanziale di interesse legittimo alla regolarità della procedura concorsuale, in relazione ai poteri autoritativi che fanno capo alla stazione appaltante nella fase di evidenza pubblica della selezione del contraente, ed alla consequenziale pretesa al risarcimento dei danni (in forma specifica e/o per equivalente monetario)– non viene meno, né trova limite quanto all’oggetto ed agli effetti della domanda di annullamento e della connessa domanda risarcitoria, ove taluno degli iniziali litisconsorti, individuati fra le imprese del raggruppamento costituito o costituendo, non impugni la sentenza sfavorevole di primo grado (oppure rinunzi al ricorso in corso di causa).

Ritiene la Sezione che è infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, in quanto:
- per il consolidato orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato, nelle gare d’appalto, ciascun membro di un’associazione temporanea può impugnare a titolo individuale gli atti della procedura, atteso che il fenomeno del raggruppamento di imprese non dà luogo a un’entità giuridica autonoma che escluda la soggettività delle singole imprese che lo compongono (v., per tutte, Cons. St., Ad. Plen., 15.04.2010, n. 1);
- tale legittimazione –che si correla alla posizione sostanziale di interesse legittimo alla regolarità della procedura concorsuale, in relazione ai poteri autoritativi che fanno capo alla stazione appaltante nella fase di evidenza pubblica della selezione del contraente, ed alla consequenziale pretesa al risarcimento dei danni (in forma specifica e/o per equivalente monetario)– non viene meno, né trova limite quanto all’oggetto ed agli effetti della domanda di annullamento e della connessa domanda risarcitoria, ove taluno degli iniziali litisconsorti, individuati fra le imprese del raggruppamento costituito o costituendo, non impugni la sentenza sfavorevole di primo grado (oppure rinunzi al ricorso in corso di causa) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.05.2013 n. 2563 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nelle gare pubbliche la verifica dell'anomalia è necessaria, anche qualora non sussistano i presupposti che ne comportano l'obbligatorietà, quando gli elementi dell'offerta e l'entità del ribasso complessivo non trovino adeguata giustificazione negli atti e presentino evidenti o comunque seri dubbi di anomalia, in attuazione dei principi generali di efficacia, imparzialità, parità di trattamento e buon andamento dell'azione amministrativa.
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Il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni compiute in sede di verifica di anomalia delle offerte deve ritenersi circoscritto ai soli casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza, in considerazione della discrezionalità che connota dette valutazioni, come tali riservate alla stazione appaltante cui compete il più ampio margine di apprezzamento.
E tale principio deve ritenersi applicabile anche nella fase (precedente), in cui l’amministrazione ritiene di utilizzare (o non utilizzare) la facoltà di procedere al controllo di anomalia, ai sensi dell’art. 86, comma 3, del codice dei contratti pubblici.
Si deve poi aggiungere che è la scelta di effettuare la verifica facoltativa di anomalia che esige una espressa ed adeguata motivazione (in ordine alle ragioni ed agli elementi di fatto sulla base dei quali essa si sia risolta nel senso di attendere alla verifica di anomalia ai sensi del citato comma 3), mentre una motivazione non è (normalmente) necessaria quando l’amministrazione ritiene di non dover far uso di tale facoltà, il cui mancato esercizio non è pertanto censurabile.

Neppure ricorrevano le condizioni per l’attivazione del controllo facoltativo di cui al comma 3, del citato articolo 86, secondo cui «le stazioni appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa».
In proposito questa Sezione ha, di recente, affermato che nelle gare pubbliche la verifica dell'anomalia è necessaria, anche qualora non sussistano i presupposti che ne comportano l'obbligatorietà, quando gli elementi dell'offerta e l'entità del ribasso complessivo non trovino adeguata giustificazione negli atti e presentino evidenti o comunque seri dubbi di anomalia, in attuazione dei principi generali di efficacia, imparzialità, parità di trattamento e buon andamento dell'azione amministrativa (Consiglio di Stato, sez. III, 14.12.2012, n. 6442).
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Peraltro, si deve anche ricordare che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 36 del 29.11.2012, ha affermato che il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni compiute in sede di verifica di anomalia delle offerte deve ritenersi circoscritto ai soli casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza, in considerazione della discrezionalità che connota dette valutazioni, come tali riservate alla stazione appaltante cui compete il più ampio margine di apprezzamento.
E tale principio deve ritenersi applicabile anche nella fase (precedente), in cui l’amministrazione ritiene di utilizzare (o non utilizzare) la facoltà di procedere al controllo di anomalia, ai sensi dell’art. 86, comma 3, del codice dei contratti pubblici.
Si deve poi aggiungere che, come pure ricordato dal TAR, è la scelta di effettuare la verifica facoltativa di anomalia che esige una espressa ed adeguata motivazione (in ordine alle ragioni ed agli elementi di fatto sulla base dei quali essa si sia risolta nel senso di attendere alla verifica di anomalia ai sensi del citato comma 3), mentre una motivazione non è (normalmente) necessaria quando l’amministrazione ritiene di non dover far uso di tale facoltà (Consiglio di Stato, sez. VI, 27.07.2011, n. 4489), il cui mancato esercizio non è pertanto censurabile
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10.05.2013 n. 2533 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: In merito ai cosiddetti "lavori di somma urgenza".
Il comma 3 dell’art. 191 dlgs n. 267/2000 risulta essere una deroga alla disciplina ordinaria, una sorta di “autorizzazione” da parte del legislatore a derogare in presenza di situazioni che richiedono un intervento immediato (somma urgenza) a tutela di interessi primari.
Tale deroga è ammessa quindi solo in presenza dei presupposti indicati dal legislatore: necessità di lavori di somma urgenza e mancanza (o insufficienza) di fondi destinati a coprire la spesa relativa ai predetti lavori. Solo in presenza di tali presupposti l’Ente può procedere all’ordinazione dei lavori a terzi ed attivare la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio nei modi indicati dal terzo comma.
Allora, appare chiara la volontà del legislatore di consentire una deroga alla procedura ordinaria non ogni qualvolta vi siano lavori di somma urgenza ma solo allorquando non vi siano fondi a tal fine stanziati. In tale circostanza, difatti, non è possibile per l’Ente procedere all’impegno di somme sul competente capitolo o intervento di bilancio in quanto fondi non ve ne sono o non sono sufficienti.

Diversamente, la presenza di fondi a tal fine destinati o, in altre parole, quando l’Ente può attivare l’ordinaria procedura d’impegno, non risulta necessario ricorrere alla disciplina derogatoria ed attivare la procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio.

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... il Sindaco del Comune di Riva Ligure chiede alla Sezione di controllo un parere in merito alla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 191, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000, (come modificato dall'art. 3, comma 1, lettera i), legge n. 213 del 2012), in base a cui “Per i lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento eccezionale o imprevedibile, la Giunta, qualora i fondi specificamente previsti in bilancio si dimostrino insufficienti, entro dieci giorni dall'ordinazione fatta a terzi, su proposta del responsabile del procedimento, sottopone al Consiglio il provvedimento di riconoscimento della spesa con le modalità previste dall'articolo 194, comma 1, lettera e), prevedendo la relativa copertura finanziaria nei limiti delle accertate necessità per la rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica incolumità. Il provvedimento di riconoscimento è adottato entro 30 giorni dalla data di deliberazione della proposta da parte della Giunta, e comunque entro il 31 dicembre dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine. La comunicazione al terzo interessato è data contestualmente all'adozione della deliberazione consiliare.”
Il Sindaco chiede di conoscere se nel caso in cui per i lavori di somma urgenza i fondi previsti a bilancio siano sufficienti occorra seguire la procedura di cui all’art. 194 (riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio).
...
Quesito analogo era stato posto dalla provincia di La Spezia cui questa Sezione di controllo ha rilasciato parere con delibera n. 12 del 2013, dalle cui conclusioni questa Sezione non intende discostarsi.
Brevemente il Collegio, nel ripercorrere quanto già osservato nelle delibera suddetta, ritiene che non sia indifferente, al fine di un corretto percorso argomentativo, evidenziare l’allocazione della norma all’interno del TUEL. L’art. 191, difatti, fissa le “Regole per l'assunzione di impegni e per l'effettuazione di spese” nel rispetto dei “Principi di gestione e controllo di gestione” (CAPO IV).
Il primo comma della norma citata individua l’ordinaria procedura di spesa per cui l’Ente può attivarsi solo se sussistono l'impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria di cui all'articolo 153, comma 5. Solo dopo, il responsabile del servizio, conseguita l'esecutività del provvedimento di spesa, comunica al terzo interessato l'impegno e la copertura finanziaria, contestualmente all'ordinazione della prestazione.
Se questa, come detto, è la procedura ordinaria prevista dalla legge,
il comma 3 dell’articolato normativo risulta essere una deroga alla disciplina ordinaria, una sorta di “autorizzazione” da parte del legislatore a derogare in presenza di situazioni che richiedono un intervento immediato (somma urgenza) a tutela di interessi primari.
Tale deroga è ammessa quindi solo in presenza dei presupposti indicati dal legislatore: necessità di lavori di somma urgenza e mancanza (o insufficienza) di fondi destinati a coprire la spesa relativa ai predetti lavori. Solo in presenza di tali presupposti l’Ente può procedere all’ordinazione dei lavori a terzi ed attivare la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio nei modi indicati dal terzo comma.
Accendendo un faro sui due requisiti appena evidenziati
appare chiara la volontà del legislatore di consentire una deroga alla procedura ordinaria non ogni qualvolta vi siano lavori di somma urgenza ma solo allorquando non vi siano fondi a tal fine stanziati. In tale circostanza, difatti, non è possibile per l’Ente procedere all’impegno di somme sul competente capitolo o intervento di bilancio in quanto fondi non ve ne sono o non sono sufficienti.
Diversamente, la presenza di fondi a tal fine destinati o, in altre parole, quando l’Ente può attivare l’ordinaria procedura d’impegno, non risulta necessario ricorrere alla disciplina derogatoria ed attivare la procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio.
Come detto,
la deroga è una sorta di autorizzazione del legislatore con cui l’Ente può procedere a costituire un debito fuori bilancio al fine di tutelare interessi primari e consentire, successivamente, attivare un percorso che consenta l’individuazione delle risorse da destinare alla copertura finanziaria dei lavori ordinati in via d’urgenza.
Che poi tali fondi vadano reperiti ex novo o possano trovarsi all’interno del bilancio dell’Ente non interessa al fine della corretta applicazione della norma.

Altro non farà l’Ente, in sede di riconoscimento del debito, se non quello che è già previsto dagli artt. 175 (Variazioni al bilancio di previsione ed al piano esecutivo di gestione) e 193 (Salvaguardia degli equilibri di bilancio) del TUEL (Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria, parere 10.05.2013 n. 22).

APPALTIAppalti, la metà sarà verde. Dal 2014
Appalti pubblici da aggiudicare con criteri premianti per le offerte migliori sotto il profilo ambientale. Entro il 2014 qualificare come «verde» il 50% degli appalti cui si applicano i criteri ambientali minimi.

Sono queste alcune delle indicazioni contenute nel decreto 10.04.2013 siglato dall'ex ministro Corrado Clini che rivede, per l'anno 2013, il Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione (varato nel 2008), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 03.05.2013, n. 10.
La premessa dell'intervento risiede nella consapevolezza dell'importanza di un migliore uso degli appalti pubblici a sostegno di obiettivi politici e sociali dell'Unione europea, come risulta anche da diverse comunicazioni europee del 2010 e 2011. In quest'ottica assume particolare interesse il capitolo in materia di «appalti verdi e criteri ambientali minimi», che fornisce indicazioni per l'applicazione, negli appalti pubblici, degli elementi di valutazione ambientale all'interno del criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
I criteri ambientali minimi (Cam) consistono in indicazioni specifiche, applicabili per gli appalti sopra e sotto la soglia comunitaria in diversi settori (arredi, edilizia gestione dei rifiuti, servizi urbani, servizi energetici, elettronica, prodotti tessili, cancelleria, ristorazione, servizi di gestione degli edifici e trasporti). Per la fase di selezione, per esempio, si fa riferimento alla opportunità di «selezionare gli offerenti in base alla loro capacità tecnica di assicurare migliori prestazioni ambientali»; per la fase di aggiudicazione si ipotizzano criteri premianti con i quali valutare le offerte che offrono prestazioni o soluzioni tecniche più avanzate rispetto alle caratteristiche definite nel capitolato.
Il decreto sottolinea come le stazioni appaltanti per qualificare «verde» una procedura devono recepire almeno le prescrizioni tecniche, le clausole e le condizioni di esecuzione e selezione dei candidati previsti nei decreti attuativi del piano di azione (articolo ItaliaOggi del 10.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIEnti locali, 30 giorni per pagare. Ok all'emendamento su termini perentori - Per le Regioni 2,1 miliardi aggiuntivi.
LE NOVITÀ/ Via libera dei governatori al riparto da 7,2 miliardi Passa la modifica «salva Durc»: varrà la data di emissione della fattura.
Sprint della commissione Bilancio della Camera sul decreto per i pagamenti della Pa: lunedì arriverà il via libera definitivo garantendo l'approdo del provvedimento in Aula martedì mattina. Si è lavorato ancora a tarda sera, con i relatori Marco Causi (Pd) e Maurizio Bernardo (Pdl) impegnati a predisporre nuovi emendamenti su temi chiave a partire dal vincolo di destinazione per le società in house che dovranno girare «prioritariamente» i pagamenti ricevuti dalle amministrazioni ai loro creditori. Altri temi aperti sono il silenzio-assenso per la certificazione dei crediti, un ruolo più rilevante della Cassa depositi e prestiti, l'estensione della compensazione crediti commerciali-debiti fiscali (forse solo tra Stato e Stato).
Disco verde
Tra gli emendamenti approvati nella giornata di ieri rientra quello (primo firmatario Raffaello Vignali del Pdl) che fissa in 30 giorni dall'erogazione degli anticipi di liquidità agli enti locali il tempo massimo per saldare le imprese o i professionisti (sia per il 2013 sia per il 2014). Ma, paradossalmente, non c'è il via libera all'emendamento che fissava lo stesso principio anche per i pagamenti delle Regioni. Passa l'emendamento "salva Durc": «l'accertamento della regolarità contributiva è effettuato con riferimento alla data di emissione della fattura o di richiesta equivalente di pagamento».
La commissione presieduta da Francesco Boccia (Pd) ha accolto anche un emendamento del Movimento 5 Stelle che limita la possibilità per le Regioni di aumentare la pressione fiscale per procedere al pagamento delle aziende che vantano crediti nella sanità. Per coprire le anticipazioni, le Regioni dovranno varare «prioritariamente» misure «di riduzione della spesa corrente». Il principio, però, non è passato per la parte di debiti regionali non relativi alla sanità. Approvato l'emendamento dei relatori che apre ai debiti "fuori bilancio". Stop alla norma che, nel caso di maggiori anticipazioni di tesoreria utilizzate dai Comuni, vincolava una corrispondente quota del gettito Imu. Ancora in bilico l'emendamento, contestato da associazioni di settore a partire da Assobirra, che estenderebbe lo sblocco del patto di stabilità interno agli Ato e alle unioni di Comuni attingendo all'aumento delle aliquote su birra e alcol.
Enti locali e Regioni
Giornata chiave anche per Regioni ed enti locali, con le prime scadenze rispettate, a dimostrazione che la macchina attuativa per ora funziona. La Conferenza dei governatori ha stabilito il riparto di 7,2 miliardi che arriveranno dal Fondo liquidità dell'Economia per saldare i debiti regionali non sanitari. Poco meno della metà va al Lazio (3 miliardi) davanti a Campania (1,7 miliardi) e Piemonte (poco meno di 1,5 miliardi). Seguono Sicilia, Calabria, Toscana, Liguria, Molise, Marche. Le altre Regioni –e questa è di per sé è una notizia– non hanno presentato richieste perché non avrebbero debiti arretrati o avrebbero comunque sufficiente liquidità. Al tempo stesso la Conferenza ha trovato un'intesa, che dovrebbe confluire in un emendamento, per ampliare di 2,1 miliardi il patto verticale: le risorse saranno trasferite dalle Regioni a Comuni e Province per pagare i debiti di parte capitale contratti da questi ultimi con le imprese.
Sempre ieri, in Conferenza Stato-città, è stato raggiunto l'accordo sul riparto dei 5 miliardi di allentamento del patto di stabilità concesso agli enti locali. Unica novità rispetto a quanto anticipato ieri su questo giornale è che lo sblocco potrà essere utilizzato per «sostenere pagamenti in conto capitale» anziché «gli stati avanzamento lavori trasmessi entro l'08.04.2013». In pratica le risorse andranno distribuite prima per i debiti non estinti alla data di approvazione del decreto e solo dopo per quelli che nel frattempo sono stati pagati. Senza più alcuna distinzione tra appalti di lavori e altre forniture (articolo Il Sole 24 Ore del 10.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI FORNITURE - PATRIMONIO: Se sia possibile derogare al divieto di acquisto di beni immobili previsto dalla norma.
La novella dell'art. 12 del decreto-legge 06.07.2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111), operata dal comma 138 dell'art. 1 della legge 24.12.2012, n. 228 prevede che “Per l’anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti”.
La stessa disposizione eccettua poi dal proprio perimetro applicativo una serie di norme, e in particolare:
i. gli acquisti compiuti dagli enti previdenziali pubblici e privati (sic);
ii. le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate in data antecedente a quella di entrata in vigore del decreto;
iii. le operazioni di acquisto destinate a soddisfare le esigenze allocative in materia di edilizia residenziale pubblica;
iv. le operazioni di acquisto previste in attuazione di programmi e piani concernenti interventi di perequazione socio-territoriale.
L’inderogabilità della norma, e la tassatività delle eccezioni indicate, escludono in modo categorico che ulteriori casi di inapplicabilità della previsioni siano ravvisabili in relazione alla vantaggiosità dell’operazione, e quindi nel senso auspicato dal comune.

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Il comune istante richiede chiarimenti in merito alla corretta interpretazione dell'art. 12, comma 1-quater ss., del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, introdotto dall’art. 1, comma 138, della legge 24.12.2012, n. 228.
In particolare, il comune specifica di non essere in possesso di un idoneo magazzino dove poter sistemare i propri mezzi e i mezzi in dotazione ai gruppo di protezione civile e volontariato.
Tanto premesso, ed esposto di essere in trattative per l'acquisto di una porzione di laboratorio da adibire a magazzino, e di aver nel bilancio di previsione per l'anno 2013 copertura finanziaria per l'operazione di compravendita, il comune richiede se sia possibile derogare al divieto di acquisto di beni immobili previsto dalla norma in commento, attesa l’indubbia convenienza economica del prezzo richiesto dall’alienante e la transitorietà del divieto, che potrebbe impedire il conseguimento delle vantaggiose condizioni offerte.
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La novella dell'art. 12 del decreto-legge 06.07.2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111), operata dal comma 138 dell'art. 1 della legge 24.12.2012, n. 228 prevede che “Per l’anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti”.
La stessa disposizione eccettua poi dal proprio perimetro applicativo una serie di norme, e in particolare:
i. gli acquisti compiuti dagli enti previdenziali pubblici e privati (sic);
ii. le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate in data antecedente a quella di entrata in vigore del decreto;
iii. le operazioni di acquisto destinate a soddisfare le esigenze allocative in materia di edilizia residenziale pubblica;
iv. le operazioni di acquisto previste in attuazione di programmi e piani concernenti interventi di perequazione socio-territoriale.
L’inderogabilità della norma, e la tassatività delle eccezioni indicate, escludono in modo categorico che ulteriori casi di inapplicabilità della previsioni siano ravvisabili in relazione alla vantaggiosità dell’operazione, e quindi nel senso auspicato dal comune (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 08.05.2013 n. 200).

APPALTI: G.U. 08.05.2013 n. 106 "Procedimento per la soluzione delle controversie ai sensi dell’art. 6, comma 7, lettera n), del decreto legislativo 12.04.02006, n. 163" (AVCP, provvedimento 24.04.2013).

LAVORI PUBBLICI: Protezione civile. Responsabilità del sindaco.
In tema di responsabilità del sindaco quale organo della protezione civile (fattispecie relativa ad evento catastrofico verificatosi in Sarno il 05.05.1998 con conseguente decesso di 137 persone) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.05.2013 n. 19507 - tratto da www.lexambiente.it).

APPALTI: L’informativa antimafia non deve provare l’intervenuta infiltrazione o condizionamento essendo questi un quid pluris non richiesto, ma deve solo dimostrare sufficientemente la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo o il rischio di ingerenza ancor prima del suo concreto realizzarsi, elementi connessi dunque a situazioni anche solo potenzialmente pericolose per la vicinanza tra l’impresa sottoposta alla valutazione del Prefetto e soggetti ritenuti appartenenti alla criminalità organizzata, nella prospettiva di massima anticipazione della tutela antimafia propria della normativa di riferimento.
Si ricorda al riguardo che l’informativa antimafia non deve provare l’intervenuta infiltrazione o condizionamento essendo questi un quid pluris non richiesto, ma deve solo dimostrare sufficientemente la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo o il rischio di ingerenza ancor prima del suo concreto realizzarsi (Cons. Stato, VI 08.06.2009 n. 349), elementi connessi dunque a situazioni anche solo potenzialmente pericolose per la vicinanza tra l’impresa sottoposta alla valutazione del Prefetto e soggetti ritenuti appartenenti alla criminalità organizzata, nella prospettiva di massima anticipazione della tutela antimafia propria della normativa di riferimento (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 07.05.2013 n. 2478 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La mera partecipazione alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso. La situazione legittimante costituita dall'intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità della ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva.
Pertanto, la definitiva esclusione o l'accertamento della illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva.
Tale esito rimane fermo in tutti i casi in cui l'illegittimità della partecipazione alla gara è definitivamente accertata, sia per inoppugnabilità dell'atto di esclusione, sia per annullamento dell'atto di ammissione.

Ed invero, come chiarito dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio con la decisione n. 4/2011, la mera partecipazione alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso. La situazione legittimante costituita dall'intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità della ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva.
Pertanto, la definitiva esclusione o l'accertamento della illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva.
Tale esito rimane fermo in tutti i casi in cui l'illegittimità della partecipazione alla gara è definitivamente accertata, sia per inoppugnabilità dell'atto di esclusione, sia per annullamento dell'atto di ammissione.
Ne consegue l'inammissibilità del ricorso per non essere AVR legittimata alla relativa proposizione, attesa la acclarata illegittimità della sua ammissione e conseguente partecipazione alla gara per cui e causa (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.05.2013 n. 2460 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La scelta dei criteri più adeguati dell’offerta economicamente più vantaggiosa costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e, impingendo nel merito dell’azione amministrativa è sottratta al sindacato dio legittimità del giudice amministrativo, tranne che in relazione alla natura ed oggetto dell’appalto non sia manifestamente illogica, arbitraria, irragionevole o macroscopicamente viziata da travisamento dei fatti.
Nel criterio di aggiudicazione dell’appalto secondo l’offerta economicamente più vantaggiosa si tiene conto di una pluralità di elementi, quali il prezzo e la qualità, spettando all’amministrazione dare il peso a tali elementi fermo restando che la scelta di siffatti criteri di valutazione pur connotata da ampia discrezionalità, deve avvenire nel rispetto della proporzionalità, ragionevolezza e non discriminazione e sempre con riferimento all’oggetto dell’appalto.
Ebbene, l’inserimento tra i criteri di valutazione dell’offerta tecnica dell’elemento costituito dal costo della futura manutenzione delle opere di ristrutturazione si muove nell’ambito dei parametri di giudizio fissati da una copiosa giurisprudenza di questo Consesso, non appalesandosi la scelta della stazione appaltante illogica, né irragionevole e neppure non pertinente con l’oggetto dell’appalto.
Invero, ancorché si tratti di appalto di esecuzione di opere, non può negarsi o comunque escludersi una stretta connessione logica tra la realizzazione di opere di ristrutturazione e la successiva attività di manutenzione delle stesse, in un rapporto di “variabile dipendente” nel senso che ai fini di una migliore esecuzione delle opere a farsi ben può la stazione appaltante (se non deve) tener conto della proiezione in futuro della “tenuta” nel tempo di tali opere e quindi anche della maggiore o minore spesa che l’Amministrazione sarà “costretta” a sopportare per la connessa, sia pure successiva attività manutentiva ha la sua incidenza sulla qualità delle opere a farsi di guisa che non si vede alcunché di macroscopica (ma neppure minima) illogicità nella scelta di valutare un progetto migliorativo di opere di ristrutturazione alla luce anche della economicità derivante dalla futura manutenzione.

Va opportunamente qui richiamati alcuni principi giurisprudenziali intervenuti in subjecta materia e che debbono fungere da linee-guida per la comprensione e soluzione della problematica qui in rilievo.
Occorre allora premettere che la scelta dei criteri più adeguati dell’offerta economicamente più vantaggiosa costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e, impingendo nel merito dell’azione amministrativa è sottratta al sindacato dio legittimità del giudice amministrativo, tranne che in relazione alla natura ed oggetto dell’appalto non sia manifestamente illogica, arbitraria, irragionevole o macroscopicamente viziata da travisamento dei fatti (Cons. Stato Sez. IV 08.06.2007 n. 3103; sez. V 16.02.2009 n. 837).
Così sempre sul punto è stato evidenziato che nel criterio di aggiudicazione dell’appalto secondo l’offerta economicamente più vantaggiosa si tiene conto di una pluralità di elementi, quali il prezzo e la qualità, spettando all’amministrazione dare il peso a tali elementi fermo restando che la scelta di siffatti criteri di valutazione pur connotata da ampia discrezionalità, deve avvenire nel rispetto della proporzionalità, ragionevolezza e non discriminazione e sempre con riferimento all’oggetto dell’appalto (Cons. Stato Sez. V 11.01.2006 n. 28; Sez. V 21.11.2007 n. 5911).
Ebbene, l’inserimento tra i criteri di valutazione dell’offerta tecnica dell’elemento costituito dal costo della futura manutenzione delle opere di ristrutturazione si muove nell’ambito dei parametri di giudizio fissati da una copiosa giurisprudenza di questo Consesso, non appalesandosi la scelta della stazione appaltante illogica, né irragionevole e neppure non pertinente con l’oggetto dell’appalto.
Invero, ancorché si tratti di appalto di esecuzione di opere, non può negarsi o comunque escludersi una stretta connessione logica tra la realizzazione di opere di ristrutturazione e la successiva attività di manutenzione delle stesse, in un rapporto di “variabile dipendente” nel senso che ai fini di una migliore esecuzione delle opere a farsi ben può la stazione appaltante (se non deve) tener conto della proiezione in futuro della “tenuta” nel tempo di tali opere e quindi anche della maggiore o minore spesa che l’Amministrazione sarà “costretta” a sopportare per la connessa, sia pure successiva attività manutentiva ha la sua incidenza sulla qualità delle opere a farsi di guisa che non si vede alcunché di macroscopica (ma neppure minima) illogicità nella scelta di valutare un progetto migliorativo di opere di ristrutturazione alla luce anche della economicità derivante dalla futura manutenzione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.05.2013 n. 2444 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'esclusione da una gara di appalto, pur essendo un atto infraprocedimentale, determina per l'impresa esclusa un arresto procedimentale, idoneo a ledere, con immediatezza ed attualità, la sua sfera giuridica, da qui la necessità di sua impugnazione immediata, e non invece unitamente alla pubblicazione della graduatoria finale.
Tuttavia, qualora siano impugnate clausole del bando o della lettera di invito che prescrivano requisiti di ammissione o di partecipazione alla gara, la cui carenza determina immediatamente l'effetto escludente, il successivo atto di esclusione si configura come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già prodotta. Conseguentemente, in tali casi, l'impugnazione dell'atto finale non è necessaria, poiché fra i due atti vi è un rapporto di conseguenzialità immediata, diretta e necessaria, ponendosi l'atto successivo come inevitabile conseguenza di quello precedente, non essendovi pertanto da compiere nuove ed ulteriori valutazioni di interessi.

In base alla giurisprudenza consolidata, l'esclusione da una gara di appalto, pur essendo un atto infraprocedimentale, determina per l'impresa esclusa un arresto procedimentale, idoneo a ledere, con immediatezza ed attualità, la sua sfera giuridica (TAR Campania, Salerno, Sez. I 04.07.2011 n. 1240), da qui la necessità di sua impugnazione immediata, e non invece unitamente alla pubblicazione della graduatoria finale (TAR Sicilia, Palermo, Sez. II 13.03.2012 n. 517).
Tuttavia, qualora siano impugnate clausole del bando o della lettera di invito che prescrivano requisiti di ammissione o di partecipazione alla gara, la cui carenza determina immediatamente l'effetto escludente, il successivo atto di esclusione si configura come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già prodotta (TAR Lazio, Roma, Sez. I, 06.07.2012 n. 6163). Conseguentemente, in tali casi, l'impugnazione dell'atto finale non è necessaria, poiché fra i due atti vi è un rapporto di conseguenzialità immediata, diretta e necessaria, ponendosi l'atto successivo come inevitabile conseguenza di quello precedente, non essendovi pertanto da compiere nuove ed ulteriori valutazioni di interessi (C.S., Sez. V, 08.03.2011 n. 1463)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 03.05.2013 n. 1139 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La mancata presentazione di garanzie e coperture assicurative costituisce giusto motivo di esclusione o di revoca dell’aggiudicazione; inoltre, a seguito della novella del 2011, la giurisprudenza ha chiarito che la disposizione dell’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici impone una diversa interpretazione dell’art. 75, e rende evidente l’intento di ritenere sanabile o regolarizzabile la mancata prestazione della cauzione provvisoria, al contrario della cauzione definitiva, che garantisce l’impegno più consistente della corretta esecuzione del contratto e giustifica l’esclusione dalla gara.
Alla luce dell’art. 4.3 del disciplinare di gara, il primo sollecito testuale dei documenti risale al 15/09/2009, e l’amministrazione ha accordato un termine ben superiore ai 20 giorni prescritti, dilazionandolo fino al 23/10/2009.
E’ stato affermato al riguardo che “l'escussione della cauzione provvisoria nel caso specifico si fonda legittimamente sull'omessa produzione documentale … e, in particolare, in base alla previsione contenuta nel capitolato speciale d'appalto (c.s.a.), che al punto … imponeva all'aggiudicataria provvisoria l'obbligo di costituire la cauzione definitiva ex articolo 113 del decreto legislativo 12.04.2006 n. 163 entro il termine massimo di 15 giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione provvisoria, statuendo inoltre che la mancata costituzione della cauzione definitiva determina la revoca dell’aggiudicazione e l'incameramento della cauzione provvisoria di cui all'articolo 75 del decreto legislativo 163 del 2006 …”.
Dunque, le statuizioni in questa sede censurate hanno costituito la puntuale applicazione degli atti di gara, ai quali l’amministrazione si è accostata con un’interpretazione non severa, concedendo invero (ma inutilmente) un arco temporale assolutamente congruo.

Per giurisprudenza costante, la mancata presentazione di garanzie e coperture assicurative costituisce giusto motivo di esclusione o di revoca dell’aggiudicazione (Consiglio di Stato, sez. IV – 20/04/2010 n. 2199); inoltre, a seguito della novella del 2011, la giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. III – 01/02/2012 n. 493, richiamata da TAR Lazio Roma, sez. II – 03/01/2013 n. 16) ha chiarito che la disposizione dell’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici impone una diversa interpretazione dell’art. 75, e rende evidente l’intento di ritenere sanabile o regolarizzabile la mancata prestazione della cauzione provvisoria, al contrario della cauzione definitiva, che garantisce l’impegno più consistente della corretta esecuzione del contratto e giustifica l’esclusione dalla gara.
Alla luce dell’art. 4.3 del disciplinare di gara, il primo sollecito testuale dei documenti risale al 15/09/2009, e l’amministrazione ha accordato un termine ben superiore ai 20 giorni prescritti, dilazionandolo fino al 23/10/2009. E’ stato affermato al riguardo (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 16/09/2011 n. 5213) che “l'escussione della cauzione provvisoria nel caso specifico si fonda legittimamente sull'omessa produzione documentale … e, in particolare, in base alla previsione contenuta nel capitolato speciale d'appalto (c.s.a.), che al punto … imponeva all'aggiudicataria provvisoria l'obbligo di costituire la cauzione definitiva ex articolo 113 del decreto legislativo 12.04.2006 n. 163 entro il termine massimo di 15 giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione provvisoria, statuendo inoltre che la mancata costituzione della cauzione definitiva determina la revoca dell’aggiudicazione e l'incameramento della cauzione provvisoria di cui all'articolo 75 del decreto legislativo 163 del 2006 …”.
Dunque, le statuizioni in questa sede censurate hanno costituito la puntuale applicazione degli atti di gara, ai quali l’amministrazione si è accostata con un’interpretazione non severa, concedendo invero (ma inutilmente) un arco temporale assolutamente congruo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 03.05.2013 n. 401 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La norma invocata (art. 11, comma 9, del Codice dei contratti) attribuisce al soggetto affidatario una facoltà di recesso laddove vi sia un'inerzia della stazione appaltante nella fase di stipulazione del contratto ossia quando, ad esempio, la stessa non inviti la Società vincitrice a tale adempimento entro il termine di 60 giorni dall'aggiudicazione della gara (o, comunque, entro il diverso termine previsto nella lex specialis).
Invero, la norma in argomento mira a introdurre una clausola di garanzia in favore dell'operatore economico aggiudicatario che autorizza quest'ultimo a non rimanere sine die vincolato all'offerta che ha presentato in sede di gara, senza che nei termini previsti dalla citata previsione si concluda l'iter procedimentale e si addivenga alla stipula del contratto. Dal chiaro tenore dell'enunciato si evince che la finalità della norma è quella di evitare che la stazione appaltante possa procrastinare indefinitamente gli adempimenti prescritti dalla legge per il perfezionamento del vincolo negoziale, in violazione del principio di affidamento nonché dei canoni di imparzialità e buon andamento che ne sono esplicazione: qualora, tuttavia, sia l'aggiudicatario ad assumere un atteggiamento ingiustificatamente dilatorio verso gli adempimenti prescritti dalla legge a suo carico, non sorgono in capo allo stesso affidamenti di sorta meritevoli di tutela, con conseguente inefficacia dell'atto di scioglimento dal vincolo eventualmente notificato.
In altre parole, la facoltà prevista dall'articolo 11, comma 9, non può essere esercitata dall'aggiudicataria in piena libertà (o comunque assumendo atteggiamenti dilatori idonei a far decorrere il termine ivi previsto), bensì è subordinata alle condizioni appena esposte.

La doglianza è priva di pregio, poiché la norma invocata (art. 11, comma 9, del Codice dei contratti) attribuisce al soggetto affidatario una facoltà di recesso laddove vi sia un'inerzia della stazione appaltante nella fase di stipulazione del contratto ossia quando, ad esempio, la stessa non inviti la Società vincitrice a tale adempimento entro il termine di 60 giorni dall'aggiudicazione della gara (o, comunque, entro il diverso termine previsto nella lex specialis).
Come ha messo in evidenza la giurisprudenza (TAR Lazio Roma, sez. III – 29/03/2013 n. 3227), la norma in argomento mira a introdurre una clausola di garanzia in favore dell'operatore economico aggiudicatario che autorizza quest'ultimo a non rimanere sine die vincolato all'offerta che ha presentato in sede di gara, senza che nei termini previsti dalla citata previsione si concluda l'iter procedimentale e si addivenga alla stipula del contratto. Dal chiaro tenore dell'enunciato si evince che la finalità della norma è quella di evitare che la stazione appaltante possa procrastinare indefinitamente gli adempimenti prescritti dalla legge per il perfezionamento del vincolo negoziale, in violazione del principio di affidamento nonché dei canoni di imparzialità e buon andamento che ne sono esplicazione: qualora, tuttavia, sia l'aggiudicatario ad assumere un atteggiamento ingiustificatamente dilatorio verso gli adempimenti prescritti dalla legge a suo carico, non sorgono in capo allo stesso affidamenti di sorta meritevoli di tutela, con conseguente inefficacia dell'atto di scioglimento dal vincolo eventualmente notificato (cfr. TAR Campania Napoli, sez. I – 06/03/2013 n. 1236).
In altre parole, la facoltà prevista dall'articolo 11, comma 9, non può essere esercitata dall'aggiudicataria in piena libertà (o comunque assumendo atteggiamenti dilatori idonei a far decorrere il termine ivi previsto), bensì è subordinata alle condizioni appena esposte che, nel caso di specie, non sussistono: infatti, nessuna inerzia è addebitabile alla stazione appaltante nella fase susseguente all'aggiudicazione definitiva, in quanto quest'ultima ha tempestivamente richiesto alla ricorrente la documentazione comprovante il possesso dei requisiti dichiarati in sede di gara, così manifestando la chiara intenzione di giungere alla stipulazione del contratto.
L'inerzia o comunque l'atteggiamento dilatorio è invece ascrivibile alla ricorrente, che non ha inviato alla stazione appaltante la documentazione reiteratamente richiesta e che, in seguito, con nota del 22/10/2009 ha manifestato (sia pure in via subordinata) la volontà di non voler procedere alla sottoscrizione del contratto
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 03.05.2013 n. 401 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In sede di verifica possono essere rimodulate le quantificazioni dei costi e dell’utile purché non venga modificato l’importo complessivo della offerta formulata, atteso che (premesso che nell'interpretazione del dato normativo non può trascurarsi che la "ratio" cui è preordinato il meccanismo di verifica della offerta anomala è pur sempre la piena affidabilità della proposta contrattuale, senza però che possa essere modificato l'importo complessivo dell'offerta presentata) è condivisibile l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'impresa aggiudicataria può, nell'ambito del subprocedimento di verifica della congruità dell'offerta presentata, rimodulare le quantificazioni dei costi e dell'utile, indicate nella relazione giustificativa dell'offerta economica.
Il subprocedimento di giustificazione dell'offerta anomala deve prevedere la inammissibilità solo delle giustificazioni che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta che invece non è stata adeguatamente meditata, risultano tardivamente finalizzate ad un'allocazione dei costi diversi rispetto a quella originariamente indicata.
Per le stesse ragioni non è consentita l'immotivata rimodulazione di voci di costo al solo scopo di far quadrare i conti, al fine cioè di assicurare che il prezzo complessivo offerto resti immutato, superando le contestazioni della stazione appaltante su alcune voci di costo; ciò proprio perché, nel giudizio di congruità dell'offerta, esplicazione di valutazioni tecniche sindacabili solo in caso di illogicità manifesta o di erroneità fattuale, non è in questione soltanto della generica capienza dell'offerta, ma anche la sua serietà.

Pure condivisibile è la tesi che in sede di verifica possono essere rimodulate le quantificazioni dei costi e dell’utile purché non venga modificato l’importo complessivo della offerta formulata, atteso che (premesso che nell'interpretazione del dato normativo non può trascurarsi che la "ratio" cui è preordinato il meccanismo di verifica della offerta anomala è pur sempre la piena affidabilità della proposta contrattuale, senza però che possa essere modificato l'importo complessivo dell'offerta presentata) è condivisibile l'orientamento giurisprudenziale (Consiglio Stato, Sez. V, sent. n. 653 del 10.2.2010) secondo cui l'impresa aggiudicataria può, nell'ambito del subprocedimento di verifica della congruità dell'offerta presentata, rimodulare le quantificazioni dei costi e dell'utile, indicate nella relazione giustificativa dell'offerta economica.
Il subprocedimento di giustificazione dell'offerta anomala deve prevedere la inammissibilità solo delle giustificazioni che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta che invece non è stata adeguatamente meditata, risultano tardivamente finalizzate ad un'allocazione dei costi diversi rispetto a quella originariamente indicata. Per le stesse ragioni non è consentita l'immotivata rimodulazione di voci di costo al solo scopo di far quadrare i conti, al fine cioè di assicurare che il prezzo complessivo offerto resti immutato, superando le contestazioni della stazione appaltante su alcune voci di costo; ciò proprio perché, nel giudizio di congruità dell'offerta, esplicazione di valutazioni tecniche sindacabili solo in caso di illogicità manifesta o di erroneità fattuale, non è in questione soltanto della generica capienza dell'offerta, ma anche la sua serietà (Consiglio di Stato, sez. V, 30.11.2012, n. 6117) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.05.2013 n. 2401 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'amministrazione appaltante può esercitare il potere di annullare un procedimento di gara, allorquando non sia intervenuto l'atto conclusivo (aggiudicazione definitiva).
E' legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto, disposta in una fase non ancora definita della procedura concorsuale, ancora prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso, motivato anche con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in quanto la ricordata disposizione ammette un ripensamento da parte della amministrazione a seguito di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.
Inoltre, è stato ripetutamente ribadito che fino a quando non sia intervenuta l'aggiudicazione, rientra nel potere discrezionale dell'amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara, puntualizzando che le ragioni tecniche nell'organizzazione del servizio attinenti le concrete modalità di esecuzione, il riassetto societario, la volontà di provvedere in autoproduzione e non mediante esternalizzazione, la necessità di consentire attraverso tale scelta organizzativa un maggior assorbimento di personale in un quadro di attività concertate in sede sindacale mirante alla valorizzazione del personale interno, sono tutti profili attinenti al merito dell'azione amministrativa e di conseguenza insindacabili da parte del giudice, in assenza di palesi e manifesti indici di irragionevolezza; anche il riferimento al risparmio economico derivante dalla revoca è stato ritenuto legittimo motivo della stessa.
Conseguentemente, nel caso di specie, la mera adozione dell'atto di revoca dell'approvazione del progetto posto a base di gara, non costituisce di per sé elusione del giudicato, atteso che, l'amministrazione appaltante può esercitare il potere di annullare un procedimento di gara, allorquando non sia intervenuto l'atto conclusivo (aggiudicazione definitiva) oppure quando, a seguito dell'annullamento giurisdizionale, l'aggiudicazione definitiva sia stata annullata ed il procedimento di gara sia regredito alla fase di valutazione delle offerte presentate, sempre che ne sussistano i presupposti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.05.2013 n. 2400 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: L’amministrazione è notoriamente titolare del potere, riconosciuto dall’art. 21-quinquies della legge 07.08.1990, n. 241, di revocare per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, un proprio precedente provvedimento amministrativo.
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E' stato considerato legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto, disposta in una fase non ancora definita della procedura concorsuale, ancora prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso, motivato anche con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in quanto la ricordata disposizione ammette un ripensamento da parte della amministrazione a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
E' stato ripetutamente ribadito che fino a quando non sia intervenuta l’aggiudicazione, rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara, puntualizzando che le ragioni tecniche nell’organizzazione del servizio attinenti le concrete modalità di esecuzione, il riassetto societario, la volontà di provvedere in autoproduzione e non mediante esternalizzazione, la necessità di consentire attraverso tale scelta organizzativa un maggior assorbimento di personale in un quadro di attività concertate in sede sindacale mirante alla valorizzazione del personale interno, sono tutti profili attinenti al merito dell’azione amministrativa e di conseguenza insindacabili da parte del giudice, in assenza di palesi e manifesti indici di irragionevolezza.
Anche il riferimento al risparmio economico derivante dalla revoca è stato ritenuto legittimo motivo della stessa.

Con particolare riferimento alla specifica fattispecie in esame deve poi aggiungersi che l’amministrazione è notoriamente titolare del potere, riconosciuto dall’art. 21-quinquies della legge 07.08.1990, n. 241, di revocare per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, un proprio precedente provvedimento amministrativo (C.d.S., sez. V, 18.01.2011, n. 283).
Con riguardo alle procedure ad evidenza pubblica è stato considerato legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto, disposta in una fase non ancora definita della procedura concorsuale, ancora prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso, motivato anche con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in quanto la ricordata disposizione ammette un ripensamento da parte della amministrazione a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (C.d.S., sez. III, 15.11.2011, n. 6039; 13.04.2011, n. 2291); è stato ripetutamente ribadito che fino a quando non sia intervenuta l’aggiudicazione, rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara, puntualizzando che le ragioni tecniche nell’organizzazione del servizio attinenti le concrete modalità di esecuzione, il riassetto societario, la volontà di provvedere in autoproduzione e non mediante esternalizzazione, la necessità di consentire attraverso tale scelta organizzativa un maggior assorbimento di personale in un quadro di attività concertate in sede sindacale mirante alla valorizzazione del personale interno, sono tutti profili attinenti al merito dell’azione amministrativa e di conseguenza insindacabili da parte del giudice, in assenza di palesi e manifesti indici di irragionevolezza (C.d.S., sez. V, 09.04.2010, n. 1997); anche il riferimento al risparmio economico derivante dalla revoca è stato ritenuto legittimo motivo della stessa (C.d.S., sez. V, 08.09.2011, n. 5050) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.05.2013 n. 2400 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il riconoscimento del danno da perdita di chance non può intendersi subordinato all'offerta in giudizio da parte dell’interessato di una prova in termini di certezza, perché ciò è oggettivamente incompatibile con la natura di tale voce di danno, risultando quindi sufficiente che gli elementi addotti, in virtù del principio contenuto nell'art. 2697 c.c., consentano una prognosi concreta e ragionevole circa la possibilità di vantaggi futuri, invece impediti a causa della condotta illecita altrui.
La censura è infondata.
Ed invero, nel giudizio di primo grado la Cooperativa ha agito per ottenere il ristoro del danno subito per l’inutile partecipazione ad una gara ab origine viziata e per la perdita della chance di vedersi aggiudicato l’appalto, laddove l’amministrazione avesse provveduto come di dovere a rinnovare la procedura concorsuale.
In particolare, la perdita di chance è stata causata dal permanere nella gestione del servizio dell’aggiudicataria e dalle proroghe a questa concesse dal Comune dell’Aquila, poi annullate dal Tar Abruzzo .
La mancata indizione di una nuova gara e le illegittime proroghe del servizio, infatti, hanno frustrato l’interesse della Cooperativa alla partecipazione ad una nuova procedura concorsuale che avrebbe dovuto essere indetta e che la stessa, anche in forza dell’esperienza maturata per aver nel passato svolto il servizio, avrebbe potuto aggiudicarsi.
Nella peculiare situazione di fatto testé delineata, quindi, la mera caducazione degli atti di gara non risulta oggettivamente sufficiente a ristorare il danno subito dalla Cooperativa, contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante.
Le citate voci di danno, peraltro, conseguono direttamente agli atti impugnati ed annullati, senza che possa pretendersi dalla Cooperativa la prova che si sarebbe certamente aggiudicata il servizio all’esito della rinnovata gara.
Infatti, come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza anche di questa Sezione, il riconoscimento del danno da perdita di chance non può intendersi subordinato all'offerta in giudizio da parte dell’interessato di una prova in termini di certezza, perché ciò è oggettivamente incompatibile con la natura di tale voce di danno, risultando quindi sufficiente che gli elementi addotti, in virtù del principio contenuto nell'art. 2697 c.c., consentano una prognosi concreta e ragionevole circa la possibilità di vantaggi futuri, invece impediti a causa della condotta illecita altrui (così Cons. Stato, Sez. V, 18.04.2012, n. 225).
E non v’è dubbio, come la mancata indizione della nuova gara e le illegittime proroghe di cui alla delibera della Giunta del Comune dell’Aquila in data 29.04.2003, abbiano oggettivamente compromesso la possibilità, per la Cooperativa, di ottenere futuri vantaggi.
Pertanto, attesa la peculiarità della fattispecie, del tutto correttamente il primo giudice ha liquidato il danno patito dalla Cooperativa in via equitativa, sulla base di obiettivi dati dalla stessa forniti, relativi al valore dell’appalto (assumendo a parametro l’offerta formulata dall’aggiudicataria) ed alla stima dell’utile conseguibile (in relazione alla prevista durata dello stesso, anche a seguito delle proroghe concesse) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.05.2013 n. 2399 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: L'affidamento dell'uso e della gestione degli impianti sportivi comunali deve essere qualificato come concessione di pubblico servizio.
Deve essere qualificato come concessione di pubblico servizio l'affidamento dell'uso e della gestione dell'impianto sportivo comunale, in quanto il bene affidato in uso rientra, nella previsione dell'ultimo capoverso dell'art. 826 cod. civ., ossia in quella relativa ai beni di proprietà dei comuni destinati ad un pubblico servizio e perciò assoggettati al regime dei beni patrimoniali indisponibili, i quali, giusto il disposto dell'art. 828, non possono essere sottratti alla loro destinazione.
Su tali beni insiste dunque un vincolo funzionale, coerente con la loro vocazione naturale ad essere impiegati in favore della collettività, per attività di interesse generale; la conduzione di impianti sportivi sottende a tale tipologia di attività, l'ordinamento sportivo è, infatti, connotato da un'organizzazione di stampo pubblicistico, con al vertice il CONI, ente pubblico, e quindi le federazioni sportive, qualificate dalla legge istitutiva di detto ente come organi dello stesso, soggetti incaricate di funzioni di interesse generale, consistenti nella promozione ed organizzazione dello sport (artt. 2, 3 e 5 l. n. 426/1942, istitutiva del CONI) ed invero, oggetto di concessione non è solo il loro uso, ma anche la relativa gestione, trattandosi, di attività rivolta a finalità di pubblico interesse, consistenti nel caso di specie nella fruizione di campi sportivi. Pertanto, nel caso di specie, ricorrono tutti gli indici che la giurisprudenza richiede per qualificare un'attività come servizio pubblico, e cioè:
a) l'imputabilità e la titolarità in capo all'ente pubblico;
b) la sua destinazione a soddisfare interesse di carattere generale della collettività;
c) la predisposizione di un programma di gestione, vincolante per il privato incaricato della gestione, con la previsione obblighi di condotta e l'imposizione di standards qualitativi;
d) il mantenimento in capo all'amministrazione concedente di poteri di indirizzo, vigilanza ed intervento, affinché il programma sia rispettato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.05.2013 n. 2385 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: White list appalti, fuori senza convenevoli.
Il rigetto della domanda di iscrizione negli elenchi degli appaltatori «puliti» ai fini antimafia non deve essere preceduto necessariamente da informazione interdittiva e può prescindere da essa; necessario il massimo coordinamento fra le prefetture.

È quanto precisa un comunicato dell'Interno, in G.U. 99 del 19.04.2013.
In particolare veniva posta all'attenzione la questione se il diniego di iscrizione di un operatore economico in una delle white list, istituite ai sensi dell'art. 5-bis del dl 74/2012 debba essere preceduto dall'emissione di un'informazione interdittiva ovvero possa essere adottato anche in assenza di tale provvedimento.
In realtà la questione si poneva in quanto spesso vengono chiamate in causa almeno due prefetture, qualora quella di presentazione della domanda di iscrizione non corrisponda a quella di esecuzione delle verifiche antimafia. La disciplina applicabile prevede, in sintesi che: le verifiche antimafia sono di competenza della prefettura dove ha sede l'impresa interessata all'iscrizione nelle white list; in caso di sede dell'impresa in provincia diversa da quella dove si chiede l'iscrizione occorre attivare il prefetto competente; in caso emergano situazioni di controindicazione è il prefetto a cui è proposta la domanda a rigettarla dando informazione al prefetto competente territorialmente.
Da questo quadro il comunicato deduce che «non vi è cenno nelle disposizioni richiamate all'adozione di un'informazione antimafia, né di tipo liberatorio, propedeutica, in ipotesi, all'iscrizione nelle white list, né di tipo interdittivo, preliminare, nell'ipotesi inversa, al diniego di iscrizione».
E ancora: per le persone giuridiche la nozione di sede deve ricavarsi da quella citata nell'atto costitutivo o nello statuto; il prefetto a cui è stata rivolta la domanda di iscrizione non deve pedissequamente attenersi solo agli elementi trasmessi dall'altro prefetto; il prefetto che ha negato l'iscrizione dovrà adeguatamente evidenziare gli elementi di valutazione; serve maggiore circolarità e raccordo informativo nell'attività di valutazione e di decisione delle istanze di iscrizione nelle white list fra le diverse prefetture (articolo ItaliaOggi dell'01.05.2013).

APPALTI: G. F. Nicodemo, Sull’esclusione per ‘‘grave negligenza’’ quando è commessa a danno di altre p.a. (Urbanistica e appalti n. 5/2013).

aprile 2013

APPALTI SERVIZI: R. Caranta, Accordi tra amministrazioni e contratti pubblici (Urbanistica e appalti n. 4/2013 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: S. Usai, Il potere/dovere della stazione appaltante di non assegnare l'appalto in presenza di motivate ragioni di interesse pubblico (L'ufficio tecnico n. 4/2013).

LAVORI PUBBLICI: G.P. D'Incecco Bayard De Volo, Appalti pubblici: l’importanza della verifica ai fini della validazione dei progetti. Un momento di sintesi delle scelte di merito del progettista e degli obiettivi che l’amministrazione intende perseguire. La verifica ai fini della validazione dei progetti non va considerata come l’ennesimo appesantimento burocratico ma come l’occasione di accelerazione dei tempi realizzativi e strumento di deflazione del contenzioso in materia di appalti pubblici (Diritto e Pratica Amministrativa n. 4/2013).

APPALTI: S. Usai, La nomina della commissione aggiudicatrice nel cottimo fiduciario (Urbanistica e appalti n. 4/2013).

APPALTI: M. Romeo, Indirizzi giurisprudenziali in tema di revoca della gara d’appalto e responsabilità precontrattuale della P.A. - CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE V, SENTENZA 15.07.2013 N. 3831 (Rassegna Avvocatura dello Stato n. 1/2014).
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SOMMARIO: 1. La revoca della gara d’appalto. - 2. Legittimità della revoca e responsabilità dell’amministrazione. - 3. Elementi distintivi della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione. - 4. Considerazioni conclusive.

APPALTI: G. Guccione, Azione generale di arricchimento nei confronti della P.A. e problematiche sulla determinazione del quantum indennizzabile - CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, SENTENZA 07.06.2013 N. 3133 (Rassegna Avvocatura dello Stato n. 1/2014).
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SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Inquadramento generale dell'istituto - 3. L’accertamento della misura dell’arricchimento dovuto

LAVORI PUBBLICI: Realizzazione opere pubbliche su beni patrimoniali indisponibili.
Per orientamento consolidato della giurisprudenza, la disponibilità dei beni demaniali (e similmente quella dei beni patrimoniali indisponibili) dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni, attesa la loro destinazione alla diretta realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente attribuita ad un soggetto diverso dall'ente titolare del bene solo mediante concessione amministrativa, la cui struttura risulta dalla convergenza di un negozio unilaterale ed autoritativo della p.a. (provvedimento di concessione) e di una convenzione attuativa di diritto privato, che pone diritti ed obblighi in capo all'ente concedente ed al concessionario.
Qualora, nell'ambito della concessione, l'ente pubblica conceda l'uso dell'area demaniale, o patrimoniale indisponibile, con facoltà per il concessionario di procedere alla costruzione di un manufatto, il diritto del concessionario si atteggia quale diritto di superficie, per cui colui che costruisce acquista la proprietà della costruzione soprastante il suolo (art. 952, c.c.).
In particolare, il diritto di proprietà del soggetto che costruisce (superficiario) si configura diritto di consistenza reale ma temporaneo, in quanto ha la stessa (limitata) durata della concessione del bene demaniale (o patrimoniale indisponibile) e si estingue, a norma dell'art. 953, c.c., con la revoca della concessione o per la scadenza del termine di durata della stessa, con incremento per accessione della proprietà del 'domimus soli'. Gli effetti dell'accessione automatica non possono essere derogati dall'autonomia negoziale delle parti.
Ai sensi dell'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 327/2001, è possibile espropriare un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato o di altri enti pubblici solo per perseguire un interesse pubblico di rilievo superiore a quello soddisfatto con la precedente destinazione.

Il Comune chiede alcuni chiarimenti in ordine alla procedura da seguire per la realizzazione di un'opera pubblica (pista ciclabile) su un argine di canale che risulta appartenere ad un ente pubblico economico, con specifico riguardo all'istituto giuridico utilizzabile, tenuto conto che la nuova costruzione non verrebbe ad inficiare l'utilizzo pubblico già in corso.
Si ritiene utile per la disamina del quesito posto dal Comune muovere da alcune considerazioni sulla natura dell'argine.
Nel nostro ordinamento, le acque pubbliche fanno parte del demanio necessario (idrico) dello Stato. L'art. 822, c.c., prevede, infatti, che 'appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico... i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia'
[1].
La giurisprudenza ha chiarito che la demanialità dei corsi d'acqua pubblici (nel caso esaminato dalla Corte si trattava di un fiume), prevista dalla disposizione codicistica, comporta la demanialità dell'alveo ('principio di inseparabilità tra acqua ed alveo')
[2] ed, altresì, che l'alveo è la parte di terreno coperta dal fiume con le piene ordinarie, affermando che 'fanno parte del demanio idrico, perché rientrano nel concetto di alveo, le sponde e le rive interne dei fiumi, cioè le zone soggette ad essere sommerse dalle piene ordinarie'. Per contra, invece, 'le sponde e le rive esterne, che possono essere invase dalle acque solo in caso di piene straordinarie, appartengono ai proprietari dei fondi rivieraschi' [3].
Per quanto concerne, specificamente, gli argini, la giurisprudenza ha chiarito che anch'essi sono una parte dell'alveo e, precisamente, quella porzione che vale a delimitarla, con la conseguenza che il terreno posto dal lato dove scorre il fiume e che resta coperto dalle piene ordinarie è soggetto al regime del demanio, mentre il resto è suscettibile di privata appartenenza
[4].
Nel caso di specie, viene in considerazione l'argine per la parte esterna, il quale risulta appartenere ad un ente pubblico economico non commerciale costituito da proprietari privati e attualmente interessato da un'opera pubblica diretta al soddisfacimento di un pubblico interesse.
Ai sensi dell'art. 830, comma secondo, c.c., ai beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali che sono destinati a un pubblico servizio si applica la disposizione di cui all'art. 828, comma secondo, c.c., in base alla quale i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Da una lettura combinata degli artt. 830 e 828, comma secondo, c.c., risulta la riconducibilità dei beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali al patrimonio indisponibile in quanto destinati a soddisfare un pubblico servizio
[5].
Venendo al caso di specie, posta l'appartenenza dell'argine ad un ente pubblico economico e il suo attuale utilizzo pubblico, si può affermarne la natura di bene patrimoniale indisponibile (artt. 830 e 828, comma secondo, c.c.).
Un tanto premesso, si passa ora ad esaminare la questione posta dal Comune circa la procedura da seguire per la realizzazione della nuova opera pubblica, tenuto conto di quanto lo stesso precisa sul fatto che questa non verrebbe a compromettere l'utilizzo pubblico in corso, che anzi potrebbe essere migliorato.
Ai sensi dell'art. 823, c.c., i beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano: norma dalla quale si è tratto che la disponibilità dei beni demaniali (e similmente quella dei beni patrimoniali indisponibili) dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni, attesa la loro destinazione alla diretta realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente attribuita ad un soggetto diverso dall'ente titolare del bene solo mediante concessione amministrativa
[6].
Circa la struttura del provvedimento in questione, questo risulta dalla convergenza di un negozio unilaterale ed autoritativo della p.a. (provvedimento di concessione) e di una convenzione attuativa di diritto privato, che pone diritti ed obblighi in capo all'ente concedente ed al concessionario
[7], ma la cui efficacia è subordinata al provvedimento amministrativo, unilateralmente revocabile da parte della p.a. per sopravvenuta incompatibilità con il pubblico interesse [8].
Nel caso in esame, l'ente pubblico economico, proprietario dell'argine, potrà utilizzare lo strumento della concessione per attribuire diritti al Comune istante in relazione all'utilizzo dell'argine. In ogni modo, gli aspetti relativi alla disciplina della concessione -onerosità, salvaguardia dell'interesse pubblico cui il bene è destinato (che l'Ente riferisce non verrebbe intaccato dalla nuova opera)- possono essere oggetto di regolamentazione da parte dell'ente pubblico del cui patrimonio indisponibile l'argine fa parte.
Nell'ambito della concessione, l'ente pubblico economico potrebbe concedere al Comune l'uso dell'argine per un determinato periodo di tempo, con riconoscimento al Comune medesimo del diritto di costruire un'opera al di sopra dell'argine. In tal caso, non vi è dubbio che il diritto del (Comune) concessionario avrebbe elementi identici al diritto di superficie
[9], per cui colui che costruisce acquista la proprietà della costruzione soprastante il suolo (proprietà superficiaria, art. 952, c.c.) [10].
Con riferimento a quest'ultimo aspetto, corre, tuttavia, l'obbligo di evidenziare le considerazioni della giurisprudenza relative al diritto di superficie su suolo demaniale (e che possono tornare utili anche con riferimento ai beni del patrimonio indisponibile). Per il Giudice di legittimità
[11], il diritto di proprietà del soggetto che costruisce (superficiario) si configura diritto di consistenza reale ma temporaneo, in quanto ha la stessa (limitata) durata della concessione del bene demaniale (nel caso di specie, patrimoniale indisponibile) e si estingue, a norma dell'art. 953, c.c., con la revoca della concessione o per la scadenza del termine di durata della stessa, con incremento per accessione della proprietà del 'domimus soli' [12]: pertanto, nel caso prospettato, la proprietà della nuova opera passerebbe all'ente pubblico economico proprietario dell'argine. Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato il principio secondo cui non è consentito all'autonomia negoziale delle parti derogare agli effetti dell'accessione automatica in favore del proprietario del suolo (nel caso di specie, l'ente pubblico economico) che si determina all'atto di estinzione del diritto di superficie [13].
Il Comune pone un ulteriore quesito in ordine alla definizione di un interesse pubblico superiore ai sensi dell'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 327/2001.
L'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 327/2001
[14], tratta della possibile espropriazione dei beni pubblici in regime di patrimonio indisponibile. Secondo il codice civile, infatti, tali beni non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 828, comma secondo, c.c.). Tuttavia, per l'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 327/2001, è possibile espropriare un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato o di altri enti pubblici solo per perseguire un interesse pubblico di rilievo superiore a quello soddisfatto con la precedente destinazione.
Ricorrendo la condizione per cui l'interesse pubblico da perseguire è superiore a quello precedentemente soddisfatto, la destinazione ad un uso pubblico del bene patrimoniale indisponibile, osserva la dottrina, non solo non viene meno per effetto dell'ablazione, ma è addirittura rafforzata, ponendosi il bene al servizio di interessi superiori a quelli già soddisfatti con la precedente destinazione
[15].
Peraltro, osserva ancora la dottrina
[16], il testo unico non disciplina il procedimento attraverso cui valutare comparativamente l'interesse alla espropriazione del bene pubblico con quello al mantenimento della destinazione attuale. Dalla lettura della giurisprudenza rinvenuta risulta che l'avvio della procedura ablatoria, da parte dell'amministrazione interessata, avviene mediante approvazione del progetto dell'opera pubblica da realizzare e che compete al Giudice l'accertamento (su contenzioso instaurato dal soggetto espropriato) della prevalenza dell'interesse pubblico sotteso alla nuova opera rispetto alla precedente destinazione dei beni pubblici espropriati [17].
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[1] I beni del demanio idrico fanno parte del demanio naturale necessario dello Stato, sono cioè beni che non possono non appartenere allo Stato (cfr. A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè, 1985, p. 140).
[2] C. Cass., sez. un., 06.11.1998, n. 11211.
[3] C. Cass., sez. un., 18.12.1998, n. 12701. Nello stesso senso, Tribunale superiore delle acque, 20.03.1996, n. 32, il quale, con riferimento alla previsione codicistica di cui all'art. 822, c.c., afferma che fiumi, torrenti ed altri corsi d'acqua sono individuati dal loro alveo, intendendosi come tale lo spazio che le acque fluenti giungono a coprire nelle condizioni di piena ordinaria.
[4] Tribunale superiore delle acque, 20.03.1996, n. 32. Nello stesso senso, Trib. Sup. acque, 20.10.1992, n. 79, secondo cui ai sensi dell'art. 934, c.c., la proprietà dell'alveo del lago e cioè del terreno sotto l'acqua o ricoperto dall'acqua durante le piene ordinarie appartiene al proprietario dello stagno o del lago, nella specie il demanio. Mentre, il terreno circostante un lago, che si trovi sopra il livello dell'acqua nelle piene ordinarie, ricoperto solo dalle piene straordinarie, è di proprietà privata.
[5] C. Cass., sez. un., 14.11.2003, n. 17295; C. Cass., 09.04.1998, n. 3667; C. Cass., 28.08.2002, n. 12608.
[6] C. Cass., 26.04.2000, n. 5346; C. Cass., sez. un., 01.07.2009, n. 15378 e C. Cass. 02.03.1989, n. 1161, in relazione ai beni facenti parte del patrimonio indisponibile.
[7] C. Cass. 14.08.1998, n. 8045.
[8] C. Cass., 08.09.1983, n. 5527.
[9] Comm. trib. reg. Firenze, sez. XVI, 22.09.2011, n. 48.
[10] Cfr. C. Cass. n. 1718/2007 e n. 4402/1998, relative alla costituzione di un diritto di superficie nell'ambito di una concessione demaniale.
[11] C. Cass., sez. un., 13.02.1997, n. 1324.
[12] C. Cass., sez. un., 13.02.1997, n. 1324, che richiama, sul punto, C. Cass., 28.02.1969, n. 670.
[13] C. Cass., 27.02.1980, n. 1369, relativa alla concessione di area demaniale con facoltà per il concessionario di procedere alla costruzione di un manufatto.
[14] D.P.R. 08.06.2001 n. 327, recante: 'Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità'.
[15] Paolo Pirruccio, L'espropriazione per pubblica utilità. Procedimento amministrativo e contenzioso giurisdizionale, Cedam, 2011, p. 68.
[16] Cfr. Francesco Caringella e Giuseppe De Marzo, Il nuovo diritto amministrativo, L'espropriazione per pubblica utilità, Milano, Giuffrè, 2007, pp. 49-50. Per gli autori, preso atto che non è chiaro chi e in che modo si stabilisce la prevalenza dell'interesse pubblico, si può ipotizzare una iniziativa del promotore della espropriazione volta ad attivare il procedimento in cui si valuti se sottrarre il bene alla destinazione attuale, in funzione del soddisfacimento del diverso interesse sotteso alla procedura ablatoria. Si può poi ipotizzare sia un atto autonomo, di sottrazione del bene alla attuale destinazione, sia la evidenziazione della prevalenza dell'interesse perseguito con la procedura di espropriazione in sede di dichiarazione di pubblica utilità (Cfr. Francesco Caringella e Giuseppe De Marzo, Il nuovo diritto amministrativo, L'espropriazione per pubblica utilità, Milano, Giuffrè, 2007, pp. 49-50).
[17] Cfr. TAR Puglia, n. 2079/2008 e Cons. St., n. 2047/2010, in cui i Giudici amministrativi si pronunciano su un ricorso proposto da un Consorzio per l'annullamento delle deliberazioni del C.I.P.E. recanti approvazione del progetto definitivo e preliminare del raddoppio di una tratta ferroviaria, e di tutti i provvedimenti presupposti, connessi e conseguenti. Il Consorzio, nel caso di specie, contesta l'avvio della procedura ablatoria promossa per realizzare un'opera approvata da un'altra amministrazione, cui avrebbe fatto seguito l'espropriazione di alcuni immobili appartenenti al patrimonio indisponibile del Consorzio stesso, deducendo, tra le altre censure, la violazione dell'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 327/2001
(30.04.2013 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Appalti di fornitura e servizi pubblici affidati direttamente.
L’art. 5 della legge n. 381 del 1991, concede agli enti pubblici la possibilità di affidare direttamente, soltanto in presenza di determinati presupposti, la fornitura di beni e servizi.

Questo il principio affermato dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 29.04.2013 n. 2342.
Nel caso in esame, relativo all’affidamento della gestione di un campo sportivo comunale per lo svolgimento di attività fieristiche, una società operante nel settore aveva impugnato il provvedimento con il quale l’amministrazione aveva affidato direttamente l’attività, senza procedere al preventivo esperimento di una gara pubblica.
Accolto l’appello della società dal Tribunale amministrativo regionale di primo grado, la sentenza viene appellata dal Comune dinanzi ai Giudici di Palazzo Spada, secondo i quali: “Il predetto art. 5 prevede che «gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione», possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono attività agricole, industriali, commerciali o di servizi «per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate».
Da una corretta applicazione della norma discende pertanto che l’amministrazione può affidare direttamente alle cooperative sociali appalti di fornitura di beni e servizi pubblici, soltanto alle condizioni prestabilite, visto oltretutto che: “Tale tipologia di appalti presuppone, in coerenza con la causa del contratto, che la relativa prestazione sia rivolta all’amministrazione per soddisfare una sua specifica esigenza al fine di ottenere, quale corrispettivo, il pagamento di una determinata somma.”
In conclusione, l’appello dell’amministrazione comunale è rigettato perché nel caso in esame si è in presenza di una concessione di bene pubblico, rispetto alla quale devono essere seguite rigorosamente le procedure di garanzia per la scelta del concessionario dettate dal Codice dei contratti, mentre gli appalti di fornitura e servizi pubblici possono essere affidati direttamente esclusivamente in presenza dei presupposti di cui all’art. 5 della legge n. 381/1991 (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La centrale unica di committenza si sostituisce al singolo comune.
Domanda
La centrale unica di committenza in vigore dal 01.04.2013 per i Comuni non superiori ai 5.000 abitanti, lascia inalterata la possibilità di ricorrere -per il singolo Comune- alle disposizioni di cui all'art. 125 del Codice dei Contratti in tema di lavori e forniture di beni e servizi in economia? Oppure, anche per i lavori, beni e servizi di importo inferiore ai 40.000 Euro è obbligatorio ricorrere alla centrale unica di committenza?
Risposta
L'art. 33, comma 3-bis, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 stabilisce che "I Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito delle unioni dei comuni, di cui all'art. 32, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici. In alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento...".
E' evidente che la centrale di committenza o il consorzio si sostituiscono al singolo comune nell'espletamento di tutte le gare e, quindi, anche di quelle informali relative alle procedure in economia di cui all'art. 125 D.Lgs. 12.04.2006, n. 163. Infatti, non può ritenersi autorizzata una lettura limitativa della norma, là dove stabilisce che i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti "affidano obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture", utilizzando l'espressione più ampia.
Inoltre, l'accentramento nelle mani della centrale di committenza o di un consorzio consente -in generale- un risparmio di spesa e la possibilità di ottenere prezzi più convenienti per la P.A., trattando la centrale per una pluralità di enti (26.04.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTIIl dl sblocca debiti entra nel vivo. Entro il 29/04 registrazione alla piattaforma telematica. Ore cruciali per cogliere le chance del decreto. Spazi finanziari da comunicare entro il 30.
Mancano pochi giorni alle prime, importanti scadenze previste dal decreto sblocca-debiti (dl 35/2013). Riepiloghiamo i principali adempimenti cui sono tenuti gli enti locali, alla luce dei chiarimenti operativi forniti nei giorni scorsi dagli organi competenti.
Registrazione alla piattaforma telematica per la certificazione del crediti (art. 7, commi 1-2).
La scadenza è fissata al 29 aprile. Ricordiamo che l'accreditamento deve essere effettuato a cura del responsabile della p.a. interessata, che negli enti locali è identificato con il presidente della provincia o il sindaco, ovvero con il direttore generale/segretario.
Deroga relativa al Patto 2013 (art. 1, comma 2). Entro il 30 aprile (termine perentorio) occorre comunicare, mediante il sistema web della Rgs, l'ammontare dei debiti di parte capitale certi, liquidi ed esigibili al 31/12/2012 o supportati a tale data dal fattura o richiesta equivalente di pagamento e l'entità degli spazi finanziari necessari per sostenere i relativi pagamenti. I debiti vanno disaggregati per tipologia, distinguendo quelli relativi a lavori pubblici dagli altri. L'ammontare degli spazi finanziari richiesti potrà essere al massimo pari a quello dei debiti o eventualmente inferiore se l'ente non dispone o non ritiene di poter acquisire una sufficiente disponibilità di cassa. Con le stesse modalità occorre comunicare, a fini puramente statistici, anche l'entità dei debiti di parte corrente esistenti (nel senso chiarito) al 31/12/2012 , limitatamente (come ha chiarito il Mef) a quelli non ancora estinti.
Richiesta delle anticipazioni di cassa (art. 1, comma 13). Scade il 30 aprile anche il termine (perentorio) entro cui gli enti locali possono presentare alla Cassa depositi e prestiti la relativa richiesta. Quest'ultima, ammessa anche a fronte di debiti di parte corrente, deve essere sottoscritta dal rappresentante legale e dal responsabile del servizio finanziario e trasmessa alla Cdp mediante pec o telefax, ovvero consegnata a mano. Essa non deve essere necessariamente preceduta da una deliberazione consiliare.
È, invece, necessaria la determinazione a contrattare da parte del dirigente responsabile. In caso di accoglimento della richiesta, la stipula del contratto avverrà mediante scambio di corrispondenza e senza necessità di autentica delle firme. Una volta ottenuta la liquidità, i beneficiari dovranno procedere all'immediata estinzione dei propri debiti, comprovandola mediante una certificazione analitica sottoscritta dal ragioniere capo e trasmessa alla stessa Cdp entro 45 giorni dall'erogazione dell'anticipazione. Ricordiamo che, oltre a tale modalità, gli enti a corto di cassa possono fare ricorso all'anticipazione di tesoriera, che fino al 30 settembre può salire fino a 5/12 delle entrate correnti. Fra i due strumenti non c'è alcun ordine di priorità, come chiarito dalle faq della Cdp.
Comunicazioni ai creditori (art. 6, comma 9). Entro il 30 giugno, anche gli enti locali (come le altre p.a.) devono comunicare ai creditori, anche a mezzo posta elettronica (sono, quindi, ammesse altre forme di comunicazione) l'importo e la data entro cui provvederanno ai pagamenti del loro debiti. La norma è poco chiara in ordine alla portata dell'obbligo. Tuttavia, il riferimento generico ai «pagamenti» sembra da riferire soltanto a quelli che effettivamente verranno disposti e quindi a quelli autorizzati in deroga al Patto e per i quali l'ente debitore dispone della necessaria liquidità.
Ricognizione degli altri debiti (art. 7, commi 4-7). I debiti, anche di parte corrente, certi, liquidi ed esigibili al 31/12/2012 (non quindi quelli fatturati o richiesti in pagamento alla stessa data) che non verranno estinti grazie alle misure di cui sopra dovranno essere comunicati tramite la piattaforma telematica a partire dal 1° giugno ed entro il 15 settembre. Per i creditori, tale comunicazione avrà valenza di certificazione dei propri crediti, che si intenderà rilasciata senza data di pagamento, ai sensi dell'art. 2, comma 2, del d.m. 25/06/2012.
Ricordiamo, infine, che l'art. 6, comma 3, prevede l'obbligo di pubblicare sul sito internet i piani dei pagamenti aggregati per classi di debiti. Sebbene tale norma non paia immediatamente applicabile agli enti locali è comunque consigliabile provvedervi. Per tale adempimento, non è prevista alcuna scadenza, ma la pubblicazione può avvenire contestualmente all'invio delle comunicazioni ai creditori (articolo ItaliaOggi del 26.04.2013).

APPALTI: In ordine alle modalità di conservazione e di custodia delle buste contenenti le offerte (e circa la consistenza del relativo onere di verbalizzazione) si sono manifestati due contrapposti orientamenti giurisprudenziali; un primo, più rigoroso, secondo cui l’omessa menzione nei verbali di gara delle specifiche cautele adottate a tutela dell’integrità e della conservazione delle buste contenenti le offerte determinerebbe di per sé l’illegittimità delle operazioni di gara, indipendentemente dalla dimostrazione dell’effettiva manomissione delle buste e del loro contenuto, ed un secondo, secondo cui sarebbe invece necessario addurre elementi concreti e specifici tali da far ritenere probabile, o quanto meno possibile, la sostituzione delle buste, la manomissione delle offerte o eventuali altri fatti rilevanti ai fini della regolarità della procedura.
Tale contrasto giurisprudenziale, pur macroscopicamente e suggestivamente apprezzabile in modo diretto sul piano della ricognizione dei principi risultanti dalle massime delle relative pronunce, si presenta tuttavia più attenuato allorquando si procede ad un esame accurato delle concrete situazioni che ne hanno costituito il substrato materiale, emergendo aspetti peculiari tali da destare quanto meno un ragionevole sospetto circa un’avvenuta effettiva manomissione dei documenti di gara o anche il solo rischio concreto che tale manomissione potesse verificarsi.
Peraltro, nella questione in esame non può prescindersi dal considerare che nelle gare di appalto l’amministrazione ha la piena disponibilità e l’integrale responsabilità della conservazione degli atti di gara, cui in corso del procedimento l’interessato non può subito accedere, giusto quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, del D.lgs. n. 163 del 2006, e che spetta quindi alla stessa, ma solo a fronte di una seria e non emulativa allegazione presuntiva dell’interessato circa l’effetto di non genuinità degli atti stessi e fermo il diritto d’accesso, di dar idonea contezza dell’efficacia dei metodi di custodia in concreto adoperati, a tal fine dimostrandola non solo con il verbale (che di per sé ha fede privilegiata), ma pure con ogni idoneo mezzo di prova.
Le anomalie che devono quindi essere quantomeno allegate per dimostrare un interesse non emulativo alla custodia dei plichi possono ragionevolmente ricondursi all’eccessiva durata delle operazioni di gara, all’inversione dell’ordine di valutazione tra offerta tecnica ed economica, alla sottrazione di un documento di gara ad opera di ignoti ovvero alla presenza di effettivi, puntuali e circostanziati elementi di fatto, idonei a poter essere apprezzati come ragionevoli o non illogici e arbitrari indizi o sintomi di una possibile manomissione dei documenti di gara.
In definitiva, in presenza del generale obbligo di custodia dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione appaltante è da presumere che lo stesso sia stato assolto con l’adozione delle ordinarie garanzie di conservazione degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei relativi plichi, così che la generica doglianza, secondo cui le buste contenenti le offerte non sarebbero state adeguatamente custodite, è irrilevante allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto, quali anomalie nell’andamento della gara ovvero specifiche circostanze atte a far ritenere che si possa esser verificata la sottrazione o la sostituzione dei medesimi plichi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante al fine della regolarità della procedura.
A tale ragionevole e condivisibile impostazione si è attenuta questa stessa Sezione anche con la recentissima sentenza n. 978 del 18.02.2013, dalla quale non vi è motivo di discostarsi, con la quale è stato significativamente ribadito che: “a) la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l’alterazione della documentazione;
b) la mancanza delle citate cautele assume solo un ruolo indiziario rispetto alla dimostrazione di concreti elementi che facciano dubitare della corretta conservazione, occorrendo comunque provare che vi sia stata una violazione dell’integrità e segretezza dei plichi;
c) se il verbale indica che i plichi sono conservati in luogo chiuso, senza ulteriori specificazioni, e se in ciascun verbale si dichiara che i plichi pervenuti risultano tutti integri e debitamente sigillati e firmati sui lembi di chiusura, facendo il verbale prova fino a querela di falso, si deve escludere sia avvenuta una manomissione e che le operazioni di gara siano illegittime;
d) una esegesi integrativa dell’art. 78 del Codice dei contratti pubblici consente di definire una più precisa distribuzione dell’onere della prova tra i due soggetti del rapporto procedimentale, tanto affinché tale integrazione non si risolva nella distorsione dei canoni di logicità e di buon andamento dell’attività amministrativa anche nei casi di evidenza pubblica, se non addirittura, in un controllo meramente formale della verbalizzazione, più che del riscontro oggettivo dei fatti…”.

La Sezione non ignora che in ordine alle modalità di conservazione e di custodia delle buste contenenti le offerte (e circa la consistenza del relativo onere di verbalizzazione) si sono manifestati due contrapposti orientamenti giurisprudenziali; un primo, più rigoroso (di cui la sentenza impugnata ha fatto applicazione), secondo cui l’omessa menzione nei verbali di gara delle specifiche cautele adottate a tutela dell’integrità e della conservazione delle buste contenenti le offerte determinerebbe di per sé l’illegittimità delle operazioni di gara, indipendentemente dalla dimostrazione dell’effettiva manomissione delle buste e del loro contenuto (cfr., ad es., C.d.S., Sez. V, 28.03.2012, n. 1862), ed un secondo, secondo cui sarebbe invece necessario addurre elementi concreti e specifici tali da far ritenere probabile, o quanto meno possibile, la sostituzione delle buste, la manomissione delle offerte o eventuali altri fatti rilevanti ai fini della regolarità della procedura (ex multis, C.d.S., Sez. V, 18.10.2011, n. 5579 e, più di recente, Sez. III, 14.01.2013, n. 145).
Tale contrasto giurisprudenziale, pur macroscopicamente e suggestivamente apprezzabile in modo diretto sul piano della ricognizione dei principi risultanti dalle massime delle relative pronunce, si presenta tuttavia più attenuato allorquando si procede ad un esame accurato delle concrete situazioni che ne hanno costituito il substrato materiale, emergendo aspetti peculiari tali da destare quanto meno un ragionevole sospetto circa un’avvenuta effettiva manomissione dei documenti di gara o anche il solo rischio concreto che tale manomissione potesse verificarsi.
Peraltro, com’è stato recentemente osservato (C.d.S., sez. III, 05.02.2013, n. 688), nella questione in esame non può prescindersi dal considerare che nelle gare di appalto l’amministrazione ha la piena disponibilità e l’integrale responsabilità della conservazione degli atti di gara, cui in corso del procedimento l’interessato non può subito accedere, giusto quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, del D.lgs. n. 163 del 2006, e che spetta quindi alla stessa, ma solo a fronte di una seria e non emulativa allegazione presuntiva dell’interessato circa l’effetto di non genuinità degli atti stessi e fermo il diritto d’accesso, di dar idonea contezza dell’efficacia dei metodi di custodia in concreto adoperati, a tal fine dimostrandola non solo con il verbale (che di per sé ha fede privilegiata), ma pure con ogni idoneo mezzo di prova.
Le anomalie che devono quindi essere quantomeno allegate per dimostrare un interesse non emulativo alla custodia dei plichi possono ragionevolmente ricondursi all’eccessiva durata delle operazioni di gara, all’inversione dell’ordine di valutazione tra offerta tecnica ed economica (Consiglio di Stato, Sez. V, 28.03.2012, n. 1862), alla sottrazione di un documento di gara ad opera di ignoti ovvero alla presenza di effettivi, puntuali e circostanziati elementi di fatto, idonei a poter essere apprezzati come ragionevoli o non illogici e arbitrari indizi o sintomi di una possibile manomissione dei documenti di gara (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27.07.2011, n. 4487).
In definitiva, in presenza del generale obbligo di custodia dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione appaltante è da presumere che lo stesso sia stato assolto con l’adozione delle ordinarie garanzie di conservazione degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei relativi plichi, così che la generica doglianza, secondo cui le buste contenenti le offerte non sarebbero state adeguatamente custodite, è irrilevante allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto, quali anomalie nell’andamento della gara ovvero specifiche circostanze atte a far ritenere che si possa esser verificata la sottrazione o la sostituzione dei medesimi plichi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante al fine della regolarità della procedura.
A tale ragionevole e condivisibile impostazione si è attenuta questa stessa Sezione anche con la recentissima sentenza n. 978 del 18.02.2013, dalla quale non vi è motivo di discostarsi, con la quale è stato significativamente ribadito che: “a) la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l’alterazione della documentazione;
b) la mancanza delle citate cautele assume solo un ruolo indiziario rispetto alla dimostrazione di concreti elementi che facciano dubitare della corretta conservazione, occorrendo comunque provare che vi sia stata una violazione dell’integrità e segretezza dei plichi;
c) se il verbale indica che i plichi sono conservati in luogo chiuso, senza ulteriori specificazioni, e se in ciascun verbale si dichiara che i plichi pervenuti risultano tutti integri e debitamente sigillati e firmati sui lembi di chiusura, facendo il verbale prova fino a querela di falso, si deve escludere sia avvenuta una manomissione e che le operazioni di gara siano illegittime;
d) una esegesi integrativa dell’art. 78 del Codice dei contratti pubblici consente di definire una più precisa distribuzione dell’onere della prova tra i due soggetti del rapporto procedimentale, tanto affinché tale integrazione non si risolva nella distorsione dei canoni di logicità e di buon andamento dell’attività amministrativa anche nei casi di evidenza pubblica, se non addirittura, in un controllo meramente formale della verbalizzazione, più che del riscontro oggettivo dei fatti…
” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.04.2013 n. 2282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sebbene, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo di discostarsi, le garanzie di imparzialità, pubblicità, trasparenza e speditezza dell’azione amministrativa, postulano che le sedute di una commissione di gara debbano ispirarsi al principio di concentrazione e continuità e che, conseguentemente, la valutazione delle offerte tecniche ed economiche deve avvenire in una sola seduta, senza soluzione di continuità, al fine di scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare l’assoluta indipendenza di giudizio dell’organo incaricato della valutazione stessa, è stato tuttavia anche sottolineato che tale principio è soltanto tendenziale ed è suscettibile di deroga, potendo verificarsi situazioni particolari che obiettivamente impediscono l’espletamento di tutte le operazioni in una sola seduta, dovendo in questo caso essere minimo l’intervallo tra una seduta e predisporre adeguate garanzie di conservazione dei plichi.
Quanto al secondo profilo la Sezione osserva che sebbene, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo di discostarsi, le garanzie di imparzialità, pubblicità, trasparenza e speditezza dell’azione amministrativa, postulano che le sedute di una commissione di gara debbano ispirarsi al principio di concentrazione e continuità e che, conseguentemente, la valutazione delle offerte tecniche ed economiche deve avvenire in una sola seduta, senza soluzione di continuità, al fine di scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare l’assoluta indipendenza di giudizio dell’organo incaricato della valutazione stessa, è stato tuttavia anche sottolineato che tale principio è soltanto tendenziale (C.d.S., sez. V, 25.07.2006, n. 4657; sez. IV, 05.10.2005, n. 5360) ed è suscettibile di deroga, potendo verificarsi situazioni particolari che obiettivamente impediscono l’espletamento di tutte le operazioni in una sola seduta (C.d.S., sez. V, 23.11.2010, n. 8155; 03.01.2002, n. 5; 16.11.2000, n. 6388), dovendo in questo caso essere minimo l’intervallo tra una seduta e predisporre adeguate garanzie di conservazione dei plichi (C.d.S., sez. III, 31.12.2012, n. 6714).
Nel caso in esame l’attività di valutazione delle offerte tecniche presentate dalle imprese partecipanti alla gara è durata meno di due mesi, in particolare dal 30.11.2011 (verbale n. 1) al 27.01.2012 (verbale n. 13, laddove nella seduta del 24.02.2012, verbale n. 14, si è proceduto all’apertura delle buste contenente l’offerta economica), periodo che, anche con riferimento alla complessità delle operazioni svolte (di cui i singoli verbali delle sedute danno ampiamente atto), non può essere considerato eccessivo, arbitrario o illogico (anche in ragione dell’intervenuta necessità di sostituire due componenti della commissione), a nulla rilevando che i singoli verbali non contengano alcuna menzione circa la necessità di aggiornare di volta in volta l’attività della commissione, fissando una nuova riunione; né d’altra parte è logico e ragionevole ritenere che le complesse e articolate operazioni di valutazione delle offerte (indicate nei verbali della commissione) potessero effettivamente esaurirsi in un’unica riunione.
Non sussiste pertanto la dedotta violazione del principio di concentrazione e continuità delle operazioni di valutazione, tanto più che, come è già stato evidenziato, dal solo numero delle sedute della commissione di gara non possono farsi discendere sospetti circa la regolarità delle operazioni di valutazione (C.d.S., sez. III, 26.09.2012, n. 5105)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.04.2013 n. 2282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Se non può dubitarsi dell’esistenza di un generale principio regolatore delle gare pubbliche che vieta la commistione fra i criteri soggettivi di qualificazione e quelli oggettivi di valutazione delle offerte, principio la cui ratio deve essere rintracciata nell’esigenza di assicurare la più ampia possibilità di partecipazione delle imprese alle gare attraverso la rigida separazione tra requisiti di partecipazione e requisiti dell’offerta e dell’aggiudicazione, tale principio non può tuttavia ritenersi eluso o violato allorché gli aspetti organizzativi non sono destinati ad essere apprezzati in quanto tali, in modo avulso dall’offerta, come dato relativo alla mera affidabilità soggettiva, ma piuttosto quale garanzia della prestazione del servizio secondo le modalità prospettate nell’offerta, come elemento cioè incidente sulle modalità esecutive dello specifico servizio e quindi come parametro afferente alle caratteristiche oggettive dell’offerta.
In realtà, se non può dubitarsi dell’esistenza di un generale principio regolatore delle gare pubbliche che vieta la commistione fra i criteri soggettivi di qualificazione e quelli oggettivi di valutazione delle offerte, principio la cui ratio deve essere rintracciata nell’esigenza di assicurare la più ampia possibilità di partecipazione delle imprese alle gare attraverso la rigida separazione tra requisiti di partecipazione e requisiti dell’offerta e dell’aggiudicazione (ex multis, C.d.S., sez. III, 18.06.2012, n. 3550; sez. VI, 04.10.2011, n. 5434; sez. V, 08.09.2010, n. 6490), tale principio non può tuttavia ritenersi eluso o violato allorché gli aspetti organizzativi non sono destinati ad essere apprezzati in quanto tali, in modo avulso dall’offerta, come dato relativo alla mera affidabilità soggettiva, ma piuttosto quale garanzia della prestazione del servizio secondo le modalità prospettate nell’offerta, come elemento cioè incidente sulle modalità esecutive dello specifico servizio e quindi come parametro afferente alle caratteristiche oggettive dell’offerta (C.d.S., sez. V, 23.01.2012, n. 266) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.04.2013 n. 2282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 24.04.2013 n. 96 "Regolamento recante le modalità di redazione dell’elenco anagrafe delle opere pubbliche incompiute, di cui all’articolo 44 -bis del decreto-legge 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, decreto 13.03.2013 n. 42).

LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: L’individuazione dell’area ove ubicare un’opera pubblica costituisce una scelta tecnico-discrezionale dell’amministrazione, che resta naturalmente sottratta al sindacato di legittimità, salvo evidenti profili di illogicità o abnormità.
In linea generale, va richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale la Sezione non ravvisa motivo per discostarsi, secondo cui l’individuazione dell’area ove ubicare un’opera pubblica costituisce una scelta tecnico-discrezionale dell’amministrazione, che resta naturalmente sottratta al sindacato di legittimità, salvo evidenti profili di illogicità o abnormità (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15.05.2008, nr. 2247; id., 31.07.2007, nr. 4051) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.04.2013 n. 2257 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: L'art. 13 del codice dei contratti pubblici esclude dal diritto di accesso alcuni specifici atti, tra i quali appunto “i pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici”.
Interpretando detto art. 13, il giudice amministrativo ha innanzi tutto precisato che la non ostensibilità di detti pareri è stata prevista sicuramente perché essi, se riferiti ad un contenzioso potenziale o attuale con l’appaltatore, sono investiti dalle stesse esigenze di riservatezza che tutelano le ragioni di ordine patrimoniale della stazione appaltante; detta giurisprudenza ha, inoltre, anche precisato che tale disposizione, fissando una regola che appare sostanzialmente ricognitiva dei principi applicabili in questa materia, deve essere interpretata in modo restrittivo, rappresentando una norma eccezionale, in quanto derogatoria rispetto alle ordinarie regole in materia di accesso, con la conseguenza che tale normativa deve intendersi riferibile alla sola fase di stipulazione dei contratti pubblici di cui all'art. 12 del d.lgs. 163/2006 e non a tutta quella anteriore, per cui risultano accessibili quei pareri legali che, anche per l’effetto di un richiamo esplicito nel provvedimento finale, rappresentano un passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo in corso e che, una volta acquisiti dall’Amministrazione, vengono ad innestarsi nell’iter procedimentale, assumendo la configurazione di atti endoprocedimentali e, quindi, costituenti uno degli elementi che condizionano la scelta dell’Amministrazione medesima.
In estrema sintesi, in materia di accesso ai pareri legali forniti alla P.A., occorre distinguere due diverse ipotesi:
a) l’ipotesi in cui la consulenza legale esterna si inserisce nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale, nel senso che il parere è richiesto al professionista con l’espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione dell’atto finale; ed in tale ipotesi la consulenza legale, pur traendo origine da un rapporto privatistico normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, è soggetta all’accesso perché oggettivamente correlata ad un procedimento amministrativo;
b) l’ipotesi in cui la consulenza sia richiesta dopo l’avvio di un procedimento contenzioso, o dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose al fini di stabilire la strategia difensiva dell’Amministrazione, per cui il parere del legale non è affatto destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico-giuridici utili per tutelare i propri interessi; in questa ipotesi, tali consulenze restano caratterizzate dalla riservatezza, che mira a tutelare non solo l’opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione della P.A., la quale, esercitando il proprio diritto di difesa protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento.

Relativamente, invece, alla richiesta di accesso al predetto parere legale, va subito precisato che il ricorso è fondato.
L’Amministrazione comunale -come sopra esposto- ha respinto l’istanza di accesso a tale parere legale in quanto tale atto doveva intendersi “sottratto all’accesso, in virtù dell’art. 13, comma 5, lett. c), del D.Lgs. 163/2006”; negli scritti difensivi ha meglio precisato che con tale parere era stata suggerita la linea di condotta dell’Ente in una fase precontenziosa, per cui tale parere non costituiva -così come ipotizzato nel gravame- un “passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo in corso”, ma che atteneva “strettamente” ai rapporti tra l’Amministrazione ed il proprio legale, per cui, in base alla norma in questione era di certo sottratto all’accesso.
Tale art. 13 del codice dei contratti pubblici esclude, invero, dal diritto di accesso alcuni specifici atti, tra i quali appunto “i pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici”.
Ora va al riguardo ricordato che, interpretando detto art. 13, il giudice amministrativo ha innanzi tutto precisato che la non ostensibilità di detti pareri è stata prevista sicuramente perché essi, se riferiti ad un contenzioso potenziale o attuale con l’appaltatore, sono investiti dalle stesse esigenze di riservatezza che tutelano le ragioni di ordine patrimoniale della stazione appaltante; detta giurisprudenza ha, inoltre, anche precisato che tale disposizione, fissando una regola che appare sostanzialmente ricognitiva dei principi applicabili in questa materia, deve essere interpretata in modo restrittivo, rappresentando una norma eccezionale, in quanto derogatoria rispetto alle ordinarie regole in materia di accesso, con la conseguenza che tale normativa deve intendersi riferibile alla sola fase di stipulazione dei contratti pubblici di cui all'art. 12 del d.lgs. 163/2006 e non a tutta quella anteriore, per cui risultano accessibili quei pareri legali che, anche per l’effetto di un richiamo esplicito nel provvedimento finale, rappresentano un passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo in corso e che, una volta acquisiti dall’Amministrazione, vengono ad innestarsi nell’iter procedimentale, assumendo la configurazione di atti endoprocedimentali e, quindi, costituenti uno degli elementi che condizionano la scelta dell’Amministrazione medesima (Cons. St., sez. V, 23.06.2011, n. 3812 e sez. VI, 30.09.2010, n. 7237).
E va al riguardo anche ricordato che tale ultima decisione è stata resa proprio in ordine ad una fattispecie per molti versi analoga a quella ora all’esame, nella quale il parere legale richiesto era stato richiamato in un atto di autotutela.
In estrema sintesi, in materia di accesso ai pareri legali forniti alla P.A., occorre distinguere due diverse ipotesi:
a) l’ipotesi in cui la consulenza legale esterna si inserisce nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale, nel senso che il parere è richiesto al professionista con l’espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione dell’atto finale; ed in tale ipotesi la consulenza legale, pur traendo origine da un rapporto privatistico normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, è soggetta all’accesso perché oggettivamente correlata ad un procedimento amministrativo;
b) l’ipotesi in cui la consulenza sia richiesta dopo l’avvio di un procedimento contenzioso, o dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose al fini di stabilire la strategia difensiva dell’Amministrazione, per cui il parere del legale non è affatto destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico-giuridici utili per tutelare i propri interessi; in questa ipotesi, tali consulenze restano caratterizzate dalla riservatezza, che mira a tutelare non solo l’opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione della P.A., la quale, esercitando il proprio diritto di difesa protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento.
Ciò premesso, va evidenziato che nel caso ora esame ricorre la prima delle ipotesi sopra indicate, in quanto il parere legale richiesto all’avv. De Carolis, di natura endoprocedimentale, è oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo ed è stato poi espressamente richiamato nella motivazione dell’atto di revoca dell’aggiudicazione. In tale atto, invero, si fa espresso riferimento a tale parere legale, che -come si legge nella parte motiva del provvedimento- è stato reso proprio “in ordine all’esistenza dei presupposti di legge per esercitare il potere di autotutela mediante revoca per ragioni economiche sopravvenute” della determinazione di aggiudicazione della gara; per cui tale consulenza legale, pur traendo origine da un rapporto privatistico normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, deve ritenersi soggetta all’accesso perché oggettivamente correlata al procedimento amministrativo in questione, conclusosi con l’atto di revoca dell’aggiudicazione della gara.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso proposto deve, pertanto, essere accolto e, per l’effetto, deve ordinarsi al Comune di consentire alla ricorrente l’accesso a tale parere legale (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 23.04.2013 n. 240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIPaletti agli approvvigionamenti. O il mercato elettronico o le centrali di committenza. Corte conti Lombardia: sfuggono alla regola solo i beni e servizi non disponibili.
Sfuggono al mercato elettronico o alle centrali di committenza solo le acquisizioni di beni e servizi che sia dimostrato non essere presenti sul alcun mercato elettronico. Tutte le altre acquisizioni debbono necessariamente passare dalle centrali di committenza o dai mercati elettronici.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Lombardia, col parere 23.04.2013 n. 165, chiarisce in termini definitivi la questione connessa agli obblighi incombenti sugli enti locali per le acquisizioni di beni e servizi e sulle centrali di committenza.
Comuni fino a 5 mila abitanti. I comuni con popolazione fino a 5 mila abitanti sono soggetti a due obblighi alternativi. Il primo è fissato dall'articolo 33, comma 3-bis, del dlgs 165/2001 che impone come prima scelta quella di avvalersi delle centrali di committenza obbligatoriamente costituite mediante unioni di comuni o consorzi; la seconda opportunità è di effettuare gli acquisti «attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 ed il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328 del dpr 05.10.2010, n. 207».
L'obbligo di avvalersi delle centrali di committenza o, in alternativa, dei mercati elettronici, precisa molto chiaramente la sezione Lombardia, vale tanto per gli appalti di importo superiore alla soglia comunitaria, quanto per gli importi inferiori alla soglia comunitaria. In ogni caso, l'alternativa tra centrali di committenza e mercati elettronici è piena.
Comuni con oltre 5 mila abitanti e province. Gli enti locali di maggiori dimensioni non sono soggetti alle disposizioni dell'articolo 33, comma 3-bis del codice dei contratti. Essi, sopra soglia, sono liberi di attivare procedure contrattuali autonome, a meno che non siano operative le convenzioni di cui all'articolo 26, comma 3 della legge 488/1999 stipulate dalla Consip o dalle centrali di committenza regionali costituite ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 296/2006.
Per gli acquisti sotto soglia, si applica l'articolo 1, comma 450, della legge 296/2006, che obbliga le amministrazioni locali ad effettuare gli acquisti di beni e servizi dai mercati elettronici indicati dall'articolo 328 del dpr 207/2010.
È opportuno precisare che l'articolo 1, comma 450, della legge 296/2006 si applica anche agli enti fino a 5 mila abitanti, ma in questo caso, detta norma va coordinata con le già viste disposizioni di cui all'articolo 33, comma 3-bis, del codice dei contratti.
Acquisizioni in economia per piccoli comuni. Sfuggono all'obbligo di avvalersi della centrale di committenza valevole per i comuni fino a 5 mila abitanti solo le acquisizioni in economia in amministrazione diretta e quelle mediante cottimo fiduciario, per importi fino a 40 mila euro. Infatti, in questo caso, non essendovi propriamente gare, l'articolo 33, comma 3-bis, del dlgs 163/2006, secondo la Corte dei conti, non trova applicazione.
Tuttavia, proprio perché comunque resta operante l'articolo 1, comma 450, della legge 296/2006, le acquisizioni mediante cottimo fiduciario al di sotto dei 40 mila euro debbono essere effettuate attraverso il Me.Pa. o gli altri mercati elettronici contemplati dall'articolo 328 del dpr 207/2010. Il parere della Sezione afferma che lo stesso vale nel caso dell'amministrazione diretta: occorre aggiungere, però, qualora l'acquisizione occorrente per la resa della prestazione sia inferiore ai 40 mila euro.
Acquisizioni in economia per comuni con oltre 5 mila abitanti e province. Per gli enti di maggiori dimensioni, le acquisizioni in economia mediante cottimo fiduciario debbono sempre essere effettuate ricorrendo ai mercati elettronici. Sfuggono solo le acquisizioni in economia mediante amministrazione diretta, eseguibili con materiali e mezzi già nella disponibilità degli enti (ovviamente, questo vale anche per gli enti fino a 5 mila abitanti).
Acquisti al di fuori dei mercati elettronici. Il parere della sezione Lombardia spiega che la possibilità di ricorrere alla procedura ex art. 125 del dlgs 163/2006 al di fuori dei mercati elettronici residua solo qualora non sia possibile reperire i beni o i servizi necessitati.
A tale scopo, occorre darne atto nella determinazione a contrarre, che dovrà essere necessariamente preceduta dalla evidenziazione delle caratteristiche tecniche necessarie del bene e del servizio e dall'indagine sulla sussistenza nei mercati elettronici disponibili delle prestazioni richieste, avendo cura di specificare la motivazione che illustri la non equipollenza delle prestazioni da acquisire con altri beni o servizi presenti sui mercati elettronici (articolo ItaliaOggi del 10.05.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIIn conclusione, operando una lettura complessiva dell’articolo 33, comma 3-bis, del codice dei contratti, coordinato con il comma 450 della legge n. 296/2006, si deve affermare che il ricorso ad un’unica centrale di committenza è obbligatorio per tutte le procedure concorsuali relative ad appalti di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria nonché per gli acquisti in economia di importo superiore ad € 40.000,00 mediante cottimo fiduciario e non invece per gli acquisti, mediante medesima procedura, di importo inferiore e per quelli mediante amministrazione diretta.
Conseguentemente, l’obbligo alternativo previsto dal secondo periodo del medesimo comma 33 (“In alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 e ed il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all’articolo 328 del d.P.R. 05.10.2010, n. 207”) dovrebbe trovare applicazione solo per i suddetti acquisti.
Tuttavia, anche per acquisti mediante cottimo fiduciario di importo inferiore ad € 40.000,00 o per acquisti mediante amministrazione diretta, non ricompresi nell’articolo 33, comma 3-bis, cod. contr., trova applicazione l’obbligo di ricorso alle forme di mercato elettronico previste dall’articolo 1, comma 450, della legge n. 296/2006 come modificata dalla legge n. 94/2012 (“al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure”).
Restano salve le specifiche eccezioni sopra riportate.

Quanto, infine, alla portata cogente della norma contenuta nell’articolo 33 cod. contr. (e dell’articolo 1, comma 450, legge n. 296/2006),
si ribadisce l’alternativa offerta ai comuni di popolazione inferiore a 5.000 abitanti (centrale di committenza o mercato elettronico), fermo restando che il mancato ricorso ad una delle due modalità ivi previste determinerà l’applicazione dell’impianto sanzionatorio previsto dall’articolo 1, comma 1, d.l. n. 95/2012.

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Il sindaco del comune di Castel Rozzone, con nota n. 1090 del 11.03.2013, chiedeva all’adita Sezione l’espressione di un parere in ordine all’obbligo delle centrali di committenza per i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
In particolare, il comune di Castel Rozzano, richiamata la pertinente normativa (art. 33, comma 3-bis, d.lgs. n. 163/2006), formulava i seguenti quesiti:
a) se sia ipotizzabile che la competenza per la gestione degli affidamenti mediante cottimo fiduciario nonché per quelli disciplinati dall’articolo 125, commi 8 e 11, del codice degli appalti, inferiori ad € 40.000,00, resti in capo al Comune dato il riferimento normativo alla locuzione “gare bandite” contenuto nell’articolo 23, comma 5, legge n. 214/2011. In caso di risposta positiva, il comune precisa che sarà in ogni caso vincolato al ricorso al mercato elettronico stante le disposizioni vigenti per tutti gli enti locali;
b) la reale portata cogente dell’articolo 33, comma 3 bis, d.lgs. n. 163/2006, in ordine all’obbligo di ricorrere ad un’unica centrale ci committenza attesa comunque l’opzione consentita di ricorrere ad altri sistemi di approvvigionamento mediante mercato elettronico: si chiede, in particolare, quali siano le reali differenze, in termini di approvvigionamento di beni e servizi, fra le norme generali poste per i comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti e quelle per i comuni con popolazione inferiore, in relazione all’alternativa posta dalla norma evocata.
...
La questione in esame concerne l’interpretazione dell’articolo 33, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006 a tenore del quale “I Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici. In alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 e ed il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all’articolo 328 del d.P.R. 05.10.2010, n. 207”.
Tale normativa trova applicazione per le gare bandite successivamente al 31.03.2013 (vedi l’articolo 23, comma 5, legge n. 214/2011 e l’articolo 29, comma 11-ter, legge n. 14 del 2012).
In relazione a tale disposizione vanno esaminati separatamente i due quesiti posti dal Comune.
In ordine al primo quesito, l’Ente locale chiede se sia ipotizzabile che la competenza per la gestione degli affidamenti mediante cottimo fiduciario nonché per quelli disciplinati dall’articolo 125, commi 8 e 11, del codice degli appalti, inferiori ad € 40.000,00, resti in capo al Comune dato il riferimento normativo alla locuzione alle “gare bandite” contenuto nell’articolo 23, comma 5, legge n. 214/2011. In caso di risposta positiva, il comune precisa che sarà in ogni caso vincolato al ricorso al mercato elettronico stante le disposizioni vigenti per tutti gli enti locali.
Detto in altri termini, poiché l’articolo 23 della legge n. 214/2011, che ha introdotto il comma 3-bis all’interno dell’art. 33 codice contratti, nell’individuare la data di decorrenza dell’obbligo di ricorso alle centrali di committenza ha fatto espresso ricorso alle “gare bandite” successivamente ad un certo termine, l’Ente locale si interroga circa l’effettiva portata del menzionato articolo 33, in particolare con riguardo a procedure che non richiedono il previo esperimento di una gara tra potenziali aggiudicatori.
La questione proposta è già stata affrontata dalla magistratura contabile con la deliberazione della Sezione Regionale Piemonte n. 271/2012 le cui motivazioni sono ampiamente condivisibili.
In sostanza, la Sezione Piemonte, dopo aver messo in luce che l’articolo 33 in esame si colloca al titolo I, “contratti di rilevanza comunitaria”, della parte II “contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari” del codice dei contratti pubblici, e che per l’applicabilità della stessa anche ai contratti pubblici sotto soglia occorre fare riferimento all’art. 121 del successivo titolo II, ove si prescrive che a questi ultimi si applicano, oltre alle disposizioni della parte I, della parte IV e della parte V, anche le disposizioni della parte II “in quanto non derogate dalle norme del presente titolo”, evidenzia come “le previsioni di cui all’art. 33, comma 3-bis (al pari delle altre contenute nella parte II del Codice), si applicano anche ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alla soglia comunitaria, solo ove non risultino derogate dalle disposizioni di cui al titolo II, rubricato “contratti sotto soglia comunitaria”.
Non è possibile, in altri termini, concludere in termini generale ed assoluti che l’articolo 33, comma 3-bis, non si applichi per tutti gli acquisti/affidamenti sotto soglia comunitaria.
Tra questi, l’articolo 125 del codice contratti, nel disciplinare i lavori, servizi e forniture in economia, distingue tra acquisizioni in economia mediante amministrazione diretta e acquisizioni in economia mediante procedura di cottimo fiduciario.
Nell'amministrazione diretta le acquisizioni sono effettuate con materiali e mezzi propri o appositamente acquistati o noleggiati e con personale proprio delle stazioni appaltanti, o eventualmente assunto per l'occasione, sotto la direzione del responsabile del procedimento.
Il cottimo fiduciario, invece, è una procedura negoziata in cui le acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi (l’articolo 3, comma 40, cod. contratti prevede espressamente che “le «procedure negoziate» sono le procedure in cui le stazioni appaltanti consultano gli operatori economici da loro scelti e negoziano con uno o più di essi le condizioni dell'appalto. Il cottimo fiduciario costituisce procedura negoziata”).
Per lavori, servizi o forniture di importo pari o superiore ad € 40.000,00, “l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante” (commi 8 e 11 dell’articolo 125 cit.).
Invece, per importi inferiori a tale soglia, per il cottimo fiduciario “è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento”, così come avviene normalmente per l’ipotesi dell’amministrazione diretta.
Dunque, da quanto esposto si può ricavarne la seguente indicazione: mentre l’amministrazione diretta non prevede alcun tipo di gara, per il cottimo fiduciario occorre distinguere a seconda dell’importo di lavori/servizi/forniture.
Se al di sotto dei 40.000,00 euro non occorre l’esperimento di una procedura comparativa, al di sopra di tale soglia è necessario il “rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento” e la “previa consultazione di almeno cinque operatori economici”.
Ciò posto, appare corretto affermare che per le procedure in economia di amministrazione diretta e di cottimo fiduciario inferiore ad € 40.000,00 non trova applicazione l’obbligo del ricorso alla centrale di committenza.
Nell’ipotesi di amministrazione diretta, le acquisizioni sono effettuate con strumenti propri o appositamente acquistati o noleggiati dall’amministrazione, e con personale proprio della stazioni appaltanti, o eventualmente assunto per l’occasione, sotto la direzione del responsabile del procedimento: come rilevato dalla deliberazione della Sezione Piemonte, “si tratta di fattispecie non pienamente compatibili con il ricorso a una centrale di committenza e comunque, in assenza di vere e proprie procedure concorrenziali non rispondenti alla ratio della norma che, come già più volte rilevato, è quella di ottenere risparmi di spesa riducendo i costi di gestione delle procedure negoziali attraverso la concentrazione delle stesse”.
Analoghe motivazioni sostengono l’esclusione dell’obbligo per le procedure di cottimo fiduciario “semplificato” (per importi inferiori ad € 40.000,00).
A sostegno di tali conclusioni milita anche l’argomento letterale: l’assenza, in entrambe le fattispecie, di una procedura concorrenziale non consente di ritenere integrato quel concetto di “gara” previsto dall’articolo 23 della legge n. 214/2011 per individuare la decorrenza cronologica dell’articolo 33, comma 3-bis, cod. contratti.
Diverso il discorso per quanto concerne la procedura di cottimo fiduciario per importi di lavori/servizi/forniture pari o superiore ad € 40.000,00.
In tal caso, infatti, seppure non sia prevista la previa pubblicazione di un bando (art. 31 del Regolamento di esecuzione cod. contr.), la procedura prevede comunque l’esperimento di una gara ufficiosa con la consultazione di almeno 5 operatori economici nel rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento, così implicando una valutazione comparativa delle offerte ricevute.
Si tratta, quindi, di una procedura semplificata cui si applicano anche le disposizioni della parte II (tra cui l’articolo 33, comma 3-bis, in esame) che non risultano espressamente derogate da quelle previste dal Titolo II per i contratti sotto soglia.
D’altra parte, il ricorso alle centrali uniche di committenza risulta non solo compatibile con detta procedura, ma anche coerente con la ratio della previsione normativa: una gestione obbligatoria per i piccoli comuni da parte di centrali di committenza uniche, può e deve esplicare i vantaggi auspicati, in termini di razionalizzazione e risparmi di spesa, anche con riguardo alla procedura negoziata in esame (deliberaz. Sezione Piemonte cit.).
Si può quindi concludere che “l’applicazione dell’obbligo di ricorso a centrali uniche di committenza per i piccoli comuni, possa in via analogica applicarsi anche al cottimo fiduciario (per importi superiori ad € 40.000,00), valorizzando il momento di esplicazione della gara informale”.
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Con il secondo quesito, il Comune chiede di conoscere “la reale portata cogente dell’articolo 33, comma 3-bis, d.lgs. n. 163/2006, in ordine all’obbligo di ricorrere ad un’unica centrale di committenza attesa comunque l’opzione consentita di ricorrere ad altri sistemi di approvvigionamento mediante mercato elettronico”.
Com’è noto, l’articolo 33, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006, dopo aver introdotto l’obbligo di ricorso alle centrali di committenza, prevede che “in alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 ed il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all’articolo 328 del d.P.R. 05.10.2010, n. 207”.
Tale normativa, pertanto, si applica per tutti gli acquisti effettuati da comuni inferiori a 5.000 abitanti indipendentemente dalla soglia di rilevanza comunitaria dell’appalto.
Sul punto, va anche ricordato che ai sensi dell'art. 1 -comma 450- della L. 296/2006, come novellato dall'art. 7 -comma 2- del D.L. 52/2012 conv. in L. 94/2012 e dall'art. 1 -comma 149- della L. 228/2012, "fermi restando gli obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, per gli acquisti dì beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure".
Tale normativa, invece, trova applicazione per tutti i comuni ma con riguardo ai soli appalti di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.
Nel corpo dell’istanza di parere, infine, il comune richiama l'art. 1, comma 1, del D.L. 95/2012 (cd. seconda "spending review"), convertito in legge 135/2012, che ha previsto che "successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i contratti stipulati in violazione dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488, ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa. Ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e quello indicato nel contratto”.
Per quanto concerne il ricorso ai mercati elettronici, occorre rammentare che, giusta l’obbligo sopra richiamato ai sensi dell’art. 1, comma 450, della l. 296/2006, per gli acquisti sotto la “soglia comunitaria” l’utilizzo dei mercati elettronici è stato reso obbligatorio:
• a decorrere dal 01.07.2007, per le amministrazioni statali, centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie;
• a decorrere dal 09.05.2012, per le tutte le amministrazioni come definite ai sensi dell’art. 1, d.lgs 30.03.2001, n. 165, ivi compresi, conseguentemente, gli enti locali. Quest’ultimo obbligo e la sua decorrenza, in realtà, sono il frutto della recente novellazione della norma citata, effettuata dal d.l. 07.05.2012, n. 52 (art. 7, comma 2) convertito con modificazioni dalla l. 06.07.2012, n. 94.
Dunque, dalle normative richiamate, effettivamente non perfettamente coordinate tra loro, emerge il seguente quadro: per i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti sussiste un obbligo di ricorso ai mercati elettronici senza alcun rilievo per l’importo dell’appalto (il comma 450 riguarda gli importi sotto soglia, il nuovo art. 33, comma 3-bis, cod. contr. sia quelli sotto che quelli sopra).
Tuttavia, per tali comuni, a differenza di quelli con popolazione superiore, si configura un’alternativa tra il ricorso al mercato elettronico e quello alla centrale di committenza di cui all’articolo 33, comma 3-bis.
L’istituto del MEPA trova oggi una sua compiuta disciplina nell’art. 328 del d.p.r. 05.10.2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione e attuazione del codice dei contratti pubblici).
La norma ribadisce che il MEPA gestito dalla CONSIP ovvero il mercato elettronico creato ad hoc dalla stazione appaltante o quello realizzato da centrali di committenza ai sensi dell’art. 33 del codice dei contratti pubblici, consentono alle pubbliche amministrazioni di effettuare l’acquisto di beni o servizi che hanno caratteristiche generalmente disponibili sul mercato.
Pertanto, attesa la lata previsione del citato comma 450 legge n. 296/2006 e del nuovo art. 33, comma 3-bis, la possibilità di ricorrere alla procedura ex art. 125 cod. contr. al di fuori di tali mercati residua solo nell’ipotesi di non reperibilità dei beni o servizi necessitati: nella fase amministrativa di determinazione a contrarre, l’ente dovrà evidenziare le caratteristiche tecniche necessarie del bene e della prestazione, di avere effettuato il previo accertamento della insussistenza degli stessi sui mercati elettronici disponibili e, ove necessario, la motivazione sulla non equipollenza con altri beni o servizi presenti sui mercati elettronici.
Peraltro, non sussiste un obbligo assoluto di ricorso al MEPA Consip, essendo espressamente prevista la facoltà di scelta tra le diverse tipologie di mercato elettronico richiamate dall’art. 328 del d.p.r. 207/2010: segnatamente, tra il mercato elettronico realizzato dalla medesima stazione appaltante e quello realizzato dalle centrali di committenza di riferimento di cui all’art. 33 cod. contr., potendo inoltre ricorrere alle convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 (le opzioni percorribili sono confermate dall’art. 33, comma 3-bis, cod. contr.)
Ne deriva che, così venendo al profilo della cogenza dell’articolo 33, comma 3-bis, mentre il MEPA gestito dalla CONSIP rientra appieno tra gli “strumenti di acquisto messi a disposizione” dalla stessa (art. 1, comma 1, d.l. n. 95/2012), analoga conclusione non può essere effettuata per i mercati elettronici curati da parte della singola stazione appaltante ovvero ad opera della centrale di committenza.
Tuttavia, a ben vedere, il ricorso a un MEPA diverso da quello gestito direttamente dalla CONSIP appare una modalità alternativa di adempimento rispetto a un obbligo primario direttamente comminato dalla legge, con la conseguenza che troverà applicazione per le operazioni in tal senso non concluse dagli enti locali la nullità c.d. testuale o espressa comminata dal legislatore ai sensi dell’art. 1418, comma 3, c.c. (in tal senso sez. contr. Marche, deliberazione 29.11.2012 n. 169; sez. contr. Lombardia, deliberazione n. 89/PAR/2013).
Trattasi, infatti, di interpretazione estensiva, e non già analogica, utilmente applicabile quindi anche con riguardo a fattispecie tendenzialmente tassative quali le norme comminatorie di nullità.
Tale conclusione non appare contraddetta dall’ultimo periodo del comma 1, art. 1, del d.l. n. 95/2012, che introduce una specifica “prova di resistenza” per le sole Amministrazioni dello Stato (“La disposizione del primo periodo del presente comma non si applica alle Amministrazioni dello Stato quando il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A.”), determinando come conseguenza quella di impedire, per le sole amministrazioni locali (rispetto a cui l’obbligo di ricorso al MEPA gestito dalla CONSIP è indubbiamente più lasco) il beneficio della verifica del danno.
In effetti, come si ha avuto modo di cennare, per le Amministrazioni dello Stato detto beneficio compensa la circostanza che la disciplina degli obblighi di approvvigionamento sia maggiormente stringente. Per le amministrazioni locali, invece, stante la possibilità di ricorso a diverse forme di reperimento sui vari MEPA, il legislatore ha limitato la possibilità di deroga e di conseguente ricerca sul libero mercato.
Da quanto esposto deriva che, salvo i casi di non reperibilità dei beni e servizi necessitati, l’avvenuta acquisizione di beni e servizi secondo modalità diverse da quelle previste dal novellato art. 1, comma 450, legge n. 296/2006 e dall’articolo 33, comma 3-bis, cod. contr., da parte di comuni di qualsivoglia dimensione demografica, nella ricorrenza dei presupposti per il ricorso al MEPA, inficerà il contratto stipulato ai sensi del disposto di cui all’art. 1, comma 1, L. 135/ 2012 comportando le connesse responsabilità.
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In conclusione, riassumendo quanto esposto per entrambi i quesiti formulati ed operando una lettura complessiva dell’articolo 33, comma 3-bis, del codice dei contratti, coordinato con il citato comma 450,
si deve affermare che il ricorso ad un’unica centrale di committenza è obbligatorio per tutte le procedure concorsuali relative ad appalti di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria nonché per gli acquisti in economia di importo superiore ad € 40.000,00 mediante cottimo fiduciario e non invece per gli acquisti, mediante medesima procedura, di importo inferiore e per quelli mediante amministrazione diretta.
Conseguentemente, l’obbligo alternativo previsto dal secondo periodo del medesimo comma 33 (“In alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 e ed il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all’articolo 328 del d.P.R. 05.10.2010, n. 207”) dovrebbe trovare applicazione solo per i suddetti acquisti.
Tuttavia, anche per acquisti mediante cottimo fiduciario di importo inferiore ad € 40.000,00 o per acquisti mediante amministrazione diretta, non ricompresi nell’articolo 33, comma 3 bis, cod. contr., trova applicazione l’obbligo di ricorso alle forme di mercato elettronico previste dall’articolo 1, comma 450, della legge n. 296/2006 come modificata dalla legge n. 94/2012 (“al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure”).
Restano salve le specifiche eccezioni sopra riportate.
Quanto, infine, alla portata cogente della norma contenuta nell’articolo 33 cod. contr. (e dell’articolo 1, comma 450, legge n. 296/2006),
si ribadisce l’alternativa offerta ai comuni di popolazione inferiore a 5.000 abitanti (centrale di committenza o mercato elettronico), fermo restando che il mancato ricorso ad una delle due modalità ivi previste determinerà l’applicazione dell’impianto sanzionatorio previsto dall’articolo 1, comma 1, d.l. n. 95/2012 (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 23.04.2013 n. 165).

LAVORI PUBBLICINello specifico, il comune di Brignano intende applicare l’articolo 53, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 a mente del quale, in caso di appalto di lavori pubblici, “in sostituzione totale o parziale delle somme di denaro costituenti il corrispettivo del contratto, il bando di gara può prevedere il trasferimento all'affidatario della proprietà di beni immobili appartenenti all'amministrazione aggiudicatrice, già indicati nel programma di cui all'articolo 128 per i lavori, o nell'avviso di preinformazione per i servizi e le forniture, e che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico”.
A parere della Sezione, l’operazione descritta dal Comune non trova alcun ostacolo nella normativa finanziaria che limita l’acquisto di beni immobili.
Con successiva integrazione (nota n. 2089/2013), il Sindaco del Comune di Brignano chiede di conoscere, in linea generale ed al di là del caso concreto prospettato, se il divieto di procedere ad acquisti immobiliari ricomprende anche la permuta immobiliare “alla pari”.
La risposta deve essere negativa. In conclusione, può ritenersi che l’espressione utilizzata dal legislatore nel caso di specie abbia carattere atecnico e che sia più correttamente applicabile ai contratti nei quali l’effetto traslativo, conseguenza immediata e diretta del rapporto giuridico, determini comunque un esborso finanziario a carico del soggetto pubblico.

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Il sindaco del comune di Brignano Gera d’Adda, con nota n. 2302 del 15.03.2013, chiedeva all’adita Sezione l’espressione di un parere in ordine all’articolo 1, comma 138, legge 228/2012.
In particolare, l’Ente si interroga sulla possibilità di procedere alla realizzazione di un’opera pubblica (Polo per l’infanzia) avvalendosi dell’articolo 53, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 il quale stabilisce che, in sostituzione totale o parziale delle somme di denaro costituenti il corrispettivo del contratto, il bando di gara può prevedere il trasferimento all’affidatario della proprietà di beni immobili appartenenti all’amministrazione aggiudicatrice, già indicati nel programma di cui all’articolo 128 per i lavori e che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico.
Sulla base di tali premesse, il Sindaco dell’ente locale chiedeva se l’operazione di “permuta” dell’opera pubblica da realizzare con bene immobile di proprietà dell’amministrazione senza alcun esborso monetario sia compatibile con la legge di stabilità 2013.
Con successiva nota 2089/2013 chiedeva, in linea generale, se il divieto in esame comprendesse o meno le operazioni di permuta “alla pari.
...
La questione in esame concerne la possibilità o meno, per il comune di Brignano, di procedere alla realizzazione di un’opera pubblica (Polo per l’infanzia) avvalendosi dell’articolo 53, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 il quale stabilisce che, in sostituzione totale o parziale delle somme di denaro costituenti il corrispettivo del contratto, il bando di gara può prevedere il trasferimento all’affidatario della proprietà di beni immobili appartenenti all’amministrazione aggiudicatrice, già indicati nel programma di cui all’articolo 128 per i lavori e che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico.
Il Sindaco del comune di Brignano chiede di sapere se l’operazione di permuta rientri o meno nel divieto di acquisto beni immobili introdotto dall’articolo 12, comma 1-quater, della legge n. 111/2011 (comma inserito dall’articolo 1, comma 138, della legge n. 228/2012) ai sensi del quale “per l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, (…), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell'articolo 8 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto”.
Nello specifico, il comune di Brignano intende applicare l’articolo 53, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 a mente del quale, in caso di appalto di lavori pubblici, “in sostituzione totale o parziale delle somme di denaro costituenti il corrispettivo del contratto, il bando di gara può prevedere il trasferimento all'affidatario della proprietà di beni immobili appartenenti all'amministrazione aggiudicatrice, già indicati nel programma di cui all'articolo 128 per i lavori, o nell'avviso di preinformazione per i servizi e le forniture, e che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico”.
A parere della Sezione, l’operazione descritta dal Comune non trova alcun ostacolo nella normativa finanziaria che limita l’acquisto di beni immobili.
E’ vero, infatti, che l’Ente locale acquista un’opera pubblica –e quindi un bene immobile– ma è altrettanto vero che l’articolo 1, comma 138, legge n. 228/2012 vieta l’acquisto di immobili a titolo oneroso e non la diversa ipotesi (in cui l’acquisto è mera conseguenza, differita nel tempo, dell’operazione) dell’appalto di lavori pubblici.
D’altra parte, lo stesso articolo 12 della legge n. 111/2011 (modificato dal citato comma 138), comma 1-ter, prevede che “a decorrere dal 01.01.2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente:” è chiaro ed evidente il riferimento giuridico alla fattispecie civilistica della compravendita (laddove le parti sono l’alienante e l’acquirente) e non a quella dell’appalto.
Con successiva integrazione (nota n. 2089/2013), il Sindaco del Comune di Brignano chiede di conoscere, in linea generale ed al di là del caso concreto prospettato, se il divieto di procedere ad acquisti immobiliari ricomprende anche la permuta immobiliare “alla pari”.
La risposta deve essere negativa.
Pur consapevole che la permuta, anche ove non preveda movimenti finanziari, è un contratto commutativo e quindi a titolo oneroso, la Sezione ritiene di dare prevalenza ad argomentazioni di diverso tenore, che consentono di escludere che il contratto di permuta ricada all’interno della norma proibitiva degli acquisti.
Dal punto di vista teleologico, innanzitutto, occorre considerare che la disposizione in commento novella un decreto legge recante Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, ed è inserita nell’ambito di una legge di stabilità, la quale, ai sensi dell’art. 11, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196 ”contiene esclusivamente norme tese a realizzare effetti finanziari”.
Va poi ricordato che, se è vero che secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (ex plurimis sentenza 18.02.2010, n. 52) il legislatore statale, ai sensi dell’art. 117 Cost., può limitare la capacità negoziale degli enti locali in conformità alla propria spettanza della materia “ordinamento civile”, è altrettanto vero che tali limitazioni devono essere testualmente ed espressamente comminate.
Si impone, pertanto, un’interpretazione del divieto di acquisto costituzionalmente orientata: l’intervento dello Stato, infatti, si giustifica se ed in misura in cui risulta finalizzato al rispetto del principio di coordinamento della finanza pubblica e dell’obiettivo di contenimento della pesa.
Solo in questa prospettiva, dunque, si giustifica il divieto introdotto dall’articolo 1, comma 138, legge n. 228/2012.

Sotto questo profilo, allora, è del tutto evidente che, risolvendosi nella mera diversa allocazione delle poste patrimoniali dell’ente afferenti a beni immobili, il contratto di permuta risulta operazione finanziariamente neutra e, conseguentemente, non contemplata dal richiamato divieto.
A parere della Sezione,
l’ambito applicativo del divieto va allora circoscritto alle categorie giuridiche potenzialmente pregiudizievoli per le finanze pubbliche.
Sotto il profilo letterale, infine, si può osservare che il comma 1-ter dell’art. 12 sopra riportato prevede, tra gli altri, una serie di obblighi concernenti le operazioni di acquisto che prevedono l'indicazione “del soggetto alienante e del prezzo pattuito”.
Dal riferimento alla posizione dell’alienante può cogliersi un grave indizio semantico dell’inapplicabilità del divieto di acquisto ai casi di permuta “pura”, in quanto, come noto, nel contratto di permuta le posizioni di alienante e di acquirenti sono reciproche e predicabili con riferimenti a entrambi i contraenti.
In conclusione,
può ritenersi che l’espressione utilizzata dal legislatore nel caso di specie abbia carattere atecnico e che sia più correttamente applicabile ai contratti nei quali l’effetto traslativo, conseguenza immediata e diretta del rapporto giuridico, determini comunque un esborso finanziario a carico del soggetto pubblico (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 23.04.2013 n. 164).

APPALTI: L’art. 84, comma 4, del Dlgs. n. 163 del 2006, sancisce l’incompatibilità tra componente della commissione giudicatrice e lo svolgimento di funzioni relativamente al contratto, solo per i commissari diversi dal presidente, e il cumulo delle funzioni nella stessa persona non comporta una violazione dei principi di imparzialità e buona amministrazione, in quanto è conforme alla normativa applicabile all’ente (cfr. il Dlgs. n. 207 del 2001 e l’art. 13 dello statuto) la quale, mutuata da quella degli enti locali (cfr. l’art. 107 del Dlgs. n. 267 del 2000 per il quale al dirigente è attribuita la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità delle procedure d'appalto e di concorso e la stipulazione dei contratti) e del codice degli appalti (cfr. art. 84, comma 3, del Dlgs. n. 163 del 2006), demanda al dirigente la presidenza della commissione e l’esercizio delle funzioni inerenti al procedimento, con l’ulteriore precisazione che l’assegnazione della responsabilità delle singole fasi procedimentali e dell’unitario procedimento di gara in capo al dirigente non confligge con il principio di separazione delle funzioni tra controllato e controllore perché l’approvazione degli atti di gara non è tecnicamente riconducibile alla nozione di controllo.
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La previsione dello statuto dell’ente che individua nel direttore colui che presiede la commissione di gara è conforme a quanto prescritto dall’art. 84, comma 3, del Dlgs. n. 163 del 2006, e dall’art. 107 del Dlgs. n. 267 del 2001, che individuano in via preventiva ex lege nel dirigente il presidente della commissione.
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Tenuto conto del contenuto del contratto che non presuppone la conoscenza di complesse e specifiche cognizioni tecniche, e della circostanza che non sono stati nominati soggetti estranei alla pubblica amministrazione scelti tra liberi professionisti, si può presumere, in assenza di una puntuale contestazione, che tali soggetti (ndr: i membri della commissione di gara) siano in possesso di un’adeguata esperienza, ed è da escludere fosse necessaria al riguardo un’estesa motivazione nell’atto di nomina.

2. Le restanti censure contenute negli ulteriori motivi di ricorso sono infondate e devono essere respinte.
Con il diciassettesimo e diciottesimo motivo la ricorrente sostiene che a seguito delle ratifiche, in capo al direttore sono venute a concentrarsi le figure di colui che indice la gara, nomina e preside la commissione, ed infine approva gli atti di gara, generando una sorta di “confusione” procedimentale derivante dalla sovrapposizione di ruoli, e di indebita concentrazione delle funzioni di controllato e di controllore.
Tali censure devono essere respinte perché l’art. 84, comma 4, del Dlgs. n. 163 del 2006, sancisce l’incompatibilità tra componente della commissione giudicatrice e lo svolgimento di funzioni relativamente al contratto, solo per i commissari diversi dal presidente, e il cumulo delle funzioni nella stessa persona non comporta una violazione dei principi di imparzialità e buona amministrazione, in quanto è conforme alla normativa applicabile all’ente (cfr. il Dlgs. n. 207 del 2001 e l’art. 13 dello statuto) la quale, mutuata da quella degli enti locali (cfr. l’art. 107 del Dlgs. n. 267 del 2000 per il quale al dirigente è attribuita la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità delle procedure d'appalto e di concorso e la stipulazione dei contratti) e del codice degli appalti (cfr. art. 84, comma 3, del Dlgs. n. 163 del 2006), demanda al dirigente la presidenza della commissione e l’esercizio delle funzioni inerenti al procedimento (ex pluribus cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 12.11.2012, n. 5703; Tar Puglia, Bari, Sez. I, 14.06.2012, n. 1183; Consiglio di Stato, Sez. V, 27.04.2012, n. 2445; Consiglio di Stato, Sez. VI, 28.09.2011 n. 5406; Consiglio di Stato, Sez. V, 22.06.2010, n. 3890), con l’ulteriore precisazione che l’assegnazione della responsabilità delle singole fasi procedimentali e dell’unitario procedimento di gara in capo al dirigente non confligge con il principio di separazione delle funzioni tra controllato e controllore perché l’approvazione degli atti di gara non è tecnicamente riconducibile alla nozione di controllo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 12.06.2009, n. 3716; id. 18.09.2003, n. 5322).
...
5. Con il terzo e il ventiduesimo motivo la parte ricorrente lamenta la violazione del principio della posteriorità della nomina della commissione rispetto alla presentazione delle offerte, perché lo statuto individua nel direttore, nella qualità di presidente, un componente fisso della commissione.
La doglianza va respinta perché la commissione è stata nominata con atto n. 26 del 26.09.2011, dopo la scadenza del termine del 23.09.2011 per la presentazione delle offerte, e la previsione dello statuto dell’ente che individua nel direttore colui che presiede la commissione, è conforme a quanto prescritto dall’art. 84, comma 3, del Dlgs. n. 163 del 2006, e dall’art. 107 del Dlgs. n. 267 del 2001, che individuano in via preventiva ex lege nel dirigente il presidente della commissione (cfr. per un identica censura Tar Puglia, Lecce, 14 agosto 2007, n. 3077, punto 3.1. in diritto).
...
7. Con il quinto e il ventiduesimo motivo la ricorrente lamenta genericamente la mancanza di professionalità dei componenti della commissione.
La censura va disattesa in quanto, oltre al presidente della commissione, che è il direttore per statuto dell’ente, sono stati nominati componenti soggetti legati da un rapporto di servizio con la stessa amministrazione (il dott. Zanutto responsabile dell’ufficio qualità e già direttore di enti simili all’I.S.R.A.A.), o con altre amministrazioni (la dott.ssa Santin direttrice di altra struttura per anziani).
Pertanto, tenuto conto del contenuto del contratto che non presuppone la conoscenza di complesse e specifiche cognizioni tecniche, e della circostanza che non sono stati nominati soggetti estranei alla pubblica amministrazione scelti tra liberi professionisti, si può presumere, in assenza di una puntuale contestazione, che tali soggetti siano in possesso di un’adeguata esperienza, ed è da escludere fosse necessaria al riguardo un’estesa motivazione nell’atto di nomina (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 07.12.2011, n. 6434; Consiglio di Stato, Sez. V, 28.03.2008, n. 1332; Tar Lazio, Roma, Sez. III Ter, 04.02.2008, n. 905) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 22.04.2013 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul potere della p.a. di annullare in via di autotutela il bando e le singole operazioni di gara, quando i criteri di selezione si manifestino come suscettibili di produrre effetti indesiderati o comunque illogici.
Il principio del favor partecipationis non può spingersi fino al punto di vanificare la portata dei requisiti soggettivi che la lex specialis necessariamente deve richiedere ed esigere.

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La p.a. conserva anche in relazione ai procedimenti di gara per la scelta del contraente il potere di annullare in via di autotutela il bando e le singole operazioni di gara, quando i criteri di selezione si manifestino come suscettibili di produrre effetti indesiderati o comunque illogici, tenendo quindi conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse: tale potere di autotutela trova fondamento negli stessi principi costituzionali predicati dall'art. 97 cost., cui deve ispirarsi l'azione amministrativa, e costituisce il pendant dell'obbligo di rispettare le prescrizioni stabilite dalla lex specialis della gara, che vincolano non solo i concorrenti, ma la stessa amministrazione (con esclusione di qualsiasi margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione da parte dell'amministrazione e tanto meno della facoltà di disapplicarle, neppure nel caso in cui talune delle regole stesse risultino inopportunamente o incongruamente formulate, salva proprio la possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, al loro annullamento).
Neppure il provvedimento di aggiudicazione definitiva e tanto meno quello di aggiudicazione provvisoria (che del resto si iscrivono nella fase procedimentale di scelta del contraente, concludendola) ostano all'esercizio di un siffatto potere, il quale incontra un limite soltanto nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza, alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la P.A., e nella tutela dell'affidamento ingenerato.
Nel caso di specie, i surrichiamati principi sono stati rispettati dall'amministrazione che, in assoluta trasparenza e nel pieno rispetto delle garanzie procedimentali, ha fatto tempestivamente ammenda di un proprio errore che, ove non emendato, avrebbe rischiato di vulnerare il diritto delle altre concorrenti al rispetto della par condicio e nonché l'interesse pubblico dell'amministrazione ad avvalersi di un partner contrattuale idoneo e qualificato.
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Il principio del favor partecipationis, di cui deve certamente tenersi conto nella predisposizione della disciplina di una procedura ed evidenza pubblica, tendente in linea di principio ad evitare l'introduzione di una barriera di ingresso anticompetitiva che restringa, in modo non ragionevole e non necessario, la platea dei potenziali competitori, non può spingersi fino al punto di vanificare la portata dei requisiti soggettivi che la lex specialis necessariamente deve richiedere ed esigere per poter garantire all'amministrazione che il futuro contraente sia selezionato fra imprese in possesso della capacità tecnica ed economica per svolgere in modo ottimale il servizio affidatogli (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 22.04.2013 n. 175 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla funzione transitoria dell'art. 12 del d.l. 07.05.2012, n. 52 (conv. in l. 06.07.2012, n. 94), che impone l'apertura delle offerte tecniche in seduta pubblica.
L'art. 12 del d.l. 07.05.2012, n. 52 (conv. in l. 06.07.2012, n. 94), ha la specifica funzione transitoria di salvaguardare gli effetti delle procedure concluse o pendenti alla data del 09.05.2012, nelle quali si sia proceduto all'apertura dei plichi in seduta riservata, recando in sostanza, per questo aspetto, una sanatoria di tali procedure. Ciò sulla base delle seguenti argomentazioni:
- il principio di pubblicità, pur di derivazione comunitaria, non è direttamente cogente ma ha un contenuto programmatico, restando perciò agli Stati membri la sua concreta declinazione in coerenza con altri valori, a cominciare da quello dell'affidamento incolpevole da parte dell'aggiudicataria che abbia confidato sulla vigenza di determinate regole procedimentali che, nella specie, nella maggior parte dei casi, prevedevano l'apertura dei plichi in seduta riservata;
- con il citato art. 12, di conseguenza, è stata normata la regola di diritto definita dall'Adunanza plenaria ma è stato al contempo precisato che l'obbligo della seduta pubblica decorre dal 09.05.2012, confermando per il passato l'inesistenza di una disposizione cogente di tale contenuto;
- questa disciplina transitoria ha lo scopo di evitare il travolgimento di numerosissime gare in corso, con i conseguenti oneri economici e amministrativi particolarmente gravosi nella presente fase di crisi economica;
- né appare logico, si deve concludere, attribuire alla norma altra ratio; non vi sarebbe ragione infatti per un intervento normativo che obbliga all'apertura pubblica dei plichi soltanto a partire da una certa data "anche per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti", se non allo scopo di tenere esente dall'obbligo l'intervenuta, antecedente apertura dei plichi (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 22.04.2013 n. 8 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTISull'antimafia iter lungo in Prefettura.
L'OSTACOLO/ Senza il database nazionale il rilascio dei certificati richiede anche più di 45 giorni contro i due impiegati dalle Camere di commercio.
Dal 13 febbraio le Camere di Commercio non sono più competenti a rilasciare il certificato del registro imprese integrato con la dicitura antimafia che per legge era parificato alla «comunicazione» antimafia, mentre «l'informazione» antimafia era rilasciata solo dalle Prefetture.

Il cambio di competenze è stato previsto dal Dlgs 218/2012 e precisato dal ministero dell'Interno (nota dell'8 febbraio).
Fino al 12 febbraio il certificato veniva richiesto alle Camere di Commercio dagli enti pubblici (soprattutto i Comuni) e dai gestori di servizi pubblici, nelle procedure per gli appalti e il controllo delle attività economiche.
Questi enti e gestori devono ora richiedere il certificato (o meglio la comunicazione) antimafia alla Prefettura che ha tempo 45 giorni dalla richiesta per rispondere, termine che però non è perentorio.
Queste regole sul rilascio della comunicazione rimarranno in vigore fino al funzionamento della banca dati nazionale antimafia gestita dal ministero la quale dovrà rilasciare la comunicazione «immediatamente».
Si è così creata, ed era facilmente prevedibile, una situazione che danneggia sia le imprese sia gli enti pubblici perché i tempi per la stipula dei contratti e il rilascio delle autorizzazioni si allungheranno, mentre le Camere rilasciavano i certificati ai Comuni e altri organismi in media entro due giorni e, quando possibile, anche il giorno stesso.
In un periodo di crisi anche questa novità, come constatato ormai da due mesi, è una complicazione nella vita delle aziende, e causa ritardi non giustificati.
La novità è poi incomprensibile per due motivi che emergono dalla nota del ministero: perché nel periodo transitorio la Prefettura rilascia la comunicazione utilizzando gli stessi dati del Ced nazionale a cui erano collegate le Camere; perché, trattando dei tempi del procedimento, al punto 6 si afferma che «le previsioni secondo cui il rilascio delle comunicazioni … deve avvenire immediatamente … non paiono suscettibili di applicazione in questa fase transitoria». Tra le parole «non paiono» e la conclusione «non sono» c'è una forte differenza.
Per rimediare, la soluzione più funzionale per le imprese e a costo zero è confermare alle Camere la competenza al rilascio dei certificati antimafia fino all'operatività della nuova banca dati nazionale. Eventualmente la nuova procedura potrebbe essere riservata solo alle società concessionarie di giochi pubblici e alle società estere prive di sede stabile.
Consultando i siti aggiornati di alcune Prefetture risultano applicazioni non omogenee delle nuove disposizioni. In alcune province agli enti che richiedono la comunicazione viene imposto di allegare copia della visura camerale relativa all'impresa o, in alternativa, una dichiarazione sostitutiva compilata dal legale rappresentante dell'impresa con i dati contenuti nella visura. In pratica, l'ente o l'impresa devono acquisire una visura camerale, adempimento prima non necessario.
Per evitare l'incertezza sui tempi di rilascio della comunicazione, all'imprenditore è concessa, in certi casi, la possibilità di compilare un'autocertificazione in cui dichiara che non sussistono a suo carico cause di divieto, decadenza o sospensione previste dall'articolo 67 del Dlgs 159/2011, e questa va rilasciata all'ente o al gestore di servizi. Soluzione solo apparentemente semplice perché è molto difficile e rischioso per un cittadino interpretare correttamente le norme penali e amministrative relative all'antimafia; in caso di errore, si rischia una denuncia per falsa dichiarazione.
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Il quadro
01 | LE COMPETENZE
Dal 13 febbraio la competenza sul rilascio dei certificati del registro imprese con la dicitura antimafia è passata dalle Camere di commercio alle Prefetture. Le Prefetture sono tenute a occuparsi di questa procedura fino all'attivazione della banca dati nazionale antimafia (con la pubblicazione del Dpcm, c'è un mese di tempo)
02 | LE CONSEGUENZE
La Prefettura ha tempo 45 giorni per rispondere, e il termine non è perentorio. Questo comporta un allungamento dei tempi a carico delle imprese che hanno bisogno del certificato con la dizione antimafia per la partecipazione agli appalti (articolo Il Sole 24 Ore del 22.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZICorte costituzionale. Le indicazioni della sentenza 50/2013. In house sempre più difficile per le aziende quotate in Borsa.
IL CRITERIO/ L'ente deve avere un potere «determinante» sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni importanti dell'affidataria.

Con la recente sentenza 50/2013 la Corte costituzionale ha voluto ribadire i requisiti e le condizioni per la sussistenza del rapporto in house, prendendo spunto dall'impugnazione da parte del Governo della legge della regione Abruzzo 9/2011 che disciplina il servizio idrico integrato.
La Corte ha colto l'occasione per rifare il punto sul rapporto in house. Bisogna ricordare che «in house» è una sintesi verbale che indica una relazione fra un'amministrazione pubblica e un ente (società, associazione, ecc.) da essa interamente controllato, sul quale esercita un controllo analogo a quello che eserciterebbe su un proprio ufficio e che svolge un'attività tendenzialmente esclusiva a favore della controllante.
La norma impugnata specificava le modalità di esercizio del «controllo analogo» sugli affidatari in house del servizio idrico integrato «nel rispetto dell'autonomia gestionale del soggetto gestore», attraverso il «parere obbligatorio» sugli atti fondamentali di quest'ultimo.
L'individuazione dei parametri costituzionali per la valutazione della norma regionale ha indotto la Corte a una verifica della disciplina nazionale sull'affidamento dei servizi pubblici locali. Il legislatore nazionale aveva introdotto norme molto restrittive e di chiaro sfavore per l'affidamento in house, per aprire il settore dei servizi pubblici alla concorrenza, ma il referendum abrogativo del 12 e 13.06.2011 aveva spazzato via ogni limitazione legislativa,e anche la successiva reintroduzione di norme pro concorrenziali era stata giudicata illegittima dalla Corte proprio perché non rispettava l'esito referendario.
Secondo la Corte, quindi, la conseguenza delle vicende legislative e referendarie brevemente richiamate è che, attualmente, si deve ritenere applicabile la normativa e la giurisprudenza comunitarie in materia, senza alcun riferimento a leggi interne. La sentenza 50, fondandosi proprio sui principi comunitari espressi dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, ha dichiarato l'illegittimità della norma regionale impugnata per violazione dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione (mancato rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario).
Questa sentenza è importante perché, nell'enunciare principi noti, ne specifica la portata concreta. Il potere esercitato sull'ente controllato consiste in un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni importanti; la «possibilità di influenza determinante» è incompatibile con il rispetto dell'autonomia gestionale, senza distinguere -in coerenza con la giurisprudenza comunitaria- tra decisioni importanti e ordinaria amministrazione. Inoltre, il rapporto in house deve comportare che l'amministrazione controllante esprima pareri vincolanti sugli atti dell'ente controllato.
L'aver esplicitato l'incompatibilità fra «autonomia gestionale» e modello in house dovrebbe comportare un'attenta valutazione da parte delle amministrazioni controllanti sulla scelta della tipologia di società con cui costituire il «controllo analogo». In particolare, dopo questa sentenza, appare ancor più problematico costruire un rapporto in house con le società per azioni. In queste ultime, la rilevante autonomia all'organo amministrativo, cui compete la gestione dell'impresa e la correlativa responsabilità (articoli 2380-bis, comma 1, e 2409-novies, comma 1 del Codice civile) appare confliggere in modo evidente con le caratteristiche essenziali della relazione in house (articolo Il Sole 24 Ore del 22.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: Rassegna Normativa - Servizi Pubblici Locali - “Progetto di supporto e affiancamento operativo a favore degli Enti Pubblici delle Regioni Obiettivo Convergenza”.
Servizi pubblici locali: elaborata una raccolta della normativa.
In esito ai lavori del Tavolo tecnico, istituito in attuazione di un Protocollo d’intesa promosso dal Ministero dello Sviluppo economico e a cui hanno partecipato, oltre al predetto dicastero, la Segreteria tecnica del Sottosegretario di Stato Catricalà, il Dipartimento Affari Europei e il Dipartimento per gli Affari Regionali, il Turismo e lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Invitalia -Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo Sviluppo d’impresa S.p.A.– è stata elaborata una raccolta ricognitiva della normativa e della giurisprudenza nazionali e comunitarie applicabili ai servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Il documento, varato alla presenza del Sottosegretario di Stato Antonio Catricalà e del Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo economico Claudio De Vincenti, è articolato in quattro titoli, preceduti da note esplicative, relativi:
• all’organizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e alle funzioni degli enti territoriali;
• all’affidamento dei servizi e concorrenza;
• alla gestione delle reti e società a partecipazione pubblica;
• alla regolazione.
È completato da tre capitoli contenenti la disciplina specifica dei settori idrico, trasporti pubblici locali e rifiuti (22.04.2013 - tratto da www.regioni.it).

APPALTI: La partecipante ad una gara che sia stata legittimamente esclusa, non ha legittimazione a censurare l’ammissione alla gara dell’aggiudicataria e gli atti di gara, assumendo la posizione del quisquis de populo, non potendo trarre alcun vantaggio dall’eventuale fondatezza delle censure.
Nel caso in cui l’amministrazione abbia escluso dalla gara il concorrente, questi non ha la legittimazione ad impugnare l’aggiudicazione al controinteressato, a meno che non ottenga una pronuncia di accertamento della illegittimità dell’esclusione. Infatti, la determinazione di esclusione, non impugnata o non annullata, cristallizza definitivamente la posizione sostanziale del concorrente, ponendolo nelle stesse condizioni di colui che sia rimasto estraneo alla gara, non avendo un’aspettativa diversa e maggiormente qualificata di quella che si può riconoscere in capo ad un qualunque altro soggetto che non abbia partecipato alla gara.
Ne deriva, pertanto, che non spetta alcuna legittimazione a contestare gli esiti della gara al concorrente escluso dalla gara, che non abbia impugnato l’atto di esclusione o la cui impugnazione sia stata respinta.

Il disciplinare di gara, alla sezione XII “Esclusione dalla gara” prevedeva espressamente che “sono escluse altresì le offerte la cui offerta tecnica contenga proposte di variante che…4) rendano palese, direttamente o indirettamente, l’offerta economica o temporale”.
La testuale previsione della lex di gara riferita a qualsiasi valorizzazione economica della proposta di variante, toglie pregio alla censura, essendo del tutto irrilevante che i prezzi indicati fossero quelli del prezziario regionale e che non fossero scontati, essendo comunque idonei a consentire la ricostruzione del prezzo indicato nell’offerta economica.
A tal punto va confermata la sentenza di primo grado, dovendosi ritenere illegittimamente ammessa alla gara l’a.t.i. Rearco, cui consegue l’inammissibilità delle censure dedotte con il ricorso incidentale di primo grado e riproposte in appello, atteso che la partecipante ad una gara che sia stata legittimamente esclusa, non ha legittimazione a censurare l’ammissione alla gara dell’aggiudicataria e gli atti di gara, assumendo la posizione del quisquis de populo, non potendo trarre alcun vantaggio dall’eventuale fondatezza delle censure (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 11 del 2010).
A termini della citata sentenza dell’Adunanza plenaria, nel caso in cui l’amministrazione abbia escluso dalla gara il concorrente, questi non ha la legittimazione ad impugnare l’aggiudicazione al controinteressato, a meno che non ottenga una pronuncia di accertamento della illegittimità dell’esclusione. Infatti, la determinazione di esclusione, non impugnata o non annullata, cristallizza definitivamente la posizione sostanziale del concorrente, ponendolo nelle stesse condizioni di colui che sia rimasto estraneo alla gara, non avendo un’aspettativa diversa e maggiormente qualificata di quella che si può riconoscere in capo ad un qualunque altro soggetto che non abbia partecipato alla gara.
Ne deriva, pertanto, che non spetta alcuna legittimazione a contestare gli esiti della gara al concorrente escluso dalla gara, che non abbia impugnato l’atto di esclusione o la cui impugnazione sia stata respinta (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.04.2013 n. 2206 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIE' legittima l'esclusione dalla gara d'appalto per i "lavori di ristrutturazione e riconversione" di un immobile vincolato poiché appare perfettamente logico e conforme alla legge che incida gravemente sulla moralità professionale di chi intende, fra l’altro, gestire un bene vincolato dalla Soprintendenza dopo essere stato condannato con sentenza per aver distrutto un immobile in zona vincolata.
... per l'annullamento:
Quanto al ricorso introduttivo, della nota dell'Autorità Portuale di Trieste dd. 13.11.2009, con cui la ricorrente è stata esclusa dalla procedura di affidamento dei "lavori di ristrutturazione e riconversione in Stazione Marittima del capannone n. 42 sul Molo Bersaglieri di Trieste"; della lex specialis di gara; nonché del provvedimento di aggiudicazione della procedura.
Quanto ai motivi aggiunti depositati in data 16.3.2010, con i quali si impugnano il verbale interno della commissione nominata con decreto del Pres. dell'Autorità Portuale di Trieste dd. 06.10.2009 e per la declaratoria di nullità, l'annullamento e/o la dichiarazione di intervenuta caducazione del contratto d'appalto o in subordine, per la reintegrazione "per equivalente" con risarcimento del danno subito dal ricorrente.
...
La ricorrente, che ha chiesto di partecipare alla procedura in oggetto in costituendo RTI con Elettroindustriale srl ed Ediltre spa, si è vista comunicare l’esclusione con l’impugnata e del tutto immotivata nota dell’Autorità Portuale, oggetto del ricorso originario.
Di essa ha dedotto l’illegittimità per violazione dell’art. 38, 1° comma, lett. c) del D.Lgs. n. 163/2006, in quanto l’intimata Autorità non avrebbe svolto alcuna valutazione sugli eventuali reati a carico degli amministratori e degli altri soggetti a ciò tenuti, tenendo conto dell’inerenza delle funzioni svolte alle obbligazioni dedotte in contratto, incidenti sulla moralità professionale.
Invero graverebbe sulla stazione appaltante l’accertamento di tale gravità ed incidenza (ed al riguardo si cita CDS V Sez. n. 1736 del 23.03.2009) ma non se ne rinverrebbe traccia nella comunicazione impugnata.
Ha dedotto altresì difetto di motivazione e di istruttoria in quanto non sarebbero riportati, nemmeno per relationem, le ragioni per cui, in ordine ai reati individuati dalla stazione appaltante, questi sono ritenuti gravi.
...
Il Collegio condivide la contestata decisione della Commissione di gara e pertanto anche i provvedimenti, compresi quelli di esclusione della ricorrente e di aggiudicazione alla controinteressata, in quanto appare perfettamente logico e conforme alla legge che incida gravemente sulla moralità professionale di chi intende, fra l’altro, gestire un bene vincolato dalla Soprintendenza dopo essere stato condannato con sentenza per aver distrutto un immobile in zona vincolata (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 18.04.2013 n. 237  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Applicazione dell'art. 26, comma 3, della L. 488/1999 ai comuni montani con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti.
Le disposizioni previste dall'art. 26, comma 3, della L. 488/1999 -che stabiliscono, per i comuni con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti e per i comuni montani con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, l'inapplicabilità dell'obbligo di ricorrere alle convenzioni Consip ovvero di utilizzarne i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisizione di beni e servizi- pur risultando tuttora vigenti, sembrano, tuttavia, essere state superate dalle norme successivamente approvate, caratterizzate da un sempre più vincolante obbligo di ricorso al sistema del mercato elettronico e delle convenzioni.
L'Ente istante chiede di sapere se le disposizioni previste dall'art. 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488, siano tuttora applicabili ai comuni con popolazione al di sotto dei 1.000 abitanti e ai comuni montani con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e se ciò determini che, per gli stessi, non viga l'obbligo di ricorso alle convenzioni Consip o all'utilizzo dei parametri prezzo-qualità ricavabili da queste.
La normativa citata stabilisce che non si applica ai comuni sopra menzionati l'obbligo di ricorrere alle convenzioni Consip, ovvero di utilizzarne i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisizione di beni e servizi, anche con procedure telematiche di acquisto.
Tali disposizioni, oggetto di modifica nel 2003 e nel 2004
[1], pur risultando tuttora vigenti, appaiono essere tuttavia superate dalle norme successivamente approvate, caratterizzate da un sempre più vincolante obbligo di ricorso al sistema del mercato elettronico e delle convenzioni. Come rilevato dalla Corte dei conti [2], attesa l'evidente natura vincolistica dei recenti interventi che hanno profondamente innovato il quadro normativo relativo agli acquisti di beni e servizi della P.A., è necessario effettuare un'interpretazione rigorosa di dette disposizioni tale da non eludere i principi informatori alle stesse sottesi.
Si richiama l'attenzione, in particolare, su quanto previsto dai commi 449 e 450 dell'art. 1 della legge 27.07.2006, n. 296
[3], per gli acquisti sopra e sotto soglia compiuti dalle pubbliche amministrazioni, indipendentemente dalla dimensione demografica delle stesse.
Il comma 449, secondo periodo, richiede a tutte le amministrazioni pubbliche non statali e diverse dagli enti del Servizio sanitario nazionale, di ricorrere alle convenzioni-quadro ovvero di utilizzare i parametri qualità-prezzo, da queste desumibili, come limiti massimi per la stipulazione dei contratti.
Il comma 450, secondo periodo, stabilisce l'obbligo per le amministrazioni pubbliche non statali, fermo restando quanto previsto al comma 449, di ricorrere, per l'acquisizione di beni e servizi di importo inferiore alla soglia comunitaria, al mercato elettronico della pubblica amministrazione (MEPA), ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi dell'art. 328 del D.P.R. 05.10.2010, n. 207 o al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure.
Si rileva, inoltre, che l'art. 1, comma 7, del decreto legge 06.07.2012, n. 95, stabilisce una disciplina speciale per l'approvigionamento di beni -quali energia elettrica, gas, carburanti, combustibili per riscaldamento e telefonia- che non sembra ammettere deroghe o procedure particolari per i piccoli comuni. Tali modalità di acquisto si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche e alle società inserite nel conto economico della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istat ai sensi dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196.
Si osserva, infine che, per i comuni con popolazione pari o inferiore a 3.000 abitanti, l'art. 4 della legge regionale 09.03.2012, n. 3, letto in combinazione con l'art. 33, comma 3-bis, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), prevede un regime particolare per gli acquisti, stabilendo che questi, dal 01.10.2013
[4], vadano compiuti attraverso un'unica centrale di committenza ovvero, in alternativa, per le sole acquisizioni di beni e servizi, tramite strumenti elettronici gestiti da altre centrali di committenza (ivi compresi le convenzioni-quadro ed il MEPA).
Pertanto, in Friuli Venezia Giulia, per tali comuni (a prescindere dalla loro natura montana) l'obbligo di avvalersi delle convenzioni Consip e di ricorrere al MEPA per le acquisizioni di beni e servizi trova applicazione quale possibile alternativa al ricorso ad un'unica centrale di committenza costituita nell'ambito delle forme associative di cui alla legge regionale 09.01.2006, n. 1
[5].
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[1] L'art. 26, comma 3, della L. 488/1999, è stato dapprima sostituito dall'art. 3, comma 166, della legge 24.12.2003, n. 350 e successivamente dall'art. 1 del decreto legge 12.07.2004, n. 168, convertito con modifiche dalla legge 30.07.2004, n. 191.
[2] Corte dei conti, sez. contr. Lombardia, parere 21.03.2013, n. 89.
[3] Nel testo risultante dalle modifiche apportate prima dal decreto legge 07.05.2012, n. 52 (convertito con modificazioni dalla legge 06.07.2012, n. 94) e successivamente dalla legge 24.12.2012, n. 228.
[4] Termine previsto dalla legge regionale 08.04.2013, n. 5 che posticipa quello del 1° aprile antecedentemente stabilito. Per ulteriori considerazioni sui cambiamenti apportati da tale legge all'art. 4 della legge regionale 09.03.2012, n. 3, si veda la nota prot. n. 11716/P dd. 11.04.2013 di questo Servizio inviata a tutti gli enti locali della Regione.
[5] Sull'applicazione in Friuli Venezia Giulia delle norme sulle centrali di committenza, si veda la nota prot. n. 8437 dd. 14.03.2013 di questo Servizio, inviata a tutti gli enti locali della Regione prima dell'approvazione della novella di cui alla precedente nota
(18.04.2013 - link a www.regione.fvg.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: OGGETTO: Accesso agli atti di una gara per la fornitura di lavagne interattive multimediali da parte della ditta classificata al terzo posto.
L’Istituto scolastico in indirizzo, dopo aver rappresentato di aver indetto sul mercato elettronico della P.A. una gara per la fornitura di lavagne interattive multimediali, ha formulato a questa Commissione alcuni quesiti al fine di sapere se:
   a) sia sufficientemente motivata la richiesta di accesso formulata da una ditta, classificatasi al terzo posto della graduatoria per conoscere gli atti di gara degli altri concorrenti (offerta tecnica, offerta economica, relazione e schede tecniche) onde verificare in sede amministrativa e/o giudiziale la legittimità del procedimento di aggiudicazione;
   b) sia possibile estrarre ed inviare la documentazione di interesse tramite pec e, in caso non fosse possibile, quali dovrebbero essere i costi di riproduzione.
La prima questione non pone grossi dubbi.
Qualora l’istanza di accesso provenga da un concorrente alle gare di appalto, il partecipante ad un procedimento ha pieno diritto ad accedere agli atti dello stesso procedimento ai sensi dell’art. 10, legge n. 241/1990, senza necessità di dimostrare la titolarità di un interesse diretto e concreto e senza che la sua istanza sia motivata, trattandosi di c.d. accesso endoprocedimentale.
L’unico limite all’accesso è previsto dall’art. 24 della citata legge per i documenti relativi a “interessi industriali e commerciali (come peraltro confermato, in materia di procedimenti ad evidenza pubblica, dall’art. 13 d.lgs. 163/2006 Codice dei contratti pubblici), fatta salva comunque la prevalenza dell’accesso ogniqualvolta la conoscenza dei documenti sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
La seconda questione è più articolata concernendo, da un lato, l’ammissibilità dell’accesso telematico e, dall’altro, i costi dell’accesso.
Sul primo aspetto, si osserva che in base al quadro normativo vigente,
l’accesso telematico “deve” essere consentito, ove richiesto, nei rapporti tra P.A. e cittadino, soprattutto per corrispondere alle richieste di accesso dei documenti amministrativi.
Infatti, in base all'art. 13, comma 1, d.P.R. n. 184/2006 (disposizione che rinvia all’art. 38 del d.P.R. n. 445/2000) “le pubbliche amministrazioni assicurano che il diritto d'accesso possa essere esercitato anche in via telematica”. Inoltre, il d.lgs. n. 82/2005 “Codice dell’amministrazione digitale” sancisce in favore dei cittadini, oltre al diritto di chiedere ed ottenere l’accesso ai documenti con l'uso delle tecnologie telematiche (artt. 3 e 4), il diritto all’utilizzo della PEC per ogni scambio di documenti ed informazioni (art. 6).
Infine, l’art. 3-bis della L. 241/1990 (introdotto dalla legge n. 15/2005) ha previsto che, per conseguire maggiore efficienza nelle loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della telematica. Pertanto,
nella specie, la P.A. ha il dovere di provvedere all’invio di copie digitali (anziché cartacee) degli atti amministrativi.
Circa l’altro profilo, la Commissione rammenta che
i costi di riproduzione (nonché i diritti di ricerca e visura), pur non potendo essere predeterminati a livello generale, devono costituire oggetto di responsabile valutazione da parte di ogni singola amministrazione nell’esercizio dei poteri organizzatori previsti dall’art. 8, lett. c, d.P.R. n. 184/2006, in modo da essere equi e non esosi, in quanto la richiesta di un importo elevato costituisce un limite all'esercizio del diritto di accesso
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 18.04.2013 - link a www.commissioneaccesso.it).

APPALTI: L'institore è titolare di una posizione corrispondente a quella di un vero e proprio amministratore, munito di poteri di rappresentanza, cosicché deve anche essere annoverato fra i soggetti tenuti alla dichiarazione ex art. 38 dlgs n. 163/2006.
Il ruolo dell'institore disegnato dall'art. 2203 c.c. quale soggetto preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale, lo caratterizza come alter ego dell'imprenditore. L'institore, infatti, è titolare di una posizione corrispondente a quella di un vero e proprio amministratore, munito di poteri di rappresentanza, cosicché deve anche essere annoverato fra i soggetti tenuti alla dichiarazione ex art. 38 dlgs n. 163/2006.
La peculiarità del ruolo, determinata dall'ampiezza dei poteri di rappresentanza allo stesso attribuiti dalla legge, lo differenzia in modo significativo dalla diversa figura del procuratore, che, infatti, non può ritenersi tenuto a rendere la dichiarazione de qua (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.04.2013 n. 2118 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIAppalti solo alle imprese pulite. L'elenco delle aziende mafia-free aggiornato ogni anno. Pronto il dpcm che attua la legge anticorruzione. Domande di iscrizione anche via Pec.
Lavori solo alle imprese doc. L'elenco delle aziende mafia-free che, in qualità di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori saranno dispensate dal produrre l'informativa antimafia, sarà aggiornato di anno in anno e verrà articolato in sezioni a seconda dei settori di attività.
Le aziende che vorranno farne parte dovranno inoltrare domanda alla prefettura competente (anche telematicamente attraverso la posta elettronica certificata) la quale poi effettuerà le necessarie verifiche se l'impresa non è censita nella Banca dati nazionale unica antimafia istituita dal dlgs 159/2011. Viceversa, se essa è già presente nella Banca dati, l'iscrizione sarà automatica e la liberatoria antimafia potrà essere rilasciata immediatamente.

Con la messa a punto da parte del governo del dpcm che detta le istruzioni tecniche per l'istituzione e l'aggiornamento dell'elenco, l'operazione pulizia negli appalti pubblici prevista dalla legge anticorruzione (legge n. 190/2012) può dirsi completa. L'iscrizione nella lista delle imprese con la fedina penale pulita sarà su base volontaria e sarà ovviamente subordinata all'assenza di eventuali tentativi di infiltrazione. Ma soprattutto non sarà un'iscrizione a vita. Le prefetture competenti per territorio dovranno infatti effettuare verifiche periodiche sull'assenza di commistioni con le organizzazioni criminali e in caso di esito negativo disporre la cancellazione di chi non risulta in regola.
Come detto, l'elenco sarà suddiviso in tante sezioni quante sono le attività considerate come maggiormente esposte al rischio di infiltrazioni mafiose dalla legge anticorruzione. Si va dal trasporto di materiali a discarica al trasporto di rifiuti, dal movimento terra alla fornitura di calcestruzzo, dalla fornitura di ferro lavorato alla guardiania dei cantieri. Questo elenco potrà essere aggiornato entro il 31 dicembre di ogni anno, con apposito decreto del ministro dell'interno, adottato di concerto con i ministri della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze.
Le domande di iscrizione nell'elenco potranno essere inviate anche telematicamente alle prefetture che le valuteranno seguendo la procedura a doppio binario vista prima: iscrizione automatica nel caso in cui l'impresa sia già presente nella Banca dati nazionale antimafia o solo a seguito di verifiche in caso di mancata iscrizione nell'elenco. Le prefetture dovranno pronunciarsi entro 90 giorni dal ricevimento dell'istanza.
Le imprese presenti nell'elenco dovranno comunicare entro 30 giorni qualsiasi modifica del proprio assetto proprietario o degli organi sociali. Mentre le società quotate dovranno indicare anche le partecipazioni rilevanti. La mancata osservanza dell'obbligo di comunicazione comporterà la cancellazione dall'elenco. Almeno 30 giorni prima della scadenza annuale di validità dell'iscrizione, le imprese dovranno trasmettere alla prefettura la richiesta di restare iscritte all'elenco per lo stesso o per settori di attività diversi rispetto a quelli originari. Le prefetture potranno disporre controlli a campione per l'accertamento dei requisiti. E chi non sarà trovato in regola verrà cancellato.
Gli elenchi delle imprese «pulite» saranno pubblicati sul sito web delle prefetture nell'apposita sezione «Amministrazione trasparente» prevista dal dlgs 33/2013 (si veda altro pezzo in pagina). Per facilitare la comunicazione delle imprese con le prefetture attraverso la Pec, il ministero dell'interno pubblicherà sul proprio sito un elenco di indirizzi Pec dei singoli Uffici territoriali di governo (articolo ItaliaOggi del 17.04.2013).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'utilizzazione di capitali di una società strumentale per partecipare, attraverso la creazione di una società di terzo grado, a gare ad evidenza pubblica.
L'utilizzazione di capitali di una società strumentale per partecipare, attraverso la creazione di una società di terzo grado, a gare ad evidenza pubblica comporta, sia pure indirettamente, l'elusione del divieto di svolgere attività diverse da quelle consentite a soggetti che godano di una posizione di mercato avvantaggiata.
Né può costituire valido argomento a contrario la previsione dello scorporo di attività non più consentite alle società strumentali di cui al c. 3 dell'art. 13 del "Decreto Bersani", dovendosi tale disposizione intendere nell'unico senso compatibile con il divieto imposto alle società strumentali di partecipare ad enti, sancito dal c. 1 del medesimo articolo e cioè come volta a costituire un nuovo soggetto societario, destinato a concorrere in pubbliche gare per lo svolgimento di un servizio di interesse generale, che non comporti l'intervento finanziario dell'ente strumentale.
Su tale base, è agevole affermare che la partecipazione al confronto concorrenziale mediante una partecipata (nel caso di specie al 100%) consente alla controllante di essere attiva sul mercato, ed il fatto che ciò avvenga formalmente mediante un soggetto distinto costituisce un'evidente elusione del dettato normativo. Né può sostenersi, nel caso di specie, che le società finanziarie, (categoria alla quale appartiene Finmolise s.p.a.), sono escluse dall'ambito di applicazione dell'art. 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223, ai sensi del suo primo comma, ultima parte (le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 01.09.1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti).
La norma richiamata infatti legittima le suddette società ad assumere partecipazioni in altre società o enti, strumento spesso indispensabile per lo svolgimento della loro attività. Il che non consente la costituzione di una società controllata stabilmente operante sul mercato, ma solo l'assunzioni di partecipazioni minoritarie e tendenzialmente temporanee (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.04.2013 n. 2084 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Strada in salita per lo sblocco dei pagamenti: incerti sia i tempi sia gli importi liquidati.
P.a., ecco chi sarà pagato. Forse. Via ai debiti degli enti locali. A patto che ci sia liquidità.

Con la pubblicazione del dl 35/2013, ossia il decreto che sblocca i pagamenti delle pubbliche amministrazioni, si è finalmente messa in moto la macchina che porterà nelle casse dei creditori delle p.a. circa 40 miliardi di euro da qui al 2014. Il percorso, tuttavia, è assai tortuoso, tanto da rendere incerti i potenziali beneficiari sui tempi effettivi di pagamento.
In attesa delle correzioni che potranno essere introdotte dal parlamento (come richiesto dalle principali associazioni imprenditoriali), proviamo a capire chi può nutrire una ragionevole aspettativa di ricevere i soldi. Migliore sembra essere la posizione di chi vanta crediti nei confronti degli enti locali, per i quali, infatti, il dl 35 prevede lo sblocco di 5 miliardi di pagamenti, concedendo una deroga ai vincoli del Patto di stabilità 2013. In pratica, comuni e province potranno utilizzare la liquidità di cui dispongono (e che il Patto ha finora congelato) per estinguere una parte dei loro debiti «di parte capitale». Si tratta, in particolare, di acquisti di beni mobili (arredi, attrezzature, macchinari, automezzi, ecc.), di interventi di realizzazione e/o manutenzione di opere pubbliche (strade, fognature ecc.), di acquisti o realizzazione di immobili. Ma vi rientrano anche, per esempio, le spese di progettazione a fronte di prestazioni di professionisti.
Il dl 35 consente di pagare due tipologie di debiti: 2) quelli «certi, liquidi ed esigibili» alla data del 31.12.2012; 2) quelli per i quali, alla medesima data, sia stata almeno emessa fattura (o richiesta equivalente di pagamento). Se per la seconda categoria non si pongono particolari questioni interpretative in quanto fa fede la data della fattura, qualche dubbio può sorgere rispetto alla prima. In proposito, si ricorda che un debito si considera certo quando non è controverso nella sua esistenza (per esempio per contestazioni giudiziali), liquido quando il suo ammontare risulta precisamente determinato o determinabile, esigibile quando non è sottoposto a condizioni o termini. In tali casi, si può anche prescindere dall'esistenza o meno della fattura, che presenta un valore più contabile (oltre che fiscale), che sostanziale. Per esempio, per le opere pubbliche sembra assumere rilevanza il certificato di pagamento, che viene rilasciato in coincidenza con gli stati di avanzamento lavori.
Si ritiene che l'esigibilità sussista anche prima di ottenere il Durc, fermo restando che quest'ultimo è necessario ai fini del pagamento effettivo. Analogo discorso vale per le verifiche presso Equitalia (per i pagamenti oltre 10 mila euro).
È incerto se possano essere considerati anche i debiti non commerciali (per esempio, a favore di soggetti espropriati): la norma non opera distinzioni, anche se la relazione di accompagnamento parla espressamente di debiti commerciali.
Al di là dei casi dubbi, lo sblocco avverrà in tempi rapidi, a patto che comuni e province dispongano di sufficienti risorse liquide. In tal caso, infatti, il dl 35 consente di pagare immediatamente fino al 13% della liquidità presente sui conti di tesoreria dei singoli enti.
Una volta esaurito il plafond iniziale, però le cose iniziano a complicarsi. A questo punto, infatti, occorrerà attendere il 15 maggio, allorché il Mef indicherà il bonus che ciascun ente potrà utilizzare per derogare dal Patto. Al momento, inoltre, non è chiaro se i 5 miliardi totali includano anche i pagamenti già effettuati nei primi mesi di quest'anno: se così fosse (come pare confermato dalla lettera delle norme), è ovvio che gli spazi per nuovi pagamenti si restringono.
Se poi l'ente debitore è a corto di cassa, le incognite aumentano ancora. Per fronteggiare tale evenienza, il dl 35 prevede due strumenti. Da un alto, aumenta il margine entro cui province e comuni possono attivare le anticipazioni di tesoreria, dall'altro consente loro di accedere a un prestito a lungo termine della Cassa depositi e prestiti. Ciò, oltre a comportare un allungamento dei tempi, non garantisce che le risorse che potranno essere acquisite siano sufficienti. Sul primo versante, molti enti sono già vicini al tetto delle anticipazioni. Quanto al secondo strumento, i 4 miliardi messi a disposizione dal dl 35 (2 quest'anno e 2 il prossimo) sono inferiori rispetto al reale fabbisogno. Inoltre, il meccanismo è viziato da un corto circuito: gli enti, infatti, devono presentare richiesta alla Cassa entro il 30 aprile, che è la stessa scadenza entro cui devono chiedere la deroga sul Patto. C'è quindi il rischio che i margini di spesa risultino inferiori alla reale capacità di pagamento.
Per coloro che resteranno a bocca asciutta, la strada si fa sempre più stretta. Entro ottobre è prevista una seconda iniezione di liquidità, ma solo per il 10% dello stanziamento 2013, mentre non è stabilito quadro verranno ripartiti i 2 miliardi stanziati per il 2014.
Vita ancora più dura per i creditori delle regioni e degli enti del servizio sanitario nazionale. In tali casi, il problema non è tanto legato alle risorse disponibili, che nel biennio ammontano complessivamente a 22 miliardi (su 26 totali di cash per gli enti territoriali). L'ostacolo qui è rappresentato dai tempi: per accedere al tesoretto, infatti, i governatori sono chiamati a predisporre, oltre al piano dei pagamenti, anche «idonee e congrue» misure di copertura finanziaria degli impegni assunti, anche a carattere legislativo. Spesso, si tratta di un passaggio tutt'altro che scontato, specialmente nelle regioni con i bilanci più traballanti.
Coloro che aspettano di essere pagati dalle p.a. statali, infine, dovranno sperare di essere inclusi nella prima tranche di pagamenti, che scatterà, anche in tal caso, a metà maggio sulla base degli elenchi cronologici che ciascun ministero è chiamato a predisporre entro fine aprile con riferimento ai propri debiti. Per chi resterà fuori, occorrerà aspettare che vengano definiti appositi piani di rientro, che prima di essere attuati dovranno passare al vaglio di parlamento e Corte dei conti.
A differenza dei bonus sul Patto, le iniezioni di liquidità possono essere destinate anche al pagamento di debiti di parte corrente (forniture di beni e servizi), sempre che certi, liquidi ed esigibili o muniti di fattura al 31 dicembre scorso. Per questi, infatti, non si pone un problema di Patto che vincola solo i pagamenti in conto capitale. Ma la torta è sempre quella e più aumentano i commensali più il numero di quelli destinati a restare ancora digiuni è destinato a crescere (articolo ItaliaOggi Sette del 15.04.2013).

APPALTI: Il mosaico delle regole sblocca-pagamenti. L'utilizzo delle «vecchie» procedure continuerà ad essere decisivo per chi ora non sarà liquidato.
TASSELLI MANCANTI/ Il decreto legge 35 si inserisce e completa un quadro normativo molto articolato che alla prova dei fatti si è rivelato inefficace.

La manovra proposta dal Governo col decreto legge 35 non intende semplicemente immettere liquidità nel sistema -mediante la soddisfazione diretta dei creditori dello Stato e delle sue differenti amministrazioni- ma ha la più articolata (e difficoltosa) finalità di perfezionare e rendere (finalmente) funzionante un complesso sistema di norme messe in capo per porre rimedio ai ritardi dei pagamenti.
Un fenomeno -come emerge dal documento del Centro studi della Camera con le schede di lettura del Dl n. 35 2013- che nel corso degli anni ha conosciuto una crescita impressionante, sino a sfiorare il totale dei 90 miliardi (secondo stime Banca d'Italia), ovvero circa il 5,8% del Pil. Come se non bastasse, è lo stesso governo a confermare che, al momento, non esistono dati certi sull'ammontare dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese.
Il governo, a più riprese, ha cercato una soluzione. Non fosse altro perché -a seguito del recepimento della direttiva 2011/7/UE- c'è stato un significativo giro di vite sulle sanzioni legate ai mancati pagamenti delle transazioni commerciali, ivi comprese quelle delle Pa. Per i contratti conclusi a decorrere dal 01.01.2013, poi, il termine massimo per i pagamenti della Pa è di 60 giorni e gli interessi moratori (circa l'8% su base annua) decorrono automaticamente alla scadenza del termine.
In altre parole, se fino ad ora "chiedere qualche sacrificio" ai fornitori era tollerato (e tollerabile) -magari con l'introduzione di specifiche clausole contrattuali negli accordi di fornitura, in deroga alle previsioni del Dlgs n. 231/02 che, in Italia, regola tempistica dei pagamenti commerciali e sanzioni per gli inadempimenti- tutto ciò non è più certamente possibile dal 1° gennaio di quest'anno. La conseguenza è che, oltre a indebolire il sistema imprenditoriale, il ritardi dei pagamenti generano anche un danno all'Erario.
In ogni caso, già l'articolo 9 del Dl n. 78/2009 -con il fine di prevenire la formazione di nuove situazioni debitorie della pubblica amministrazione- ha introdotto, tra l'altro, una specifica responsabilità disciplinare e amministrativa dei funzionari pubblici chiamati ad adottare provvedimenti che comportano impegni di spesa, laddove questi non accertino preventivamente la conformità del programma dei pagamenti coi relativi stanziamenti di bilancio.
Con obiettivi di certo più ambiziosi, poi, con l'articolo 9, comma 3-bis, del Dl n. 185/2008 è stata introdotta la cd "disciplina della certificazione dei crediti verso la Pa" (in prima battuta, solo quelli verso gli enti territoriali), anche ai fini della cessione pro-soluto dei medesimi a banche o altri intermediari finanziari (o, più verosimilmente, per utilizzarli in compensazione con debiti erariali). Per rendere più efficace questo nuovo istituto, la legge di stabilità per il 2012 ha introdotto la previsione secondo la quale, scaduto il termine di sessanta giorni, su nuova istanza del creditore, provvede alla certificazione la Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio, la quale, ove necessario, nomina un commissario ad acta con oneri a carico dell'ente territoriale.
Successivamente, il termine per la certificazione è stato ridotto da 60 a 30 giorni dall'articolo 13-bis del Dl 07.05.2012, n. 52 il quale ha, inoltre, reso obbligatoria -e non più eventuale- la nomina di un Commissario ad acta, su nuova istanza del creditore, qualora, allo scadere del termine previsto, l'amministrazione non abbia provveduto alla certificazione. Il meccanismo della certificazione dei crediti è stato esteso anche agli enti del Ssn dal Dl 52/2012 e, alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali, dall'articolo 12 del Dl 02.03.2012, n. 16. In un primo momento, la certificazione veniva rilasciata solo in forma cartacea. Dall'ottobre dello scorso anno è obbligatorio, invece, l'utilizzo di un'apposita piattaforma elettronica che, tra l'altro, ha il vantaggio che le cessioni dei crediti certificati in modalità telematica assolvono al requisito della forma per atto pubblico e all'obbligo di notificazione al l'amministrazione ceduta.
Nonostante questi sforzi, l'efficacia dei provvedimenti per l'accelerazione dei pagamenti della Pa è stata veramente minima. La mancanza (sinora) di sanzioni per le amministrazioni inadempienti sulla certificazione ha fatto si che si fermasse a soli 300 milioni di euro il totale delle certificazioni "cartacee" rilasciate fino a ottobre 2012 e a soli 31 milioni di euro quelle elettroniche. Un dato, questo, che non meraviglia, se si considera che le pubbliche amministrazioni che si sono accreditate sulla piattaforma elettronica sono solo 1.700, su un totale di oltre 20.000.
Questa situazione non fa bene al "sistema" di leggi sinora creato per lo sblocco dei debiti della Pa che non può -visti i numeri- reggersi solo sulle immissioni di liquidità garantite dal Dl 35. In altri termini, tutti gli strumenti disponibili per utilizzare i crediti verso la Pa devono essere resi efficacemente disponibili, soprattutto perché le imprese che non saranno "soddisfatte" (o non lo saranno per intero) in questa tornata di pagamenti potranno continuare a fare affidamento solo sugli strumenti alternativi sinora esistenti.
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Le responsabilità. Gli strumenti per evitare ulteriori ritardi. Sanzioni in agguato per i funzionari distratti.
PARADOSSI/ Appare però blanda la penalità prevista in caso di inadempienza sulla compilazione dell'elenco dei creditori.

Sembra chiaro che, col varo del Dl 35, il governo abbia ben presente i motivi per i quali il sistema delle norme, sinora messo in campo per "smobilizzare" i crediti vantati dalle imprese verso le Pa, non ha funzionato in maniera soddisfacente.
La scarsa responsabilizzazione delle amministrazioni (rectius, dei funzionari) chiamati a gestirlo -legata alla mancanza di sanzioni per gli inadempimenti e/o i ritardi- sembra essere una chiave di lettura ancora più efficace della scarsa liquidità dello Stato.
È per questo motivo che, molto probabilmente, più dei miliardi di anticipazioni messi in campo per immettere liquidità nel sistema si ha motivo di ritenere che lo "sblocco integrale dei crediti" verso la Pa passerà anche attraverso i canali alternativi di utilizzo dei medesimi già da tempo vigenti nel nostro ordinamento (si vedano l'articolo e la tabella in questa stessa pagina). Per inciso, oltre ad allentare temporaneamente i vincoli del patto di stabilità degli enti locali, il Decreto 35 istituisce un "Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili", con una dotazione di 10 miliardi di euro per il 2013 e di 16 per il 2014, distinto in tre sezioni, rispettivamente "per assicurare la liquidità agli enti locali", "alle regioni e alle province autonome" e "al Servizio Sanitario Nazionale".
In ogni caso, la corresponsione in denaro di quanto dovuto -se e quando ci sarà- è utile alle sole (o prevalentemente alle) imprese creditrici dello Stato che non hanno, nel contempo, debiti erariali o che non sono efficientemente (ovvero, a tassi ragionevoli) in grado di cedere agli istituti di credito il proprio diritto. È, infatti, oltremodo increscioso - per uno Stato di diritto - che non si riesca a far funzionare un sistema di procedure per garantire uno dei diritti elementari dei sistemi giuridici di sempre: quello della possibilità di compensare debiti e crediti corrispondenti (in questo caso, tra le imprese e lo Stato, in tutte le sue forme). È altrettanto imbarazzante che non si riesca a far funzionare il sistema delle certificazioni dei crediti per far si che -chi ne abbia la possibilità- possa chiedere delle anticipazioni alle banche sui medesimi.
Per questo motivo, la sanzione pecuniaria introdotta per i funzionari che non richiedono gli spazi finanziari nei termini e secondo le modalità del decreto -così come quella stabilita per chi non procede, entro l'esercizio finanziario 2013, a effettuare pagamenti per almeno il 90% degli spazi concessi- è importante esattamente quanto quella stabilita per la mancata registrazione sulla piattaforma elettronica per la certificazione dei crediti entro 20 giorni dall'entrata in vigore del Dl 35.
È certamente utile e giusto che le amministrazioni debitrici comunichino -a partire dal 01.06.2013 e fino al 15.09.2013, utilizzando la piattaforma elettronica per le certificazioni dei crediti- l'elenco completo dei debiti certi, liquidi ed esigibili, maturati alla data del 31.12.2012, con l'indicazione dei dati identificativi del creditore. C'è, però, da considerare che -anche in ragione del fatto che questa comunicazione (correttamente e opportunamente) equivale a certificazione del credito (ai sensi dell'articolo 9, commi 3-bis e 3-ter, del Dl n. 185/2008)- troppo blanda appare la sanzione in questo caso prevista per l'inadempimento. Che si sappia, sono molto rari i casi di contestazioni di responsabilità dirigenziali e disciplinari per gli inadempimenti nelle nostre Pa.
La possibilità, poi, prevista anche in questo caso di chiedere la nomina di un commissario ad acta appare, ancora una volta, particolarmente irritante per chi si aspetterebbe di essere tutelato nei propri diritti esattamente con lo stesso zelo col quale, in alcuni casi, lo Stato esige quanto gli è dovuto per il contributo al suo funzionamento (articolo Il Sole 24 Ore del 15.04.2013).

APPALTI: Imposte indirette. Il perimetro del vincolo in caso di omessi versamenti
La solidarietà sull'Iva non si ferma agli appalti. Responsabilità anche per i beni soggetti a frode e gli immobili.

Non solo appalti. L'attenzione rivolta alla nuova responsabilità solidale per l'Iva (e le ritenute) nei contratti di subappalto, introdotta dall'articolo 13-ter del Dl 83/2012, non deve far dimenticare che esistono anche altre situazioni che stabiliscono un vincolo per il versamento dell'imposta e/o delle sanzioni in capo a soggetti diversi dal debitore naturale.
La responsabilità solidale sorge quando più soggetti sono tenuti in solido ad adempiere l'obbligazione (anche) tributaria. Secondo il Codice civile (articolo 1292), infatti, in presenza del vincolo di solidarietà ognuno dei coobbligati può essere tenuto all'adempimento integrale con conseguente liberazione degli altri. In via di principio, al coobbligato solidale che paga spetta il diritto di regresso per l'importo versato nei confronti degli altri obbligati.
Esaminiamo i casi principali (per un elenco più dettagliato si rinvia alla grafica a lato).
Le merci «sensibili»
La norma di riferimento in materia di responsabilità Iva è rappresentata dall'articolo 60-bis, comma 2, del Dpr 633/1972. La disposizione prevede il coinvolgimento del cessionario di beni considerati «sensibili» al rischio di frode. Si tratta dei prodotti individuati dal decreto 22.12.2005 (autoveicoli, telefoni, computer, animali vivi e carni), cui si affiancano, dal 4 dicembre dello scorso anno, quelli previsti dal Dm 31.10.2012 (pneumatici e gomme).
Affinché operi la solidarietà dell'acquirente soggetto passivo (la disposizione non opera per gli acquisti dei privati) è comunque necessario che la cessione dei beni in questione sia effettuata a un prezzo inferiore al valore normale e che il cedente non abbia versato la relativa imposta (verifica tutt'altro che semplice, visto che l'Iva si liquida per masse e non operazione per operazione). Il cessionario, in questi casi, può evitare di essere chiamato in causa per il pagamento del tributo (la solidarietà non si estende alla sanzione) solo se fornisce la prova documentale che il minor prezzo dei beni rispetto a quello corrente è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o, ancora, sulla base di specifiche disposizioni di legge: questo potrebbe rappresentare un ulteriore profilo di possibile incompatibilità comunitaria, se si considera che la prova contraria della presunzione legale in esame non deve essere eccessivamente difficile da fornire (causa C-384/04).
In pratica, secondo l'amministrazione finanziaria (circolare 41/E/2005) aver corrisposto un prezzo inferiore al valore normale dovrebbe trovare riscontro oggettivo in ragioni diverse dal mancato pagamento dell'imposta da parte del cedente.
I fabbricati
Senz'altro più ampia è la portata del comma 3-bis dell'articolo 60-bis. La norma, infatti, prevede che, se nell'atto di cessione di un immobile e nella relativa fattura, è dichiarato un corrispettivo diverso (inferiore) rispetto a quello reale (la responsabilità non scatta se l'accertamento si fonda su una divergenza fra corrispettivo e «valore normale» dell'immobile, si veda la circolare 8/E/2009), l'acquirente –anche se privato– è solidalmente responsabile con il cedente per il mancato versamento dell'imposta sulla differenza fra corrispettivo effettivo e prezzo dichiarato, oltre che della relativa sanzione (dal 100 al 200% di tale differenza).
Dal 26.06.2012, per effetto delle modifiche apportate dall'articolo 9 del Dl 83/2012, anche le imprese costruttrici che vendono fabbricati abitativi dopo cinque anni dall'ultimazione possono optare per l'applicazione dell'imposta. Una novità che, di fatto, aumenta le ipotesi di cessione di fabbricati imponibili Iva e amplia la platea dei soggetti che, acquistando un immobile, dovranno fare i conti con tale disposizione. Se poi si considera che, quando l'atto è imponibile Iva, l'acquirente privato non può neppure chiedere l'applicazione del meccanismo di tassazione su base catastale (il «prezzo valore»), valevole solo per le cessioni esenti Iva e soggette a registro, è ipotizzabile che anche la solidarietà giochi un ruolo nella trattativa fra le parti.
I depositi
Un altro vincolo di solidarietà è quello che impone al gestore del deposito Iva di rispondere in solido con i soggetti passivi, nel caso in cui si verifichi una mancata o irregolare applicazione del prelievo conseguente all'estrazione dei beni dal deposito (articolo 50-bis, comma 8, del Dl 331/1993). Anche per tale fattispecie, tuttavia, il consolidato orientamento della giurisprudenza comunitaria (sentenza nella causa C-499/10) impone di escludere la possibilità che gli Stati membri introducano forme di automatismo e, quindi, responsabilità di tipo oggettivo. Così l'obbligo non scatta quando il depositario è in buona fede o non sussistono colpe o negligenze da parte sua (articolo Il Sole 24 Ore del 15.04.2013).

APPALTI: DECRETO PAGAMENTI/ La circolare della Rgs. P.a., debiti online. Sulla piattaforma entro il 29/04.
Scatta una vera e propria corsa contro il tempo per le amministrazioni statali che non hanno ancora provveduto a registrarsi alla piattaforma elettronica necessaria a certificare i crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti della p.a. per forniture, somministrazioni ed appalti, alla luce delle novità introdotte con il decreto legge n. 35/2013.
Entro il prossimo 29 aprile, infatti, le p.a. sono obbligate a registrarsi pena la sanzione pecuniaria di 100 euro di ammenda per ogni giorno di ritardo nella registrazione a carico del dirigente responsabile e una segnalazione per responsabilità dirigenziale e disciplinare nei confronti dello stesso.

È quanto ricorda la Ragioneria generale dello stato nel testo della recente circolare 10.04.2013 n. 17, emanata a seguito delle novità introdotte dal decreto legge sui pagamenti della p.a., in particolare dalle disposizioni contenute all'articolo 7.
Secondo tale norma, entro 20 giorni dall'entrata in vigore della stessa (09.04.2013), le amministrazioni interessate provvedono a registrarsi sulla piattaforma elettronica, accessibile all'indirizzo http://certificazionicrediti.mef.gov.it/. Una piattaforma già attiva dallo scorso anno, a seguito delle novità introdotte dal decreto legge sviluppo (il n. 1/2012), in materia di pagamento dei crediti commerciali delle p.a. e dalle successive regolamenti attuativi operati dal Mineconomia con i decreti del 22/05 e 24/09/2012.
L'iscrizione non è certo facoltativa, ma costituisce un vero e proprio obbligo per tutte le p.a., in quanto il comma 2 del ricordato articolo 7, sancisce che la mancata registrazione entro il 29 aprile rilevi ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporta altresì l'attivazione di un procedimento di responsabilità dirigenziale e disciplinare, così come prevedono gli articoli 21 e 55 del Testo unico sul pubblico impiego (il dlgs n. 165/2001). Ma non è finita. La norma, al fine di evitare inutili rinvii, prevede altresì che al dirigente responsabile sia comminata una sanzione pecuniaria di cento euro, per ogni giorno di ritardo nella registrazione sulla piattaforma elettronica.
E proprio su questo punto, la circolare firmata dal Ragioniere generale dello stato, Mario Canzio, non va tanto per il sottile quando ricorda che alcune amministrazioni centrali e «numerose amministrazioni periferiche» risultano ancora inadempienti alla predetta registrazione. In pratica, ogni amministrazione, secondo le proprie necessità, può individuare i soggetti ritenuti alla registrazione. A titolo esemplificativo, ad esempio, dovranno iscriversi i capi dei dipartimenti, i segretari generali e i responsabili delle strutture quali i prefetti e i dirigenti scolastici. Ma anche chi ha il potere di spesa o a chi compete la gestione delle risorse è tenuto a farlo.
Sul versante operativo, poi, il documento della Rgs precisa che la certificazione dei crediti vantati nei confronti della p.a. sia comunicata esclusivamente per il tramite telematico. Ne consegue che, dallo scorso 8 aprile, non potranno più essere accolte istanze presentate dai creditori in modalità cartacea. Riepilogando, il primo passo da effettuarsi sarà la registrazione, mentre, sulla base di un apposito modello che sarà reso disponibile sul predetto portale, le amministrazioni debitrici dovranno comunicare l'elenco completo dei debiti certi, liquidi ed esigibili maturati al 31 dicembre dello scorso anno e tuttora in essere, con l'indicazione dei dati identificativi del creditore.
La finestra temporale per potervi provvedere scatterà dall'01/06 al 15 settembre. Anche in questo caso, l'omesso o tardivo inserimento costituisce elemento rilevante sia ai fini della misurazione e valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili che per la responsabilità dirigenziale e disciplinare degli stessi (articolo ItaliaOggi del 13.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Linea del mef. Pregresso forse fuori dal Patto.
I pagamenti relativi a debiti pregressi effettuati dagli enti locali nel 2013 ma prima dell'entrata in vigore del dl 35 potrebbero non essere esclusi dal Patto.

È questa la linea interpretativa su cui sembra attestarsi il Mef e che potrebbe essere confermata ufficialmente nei prossimi giorni e tradotta in un correttivo al testo da presentare durante l'iter di conversione in legge.
Il dubbio si è posto agli operatori fin dalle prime ore successive alla pubblicazione del decreto sblocca-debiti (si veda ItaliaOggi del 10 aprile). La deroga al Patto prevista dall'art. 1, comma 1, include anche i pagamenti già effettuati anteriormente all'8 aprile (data in cui il provvedimento è arrivato in G.U.), ovvero consente di solo di chiedere lo sblocco dei debiti ancora da saldare?
La prima soluzione pare più aderente alla formulazione letterale della norma, che consente di escludere dal saldo di competenza mista tutti i pagamenti «sostenuti nel corso del 2013», purché relativi ai debiti certi, liquidi ed esigibili al 31/12/2012 o per i quali alla stessa data vi fosse almeno fattura o analoga richiesta di pagamento.
Anche il primo prospetto per le richieste di comuni e province messo online dal Mef sembrava confermare questa lettura: esso, infatti, parlava solo di debiti al 31/12/2012 senza escludere quelli già pagati.
Nelle scorse ore, tuttavia, il modello è stato modificato ed ora contiene campi distinti, rispettivamente, per i debiti già estinti e per quelli ancora da pagare, individuando come discrimine temporale proprio l'8 aprile.
Tali modifiche sembrano rivelare l'intenzione di autorizzare la detrazione dei soli pagamenti effettuati in data successiva. Da via XX settembre potrebbe arrivare a breve una conferma ufficiale e non è esclusa la presentazione di un emendamento in tal senso durante i prossimi passaggi parlamentari (articolo ItaliaOggi del 13.04.2013).

APPALTI: In caso di acclarata illegittimità dell'atto amministrativo, asseritamente foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al profilo dell'elemento soggettivo della colpa, potendo egli invocare l'illegittimità del provvedimento quale presunzione (semplice) della colpa, spettando poi all'Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile nelle ipotesi di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una fonte normativa di formulazione incerta o di recente entrata in vigore ovvero di notevole complessità del fatto o di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti.
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Per quanto concerne, poi, i rapporti fra il lucro cessante (coincidente con l’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non avvenuta per le illegittimità qui rilevate) e danno emergente (coincidente con la diminuzione patrimoniale dovuta per le spese e gli esborsi sostenuti per la partecipazione alla gara), si osserva quanto segue.
Invero, il danno emergente, consistente nelle spese sostenute per la partecipazione ad una gara d'appalto, non è risarcibile, in favore dell'impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell'appalto (o anche la sola perdita della relativa chance). Infatti, la partecipazione alle gare pubbliche di appalto comporta per le imprese costi che, di norma, restano a carico delle imprese medesime sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione.
Detti costi di partecipazione si colorano come danno emergente solo se l'impresa illegittimamente esclusa lamenti (e chieda di essere tenuta indenne in relazione a) questi profili dell'illegittimità procedimentale, perché in tal caso viene in considerazione soltanto la pretesa risarcitoria del contraente che si duole del fatto di essere stato coinvolto in trattative inutili. Tali danni, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e, solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente.
Per converso, nel caso in cui l'impresa ottenga il risarcimento del lucro cessante per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione.

Neppure può trovare accoglimento l’ulteriore motivo con cui si è lamentato che la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per la parte in cui ha ritenuto di poter accordare alla società ricorrente in primo grado un pieno risarcimento del danno, mentre invece il pertinente quadro giuridico e fattuale avrebbe al più consentito di riconoscere alla ricorrente un indennizzo pari al (solo) interesse negativo connesso all’infruttuosa partecipazione alla gara.
Al riguardo si osserva:
- che sussistono nel caso di specie tutti gli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie foriera di danno, con particolare riguardo: a) al fatto costitutivo (rappresentato dalla mancata aggiudicazione in assenza di una qualunque valida giustificazione); b) all’evento dannoso (rappresentato dalle mancate utilità ritraibili dall’esecuzione dell’appalto); c) dall’evidente esistenza di un nesso eziologico fra il fatto e l’evento;
- che, per quanto concerne il profilo della colpevolezza, la sentenza in epigrafe risulta meritevole di conferma laddove ha osservato che (anche a prescindere dalla giurisprudenza comunitaria in tema di prova della colpa nelle controversie risarcitorie in tema di pubblici appalti – C.G.C.E., sentenza 30.09.2010 in causa C-314/2009), deve nondimeno trovare applicazione nel caso di specie il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui in caso di acclarata illegittimità dell'atto amministrativo, asseritamente foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al profilo dell'elemento soggettivo della colpa, potendo egli invocare l'illegittimità del provvedimento quale presunzione (semplice) della colpa, spettando poi all'Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile nelle ipotesi (che qui non sussistono) di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una fonte normativa di formulazione incerta o di recente entrata in vigore ovvero di notevole complessità del fatto o di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti (sul punto –ex plurimis -: Cons. Stato, V, 19.11.2012, n. 5846; id., V, 03.07.2012, n. 3888; id., VI, 20.07.2010, n. 4660).
Per quanto concerne, poi, i rapporti fra il lucro cessante (coincidente con l’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non avvenuta per le illegittimità qui rilevate) e danno emergente (coincidente con la diminuzione patrimoniale dovuta per le spese e gli esborsi sostenuti per la partecipazione alla gara), si osserva quanto segue.
Al riguardo il Collegio ritiene che non sussistano ragioni per discostarsi dall’orientamento secondo cui il danno emergente, consistente nelle spese sostenute per la partecipazione ad una gara d'appalto, non è risarcibile, in favore dell'impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell'appalto (o anche la sola perdita della relativa chance). Invero, la partecipazione alle gare pubbliche di appalto comporta per le imprese costi che, di norma, restano a carico delle imprese medesime sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione.
Detti costi di partecipazione si colorano come danno emergente solo se l'impresa illegittimamente esclusa lamenti (e chieda di essere tenuta indenne in relazione a) questi profili dell'illegittimità procedimentale, perché in tal caso viene in considerazione soltanto la pretesa risarcitoria del contraente che si duole del fatto di essere stato coinvolto in trattative inutili. Tali danni, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e, solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente.
Per converso, nel caso in cui l'impresa ottenga il risarcimento del lucro cessante per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione (Cons. Stato, VI, 16.09.2011, n. 5168) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.04.2013 n. 1999 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICentrale di committenza al via. Spacchettamento per i nuovi appalti.
Appalti spacchettati dopo la committenza unica. Dal 31.03.2013 la Centrale di Committenza è la modalità organizzativa attraverso la quale i comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti «affidano obbligatoriamente a un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture» ai sensi dell'art. 33, comma 3-bis, dlgs. 163 del 2006.

Sull'argomento è intervenuta anche la legge 13.08.2010, n. 136 («piano straordinario contro le mafie»), la quale stabilisce (all'art. 13) che con successivo decreto si sarebbero delineate le modalità per istituire in ambito regionale una o più stazioni uniche appaltanti (Sua), avente natura giuridica di centrale di committenza.
Ne consegue che il ciclo dell'appalto, così come delineato dal codice dei contratti e regolamento attuativo, ovvero programmazione-progettazione-affidamento-esecuzione viene a essere «spacchettato» fra due distinti soggetti e due responsabili diversi, con buona pace dell'unicità del Rup di cui all'articolo 10 del citato codice.
La tabella in pagina contiene in ordine cronologico le attività facenti capo ai «vecchi» responsabili unici di procedimento e ai nuovi responsabili delle Cdc. La suddivisione delle attività sviluppa il tracciato fissato dal dpcm 30.6.2011 e indica come passare dalla norma alla prassi operativa ovvero «chi fa cosa».
I Rup dei piccoli comuni mantengono la titolarità della fase «a monte» della programmazione dei lavori, servizi e forniture, della «progettazione del contratto» e la fase «a valle» della stipulazione ed esecuzione del contratto. La fase dell'affidamento diviene di competenza della Cdc, salvo naturalmente la verifica di disponibilità del prodotto o servizio presso la centrale «superiore» ovvero Consip spa.
Viene meno quindi l'impostazione originaria degli appalti, perché si perde l'univocità del responsabile del procedimento, derivante, per chi ne abbia memoria, dall'articolo 7 c. 1 della «vecchia» legge 109/94. È da sottolineare come questo profondo cambiamento non sia avvenuto attraverso un ripensamento strutturale della materia dei contratti, ma attraverso un comma, il 3-bis, aggiunto a un articolo in modo sottile e quasi «inconsapevole».
Infine si consideri che l'art. 33 parla di «gare bandite» da cui la riflessione che l'obbligo della gestione centralizzata sia precettivo per le procedure con confronto concorrenziale, mentre rimane in capo ai singoli comuni la facoltà di gestire autonomamente il procedimento contrattuale per l'acquisizione in economia, oppure nei casi per i quali la legge ammette la procedura negoziata diretta (cfr. artt. 56, 57, 125 dlgs n. 163/2006). In tal senso si è pronunciata anche la Corte dei conti Piemonte (Sez. Controllo n. 271/2012) (articolo ItaliaOggi del 12.04.2013).

APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALIContributi alla luce del sole. Dal 20 aprile trasparenza anche per incarichi e appalti. Ecco cosa cambierà con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 33 del 2013.
Cambia la pubblicità per contributi, incarichi e appalti. Il 20 aprile prossimo entrerà in vigore il dlgs 33/2013, decreto legislativo sul riordino della trasparenza, che spazza via l'articolo 18 del dl 83/2012, convertito in legge 134/2012, sostituito dagli articoli 26 e 27 del nuovo decreto.
In sostanza, il legislatore, sia pure con notevole confusione, distingue più nettamente le fattispecie di pubblicità che fino al 4 aprile scorso erano tutte comprese nell'abolito articolo 18: contributi, incarichi di collaborazione e appalti.
Contributi. È la fattispecie di provvedimenti più chiara. Non vi è alcun dubbio che gli articoli 26 e 27 si riferiscano a procedure mediante le quali le amministrazioni pubbliche assegnano «sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati», in applicazione dell'articolo articolo 12 della legge 241/1990, se di importo superiore a mille euro.
In questo caso, si pubblicano senza alcun problema i dati elencati dall'articolo 27, comma 1, anche se occorre precisare che detta elencazione non menziona i provvedimenti di assegnazione, che, come vedremo in seguito, sono essenziali.
Incarichi di collaborazione. La nuova formulazione dell'articolo 26 del dlgs 33/2013 elimina il riferimento contenuto, precedentemente, nel comma 1 dell'articolo 18 ai «compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati». Dunque, gli incarichi professionali di collaborazione e consulenza, prima inclusi nell'articolo 18, sembrano estrapolati. In effetti, la disciplina della pubblicità degli incarichi di collaborazione esterna si riscontra prevalentemente nell'articolo 15, commi 2 e 3, del decreto di riordino, i quali sostituiscono l'articolo 1, comma 127, della legge 662/1996 e l'articolo 3, comma 18, della legge 244/2007, anch'essi aboliti.
Tuttavia, l'articolo 27, comma 1, continua a citare tra i dati da pubblicare il «curriculum del soggetto incaricato». Ora, poiché nell'ambito dell'erogazione di contributi e sussidi non vi è alcun soggetto «incaricato», e visto che la gran parte delle informazioni da rendere note ai sensi dell'articolo 15 coincidono con quelle richieste dall'articolo 27, comma 1, è corretto ritenere che per quanto riguarda gli incarichi esterni l'elenco dei dati da pubblicare sia quello previsto dall'articolo 27, comma 1, integrato con gli specifici elementi richiesti dall'articolo 15: in particolare, la «ragione dell'incarico».
Appalti. Gli articoli 26 e 27 non contengono più alcun riferimento indiretto agli appalti. L'elenco dei dati da pubblicare previsto dall'articolo 27, comma 1, alla lettera h) non contiene più il periodo, presente invece nell'abolito articolo 18, «nonché al contratto e capitolato della prestazione, fornitura o servizio». Dunque, gli articoli 26 e 27 non disciplinano la pubblicità degli appalti.
E questo è confermato dall'articolo 37 del decreto di riordino, il quale in modo espresso sancisce che la pubblicità relativa agli appalti di lavori, forniture e servizi è contenuta esclusivamente nelle specifiche norme del dlgs 163/2006 e nell'articolo 1, comma 32, della legge 190/2012 (legge «anticorruzione»).
Efficacia. Altra rilevantissima modifica apportata dal dlgs 33/2013 rispetto all'abolito articolo 18 concerne la condizione di efficacia, connessa alla pubblicazione dei dati. La norma abolita stabiliva che detta pubblicazione condizionasse l'efficacia del «titolo legittimante»; ciò significava che occorreva pubblicare il contratto o la convenzione regolanti i rapporti di appalto, collaborazione o contributo (era totalmente erronea la tesi che il titolo legittimante potessero essere le fatture).
L'articolo 26, comma 3, del decreto di riordino, invece, stabilisce che la pubblicazione costituisce «condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongano concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare al medesimo beneficiario». Sparisce, quindi, il riferimento al titolo legittimante.
Occorre, allora, pubblicare il provvedimento di assegnazione (delibera, determina) e tale pubblicazione lo rende efficace, non dunque, la pubblicazione all'albo pretorio, che resta in ogni caso necessaria. Pertanto, sebbene l'articolo 27, comma 1, non li menzioni nel suo elenco di dati da pubblicare, è evidente che i provvedimenti di assegnazione dei contributi o sussidi, nonché degli incarichi di collaborazione, debbono essere necessariamente pubblicati, così da permettere l'acquisizione di efficacia.
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La Consip non è sempre obbligatoria.
Nessun obbligo di adesione alle convenzioni Consip per gli enti locali, tranne che per le forniture di energia, gas, combustibili e telefonia; è invece obbligatorio il rispetto dei parametri-qualità prezzo desunti dalle convenzioni stipulate dalle centrali di committenza.
È questo il quadro che si trae dalla lettura delle norme che si sono succedute in questi ultimi mesi e sulle quali sono sorte, in sede interpretative, alcune tesi difformi che meritano di essere meglio chiarite e specificate alla luce della normativa vigente.
In sintesi la situazione è tale per cui, alla luce del decreto c.d. spending review bis (legge 94/2012 di conversione del dl 52/2012), che ha rafforzato l'obbligo, per tutte le p.a., di fare ricorso alle convenzioni Consip per gli acquisti, ai sensi dell'art. 1, c. 499, della legge 296/2006, come modificato di recente dalla stessa legge 94, effettivamente esistono da un lato l'obbligo di adesione alle convenzioni Consip per le sole amministrazioni statali (tranne per quelle operanti nel settore dell'istruzione: scuole e università) e dall'altro l'obbligo di utilizzo delle convenzioni stipulate dalle centrali regionali da parte del servizio sanitario nazionale.
Per gli enti locali (ma sono esclusi gli enti con popolazione fino a 1.000 abitanti, o a 5.000 per i comuni montani), invece, i paletti sono due: utilizzare i parametri di qualità e prezzo, sia delle convenzioni stipulate dalla centrale di committenza statale o da quelle regionali, come limiti massimi per la stipulazione dei contratti; aderire alle convenzioni Consip per i contratti di fornitura di energia elettrica; gas; carburanti rete e carburanti extra-rete; combustibili per riscaldamento; telefonia fissa e telefonia mobile (le precise categorie merceologiche sono indicate dall'art. 1 c. 7, del dl 95/2012).
Sull'aggiudicatario dei contratti.
C'è poi, sull'altro versante (privato), l'obbligo di pagamento di una commissione non superiore all'1,5% del valore del contratto per l'aggiudicatario delle convenzioni stipulate da Consip, per l'aggiudicatario di gare su delega bandite da Consip nell'ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi, nonché per l'aggiudicatario degli appalti basati su accordi quadro (articolo ItaliaOggi del 12.04.2013.

APPALTIArriva il Testo unico sulla trasparenza. Da pubblicare on-line i tempi per le fatture.
Con il Testo unico sulla Trasparenza, che entra in vigore il 20 aprile, per tutte le amministrazioni scatta l'obbligo di pubblicare on-line i tempi medi con i quali si garantiscono i pagamenti ai fornitori.

Lo ha annunciato ieri il ministro per la Pa e la Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, illustrando le principali novità del decreto n. 33 del marzo scorso.
Si tratta di uno strumento utile in vista dei nuovi limiti che dovranno essere rispettati dopo il recepimento delle disposizioni europee e consentirà, ha spiegato il ministro, di misurare «la capacità di spesa delle amministrazioni». Le sanzioni per i dirigenti responsabili che possono incidere sui trattamenti accessori.
Il Testo unico mette insieme tutti gli obblighi di pubblicità a carico della Pa e attiva il diritto del cittadino al «controllo sociale» delle amministrazioni. Si prevede tra l'altro l'obbligo di pubblicare le situazioni patrimoniali di politici e parenti entro il secondo grado, pena una multa da 500 a 10mila euro. Vanno pubblicati anche gli incarichi dirigenziali e le consulenze altrimenti si applica una sanzione pari alla somma corrisposta (articolo Il Sole 24 Ore del 12.04.2013).

APPALTI: Il servizio di c.d. "gestione calore" deve qualificarsi come un appalto di servizio strumentale all'Ente affidante, e non già come servizio pubblico locale destinato all'utenza.
Sono rimesse all'Adunanza plenaria alcune questioni sull'obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche.

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Il servizio definito di "energia/gestione calore", deve qualificarsi come un appalto di servizio strumentale all'Ente affidante, e non già come servizio pubblico locale destinato all'utenza. In sintesi, la natura di servizio pubblico locale va riconosciuta alle attività destinate a rendere un'utilità immediatamente percepibile ai singoli o all'utenza complessivamente considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante pagamento di apposita tariffa, all'interno di un rapporto trilaterale e con assunzione del rischio di impresa da parte del gestore.
Peraltro, il servizio energia non costituisce una produzione di beni o attività rivolti a fini sociali e di promozione economica, non potendo rinvenirsi nella mera gestione del calore per gli edifici pubblici alcuna finalità sociale e promozionale.
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Sono rimesse all'Adunanza plenaria le seguenti questioni:
1) se l'obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche sia operativo solo per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art. 12, D.L. 07.05.2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla l. 06.07.2012, n. 94, ovvero se tale regola è applicabile anche per le gare indette prima di tale data;
2) se il citato art. 12 abbia salvaguardato, e quindi sanato, gli effetti delle procedure già concluse alla data del 09.05.2012 e di quelle, ancora pendenti alla detta data, nelle quali si sia già proceduto, prima della medesima data, all'apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche non in seduta pubblica;
3) se il principio positivizzato dalla decisione dell'Adunanza Plenaria n. 13/2011 (obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche) si applichi solo ai plichi aperti dopo il 28.07.2011, data della sua pubblicazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.04.2013 n. 1976 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In generale, il potere di revoca degli atti di gara (già previsto dalla disciplina di contabilità generale dello Stato che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico ex art. 113 del R.D. 23.05.1924 n. 827) trova il proprio fondamento nel principio generale dell'autotutela della pubblica amministrazione (espressamente previsto, nel settore degli appalti pubblici, dall’art. 11, nono comma, del D.Lgs. 163/2006), che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica.
Infatti, l'art. 21-quinquies L. 07.08.1990 n. 241 consente un ripensamento da parte dell’amministrazione, laddove questa ritenga di operare motivatamente una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario. La possibilità che in materia di appalti pubblici la stazione appaltante possa mutare avviso, in funzione del pubblico interesse, deve essere ricondotta all'ordinarietà dell'esercizio stesso del potere esperibile anche dopo l'avvio della procedura di scelta del contraente per ragioni di pubblico interesse preesistenti o sopravvenute o per vizi di merito e di legittimità.
La revoca della gara pubblica può dunque ritenersi legittimamente disposta dalla stazione appaltante in presenza di documentate e obiettive esigenze di interesse pubblico, che siano opportunamente e debitamente esplicitate, che rendano evidente l'inopportunità o comunque l'inutilità della prosecuzione della gara stessa, oppure quando, anche in assenza di ragioni sopravvenute, la revoca sia la risultante di una rinnovata e differente successiva valutazione dei medesimi presupposti.
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Nelle determinazioni di revoca la valutazione dell'interesse pubblico consiste in un apprezzamento discrezionale non sindacabile nel merito dal giudice amministrativo, salvo che non risulti viziato sul piano della legittimità per manifesta ingiustizia ed irragionevolezza.
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In presenza di un legittimo atto di autotutela, costituisce ius receptum, il principio secondo cui la legittimità dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di una gara di appalto non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento dell'amministrazione, con riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza, nell'ambito del procedimento di evidenza pubblica preordinato alla selezione del contraente.
La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara può ritenersi configurabile quando il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché anche dalla revoca legittima degli atti di gara può scaturire l'obbligo di risarcire il danno, nel caso di affidamento suscitato da un comportamento contrario ai canoni comportamentali legalmente sanciti.
Gli atti che compongono la fase procedimentale dell'evidenza pubblica in quanto prodromici alla stipula del contratto sono configurabili anche quali atti di trattativa e formazione negoziale rilevanti ai sensi dell'art. 1337 cod. civ.. Ben può configurarsi una “culpa in contrahendo” a carico della pubblica amministrazione qualora tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un accordo giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l'affidamento nella conclusione del contratto e che una delle parti abbia interrotto le trattative in violazione delle regole di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1337 cod. civ. eludendo così le ragionevoli aspettative dell'altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli.
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Non è configurabile la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante che si sia motivatamente e tempestivamente avvalsa della facoltà, prevista nel bando di gara, di non procedere all’aggiudicazione definitiva dell’appalto per ragioni di pubblico interesse comportanti variazioni agli obiettivi perseguiti; in tal caso, infatti, all’amministrazione appaltante non è contestabile alcun comportamento lesivo dell’affidamento dei partecipanti.
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L'art. 21-quinquies, comma 1, della L. n. 241 del 1990, come modificato ed integrato dalla l. n. 15 del 2005, nel sancire l'obbligo dell'amministrazione di provvedere all'indennizzo dei soggetti direttamente interessati, quale ristoro dei pregiudizi provocati dalla revoca, ha riguardo ai provvedimenti amministrativi “ad efficacia durevole”, tra i quali, pacificamente, non rientra l’aggiudicazione provvisoria .
La revoca di un’aggiudicazione provvisoria, pur dando avvio ad un procedimento complesso che non si risolve uno actu, non può essere qualificato quale atto avente durevole efficacia, con la conseguenza che rispetto ad esso non trova applicazione l'art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990, come modificato ed integrato dalla l. n. 15 del 2005, che sancisce l'obbligo dell'amministrazione di provvedere all'indennizzo dei soggetti direttamente interessati, quale ristoro dei pregiudizi provocati dalla revoca, precisando, peraltro, la stessa disposizione, che l'ambito applicativo ha riguardo ai provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole.
Nemmeno possono trovare applicazione nella fattispecie i successivi commi 1-bis e 1-ter del medesimo articolo, i quali -pur considerando anche gli atti amministrativi a efficacia istantanea- circoscrivono il sorgere del diritto all’indennizzo all’incidenza su rapporti negoziali (da intendersi ovviamente come rapporti già costituiti).

In generale, il potere di revoca degli atti di gara (già previsto dalla disciplina di contabilità generale dello Stato che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico ex art. 113 del R.D. 23.05.1924 n. 827) trova il proprio fondamento nel principio generale dell'autotutela della pubblica amministrazione (espressamente previsto, nel settore degli appalti pubblici, dall’art. 11, nono comma, del D.Lgs. 163/2006), che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, 09.04.2010 n. 1997; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 03.05.2010 n. 2263).
Infatti, l'art. 21-quinquies L. 07.08.1990 n. 241 consente un ripensamento da parte dell’amministrazione, laddove questa ritenga di operare motivatamente una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario. La possibilità che in materia di appalti pubblici la stazione appaltante possa mutare avviso, in funzione del pubblico interesse, deve essere ricondotta all'ordinarietà dell'esercizio stesso del potere esperibile anche dopo l'avvio della procedura di scelta del contraente per ragioni di pubblico interesse preesistenti o sopravvenute o per vizi di merito e di legittimità.
La revoca della gara pubblica può dunque ritenersi legittimamente disposta dalla stazione appaltante in presenza di documentate e obiettive esigenze di interesse pubblico (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 11.05.2009 n. 2882), che siano opportunamente e debitamente esplicitate, che rendano evidente l'inopportunità o comunque l'inutilità della prosecuzione della gara stessa, oppure quando, anche in assenza di ragioni sopravvenute, la revoca sia la risultante di una rinnovata e differente successiva valutazione dei medesimi presupposti (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 05.04.2012 n. 1646; TAR Trentino Alto Adige, Trento, 30.07.2009 n. 228).
Alla luce di tali considerazioni deve concludersi per la legittimità dell’azione amministrativa, posto che la determinazione contestata risulta adeguatamente motivata dalla stazione appaltante con valutazioni che non si possono censurare per palese ingiustizia o illogicità.
L’atto di revoca emesso dalla stazione appaltante in applicazione dei predetti criteri generali in tema di atti di secondo grado, costituisce inoltre esercizio di un potere che l’amministrazione si era riservata sin dalla predisposizione del bando le cui clausole non sono state né impugnate in parte qua né contestate da parte ricorrente.
In ogni caso nel rispetto dei principi di economicità e buon andamento della pubblica amministrazione, deve ritenersi che la prosecuzione dell’appalto in presenza di condizioni come quelle esplicate, si sarebbe comunque posta in contrasto con l’esigenza di una gestione razionale ed efficiente delle risorse pubbliche.
Peraltro nelle determinazioni di revoca la valutazione dell'interesse pubblico consiste in un apprezzamento discrezionale non sindacabile nel merito dal giudice amministrativo, salvo che non risulti viziato sul piano della legittimità per manifesta ingiustizia ed irragionevolezza (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 05.04.2012 n. 1646; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 12.04.2010 n. 1897), circostanze che non è dato ravvisare nella fattispecie per cui è causa.
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La domanda di risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale da atto legittimo ha ad oggetto il ristoro della lesione della posizione soggettiva inerente l'affidamento ingenerato nel privato circa l'osservanza da parte della pubblica amministrazione del dovere di comportarsi secondo buona fede e correttezza durante le trattative.
La questione rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett.e) sub 1), c.p.a., con esplicito riferimento alle controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie…”. A sua volta l’art. 30 del c.p.a. al comma 2 stabilisce che nei casi di giurisdizione esclusiva può essere altresì chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi.
Quanto alla tutelabilità della pretesa ai fini risarcitori, la Sezione (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 05.04.2012 n. 1646) ha in precedenza rilevato che, in presenza di un legittimo atto di autotutela, costituisce ius receptum, il principio secondo cui la legittimità dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di una gara di appalto non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento dell'amministrazione, con riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza, nell'ambito del procedimento di evidenza pubblica preordinato alla selezione del contraente.
La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara può ritenersi configurabile quando il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché anche dalla revoca legittima degli atti di gara può scaturire l'obbligo di risarcire il danno, nel caso di affidamento suscitato da un comportamento contrario ai canoni comportamentali legalmente sanciti (cfr. anche TAR Campania, Napoli, Sez. I, 08.02.2006 n. 1794; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 14.09.2010 n. 3459 e 12.01.2011 n. 20). Gli atti che compongono la fase procedimentale dell'evidenza pubblica in quanto prodromici alla stipula del contratto sono configurabili anche quali atti di trattativa e formazione negoziale rilevanti ai sensi dell'art. 1337 cod. civ.. Ben può configurarsi una “culpa in contrahendo” a carico della pubblica amministrazione qualora tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un accordo giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l'affidamento nella conclusione del contratto e che una delle parti abbia interrotto le trattative in violazione delle regole di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1337 cod. civ. eludendo così le ragionevoli aspettative dell'altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli.
Nella fattispecie, il Collegio ritiene che tali condizioni non sussistano.
Si è visto che la legittimità del provvedimento di revoca è stata ritenuta in funzione della condivisibilità delle ragioni poste dall'amministrazione a fondamento dell'atto di autotutela, adottato proprio a salvaguardia delle sopravvenute esigenze dell’ente e del razionale utilizzo delle risorse pubbliche.
In questa sede deve escludersi un comportamento dell’amministrazione in contrasto con il dovere di lealtà e correttezza nonché lesivo dell’affidamento riposto dalla controparte nella conclusione del contratto.
A tale fine è utile il richiamo a quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui non è configurabile la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante che si sia motivatamente e tempestivamente avvalsa della facoltà, prevista nel bando di gara, di non procedere all’aggiudicazione definitiva dell’appalto per ragioni di pubblico interesse comportanti variazioni agli obiettivi perseguiti; in tal caso, infatti, all’amministrazione appaltante non è contestabile alcun comportamento lesivo dell’affidamento dei partecipanti (Consiglio di Stato, Sez. V, 07.09.2009 n. 5245; 13.11.2002 n. 6291; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 03.05.2010 n. 2263).
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Del pari infondata è l’ultima richiesta subordinata di riconoscimento del diritto alla corresponsione di una somma a titolo di indennizzo ai sensi dell’art. 21-quinquies della l. n. 241/1990.
Al riguardo va infatti osservato che l'art. 21-quinquies, comma 1, della L. n. 241 del 1990, come modificato ed integrato dalla l. n. 15 del 2005, nel sancire l'obbligo dell'amministrazione di provvedere all'indennizzo dei soggetti direttamente interessati, quale ristoro dei pregiudizi provocati dalla revoca, ha riguardo ai provvedimenti amministrativi “ad efficacia durevole”, tra i quali, pacificamente, non rientra l’aggiudicazione provvisoria .
La revoca di un’aggiudicazione provvisoria, pur dando avvio ad un procedimento complesso che non si risolve uno actu, non può essere qualificato quale atto avente durevole efficacia, con la conseguenza che rispetto ad esso non trova applicazione l'art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990, come modificato ed integrato dalla l. n. 15 del 2005, che sancisce l'obbligo dell'amministrazione di provvedere all'indennizzo dei soggetti direttamente interessati, quale ristoro dei pregiudizi provocati dalla revoca, precisando, peraltro, la stessa disposizione, che l'ambito applicativo ha riguardo ai provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole (Tar Lazio, Roma, sez. I, 11.07.2006, n. 5766).
Nemmeno possono trovare applicazione nella fattispecie i successivi commi 1-bis e 1-ter del medesimo articolo, i quali -pur considerando anche gli atti amministrativi a efficacia istantanea- circoscrivono il sorgere del diritto all’indennizzo all’incidenza su rapporti negoziali (da intendersi ovviamente come rapporti già costituiti)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 11.04.2013 n. 1916 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Pubblicità legale, l'Autorità vuole chiarezza sulle norme.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici chiede a governo e parlamento di fare chiarezza sul regime giuridico applicabile alla pubblicità legale dei bandi e avvisi di gara.

Con l'atto di segnalazione 09.04.2013 a governo e parlamento, concernente le modalità di pubblicazione di avvisi e bandi di gara sui quotidiani, l'Authority prende atto dei diversi interventi normativi succedutisi dal 2009 ad oggi e che hanno creato una situazione di scarsa chiarezza rispetto all'applicazione dell'obbligo di pubblicazione di avvisi e bandi per estratto sui quotidiani, così come previsto dall'art. 66, comma 7, del Codice dei contratti; da ciò l'auspicio di un intervento normativo che coordini le diverse disposizioni intervenute.
In particolare l'art. 66 prescrive, al comma 7, che la pubblicazione degli avvisi e dei bandi avvenga «per estratto su almeno due dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno due a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i contratti».
Parimenti, per i contratti di lavori pubblici sotto soglia, mentre l'art. 122, comma 5, prevede che l'avviso sui risultati della procedura di affidamento ed i bandi relativi a contratti di importo pari o superiore a cinquecentomila euro siano pubblicati «per estratto, a scelta della stazione appaltante, su almeno uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i lavori». La segnalazione si è resa necessaria in considerazione del fatto che l'applicazione delle norme sulla pubblicità di avvisi e bandi per l'affidamento dei contratti pubblici è materia che reca con sé importanti implicazioni sulla regolarità delle procedure di gara.
L'Autorità presieduta da Sergio Santoro ritiene, dunque, auspicabile un intervento normativo che coordini le diverse disposizioni intervenute, in linea con le misure di modernizzazione, semplificazione e digitalizzazione dell'attività amministrativa, introdotte con i recenti interventi normativi, in tema di spending review e di sviluppo (articolo ItaliaOggi dell'11.04.2013).

APPALTITutti gli ostacoli sulla via dei pagamenti. I Comuni devono censire il quadro del dovuto, le Regioni varare «manovre» di ripiano.
IL PARADOSSO/ Il via libera immediato alle sole risorse depositate nella «tesoreria statale» può escludere proprio i fondi destinati agli investimenti.

Il calendario fissato dal decreto sui debiti della Pubblica amministrazione è rapido, e i primi provvedimenti attuativi seguono lo stesso ritmo, come impone l'acutezza dell'emergenza. La strada che può condurre il creditore al traguardo dell'incasso, però, può essere lunga e tortuosa, costretta com'è a divincolarsi fra la rigidità dei vincoli europei che rimangono in campo e la mole di un problema che si è accumulato negli anni. Lungo il sentiero, si incontra più di un ostacolo, su cui si dovrà esercitare l'«esame attento» dei testi già annunciato dai partiti e l'azione di «semplificazione» chiesta a gran voce da imprese e operatori.
Le prime incognite si incontrano fin dall'inizio del percorso, tra i Comuni che potrebbero riavviare la macchina senza aspettare gli interventi dell'Economia previsti per la metà di maggio. Il decreto è in vigore da martedì, ma di pagamenti immediati non se ne vedono perché tutti i Comuni carichi di arretrati devono ricostruire il puzzle dettagliato dei debiti al 31 dicembre scorso, e su questa base misurare la richiesta di sblocco dal Patto di stabilità che andrà presentata entro fine aprile. Anche chi ha i soldi in cassa, s'inceppa in un primo nodo interpretativo.
Il decreto consente di liberare fino al 13% della liquidità «detenuta presso la tesoreria statale» (articolo 1, comma 5), ma gli amministratori spiegano in coro che solo una parte delle risorse finisce in quei conti. Oltre a tagliare drasticamente l'ossigeno finanziario che si può immettere nel sistema senza aspettare la distribuzione delle quote da parte dell'Economia, una lettura restrittiva della regola finirebbe dritta in un paradosso: fuori dalla tesoreria statale ci sono le entrate prodotte dai mutui accesi per gli investimenti, cioè proprio le risorse che il decreto intende sbloccare e che invece tornerebbero a incagliarsi.
L'altro vincolo, che impedisce di pagare più del 50% delle somme che si intendono sbloccare con il meccanismo del decreto, rischia poi di imbrigliare i pagamenti nei Comuni più in ordine, che hanno pochi arretrati da smaltire e quindi pochi "bonus" da chiedere. A regime, invece, l'impatto del provvedimento sui creditori dei diversi Comuni dipenderà dalla somma che ogni sindaco chiederà, e riuscirà ad ottenere, al tavolo delle deroghe al Patto; la somma, a sua volta, è legata alla quantità dei «debiti certi, liquidi ed esigibili» accumulati al 31 dicembre scorso, spesso tutti da ricostruire, e dai criteri che saranno adottati per distribuirla. Sindaci e Governo hanno tempo fino al 10 maggio per trovare metodi diversi, altrimenti si applicherà il parametro proporzionale che finirà per premiare chi è più "audace" nelle istanze.
Una quota importante dei debiti degli enti locali è legata poi a finanziamenti regionali, che si possono riattivare in pieno solo se i Governatori procedono in tempi record nel tour de force loro riservato dal secondo articolo del decreto. Per ottenere l'anticipazione dall'Economia, da girare per il 66% agli enti locali, le Regioni devono scrivere provvedimenti in grado di coprire anticipo e interessi, presentare un piano dettagliato dei pagamenti e firmare un contratto con l'Economia per lo sblocco delle risorse. Il tutto senza dare più spazio all'interno del Patto di stabilità ai pagamenti diretti delle Regioni (sono esclusi solo quelli "girati" agli enti locali), che nella nuova versione «eurocompatibile» in vigore dal 2013 ha effetti ancora da misurare.
Per i debiti statali, la premessa obbligatoria è un elenco cronologico dei debiti in ogni ministero. Una tranche verrà sbloccata a metà maggio, ma chi non salirà sul primo treno dovrà aspettare i piani di rientro e il loro passaggio in Parlamento e Corte dei conti. Entro metà dicembre (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.04.2013).

APPALTI - URBANISTICATrasparenza e anticorruzione delle Pubbliche Amministrazioni: in arrivo nuovi obblighi su appalti, urbanistica e ambiente.
Dal prossimo 20.04.2013 le Amministrazioni Pubbliche avranno nuovi obblighi in materia di appalti, urbanistica, ambiente e calamità naturali.
Lo stabilisce il Decreto Legislativo n. 33 del 14.03.2013 che riordina la disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle amministrazioni pubbliche.
Obiettivo del decreto è quello di consentire ai cittadini di conoscere e controllare le attività delle amministrazioni, la loro efficienza e imparzialità.
Tra i nuovi obblighi a carico delle stazioni appaltanti:
obbligo di pubblicare sui propri siti internet le informazioni sugli appalti: per ciascun contratto devono indicare la determina di aggiudicazione definitiva, la struttura proponente, l'oggetto del bando, l'importo dell'aggiudicazione, l'aggiudicatario, la base d'asta, la procedura e la modalità di selezione del contraente, il numero di offerenti partecipanti, i tempi di completamento dell'opera, l'importo delle somme liquidate, le modifiche contrattuali e le decisioni di ritiro e recesso dei contratti;
obbligo di trasmettere tutte le informazioni pubblicate sui propri siti internet all’AVCP (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici);
obbligo di pubblicare le informazioni relative ai tempi, ai costi unitari e agli indicatori di realizzazione delle opere pubbliche completate
obbligo di pubblicità dei dati e documenti, tra i quali i procedimenti di approvazione dei piani regolatori e delle varianti urbanistiche;
obbligo di pubblicare annualmente un “indicatore di tempestività dei pagamenti” che indica i propri tempi medi di pagamento per l’acquisto di beni, servizi e forniture.
Le PA che non rispettano questi obblighi incorrono in sanzioni fino a 51.545 euro.
L’AVCP entro il 30 aprile di ogni anno comunicherà alla Corte dei Conti l’elenco delle amministrazioni pubbliche inadempienti (11.04.2013 - link a www.acca.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il bando costituisce la lex specialis concorsus da interpretare in termini strettamente letterali, per cui le regole da esso risultanti vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità.
Ciò in forza del principio di tutela della par condicio dei concorrenti, che sarebbe pregiudicata ove si consentisse la modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex specialis e dell’altro più generale principio che vieta la disapplicazione del bando quale atto con cui l’Amministrazione si è originariamente autovincolata nell’esercizio delle potestà connesse alla conduzione della procedura selettiva.
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I requisiti prescritti per la partecipazione ad una selezione concorsuale debbano essere posseduti alla data di scadenza prevista per la presentazione delle relative domande

Come accertato dal TAR, a seguito di specifica istruttoria disposta, il bando di concorso, approvato dal consiglio della Comunità montana alla seduta del 06.11.1981, prevede come requisito essenziale per la partecipazione il solo possesso del titolo di laurea in architettura.
Il TAR ha quindi correttamente evidenziato, citando conforme giurisprudenza, che il bando costituisce la lex specialis concorsus da interpretare in termini strettamente letterali, per cui le regole da esso risultanti vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità.
Ciò in forza del principio di tutela della par condicio dei concorrenti, che sarebbe pregiudicata ove si consentisse la modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex specialis e dell’altro più generale principio che vieta la disapplicazione del bando quale atto con cui l’Amministrazione si è originariamente autovincolata nell’esercizio delle potestà connesse alla conduzione della procedura selettiva.
Nel caso in esame il bando di concorso prevedeva, come si è detto, quale requisito richiesto per la partecipazione alla selezione pubblica, il possesso da parte dei candidati al momento della presentazione della domanda di partecipazione del diploma di laurea, ma non della abilitazione all’esercizio della professione (Consiglio di Stato, Sez. V, 03.07.2012, n. 4433).
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Sul punto è giurisprudenza costante, invero, che i requisiti prescritti per la partecipazione ad una selezione concorsuale debbano essere posseduti alla data di scadenza prevista per la presentazione delle relative domande (Cons. Stato, sez. VI, 04.02.2002 n. 6010) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.04.2013 n. 1969 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 10.04.2013 n. 84 "Criteri per la comunicazione di informazioni relative al partenariato pubblico-privato ai sensi dell’articolo 44, comma 1-bis del decreto-legge 31.12.2007, n. 248 convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1 della legge 28.02.2008, n. 31" (circolare P.C.M. 27.03.2013).

APPALTI: Trasparenza totale per le gare della Pa. Pubblicato il decreto legislativo.
Non solo avvisi di gara su Gazzette, giornali e web. Con la pubblicazione del decreto legislativo 33/2013 la trasparenza nel settore degli appalti diventa un imperativo a 360 gradi per le Pa. Con nuovi obblighi che includono la pubblicazione di dati su tempi e costi delle opere in aggiunta a un indicatore capace di fotografare anche i tempi medi di pagamento.
Il quadro è però ancora lontano dall'essere chiaro. Anzi. La doverosa richiesta di massima trasparenza -anche in campo urbanistico- rischia di trasformarsi in un labirinto di impegni per i funzionari pubblici. Con il doppio pericolo di sovrapposizione di obblighi già previsti dall'ordinamento (vedi l'invio dei dati sugli appalti di importo superiore a 50mila euro all'Osservatorio gestito dall'Autorità) e di impossibilità di dar seguito ai nuovi impegni per l'assenza dei provvedimenti di attuazione .
Il decreto fa scattare innanzitutto l'obbligo per le amministrazioni di attrezzare l'home page dei siti istituzionali con un'apposita sezione denominata «Amministrazione trasparente» in cui, ogni sei mesi, devono confluire le informazioni e i documenti a pubblicazione obbligatoria, tra cui i dati sulle aggiudicazioni degli appalti.
Per definire l'organizzazione della sezione il decreto ha previsto l'emanazione di linee guida da parte del ministero della Funzione pubblica, che però non sono state ancora pubblicate. Un'altra novità del decreto si intreccia con la cronaca sul ritardo di pagamenti delle Pa. D'ora in avanti le amministrazioni dovranno pubblicare con cadenza annuale un indicatore dei tempi medi di saldo delle fatture per acquisto di beni, servizi e forniture.
Obbligatorio rendere pubbliche anche le informazioni su tempi e costi di realizzazione delle opere. I dati dovranno essere poi forniti all'Autorità «che ne cura la raccolta e la pubblicazione nel proprio sito web, al fine di consentirne un'agevole comparazione». Il tutto sulla base di uno schema-tipo che però Via Ripetta non ha ancora messo a punto e diffuso. Operazione trasparenza anche per gli appalti affidati a trattativa privata, senza pubblicazione di un bando di gara. In questo caso, il decreto impone di pubblicare la delibera a contrarre.
Infine, il provvedimento punta a fare luce anche sulle operazioni di trasformazione urbana. La novità principale è l'obbligo di pubblicare i documenti relativi alle proposte di trasformazione, anche privata, nel caso in cui prevedano bonus volumetrici o cessione di aree o volumi per finalità pubbliche.
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LE NOVITÀ
Tempi e costi delle opere
Sui siti internet degli enti dovranno essere pubblicate le informazioni su tempi e costi di realizzazione delle opere pubbliche, oltre a un indicatore sulla «tempestività dei pagamenti», da rendere noto con cadenza annuale
Trasformazione urbana
Novità anche nel settore urbanistico. Diventa obbligatorio pubblicare i documenti relativi alle proposte di sviluppo, con bonus volumetrici e cessione di aree a privati, anche se non comportano variante rispetto alle previsioni dello strumento di pianificazione (articolo Il Sole 24 Ore del 10.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIDECRETO PAGAMENTI/ Nota della Ragioneria, mentre affiorano i primi dubbi.
Gli enti locali subito in moto. Applicazione per ottenere il via libera ai versamenti.
Al via le comunicazioni degli enti locali per ottenere il via libera al pagamento dei propri debiti. Ma intanto affiorano i primi dubbi sull'applicazione dei nuovi meccanismi.

Da ieri, comuni e province possono trovare sul sito web della ragioneria generale dello Stato (al consueto indirizzo http://pattostabilitainterno.tesoro.it) l'applicazione per trasmettere al Mef la richiesta degli spazi finanziari in deroga al Patto ai sensi del dl 35/2013.
I tempi sono strettissimi: per partecipare al primo riparto (che riguarderà il 90% dei 5 miliardi a disposizione e sarà definito entro il 15 maggio) c'è tempo solo fino al prossimo 30 aprile. I ritardatari dovranno accontentarsi del restante 10% (oltre alle eventuali quote non assegnate al primo giro), che verrà distribuito entro il 15 luglio.
Interessati alla misura sono tutti gli enti soggetti al Patto 2013, compresi, quindi, anche i comuni fra 1.001 e 5.000 abitanti, che fino allo scorso anno erano esenti. Il dl, infatti, pur se riferito a debiti pregressi, non opera distinzioni sul punto.
Le richieste possono riguardare due tipologie di debiti di parte capitale: 1) quelli certi, liquidi ed esigibili alla data del 31/12/2012; 2) quelli per i quali, alla medesima data, sia stata almeno emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento.
Al momento, non è del tutto chiaro se possano essere comunicati anche i dati relativi ai pagamenti già effettuati prima della pubblicazione del dl o se viceversa si possa chiedere lo sblocco solo dei debiti ancora da saldare. La prima soluzione pare preferibile e più aderente alla formulazione letterale dell'art. 1, comma 1, che consente di escludere dal Patto tutti i pagamenti relativi ai debiti di cui sopra, senza distinzione rispetto alla data in cui sono stati effettuati. La stessa norma, del resto, con riferimento specifico ai pagamenti delle province a favore dei comuni (anch'essi pienamente rientranti nella deroga) espressamente precisa «sostenuti nel corso del 2013». Anche il prospetto da compilare on-line sembra confermare questa lettura: esso, infatti, parla di debiti al 31/12/2012 senza escludere quelli già pagati.
In questa prospettiva, l'importo da comunicare entro il 30 aprile è quello risultante dalla ricognizione di tutti i debiti al 31/12/2012 appartenenti alle tipologie richiamate. Gli eventuali pagamenti già effettuati sono comunque validi sia ai fini dell'esclusione dal Patto, sia ai fini della verifica del rispetto del 90% al di sotto della quale scattano le sanzioni a carico dei responsabili (pari due mensilità di stipendio), ai sensi dell'art. 1, comma 4, del dl.
Sul punto, comunque, proprio alla luce delle sanzioni previste (che scattano anche in caso di mancata richiesta senza che ricorra un giustificato motivo) non sarebbe superfluo un chiarimento ufficiale.
Altri dubbi riguardano le anticipazioni di liquidità che potranno essere erogate dalla Cassa depositi e prestiti agli enti a corto di cassa. Anche in tal caso, la richiesta va trasmessa entro il 30 aprile (art. 1, comma 13, del dl). La formulazione finale del testo, a differenza delle bozze circolate nei giorni scorsi, non contiene più la formulazione «possono chiedere», ma quella «chiedono», il che potrebbe prefigurare un obbligo di adesione. In senso contrario, va rilevato, però, che la relazione di accompagnamento mantiene la precedente formulazione. La scelta è tutt'altro che agevole, specialmente per gli enti che vantano consistenti crediti (residui attivi) e che potrebbero trovarsi nella paradossale situazione di chiedere l'intervento della Cassa e poi di non averne più bisogno, una volta riscosso il dovuto.
Molti enti, in particolare, vantano crediti nei confronti delle regioni e non a caso il dl contiene misure ad hoc per consentirne lo sblocco (art. 1, commi 7 e 8). Da qui la domanda: le anticipazioni della Cassa potranno essere restituite anticipatamente? E se sì, a che condizioni? Le risposta dovrà esser fornita in tempi rapidi attraverso l'apposito addendum alla Convenzione in essere fra la Cassa e il Mef, che fra l'altro dovrà definire uno schema di contratto tipo per regolare i prestiti (articolo ItaliaOggi del 10.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIAlle imprese creditrici lettera entro giugno. Le aziende possono controllare l'inclusione nell'elenco di chi sarà pagato e sollecitare gli enti inadempienti. Un aiuto dalla certificazione.
La pubblicazione del decreto «sblocca crediti» dovrebbe mettere liquidità a disposizione delle imprese. Queste, però, devono fare qualcosa o tutti gli adempimenti sono a carico delle pubbliche amministrazioni debitrici?
Il decreto «sblocca crediti» propone una complessa manovra che ricade, in termini di adempimenti, in larga parte sulla Pa. Essa, però, non è scollegata da un filone di norme che, già dalla metà dello scorso anno, si sono susseguite per provare a fornire -ai creditori delle Pa- strumenti alternativi per il soddisfacimento dei propri crediti.
È in tale ambito che essa si inserisce e, dunque, le nuove norme devono coordinarsi con quelle precedenti che, peraltro, anche le imprese farebbero bene ad avere presenti. In particolare, si richiama l'attenzione degli operatori economici sulle procedure (già operative da qualche mese) per ottenere la cosiddetta «certificazione dei crediti».
Richiedere questa attestazione non è obbligatorio –ed, anzi, il decreto n. 35/2013 ne prevede ora una sorta di «rilascio in automatico»– ma poiché i pagamenti che saranno sbloccati sono quelli che risultano negli archivi dell'amministrazione debitrice come «certi, liquidi ed esigibile», la certificazione mette al riparo da brutte sorprese, anche in merito allo «sblocca crediti». ... (articolo Il Sole 24 Ore del 10.04.2013).

APPALTI: LE CENTRALI DI COMMITTENZA PER GLI APPALTI DEI PICCOLI COMUNI - Primo rapporto sull’attuazione dei nuovi obblighi: stato dell’arte e qualche strumento operativo (10.04.2013 - tratto da  www.itaca.org).

APPALTI: Nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici l'allegazione della copia fotostatica del documento del sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva, prescritta dall'art. 38, comma 3, t.u. 28.12.2000, n. 445, è un adempimento inderogabile atto a conferire, in considerazione della sua introduzione come forma di semplificazione, legale autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione, e giuridica esistenza ed efficacia all'autocertificazione.
Si tratta quindi di un elemento integrante della fattispecie normativa, teso a stabilire, data l'unità costituita dalla fotocopia del documento di identità e dalla dichiarazione sostitutiva, un collegamento tra la dichiarazione ed il documento, e a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imputabilità soggettiva della dichiarazione al soggetto che la presta.
D’altra parte, è noto quanto consolidato sia l’insegnamento giurisprudenziale relativo all’istituto del c.d. dovere di soccorso codificato dall’art. 46 d.lgs. n. 163/2006, per cui l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può essere considerata alla stregua di un'irregolarità sanabile, e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali. E ciò tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara.

Questa Sezione ha avuto modo di ribadire anche recentemente, infatti, che nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici l'allegazione della copia fotostatica del documento del sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva, prescritta dall'art. 38, comma 3, t.u. 28.12.2000, n. 445, è un adempimento inderogabile atto a conferire, in considerazione della sua introduzione come forma di semplificazione, legale autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione, e giuridica esistenza ed efficacia all'autocertificazione. Si tratta quindi di un elemento integrante della fattispecie normativa, teso a stabilire, data l'unità costituita dalla fotocopia del documento di identità e dalla dichiarazione sostitutiva, un collegamento tra la dichiarazione ed il documento, e a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imputabilità soggettiva della dichiarazione al soggetto che la presta (C.d.S., V, 26.03.2012, n. 1739; nello stesso senso cfr., ad es., IV, 02.09.2011, n. 4967).
D’altra parte, è noto quanto consolidato sia l’insegnamento giurisprudenziale relativo all’istituto del c.d. dovere di soccorso codificato dall’art. 46 d.lgs. n. 163/2006, per cui l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può essere considerata alla stregua di un'irregolarità sanabile, e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali. E ciò tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara (cfr., tra le più recenti: C.d.S., V, 02.08.2010, n. 5084; 02.02.2010, n. 428; 15.01.2008, n. 36) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.04.2013 n. 1915 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: DECRETO PAGAMENTI/ Riparto in due tranche dei 5 mld di valore della deroga.
Patto di stabilità meno pesante. Esclusi i debiti di parte capitale corredati di fattura.

Esclusione dal Patto per tutti i debiti di parte capitale per i quali al 31/12/2012 vi sia stata almeno l'emissione della fattura. Riparto in due tranche dei 5 miliardi di valore complessivo della deroga: 90% entro il 15 maggio, il resto a luglio. Per gli enti che hanno cassa sblocco immediato dei pagamenti fino al 13% della liquidità disponibile al 31 marzo, per gli altri obbligo di accedere alla anticipazioni erogate dalla Cassa depositi e prestiti e margini più ampi per attivare le anticipazioni di tesoreria. Sanzioni a largo raggio per i responsabili dei servizi che si metteranno di traverso.
Sono queste (al netto del capitolo tributi, su cui si veda articolo a pagina 25) le principali novità per gli enti locali contenute nel testo finale del decreto 35/2013 sullo sblocco dei debiti della p.a.
Confermato l'allentamento del Patto 2013 per un importo pari a 5 miliardi di euro, ma il ventaglio dei pagamenti consentiti si allarga, oltre che ai debiti certi, liquidi ed esigibili al 31/12/2012, anche a quelli per i quali, entro tale data, sia stata almeno emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento.
Nell'immediato, il via libera riguarda solo gli enti che hanno cassa, che potranno pagare fino al 13% delle disponibilità liquide detenute presso la tesoriera statale al 31 marzo. In attesa del decreto che distribuirà l'intero plafond, nessun ente, però, potrà pagare più del 50% degli spazi finanziari che intende comunicare al Mef. Il riparto avverrà in due tranches: il primo 90% entro il 15 maggio, sulla base delle richieste che gli enti dovranno trasmettere entro il 30 aprile mediante il sistema web della Rgs; il restante 10%, oltre alle eventuali quote non assegnate in precedenza, entro il 15 luglio, sulla base delle richieste pervenute entro il 5 luglio. L'assegnazione avverrà sulla base dei criteri definiti in Conferenza stato-città e autonomie locali entro il 10 maggio ovvero, in mancanza, su base proporzionale.
Gli enti dovranno effettuare pagamenti almeno per il 90% degli spazi finanziari concessi. In mancanza, scatterà una sanzione pecuniaria pari a 2 mensilità di retribuzione per i responsabili dei servizi interessati. Analoga sanzione è prevista in caso di mancata adesione alla procedura senza giustificato motivo. La competenza spetta alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, che potranno agire anche su segnalazione dei revisori del conti.
Confermato anche lo stanziamento di 2 miliardi per ciascuno dei prossimi 2 anni a favore degli enti a corto di liquidità. L'adesione al fondo diviene obbligatoria, come si evince dalla formulazione del provvedimento pubblicato in G.u., che contiene il verbo «chiedono», anziché «possono chiedere». Le sanzioni di cui sopra non sembrano direttamente applicabili alle ipotesi di mancate adesione, ma anche in tal caso potrebbero comunque emergere delle responsabilità a carico dei responsabili. Per le richieste è prevista una corsia preferenziale rispetto alla disciplina del Tuel: esse, infatti, andranno in deroga agli artt. 42 (sulla competenza del Consiglio), 203 e 204 (che limitano il ricorso all'indebitamento). Le anticipazioni saranno erogate dalla CcDdPp (anche in tal caso su base proporzionale, salvo diverso accordo) e andranno restituite al massimo entro 30 anni, a rate costanti e con un tasso pari a quello dei Btp quinquennali. Per gli enti beneficiari non sono più previsti il blocco degli investimenti e il tetto alla spesa corrente, ma solo l'obbligo di portare al 50% il fondo svalutazione crediti. Per il solo 2013 e sino al 30 settembre, inoltre, il tetto alle anticipazioni di tesoreria sale da tre a cinque dodicesimi, ma sarà compensato da un vicolo, pari all'eccedenza, sulle entrate tributarie (da Imu per i comuni, da imposta Rc auto per le province).
Giro di vite, infine, sull'obbligo di accreditamento alla piattaforma del Mef per la certificazione dei crediti, che dovrà essere completato entro 20 giorni dall'entrata in vigore del decreto (quindi entro il 28 maggio), a pena di sanzioni a carico dei dirigenti responsabili (articolo ItaliaOggi del 09.04.2013).

APPALTIOggetto: Decreto-legge 08.04.2013, n. 35 - Misure per le amministrazioni tenute a certificare i crediti certi, liquidi ed esigibili fornitori maturati alla data del 31.12.2012 per somministrazioni, forniture e appalti. Prime indicazioni operative alle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato in materia di accreditamento alla piattaforma elettronica e di ricognizione dei debiti (Ministero dell'Economia e Finanze, Ragioneria Generale dello Stato, circolare 10.04.2013 n. 17).

APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROFESSIONALI: R. Lasca, I prodotti degli “Incarichi esterni” e degli “Appalti” e relativi contratti: due fattispecie sicuramente distinte oggi per le PP.AA. italiane? - La Corte dei Conti della Lombardia prova a distinguere con la delibera collaborativa n. 51/2013: ma qualcosa non torna …. in punto di diritto! Vediamo esattamente cosa (08.04.2013).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI - URBANISTICA: E. Michetti, Le nuove norme in materia di obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni della P.A.: in G.U. il decreto sul riordino della disciplina (08.04.2013 - tratto da www.gazzettaamministrativa.it).

APPALTI: G.U. 08.04.2013 n. 82 "Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali" (D.L. 08.04.2013 n. 35).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOOggi in Gazzetta Ufficiale il decreto sulla pubblicità delle informazioni degli enti. P.a. con patrimoni trasparenti. Via al diritto di accesso civico. Pubblici gli incarichi.
Istituzione del diritto di accesso civico; totale trasparenza sulle situazioni patrimoniali di politici e amministratori pubblici e sulle loro nomine; pubblici tutti gli incarichi di consulenza affidati a terzi; prevista l'adozione di un programma triennale per la trasparenza e la nomina del responsabile della trasparenza in ogni amministrazione.
Sono queste alcune delle novità contenute nel decreto legislativo recante la disciplina degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle p.a. (D.Lgs. 14.03.2013 n. 33), approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri del 15.02.2013 e in pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di oggi 05.04.2013.
Il provvedimento, modellato sul «Freedom of Information Act» della legislazione statunitense, afferma il principio generale dell'accessibilità immediata agli atti della pubblica amministrazione a semplice richiesta del cittadino. Si procede quindi all'introduzione de iure del diritto di accesso civico consistente nella potestà attribuita a tutti i cittadini di avere accesso e libera consultazione ai documenti relativi all'attività della pubblica amministrazione. Infatti si prevede che la richiesta di accesso civico non sia sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, che non debba essere motivata, che sia gratuita e presentata al «Responsabile della trasparenza», figura che ogni amministrazione dovrà istituire.
La maggior parte degli obblighi previsti dal decreto e che faranno capo alle amministrazioni pubbliche poggerà sulla piattaforma internet e sulle reti telematiche in generale. Su ogni sito istituzionale l'Amministrazione dovrà rendere accessibile e facilmente consultabile una apposita sezione ove devono essere pubblicati gli atti e le delibere per almeno cinque anni o fino a che non perdono effetto) cui il cittadino dovrà avere libero accesso. Non solo: al fine di una maggiore chiarezza di lettura ogni provvedimento o atto amministrativo dovrà contenere i link alle leggi di riferimento. Si prevede poi che ogni Amministrazione adotti un programma triennale per la trasparenza e l'integrità, da aggiornare annualmente, finalizzato a garantire un adeguato livello di trasparenza, legalità e «sviluppo della cultura dell'integrità».
Per quel che riguarda i politici, il regolamento stabilisce l'obbligo di pubblicità delle situazioni patrimoniali di politici e parenti entro il secondo grado. Dovranno essere rese pubbliche le nomine dei direttori generali delle Asl, oltre che gli accreditamenti delle strutture cliniche. Evidenza pubblica anche per la pubblicazione dei rendiconti dei gruppi consiliari regionali e provinciali, nonché per gli atti e le relazioni degli organi di controllo, da parte delle regioni, delle province autonome e delle province, evidenziando, in particolare, le risorse trasferite a ciascun gruppo, con indicazione del titolo di trasferimento e dell'impiego delle risorse utilizzate.
Trasparenza assoluta per gli incarichi dei dipendenti pubblici: si prevede infatti che siano pubblicati sul sito dell'amministrazione di appartenenza del dipendente l'elenco di tutti gli incarichi autorizzati, con l'indicazione della durata e del compenso spettante per ogni incarico, in aggiunta alla pubblicazione del singolo incarico sul sito dell'amministrazione conferente, diversa da quella di appartenenza. Per i soggetti esterni all'amministrazione rimane fermo l'elenco complessivo degli incarichi affidati consultabile sulla banca dati del Dipartimento della funzione pubblica. Da pubblicare anche i dati relativi all'ammontare complessivo dei premi stanziati per la performance dei dipendenti pubblici e l'ammontare dei premi effettivamente distribuiti.
Inoltre le amministrazioni dovranno pubblicare i dati relativi all'entità del premio mediamente conseguibile dal personale, i dati relativi alla distribuzione del trattamento accessorio, in forma aggregata. Previsto anche l'obbligo di pubblicazione annuale di un indicatore dei tempi medi di pagamento per l'acquisto di beni, servizi e forniture, denominato «indicatore di tempestività dei pagamenti (articolo ItaliaOggi del 05.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIBandi e avvisi di gara sui giornali
Confermati gli obblighi di pubblicità legale dei bandi e avvisi di gara; obbligo di pubblicare sui siti internet i dati principali dei contratti stipulati dalle Amministrazioni con le imprese.

È quanto prevede l'articolo 37 del decreto sulla trasparenza e sulla pubblicità dell'azione amministrativa (D.Lgs. 14.03.2013 n. 33) che, con una formula omnicomprensiva, richiama tutti gli obblighi di pubblicazione, in materia di contratti pubblici, derivanti dalla normativa nazionale.
Fra questi sono citati anche quelli che si sostanziano nella pubblicazione sui quotidiani, locali e nazionali, per estratto, di avvisi e bandi di gara. La disposizione, quindi, conferma come sia del tutto vigente l'onere di pubblicazione per estratto di bandi e avvisi di gara in capo alle stazioni appaltanti che, peraltro, non sopportano più tali oneri a partire dal primo gennaio 2013. Infatti, saranno gli aggiudicatari di contratti pubblici a rifondere le stazioni appaltanti di quanto sostenuto per la pubblicazione, entro sessanta giorni dall'aggiudicazione del contratto. Nello stesso decreto si prevede anche, per le pubbliche amministrazioni, l'obbligo di pubblicare la delibera a contrarre nell'ipotesi di procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara.
Il decreto prevede poi l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare tempestivamente sui propri siti istituzionali l'oggetto del bando, l'elenco degli offerenti, l'aggiudicatario, l'importo di aggiudicazione, i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate. Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all'anno precedente, dovranno essere pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto, per un maggior controllo sull'imparzialità degli affidamenti, nonché una maggiore apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. Infine massima pubblicità anche per i documenti di programmazione anche pluriennale delle opere pubbliche (articolo ItaliaOggi del 05.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZICentrale unica di committenza, non solo acquisti. Anche i contratti per lavori e servizi rientrano nel perimetro di competenza.
Una centrale unica di committenza ad ampio raggio. Che opera, ad esempio, con riferimento generale ai contratti di interesse degli enti locali.
In attuazione della direttiva 2004/18/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, di lavori, di forniture e servizi, prendendo atto dello sviluppo negli stati della comunità di nuove tecniche di acquisto elettronico, che consentono un aumento della concorrenza e dell'efficacia della commessa pubblica, la legislazione italiana ha sperimentato l'utilizzo di procedure di acquisto elettronico, nel rispetto delle norme stabilite dalla direttiva medesima e dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza.
In questa direzione, il legislatore ha reso obbligatorio, per gli acquisti di beni e servizi, al di sotto della soglia di rilievo comunitario, nelle amministrazioni pubbliche, il ricorso, al mercato elettronico ovvero ad altri mercati elettronici ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure (legge 27.12.2006, n. 296, art. 1, comma 450, e successive modifiche e integrazioni).
Già con il Piano straordinario contro le mafie, il Governo assunse l'impegno di incentivare una maggiore diffusione nelle amministrazioni pubbliche a promuovere l'istituzione, almeno in ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti (SUA), al fine di assicurare la trasparenza, la regolarità e l'economicità della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose (art. 13 della legge 13.08.2010, n. 136). Inoltre, per i comuni fino a 5.000 abitanti, il Codice dei contratti pubblici (comma 3-bis, articolo 33, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163) obbliga, a decorrere dal 01.04.2013, ad affidare mediante una centrale unica di committenza, l'acquisizione di ogni lavoro, servizio e fornitura, nell'ambito delle unioni dei comuni oppure mediante la costituzione di un accordo consortile, avvalendosi dei competenti uffici.
Resta ferma, la possibilità, per gli stessi comuni di effettuare acquisti attraverso gli strumenti elettronici gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 (mediante la CON.S.I.P. «Concessionaria Servizi Informativi Pubblici») e il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328, del dpr 05.10.2010, n. 207.
Dall'esame della normativa richiamata emergono alcuni interrogativi ai fini dell'effettiva applicazione.
La norma di cui al comma 3-bis dell'art. 33 del dlgs n. 163/2006 si riferisce a un accordo consortile e non a una convenzione.
A questo punto gli operatori si domandano quale disciplina sia applicabile? Quella dell'art. 31 del Testo unico enti locali (decreto legislativo 18.08.2000, n. 267) che disciplina i consorzi per la gestione associata di uno o più servizi e l'esercizio associato di funzioni oppure quella dell'art. 30 dello stesso Tuel, relativo alle convenzioni.
Ora posto che l'art. 2, comma 186, lett. e), della legge 23.12.2009, n. 191, ha soppresso i consorzi di funzioni, si dovrà supporre che l'accordo debba riferirsi a servizi. Tuttavia è possibile ritenere che il termine accordo consortile sia indicato in modo atecnico, avendo la legge, come riferimento lo strumento della convenzione, alternativo alle unioni dei comuni, alla stessa stregua dell'esercizio associato delle funzioni fondamentali dei comuni (articolo 14, commi 27 e 28 del decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122 e successive modifiche ed integrazioni).
Se in un particolare ambito territoriale ottimale vi è un solo comune avente popolazione inferiore a 5.000 abitanti con quale altro comune deve sottoscrivere l'accordo? Come dovrà gestire eventuali resistenze da parte di altri comuni che non vi sono obbligati agli acquisti mediante centrale unica di committenza? Si trova in una situazione di stallo da cui se ne esce con molta difficoltà. In tale ipotesi, la stessa legge riconosce una soluzione alternativa ovvero la possibilità di effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 (mediante la CON.S.I.P. «Concessionaria Servizi Informativi Pubblici») e il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328 del dpr 05.10.2010, n. 207 (MePA).
Con il termine acquisti cosa dovrà intendersi?
La conclusione di qualsiasi contratto pubblico sia esso relativo a lavori, a servizi oppure a forniture, nelle forme previste dal Codice dei contratti pubblici oppure ai soli acquisti di beni?
Si dovrà propendere per una classificazione più complessiva dei contratti pubblici e quindi anche per i contratti relativi, a lavori e servizi, anche se il legislatore fa riferimento solo agli acquisti.
L'obbligo di far ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure, sussiste solo per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario o si estende anche agli acquisti sopra soglia? L'Ente è tenuto comunque a costituire una centrale di committenza in forma consortile o associata ovvero potrà avvalersi dei servizi telematici di acquisti messi a disposizione, tra l'altro dalla regione?
È pur vero che alcune Regioni, al fine di favorire, nelle procedure contrattuali, i processi di semplificazione ed efficienza delle pubbliche amministrazioni nonché i principi di trasparenza e concorrenza, hanno promosso ed incentivato la diffusione e l'utilizzo tra le amministrazioni dei sistemi e degli strumenti telematici di acquisto, sotto e sopra soglia comunitaria, che prevedono l'effettuazione delle procedure di gara in modalità telematica e l'acquisto sul mercato elettronico. Si tratta di sistemi telematici di acquisti che non integrano i requisiti previsti alla normativa nazionale sull'istituzione di una Centrale unica di committenza, che per le ragioni sopra esposte debba considerarsi una vera opportunità per tutte le amministrazioni locali (articolo ItaliaOggi del 05.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTISui pagamenti il nodo del Durc. A rischio l'efficacia del decreto.
Lo sblocco dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche rischia di restare parecchio depotenziato, se non sarà accompagnato da provvedimenti ulteriori.

L'efficacia del futuro decreto rischia di essere fortemente limitata, in primo luogo, dall'incombente Moloch del Durc, il documento unico di regolarità contributiva, che attesta la regolarità dei versamenti assicurativi e contributivi delle imprese.
È evidente che aziende che vantino ingenti crediti dalle pubbliche amministrazioni rischiano seriamente di non trovarsi in regola con i versamenti a Inps, Inail e Cassa edile, proprio a causa della mancanza di flussi finanziari.
In assenza di una modifica alla disciplina del Durc, i pagamenti potrebbero essere sbloccati, ma comunque non destinabili alle aziende non in regola col documento, che resta comunque un fondamentale presupposto per la legittimità dei pagamenti stessi. Molte aziende, dunque, potrebbero rimanere comunque senza soldi.
Allo stesso modo, i pagamenti sono subordinati alla verifica della regolarità dei pagamenti di imposte e tasse, ai sensi 48-bis del dpr 602/1973, nel caso di somme superiori ai 10 mila euro. Anche in questo caso, vi potrebbero essere aziende andate in carenza di liquidità anche a causa dei ritardati pagamenti della pubblica amministrazione che potrebbero ritrovarsi segnalate come non in regola con gli adempimenti tributari e restare comunque a bocca asciutta.
La quantificazione del rischio di vanificare anche solo in parte la manovra sui pagamenti appare connessa all'effettivo avvio del processo, ma potrebbe trattarsi di una quantità molto importante di operatori economici.
In ogni caso, senza una modifica al criterio del saldo misto tra competenza e cassa del patto di stabilità (è l'obbligo di mantenere un tetto alle erogazioni di cassa che blocca i pagamenti), il vantaggio derivante dai pagamenti potrebbe limitarsi, per le aziende, al recupero di propri crediti e al rientro da eventuali esposizioni con le banche.
Un rilancio vero e proprio delle loro attività appare difficile, perché restando in piedi il sistema dei saldi vigente, le amministrazioni locali non possono materialmente pianificare appalti nuovi che comportino esborsi di cassa superiori a quanto consentito.
È ancora operante, infatti, l'articolo 9, comma 2, del dl 78/2009, convertito in legge 102/2009, ai sensi del quale nelle amministrazioni «al fine di evitare ritardi nei pagamenti e la formazione di debiti pregressi, il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica».
Le amministrazioni, dunque, debbono programmare una «stretta» agli appalti, per rispettare proprio le regole del patto di stabilità che limitano le erogazioni di cassa (articolo ItaliaOggi del 05.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI - URBANISTICA: G.U. 05.04.2013 n. 80 "Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni" (D.Lgs. 14.03.2013 n. 33).
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Sull'argomento, si legga un primo commento dell'Avv. Lorenzo Spallino: D.lgs. 33/2013: gli obblighi di pubblicazione on-line in materia urbanistica ed edilizia (07.04.2013 - link a http://studiospallino.blogspot.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIL'appaltatore risarcisce l'Iva anche senza fattura.
L'appaltatore che non ha eseguito i lavori a opera d'arte deve risarcire il committente del danno patrimoniale, inclusa l'Iva, anche in assenza di fattura.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 04.04.2013 n. 8199.
In particolare la III Sez. civile ha respinto il ricorso di una piccola ditta che era stata condannata a risarcire il danno patrimoniale a un cliente perché, non avendo eseguito i lavori ad opera d'arte, aveva provocato delle infiltrazioni d'acqua.
Ma l'appaltatore si era difeso sostenendo di non dover rimborsare il costo dell'Iva in quanto non era stata emessa alcuna fattura. Una tesi, questa, respinta sia dai giudici di merito sia da quelli di legittimità.
Infatti ad avviso del Collegio di legittimità, poiché il risarcimento del danno patrimoniale si estende agli oneri accessori e consequenziali, se esso è liquidato sulla base di spese da affrontare, il risarcimento comprende anche l'Iva, pur se la riparazione non ancora avvenuta allorquando il prestatore d'opera sia come nella specie tenuto ex art. 18 dpr n. 633 del 1972 ad addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente.
Infatti, trattandosi di onere futuro e certo al tempo liquidazione del danno, il pagamento dell'Iva concorre invero a determinare il complessivo esborso necessario alla reintegrazione patrimoniale conseguente al fatto illecito subito.
Bene, nel prevedere la corresponsione dell'Iva sull'ammontare liquidato a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali (al tasso previsto dalla legge vigente al riguardo), la Corte di merito ha ben applicato il principio ricordato in sede di legittimità.
Tutti gli altri motivi di ricorso presentati dall'appaltatore sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte di cassazione in quando il quesito di diritto non era stato ben formulato. Sul punto Piazza Cavour ricorda che il ricorso dell'appaltatore reca quesiti di diritto formulati in termini difformi dallo schema al riguardo delineato dalla stessa Cassazione, non contenendo la riassuntiva ma puntuale indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui giudici del merito li hanno rispettivamente decisi. Quindi il quesito era troppo astratto e generico (articolo ItaliaOggi del 03.05.2013).

APPALTI SERVIZIVincoli. Il compenso alla società. Esclusione «automatica» se l'aggio punta più in alto rispetto al bando.
L'offerta di un aggio al rialzo non può essere presa in considerazione e comporta l'esclusione dalla gara.

Lo ha chiarito il TAR Puglia-Bari, Sez. I, con la sentenza 04.04.2013 n. 470 annullando l'aggiudicazione a una società che aveva proposto un aggio del 52,5% rispetto al 45% a base d'asta, soggetto a ribasso.
All'inizio del 2012 il Comune di Bisceglie avvia la procedura per l'affidamento del servizio di accertamento e riscossione dell'imposta sulla pubblicità e della Tosap, con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, attribuendo 75 punti all'offerta tecnica e 25 a quella economica. L'aggio all'affidatario viene distinto in due parti: riscossione ordinaria (30% a base d'asta, soggetto a ribasso), somme recuperate dall'evasione (45% a ribasso).
Una società propone per l'attività di recupero un aggio del 52,5%, nonostante lo sbarramento al 45%. La commissione esamina la posizione della ditta attribuendole circa 4 punti (su 5), a danno di un'altra società partecipante che si era invece attenuta alle prescrizioni di gara.
Nonostante l'evidente anomalia di un'offerta in aumento, il Comune procede all'aggiudicazione. A nulla valgono le contestazioni di illegittimità, essendo peraltro del tutto illogica l'attribuzione di un punteggio che finiva addirittura per premiare un concorrente che aveva violato la normativa di gara.
Il Tar prima sospende l'aggiudicazione e poi l'annulla nel merito. Sulla questione il Tar evidenzia che l'offerta al rialzo non avrebbe in ogni caso potuto risultare assegnataria di alcun punteggio. Il Comune aveva invece tentato di difendersi affermando che nel bando mancava un'espressa disposizione in ordine al divieto di presentazione di componenti dell'offerta al rialzo. Il Tar non solo non è d'accordo ma rincara la dose evidenziando che la difformità sostanziale rispetto alle condizioni di gara avrebbe dovuto comportare l'esclusione in base all'articolo 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici.
Peraltro, la previsione di un aggio superiore a quello massimo indicato per il recupero dell'evasione ha consentito all'aggiudicataria di offrire un aggio minore per l'attività di riscossione ordinaria, presentandosi sotto questo aspetto maggiormente concorrenziale, con conseguente distorsione della valutazione comparativa e violazione della par condicio.
In conclusione, il Tar annulla l'aggiudicazione definitiva obbligando il Comune a rinnovare le operazioni di calcolo e di aggiudicazione. Si tratta di una pronuncia che serve da monito affinché si evitino inutili ritardi negli affidamenti e un notevole dispendio economico, considerato che il Comune è stato condannato al pagamento delle spese sia della fase cautelare sia di quella di merito (articolo Il Sole 24 Ore del 22.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTISolo chi ha avanzi d'amministrazione può agire subito. La bozza del decreto: meno vincoli per le anticipazioni di cassa, dirigenti lenti nel mirino.
Via libera immediato ai pagamenti solo per gli enti che presentano avanzi di amministrazione. Meno vincoli per l'accesso alle anticipazioni di cassa. Coinvolgimento della Corte dei conti nell'irrogazione delle sanzioni ai responsabili dei mancati pagamenti e della Cassa depositi e prestiti nella gestione del fondo di liquidità a favore di comuni e province.
Sono queste alcune delle novità contenute nella bozza di decreto per lo sblocco dei debiti della p.a. verso le imprese, slittato ieri ma che sarà al massimo lunedì all'esame del consiglio dei ministri e relativamente al quale anche il Commissario Ue agli affari finanziari, Oli Rehn, ha richiesto approfondimenti.
Il nuovo testo, in effetti, presenta diverse novità, ovviamente non ancora definitive, rispetto alle versione circolate nei giorni scorsi (si veda ItaliaOggi di ieri).
Sostanzialmente confermato l'allentamento del Patto 2013 per gli enti locali per un importo pari a 5 miliardi di euro per onorare una quota dei debiti di parte capitale maturati al 31/12/2012.
Nell'immediato, essi potranno pagare fino al 35% dei rispetti avanzi di amministrazione, parametro diverso da quello dei residui passivi in precedenza previsto. Rimane fermo che, in attesa del decreto che ripartirà l'intero plafond, nessun ente potrà pagare più del 50% degli spazi finanziari che intende comunicare al Mef. Dopo il riparto, occorrerà garantirà pagamenti almeno per il 90% degli spazi finanziari concessi. In mancanza, scatterà una sanzione pecuniaria pari a due mensilità di retribuzione per i responsabili dei servizi interessati. Analoga penalizzazione è prevista in caso di mancata adesione alla procedura (deve ritenersi a fronte della sussistenza di passività certe, liquide ed esigibili). Saranno le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti ad accertare le responsabilità e ad applicare le sanzioni.
Confermata anche l'istituzione di un apposito fondo da 2 miliardi per ciascuno dei prossimi due anni a favore degli enti locali a corto di liquidità. Per le erogazioni del 2013, il tasso d'interesse sarà pari al rendimento di mercato dei Btp a tre anni, rilevato alla data di entrata in vigore del decreto, per quelle del 2014 sarà determinato con apposito decreto del Mef. Ciascun ente locale dovrà stipulare con la Cassa depositi e prestiti un contratto di prestito e relativo piano di ammortamento, redatti secondo un contratto tipo. I rapporti tra la Cassa e il Mef saranno regolati mediante apposito atto aggiuntivo alla convenzione quadro stipulata tra gli stessi.
Per gli enti che accederanno al fondo scatteranno pesanti limitazioni, mutuate dal regime previsto per quelli che hanno sforato il Patto: da un lato, il divieto di impegnare spese correnti in misura superiore all'importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio, dall'altro quello di ricorrere all'indebitamento per gli investimenti e di prestare garanzie per la sottoscrizione di nuovi prestiti o mutui da parte di enti e società controllati o partecipati. Rispetto al testo iniziale, tuttavia, la durata di tali vincoli scende da 5 a 3 anni.
Nessun vincolo analogo, invece, è più previsto, al momento, per le regioni che beneficeranno delle erogazioni dell'analogo fondo che verrà costituito a loro favore per far fronte ai debiti diversi da quelli sanitari e finanziari e che avrà una dotazione di 3 miliardi per il 2013 e di 5 miliardi per il 2014. Esse dovranno comunque, oltre che sottoscrivere un apposito contratto col Mef, definire idonee e congrue misure, anche legislative, di copertura annuale dell'anticipazione di liquidità, maggiorata degli interessi, e presentare un piano di pagamento dei predetti debiti.
Le regioni potranno anche contare sui 14 miliardi (5 quest'anno, 9 il prossimo) finalizzati a favorire l'accelerazione dei pagamenti dei debiti degli enti del Ssn.
Nel decreto dovrebbero trovare posto anche misure procedurali per favorire i pagamenti delle p.a. Fra queste, dopo lo stralcio della facoltà per le regioni di aumentare l'addizionale Irpef e oltre all'obbligo per tutte le p.a. di registrarsi (a penna di sanzioni) sulla piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni, potrebbe rientrare un po' a sorpresa anche l'impignorabilità delle somme destinate ai risarcimenti concessi ai sensi della legge Pinto detenute dalla tesoreria centrale e dalle tesorerie provinciali dello stato. Prevista, infine, la compressione dei tempi previsti dal dlgs 123/2011 per il controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile per adeguarli alla nuova tempistica prevista dal dlgs 192/2012.
Province: ripartiti i tagli della spending review
L'art. 7 della bozza di decreto sullo sblocco dei debiti verso la p.a. contiene anche alcune modifiche rilevanti al dl 95/2012. In particolare, viene rivisto l'art. 16, comma 7, che ha previsto a carico delle province ulteriori tagli per 1.200 milioni sul 2013 e sul 2014 e per 1.250 milioni a partire dal 2015.
Per i primi due anni, il riparto di tali riduzioni si stacca dal criterio proporzionale alle spese per consumi intermedi rilevate dal Siope e viene operato direttamente dal decreto. Dal 2015, invece, si tornerà a tale meccanismo, salvo diverso accordo da raggiungere in Conferenza unificata entro il 31 dicembre dell'anno precedente (articolo ItaliaOggi del 04.04.2013).

APPALTI: A. Concas, La responsabilità contrattuale nel contratto di appalto (04.04.2013 - link a www.diritto.it).

APPALTI: Il giudizio comparativo tecnico-discrezionale sull’offerta economicamente più vantaggiosa -caratterizzato dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dall’opinabilità dell’esito delle valutazioni- sfugge al sindacato del giudice amministrativo ove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere, sotto il profilo dell’illogicità manifesta, dell’erroneità dei presupposti di fatto, dell’incoerenza del procedimento valutativo.
Secondo un consolidato orientamento (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 01.03.2012, n. 1195; TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 10.01.2013, n. 240; TAR Lazio Roma, Sez. III, 24.04.2012, n. 3663), dal quale non v’è motivo di discostarsi, il giudizio comparativo tecnico-discrezionale sull’offerta economicamente più vantaggiosa -caratterizzato dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dall’opinabilità dell’esito delle valutazioni- sfugge al sindacato del giudice amministrativo ove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere, sotto il profilo dell’illogicità manifesta, dell’erroneità dei presupposti di fatto, dell’incoerenza del procedimento valutativo (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 03.04.2013 n. 3365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - PUBBLICO IMPIEGOComuni. Trattenuti due mesi di stipendio ai responsabili dei servizi finanziari. Sanzioni ai dirigenti se l'Ente non paga.
SBLOCCO PROPORZIONALE/ Ogni ente locale si vedrà fissare entro il 15 maggio, con decreto dell'Economia, la cifra da liberare, che dovrà essere spesa al 90%.

Il primo via libera ai pagamenti nei Comuni e nelle Province imbocca la via tradizionale dello sblocco proporzionale all'entità delle risorse incagliate, e classificate nei «residui passivi» in conto capitale nei bilanci (faranno fede i consuntivi del 2010). Ogni ente locale si vedrà fissare entro il 15 maggio prossimo, con decreto dell'Economia, la cifra da liberare, e dovrà mantenere l'impegno: la responsabilità tocca prima di tutto ai responsabili dei servizi finanziari che, se non riusciranno a pagare entro l'anno almeno il 90% della somma liberata dal decreto, si vedranno trattenere due mesi di stipendio netto (comprese le indennità accessorie).
Ma il pacchetto enti locali contenuto nella bozza di decreto che sarà oggi sul tavolo del consiglio dei ministri non si limita a questo intervento, che sanzioni a parte, ricalca le vecchie una tantum sui residui passivi che erano abituali in tempi di finanza pubblica più rilassata.
L'ultimo comma dell'articolo 1 sospende per il 2013 un intero articolo che era stato dedicato ai Comuni dal decreto sulle «semplificazioni fiscali» di un anno fa (Dl 16/2012). Nell'articolo, che è il 4-ter, c'è prima di tutto il «Patto di stabilità orizzontale», cioè un meccanismo nato proprio per cercare di favorire un po' di pagamenti in conto capitale: in pratica, secondo questo sistema i sindaci che registrano un surplus rispetto al Patto possono correre in aiuto dei colleghi in crisi, liberando spazi finanziari che questi ultimi devono utilizzare proprio per pagare i fornitori.
La "rarità" dei Comuni in surplus, insieme all'esigenza di non sovrapporre troppe regole convergenti in un panorama ormai affollatissimo, può aver giustificato la sospensione del Patto orizzontale nel 2013. Nell'articolo "sospeso", però, c'è anche altro, a partire dal ritocco che ha innalzato dal 20 al 40% il turn-over negli enti locali. Se la sospensione sarà confermata, gli spazi del turn-over torneranno a dimezzarsi, scompariranno le regole di favore per il calcolo delle assunzioni nella Polizia locale e nei servizi socio-assistenziali, e per i Comuni sotto i mille abitanti il parametro di riferimento tornerà a essere l'archeologico 2004.
Una novità ulteriore è invece limitata alle sole Province, che dalla bozza di decreto si vedono redistribuire i tagli da spending review decisi con il decreto 95/2012 (articolo Il Sole 24 Ore del 03.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIGli obblighi sulla tracciabilità sufficienti per la tutela erariale. Stazioni appaltanti escluse dalla solidarietà tributaria.
TRA I REQUISITI/ Per far valere l'esenzione deve essere sottoscritto un contratto disciplinato dal Codice degli appalti pubblici.

Le stazioni appaltanti (articolo 3, comma 33, del Dlgs 163/2006) sono escluse dalla solidarietà tributaria in tema di appalti, poiché il legislatore ha ritenuto gli obblighi già vigenti (quali quelli di tracciabilità dei pagamenti) sufficienti a presidiare la tutela erariale. Occorre però fare attenzione: come ogni esclusione in ambito tributario, va interpretata molto rigidamente e non sono ammesse analogie.
Il principio, espresso dall'articolo 35, comma 28-ter, del Dl 223/2006, è che tutti i soggetti Ires (articoli 73 e 74 Tuir) sono normalmente soggetti alla solidarietà, anche quando operano fuori dalla sfera commerciale («in ogni caso»). L'articolo 3 fa rinvio all'articolo 32, dove viene elencata una serie di soggetti, tra cui compaiono amministrazioni aggiudicatrici, società con capitale pubblico anche non maggioritario e soggetti privati.
Secondo le «linee guida» Ance (gennaio 2013) andrebbe meglio specificato il concetto di «altri soggetti aggiudicatori»: si ritiene comunque che per far valere l'esonero dalla responsabilità, oltre a presentare i requisiti disposti dalla legge, l'appaltatore debba anche aver sottoscritto un contratto disciplinato dal Codice degli appalti pubblici, cioè (articolo 3) rientrante tra «i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l'acquisizione di servizi, o di forniture, ovvero l'esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori, dai soggetti aggiudicatori», nell'ambito delle prestazioni descritte dal Dlgs 163/2006. Se il contratto non rientra in questa disciplina, il soggetto non può far valere l'esonero "automatico" dalla responsabilità.
Oltre a nutrire dubbi sull'aspetto soggettivo, i lettori manifestano numerose perplessità anche su quello oggettivo. Gli obblighi della responsabilità solidale, infatti, spingono a porre in rilevo le distinzioni tra il contratto di appalto e quello di somministrazione, spesso utilizzati impropriamente come sostitutivi. Secondo l'articolo 1655 del Codice civile l'appalto è il contratto con cui una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.
La somministrazione (articolo 1559) è invece il contratto con cui una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra, prestazioni periodiche o continuative di cose. Ed è qui la discriminazione: nonostante nel linguaggio comune si parli indifferentemente di prestazioni di beni o di servizi, non si deve dimenticare che la legge, regolando la somministrazione, cita solo il termine «cose», sinonimo di beni e non di servizi.
La terminologia usata dalle parti non inficia la validità del contratto, ma per l'articolo 1362 del Codice civile nel qualificare il contratto si deve indagare sulla comune intenzione delle parti, e non limitarsi al senso letterale delle parole, con la conseguenza che un contratto di presunta somministrazione di servizi sarà considerato appalto, con il vincolo della solidarietà.
Poiché se il contratto «prevede la prestazione, a titolo oneroso, di specifici servizi, non si è a fronte a un rapporto di somministrazione, ma a un contratto d'opera o di appalto
» (Tribunale Bologna, sezione II, 08.08.2008). Il distinguo sta nel fatto che la somministrazione è un contratto traslativo, come la vendita, l'appalto invece è un contratto per la prestazione di servizi, incentrato su un "facere", che ha ad oggetto la prestazione non già di cose (come la somministrazione) ma di un'opera o un servizio.
È però arduo distinguere tra i due quando il somministrante è anche produttore delle cose: occorre allora «operare la distinzione in base al criterio della prevalenza del lavoro, che avvicina il contratto all'appalto, rispetto alla materia, che l'avvicina invece alla somministrazione» (articolo Il Sole 24 Ore del 03.04.2013).

marzo 2013

ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI: RECENTI NOVITA’ IN MATERIA DI PROTEZIONE CIVILE A CARICO DELLE AMMINISTRAZIONI COMUNALI - VADEMECUM SEMPLIFICATO (Regione Lombardia, marzo 2013).

APPALTI: M. De Cilla, COLLEGAMENTO SOSTANZIALE TRA IMPRESE SUB-INTRECCIO SOCIETARIO E IMPATTO CONCRETO DELL’INDICE SULLA GARA - Il collegamento sostanziale fra imprese alla luce dei più recenti arresti giurisprudenziali (Gazzetta Amministrativa n. 1/2013).

APPALTI: A. C. Bartoccioni, COMMENTO AGLI ARTICOLI 19 E 20 DEL D.L. 06.07.2012 N. 95, CONVERTITO CON LA L. 07.08.2012, N. 135 - Commento all’art. 19 del d.l. 06.07.2012 n. 95, convertito con la l. 07.08.2012, n. 135, intitolato “Funzioni fondamentali dei comuni e modalità di esercizio associato di funzioni e servizi comunali” e Commento all’art. 20, d.l. 06.07.2012, n. 95, conv. in l. 07.08.2012, n. 135, intitolato “Disposizioni per favorire la fusione di comuni e la razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali”, come riorganizzazione strutturale e funzionale dei Comuni, dettata dall’esigenza di far fronte alla gravissima emergenza economica e finanziaria che attualmente investe la quasi totalità dei Paesi Europei, tale da mettere a repentaglio la tenuta del sistema di welfare degli stessi (Gazzetta Amministrativa n. 1/2013).

APPALTI SERVIZI: M. Dell'Unto, L’AFFIDAMENTO DEI SERVIZI ASSICURATIVI E DI INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVA: CRITICITÀ E SUGGERIMENTI - Determinazione n. 2 del 13.03.2013 dell’Autorità per la vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture: questioni interpretative concernenti l’affidamento dei servizi assicurativi e di intermediazione assicurativa (Gazzetta Amministrativa n. 1/2013).

APPALTI: S. Napolitano, LA NECESSARIA CORRISPONDENZA DELLE QUOTE DI QUALIFICAZIONE, DI PARTECIPAZIONE ALL’ATI E DI ESECUZIONE TRA LA NOVELLA LEGISLATIVA E LE RECENTI PRONUNCE DELLA GIURISPRUDENZA - La necessaria conciliazione tra il disposto legislativo e l’applicazione pratica del principio di corrispondenza tra quote di partecipazione all’ATI e quote di esecuzione tra i soggetti raggruppati, nel caso specifico di appalti di servizi e forniture (Gazzetta Amministrativa n. 1/2013).

APPALTI: S. Villamena, LEGITTIMO AFFIDAMENTO E CONTRATTI PUBBLICI. OSSERVAZIONI SU SERIETÀ E PIGRIZIA AMMINISTRATIVA - La tutela del principio di legittimo affidamento incontra nel nostro ordinamento amministrativo una serie di limitazioni e di condizionamenti che ne rendono talvolta problematica l’applicazione. Nel presente contributo, dopo aver affrontato sinteticamente i profili generali del tema indicato, si è orientata l’analisi sul settore degli appalti pubblici. In questo settore, si è potuto verificare la presenza di orientamenti giurisprudenziali consolidati, cui tuttavia si affiancano alcune sporadiche pronunce che si muovono in senso diverso. Tali ultime pronunce, per quanto criticabili in alcuni passaggi, potrebbero aprire nuovi spazi di tutela per il relativo principio di legittimo affidamento, trovando giustificazione nei recenti interventi legislativi che vanno nel senso di combattere il fenomeno (che nel contributo è definito) dell’amministrazione pigra (Gazzetta Amministrativa n. 1/2013).

APPALTI: A. Cernelli, PRECLUSA L’AZIONE DI INDEBITO ARRICCHIMENTO CONTRO LA P.A. SE L’IMPEGNO CONTRATTUALE NON É AD ESSA ASCRIVIBILE - L’Autore analizza la problematica questione del mezzo di tutela esperibile dal privato che abbia eseguito una prestazione in favore della PA, sulla base di un impegno che, sottoscritto da un dirigente o funzionario pubblico, sia mancante dei requisiti di giuridica riferibilità all’ente. In particolare, l’Autore si sofferma sulla possibilità per il privato di esercitare l’azione di indebito arricchimento ex art. 2041 del codice civile (Gazzetta Amministrativa n. 1/2013).

APPALTI: G. D'Angelo, La documentazione antimafia nel D.Lgs. 06.09.2011 n. 159: profili critici (Urbanistica e appalti n. 3/2013 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: F. De Lucia, Il RUP cardine del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta (Urbanistica e appalti n. 3/2013).

APPALTI FORNITURE E SERVIZINei confronti dei comuni montani fino a 5.000 abitanti trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 33, comma 3-bis, del Codice dei contratti pubblici, da cui discende l’obbligo di affidare la gestione delle gare ad evidenza pubblica ad un'unica centrale di committenza, in assenza della quale essi devono avvalersi, per gli acquisti di rilevanza comunitaria, delle convenzioni Consip e di quelle messe a disposizione da altre centrali di riferimento, ferma restando la specificità della disciplina contemplata dall’art. 1, comma 7, del più volte citato d.l. n. 95/2012 riguardo ad alcune categorie merceologiche di beni e servizi (energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile) ritenute di particolare rilevanza per il contenimento della spesa pubblica.
Resta da dire, per completezza, che le conclusioni raggiunte restano ferme anche a seguito delle innovazioni apportate dalla l. 24.12.2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), i cui commi 149 e 150 hanno ancora modificato, rispettivamente, i commi 450 e 449 dell’art. 1 della l. n. 296/2006, e il cui comma 154 ha integrato l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 95/2012, come modificato in sede di conversione.
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L
’obbligo prescritto dal comma 3-bis dell’art. 33 del Codice dei contratti pubblici di ricorrere al mercato della pubblica amministrazione, in assenza di una centrale unica e di strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza, pure regionali, investe senz’altro le acquisizioni di valore inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.
La stringente formulazione della norma non sembra ammettere eccezioni all’obbligo di acquisizione tramite mercato elettronico, fatta salva l’applicazione –diretta o analogica– della disposizione di cui al secondo periodo del comma 450 dell’art. 1 della l. n. 296/2006, che prevede il ricorso ad esso “fermi restando gli obblighi … previsti al comma 449”, con ciò intendendo che,
nel caso in cui sia disponibile una convenzione Consip (o regionale), il bene o il servizio può essere acquisito a mezzo del mercato elettronico a condizione che sia comprovato il rispetto dei parametri di prezzo e qualità ivi indicati. Del resto, il citato art. 328 del Regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici prevede (comma 4, lettera b) la possibilità di acquistare sul mercato elettronico ricorrendo alle procedure in economia.
In questo assetto, le uniche ipotesi in cui possono ritenersi consentite procedure autonome sono quelle che si realizzano nel caso di assenza di disponibilità sul mercato elettronico del bene o del servizio da acquisire e nel caso di inidoneità dell’uno o dell’altro alle esigenze dell’amministrazione per mancanza di qualità essenziali.

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... la richiesta di parere della Sezione di controllo, formulata dai Sindaci dei comuni di Brusson, Donnas, Montjovet, Pont-Saint-Martin e Valtournenche, in merito all’applicabilità delle disposizioni relative all’obbligo di approvvigionamento di beni e servizi a mezzo delle convenzioni e del mercato elettronico della pubblica amministrazione della Consip s.p.a. e di altre centrali di committenza ai comuni montani aventi popolazione non superiore a 5000 abitanti.
Il quesito propone le seguenti problematiche:
a) se, nei confronti dei comuni montani con meno di 5.000 abitanti, trovi applicazione l’art. 33, comma 3-bis, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture);
b) se la disposizione ivi recata abbia a oggetto i soli contratti di rilevanza comunitaria o si estenda anche ai contratti sotto la soglia di rilevanza comunitaria.
...
9.- La richiesta di parere formulata dalle amministrazioni comunali di Brusson, Donnas, Montjovet, Pont-Saint-Martin e Valtournenche propone la soluzione dei seguenti quesiti:
a) se, nei confronti dei comuni montani con popolazione fino a 5.000 abitanti, trovi applicazione o meno la disciplina contenuta nel comma 3-bis dell’art. 33 del d.lgs. n. 163/2006, in forza della quale i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, devono effettuare i propri acquisti tramite un’unica centrale di committenza costituita a livello locale o attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza e il mercato elettronico della pubblica amministrazione;
b) se, in caso affermativo, le disposizioni ivi recate abbiano a oggetto anche le acquisizioni di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.
Riguardo al primo quesito, le amministrazioni richiedenti hanno rappresentato che a distinte conclusioni potrebbe giungersi attribuendo rilievo prevalente alla lettera della norma, che fa riferimento ai comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti, senza distinzioni di sorta, o al coordinamento di tale norma –introdotta dal comma 4 dell’art. 1 del d.l. 06.07.2012, n. 95, come modificato, in sede di conversione, dall’art. 1, comma 1, della l. 07.08.2012, n. 135 [rectius: introdotta dal comma 4 dell’art. 23 del d.l. 06.12.2011, n. 201, convertito dalla l. 22.12.2011, n. 214, e modificata dal comma 4 dell’art. 1 del d.l. n. 95/2012, come modificato dalla legge di conversione]– con quella contenuta nel comma 1 di tale articolo, la quale, nel regolamentare le conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle procedure di acquisto di beni e servizi, ricollega tali conseguenze alla violazione dell’art. 26, comma 3, della l. 23.12.1999, n. 488 (legge finanziaria 2000), che espressamente esclude dal proprio ambito di applicazione i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e quelli montani con popolazione fino a 5.000 abitanti.
Riguardo al secondo quesito, le amministrazioni istanti hanno evidenziato che la norma della cui applicabilità dubitano trova collocazione nella parte del Codice dei contratti pubblici che disciplina i contratti di rilevanza comunitaria.
Tanto premesso, esse hanno prospettato che i comuni montani con popolazione non superiore a 5.000 abitanti siano soggetti all’obbligo di affidamento a un’unica centrale di committenza, potendo alternativamente effettuare acquisti tramite il mercato elettronico, per i contratti di rilevanza comunitaria, e che, per i restanti contratti, non trovi applicazione nei loro confronti il sistema delle convenzioni e del mercato elettronico, con l’avvertenza, sotto quest’ultimo aspetto, che diversa sembra essere l’impostazione seguita dalla Sezione regionale di controllo per il Piemonte della Corte dei conti (del. n. 271/2012), dalla quale deriverebbe una riduzione dell’ambito di non applicabilità del sistema agli affidamenti diretti e alle acquisizioni mediante amministrazione diretta.
10.- L’acquisto di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche è stato oggetto, a partire dal 1999, di numerosi interventi del legislatore statale, indotto a razionalizzare le relative procedure da esigenze di contenimento della spesa pubblica.
Appare pertanto opportuno, al fine di ricondurre a sistema la materia, ripercorrere sinteticamente le principali fasi del processo di riforma.
11.- La centralizzazione degli acquisti delle amministrazioni pubbliche ha preso avvio con l’art. 26 della l. n. 488/1999. La disciplina originaria, nel prevedere l’adesione necessaria delle amministrazioni statali alle convenzioni centralizzate, lasciava alla disponibilità di quelle non statali, tra cui quelle locali, la scelta di aderirvi o meno, obbligandole, peraltro, a utilizzarne i parametri di qualità e prezzo per l’acquisto di beni comparabili con quelli oggetto di convenzionamento.
Succedutisi altri interventi normativi con le leggi finanziarie degli anni immediatamente successivi, il legislatore ha nuovamente riformulato il comma 3 dell’art. 26 con il d.l. 12.07.2004, n. 168, nel testo integrato dalla legge di conversione 30.07.2004, n. 191, aggiungendo in particolare la previsione secondo cui “le disposizioni che danno facoltà alle amministrazioni non statali di avvalersi delle convenzioni stipulate dalla centrale di committenza nazionale (Consip s.p.a.), imponendo loro di utilizzare i parametri di qualità e prezzo ivi previsti come limiti massimi in caso di acquisti effettuati in proprio, non si applicano ai comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e a quelli montani con popolazione fino a 5.000 abitanti”.
12.- A seguito di ulteriori modifiche della disposizione appena riportata, introdotte dall’art. 1, comma 4, del d.l. 12.07.2004, convertito, con modificazioni, dalla l. 30.07.2004, n. 191, la materia veniva ridisciplinata dalla l. 27.12.2006, n. 296 (legge finanziaria 2007).
Il comma 449 dell’art. 1 di tale legge, riferito alle commesse di importo comunitario, stabiliva, al primo periodo, l’obbligo delle amministrazioni statali di approvvigionarsi attraverso le convenzioni-quadro Consip, limitatamente ad alcune tipologie di beni e servizi, da individuarsi annualmente con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze; il secondo periodo ribadiva la facoltà delle restanti amministrazioni pubbliche di ricorrere alle convenzioni –quelle stipulate da Consip o quelle stipulate dalle centrali di committenza regionali, introdotte dal comma 456 dell’art. 1 della legge stessa– e il vincolo di utilizzarne alternativamente i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti.
Al riguardo, pare opportuno evidenziare che tale periodo si riferiva indistintamente –come si è accennato– alle “restanti amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo 30.03.2001, n. 165”, delle quali fanno parte gli enti locali, sicché non parrebbe destituito di fondamento ritenere che l’esclusione dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e di quelli montani con popolazione fino a 5.000 abitanti dall’applicazione della norma di cui all’art. 26, comma 3, della l. n. 488/1999 fosse stata da esso implicitamente superata.
Il comma 450, relativo agli acquisti sotto la soglia di rilievo comunitario, imponeva, a sua volta, alle amministrazioni dello Stato di ricorrere al mercato elettronico della pubblica amministrazione, nulla disponendo riguardo alle altre amministrazioni.
I commi 449 e 450 dell’art. 1 della l. n. 296/2006 sono stati modificati dall’art. 7 del d.l. 07.05.2012, n. 52, come sostituito dalla legge di conversione 06.07.2012, n. 94. Mentre il primo comma dell’art. 7 ha modificato il comma 449, estendendo l’obbligo di approvvigionamento attraverso le convenzioni-quadro Consip a tutte le tipologie di beni e servizi che devono essere acquistati dalle amministrazioni statali, il secondo comma ha innovato la disciplina prevista dal comma 450 per le amministrazioni diverse da quelle statali, e dunque anche per le autonomie locali, cui è stato imposto di fare ricorso al mercato della pubblica amministrazione, analogamente alle amministrazioni dello Stato, ovvero ad altri mercati elettronici, fatto salvo il rispetto del sistema delle convenzioni previsto nel ridetto comma 449.
13.- Peraltro, la norma ora richiamata è stata preceduta dal d.l. n. 201/2011, convertito dalla l. n. 214/2011, il cui art. 23, comma 4, ha aggiunto all’art. 33 del Codice dei contratti pubblici il comma 3-bis, con il quale è stato stabilito che “i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna provincia affidano obbligatoriamente ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 32 del testo unico di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici”.
Alla disposizione così introdotta, finalizzata –secondo quanto precisato nella relazione tecnica al decreto-legge– a superare, attraverso l’imposizione del divieto ai piccoli comuni di gestire autonomamente le procedure di evidenza pubblica, la frammentazione degli appalti e a ridurre, conseguentemente, i costi di gestione dei relativi procedimenti, è stata aggiunta quella di cui al comma 4 dell’art. 1 del d.l. 06.07.2012, n. 95, come modificato dalla legge di conversione 07.08.2012, n. 135, a termini del quale “in alternativa, gli stessi comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 1999, n. 448, e il mercato elettronico della pubblica amministrazione”.
Nella relazione tecnica che accompagna il d.d.l. di conversione del decreto-legge viene affermato che l’utilizzo, da parte dei piccoli comuni (quelli con popolazione non superiore a 5.000 abitanti), degli strumenti elettronici di acquisto gestiti dalle centrali di committenza vale quale adempimento dell’obbligo di acquistare attraverso un’unica centrale di committenza, consentendo loro di superare le difficoltà di aggregazione che possono incontrare.
La norma autorizza, pertanto, espressamente i piccoli comuni ad avvalersi degli strumenti già previsti in generale per le amministrazioni pubbliche non statali, tra cui quelle locali, dalle disposizioni di cui ai commi 449 e 450 dell’art. 1 della l. n. 296/2006; il che costituisce anche un vincolo in caso di mancata costituzione della centrale unica di committenza.
Significativo appare, in questa prospettiva, il richiamo, operato dalla norma, alle convenzioni di cui all’art. 26 della l. n. 488/1999: se, infatti, per effetto della norma in questione, ai comuni fino a 5.000 abitanti è stata accordata la possibilità, tra le altre, di avvalersi di quelle stesse convenzioni, dal cui utilizzo erano stati esclusi dalla legge da ultimo citata i comuni fino a 5.000 abitanti e quelli montani fino a 1.000, se ne può dedurre –a non voler accedere alla tesi secondo cui l’estromissione fosse già venuta meno– che l’esclusione dall’applicazione del disposto di tale articolo dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti e dei comuni montani con popolazione fino a 1.000 abitanti sia stata da tale norma superata, sostanzialmente uniformando la disciplina degli acquisti delle amministrazioni locali (e, più in generale, delle amministrazioni pubbliche non statali), sulla base dell’assunto che un sistema centralizzato di acquisti contribuisce al risanamento della finanza pubblica.
14.- In questo contesto,
il riferimento alla violazione dell’art. 26, comma 3, della l. n. 448/1999, contenuto nella norma introdotta dal comma 1 dello stesso articolo che ha integrato, nei termini anzidetti, il comma 3-bis del Codice dei contratti pubblici (invocato dagli enti richiedenti a sostegno di una possibile interpretazione volta a estromettere i comuni di montagna con popolazione fino a 5.000 abitanti dal campo di applicazione della norma ivi recata), norma peraltro riproduttiva in parte di precetti già esistenti, va semplicemente inteso, a giudizio della Sezione, nel senso che gli effetti sanzionatori determinati dalla stipulazione di contratti in violazione delle disposizioni di cui all’art. 26, comma 3 (nullità dei contratti, responsabilità disciplinare, responsabilità amministrativa: conseguenze identiche, queste, a quelle previste in caso di contratti stipulati in violazione dell’obbligo di acquisizione mediante gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip s.p.a.), si producono in capo alle amministrazioni assoggettate all’applicazione di tali disposizioni in base alla normativa vigente.
Per quanto sopra esposto, la Sezione ritiene, conclusivamente, che
nei confronti dei comuni montani fino a 5.000 abitanti trovino applicazione le disposizioni di cui all’art. 33, comma 3-bis, del Codice dei contratti pubblici, da cui discende l’obbligo di affidare la gestione delle gare ad evidenza pubblica ad un'unica centrale di committenza, in assenza della quale essi devono avvalersi, per gli acquisti di rilevanza comunitaria, delle convenzioni Consip e di quelle messe a disposizione da altre centrali di riferimento, ferma restando la specificità della disciplina contemplata dall’art. 1, comma 7, del più volte citato d.l. n. 95/2012 riguardo ad alcune categorie merceologiche di beni e servizi (energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile) ritenute di particolare rilevanza per il contenimento della spesa pubblica.
Resta da dire, per completezza, che le conclusioni raggiunte restano ferme anche a seguito delle innovazioni apportate dalla l. 24.12.2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), i cui commi 149 e 150 hanno ancora modificato, rispettivamente, i commi 450 e 449 dell’art. 1 della l. n. 296/2006, e il cui comma 154 ha integrato l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 95/2012, come modificato in sede di conversione.

15.- Quanto al tema della riferibilità della disciplina ai contratti c.d. sotto soglia, le amministrazioni richiedenti hanno prospettato la tesi della non applicabilità, nei confronti dei comuni (montani) fino a 5.000 abitanti, del sistema delle convenzioni Consip e del mercato della pubblica amministrazione, come disciplinati dal comma 3-bis dell’art. 33, fondando tale tesi –oltre che sull’art. 1, comma 1, del d.l. n. 95/2012, come modificato in sede di conversione, della cui portata si è già detto– sulla collocazione della norma nella parte del Codice relativa ai contratti di rilevanza comunitaria.
In effetti, la disciplina in questione è situata nel Titolo I (Contratti di rilevanza comunitaria) della Parte II (contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture nei settori ordinari) del Codice. Tuttavia, l’art. 121, ubicato nel Titolo II, dedicato ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, stabilisce che a questi si applicano, tra le altre, le disposizioni contenute nella Parte II, in quanto non derogate dalle norme dello stesso Titolo II.
Muovendo da questa premessa, la Sezione di controllo per il Piemonte, nella deliberazione richiamata dai richiedenti, ha ritenuto, basando il proprio orientamento anche sul dato contenuto nell’art. 23, comma 5, del d.l. n. 201/2011 –il quale, nel determinare il termine a partire dal quale trova applicazione l’obbligo di gestione associata, si riferisce alle “gare bandite successivamente al 31.03.2012” (termine poi prorogato dall’art. 29, comma 11-ter, del d.l. 29.12.2011, n. 216, al 31.03.2013), sembrava ancorare tale obbligo alle ipotesi in cui esiste un confronto concorrenziale tra i partecipanti–, che, dovendo qualificarsi come gare, secondo le disposizioni codicistiche, anche le procedure di affidamento in economia mediante cottimo fiduciario, restassero escluse le acquisizioni in economia mediante amministrazione diretta e le altre ipotesi in cui le norme consentono, eccezionalmente, la negoziazione diretta.
16.- Pur condividendosi il percorso argomentativo seguito e le conclusioni raggiunte nella menzionata deliberazione in relazione alla fattispecie ivi scrutinata, occorre considerare che, nel frattempo,
il quadro normativo di riferimento è significativamente mutato, per essere intervenuti, da un lato, il nuovo testo del comma 450 dell’art. 1 della l. n. 296/2006, che, come si è detto, ha introdotto l’obbligo per le amministrazione diverse da quelle delle Stato di fare ricorso al mercato della pubblica amministrazione, ovvero ad altri mercati elettronici (fatto salvo il rispetto del sistema delle convenzioni previsto nel comma precedente); dall’altro lato, la seconda parte del comma 3-bis dell’art. 33, che, nell’individuare le alternative alla centrale unica, ha espressamente richiamato –oltre agli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza– il mercato della pubblica amministrazione, che costituisce uno strumento utilizzabile soltanto per approvvigionamenti di importo inferiore alla soglia comunitaria (art. 328 d.p.r. 05.10.2010, n. 207).
Di qui la conclusione che –indipendentemente dalla collocazione della norma– a seguito dell’emanazione delle predette disposizioni,
l’obbligo prescritto dal comma 3-bis dell’art. 33 del Codice dei contratti pubblici di ricorrere al mercato della pubblica amministrazione, in assenza di una centrale unica e di strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza, pure regionali, investe senz’altro le acquisizioni di valore inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.
Rimane da precisare che la stringente formulazione della norma non sembra ammettere eccezioni all’obbligo di acquisizione tramite mercato elettronico, fatta salva l’applicazione –diretta o analogica– della disposizione di cui al secondo periodo del comma 450 dell’art. 1 della l. n. 296/2006, che prevede il ricorso ad esso “fermi restando gli obblighi … previsti al comma 449”, con ciò intendendo che,
nel caso in cui sia disponibile una convenzione Consip (o regionale), il bene o il servizio può essere acquisito a mezzo del mercato elettronico a condizione che sia comprovato il rispetto dei parametri di prezzo e qualità ivi indicati. Del resto, il citato art. 328 del Regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici prevede (comma 4, lettera b) la possibilità di acquistare sul mercato elettronico ricorrendo alle procedure in economia.
In questo assetto,
le uniche ipotesi in cui possono ritenersi consentite procedure autonome sono quelle che si realizzano nel caso di assenza di disponibilità sul mercato elettronico del bene o del servizio da acquisire e nel caso di inidoneità dell’uno o dell’altro alle esigenze dell’amministrazione per mancanza di qualità essenziali (Corte dei Conti, Sez. controllo Valle d'Aosta, parere 29.03.2013 n. 7).

APPALTI - ENTI LOCALITriplice scadenza in comune. Spending review, centrale committenza, Patto 2012. Al 31 marzo si concentrano una serie di appuntamenti importanti per gli enti.
Comunicazione agli Interni degli importi tagliati dalla spending review e non utilizzati per l'estinzione o la riduzione del debito. Invio al Mef della certificazione relativa al Patto 2012. Avvio della centrale unica di committenza. Tre scadenze importanti per i comuni che si sovrappongono tutte nella stessa data: il 31 marzo 2013.
Il primo adempimento (previsto dall'art. 16, comma 6-bis, del dl 95/2012) riguarda solo i municipi soggetti al Patto dello scorso anno (sono esclusi, pertanto, quelli sotto i 5 mila abitanti).
Esso impone di comunicare alla Prefettura-Utg (che a sua volta la inoltrerà al Viminale) la quota del taglio previsto dal comma 6 del medesimo art. 16 (pari, complessivamente, a 500 milioni) eventualmente non utilizzata dagli enti per ridurre il proprio «rosso» e che, quindi, verrà decurtata sulle spettanze 2013. Al riguardo, si rammenta che si possono considerare utilmente perfezionate le operazioni di estinzione o di riduzione anticipata del debito per le quali il relativo impegno di spesa sia stato effettuato entro il 31.12.2012 e il relativo mandato di pagamento risulti emesso entro la medesima data del 31.12.2012, anche se poi tale mandato risulti estinto dal tesoriere nei primi giorni di gennaio 2013. Il Ministero dell'interno ha anche precisato che saranno valide le comunicazioni effettuate entro il 2 aprile, quale primo giorno seguente non festivo successivo alla scadenza del termine.
Analoga precisazione, invece, non è arrivata rispetto al secondo adempimento, ovvero la certificazione del Patto 2012 (regolata dall'art. 31, comma 20, della l 183/2011). Pertanto, è opportuno che l'invio alla Ragioneria generale dello Stato della raccomandata contenente il modello e i relativi prospetti, debitamente sottoscritti dal rappresentante legale, dal responsabile del servizio finanziario e dai revisori, avvenga entro domani (farà fede la data del timbro postale). Anche in tal caso, sono esclusi i piccoli comuni.
Questi ultimi, invece, sono interessati dalla terza scadenza, certamente la più complessa. Entro il 31 marzo, infatti, essi devono rendere operative le centrali uniche di committenza, accorpando gli uffici che gestiscono gli appalti per la realizzazione di lavori pubblici e per l'acquisizione di beni e servizi. Lo prevede l'art. 33, comma 3-bis, del dlgs 163/2006, introdotto dall'art. 23, comma 4, del dl 201/2011, la cui disciplina si applica alle gare bandite successivamente al 31.03.2013.
Due le modalità attuative: in via prioritaria, l'unione di comuni ex art. 32 tuel, ovvero, in subordine, un accordo consortile (da intendersi verosimilmente come convenzione ai sensi dell'art. 30 Tuel). In mancanza, scatta l'obbligo di rivolgersi alle centrali di committenza già esistenti o di passare attraverso il mercato elettronico della p.a. (articolo ItaliaOggi del 29.03.2013).

APPALTICosto dell'appalto detratto solo con contratto scritto.
Il costo dell'appalto non può essere detratto sulla base delle sole fatture ma è necessario un contratto scritto fra committente e appaltatore.

Lo ha sancito la Corte di Cassazione che, con l'ordinanza 28.03.2013 n. 7897, ha accolto il ricorso dell'amministrazione finanziaria.
Insomma a fronte di grossi lavori le fatture sono del tutto insufficienti, dice la Suprema corte, ai fini del beneficio fiscale. Infatti, dicono gli stessi Ermellini, un appalto di importo molto considerevole, come in questo caso, va stipulato con atto scritto, o comunque in maniera da lasciare una traccia documentale. Questo, rileva ancora la Corte, non risulta che sia avvenuto nel caso in esame, quindi appare legittima la conclusione che quel contratto non fosse stato mai stipulato. Tanto più che la parte privata non ha offerto alla valutazione del giudice argomenti per ritenere che nella specie la stipula di un contratto scritto non fosse necessaria per particolari ragioni, idonee a superare l'«id quod plerumque accidit».
Il fatto certo è che mancava la prova della redazione del contratto di appalto, quindi la contribuente non aveva diritto alla detrazione di imposta. In più la Cassazione ribadisce il principio generale per cui è il contribuente a dover fornire la prova dell'autenticità delle fatture.
Sul punto l'ordinanza precisa che qualora l'amministrazione contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza di quelle fatturate, come nella specie, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili.
Dunque ora la causa dovrà tornare presso un'altra sezione della commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna che dovrà riconsiderare la vicenda e, nel caso il contribuente non provi l'esistenza di un contratto scritto, dovrà negare la detrazione al committente (articolo ItaliaOggi del 17.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto asseriti inadempimenti degli obblighi contrattuali da parte della ditta appaltatrice, verificatisi nel corso di esecuzione del rapporto.
La controversia avente ad oggetto asseriti inadempimenti degli obblighi contrattuali da parte della ditta appaltatrice, verificatisi nel corso di esecuzione del rapporto involge posizioni di diritto soggettivo ed appartiene pertanto, secondo il generale criterio di riparto, alla giurisdizione del giudice ordinario.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo comprende, infatti, solo le controversie relative alle procedure per l'affidamento dei lavori o dei servizi pubblici e non quelle conseguenti all'applicazione degli obblighi contrattualmente assunti tra le parti a seguito dell'affidamento stesso.
Le questioni nascenti dalla esecuzione di un contratto di appalto, infatti, si collocano nella fase successiva a quella della scelta del contraente e gli atti posti in essere dalla p. a. in tale fase hanno natura negoziale ed investono in via diretta ed immediata posizioni di diritto soggettivo. La giurisdizione va pertanto declinata, ai sensi dell'art. 11 c.p.a. in favore dell'A.G.O. (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 28.03.2013 n. 1695 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZISono illegittimi l’atto di revoca dell’aggiudicazione e la nuova aggiudicazione a favore della controinteressata in quanto del tutto privi di motivazione.
Neppure dagli ulteriori atti depositati è possibile ricostruire le ragioni che hanno spinto all’amministrazione ad annullare la gara e quali siano state le difformità dal bando che siano state contestate alla ricorrente. Né a tal fine è possibile tenere conto di dichiarazioni provenienti dalla controinteressata, in quanto la decisione di ritirare e di assegnare ex novo la gara proviene dall’amministrazione, la quale doveva valutare la fondatezza delle rimostranze mosse nei confronti della prima aggiudicazione ed esplicitare le ragioni per le quali vi aderiva.
Non esiste poi nessun verbale di gara o di apertura delle buste per cui non è possibile ricostruire in modo sufficientemente completo l’attività svolta dall’amministrazione.
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Nell’ipotesi di rimozione in autotutela di una procedura di gara, l’avviso di avvio del relativo procedimento assume carattere di obbligatorietà ove l’esercizio di tale potere implichi valutazioni discrezionali, come nel caso di specie ove è stata fatta applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
L’avviso deve ritenersi superfluo solo a fronte di un provvedimento basato su presupposti verificabili in modo immediato ed univoco, per i quali difatti le esigenze di garanzia e trasparenza, sottese a tale adempimento, recedono a favore dei criteri di economicità e speditezza dell’azione amministrativa.

La ricorrente già aggiudicataria di procedura di gara per l'affidamento dei servizi assicurativi degli alunni e del personale per l'anno scolastico 2013 impugna l’atto di revoca dell’aggiudicazione e la nuova aggiudicazione a favore della controinteressata.
A tal fine presenta i seguenti motivi di ricorso: a) Violazione degli artt. 21 della legge n. 241/1990 per difetto di motivazione dell’atto di autotutela; b) Violazione dell’art. 21-nonies della legge 241/1990 per mancanza dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela; c) Violazione dell’art. 7 legge 241 /1990 per mancata comunicazione di avvio del procedimento di autotutela; d) in via subordinata violazione di legge per errata attribuzione dei punteggi. Violazione del bando di gara e dei criteri di attribuzione dei punteggi ivi stabiliti.
La difesa dello Stato ha chiesto la reiezione del ricorso.
Alla camera di consiglio del 26.03.2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Il ricorso è fondato.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono fondati in quanto dall’esame degli atti risulta chiaramente che sia l’atto di revoca dell’aggiudicazione, quanto la successiva aggiudicazione sono del tutto privi di motivazione.
Neppure dagli ulteriori atti depositati è possibile ricostruire le ragioni che hanno spinto all’amministrazione ad annullare la gara e quali siano state le difformità dal bando che siano state contestate alla ricorrente. Né a tal fine è possibile tenere conto di dichiarazioni provenienti dalla controinteressata, in quanto la decisione di ritirare e di assegnare ex novo la gara proviene dall’amministrazione, la quale doveva valutare la fondatezza delle rimostranze mosse nei confronti della prima aggiudicazione ed esplicitare le ragioni per le quali vi aderiva.
Non esiste poi nessun verbale di gara o di apertura delle buste per cui non è possibile ricostruire in modo sufficientemente completo l’attività svolta dall’amministrazione.
Anche il terzo motivo di ricorso è fondato in quanto nell’ipotesi di rimozione in autotutela di una procedura di gara, l’avviso di avvio del relativo procedimento assume carattere di obbligatorietà ove l’esercizio di tale potere implichi valutazioni discrezionali, come nel caso di specie ove è stata fatta applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (ex plurimis TAR Lazio-Roma - Sezione I-Bis, Sentenza 23.10.2006 n. 10900).
L’avviso deve ritenersi superfluo solo a fronte di un provvedimento basato su presupposti verificabili in modo immediato ed univoco, per i quali difatti le esigenze di garanzia e trasparenza, sottese a tale adempimento, recedono a favore dei criteri di economicità e speditezza dell’azione amministrativa.
Poiché tali presupposti non sussistono, era obbligo dell’amministrazione comunicare alle parti l’avvio di un procedimento di annullamento della gara ed acquisire le loro valutazioni prima di provvedere (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 28.03.2013 n. 819 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIBenché l'Ad. plen. n. 4 del 2011 (v. § 40.) ammette la possibilità, per il ricorrente che ha partecipato legittimamente alla gara, di far valere tanto un interesse “finale” al conseguimento dell’appalto affidato al controinteressato, quanto, in via alternativa (e normalmente subordinata) l’interesse “strumentale” alla caducazione dell’intera gara e alla sua riedizione sempre che sussistano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere l’utilità richiesta”, il criterio dell’interesse strumentale va contemperato con le peculiarità in fatto che caratterizzano la procedura per la quale è causa, [con la conseguenza che] non si può prescindere dalla verifica della c.d. prova di resistenza, con riferimento alla posizione della parte ricorrente rispetto alla procedura selettiva le cui operazioni sono prospettate come illegittime, nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso contro un provvedimento qualora, dall’esperimento della c.d. prova di resistenza, in esito a una verifica a priori, risulti con certezza che il ricorrente non avrebbe comunque ottenuto il bene della vita perseguito nel caso di accoglimento del ricorso. Occorre avere riguardo, cioè, alla possibilità concreta di vedere soddisfatta la pretesa sostanziale fatta valere.
Sulla scorta dei riferiti presupposti non si può che richiamare un condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo il quale, benché «Ad. plen. n. 4 del 2011 (v. § 40.) ammette la possibilità, per il ricorrente che ha partecipato legittimamente alla gara, di far valere tanto un interesse “finale” al conseguimento dell’appalto affidato al controinteressato, quanto, in via alternativa (e normalmente subordinata) l’interesse “strumentale” alla caducazione dell’intera gara e alla sua riedizione sempre che sussistano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere l’utilità richiesta”, il criterio dell’interesse strumentale va contemperato con le peculiarità in fatto che caratterizzano la procedura per la quale è causa, [con la conseguenza che] non si può prescindere dalla verifica della c.d. prova di resistenza, con riferimento alla posizione della parte ricorrente rispetto alla procedura selettiva le cui operazioni sono prospettate come illegittime, nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso contro un provvedimento qualora, dall’esperimento della c.d. prova di resistenza, in esito a una verifica a priori, risulti con certezza che il ricorrente non avrebbe comunque ottenuto il bene della vita perseguito nel caso di accoglimento del ricorso. Occorre avere riguardo, cioè, alla possibilità concreta di vedere soddisfatta la pretesa sostanziale fatta valere
» (Consiglio di Stato, V, 15.10.2012, n. 5276).
Nel caso di specie, in assenza della espressa deduzione di un interesse strumentale alla ripetizione della gara e in mancanza di una dimostrazione della utilità per la società ricorrente dell’esito rappresentato dalla ripetizione della gara, i ricorsi non possono che essere dichiarati inammissibili (cfr. TAR Sicilia, Palermo, II, 26.06.2012, n. 1300) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 28.03.2013 n. 815 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIContro i monopoli. Tar Lombardia. Illegittimo il bando per creare privative.
IL PRINCIPIO/ Le università non possono restringere il numero dei fotografi nelle sedute di laurea - Pagamento lecito per le postazioni.

Via libera a tutti i fotografi in occasione delle lauree universitarie: lo impone il TAR Lombardia-Milano, Sez. I, con l'ordinanza 28.03.2013 n. 380, sospendendo un bando dell'università di Pavia in nome del principio della libertà dei servizi (decreto legislativo 59/2010).
Il caso esaminato riguarda fotografi professionisti, che hanno contestato un bando dell'università la quale chiedeva offerte a chi fosse interessato a riprendere circa 4mila cerimonie di laurea ogni anno.
Per partecipare occorreva migliorare l'offerta base per l'università, fissata in 12mila euro annuali, garantendo poi agli utenti prezzi standard e filmati di durata non inferiore a 10 minuti. Questa gara è stata sospesa dal Tar perché l'università non può istituire una "privativa" (cioè una presenza esclusiva con finalità commerciali) sostenendo di voler agevolare il mercato. Per i giudici, l'effetto-privativa, del tutto illegittimo, è «implicito nella volontà di sostituire un regime di concorrenza "nel" mercato con uno di concorrenza "per" il mercato».
La gara, secondo i giudici amministrativi, ha come risultato un limite alla concorrenza, mentre l'attività di impresa deve rimanere libera.
Nello stesso settore vi sono stati contrasti anche nel 2011: secondo il Tar Firenze (sentenza 1406), l'università di Pisa non può impedire la prestazione dei servizi, ma può solo assegnare con gara un'area attrezzata (un tavolino con sedie).
Quindi, vi è libertà di iniziativa per i fotografi, ed al massimo la gara può garantire una sede comoda.
Queste pronunce, ferma restando la possibilità del fai da te di familiari e conoscenti, garantiscono la libertà di iniziativa (decreto legislativo 59/2010), con divieto di restrizioni e di tariffe imposte.
Spetterà poi ai consumatori scegliere l'offerta migliore, tenendo presente che la legge 4/2013 sulle professioni non organizzate ammette la possibilità che i professionisti introducano, su base volontaria, requisiti di qualità e codici di comportamento.
Se utenti e fornitori si avvantaggiano attraverso scelte più ampie, la concorrenza complica le scelte delle pubbliche amministrazioni, perché le gare non possono generare privative o monopoli.
Se il buon andamento delle sedute di laurea, in altri termini, non basta alle università per limitare la presenza di fotografi, allo stesso modo il ricorso alle gare non può essere totalizzante (per tempi e modi), cioè assumere dimensioni tali da danneggiare la concorrenza.
Questo principio di massima partecipazione va tenuto presente sia nella scelta di un professionista che opera in un settore riservato (con ordine professionale), sia per le attività che hanno una base associazionistica volontaria, sia infine per liberi operatori.
Le gare, sembra di capire, non possano generare privative o monopoli, restringendo il mercato: rischio che appunto è stato percepito dai giudici milanesi a favore dei fotografi (articolo Il Sole 24 Ore del 03.04.2013 - tratto da www.cndcec.it).

APPALTIPartecipare ad una gara d'appalto è richiesto espressamente ai concorrenti la specifica indicazione, nell’offerta, degli oneri per la sicurezza.
Tale adempimento, imposto dalla legge, è posto a presidio della par condicio tra i concorrenti nonché dell’interesse dell’Amministrazione pubblica a vagliare l’affidabilità e la congruità delle offerte, e specificamente la loro idoneità a garantire la sicurezza dei lavoratori da impiegare nella commessa pubblica.
Alla luce di tale ratio legis, i costi della sicurezza costituiscono elemento essenziale dell’offerta, con la conseguenza che la loro mancata indicazione rende quest’ultima incompleta, e dunque soggetta a esclusione, a norma dell’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici. E ciò anche in assenza di una specifica previsione all’interno della lex specialis, circa l’onere di esplicitare, nell’offerta, l’ammontare degli oneri di sicurezza.
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L’articolo 38, co. 2, lett. c), del codice dei contratti pubblici, stabilisce che le dichiarazioni, in ordine alla sussistenza dei requisiti di ordine generale richiesti, debbano essere rese dagli amministratori muniti di potere di rappresentanza. Detta disposizione assolve alla precisa finalità di consentire alla stazione appaltante un controllo sull’idoneità morale dell’impresa che abbia presentato un’offerta. La verifica sulla sussistenza dei requisiti di moralità deve essere operata rispetto a tutti i soggetti, amministratori, che siano abilitati ad impegnare l’impresa nei confronti di terzi.
Per questo motivo, l’articolo 38 statuisce che alla dichiarazione sostitutiva siano tenuti soltanto “gli amministratori muniti di potere di rappresentanza”, ossia coloro –tra gli amministratori– i quali abbiano il potere di spendere, all’esterno, il nome dell’impresa.
Da ciò si evince che ben è possibile che la società limiti od escluda il potere di rappresentanza con riguardo ad uno o più amministratori.
Il riferimento agli “amministratori muniti di potere di rappresentanza”, contenuto nell’art. 38, comma 2, lett. c, d.lgs. 163/2006, deve essere interpretato «nel senso che coloro i quali rivestono cariche societarie, alle quali è per legge istituzionalmente connesso il possesso di poteri rappresentativi, sono in ogni caso tenuti a rendere la dichiarazione de qua, senza che possa avere rilevanza alcuna l’eventuale ripartizione interna di compiti e deleghe».
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Ai sensi dell’art. 41 del codice dei contratti pubblici, la stazione appaltante può richiedere, ai concorrenti, che dimostrino la propria capacità economico-finanziaria mediante presentazione di almeno due referenze bancarie, con i limiti di cui al comma 3 e il comma 2 dell’art. 41 cit. sancisce, ulteriormente, la facoltà, in capo alle amministrazioni, di richiedere requisiti di qualificazione ulteriori rispetto a quelli espressamente stabiliti dalla legge.
Ebbene, tale facoltà trova un limite solo nel principio di proporzionalità e ragionevolezza, in relazione all’oggetto del contratto, nonché nel divieto di inutile aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, comma 2, L. n. 241/1990.
Invero, anche a seguito dell’introduzione del principio di tassatività delle cause di esclusione di cui al comma 1-bis dell’art. 46 del d.lgs. 163/2006, è “rimasta inalterata la facoltà delle amministrazioni aggiudicatrici di richiedere, a pena di esclusione, tutti i documenti e gli elementi ritenuti necessari o utili per identificare e selezionare i partecipanti ad una procedura concorsuale nel rispetto del principio di proporzionalità, ai sensi degli art. 73 e 74 del Codice dei contratti.

Difatti, gli articoli 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, del codice dei contratti pubblici, nonché l’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008, richiedono espressamente ai concorrenti la specifica indicazione, nell’offerta, degli oneri per la sicurezza.
Tale adempimento, imposto dalla legge, è posto a presidio della par condicio tra i concorrenti nonché dell’interesse dell’Amministrazione pubblica a vagliare l’affidabilità e la congruità delle offerte, e specificamente la loro idoneità a garantire la sicurezza dei lavoratori da impiegare nella commessa pubblica.
Alla luce di tale ratio legis, i costi della sicurezza costituiscono elemento essenziale dell’offerta, con la conseguenza che la loro mancata indicazione rende quest’ultima incompleta, e dunque soggetta a esclusione, a norma dell’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. III, sentenza 28.08.2012, n. 4622; nonché, Cons. Stato, sez. V, sentenza 31.07.2012, n. 4351). E ciò anche in assenza di una specifica previsione all’interno della lex specialis, circa l’onere di esplicitare, nell’offerta, l’ammontare degli oneri di sicurezza.
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L’articolo 38, co. 2, lett. c), del codice dei contratti pubblici, stabilisce che le dichiarazioni, in ordine alla sussistenza dei requisiti di ordine generale richiesti, debbano essere rese dagli amministratori muniti di potere di rappresentanza. Detta disposizione assolve alla precisa finalità di consentire alla stazione appaltante un controllo sull’idoneità morale dell’impresa che abbia presentato un’offerta. La verifica sulla sussistenza dei requisiti di moralità deve essere operata rispetto a tutti i soggetti, amministratori, che siano abilitati ad impegnare l’impresa nei confronti di terzi (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. III, 16.03.2012, n. 1471).
Per questo motivo, l’articolo 38 statuisce che alla dichiarazione sostitutiva siano tenuti soltanto “gli amministratori muniti di potere di rappresentanza”, ossia coloro –tra gli amministratori– i quali abbiano il potere di spendere, all’esterno, il nome dell’impresa.
Da ciò si evince che ben è possibile che la società limiti od escluda il potere di rappresentanza con riguardo ad uno o più amministratori.
Tuttavia, tali limitazioni –secondo quanto prevede l’articolo 2475-bis, secondo comma, del codice civile– seppure risultino espressamente dall’atto costitutivo ovvero dall’atto di nomina dell’amministratore, non hanno, in linea di principio, efficacia esterna, ossia non producono effetti nei confronti dei terzi («salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società»). Trova applicazione prevalente, pertanto, la regola sancita dal primo comma del medesimo articolo, per la quale gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società. 3.4. Come chiarito anche dalla prevalente giurisprudenza, non assumono, quindi, rilievo eventuali ripartizioni interne del potere di rappresentanza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sentenza 03.12.2010 n. 8535).
Si osserva ulteriormente, in tale prospettiva, che il riferimento agli “amministratori muniti di potere di rappresentanza”, contenuto nell’art. 38, comma 2, lett. c, d.lgs. 163/2006, deve essere interpretato «nel senso che coloro i quali rivestono cariche societarie, alle quali è per legge istituzionalmente connesso il possesso di poteri rappresentativi, sono in ogni caso tenuti a rendere la dichiarazione de qua, senza che possa avere rilevanza alcuna l’eventuale ripartizione interna di compiti e deleghe» (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. III, 16.03.2012, n. 1471, pronunciata in un caso nel quale lo statuto attribuiva la rappresentanza della società a tutti i componenti del consiglio di amministrazione, in via disgiunta tra loro, mentre una delibera interna del C.d.A. limitava il potere di un suo componente alla sola gestione di determinate attività).
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Precisato, infatti, che -ai sensi dell’art. 41 del codice dei contratti pubblici- la stazione appaltante può richiedere, ai concorrenti, che dimostrino la propria capacità economico-finanziaria mediante presentazione di almeno due referenze bancarie, con i limiti di cui al comma 3 e che il comma 2 dell’art. 41 cit. sancisce, ulteriormente, la facoltà, in capo alle amministrazioni, di richiedere requisiti di qualificazione ulteriori rispetto a quelli espressamente stabiliti dalla legge, va rammentato come, secondo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, tale facoltà trova un limite solo nel principio di proporzionalità e ragionevolezza, in relazione all’oggetto del contratto, nonché nel divieto di inutile aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, comma 2, L. n. 241/1990 (cfr. ex multis TAR Liguria, sez. II, 27.05.2009, n. 1238; cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 23.02.2010, n. 1040).
Inoltre, anche a seguito dell’introduzione del principio di tassatività delle cause di esclusione di cui al comma 1-bis dell’art. 46 del d.lgs. 163/2006, è “rimasta inalterata la facoltà delle amministrazioni aggiudicatrici di richiedere, a pena di esclusione, tutti i documenti e gli elementi ritenuti necessari o utili per identificare e selezionare i partecipanti ad una procedura concorsuale nel rispetto del principio di proporzionalità, ai sensi degli art. 73 e 74 del Codice dei contratti (cfr. Sez, V, 12.06.2012, n. 3884)” (Cons. Stato, sez. V, sentenza 18.02.2013, n. 974)
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 28.03.2013 n. 258 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn riferimento alla riformulazione dell’art. 11, comma 13, del Codice degli appalti, la Sezione ritiene che:
a) la disciplina prevista dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 è speciale rispetto alla disciplina che regola la forma degli atti contenuta nella legge di contabilità pubblica.
b) la comminatoria di nullità prevista dalla norma è riferita a tutte le forme ad substantiam di stipulazione previste dalla citata disposizione;
c) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata (scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter absentes), in caso di trattativa privata, conservano piena validità le forme di stipulazione, previste dall'art. 17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è prevista anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163);
d) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo ancora validamente stipulabile il contratto in forma pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
e) l’adozione del rogito notarile condurrà invece all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile, alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione normativa.

Infine,
la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante …" riferita alla modalità elettronica della stipulazione dei contratti è da intendersi non come potere della singola stazione appaltante di autodeterminazione, ma come rinvio ad una normativa tecnica, di rango legislativo o regolamentare, di fonte statale (artt. 117, comma 2, lett. l, Cost.), che detti i precetti in modo uniforme sulla compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità elettronica.
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Il sindaco del comune di Rovato (BS), mediante nota n. 7173 del 26.02.2013, ha posto un quesito in merito alla corretta interpretazione dell’art. 11, comma 13, del d.lgs. n. 163/2006 come novellato dall'art. 6, comma 3, del d.l. n. 179/2012 che testualmente recita: “il contratto è stipulato a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata”.
Il sindaco evidenzia la necessità di un intervento chiarificatore e l'attinenza della questione sugli equilibri economico-finanziari degli enti, tenendo conto dell'effetto caducante (nullità ex tunc) previsto dalla norma sui contratti posti in essere in violazione delle disposizione di legge. L'estrema nebulosità della disposizione citata non risulta essere stata dissipata dalla recente determinazione n. 1 del 13.02.2013 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) che, intervenendo sul punto, appare soffermarsi principalmente su due alternative all’'atto pubblico notarile informatico. L'AVCP ha ritenuto che le stazioni appaltanti possano procedere a perfezionare i contratti di appalto, in alternativa all'atto pubblico notarile informatico, nella forma della scrittura privata, ai sensi dell'art. 334, comma 2, del DPR n. 207/2012, e nella forma dell'atto pubblico amministrativo in modalità elettronica.
Sulle argomentazioni deducibili dalla determinazione dell’autorità, possono muoversi due osservazioni.
La prima riguarda l’interpretazione letterale della disposizione in esame che, a parere del comune istante, risulta fuorviante. Dall'interpretazione letterale della disposizione in esame, è di limpida evidenza che “il contratto è stipulato, a pena di nullità”, nella forma dell'atto pubblico notarile informatico, che per sua natura è riservato ai notai, "ovvero”, in alternativa, "in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante", altrimenti, dopo la virgola, "in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice" o "mediante scrittura privata".
In sostanza la disposizione divide grammaticalmente, con l'uso del segno di interpunzione della virgola, l’elencazione della modalità di perfezionamento dei contratti delle stazioni appaltanti dato dalla "modalità elettronica" diverso dalla “forma pubblica amministrativa o” della scrittura privata. L'AVCP opera nella sua determinazione una immotivata “crasi” tra le due diverse modalità senza tener in alcuna considerazione l'interpunzione, ipotizzando l'obbligatorietà di un atto pubblico amministrativo in modalità elettronica.
Per altro verso deve sottolinearsi che l' AVCP ipotizza una “modalità elettronica” di perfezionamento dell'atto pubblico amministrativo nelle forme dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n.82/2006 secondo cui "L'autenticazione della firma elettronica, anche mediante l'acquisizione digitale della sottoscrizione autografa, o di qualsiasi altro tipo di firma elettronica avanzata consiste nell'attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la firma è stata apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della sua identità personale, della validità dell'eventuale certificato elettronico utilizzato e del fatto che il documento sottoscritto non è in contrasto con l'ordinamento giuridico”.
La questione è che l'atto pubblico e l’atto pubblico amministrativo sono cosa diversa dalla semplice autenticazione della firma autografa o dalla autenticazione della firma autografa acquisita elettronicamente e questo in base alle disposizioni dell'ordinamento giuridico risalenti alla legge notarile ed al codice dell'amministrazione digitale in tema di atto notarile informatico. L'atto notarile informatico rappresenta infatti la forma ideata dal legislatore (d.lgs. n. 110/2010 - Disposizioni in materia di atto pubblico informatico redatto dal notaio, a norma dell'articolo 65 della legge 18.06.2009, n. 69), per produrre, perfezionare e conservare attraverso strumenti informatici un atto pubblico. Per l’atto pubblico, diversamente dalla scrittura autenticata fatta con metodi tradizionali o con strumenti di firma digitale, si pongono differenze nette.
In pratica le differenze principali sono le seguenti:
- l'atto pubblico deve essere redatto dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò abilitato; se non è stato scritto personalmente dal notaio o dal pubblico ufficiale, deve essere da lui letto alle parti, che devono essere tutte presenti contemporaneamente davanti al notaio; deve essere scritto in lingua italiana (eventualmente, con la traduzione in lingua straniera) ed essere sottoscritto dalle parti e dal notaio nello stesso momento; deve essere conservato (salvo casi eccezionali) nella raccolta degli atti del notaio o dal pubblico ufficiale.
- la scrittura privata può non essere redatta dal notaio o dal pubblico ufficiale, può non essere letta dal notaio o dal pubblico ufficiale alle parti e può essere autenticata anche da più pubblici ufficiali. Inoltre il notaio o il pubblico ufficiale non hanno l'obbligo di conservarla, ma possono rilasciarla in originale alle parti.
Va anche rammentato che mentre l'art. 2700 del c.c. attribuisce all'atto pubblico una efficacia probatoria “forte” circa la provenienza ed il contenuto della volontà delle parti, viceversa la scrittura privata autentica, ai sensi dell'art. 2702 del c.c., assicura fino a querela di falso l’efficacia probatoria dei soggetti da cui proviene la volontà negoziale ma non il contenuto di quella volontà.
Il codice dell'amministrazione digitale all’art. 20 dispone al comma 1-bis che “L’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando quanto disposto dall’ articolo 21". L’art. 21 dispone a sua volta che “Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche di cui all'articolo 20, comma 3, che garantiscano l'identificabilità dell'autore, l’integrità e l’immodificabilità del documento, ha l’efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile. L’utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria”.
In sostanza per la disciplina dell'atto pubblico notarile il legislatore è intervenuto ad hoc con il d.lgs. n. 110/2010 citato che dispone regole tecniche circa la formazione, perfezionamento e conservazione dell'atto.
Nel caso di specie l’AVCP sembra semplificare e creare una pericolosa commistione tra atto pubblico e scrittura autenticata digitalmente dal pubblico ufficiale.
Il sindaco ribadisce l'immediata rilevanza della questione sotto il profilo della legittimità degli atti posti in essere dalle stazioni appaltanti e degli effetti sulla spesa che la nullità degli atti produrrebbe sugli enti là dove i dubbi esposti venissero accertati in sede giurisdizionale e travolgessero l'azione degli enti.
In conclusione, si chiede se l’ente possa procedere alla sottoscrizione degli atti relativi agli appalti attraverso una delle quattro diverse alternative contemplate dall'art. 11, comma 13, del d.lgs. n.163/2006 come novellato dall'art. 6, comma 3, del d.l. n. 179/2012:
1. atto pubblico notarile informatico, dinanzi al notaio nelle forme ex d.lgs. n. 110/2010 “Disposizioni in materia di atto pubblico informatico redatto dal notaio, a norma dell'articolo 65 della legge 18.06.2009, n. 69”;
2. in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, ovvero secondo le ordinarie modalità di conclusione degli appalti di servizi e forniture che si perfezionano sul Mepa o sulla piattaforma digitale della Regione Lombardia, ovvero secondo le forme dell’atto pubblico informatico che saranno disciplinate dai regolamenti interni in analogia con quanto avvenuto per gli atti notarili;
3. in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice, ovvero secondo le forme tradizionali di perfezionamento degli atti;
4. scrittura privata autenticata.
...
I quesiti posti con il presente interpello ripercorrono quasi pedissequamente le tematiche interpretative svolte nella precedente deliberazione della Sezione n. 97/2013/PAR.
L’art. 6, comma 4, del D.L. 18.10.2012, n. 179, convertito nella legge 17.12.2012, n. 221 ha disposto che le norme di cui all’art. 6, comma 3, si applicano a partire dal primo gennaio 2013. Fra le disposizioni ivi richiamate è ricompresa la norma oggetto del presente parere, a tenore della quale, il legislatore, innovando la disciplina sulla forma dei contratti stipulati dalla pubblica amministrazione nell’ambito del codice degli appalti, ha modificato l’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, prescrivendo che: “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata”.
Si pone a confronto la previgente edizione della norma, che testualmente recitava: ”il contratto è stipulato mediante atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante”.
Preliminarmente, si osserva che la disciplina generale sulla forma dei contratti pubblici è contenuta nella legge di contabilità generale dello Stato (art. 16, 17 e 18 del R.D. 18.11.1923, n. 2440) tuttora vigente.
La legge di contabilità dello Stato prescrive il requisito della forma scritta ad substantiam per tutti i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, anche quando essa agisca iure privatorum; forma scritta declinata mediante i canoni della forma pubblica amministrativa (art. 16 R.D. 18.11.1923, n.2440), salve le ipotesi derogatorie tipizzate descritte all’art. 17 del R.D. citato, in cui è consentita l’adozione della scrittura privata e la conclusione a distanza a mezzo di corrispondenza.
Il rapporto fra le due disposizioni è regolato dal principio di specialità, atteso che la disposizione in tema di contabilità di Stato è applicabile ad ogni tipo contrattuale stipulato dalla Pubblica Amministrazione, mentre la disciplina prevista dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 è applicabile solo alla materia regolata dal Codice degli Appalti.
Sotto il profilo contenutistico si evidenzia, inoltre, che il novero delle forme ad substantiam previste dal citato art. 11, comma 13, ha una portata più ampia rispetto alla citata legge di contabilità, poiché promuove l’adozione di innovative forme di documentazione dell’attività contrattuale in cui è parte la Pubblica Amministrazione.
Tradizionalmente si osserva che la forma scritta ad substantiam garantisce la certezza nei rapporti giuridici a contenuto patrimoniale in cui è parte la Pubblica Amministrazione e si pone quale regime speciale sia rispetto al principio di libertà della forma previsto nel codice civile, salve le ipotesi espressamente previste di atti che devono essere redatti per atto pubblico o per scrittura privata sotto pena di nullità (art. 1350 c.c.), sia rispetto al principio generale di libertà della forma dell’atto amministrativo.
La recente riformulazione dell’art. 11, comma 13, del Codice degli Appalti sancisce la nullità testuale per carenza delle forme alternative ad substantiam. Accanto alla forma scritta, tipica della forma pubblica amministrativa e della scrittura privata, la legge prescrive la forma digitale per l’atto pubblico notarile (informatico), nonché la modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante.
In sintesi, la difformità testuale rispetto alla precedente formula legislativa si compendia nella:
1) previsione della nullità testuale per difetto delle forme ad substantiam indicate dalla norma;
2) superamento della tassatività della forma scritta cartacea, mediante la previsione di forme alternative ad substantiam;
3) attribuzione dell’aggettivo “informatico” all’atto pubblico notarile;
4) dequotazione della forma elettronica a “modalità elettronica” secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante.
Per quel che concerne il rapporto fra le varie forme ammissibili di contratto concluso dalla pubblica amministrazione, rientrante nella disciplina del Codice degli Appalti, la legge pone sul medesimo piano giuridico, in condizione di alternatività, le singole espressioni di forma ad substantiam.
La disposizione ha inteso adeguare alle moderne tecnologie l’utilizzo delle forme contrattuali in cui è trasfusa la volontà della pubblica amministrazione, aggiungendo, ma non sostituendo alle tradizionali forme scritte cartacee la forma pubblica elettronica e/o digitale, con l’avvertenza che qualora le norme vigenti per la singola stazione appaltante (regolamentari o di legge) prevedessero l’adozione della sola modalità elettronica, l’utilizzo di altra metodologia di documentazione, ancorché scritta o cartacea, in violazione delle norme speciali, sarebbe affetta da nullità assoluta.
In particolare, per quanto di presumibile interesse in capo all’amministrazione interpellante, si osserva che la modalità elettronica non limita né impedisce il ricorso alla forma pubblica amministrativa confezionata secondo l’adozione del modo tradizionale di perfezionamento degli atti, ovvero il documento cartaceo redatto con le prescrizioni imposte dalla legge a cura dell’Ufficiale rogante: in primo luogo, poiché il riferimento testuale chiarisce il rinvio alle classiche funzioni notarili del pubblico ufficiale alla luce dei principi di pubblica fede contenuti nell’art. 2699 c.c. e nella legge 16.02.1913, n. 89 (funzioni accertative e certificative parametrate al documento scritto in forma cartacea); in secondo luogo, perché le singole prescrizioni circa la forma adottabile sono poste sul medesimo piano, mediante segni d’interpunzione testuale (virgola) e separate con la congiunzione “o”; in terzo luogo, per la già menzionata modifica legislativa che ha mutato il testo dell’art. 11, comma 13, del Codice degli Appalti da “forma elettronica” a “modalità elettronica”; infine, poiché la disposizione si limita a richiamare la modalità elettronica tipizzata dalle norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, rinviando tendenzialmente a tutte le normative settoriali che prescrivono il ricorso al mercato elettronico (e-procurement) per l’acquisizione di beni o servizi da parte delle pubbliche amministrazioni.
Ciò posto, al fine di rispondere ai singoli quesiti prospettati dall’amministrazione, alla luce del dato testuale,
la Sezione si ritiene che:
a) la disciplina prevista dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 è speciale rispetto alla disciplina che regola la forma degli atti contenuta nella legge di contabilità pubblica.
b) la comminatoria di nullità prevista dalla norma è riferita a tutte le forme ad substantiam di stipulazione previste dalla citata disposizione;
c) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata (scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter absentes), in caso di trattativa privata, conservano piena validità le forme di stipulazione, previste dall'art. 17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è prevista anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163);
d) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo ancora validamente stipulabile il contratto in forma pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
e) l’adozione del rogito notarile condurrà invece all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile, alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione normativa.

Infine,
la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante …" riferita alla modalità elettronica della stipulazione dei contratti è da intendersi non come potere della singola stazione appaltante di autodeterminazione, ma come rinvio ad una normativa tecnica, di rango legislativo o regolamentare, di fonte statale (artt. 117, comma 2, lett. l, Cost.), che detti i precetti in modo uniforme sulla compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità elettronica (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 28.03.2013 n. 121).

LAVORI PUBBLICIL’art. 2, co. 1, dell’O.P.C.M. 3862/2010 precisa inoltre che, per l’attuazione degli interventi previsti, “ove non sia possibile l’utilizzazione delle strutture pubbliche”, è consentito affidare la progettazione anche a liberi professionisti esterni avvalendosi, “ove necessario”, delle deroghe previste dall’art. 3 dell’O.P.C.M. 3741/2009.
Alla luce del descritto quadro normativo, nell’intera procedura in esame (e quindi non solo con riferimento ad un eventuale incarico esterno di progettazione), è necessario pertanto non solo ottemperare al generale obbligo di motivazione degli atti ma anche fornire una “specifica motivazione” per potersi avvalere delle deroghe previste appositamente per lo stato di emergenza.
La possibilità di avvalersi delle deroghe previste è inoltre sottoposta a vari limiti e condizioni. In assenza di una specifica motivazione e in assenza delle condizioni stabilite, per gli interventi previsti dall’O.P.C.M. n. 3862/2010, non può che trovare spazio l’applicazione della normativa ordinaria.
Quindi, al generale obbligo, a pena di illegittimità, di enunciare l’iter logico-giuridico seguito dalla Amministrazione nella emanazione dell’atto, si affianca la necessità di fornire puntuali indicazioni in ordine alle ragioni che inducono la stessa Amministrazione procedente ad avvalersi delle deroghe previste dalla normativa di emergenza.
Anche con riferimento alla “specifica motivazione” richiesta per la deroga alla normativa ordinaria, l’Amministrazione è tenuta a procedere ad un adeguato bilanciamento dei vari interessi coinvolti di cui dovrà essere fornito puntuale riscontro nell’atto.
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Ai sensi della vigente normativa, il progetto definitivo e il progetto esecutivo di un’opera pubblica vengono redatti e approvati sulla base di un progetto preliminare.
Il legislatore assegna alla progettazione un ruolo centrale per l’esecuzione di un’opera pubblica. L’art. 93 del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che la progettazione dei lavori pubblici si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva, all’espresso fine di assicurare la qualità dell’opera e la rispondenza alle finalità relative, la conformità alle norme ambientali ed urbanistiche e il soddisfacimento dei requisiti essenziali definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario.
Una Amministrazione può procedere motivatamente alla adozione unitaria del progetto definitivo e del progetto esecutivo solo quando l’intervento concerne un’opera di relative dimensioni o di modesta complessità tecnica. La scelta del RUP di unificare più livelli progettuali deve essere sempre sorretta da una adeguata motivazione. Inoltre, ogni fase della attività di progettazione presuppone che sia esaurita la precedente in un contesto logico e temporale progressivamente ben cadenzato
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1. L’art. 1, co. 11, dell’O.P.C.M. n. 3862/2010 prevede che, per gli interventi previsti dalla stessa ordinanza, il Commissario delegato e i soggetti attuatori si avvalgono delle deroghe previste dall’art. 3 dell’O.P.C.M. n. 3741/2009 (riguardante lo stato di emergenza dichiarato con D.P.C.M. del 30.01.2009 in relazione agli eccezionali eventi avversi che hanno colpito il territorio della regione Calabria nel gennaio 2009).
L’art. 3 citato prevede, “ove ritenuto indispensabile e sulla base di specifica motivazione”, l’autorizzazione a derogare, “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico” e “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, numerosi articoli di legge, ivi compresi quelli previsti dal Codice dei contratti pubblici (articoli 90 e seguenti del D.Lgs. 163/2006) in materia di progettazione interna ed esterna, procedure di affidamento, corrispettivi ed incentivi per la progettazione e livelli della progettazione.
L’art. 2, co. 1, dell’O.P.C.M. 3862/2010 precisa inoltre che, per l’attuazione degli interventi previsti, “ove non sia possibile l’utilizzazione delle strutture pubbliche”, è consentito affidare la progettazione anche a liberi professionisti esterni avvalendosi, “ove necessario”, delle deroghe previste dall’art. 3 dell’O.P.C.M. 3741/2009.
Alla luce del descritto quadro normativo, nell’intera procedura in esame (e quindi non solo con riferimento ad un eventuale incarico esterno di progettazione), è necessario pertanto non solo ottemperare al generale obbligo di motivazione degli atti ma anche fornire una “specifica motivazione” per potersi avvalere delle deroghe previste appositamente per lo stato di emergenza.
La possibilità di avvalersi delle deroghe previste è inoltre sottoposta a vari limiti e condizioni. In assenza di una specifica motivazione e in assenza delle condizioni stabilite, per gli interventi previsti dall’O.P.C.M. n. 3862/2010, non può che trovare spazio l’applicazione della normativa ordinaria.
Quindi, al generale obbligo, a pena di illegittimità, di enunciare l’iter logico-giuridico seguito dalla Amministrazione nella emanazione dell’atto, si affianca la necessità di fornire puntuali indicazioni in ordine alle ragioni che inducono la stessa Amministrazione procedente ad avvalersi delle deroghe previste dalla normativa di emergenza.
Anche con riferimento alla “specifica motivazione” richiesta per la deroga alla normativa ordinaria, l’Amministrazione è tenuta a procedere ad un adeguato bilanciamento dei vari interessi coinvolti di cui dovrà essere fornito puntuale riscontro nell’atto.

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3. Con l’ordinanza in esame, il Commissario delegato provvede alla approvazione di un unico progetto “definitivo-esecutivo”. Tale progetto definitivo-esecutivo risulta già approvato dal Comune di Catanzaro (Soggetto attuatore) con deliberazione del Commissario straordinario n. 46 del 28.12.2012.
In tale deliberazione comunale la fusione della progettazione definitiva con la progettazione esecutiva viene motivata con “il ritardo accumulato” e “la necessità di eseguire i lavori previsti nel progetto medesimo che risultano essere urgenti ed indifferibili”. Non vengono però fornite motivazioni (né nella ordinanza in esame, né nella deliberazione comunale indicata) in ordine alle responsabilità per il cospicuo ritardo accumulato, responsabilità particolarmente gravi tenendo conto che si tratta (come in varie occasioni attestato sia dal soggetto attuatore che dal Commissario delegato) di lavori “urgenti ed indifferibili” e che, al momento della approvazione della progettazione con la deliberazione comunale indicata (n. 46/2012), sono trascorsi quasi tre anni dagli eventi atmosferici che hanno originato lo stato di emergenza alla base dei lavori stessi.
Ai sensi della vigente normativa, il progetto definitivo e il progetto esecutivo di un’opera pubblica vengono redatti e approvati sulla base di un progetto preliminare. Il progetto preliminare dell’opera, approvato dal Comune di Catanzaro con delibera del Commissario straordinario n. 89 dell'08.03.2012 (atto non trasmesso), non risulta mai approvato dal Commissario delegato e non risulta mai sottoposto al controllo preventivo di legittimità di questa Sezione regionale di controllo ai sensi della legge 10/2011. In sostanza quindi, il progetto definitivo-esecutivo de quo risulta approvato dal Commissario delegato senza aver previamente approvato il relativo progetto preliminare e comunque sulla base di un progetto preliminare inefficace.
Il progetto definitivo-esecutivo approvato con l’ordinanza in esame inoltre non risulta trasmesso a questa Sezione. Non risultano infine acquisiti o comunque considerati nella motivazione dell’atto in esame i pareri richiesti a Regione Calabria, Provincia di Catanzaro e Autorità di Bacino per quanto di rispettiva competenza.
Il legislatore assegna alla progettazione un ruolo centrale per l’esecuzione di un’opera pubblica. L’art. 93 del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che la progettazione dei lavori pubblici si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva, all’espresso fine di assicurare la qualità dell’opera e la rispondenza alle finalità relative, la conformità alle norme ambientali ed urbanistiche e il soddisfacimento dei requisiti essenziali definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario.
Secondo un costante orientamento interpretativo (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, 10.09.2011, n. 5502; A.V.C.P., deliberazione n. 109 del 05.04.2007),
una Amministrazione può procedere motivatamente alla adozione unitaria del progetto definitivo e del progetto esecutivo solo quando l’intervento concerne un’opera di relative dimensioni o di modesta complessità tecnica. La scelta del RUP di unificare più livelli progettuali deve essere sempre sorretta da una adeguata motivazione (ex plurimis, A.V.C.P., deliberazione n. 62 del 22.06.2011). Inoltre, ogni fase della attività di progettazione presuppone che sia esaurita la precedente in un contesto logico e temporale progressivamente ben cadenzato (A.V.C.P., deliberazione n. 30 del 08.04.2009).
Come già riferito precedentemente, l’art. 1, co. 11, dell’O.P.C.M. n. 3862/2010 prevede che, per gli interventi previsti dalla stessa ordinanza, il Commissario delegato e i soggetti attuatori si avvalgono delle deroghe previste dall’art. 3 dell’O.P.C.M. n. 3741/2009. L’art. 3 citato prevede, “ove ritenuto indispensabile e sulla base di specifica motivazione”, l’autorizzazione a derogare, “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico” e “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, numerosi articoli di legge, ivi compresi quelli previsti dal Codice dei contratti pubblici (articoli 90 e seguenti del D.Lgs. 163/2006) in materia di progettazione interna ed esterna, procedure di affidamento, corrispettivi ed incentivi per la progettazione e livelli della progettazione. Tra gli articoli oggetto di deroga alle condizioni indicate vi è anche il citato art. 93 riguardante i livelli di progettazione.
Considerate le esplicite finalità perseguite dal legislatore nel prevedere tre livelli successivi di progettazione (art. 93 del D.Lgs. 163/2006), le motivazioni addotte dal Soggetto attuatore nella approvazione del progetto in argomento, l’assenza di “specifiche” motivazioni nell’atto di approvazione del progetto unitario del Commissario delegato e le citate condizioni previste dall’art. 3 dell’O.P.C.M. 3741/2009 per poter derogare alla ordinaria normativa, l’approvazione di un unico progetto definitivo-esecutivo non risulta conforme al vigente ordinamento.
Le motivazioni addotte dal Soggetto attuatore, evidentemente condivise anche dal Commissario delegato che ha proceduto alla menzionata approvazione congiunta, risultano basate praticamente sulla volontà di recuperare il tempo inutilmente e ingiustificatamente trascorso e quindi sulla volontà di sanare in qualche modo i gravi ritardi che, a prescindere dal contenuto e dai termini previsti dalla convenzione con i progettisti esterni (non trasmessa), si sono verificati nell’espletamento della procedura in argomento.
Manca qualsiasi motivazione di carattere tecnico volta ad avallare l’operato della Amministrazione procedente, motivazione questa particolarmente necessaria perché trattasi di progettazione non solo asseritamente complessa ed articolata ma riguardante un’opera pubblica, intrinsecamente di delicata progettazione ed esecuzione in quanto relativa ad uno stato di emergenza e funzionale alla tutela della incolumità pubblica. Nessuna motivazione inoltre è stata formulata per giustificare i gravissimi ritardi nell’espletamento della procedura in itinere la cui gravità è accentuata dal fatto che trattasi di opere finalizzate alla mitigazione e alla riduzione del rischio di frane e aventi, come più volte asserito sia dal Commissario delegato che dal Soggetto attuatore, le caratteristiche della urgenza, della necessità e della indifferibilità.
Quindi, a parte la chiara volontà di recuperare il tempo inutilmente perso, non è stata adeguatamente motivata la decisione del Commissario delegato di procedere alla approvazione congiunta del progetto definitivo ed esecutivo. Risulta necessario evidenziare nuovamente che,
nel caso specifico, l’approvazione della progettazione secondo successivi livelli di approfondimento tecnico (o, in alternativa, una sufficiente dimostrazione delle ragioni che hanno indotto alla approvazione unitaria) risultava ancora più necessaria in considerazione del fatto che, come dichiarato dallo stesso soggetto attuatore per giustificare l’incarico di progettazione a liberi professionisti esterni (determinazione del Comune di Catanzaro n. 7046 del 22.12.2010), la progettazione degli interventi di che trattasi è complessa ed articolata”.
Tenendo conto dell’asserito carattere complesso ed articolato della progettazione (e della rilevanza dell’opera relativa sotto il profilo della pubblica incolumità), non risultano inoltre adeguatamente comparate le contrapposte esigenze di accelerare la procedura in corso (essenzialmente a causa del ritardo accumulato) e di garantire le varie e rilevanti finalità espressamente previste dal legislatore (es. art. 93 del D.Lgs. 163/2006) nel richiedere tre distinti e successivi livelli progettuali. Anzi, la descritta particolare delicatezza dell’opera esige una motivazione ancora più accurata di quella normalmente richiesta, motivazione che non può, a maggior ragione in casi come quello in esame, limitarsi ad invocare esigenze di celerità o ridursi all’uso di semplici clausole di stile. Nel caso specifico non può inoltre essere invocata neanche la deroga prevista dall’art. 3 dell’O.P.C.M. 3741/2009 mancando, come riportato, una “specifica” motivazione.
A prescindere dalla sufficienza delle motivazioni addotte dalla Amministrazione controllata per giustificare l’approvazione congiunta del progetto definitivo ed esecutivo, l’atto in esame risulta inficiato altresì da due ulteriori elementi.
L’art. 2, co. 2, dell’O.P.C.M. 3862/2010 stabilisce che il Commissario delegato procede “alla approvazione dei progetti”. Il Commissario delegato, con l’ordinanza in esame,
ha proceduto alla approvazione del progetto definitivo-esecutivo in argomento senza aver proceduto alla previa approvazione del progetto preliminare. Nessun atto di approvazione del progetto preliminare è stato inoltre sottoposto al prescritto controllo preventivo di cui alla legge 10/2011 di questa Sezione.
Nessuna motivazione è stata fornita in merito alla mancata approvazione del progetto preliminare da parte del Commissario delegato: anche le asserite esigenze di urgenza ed indifferibilità e di recupero del ritardo accumulato sono state indicate con riferimento alla approvazione congiunta del progetto definitivo ed esecutivo e non con riferimento alla mancata approvazione del progetto preliminare di cui si ignora persino l’avvenuta acquisizione da parte del Commissario delegato a seguito della relativa approvazione da parte del Soggetto attuatore con deliberazione n. 89/2012 (peraltro non trasmessa a questa Sezione).
L’ordinanza in esame risulta inoltre illegittima per carenza motivazionale. Non risultano acquisiti o comunque considerati nella motivazione dell’atto in esame (e nella approvazione del progetto definitivo-esecutivo da parte del Soggetto attuatore) i pareri richiesti, dopo l’approvazione del progetto preliminare, dal Soggetto attuatore a Regione Calabria, Provincia di Catanzaro e Autorità di Bacino, per quanto di rispettiva competenza. Tali pareri, se esistenti, comunque non risultano trasmessi a questa Sezione (Corte dei Conti, Sez. controllo Calabria, deliberazione 28.03.2013 n. 16).

APPALTI: Nelle gare pubbliche la presentazione delle offerte va effettuata in scrupolosa osservanza del bando e della lettera d'invito e la stazione appaltante non può legittimamente disattendere le predette prescrizioni, non avendo alcuna discrezionalità al riguardo.
Pertanto, qualora il bando commini espressamente l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, la stazione appaltante è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione, senza alcuna possibilità di valutare la rilevanza dell'inadempimento, l'incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza l'Amministrazione si è autovincolata al momento dell'adozione del bando.
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L’impresa che non ha partecipato o è stata legittimamente esclusa dalla procedura di gara non ha la legittimazione ad impugnare il successivo provvedimento di aggiudicazione.
Infatti, anche l'eventuale interesse pratico alla rinnovazione della gara non dimostra la titolarità di una posizione giuridica fondante la legittimazione al ricorso, poiché tale aspettativa non si distingue da quella che potrebbe vantare qualsiasi operatore del settore, che aspiri a partecipare ad una futura selezione; la capacità di questo dato empirico di influire significativamente sulla legittimazione al ricorso risulta ulteriormente circoscritta quando l'interesse in questione non si collega in modo immediato ed evidente con un determinato bene della vita (la concreta probabilità di ottenere l'appalto), ma si atteggia come mera prospettiva della ripetizione del procedimento.

Come ha chiarito la giurisprudenza amministrativa, infatti, nelle gare pubbliche la presentazione delle offerte va effettuata in scrupolosa osservanza del bando e della lettera d'invito e la stazione appaltante non può legittimamente disattendere le predette prescrizioni, non avendo alcuna discrezionalità al riguardo; pertanto, qualora il bando commini espressamente l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, la stazione appaltante è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione, senza alcuna possibilità di valutare la rilevanza dell'inadempimento, l'incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza l'Amministrazione si è autovincolata al momento dell'adozione del bando (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 14.12.2011, n. 6546).
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Come è noto, infatti, il Consiglio di Stato, Ad. Plen., 07.04.2011, n. 4 ha specificato che l’impresa che non ha partecipato o è stata legittimamente esclusa dalla procedura di gara non ha la legittimazione ad impugnare il successivo provvedimento di aggiudicazione.
Infatti, anche l'eventuale interesse pratico alla rinnovazione della gara non dimostra la titolarità di una posizione giuridica fondante la legittimazione al ricorso, poiché tale aspettativa non si distingue da quella che potrebbe vantare qualsiasi operatore del settore, che aspiri a partecipare ad una futura selezione; la capacità di questo dato empirico di influire significativamente sulla legittimazione al ricorso risulta ulteriormente circoscritta quando l'interesse in questione non si collega in modo immediato ed evidente con un determinato bene della vita (la concreta probabilità di ottenere l'appalto), ma si atteggia come mera prospettiva della ripetizione del procedimento
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.03.2013 n. 1824 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Qualora il bando commini espressamente l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, la stazione appaltante è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione.
Nelle gare pubbliche la presentazione delle offerte va effettuata in scrupolosa osservanza del bando e della lettera d'invito e la stazione appaltante non può legittimamente disattendere le predette prescrizioni, non avendo alcuna discrezionalità al riguardo; pertanto, qualora il bando commini espressamente l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, la stazione appaltante è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione, senza alcuna possibilità di valutare la rilevanza dell'inadempimento, l'incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza l'Amministrazione si è autovincolata al momento dell'adozione del bando.
Pertanto, nel caso di specie, a fronte della chiara formulazione della prescrizione di gara, l'omissione delle dichiarazioni tassativamente previste comportava, per il concorrente privo dei requisiti di partecipazione richiesti, l'esito inevitabile dell'esclusione dalla gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.03.2013 n. 1824 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Circa la sussistenza di un obbligo giuridico di verbalizzazione delle modalità di conservazione e di custodia delle buste contenenti le offerte, ha visto la giurisprudenza amministrativa apparentemente dividersi su due differenti orientamenti.
Secondo un primo indirizzo, più rigoroso, seguito dalla sentenza del TAR qui impugnata, l’omessa menzione nei verbali di gara delle specifiche cautele adottate a tutela dell’integrità e della conservazione delle buste contenenti le offerte determina, di per sé, l’illegittimità delle operazioni di gara, a prescindere dalla mancata dimostrazione dell’effettiva manomissione delle buste e del loro contenuto.
In base ad un secondo indirizzo, più attento agli effetti sostanziali di tale omessa verbalizzazione, tale omissione non costituisce di per sé motivo dì illegittimità dell’attività svolta dalla Commissione a meno che non vengano addotti elementi concreti e specifici tali da far ritenere probabile o quanto meno possibile la sostituzione delle buste, la manomissione delle offerte o altro fatto rilevante ai fini della regolarità della procedura.
Come ha, tuttavia, ben messo in luce la parte appellante, tale contrasto giurisprudenziale risulta apprezzabile soltanto sul piano della mera ricognizione dei principi risultanti dalle massime delle relative pronunce, poiché ad un esame approfondito, che tenga conto della situazione di fatto concreta e peculiare che ha caratterizzato le diverse controversie oggetto di sindacato giudiziale, per tale specifico aspetto risulta evidente che nella assoluta prevalenza delle statuizioni giudiziarie la fattispecie concreta presentava comunque degli aspetti peculiari tali da poter destare un ragionevole sospetto circa un’avvenuta manomissione dei documenti di gara o, comunque, il rischio concreto che tale manomissione potesse avvenire.
In altre parole, soltanto nella considerazione, molto spesso non esplicitata nell’ambito della massima delle relative pronunce, dell’esistenza di eventi anomali o anormali rispetto alla regolarità della procedura che rendano particolarmente avvertite le esigenze di integrità e segretezza delle offerte, la giurisprudenza più rigorista e formalista ha richiesto in astratto e senza bisogno di dimostrazioni specifiche, la sussistenza di una verbalizzazione puntuale circa l’adozione delle cautele impiegate dall’Amministrazione o dalla commissione per la custodia dei plichi.
Come ha, infatti, chiarito recentemente questo Consiglio, la pubblica amministrazione (P.A.) nelle gare di appalto ha la piena disponibilità e l’integrale responsabilità della conservazione degli atti di gara, cui in corso del procedimento l’interessato non può subito accedere, giusto quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, D.lgs. n. 163/2006, spettando alla P.A. stessa, ma solo a fronte di una seria e non emulativa allegazione presuntiva dell’interessato circa l’effetto di non genuinità degli atti stessi e fermo il diritto d’accesso, di dare idonea contezza dell’efficacia dei metodi di custodia in concreto adoperati, a tal fine dimostrandola non solo con il verbale (che di per sé ha fede privilegiata), ma pure con ogni idoneo mezzo di prova.
Le anomalie che, pertanto, devono essere quantomeno allegate per dimostrare l’interesse non emulativo alla custodia dei plichi possono riassumersi (quasi tipizzarsi): nell’eccessiva durata delle operazioni di gara; ovvero nell’inversione dell’ordine di valutazione tra offerta tecnica ed economica; ovvero nella sottrazione di un documento di gara ad opera di ignoti o per la presenza di circostanziati elementi indiziari e sintomatici di una possibile manomissione dei documenti di gara.
Pertanto, in presenza del generale obbligo di custodia dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione appaltante, è da presumere che lo stesso sia stato assolto con l’adozione delle ordinarie.

Rileva il Collegio che la questione centrale proposta nell’atto d’appello, ovvero la sussistenza di un obbligo giuridico di verbalizzazione delle modalità di conservazione e di custodia delle buste contenenti le offerte, ha visto la giurisprudenza amministrativa apparentemente dividersi su due differenti orientamenti.
Secondo un primo indirizzo, più rigoroso, seguito dalla sentenza del TAR qui impugnata, l’omessa menzione nei verbali di gara delle specifiche cautele adottate a tutela dell’integrità e della conservazione delle buste contenenti le offerte determina, di per sé, l’illegittimità delle operazioni di gara, a prescindere dalla mancata dimostrazione dell’effettiva manomissione delle buste e del loro contenuto (cfr., ad es., Consiglio di Stato, Sez. V, 28.03.2012, n. 1862).
In base ad un secondo indirizzo, più attento agli effetti sostanziali di tale omessa verbalizzazione, tale omissione non costituisce di per sé motivo dì illegittimità dell’attività svolta dalla Commissione a meno che non vengano addotti elementi concreti e specifici tali da far ritenere probabile o quanto meno possibile la sostituzione delle buste, la manomissione delle offerte o altro fatto rilevante ai fini della regolarità della procedura (cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, 18.10.2011, n. 5579 e, più di recente, Consiglio di Stato, Sez. III, 14.01.2013, n. 145).
Come ha, tuttavia, ben messo in luce la parte appellante, tale contrasto giurisprudenziale risulta apprezzabile soltanto sul piano della mera ricognizione dei principi risultanti dalle massime delle relative pronunce, poiché ad un esame approfondito, che tenga conto della situazione di fatto concreta e peculiare che ha caratterizzato le diverse controversie oggetto di sindacato giudiziale, per tale specifico aspetto risulta evidente che nella assoluta prevalenza delle statuizioni giudiziarie la fattispecie concreta presentava comunque degli aspetti peculiari tali da poter destare un ragionevole sospetto circa un’avvenuta manomissione dei documenti di gara o, comunque, il rischio concreto che tale manomissione potesse avvenire.
In altre parole, soltanto nella considerazione, molto spesso non esplicitata nell’ambito della massima delle relative pronunce, dell’esistenza di eventi anomali o anormali rispetto alla regolarità della procedura che rendano particolarmente avvertite le esigenze di integrità e segretezza delle offerte, la giurisprudenza più rigorista e formalista ha richiesto in astratto e senza bisogno di dimostrazioni specifiche, la sussistenza di una verbalizzazione puntuale circa l’adozione delle cautele impiegate dall’Amministrazione o dalla commissione per la custodia dei plichi.
Come ha, infatti, chiarito recentemente questo Consiglio (Consiglio di Stato, Sez. III, 05.02.2013, n. 688), la pubblica amministrazione (P.A.) nelle gare di appalto ha la piena disponibilità e l’integrale responsabilità della conservazione degli atti di gara, cui in corso del procedimento l’interessato non può subito accedere, giusto quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, D.lgs. n. 163/2006, spettando alla P.A. stessa, ma solo a fronte di una seria e non emulativa allegazione presuntiva dell’interessato circa l’effetto di non genuinità degli atti stessi e fermo il diritto d’accesso, di dare idonea contezza dell’efficacia dei metodi di custodia in concreto adoperati, a tal fine dimostrandola non solo con il verbale (che di per sé ha fede privilegiata), ma pure con ogni idoneo mezzo di prova.
Le anomalie che, pertanto, devono essere quantomeno allegate per dimostrare l’interesse non emulativo alla custodia dei plichi possono riassumersi (quasi tipizzarsi): nell’eccessiva durata delle operazioni di gara (è proprio il caso che la sentenza di questo Consiglio, Sez. V, n. 1617/2011, invocata dal TAR a sostegno della decisione qui impugnata, ha affrontato in relazione ad un’attività valutativa che, nel suo complesso, si è protratta per oltre 17 mesi); ovvero nell’inversione dell’ordine di valutazione tra offerta tecnica ed economica (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1862/2012); ovvero nella sottrazione di un documento di gara ad opera di ignoti o per la presenza di circostanziati elementi indiziari e sintomatici di una possibile manomissione dei documenti di gara (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4487/2011).
Pertanto, in presenza del generale obbligo di custodia dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione appaltante, è da presumere che lo stesso sia stato assolto con l’adozione delle ordinarie garanzie di conservazione degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei relativi plichi.
In tal caso, la generica doglianza, secondo cui le buste contenenti le offerte non sarebbero state adeguatamente custodite, è irrilevante allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto, quali in generale anomalie nell’andamento della gara ovvero specifiche circostanze atte a far ritenere che si possa essere verificata la sottrazione o la sostituzione dei medesimi plichi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante al fini della regolarità della procedura (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.03.2013 n. 1815 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'obbligo di custodia dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione appaltante.
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Sulla funzione del giudizio di anomalia dell'offerta.

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In presenza del generale obbligo di custodia dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione appaltante, è da presumere che lo stesso sia stato assolto con l'adozione delle ordinarie garanzie di conservazione degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei relativi plichi.
In tal caso, la generica doglianza, secondo cui le buste contenenti le offerte non sarebbero state adeguatamente custodite, è irrilevante allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto, quali in generale anomalie nell'andamento della gara ovvero specifiche circostanze atte a far ritenere che si possa essere verificata la sottrazione o la sostituzione dei medesimi plichi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante al fini della regolarità della procedura.
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I singoli prezzi sottoposti a verifica di anomalia non devono essere considerati isolatamente ma alla luce della loro incidenza sull'offerta globale; infatti, la funzione del giudizio di anomalia dell'offerta è quella di garantire un equilibrio tra la convenienza della P.A. ad affidare l'appalto al prezzo più basso e l'esigenza di evitarne l'esecuzione con un ribasso che si attesti al di là del ragionevole limite dettato dalle leggi di mercato, giacché il sub-procedimento di verifica dell'anomalia non tende a selezionare l'offerta che è più conveniente per la stazione appaltante; la ratio cui è preordinato l'indicato meccanismo di controllo consiste, invece, nell'assicurare la piena affidabilità della proposta contrattuale.
Di conseguenza un'offerta non può essere considerata anomala solo perché determinate voci di prezzo si discostano da quelle di mercato, ma occorre invece che gli scostamenti rendano l'offerta nel suo complesso inaffidabile, e dunque inidonea a garantire la serietà dell'esecuzione del contratto.
Ciò implica la necessità di valutare l'incidenza di ciascuna voce di cui si compone l'offerta sull'offerta globalmente intesa al fine di valutare se il rispettivo carattere anormalmente basso si traduca nell'inattendibilità e mancanza di serietà dell'intera offerta o se i singoli elementi di costo eventualmente affetti da anomalia possano essere compensati da economie, ravvisabili negli altri elementi e/o nella complessiva offerta, idonee a controbilanciare le voci ritenute deficitarie (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.03.2013 n. 1815 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIRiscossione. La gara può imporre parametri ad hoc. Sì ai requisiti aggiuntivi per le attività di supporto.
È possibile richiedere requisiti specifici per affidare le attività di supporto alla riscossione dei tributi.

Lo ha chiarito il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 27.03.2013 n. 1761.
La controversia riguardava la gara europea bandita dalla regione Veneto per l'affidamento dei servizi amministrativi a supporto della gestione della tassa automobilistica (avvisi di pagamento, call center, rendicontazione e archiviazione).
Tra le condizioni di accesso alla gara venivano richiesti, a pena d'esclusione, i seguenti requisiti: 1) certificazione di qualità; 2) apposito applicativo web; 3) svolgimento dei servizi nel centro storico di Venezia; 4) fatturato di 15 milioni di euro nell'ultimo triennio. Requisiti ritenuti troppo restrittivi dal Tar Veneto in quanto «sproporzionati e illogici»; di qui l'annullamento del bando di gara nella sua interezza.
La Regione Veneto però ha proposto ricorso al Consiglio di Stato, che ha ribaltato l'esito del giudizio di primo grado ritenendo invece legittime le prescrizioni.
Sulla certificazione di qualità, il contratto affida all'appaltatore delicati compiti di partecipazione all'esercizio dei poteri pubblicistici, quindi è senz'altro ragionevole individuare una soglia minima di affidabilità professionale.
È stata inoltre respinta la censura sulla sproporzionalità della clausola del bando che prevede un apposito applicativo web, non essendo dimostrata la sua inutilità. Sul luogo di svolgimento dei servizi nel centro storico di Venezia, i giudici evidenziano che le prestazioni devono essere fornite alla Regione Veneto, per cui è ragionevole la pretesa ad avere una prossimità fisica con l'appaltatore. Infine, in merito alla prescrizione sul fatturato di 15 milioni di euro nell'ultimo triennio, si tratta di un importo proporzionato al valore del contratto, non inferiore a 24 milioni di euro (senza considerare l'eventuale proroga e i servizi complementari).
Viene così confermato l'orientamento favorevole all'introduzione nei bandi di gara di requisiti più rigorosi di quelli richiesti per legge (si vedano le decisioni n. 3809/2011 e n. 4889/2012 del Consiglio di Stato), indirizzo ora esteso anche all'affidamento di attività di supporto alla riscossione dei tributi.
Andrebbe tuttavia definito per via legislativa il perimetro delle attività riservate, chiarendo se l'iscrizione all'albo ministeriale sia necessaria anche per svolgere attività complementari ed accessorie, questione spesso foriera di contenzioso e sulla quale la giurisprudenza si mostra piuttosto oscillante.
Peraltro il contrasto non riguarda solo il Consiglio di Stato (decisioni 2792/2003 e 1878/2006) ma anche la giurisprudenza più recente di primo grado, tra cui il Tar Torino con le sentenze 1335-1336/2011 e l'ordinanza 427/2012: quest'ultima afferma che per le attività di supporto è necessaria l'iscrizione all'albo nazionale (articolo Il Sole 24 Ore del 22.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIIn caso di società costituita da due soli soci, ciascuno detentore del 50 per cento del capitale sociale, l'obbligo della dichiarazione di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 grava su entrambi i soci, posto che ciascuno dei due soci è in grado di esercitare un potere determinante sulle scelte della società e che, di conseguenza, sarebbe elusivo dello scopo della citata norma esentare dalle dichiarazioni richieste l'uno dei due soci soltanto perché non titolare della rappresentanza legale della stessa.
Scopo della norma è quello di assicurare che in capo a soggetti suscettibili, in ragione della loro quota sociale, di esercitare un determinante potere di direzione o comunque di influenza sulle scelte strategiche e sulla gestione di una società con scarso numero di soci, non pendano né i procedimenti, né vi siano state condanne ovvero non risultino le circostanze di cui alle lettere b), c) ed m-ter) del citato art. 38.
E, come correttamente indicato dall'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici nella determinazione n. 1 del 2012 e nei pareri n. 58 e n. 70 del 2012, due soci al 50% già “sono, ciascuno per suo conto, espressione di una convergente potestà dominicale e direzionale della società”: sicché ricadono nelle ragioni della previsione normativa; ciò in quanto nella gestione della società ciascun socio paritario, per quanto non sia di maggioranza assoluta, ha comunque il potere di impedire l'approvazione di scelte che non condivide, poiché l'altro socio non può imporle autonomamente, con l'effetto di condizionare in modo determinante la direzione della società sia in negativo, impedendo scelte non concordate, che in positivo permettendo soltanto quelle su cui consente.
Conferma se ne rinviene, per le società a responsabilità limitata, dalla lettura dell'art. 2479-bis c.c., nel cui terzo comma sono fissati i quorum costitutivi e deliberativi dell'assemblea, in ogni caso non superiori alla "metà del capitale sociale": ne consegue che il titolare di una tale porzione del capitale sociale è già in grado di assumere poteri strategici diretti e poteri di condizionamento indiretto sulle scelte di gestione della società, e non soltanto di carattere negativo.

Nel merito, giova premettere che –in tema di dichiarazioni che le imprese devono rendere sui requisiti di ordine generale, ai sensi dell’art. 38 del codice dei contratti– il decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011, allo scopo di garantire un più efficace sistema di controllo sull’idoneità morale degli operatori economici, ha reso più severa la relativa disciplina, prevedendo (per quello che qui rileva) che le società di capitali aventi meno di quattro soci sono tenute a dichiarare, in sede di domanda di partecipazione alle gare, l’inesistenza di condanne o di misure di prevenzione nei confronti del proprio “socio di maggioranza”.
Il problema interpretativo che ne è derivato è se quest’ultima espressione possa ricomprendere anche il caso di partecipazione paritaria al capitale sociale, con particolare riferimento alla società composta da due soli soci entrambi al 50% del capitale.
Si sono registrate, sul punto, interpretazioni giurisprudenziali non univoche, talune nel senso che entrambi i soci al 50% vanno considerati, ai fini della norma, come se fossero “di maggioranza” (cfr., ad es., TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 2705 del 2011; Cons. Stato, sez. V, n. 4654 del 2012), altre nel senso opposto (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, n. 1624 del 2012). Da ultimo, è tornata sulla questione la sezione VI del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 513 del 2013 (di riforma della citata decisione del TAR Campania, n. 1624 del 2012), con la quale è stato tracciato un significativo (e del tutto condivisibile) arresto sul tema che occupa.
Ivi il Giudice di appello è giunto alla conclusione che, in caso di società costituita da due soli soci, ciascuno detentore del 50 per cento del capitale sociale, l'obbligo della dichiarazione di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 grava su entrambi i soci, posto che ciascuno dei due soci è in grado di esercitare un potere determinante sulle scelte della società e che, di conseguenza, sarebbe elusivo dello scopo della citata norma esentare dalle dichiarazioni richieste l'uno dei due soci soltanto perché non titolare della rappresentanza legale della stessa.
Scopo della norma –si è infatti argomentato– è quello di assicurare che in capo a soggetti suscettibili, in ragione della loro quota sociale, di esercitare un determinante potere di direzione o comunque di influenza sulle scelte strategiche e sulla gestione di una società con scarso numero di soci, non pendano né i procedimenti, né vi siano state condanne ovvero non risultino le circostanze di cui alle lettere b), c) ed m-ter) del citato art. 38.
E, come correttamente indicato dall'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici nella determinazione n. 1 del 2012 e nei pareri n. 58 e n. 70 del 2012, due soci al 50% già “sono, ciascuno per suo conto, espressione di una convergente potestà dominicale e direzionale della società”: sicché ricadono nelle ragioni della previsione normativa; ciò in quanto nella gestione della società ciascun socio paritario, per quanto non sia di maggioranza assoluta, ha comunque il potere di impedire l'approvazione di scelte che non condivide, poiché l'altro socio non può imporle autonomamente, con l'effetto di condizionare in modo determinante la direzione della società sia in negativo, impedendo scelte non concordate, che in positivo permettendo soltanto quelle su cui consente.
Conferma se ne rinviene, per le società a responsabilità limitata (come l’odierna controinteressata), dalla lettura dell'art. 2479-bis c.c., nel cui terzo comma sono fissati i quorum costitutivi e deliberativi dell'assemblea, in ogni caso non superiori alla "metà del capitale sociale": ne consegue che il titolare di una tale porzione del capitale sociale è già in grado di assumere poteri strategici diretti e poteri di condizionamento indiretto sulle scelte di gestione della società, e non soltanto di carattere negativo (così Cons. Stato, sez. VI, n. 513 del 2013, cit.).
Con riferimento alla fattispecie in esame, quindi, la società controinteressata (composta da due soli soci, ciascuno al 50% del capitale sociale) avrebbe dovuto rendere le dichiarazioni di cui all’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 con riferimento ad entrambi i soci, in quanto entrambi da considerarsi “di maggioranza” ai sensi (e secondo la ratio) della richiamata disposizione.
Le dichiarazioni sono invece state rese con riferimento ad uno solo dei sue soci “di maggioranza” (quello che ne assumeva anche la carica di amministratore), con ciò perpetrandosi una violazione di legge ridondante in illegittimità della successiva ammissione/partecipazione alla gara, per effetto della mancata esclusione della società.
Né ciò appare in contrasto con la previsione della tipizzazione delle cause di esclusione, introdotta dal medesimo decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011, in quanto (come ulteriormente precisato dalla ricordata decisione n. 513 del 2013 del Consiglio di Stato) si tratta di una causa di esclusione da ritenere essenziale ai fini della salvaguardia sostanziale delle garanzie di affidabilità dei contraenti stabilite dall'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 e, perciò, ragione di esclusione conseguente al “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice” (art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006).
Il motivo di doglianza sollevato dalla ricorrente è, pertanto, fondato, con conseguente annullamento del provvedimento di ammissione in gara della ditta “Dedalo Costruzioni” s.r.l. (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 27.03.2013 n. 399 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIL’art. 1 del d.l. 95/2012 ha previsto la nullità, nonché la rilevanza ai fini dell’illecito disciplinare e della responsabilità ammin.va, dei contratti stipulati dalle PA in violazione dell'art. 26, c. 3, della L. 23.12.1999, n. 488, o stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione dalla CONSIP. L’istituto trova disciplina nell’art. 328 del d.p.r. 05.10.2010, n. 207 che abroga il d.p.r. 04.04.2002, n. 101.
L’art. 328, c. 4, lett. b), del Regolamento cod. app., prevede la possibilità di acquistare beni e servizi sotto la “soglia comunitaria” ricorrendo anche alle procedure di acquisto in economia, ex artt. 125 e ss. D.lgs. 163/2006, entro limiti di prezzo e quantità previsti da tali norme e nel rispetto degli autovincoli imposti dall’amministrazione medesima. La possibilità di ricorrere alla procedura ex art. 125 cod. contr. al di fuori di tali mercati residua solo nell’ipotesi di non reperibilità dei beni o servizi necessitati.
Il ricorso a un MEPA diverso da quello gestito direttamente dalla CONSIP appare una modalità alternativa di adempimento rispetto a un obbligo primario direttamente comminato dalla legge e troverà applicazione per le operazioni in tal senso concluse dagli EELL la nullità c.d. testuale o espressa comminata dal legislatore ai sensi dell’art. 1418, comma 3, c.c. (in tal senso sez. contr. Marche, deliberazione 29.11.2012 n. 169).
Trattasi infatti di interpretazione estensiva, e non già analogica, utilmente applicabile quindi anche con riguardo a fattispecie tendenzialmente tassative quali le norme comminatorie di nullità.

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Il comune di Cologno al Serio si interroga su quali siano, alla luce della normativa vigente, i limiti entro cui l’Amministrazione comunale possa procedere all'approvvigionamento di beni e servizi sul libero mercato, nel caso di reperimento di offerte economiche e/o qualitative più vantaggiose rispetto a quelle presenti nei cataloghi, o a seguito di pubblica consultazione, nell’ambito del mercato elettronico delle p.a. (MEPA).
Il comune istante richiede inoltre chiarimenti sulle conseguenze derivanti dalla violazione dell'art. 1, comma 450, della legge 27.12.2006, n. 296, come novellato dall'art. 7, comma 2, del decreto legge 07.05.2012, n. 52, convertito dalla legge 06.07.2012, n. 94 e dall'art. 1, comma 149, della legge 24.12.2012, n. 228, che prevede che "fermi restando gli obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure".
In particolare, è richiesto se la sanzione prevista dall’art. 1, comma 1, del d.l. 06.07.2012, n. 95, convertito nella l. 07.08.2012, n. 135 per la violazione degli obblighi previsti per il mancato ricorso agli strumenti di acquisto messi a disposizione dalla Concessionaria servizi informatici pubblici s.p.a. (CONSIP) sia riferibile anche al mercato elettronico di cui alla normativa illustrata; inoltre, si intende conoscere l’avviso della Sezione anche sull’applicabilità della deroga prevista dall'ultimo periodo del comma 1 di tale articolo, secondo cui “La disposizione del primo periodo del presente comma non si applica alle Amministrazioni dello Stato quando il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da CONSIP s.p.a., ed a condizione che tra l'amministrazione interessata e l'impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza.
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L’art. 1 del d.l. 95/2012 ha previsto la nullità, nonché la rilevanza ai fini dell’illecito disciplinare e della responsabilità amministrativa, dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in violazione dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488, ovvero di quelli stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione dalla CONSIP.
Per quanto concerne il MEPA, occorre rammentare che, giusta l’obbligo di ricorso come descritto, ai sensi dell’art. 1, comma 450, della l. 296/2006 per gli acquisti sotto la “soglia comunitaria” il ricorso ai mercati elettronici è stato reso obbligatorio:
i) a decorrere dal 01.07.2007, per le amministrazioni statali, centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie;
ii) a decorrere dal 09.05.2012, per le tutte le amministrazioni come definite ai sensi dell’art. 1, d.lgs 30.03.2001, n. 165, ivi compresi, conseguentemente, gli enti locali. Quest’ultimo obbligo e la sua decorrenza, in realtà, sono il frutto della recente novellazione della norma citata, effettuata dal d.l. 07.05.2012, n. 52 (art. 7, comma 2) convertito con modificazioni dalla l. 06.07.2012, n. 94.
L’istituto trova oggi una sua compiuta disciplina nell’art. 328 del d.p.r. 05.10.2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione e attuazione del codice dei contratti pubblici), che ha abrogato il previo d.p.r. 04.04.2002, n. 101, che aveva istituito il MEPA.
La norma ribadisce che il MEPA gestito dalla CONSIP; ovvero il mercato elettronico creato ad hoc dalla stazione appaltante; o quello realizzato da centrali di committenza ai sensi dell’art. 33 del codice dei contratti pubblici, consentono alle pubbliche amministrazioni di effettuare l’acquisto di beni o servizi che hanno caratteristiche generalmente disponibili sul mercato.
La costituzione del mercato elettronico passa attraverso bandi aperti, volti ad accertare i requisiti generali e speciali –in particolare i requisiti tecnico-professionali ed economico-finanziari– che i fornitori devono soddisfare per poter ottenere l’abilitazione; siffatto accertamento, attraverso tali bandi, viene effettuato su scala generale, risparmiando alle amministrazioni acquirenti l’onere di dover replicare simili procedure sostenendo i relativi costi.
Lo stesso art. 328, c. 4, lett. b), del Regolamento cod. app., prevede la possibilità di acquistare beni e servizi sotto la “soglia comunitaria” ricorrendo anche alle procedure di acquisto in economia, ex artt. 125 e ss. D.lgs. 163/2006, ovviamente entro i limiti di prezzo e quantità previsti da tali norme e nel rispetto degli autovincoli imposti dall’amministrazione medesima.
La possibilità residua di ricorrere alla procedura ex art. 125 cod. contr. al di fuori di tali mercati residua solo nell’ipotesi di non reperibilità dei beni o servizi necessitati; pertanto nella fase amministrativa di determinazione a contrarre, l’ente dovrà evidenziare le caratteristiche tecniche necessarie del bene e della prestazione; di avere effettuato il previo accertamento della insussistenza degli stessi sui mercati elettronici disponibili; e, ove necessario, la motivazione sulla non equipollenza con altri beni o servizi presenti sui mercati elettronici.
Peraltro,
non sussiste un obbligo assoluto di ricorso al MEPA, essendo espressamente prevista la facoltà di scelta tra le diverse tipologie di mercato elettronico richiamate dall’art. 328 del d.p.r. 207/2010: segnatamente, tra il mercato elettronico realizzato dalla medesima stazione appaltante e quello realizzato dalle centrali di committenza di riferimento di cui all’art. 33 cod. contr., potendo inoltre ricorrere al mercato elettronico elaborato dalla singola stazione appaltante (le opzioni percorribili sono confermate dall’art. 33, comma 3-bis, cod. contr.)
Ne deriva che, a ben vedere,
mentre il MEPA gestito dalla CONSIP rientra appieno tra gli “strumenti di acquisto messi a disposizione” dalla stessa, analoga tassonomia non può essere effettuata per i mercati elettronici curati da parte della singola stazione appaltante ovvero ad opera della centrale di committenza.
Tuttavia, a ben vedere,
il ricorso a un MEPA diverso da quello gestito direttamente dalla CONSIP appare una modalità alternativa di adempimento rispetto a un obbligo primario direttamente comminato dalla legge, con la conseguenza che troverà applicazione per le operazioni in tal senso concluse dagli enti locali la nullità c.d. testuale o espressa comminata dal legislatore ai sensi dell’art. 1418, comma 3, c.c. (in tal senso sez. contr. Marche, deliberazione 29.11.2012 n. 169).
Trattasi infatti di interpretazione estensiva, e non già analogica, utilmente applicabile quindi anche con riguardo a fattispecie tendenzialmente tassative quali le norme comminatorie di nullità.
Tale conclusione non appare contraddetta dall’ultimo periodo del comma 1, art. 1, che introduce una specifica “prova di resistenza” per le sole Amministrazioni dello Stato, determinando come conseguenza quella di impedire, per le sole amministrazioni locali (rispetto a cui l’obbligo di ricorso al MEPA gestito dalla CONSIP è indubbiamente più lasco) il beneficio della verifica del danno.
In effetti, come si ha avuto modo di cennare, per le Amministrazioni dello Stato detto beneficio compensa la circostanza che la disciplina degli obblighi di approvvigionamento sia maggiormente stringente.
Per le amministrazioni locali, invece, stante la possibilità di ricorso a diverse forme di reperimento sui vari MEPA, il legislatore ha limitato la possibilità di deroga e di conseguente ricerca sul libero mercato (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 26.03.2013 n. 112).

APPALTI: Norme applicabili in materia di durata della verifica di conformità.
Ai sensi dell'articolo 4, comma 6, del d.lgs. 231/2002 la verifica di conformità della prestazione ha una durata di 30 giorni; le parti possono concordare, prevedendolo espressamente e indicandolo nella documentazione di gara, un termine maggiore -purché non gravemente iniquo per il creditore ai sensi del successivo art. 7- che non può comunque essere superiore a quello indicato dal regolamento del codice dei contratti.
Il Comune rappresenta che i termini di durata della verifica di conformità delle prestazioni oggetto dei contratti, previsti rispettivamente dall'articolo 4, comma 6, d.lgs. 231/2002 e dagli articoli 313, 316, 325 del DPR 207/2010, paiono tra loro incompatibili.
L'Ente chiede, quindi, di conoscere come si debba procedere per individuare correttamente i suddetti termini di durata.
Si formulano al riguardo le seguenti considerazioni.
Il comma 6 dell'articolo 4 del d.lgs. 231/2002 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali), come sostituito dall'articolo 1, del d.lgs. n. 192/2012 recita: 'Quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto essa non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti e previsto nella documentazione di gara e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi dell'articolo 7. L'accordo deve essere provato per iscritto'. La citata norma è inserita in un provvedimento legislativo la cui finalità specifica è quella di rendere individuabile con certezza il momento entro il quale deve essere effettuato il pagamento, trascorso il quale opereranno le sanzioni previste per i ritardi di pagamento.
D'altro canto, i termini per il controllo volto ad accertare la conformità delle prestazioni oggetto del contratto risultano disciplinati dal d.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e dal relativo Regolamento di attuazione ed esecuzione (DPR 207/2010).
Il d.lgs. 163/2006 stabilisce all'art. 120, comma 1, che 'Per i contratti relativi a servizi e forniture il regolamento determina le modalità di verifica della conformità delle prestazioni eseguite a quelle pattuite, con criteri semplificati per quelli di importo inferiore alla soglia comunitaria.'.
A sua volta, il Regolamento prevede, con riguardo ai servizi e forniture, due distinte discipline di controllo della conformità, entrambe contenute nel Titolo IV, Parte IV e precisamente:
- la verifica di conformità di cui agli articoli 312 e seguenti;
- l'attestazione di regolare esecuzione di cui all'articolo 325.
La durata della verifica di conformità è disciplinata, in particolare, dagli articoli 313 (il quale prevede che la verifica di conformità debba iniziare entro 20 giorni dall'ultimazione della prestazione) e 316 (il quale prevede che la verifica debba essere conclusa entro il termine stabilito dal contratto e comunque non oltre 60 giorni dall'ultimazione dell'esecuzione delle prestazioni contrattuali).
L'attestazione di regolare esecuzione
[1] deve, invece, essere emessa entro 45 giorni dall'ultimazione dell'esecuzione, così come previsto dal citato articolo 325.
Le citate disposizioni, dunque, si occupano di individuare i termini massimi entro i quali deve essere contenuta la singola fase del procedimento di acquisizione di beni e servizi e, precisamente, la fase del controllo della prestazione ricevuta.
Con riferimento in generale alla contabilità ed al pagamento delle prestazioni relative a forniture e servizi, l'articolo 307, comma 2, del DPR 207/2010, operando un richiamo al d.lgs. 231/2002, statuisce espressamente che: '[...] Nel caso di ritardato pagamento resta fermo quanto previsto dal decreto legislativo 09.10.2002, n. 231.'.
L'articolo 4, comma 6, del d.lgs. 231/2002, nell'indicare un termine massimo di 30 giorni per la durata della verifica di conformità, lascia comunque all'accordo delle parti la possibilità di indicare per iscritto un diverso termine, purché previsto nella documentazione di gara e non gravemente iniquo per il creditore.
L'articolo 11, comma 2, del medesimo decreto legislativo prevede che: 'Sono fatte salve le vigenti disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore'. Tale norma consente quindi di individuare nelle summenzionate norme del regolamento i limiti massimi entro i quali le parti possono negoziare un termine differente rispetto a quello posto dall'art. 4, comma 6, del d.lgs. 231/2002 per le verifiche di conformità della prestazione. Infatti, qualora le parti concordassero un termine superiore anche a quello previsto dal regolamento, opererebbe la clausola di maggior favore per il creditore, di cui al citato art. 11, comma 2, riconducendo il predetto termine a quello previsto dal regolamento in argomento.
Le disposizioni dettate dal codice dei contratti e dal relativo regolamento nella materia in argomento, vanno interpretate alla luce delle disposizioni di cui al d.lgs. 231/2002, come modificato dal d.lgs. 192/2012, ritenendo prevalenti queste ultime, laddove le parti non abbiano espressamente pattuito un diverso termine, comunque non superiore a quello previsto dal regolamento.
A conferma di un tanto, con riferimento ad analoghe questioni afferenti ai lavori pubblici e concernenti i termini per l'emissione dei certificati di pagamento e per l'emissione del certificato di collaudo, si è espresso il Ministero dello Sviluppo Economico con la nota prot. 1293 del 23.01.2013
[2] nella quale, premettendo che le disposizioni dettate dal codice dei contratti pubblici e dal regolamento di attuazione già vigenti per il settore dei lavori pubblici, relative ai termini di pagamento delle rate di acconto e di saldo nonché alla misura degli interessi da corrispondere in caso di ritardato pagamento, devono essere interpretate e chiarite alla luce delle disposizioni del decreto legislativo 09.11.2012, n. 192, ritenendosi prevalenti queste ultime sulle disposizioni di settore confliggenti, tenendo conto anche dell'espressa clausola di salvezza di cui all'art. 11, comma 2, d.lgs. 231/2002, ha chiarito che:
'- il termine di quarantacinque giorni previsto dall'art. 143, co. 1, primo periodo, del regolamento per l'emissione del certificato di pagamento dalla maturazione del SAL, risulta non compatibile con la previsione del comma 6 dell'articolo 4 del d.lgs. n. 231/2002, che fissa in trenta giorni il termine per la verifica preordinata al pagamento; detto termine deve pertanto essere inteso come ridotto a trenta giorni, ove non sia previsto nella documentazione di gara -e pattuito espressamente nel contratto- un termine maggiore, ma comunque, in virtù del già richiamato art. 11, co. 2, d.lgs. n. 231 del 2002 che fa «salve le vigenti disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore» non superiore ai quarantacinque giorni;
- (omissis);
- il termine di sei mesi, elevabile fino ad un anno, di cui all'art. 141, co. 1, del codice dei contratti pubblici previsto per l'emissione del certificato di collaudo, nonché il termine di tre mesi di cui all'art. 141, co. 3, del medesimo codice, previsto per l'emissione del certificato di regolare esecuzione, risultano ancora applicabili, laddove siano espressamente concordati dalle parti e previsti nella documentazione di gara ai sensi dell'art. 4, co. 6 del d.lgs.231/2002
'.
Il medesimo percorso interpretativo potrebbe, pertanto, ritenersi corretto anche con riferimento all'odierno quesito con le seguenti conclusioni: la verifica di conformità della prestazione ha una durata di 30 giorni; le parti possono concordare, prevedendolo espressamente e indicandolo nella documentazione di gara, un termine superiore -purché non gravemente iniquo per il creditore
[3]- che non può comunque essere superiore a quello indicato dal regolamento del codice dei contratti.
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[1] Ai sensi dell'articolo 325, comma 1, del DPR 207/2010 'Qualora la stazione appaltante per le prestazioni contrattuali di importo inferiore alle soglie di cui all'articolo 28, comma 1, lettere a) e b), del codice, non ritenga necessario conferire l'incarico di verifica di conformità, si dà luogo ad una attestazione di regolare esecuzione emessa dal direttore dell'esecuzione e confermata dal responsabile del procedimento.'.
[2] Nella nota viene chiarito che la nuova disciplina dei ritardati pagamenti introdotta in attuazione della normativa comunitaria 7/2011/UE si applica ai contratti pubblici relativi a tutti i settori produttivi, inclusi i lavori, stipulati a decorrere dal 01.01.2013, ai sensi dell'art. 3, co. 1, del d.lgs n. 192 del 2012.
[3] Ai sensi del successivo articolo 7
(26.03.2013 - link a www.regione.fvg.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Decreto sulla segnaletica nei cantieri. Lavori in corso, sicurezza doc.
I lavoratori impegnati sulle strade dove scorre il traffico veicolare devono essere specificamente formati alla particolare mansione. Evidenti cautele dovranno poi essere osservate dal datore di lavoro in condizioni meteorologiche avverse.

Lo ha evidenziato il decreto interministeriale 04.03.2013 che fissa i criteri per l'apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare.
Il comunicato dell'avvenuta emanazione è stato pubblicato sulla G.U. n. 67 del 20.03.2013. In sostanza ai sensi del dlgs 81/2008, gli enti proprietari delle strade e le imprese appaltatrici, esecutrici o affidatarie, dovranno applicare nuovi criteri minimi di sicurezza per chi lavora in presenza di traffico veicolare.
Il provvedimento prevede che in caso di nebbia, precipitazioni nevose o, comunque, condizioni che limitano notevolmente la visibilità o le caratteristiche di aderenza della pavimentazione, non si potranno eseguire operazioni che comportano l'esposizione al traffico di operatori e di mezzi. Qualora tali condizioni meteorologiche avverse sopraggiungano, le attività dovranno essere immediatamente sospese, rimuovendo ogni sbarramento e segnalamento, salvo che si tratti di lavori di emergenza o indifferibili.
Per la regolamentazione del senso unico alternato o comunque per le fermate temporanee del traffico, i movieri dovranno essere avvicendati con altri operatori con una cadenza non superiore a 45 minuti. Sono imposte particolari misure di sicurezza per gli spostamenti sulla carreggiata a piedi oppure con i mezzi operativi.
Inoltre, il decreto prevede l'adozione di importanti cautele per l'installazione e la rimozione del cantiere, per l'entrata e l'uscita del personale dal cantiere e per la gestione delle situazioni emergenza, come per esempio i sinistri. I lavoratori adibiti all'installazione e alla rimozione della segnaletica di cantieri stradali in presenza di traffico o comunque addetti ad attività in presenza di traffico dovranno frequentare uno specifico corso di formazione e addestramento, con una prova di verifica finale, e, ogni quattro anni, un corso di aggiornamento (articolo ItaliaOggi del 26.03.2013).

APPALTI: Partecipazione a pubblica gara: difformità del modulo rispetto al bando, quali le conseguenze?
Domanda.
Nel caso in cui il partecipante ad una pubblica gara produca alla stazione appaltante la documentazione amministrativa prevista nel bando redigendola su appositi formulari prestampati dalla stessa ed allegati al disciplinare di gara, i quali risultino poi incompleti e irregolari, non per errori del compilatore, ma per discrasie tra le previsioni del bando ed i facsimile prestampati dall'Amministrazione stessa, la stazione appaltante deve disporre l'esclusione del concorrente per violazione della lex specialis e, quindi, per garantire il rispetto della par condicio e la stretta osservanza di esplicite prescrizioni di gara?
Risposta.

Il modulo, nel linguaggio corrente, è un foglio di carta prestampato, talora predisposto per la lettura ottica, che l'interessato distribuisce agli offerenti e che costoro devono compilare. In tal modo -e tale sembra essere l'utilità della eventuale prescrizione di un bando di gara che ne prescriva l'impiego- si costringono gli aspiranti a recarsi presso la committenza in un momento preciso -e non prima- per ritirare il modulo prima di formulare l'offerta, e si evitano possibili frodi.
In questi casi, la eventuale difformità del modulo rispetto alle prescrizioni del bando non può che essere imputabile alla stazione appaltante. Considerato che la predisposizione di un modulo per la domanda di partecipazione ad una gara d'appalto e la richiesta di compilare la domanda in modo conforme a detto modello ingenerano nel partecipante, oltre che un dovere, un affidamento, è onere della P.A. verificare che il modello sia predisposto in modo conforme e coerente con gli obblighi previsti dal bando, soprattutto quando le dichiarazioni contenute nel modello sono richieste a pena di esclusione (TAR Puglia-Lecce Sez. II, 08.06.2006, n. 3290).
Nell'ipotesi in cui il concorrente abbia compilato un modulo di domanda e di dichiarazione allegate al bando ed al disciplinare messi a disposizione della stazione appaltante, nei quali non era assunto l'obbligo, esplicitamente previsto nel bando, di costituire ATI in caso di aggiudicazione, ciò non può comportare la sua esclusione. Infatti, se una incongruenza vi è stata tra il bando ed il modulo questa non può che essere imputata alla Pubblica Amministrazione in base al principio di correttezza, buona fede, trasparenza e certezza dei rapporti.
Ne deriva che, se l'Amministrazione avesse escluso la concorrente sulla base di un proprio errore nella predisposizione dei moduli, che la ditta ha dovuto obbligatoriamente compilare, avrebbe posto in essere una condotta illegittima e senz'altro censurabile. Sul punto la Giurisprudenza Amministrativa ha chiarito che, in applicazione dei principi di favor partecipationis e di tutela dell'affidamento, non può procedersi all'esclusione di un'impresa nel caso in cui questa abbia compilato l'offerta in conformità al modulo all'uopo approntato dalla stazione appaltante (Cons. Stato sez. VI, 10.11.2004, n. 7278).
D'altro canto si osserva che la lex specialis della gara d'appalto risulta costituita, non solo, dalle espresse previsioni contenute nel bando di gara, nella lettera d'invito e nel capitolato, ma anche dal complesso normativo presupposto e richiamato da questi ultimi, oltre che dalle regole ermeneutiche che la stazione appaltante ha posto in essere nel momento antecedente la valutazione delle offerte. In sede di predisposizione del bando di gara, infatti, l'amministrazione può motivatamente integrare o sostituire le clausole contenute negli schemi di bandi-tipo nel caso di lacune nello schema o difformità rispetto alla normativa (TAR Puglia-Lecce, sez. II, 10.07.2007, n. 2716).
Differente è invece l'ipotesi in cui la stazione appaltante predispone uno schema, ovvero un facsimile del contenuto dell'offerta, che ogni concorrente deve ricopiare di sua iniziativa, completandolo con i dati a lui richiesti.
In tal caso, è ovvio che fra lo schema e l'offerta non vi sarà mai perfetta congruenza. Ne deriva che in caso di difformità tra la domanda presentata dal concorrente e le prescrizioni del bando può residuare, in concreto, una responsabilità del privato laddove le prescrizioni del bando fossero precise e puntuali e lo schema predisposto sia piuttosto generico, lasciando ampi margini di compilazione al partecipante.
Ancora diversa è l'ipotesi in cui il concorrente non si attenga allo schema predisposto dalla stazione appaltante, ma rediga una sua domanda di partecipazione, diversa dal fac-simile, sebbene conforme alle prescrizioni di bando.
Il TAR Lombardia-Brescia Sez. I Sent., 16.11.2007, n. 1263 ha ritenuto illegittima l'esclusione dalla gara disposta dalla stazione appaltante, perché la domanda di partecipazione era stata redatta non utilizzando lo schema allegato, ma su propria carta intestata che riproduceva il contenuto dello schema, ad esclusione dell'indicazione numerica dei punteggi attribuibili a ciascun elemento. Un'interpretazione estensiva, che assimilasse i due concetti di modulo e di schema, si risolverebbe nel restringere la partecipazione alle gare, e quindi non è sostenibile in base al principio generale di massima partecipazione.
Successivamente, questo principio di elaborazione giurisprudenziale è stato mutuato dall'art. 74, comma 3, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 -come modificato dall'art. 2 del D.Lgs. 31.07.2007, n. 113 e successivamente dall'art. 2, comma 1, lettera o), del D.Lgs. 11.09.2008, n. 152- che stabilisce che "Salvo che l'offerta del prezzo sia determinata mediante prezzi unitari, il mancato utilizzo di moduli predisposti dalle stazioni appaltanti per la presentazione delle offerte non costituisce causa di esclusione" (26.03.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: F. Grilli, Parere della Corte dei Conti Lombardia sui contratti elettronici della pubblica amministrazione - La Corte dei Conti della Lombardia con la deliberazione n. 97 del 18.03.2013 sembra sparigliare le carte (26.03.2013 - link a www.leggioggi.it).

APPALTI SERVIZI: Il Comune istante chiede, partitamente, di conoscere il motivato avviso della Sezione in ordine:
al se ed in che misura sia possibile per le acquisizioni di lavori, servizi e forniture in economia procedere in forma tradizionale facendo applicazione delle previsioni del Regolamento per le gestioni in economia adottato dall’Ente giusta la previsione di cui all’art. 125 del D.lgs. 163/2006 prescindendo, dunque, dal ricorso al mercato elettronico non sussistendo un preciso obbligo;
al se ed in che misura al Comune di Ussita, in quanto Ente con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, possa ritenersi inapplicabile, giusta la previsione di cui al già richiamato art. 26, comma 3, Legge 488/1999, la disposizione di cui all’art. 1, comma 1, D.L. 95/2012 ed il conseguente regime di responsabilità disciplinare ed amministrativa.
Tanto premesso in fatto si osserva.
Ritiene, invero, la Sezione che, le pur indubbie specificità delle acquisizioni in economia –soggette ad un peculiare statuto per ciò che attiene ambito oggettivo e sia per ciò che attiene i presupposti legittimanti– non valgano a superare le conclusioni già rese circa la latitudine applicativa dell’obbligo di ricorso al mercato elettronico.
Sotto tale profilo giova, peraltro, evidenziare come i principi di semplificazione e celerità, tipici delle procedure in economia, non subiscano un vulnus, ma ben si concilino con le finalità sottese agli strumenti di e-procurement (su cui amplius 169/PAR/2012 Sezione Marche) e con quelle di razionalizzazione e di contenimento perseguite dal legislatore con i Decreti Spending review 1 e 2.
Di qui, a parere del Collegio, la necessità di una rivisitazione delle procedure tradizionali -e degli eventuali strumenti regolamentari già in essere– alla stregua della normativa sopravvenuta e del pressoché generalizzato obbligo di ricorso al mercato elettronico per le acquisizioni di beni e servizi sotto soglia, pur laddove ricorrano le condizioni per la procedura c.d. in economia.
Di converso deve, peraltro, confermarsi che siffatto obbligo sia esigibile esclusivamente per beni e categorie merceologiche presenti sul mercato elettronico e perfettamente confacenti alle esigenze funzionali dell’Ente mentre procedure tradizionali ed autonome possono ritenersi consentite –ancorché in via residuale- laddove il bene e/o servizio non possa essere acquisito mediante i richiamati sistemi di e-procurement ovvero laddove, pur disponibile, si appalesi inidoneo rispetto alle necessità della amministrazione procedente
(cfr. deliberazione 169/PAR/2012 anche con riguardo all’obbligo di motivazione).
Ciò posto, venendo alla ulteriore questione prospettata dall’Ente richiedente con riguardo al connesso profilo delle responsabilità,
ritiene il Collegio che, atteso il tenore letterale del disposto di cui all’art. 1, comma 1, D.L. 95/2012, il dato demografico (Comuni con popolazione sino a 1.000 abitanti o sino a 5.000 se montani) rilevi, atteso il richiamo all’art. 26, comma 3, L. 488/1999, solo con riferimento alla prima ipotesi evocata dalla norma sanzionatoria e non già con riferimento alla seconda ipotesi ed alla pretesa violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti messi a disposizione di Consip Spa.
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Il Comune di Ussita con nota a firma del suo Sindaco ha formulato, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della L. 131/2003, una articolata richiesta di parere in ordine alla corretta interpretazione della novità normativa recata dal D.L. n. 52 del 07.05.2012 –convertito in L. n. 94 del 06.07.2012– in tema di acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia comunitaria con specifico riguardo alla fattispecie degli acquisti c.d. in economia.
Richiamate, in particolare,
• le motivazioni poste a fondamento della deliberazione n. 169 del 29.11.2012 resa da questa Sezione in ordine alla portata cogente del novellato art. 1, comma 450, della L. 296/2006 (L.F. 2007) a mente del quale “fermo restando gli obblighi di cui all’art. 449 della L. 296/2006, le altre amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 d.lgs. 165/2001 per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo art. 328 (del d.p.r. 327/2010);
• la ricostruzione invalsa presso alcuni Commentatori –cui l’Ente istante pare, peraltro, aderire– secondo la quale l’obbligatorietà del ricorso al mercato elettronico non potrebbe configurarsi rispetto agli affidamenti c.d. in economia rinvenendo gli stessi il loro referente normativo nell’art. 335 del d.p.r. 327/2010 cui l’art. 7 della L. 94/2012 non opera alcun rinvio;
• il disposto di cui all’art. 26, comma 3, della Legge 488/1999 che, in tema di acquisti centralizzati, esclude i Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e per i Comuni montani con popolazione fino a 5.000 abitanti dalla platea dei soggetti incisi dalla norma,
il Comune istante chiede, partitamente, di conoscere il motivato avviso della Sezione in ordine:
al se ed in che misura sia possibile per le acquisizioni di lavori, servizi e forniture in economia procedere in forma tradizionale facendo applicazione delle previsioni del Regolamento per le gestioni in economia adottato dall’Ente giusta la previsione di cui all’art. 125 del D.lgs. 163/2006 prescindendo, dunque, dal ricorso al mercato elettronico non sussistendo un preciso obbligo;
al se ed in che misura al Comune di Ussita, in quanto Ente con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, possa ritenersi inapplicabile, giusta la previsione di cui al già richiamato art. 26, comma 3, Legge 488/1999, la disposizione di cui all’art. 1, comma 1, D.L. 95/2012 ed il conseguente regime di responsabilità disciplinare ed amministrativa.
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L’esame delle questioni prospettate dall’Ente istante non può che prendere le mosse dal precedente parere reso dalla Sezione e dalle considerazioni svolte in ordine alla obbligatorietà per gli Enti locali di far ricorso -ai fini degli acquisti c.d. sotto soglia– al mercato elettronico previsto e disciplinato all’art. 328 d.p.r. 327/2010.
A tal riguardo giova, anzitutto, ribadire che vertendosi in tema di normativa vincolistica –asseritamente preordinata alla razionalizzazione ed al contenimento di uno specifico segmento di spesa– l’interpretazione della stessa deve essere condotta secondo rigorosi criteri ermeneutici con preclusione di inammissibili interventi additivi.
In questa prospettiva nell’evidenziare, ancora una volta, un indubbio problema di coordinamento della pluralità di norme –anche di diverso rango in ragione delle diverse fonti– che concorrono alla disciplina della specifica materia e, dunque, la opportunità di un intervento, se del caso normativo, che riconduca le stesse ad unità, deve rilevarsi come, valorizzando un’interpretazione letterale, non appaia configurabile un regime differenziato per le acquisizioni in economia ma come, anche per queste, debba farsi ricorso al mercato elettronico.
Nessun argomento, invero, appare desumersi né dal tenore letterale della disposizione né in via interpretativa in ordine alla intenzione del legislatore –pur intervenuto, di recente, sull’art. 1, comma 450, L.F. 2007 (cfr. art. 1, comma 149, lett. a – lett. b)– di introdurre, a fronte del predetto obbligo, una disciplina peculiare e, dunque, derogatoria per le acquisizioni in economia.
Sotto tale profilo, peraltro, la tesi prospettata dall’Ente richiedente non appare persuasiva laddove annette efficacia dirimente alla circostanza che il Regolamento di esecuzione ed attuazione del codice dei contratti dedichi alle acquisizioni di servizi e forniture sottosoglia ed in economia –pur accomunate sotto il medesimo titolo V– due distinti capi (rispettivamente il primo ed il secondo) ovvero al fatto che l’art. 7, comma 2, del D.L. 52/2012 faccia rinvio al mercato elettronico della p.a. e ad altri mercati istituiti ai sensi del medesimo art. 328 e non già all’art. 335 del d.p.r. 207/2010 che facultizza le stazioni appaltanti all’utilizzo del mercato elettronico per effettuare acquisti in economia.
Detti argomenti non si appalesano, invero, di particolare significatività per temperare la portata cogente del novellato art. 1, comma 450, L.F. 2007.
A parere del Collegio, il richiamo al citato art. 328 del Regolamento di attuazione rinvenibile in disposizioni relative alle acquisizioni di servizi in economia (cfr. art. 332 – 335 – 336) in uno alla previsione di cui al comma 4, lett. b), dello stesso art. 328 a mente del quale “avvalendosi del mercato elettronico le stazioni appaltanti possono effettuare acquisti di beni e servizi sotto soglia ……b) in applicazione delle procedure di acquisto in economia di cui al capo II”, militano, di contro per una ricostruzione unitaria dei due istituti – conformemente, peraltro, alle disposizioni del Codice dei contratti pubblici (cfr. artt. 121-125 sub Titolo II Contratti sotto soglia comunitaria).
Ritiene, invero, la Sezione che, le pur indubbie specificità delle acquisizioni in economia –soggette ad un peculiare statuto per ciò che attiene ambito oggettivo e sia per ciò che attiene i presupposti legittimanti– non valgano a superare le conclusioni già rese circa la latitudine applicativa dell’obbligo di ricorso al mercato elettronico.
Sotto tale profilo giova, peraltro, evidenziare come i principi di semplificazione e celerità, tipici delle procedure in economia, non subiscano un vulnus, ma ben si concilino con le finalità sottese agli strumenti di e-procurement (su cui amplius 169/PAR/2012 Sezione Marche) e con quelle di razionalizzazione e di contenimento perseguite dal legislatore con i Decreti Spending review 1 e 2.
Di qui, a parere del Collegio, la necessità di una rivisitazione delle procedure tradizionali -e degli eventuali strumenti regolamentari già in essere– alla stregua della normativa sopravvenuta e del pressoché generalizzato obbligo di ricorso al mercato elettronico per le acquisizioni di beni e servizi sotto soglia, pur laddove ricorrano le condizioni per la procedura c.d. in economia.
Di converso
deve, peraltro, confermarsi che siffatto obbligo sia esigibile esclusivamente per beni e categorie merceologiche presenti sul mercato elettronico e perfettamente confacenti alle esigenze funzionali dell’Ente mentre procedure tradizionali ed autonome possono ritenersi consentite –ancorché in via residuale- laddove il bene e/o servizio non possa essere acquisito mediante i richiamati sistemi di e-procurement ovvero laddove, pur disponibile, si appalesi inidoneo rispetto alle necessità della amministrazione procedente (cfr. deliberazione 169/PAR/2012 anche con riguardo all’obbligo di motivazione)
Ciò posto, venendo alla ulteriore questione prospettata dall’Ente richiedente con riguardo al connesso profilo delle responsabilità,
ritiene il Collegio che, atteso il tenore letterale del disposto di cui all’art. 1, comma 1, D.L. 95/2012, il dato demografico (Comuni con popolazione sino a 1.000 abitanti o sino a 5.000 se montani) rilevi, atteso il richiamo all’art. 26, comma 3, L. 488/1999, solo con riferimento alla prima ipotesi evocata dalla norma sanzionatoria e non già con riferimento alla seconda ipotesi ed alla pretesa violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti messi a disposizione di Consip Spa (Corte dei Conti, Sez. controllo Marche, parere 25.03.2013 n. 17).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: R. D'Isa, La risoluzione (25.03.2013 - tratto da http://renatodisa.com).

LAVORI PUBBLICI: A. Lamantia, Le riserve nelle opere pubbliche (25.03.2013 - link a www.appaltieriserve.it).

LAVORI PUBBLICI: Sponsor e sponsee.
Domanda
Contributo in forma di servizi per il restauro di un monumento, all'interno di un contratto con l'amministrazione locale che riprodurrà il marchio dell'azienda specializzata nella gestione del servizio: è inequivocabilmente configurabile come sponsorizzazione?
Risposta
Sì, la fattispecie descritta pare configurarsi in modo chiaro come sponsorizzazione.
Infatti, come chiarito all'articolo 120 del Codice dei beni culturali e del paesaggio «è sponsorizzazione di beni culturali ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per la progettazione o l'attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività del soggetto erogante».
Perciò l'amministrazione locale citata si configura come sponsee e l'azienda erogante il servizio, in cambio dell'associazione del marchio all'iniziativa, come sponsor (articolo ItaliaOggi Sette del 25.03.2013).

APPALTI: G. Gavelli e G. Valcarenghi, L’Agenzia delle entrate «alleggerisce» la solidarietà fiscale per appalti e subappalti (Corriere Tributario n. 12/2013 - tratto da www.ispoa.it).

APPALTI SERVIZI: I valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali costituiscono un parametro di valutazione della congruità dell'offerta.
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Sulla rateizzazione dei debiti tributari.

I valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali non costituiscono un limite inderogabile, ma semplicemente un parametro di valutazione della congruità dell'offerta sotto tale profilo, ai sensi dell'art. 86 del d.lvo 12.04.2006, nr. 163: di modo che l'eventuale scostamento da tali parametri delle relative voci di costo non legittima ex se un giudizio di anomalia, potendo essere accettato quando risulti puntualmente (e rigorosamente) giustificato.
La verifica di anomalia dell'offerta deve avere a oggetto la congruità dell'offerta economica non con riferimento a ciascuna singola voce di essa, ma nella sua interezza e globalità, servendo le giustificazioni dell'impresa, e il contraddittorio che su di esse s'instaura ai sensi del citato art. 86, ad accertare l'effettiva sostenibilità e affidabilità dell'offerta nel suo complesso
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La presenza di provvedimenti del fisco di rateizzazione dei debiti tributari, purché anteriore alla presentazione dell'offerta, determina una sostanziale novazione dell'obbligazione tributaria, in modo da escludere che possa trattarsi di violazione "definitivamente accertata" (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.03.2013 n. 1633 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Il contratto di avvalimento deve rispettare la disciplina civilistica in tema di contenuto contrattuale, con particolare riferimento all’esistenza ed alla determinatezza dell’oggetto: esso deve identificare in modo chiaro ed esauriente la volontà del soggetto ausiliario di impegnarsi, la natura dell’impegno assunto e la concreta portata delle risorse messe a disposizione per effetto dell’avvalimento.
Il contratto di avvalimento prodotto dall’aggiudicataria da un lato prevede l’impegno dell’impresa ausiliaria di mettere a disposizione i requisiti riguardanti il fatturato e l’esperienza in servizi analoghi, dall’altro lato prevede la messa a disposizione del know how aziendale e delle competenze di tipo gestionale e professionale.
Trattasi di dizioni generiche che non lasciano evincere quali siano in concreto le risorse ed i mezzi prestati dall’impresa ausiliaria ai fini dell’esecuzione del servizio de quo.
In tal modo l’oggetto del contratto di avvalimento si palesa indeterminato, in contrasto con l’art. 88, comma 1, lett. a, del d.p.r. n. 207/2010.
Invero, il suddetto negozio giuridico deve rispettare la disciplina civilistica in tema di contenuto contrattuale, con particolare riferimento all’esistenza ed alla determinatezza dell’oggetto: esso deve identificare in modo chiaro ed esauriente la volontà del soggetto ausiliario di impegnarsi, la natura dell’impegno assunto e la concreta portata delle risorse messe a disposizione per effetto dell’avvalimento (ex multis: Cons. Stato, V, 05.12.2012, n. 6233; TAR Lombardia, Milano, III, 29.12.2012, n. 3290; TAR Toscana, I, 21.05.2012, n. 986); nel caso di specie, al contrario, è incomprensibile quale sia la prestazione ausiliaria oggetto di avvalimento (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 21.03.2013 n. 443 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: L’accesso ai documenti amministrativi si configura come un diritto soggettivo perfetto, che può essere esercitato indipendentemente dal giudizio sull’ammissibilità o sulla fondatezza della domanda giudiziale eventualmente proponibile sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso, con la conseguenza che la circostanza che gli atti oggetto dell’istanza di ostensione siano divenuti inoppugnabili non preclude l’esercizio del suddetto diritto, in quanto l’interesse presupposto dall’art. 22 della legge n. 241/1990 è nozione diversa e più ampia dell’interesse all’impugnazione.
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Chi ha partecipato ad una procedura concorsuale è portatore di un interesse differenziato da quello della generalità dei consociati ed è quindi legittimato a chiedere copia degli atti prodotti dagli altri concorrenti.

L’accesso ai documenti amministrativi si configura come un diritto soggettivo perfetto, che può essere esercitato indipendentemente dal giudizio sull’ammissibilità o sulla fondatezza della domanda giudiziale eventualmente proponibile sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso, con la conseguenza che la circostanza che gli atti oggetto dell’istanza di ostensione siano divenuti inoppugnabili non preclude l’esercizio del suddetto diritto, in quanto l’interesse presupposto dall’art. 22 della legge n. 241/1990 è nozione diversa e più ampia dell’interesse all’impugnazione (Cons. Stato, VI, 24.11.2000, n. 6246).
Orbene, poiché il rilascio della documentazione in argomento è stato chiesto dalla ricorrente in dichiarata qualità di soggetto partecipante alla gara (documento n. 9 depositato in giudizio), il Collegio ritiene che non possa disconoscersi in capo alla stessa la titolarità del diritto di accesso, essendo pacifico che chi ha partecipato ad una procedura concorsuale è portatore di un interesse differenziato da quello della generalità dei consociati ed è quindi legittimato a chiedere copia degli atti prodotti dagli altri concorrenti (TAR Sicilia, Palermo, II, 11.02.2002, n. 430) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 21.03.2013 n. 442 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare di appalto, per chi partecipa accesso agli atti sempre riconosciuto.
Dev’essere accordato l’accesso agli atti di una procedura di appalto chiesto da una ditta in dichiarata qualità di soggetto partecipante alla gara, essendo pacifico che chi ha partecipato a una procedura concorsuale è portatore di un interesse differenziato da quello della generalità dei consociati.

Con la sentenza 21.03.2013 n. 442, il TAR Firenze, Sez. I, ha affrontato la quaestio relativa alla possibilità per le partecipanti a una gara di appalto di ottenere l’accesso agli atti della medesima procedura.
La ricorrente ha contestato l’illegittimità del provvedimento con cui la stazione appaltante, in violazione degli artt. 22 e ss., L. n. 241/1990, aveva negato alla medesima l’accesso agli atti di gara sulla scorta della considerazione per cui la relativa istanza avrebbe dovuto essere motivata alla stregua di un interesse concreto e meritevole di tutela.
Il giudicante ha accolto il gravame, all’uopo statuendo che la stazione appaltante avrebbe dovuto consentire l’accesso all’impresa poiché la stessa, avendo partecipato alla procedura in questione, era titolare di un interesse giuridicamente differenziato rispetto a quello del quisque de populo.
Il caso
La deducente ha preso parte a una procedura aperta indetta da un’azienda pubblica per la fornitura e manutenzione di due spazzatrici aspiranti idrostatiche.
In seguito all’adozione del provvedimento di esclusione dalla gara per mancanza dei requisiti tecnici, l’interessata ha presentato una formale istanza di accesso al fine di prendere visione dei verbali di gara e della documentazione amministrativa delle partecipanti alla medesima procedura.
La stazione appaltante, però, ha disposto l’accoglimento della predetta domanda rispetto al verbale di gara, mentre ha differito l’accesso alla documentazione amministrativa delle altre concorrenti.
Disposta medio tempore l’aggiudicazione dell’appalto, la ricorrente ha provveduto a reiterare la richiesta di accesso alla documentazione amministrativa: la stazione appaltante, indi, ha accordato quest’ultima istanza, così fornendo tutta la documentazione chiesta in ostensione.
Sta di fatto che l’impresa, per mezzo di un’ulteriore istanza di accesso, ha chiesto anche l’acquisizione della documentazione tecnica presentata dalle ditte partecipanti alla selezione.
La società pubblica, avuto riguardo a quest’ultima istanza, ha negato l’accesso, contestualmente suggerendo all’interessata la presentazione di una nuova domanda di accesso debitamente motivata, al fine di “dare dimostrazione dell’esistenza di un interesse concreto meritevole di tutela”.
Avverso siffatta determinazione è insorta la ricorrente, contestando la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., nonché degli artt. 22 e ss., L. n. 241/1990 e dell’art. 13, D.Lgs. n. 163/2006.
Le norme violate
L’impresa ha eccepito, oltre al resto la violazione degli artt. 22 e ss., L. n. 241/1990, alla stregua della considerazione per cui la propria partecipazione al procedimento selettivo le avrebbe consentito di presentare l’istanza di accesso ai documenti tecnici offerti dalle imprese concorrenti, a prescindere dall’impugnabilità del provvedimento di aggiudicazione.
Orbene, in materia di accesso, si rammenta come l’art. 22 cit., con riferimento all’interesse del soggetto richiedente l’accesso agli atti, statuisce espressamente che: “Ai fini del presente del capo si intende: … b) per "interessati", tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”.
E ancora, con riferimento al diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici, l’art. 13, D.Lgs. n. 163/2006 prevedono che: “Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti segretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione: a) alle informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali; b) a eventuali ulteriori aspetti riservati delle offerte, da individuarsi in sede di regolamento” (comma 5); e ancora: “In relazione all'ipotesi di cui al comma 5, lett. a) e b), è comunque consentito l'accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso” (comma 6).
La decisione del TAR
Il Tribunale di Firenze ha condiviso le doglianze formulate dalla deducente in merito all’illegittimità del gravato provvedimento di diniego emesso dalla stazione appaltante.
Sul proposito, ha rammentato che, in linea di principio, l’accesso ai documenti amministrativi si configura come un diritto soggettivo perfetto da esercitarsi indipendentemente dal giudizio sull’ammissibilità o fondatezza di un’eventuale impugnazione dei documenti acquisiti mediante l’accesso.
Di conseguenza, ha precisato che l’inoppugnabilità degli atti oggetto dell’istanza di ostensione non avrebbe potuto precludere l’esercizio del suddetto diritto, in quanto l’interesse presupposto dall’art. 22, L. n. 241/1990 è nozione diversa e più ampia dell’interesse all’impugnazione (a partire da Cons. Stato, Sez. VI, 24.11.2000, n. 6246).
Sicché il Collegio ha sottolineato che il rilascio della documentazione tecnica offerta dalle altre concorrenti era stato chiesto dalla ricorrente, nella dichiarata qualità di soggetto partecipante alla gara, al solo fine di prendere visione dei medesimi documenti.
In ragione di siffatta circostanza, ha ritenuto che non avrebbe potuto disconoscersi in capo all’impresa interessata la titolarità del diritto di accesso, atteso che la medesima, avendo partecipato alla procedura concorsuale, era portatrice di un interesse differenziato da quello della generalità dei consociati e, quindi, legittimata a chiedere copia degli atti prodotti dagli altri concorrenti (in tal senso, TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 11.02.2002, n. 430).
Alla stregua delle suddette argomentazioni, il G.A. di Firenze ha accolto il gravame e, per l’effetto, dichiarato l’obbligo della stazione di provvedere al rilascio delle copie della documentazione tecnica dei concorrenti, come chiesta in ostensione dalla deducente.
I precedenti ed i possibili impatti pratico-operativi
La pronuncia conferma il principio indicato negli arresti giurisprudenziali susseguitisi sull’argomento, in relazione alla doverosità per le stazioni appaltanti di consentire l’accesso agli atti di gara a tutte le imprese partecipanti che, in quanto tali, risultano essere detentrici di un interesse qualificato e differenziato da quello della generalità dei consociati.
Sul punto, è appena il caso di richiamare una recente pronuncia di Palazzo Spada che ha dichiarato l’illegittimità del provvedimento con cui una stazione appaltante aveva disposto il differimento dell’accesso agli atti relativi al sub procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte presentate dalle imprese partecipanti (Cons. Stato, Sez. IV, 22.05.2012, n. 2974, in Guida al diritto, 2012, 24, 109).
Inoltre, il TAR di Roma ha dichiarato legittimo il provvedimento di rigetto di una domanda tendente a ottenere copia degli atti di una gara di appalto, avanzata da una ditta che, benché non avesse partecipato alla medesima procedura selettiva, aveva motivato la propria istanza con riferimento alla volontà di ottenere la rinnovazione della procedura per la propria partecipazione (TAR Lazio, Roma, Sez. III-ter, 10.05.2011, n. 4081, in Giur. Merito, 2011, 9, 2282).
E ancora, la Sez. VI del Consiglio di Stato non ha mancato di evidenziare il rapporto intercorrente tra la disciplina contemplata nel Codice dei contratti pubblici e la L. n. 241/1990, all’uopo precisando che, ai sensi dell’art. 13, D.Lgs. n. 163/2006, il carattere segreto delle informazioni tecniche e commerciali non può inibire l’esibizione della documentazione di gara non coinvolta da profili di meritevole segregazione (Cons. Stato, Sez. VI, 30.07.2010, n. 5062, in Foro amm., 2010, 7-8, 1644).
E pertanto, sulla scorta delle menzionate pronunce, si può ragionevolmente desumere che la partecipazione a una gara di appalto costituisce il requisito discriminante mediante il quale un’impresa, a prescindere da una sottesa volontà impugnatoria, può legittimamente chiedere l’esibizione dei documenti offerti dalle altre imprese concorrenti.
Né a differenti conclusioni si giunge avuto riguardo alla circostanza per cui i documenti potenzialmente oggetto di accesso possano riguardare documenti afferenti le caratteristiche tecniche di un’impresa.
Sul punto, infatti, si rileva che l’art. 13, comma 6, D.Lgs. n. 163/2006 non costituisce una previsione derogatoria di carattere generale, ma un’ipotesi di speciale deroga da applicare esclusivamente nei casi in cui l’accesso sia inibito in ragione della tutela di segreti tecnici o commerciali, motivatamente evidenziati dalla concorrente in sede di presentazione della offerta (commento tratto da www.ispoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: I profili dedotti in giudizio non dimostrano che l’offerta della seconda classificata sia nel suo insieme inattendibile, ma riguardano singole voci, la cui inattendibilità è stata peraltro argomentata in modo generico.
Al contrario, l’offerta deve essere considerata, ai fini della valutazione della sua congruità, nel suo insieme, in quanto l’eventuale sottostima di un singolo elemento potrebbe trovare compensazione nella sovrastima di altre voci economiche.
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Per potersi ravvisare l’interesse al ricorso occorre che l’utilità che la parte ricorrente vuole conseguire derivi in via immediata e secondo criteri di regolarità dall’accoglimento dell’impugnativa, e non in via mediata da eventi incerti o potenziali, cosicché è irrilevante che l’offerta della nuova e potenziale aggiudicataria sia o meno anomala, in quanto l’esito negativo del sub procedimento di verifica rappresenta una mera eventualità.

L’eccezione è fondata, nei sensi appresso indicati.
L’esponente, con la quarta censura, nel contestare l’offerta della seconda classificata, ha evidenziato alcuni elementi di incongruità della stessa, soffermandosi sulla proposta ivi contenuta di interventi strutturali costosi e sull’omessa considerazione dell’incremento fisiologico dei costi di utenze e personale.
I profili dedotti, tuttavia, non dimostrano che l’offerta della seconda classificata sia nel suo insieme inattendibile, ma riguardano singole voci, la cui inattendibilità è stata peraltro argomentata in modo generico; al contrario, l’offerta deve essere considerata, ai fini della valutazione della sua congruità, nel suo insieme, in quanto l’eventuale sottostima di un singolo elemento potrebbe trovare compensazione nella sovrastima di altre voci economiche (Cons. Stato, III, 08.12.2012, n. 5238; TAR Basilicata, I, 05.03.2010, n. 104).
Inoltre la seconda classificata, non essendo stata interessata da procedimento di verifica di anomalia, non ha avuto modo di produrre documenti giustificativi dell’offerta.
Né, comunque, l’esponente potrebbe far leva sulla circostanza che, una volta attivato il procedimento di verifica dell’anomalia della proposta della seconda graduata, sarebbe ipotizzabile l’esclusione di questa: in proposito, infatti, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che per potersi ravvisare l’interesse al ricorso occorre che l’utilità che la parte ricorrente vuole conseguire derivi in via immediata e secondo criteri di regolarità dall’accoglimento dell’impugnativa, e non in via mediata da eventi incerti o potenziali, cosicché è irrilevante che l’offerta della nuova e potenziale aggiudicataria sia o meno anomala, in quanto l’esito negativo del sub procedimento di verifica rappresenta una mera eventualità (Cons. Stato, VI, 02.04.2012, n. 1941; idem, IV, n. 587/2007; TAR Campania, Salerno, I, n. 2476/2007) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 21.03.2013 n. 439 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: La conduttura realizzata dal Comune di Firenze, costituente un tratto di fognatura destinato alla raccolta di acque meteoriche, non è annoverabile tra le opere idrauliche, in relazione alle quali sussiste la giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche, poiché le acque piovane convogliate in condutture sotterranee o in reti fognarie non sono suscettibili di alcuna utilizzazione idonea a soddisfare un pubblico interesse generale, ma sono destinate al mero smaltimento.
Invero, nel caso di specie non rilevano opere afferenti le acque pubbliche, non potendo essere qualificate come tali le acque piovane non convogliate in un corso d’acqua o non raccolte in invasi o cisterne preordinate al soddisfacimento di un pubblico interesse generale.
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Il Comune ha approvato il progetto esecutivo esclusivamente in linea tecnica, senza contestuale declaratoria di pubblica utilità, la quale è stata oggetto di approvazione successivamente, per effetto della delibera della giunta comunale n. 467 del 30.07.2008: il provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, per scelta dell’amministrazione, nel caso in esame non è implicito nell’atto di approvazione del progetto.
Orbene, la lesione della posizione della deducente è configurabile solo relativamente alla dichiarazione di pubblica utilità, la quale soltanto comporta l’affievolimento ad interesse legittimo del diritto soggettivo del proprietario e la costituzione, in capo all’Ente, del potere espropriativo avente ad oggetto i terreni sui quali l’opera dovrà essere allocata, mentre l’approvazione del progetto in linea meramente tecnica costituisce atto endoprocedimentale, come tale di per sé non impugnabile.
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La tempestiva impugnazione della declaratoria di pubblica utilità dell’opera esime il ricorrente dal seguire il prosieguo dell’iter procedurale, avendo l’eventuale annullamento degli atti presupposti un effetto non già meramente viziante, ma caducante sul decreto espropriativo della proprietà o, come nel caso di specie, sul decreto espropriativo di un diritto reale minore.

E’ stato eccepito il difetto di giurisdizione, sull’assunto che la controversia in esame, riguardando l’occupazione di aree finalizzata all’esecuzione di opere idrauliche, sarebbe devoluta alla competenza del Tribunale delle acque pubbliche ex art. 140, comma 1, lett. d, del R.D. n. 1775/1933.
L’eccezione non può essere accolta.
La conduttura realizzata dal Comune di Firenze, costituente un tratto di fognatura destinato alla raccolta di acque meteoriche, non è annoverabile tra le opere idrauliche, in relazione alle quali sussiste la giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche, poiché le acque piovane convogliate in condutture sotterranee o in reti fognarie non sono suscettibili di alcuna utilizzazione idonea a soddisfare un pubblico interesse generale, ma sono destinate al mero smaltimento (ex multis: Cass. civ., I, 11.01.2001, n. 315).
Invero nel caso di specie non rilevano opere afferenti le acque pubbliche, non potendo essere qualificate come tali le acque piovane non convogliate in un corso d’acqua o non raccolte in invasi o cisterne preordinate al soddisfacimento di un pubblico interesse generale (TAR Puglia, Lecce, I, 25.01.2012, n. 120; idem, 08.04.2004, n. 2396; TAR Veneto, III, 04.12.2006, n. 3991).
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La società Il Poggio ha altresì eccepito l’irricevibilità del ricorso, osservando che la deliberazione di approvazione del progetto era conosciuta dalla ricorrente prima dei sessanta giorni precedenti la notifica dell’impugnativa.
L’obiezione non è condivisibile.
Il Comune, con deliberazione n. 15 del 15.01.2008, ha approvato il progetto esecutivo esclusivamente in linea tecnica, senza contestuale declaratoria di pubblica utilità, la quale è stata oggetto di approvazione successivamente, per effetto della delibera della giunta comunale n. 467 del 30.07.2008: il provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, per scelta dell’amministrazione, nel caso in esame non è implicito nell’atto di approvazione del progetto.
Orbene, la lesione della posizione della deducente è configurabile solo relativamente alla dichiarazione di pubblica utilità, la quale soltanto comporta l’affievolimento ad interesse legittimo del diritto soggettivo del proprietario e la costituzione, in capo all’Ente, del potere espropriativo avente ad oggetto i terreni sui quali l’opera dovrà essere allocata, mentre l’approvazione del progetto in linea meramente tecnica costituisce atto endoprocedimentale, come tale di per sé non impugnabile (Cons. Stato, IV, 06.02.1995, n. 73; idem, 16.03.2010, n. 1540; TAR Friuli Venezia Giulia, 17.12.2009, n. 835).
Pertanto, il termine di ricorso non poteva che decorrere dalla conoscenza della seconda delibera, adottata nel luglio 2008, la quale costituisce il primo atto con cui il Comune ha dato avvio alla procedura costitutiva della servitù.
Il Collegio osserva ulteriormente che non può rilevare, quale motivo di inammissibilità del gravame, la mancata impugnazione del provvedimento dirigenziale n. 6871 del 18.06.2009, con cui il Comune ha costituito la servitù permanente di fognatura e di passo e transito (documento n. 21 depositato in giudizio dall’Ente).
Invero, l’impugnazione dell’atto preparatorio fa sì che non sia necessaria l’impugnazione del provvedimento finale allorquando tra i due atti vi sia un rapporto di presupposizione–consequenzialità immediata e diretta, nel senso che la determinazione successiva si pone come inevitabile conseguenza di quella precedente, perché non vi sono nuove e ulteriori valutazioni di interessi.
Su tale premessa la giurisprudenza amministrativa ha costantemente statuito che la tempestiva impugnazione della declaratoria di pubblica utilità dell’opera esime il ricorrente dal seguire il prosieguo dell’iter procedurale, avendo l’eventuale annullamento degli atti presupposti un effetto non già meramente viziante, ma caducante sul decreto espropriativo della proprietà o, come nel caso di specie, sul decreto espropriativo di un diritto reale minore (ex multis: Cons. Stato, IV, 12.07.2007, n. 3984; TAR Campania, Napoli, V, 13.11.2007, n. 12105; TAR Sicilia, Palermo, III, 04.11.2009, n. 1726)
(TAR Toscana, Sez. I, sentenza 21.03.2013 n. 433 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISenza contratto appalti deboli. Gara annullabile anche se l'impresa ha già lavorato. Per il Tar Puglia la pubblica amministrazione può rimettere tutto in discussione.
Appeso a un filo l'appalto con la p.a. se non si firma il relativo contratto. L'ente pubblico può sempre annullare l'appalto, anche se ha chiesto all'impresa vincitrice di eseguire d'urgenza le opere o il servizio e, addirittura, anche se l'appalto è stato portato a termine o quasi. Se manca la sottoscrizione del contratto, infatti, la procedura ad evidenza pubblica non si conclude, e la p.a. può rimettere tutto in discussione.
È quanto stabilito dal TAR Puglia-Bari, Sez. I, con la sentenza 21.03.2013 n. 424.
Nel caso concreto un comune pugliese ha indetto una gara pubblica per l'affidamento del servizio di trasporto scolastico degli alunni delle scuole elementari e medie.
Alla ditta risultata aggiudicataria è stato chiesto di eseguire il servizio in via d'urgenza. L'impresa ha quindi iniziato ad adempiere ai suoi obblighi, senza firmare alcun contratto.
Quando ormai il periodo dell'affidamento del servizio volgeva al termine, è accaduto che l'amministrazione, a seguito di accertamenti espletati dalla polizia municipale, ha contestato gravi inadempienze all'impresa. Più precisamente, alla ditta è stato rimproverato di non aver fornito alla stazione appaltante copia del contratto di avvalimento concluso con altra azienda, grazie al quale era riuscita a vincere la gara; inoltre, secondo la ricostruzione degli agenti, la ditta avrebbe utilizzato autisti e mezzi vietati dal capitolato speciale di appalto.
Per questi motivi, il Comune ha «revocato» –dal nome del provvedimento adottato– l'affidamento, interrompendo l'esecuzione della prestazione in corso.
La ditta si è quindi rivolta al Tribunale amministrativo per la regione Puglia, contestando la decisione assunta dall'amministrazione.
Nel dettaglio, la difesa della ricorrente, ha sottolineato come il provvedimento di revoca, emesso quando ormai mancavano quindici soli giorni alla scadenza del rapporto, fosse in realtà un annullamento d'ufficio emesso in autotutela ai sensi dell'articolo 21-nonies della legge n. 241/1990. Da qui, oltre a denunciare l'assenza, nel caso concreto, dei presupposti per l'esercizio dell'annullamento, è stata denunciata l'illegittima lesione dell'affidamento ingenerato dalla stazione appaltante in ordine al buon diritto dell'impresa a portare a termine il servizio appaltato.
Si è poi contestato come, in ogni caso, le gravi inadempienze che avevano indotto l'amministrazione ad «annullare» l'aggiudicazione non potessero -in alcun modo- porsi a fondamento del potere di autotutela, attenendo le stesse alla fase dell'esecuzione del rapporto, ossia alla fase successiva alla procedura ad evidenza pubblica. Né, infine, poteva giustificare l'annullamento della gara la mancata produzione del contratto di avvalimento, posto che l'amministrazione, dopo aver affidato il servizio, se ne era sempre disinteressata.
Il Tar Puglia, nel propendere per il rigetto del ricorso, ha preliminarmente fatto chiarezza sulla qualificazione giuridica del provvedimento impugnato, per poi soffermarsi sulla legittimità dei presupposti che ne avrebbero legittimato l'adozione.
Con riferimento al primo problema, i giudici pugliesi hanno osservato come il potere di esatta qualificazione giuridica del provvedimento amministrativo impugnato, posto che si fonda sull'analisi del suo contenuto effettivo e della sua causa reale, spetti al giudice investito dalla controversia, il quale può legittimamente prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito dall'amministrazione all'atto adottato. Ciò poiché «l'apparenza derivante da una terminologia, eventualmente imprecisa o impropria, utilizzata nella formulazione testuale dell'atto stesso non è vincolante, né può prevalere sulla sostanza e neppure determina di per sé un vizio di legittimità dell'atto, purché ovviamente sussistano i presupposti formali e sostanziali corrispondenti al potere effettivamente esercitato».
Una volta stabilito che si trattava di «annullamento» e non di «revoca», i giudici del Tar hanno concentrato l'attenzione sulla sussistenza dei presupposti legittimanti l'adozione dell'atto: fra tutti, l'interesse pubblico, rinvenuto nella necessità di garantire il trasporto incolume dei minori cui è adibito il servizio.
Quanto agli altri presupposti si è detto che l'incompletezza o, meglio, l'assenza del contratto di avvalimento debba, a tutti gli effetti, ritenersi un valido motivo per annullarla, e ciò quand'anche l'affidamento del servizio sia ormai prossimo a scadere.
Con riferimento, invece, alla eccezione relativa all'irrilevanza delle gravi inadempienze poste in essere dalla ditta nel corso dell'esecuzione del servizio ai fini dell'annullamento della procedura a evidenza pubblica, il Tar Puglia ha spiegato che, nonostante la provvisoria consegna del servizio, il mancato esaurimento della procedura pubblicistica impedisce l'attrazione della controversia nell'alveo della fase esecutiva, mancando il necessario presupposto dato dalla stipulazione del contratto.
Pertanto l'esecuzione in via d'urgenza del servizio, in assenza della sottoscrizione del relativo contratto, non impedisce alla stazione appaltante di annullare in autotutela l'aggiudicazione definitiva, e ciò anche quando il rapporto sia ormai prossimo a scadere (tratto da ItaliaOggi Sette del 12.08.2013).

APPALTI: Patroni Griffi contraddice l'Autorità: contratti elettronici anche per i cottimi fiduciari.
La stipula va fatta sempre con la nuova formula telematica. No all'interpretazione dell'Autorità che apriva all'uso della carta per le scritture private.

Il contratto elettronico sarà obbligatorio sempre anche per le scritture private. Il ministero della Funzione pubblica ha da poco diffuso la nota 28.02.2013 n. 77 di prot. con la quale chiarisce alcuni dubbi sulla stipulazione dei contratti in forma digitale, prevista dall'articolo 11, comma 13, del Codice appena modificato dal decreto sviluppo-bis (Dl 179/2012). E, nello sgombrare il campo dalle incertezze esistenti tra le imprese, la circolare ne crea di nuove: il documento, infatti, si distacca, in alcuni passaggi, dalla determinazione 13.02.2013 n. 1/2013 dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, che aveva affrontato il problema un mese fa.
La nota, a firma del capo dell'ufficio legislativo del ministero e datata 28 febbraio, affronta l'interpretazione della norma entrata in vigore a partire dal primo gennaio 2013, che prevede la stipulazione dei contratti di appalto, «a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell'ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata».
Secondo Palazzo Vidoni, i contratti elettronici dovranno essere sottoscritti sempre in forma elettronica, che diventa così «l'unica forma scritta richiesta a pena di nullità per tutti i contratti pubblici». Il documento informatico, infatti, è prescritto «non solo per la validità dei contratti rogati con atto pubblico notarile, ma anche per quelli stipulati con atto pubblico amministrativo o con scrittura privata».
Una differenza netta rispetto alla posizione espressa dalla determinazione dell'Autorità, che aveva sottolineato come, invece, esista ancora la possibilità di «preferire la forma cartacea o forme equipollenti ammesse dall'ordinamento» nel caso di scrittura privata. Si crea, così, un piccolo caso, dal momento che la sanzione per chi non rispetta la legge è la nullità del contratto. Per evitare problemi gravi, allora, bisognerà rispettare l'interpretazione del ministero piuttosto che quella dell'Avcp.
Sarà, comunque, possibile organizzarsi per tempo, dal momento che la nota obbliga le pubbliche amministrazioni a indicare esplicitamente nel bando la disciplina applicabile al momento della sottoscrizione del contratto da parte dell'aggiudicatario. In questo modo l'impresa avrà modo di verificare con anticipo il possesso dei requisiti richiesti dal disciplinare di gara.
Una buona notizia, invece, arriva in materia di firma digitale. Il decreto non ne parla esplicitamente e, per questo, il ministero ritiene che non esista un obbligo generale per le aziende di dotarsi dello strumento. Sarà la Pa che sottoscrive il contratto insieme all'impresa o, in alternativa, il notaio a doversi assumere un onere extra, nel caso in cui i privati non siano dotati di firma digitale, attestando la veridicità della sottoscrizione. Anche nel caso in cui ci sia una semplice firma autografa scannerizzata.
La buona notizia, comunque, è solo parziale perché nel caso di sottoscrizione tramite scrittura privata non è prevista, per definizione, la presenza di una pubblica amministrazione o di un notaio che possano attestare la veridicità della firma. E, quindi, non si potrà applicare la scappatoia indicata da Palazzo Vidoni. Resta, allora, l'urgenza per tutte le imprese di dotarsi al più presto di una firma elettronica, sottolineata anche dall'Ance. Soprattutto perché questo strumento servirà per l'utilizzo del sistema Avcpass, obbligatorio per la maggior parte degli appalti a partire dal prossimo primo luglio
(articolo Edilizia e Territorio del 21.03.2013 tratto da http://venetoius.it).

APPALTI SERVIZI: L'affido di servizi pubblici con bando è legittimo. La Consulta ribadisce il principio: le gare indice di virtuosità.
È costituzionalmente legittimo prevedere l'obbligo di affidamento dei servizi pubblici con procedura ad evidenza pubblica e stabilire che il maggiore ricorso all'affidamento in gara costituisca indice di «virtuosità» per gli enti locali.
È quanto afferma la Corte costituzionale nella sentenza 20.03.2013 n. 46 che si è pronunciata su diverse norme del decreto-legge 1/2012 convertito dalla legge 27/2012 su un ricorso presentato dalla Regione Veneto.
Fra le diverse censure avanzate dalla Regione Veneto una riguardava l'adozione obbligatoria della procedura ad evidenza pubblica per l'affidamento dei servizi, e non le procedure in house, ritenuta in contrasto ai sensi dell'art. 117, comma primo, della Costituzione con la disciplina comunitaria, che non esclude affatto la possibilità dell'affidamento in house e in violazione della competenza legislativa regionale.
Inoltre, si sosteneva nel ricorso, la normativa nazionale, escludendo nei fatti la possibilità di affidamenti in house (in seguito a una valutazione negativa operata ex ante), non considera che questa tipologia di affidamento di servizi può essere in concreto più efficiente e virtuosa e finisce per privare gli enti territoriali della possibilità di valutare le proprie esigenze e di scegliere la modalità di gestione dei servizi a loro più convenienti.
Su questo punto la Corte conferma la legittimità della normativa affermando che la disciplina delle procedure ad evidenza pubblica è stata costantemente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla materia «tutela della concorrenza», con la conseguente titolarità da parte dello Stato della potestà legislativa esclusiva. In particolare la Corte motiva la conferma della legittimità delle norme impugnate dalla Regione con la considerazione che «l'intervento normativo statale, con il decreto legge n. 1 del 2012, si prefigge la finalità di operare, attraverso la tutela della concorrenza (liberalizzazione), un contenimento della spesa pubblica» e che tale scopo viene ritenuto perseguibile con l'affidamento dei servizi pubblici locali con il meccanismo delle gare ad evidenza pubblica, in quanto «dovrebbe comportare un risparmio dei costi ed una migliore efficienza nella gestione».
È in questa ottica –dice la sentenza– e in coerenza con la normativa comunitaria che il legislatore ha deciso, da un lato di promuovere l'affidamento dei servizi pubblici locali a terzi e/o a società miste pubblico/private e, dall'altro lato, di contenere il fenomeno delle società in house. La scelta, operata nel 2012, di prevedere come uno degli elementi di valutazione di «virtuosità» degli enti l'applicazione di procedure di affidamento dei servizi ad evidenza pubblica ha, secondo la sentenza, il pregio di non privare le Regioni e gli altri enti territoriali delle loro competenze e di limitarsi a valutare il loro esercizio ai fini dell'attribuzione del «premio», ovvero della coerenza o meno alle indicazioni del legislatore statale, che –comunque– ha agito nell'esercizio della sua competenza esclusiva in materia di concorrenza.
Viene infine confermata anche la legittimità della sottoposizione delle società in house ai vincoli derivanti dal patto di Stabilità, dal momento che con tale disposizione si è, infatti, reso legislativamente esplicito un adempimento di origine comunitaria rientrante in quei contenuti minimi non derogabili cui fa riferimento la sentenza n. 325 del 2010 (articolo ItaliaOggi del 21.03.2013).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U. 20.03.2013 n. 67 "Criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare" (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, decreto 04.03.2013).

APPALTI: La stazione appaltante deve consentire l'integrazione della cauzione insufficiente.
La stazione appaltante non può disporre l'esclusione del concorrente che abbia presentato la cauzione di importo inferiore a quello richiesto.
Così ha stabilito il Tar Sicilia nella sentenza in commento. Inoltre il principio di tassatività delle cause di esclusione, secondo i giudici amministrativi isolani, si applica anche per gli appalti di cui all'art. 20, allegato IIB del D.Lgs n. 163 del 2006.
La disposizione dell'art. 75, D.Lgs n. 163 del 2006, (Codice dei contratti pubblici), va intesa, alla luce del principio di tassatività delle cause di esclusione, nel senso che la stazione appaltante non può disporre l'esclusione del concorrente che abbia presentato la cauzione di importo inferiore a quello richiesto, e in applicazione della regola di cui all'art. 46, c. 1, del Codice dei contratti pubblici, deve consentire la regolarizzazione degli atti, tempestivamente depositati, ovvero consentire l'integrazione della cauzione insufficiente. Il principio di tassatività delle cause di esclusione così come previsto dall'art. 46, c. 1-bis, del D.Lgs n. 163 del 2006, aggiunto dall'art. 4, II c., n. 2, lett. "d" del D.L. n. 70 del 2011, si applica anche per gli appalti di cui all'art. 20, allegato IIB.
E' pacificamente riconosciuto in giurisprudenza, infatti, che la riconducibilità del servizio appaltato all'All. II B non esonera le amministrazioni aggiudicatrici dall'applicazione dei principi generali in materia di affidamenti pubblici desumibili dalla normativa comunitaria e nazionale e, in particolare dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost..
E, del resto, è lo stesso art. 27 del Codice dei contratti pubblici che, proprio con riferimento alle prestazioni di cui all'allegato IIB, pone l'obbligo per le Amministrazioni di disporre siffatti affidamenti rientranti nell'ambito di applicazione oggettiva del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006, "nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità" (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -
 TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 19.03.2013 n. 647 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl labirinto-trasparenza, guida a tutti i nuovi obblighi delle amministrazioni.
Si moltiplicano i vincoli di pubblicità per le amministrazioni alle prese con i lavori pubblici. In una maxi-tabella la guida a cosa (e quando) pubblicare, atto per atto.

All'insegna di una sempre più penetrante attuazione del principio di trasparenza aumentano in maniera esponenziale gli obblighi di pubblicità cui sono tenuti gli enti committenti in relazione all'affidamento e all'esecuzione dei contratti pubblici. Agli adempimenti tradizionali previsti da tempo dal Dlgs 163/2006, si aggiungono quelli introdotti dal decreto legislativo sulla trasparenza (già approvato dal Consiglio dei ministri e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) –emanato in attuazione della legge 190/2012– e, da ultimo, quelli imposti dal Dm 26.02.2013.
Ne deriva un quadro complesso, riassunto in questa maxi-tabella, non pienamente coordinato e con inevitabili sovrapposizioni. L'effetto pratico è che, al di là della condivisibile esigenza di incrementare il livello di trasparenza nel settore dei contratti pubblici, si delinea è un percorso tutt'altro che agevole per gli enti committenti. Aumentano i dati da pubblicare, si moltiplicano le comunicazioni e le modalità di pubblicazione e cresce il rischio di incorrere in sanzioni per il mancato adempimento agli obblighi di pubblicità.
In questo contesto, non si può realisticamente ignorare che, a fronte dei benefici conseguenti all'innalzamento del livello di trasparenza, vi è comunque un costo da considerare in termini di appesantimento della macchina amministrativa. L'esatto adempimento di tutti gli obblighi di pubblicità comporta necessariamente un significativo impiego di risorse, in termini di tempi e di costi. Volendo cercare di seguire velocemente il percorso degli obblighi di pubblicità, si comincia con la pubblicazione sul sito informatico del Mit del programma triennale e dell'elenco annuale delle opere pubbliche (articolo 128, Dlgs 163). Vi sono poi gli usuali strumenti di pubblicità relativi alla singola gara, che vanno dall'eventuale avviso di preinformazione, al bando fino all'avviso sui risultati della procedura di aggiudicazione (tutti previsti dal Dlgs 163).
I dati relativi all'affidamento e all'esecuzione di tutti i contratti di importo superiore a 50.000 euro devono poi essere trasmessi all'Osservatorio presso l'Autorità dei contratti pubblici (articolo 7, comma 8, Dlgs 163). Mentre dati analoghi relativi a ogni procedura di gara devono essere contemporaneamente pubblicati sui siti web istituzionali degli stessi enti appaltanti (articolo 1, comma 32, legge 190/2012). Con una inevitabile sovrapposizione, è poi previsto anche che, sempre in relazione alle procedure di gara effettuate, un'altra serie di dati –parzialmente coincidenti con quelli di cui sopra– devono essere pubblicati, con aggiornamento semestrale, nella sezione «amministrazione trasparente» dei rispettivi siti istituzionali (articolo 23 Dlgs sulla trasparenza).
I dati complessivi relativi a tutte le procedure di gara vanno poi trasmessi, in forma di tabella riassuntiva, all'Autorità dei contratti pubblici con cadenza annuale (articolo 1, comma 32, legge 190/2012). Sempre nella sezione «amministrazione trasparente» vanno poi inseriti i dati delle opere pubbliche relativi alla programmazione (che si sovrappongono a quelli contenuti nel programma triennale), alla valutazione degli investimenti, ai tempi, ai costi e agli indicatori di realizzazione (articolo 38, Dlgs sulla trasparenza). Mentre una serie molto articolata di dati, relativi a tutto il ciclo di realizzazione dell'opera (dal finanziamento, all'affidamento dei lavori, all'esecuzione) vanno trasmessi alla banca dati istituita presso la Ragioneria generale dello Stato (ma quest'obbligo di trasmissione non sussiste per i dati già trasmessi all'Autorità dei contratti pubblici, che tuttavia non coincidono integralmente con quelli destinati alla Ragioneria) (Dm 26.02.2013).
Infine, sempre sui rispettivi siti istituzionali, ogni ente deve pubblicare l'indicatore dei tempi di pagamento relativo ad acquisti di beni, servizi e forniture (articolo 33 Dlgs sulla trasparenza) (articolo Edilizia e Territorio del 19.03.2013).

LAVORI PUBBLICINel quadro normativo derivante dal d.lgs. 12.04.2006, n. 163, sussiste l'unica categoria della concessione di lavori pubblici, onde non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di costruzione e gestione dell'opera, ove prevale il profilo autoritativo della traslazione delle pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizione; ciò in quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario, come risulta dall'art. 143 del codice, con la conseguenza che le controversie relative alla fase di esecuzione appartengono alla giurisdizione ordinaria.
In sostanza, l'applicazione del precedente criterio di ripartizione delle giurisdizioni con riferimento alla natura concessoria del rapporto con il Comune -che aveva indotto la giurisprudenza di legittimità, nella vigenza della L. n. 109 del 1994, a distinguere le concessioni di soli lavori equiparate agli appalti da quelle di costruzione e di gestione riservate, ex articolo 5 della legge n. 1034 del 1971, alla giurisdizione esclusiva- non è più attuale, dovendo essere ricondotti tali rapporti indistintamente nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto pubblico.

- considerato che, con le delibere impugnate, il Comune resistente ha provveduto alla “revoca” dell’affidamento in concessione del diritto di superficie di alcuni suoli comunali per la progettazione, realizzazione e gestione di una rete di impianti fotovoltaici;
- rilevato che, al di là del nomen iuris utilizzato, dalle circostanze poste a fondamento degli atti impugnati e dal tenore degli stessi emerge chiaramente che si tratta, in realtà, di manifestazioni della volontà dell’amministrazione resistente di sciogliersi dal rapporto con la ricorrente, per asserito inadempimento di quest’ultima agli obblighi assunti con la concessione in esame, nei termini da essa previsti;
- considerato che, secondo la giurisprudenza prevalente (cfr. Cassazione ss.uu. sentenze n. 14958 del 2011 e n. 28804 del 2011; Consiglio di Stato, sentenza n. 236 del 2013), nel quadro normativo derivante dal d.lgs. 12.04.2006, n. 163, sussiste l'unica categoria della concessione di lavori pubblici, onde non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di costruzione e gestione dell'opera, ove prevale il profilo autoritativo della traslazione delle pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizione; ciò in quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario, come risulta dall'art. 143 del codice, con la conseguenza che le controversie relative alla fase di esecuzione appartengono alla giurisdizione ordinaria;
- ritenuto che, in sostanza, l'applicazione del precedente criterio di ripartizione delle giurisdizioni con riferimento alla natura concessoria del rapporto con il Comune -che aveva indotto la giurisprudenza di legittimità, nella vigenza della L. n. 109 del 1994, a distinguere le concessioni di soli lavori equiparate agli appalti da quelle di costruzione e di gestione riservate, ex articolo 5 della legge n. 1034 del 1971, alla giurisdizione esclusiva- non è più attuale, dovendo essere ricondotti tali rapporti indistintamente nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto pubblico (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 18.03.2013 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In merito all’interpretazione dell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 che dal 01.01.2013 risulta così modificato: “il contratto è stipulato a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata…” la sezione ritiene che:
a) la comminatoria di nullità prevista dalla norma è riferita a tutte le forme ad substantiam di stipulazione previste dalla citata disposizione;
b) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata (scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter absentes), in caso di trattativa privata, conservano piena validità le forme di stipulazione, previste dall'art. 17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è prevista anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n.163);
c) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo ancora validamente stipulabile il contratto in forma pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
d) l’adozione del rogito notarile condurrà invece all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile, alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione normativa;
e) la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante …" riferita alla modalità elettronica della stipulazione dei contratti è da intendersi non come potere della singola stazione appaltante di autodeterminazione, ma come rinvio ad una normativa tecnica, di rango legislativo o regolamentare, di fonte statale (artt. 117, comma 2, lett. l, Cost.), che detti i precetti in modo uniforme sulla compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità elettronica.
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Il sindaco del comune di Varese, mediante nota n. 9548 del 07.02.2013, ha posto un quesito in merito all’interpretazione dell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 che dal 01.01.2013 risulta così modificato: “il contratto è stipulato a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata…”.
In particolare il sindaco, dopo aver richiamato i lavori preparatori del legislatore, pone i seguenti quesiti:
a) se la comminatoria di nullità prevista dalla norma sia riferibile alla necessità della forma scritta ad substantiam, ovvero anche alle modalità di stipulazione previste dalla norma; in quest'ultima ipotesi non risulterebbero più utilizzabili le forme di stipulazione, alternative alla scrittura privata, previste dall'art. 17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440;
b) se la stipulazione in forma pubblica amministrativa debba avvenire esclusivamente in modalità elettronica, ovvero sia possibile ancora stipulare il contratto in forma pubblica amministrativa su supporto cartaceo, come sembra emergere chiaramente dalle schede di lettura, allegate al progetto di legge. Tale conclusione appare avvalorata dal tenore letterale della norma laddove il legislatore ha aggiunto la specificazione "…informatico…" esclusivamente all'atto pubblico notarile -prevedendo in tal caso un obbligo di utilizzo dell'atto notarile informatico nel caso di stipulazione tramite notaio esterno all'amministrazione appaltante- e non anche alla “…forma pubblica amministrativa…";
c) se la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante …" riferita alla modalità elettronica della stipulazione dei contratti sia da intendere come rinvio ad una legislazione tecnica generale, che detti norme sulla compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità elettronica, ovvero demandi a ciascuna stazione appaltante il potere di determinare autonomamente tali parametri tecnici.
...
L’art. 6, comma 4, del D.L. 18.10.2012, n. 179, convertito nella legge 17.12.2012, n. 221 ha disposto che le norme di cui all’art. 6, comma 3, si applicano a partire dal 01.01.2013. Fra le disposizioni ivi richiamate è ricompresa la norma oggetto del presente parere, a tenore della quale, il legislatore, innovando la disciplina sulla forma dei contratti stipulati dalla pubblica amministrazione nell’ambito del codice degli appalti, ha modificato l’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, prescrivendo che: “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata”.
Si pone a confronto la previgente edizione della norma, che testualmente recitava: ”il contratto è stipulato mediante atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante”.
Preliminarmente, si osserva che la disciplina generale sulla forma dei contratti pubblici è contenuta nella legge di contabilità generale dello Stato (art. 16, 17 e 18 del R.D. 18.11.1923, n. 2440) tuttora vigente.
La legge di contabilità dello Stato prescrive il requisito della forma scritta ad substantiam per tutti i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, anche quando essa agisca iure privatorum; forma scritta declinata mediante i canoni della forma pubblica amministrativa (art. 16 R.D. 18.11.1923, n. 2440), salve le ipotesi derogatorie tipizzate descritte all’art. 17 del R.D. citato, in cui è consentita l’adozione della scrittura privata e la conclusione a distanza a mezzo di corrispondenza.
Il rapporto fra le due disposizioni è regolato dal principio di specialità, atteso che la disposizione in tema di contabilità di Stato è applicabile ad ogni tipo contrattuale stipulato dalla Pubblica Amministrazione, mentre la disciplina prevista dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 è applicabile solo alla materia regolata dal Codice degli Appalti.
Sotto il profilo contenutistico si evidenzia, inoltre, che il novero delle forme ad substantiam previste dal citato art. 11, comma 13, ha una portata più ampia rispetto alla citata legge di contabilità, poiché promuove l’adozione di innovative forme di documentazione dell’attività contrattuale in cui è parte la Pubblica Amministrazione.
Tradizionalmente, si osserva che la forma scritta ad substantiam garantisce la certezza nei rapporti giuridici a contenuto patrimoniale in cui è parte la Pubblica Amministrazione e si pone quale regime speciale sia rispetto al principio di libertà della forma previsto nel codice civile, salve le ipotesi espressamente previste di atti che devono essere redatti per atto pubblico o per scrittura privata sotto pena di nullità (art. 1350 c.c.), sia rispetto al principio generale di libertà della forma dell’atto amministrativo.
La recente riformulazione dell’art. 11, comma 13, del Codice degli Appalti sancisce la nullità testuale per carenza delle forme alternative ad substantiam. Accanto alla forma scritta, tipica della forma pubblica amministrativa e della scrittura privata, la legge prescrive la forma digitale per l’atto pubblico notarile (informatico), nonché la modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante.
In sintesi, la difformità testuale rispetto alla precedente formula legislativa si compendia nella:
1) previsione della nullità testuale per difetto delle forme ad substantiam indicate dalla norma;
2) superamento della tassatività della forma scritta cartacea, mediante la previsione di forme alternative ad substantiam;
3) attribuzione dell’aggettivo “informatico” all’atto pubblico notarile;
4) dequotazione della forma elettronica a “modalità elettronica” secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante.
La disposizione ha inteso adeguare alle moderne tecnologie l’utilizzo delle forme contrattuali in cui è trasfusa la volontà della pubblica amministrazione, aggiungendo, ma non sostituendo alle tradizionali forme scritte cartacee la forma pubblica elettronica e/o digitale, con l’avvertenza che qualora le norme vigenti per la singola stazione appaltante (regolamentari o di legge) prevedessero l’adozione della sola modalità elettronica, l’utilizzo di altra metodologia di documentazione, ancorché scritta o cartacea, in violazione delle norme speciali, sarebbe affetta da nullità assoluta.
Ciò posto, al fine di rispondere ai singoli quesiti prospettati dall’amministrazione, alla luce del chiaro dato testuale, la Sezione si ritiene che:
a) la comminatoria di nullità prevista dalla norma è riferita a tutte le forme ad substantiam di stipulazione previste dalla citata disposizione;
b) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata (scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter absentes), in caso di trattativa privata, conservano piena validità le forme di stipulazione, previste dall'art. 17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è prevista anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163);
c) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo ancora validamente stipulabile il contratto in forma pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
d) l’adozione del rogito notarile condurrà invece all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile, alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione normativa;
e) la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante …" riferita alla modalità elettronica della stipulazione dei contratti è da intendersi non come potere della singola stazione appaltante di autodeterminazione, ma come rinvio ad una normativa tecnica, di rango legislativo o regolamentare, di fonte statale (artt. 117, comma 2, lett. l, Cost.), che detti i precetti in modo uniforme sulla compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità elettronica
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 18.03.2013 n. 97).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Parere della corte dei conti. Paletti agli acquisti oltre soglia comunitaria.
La possibilità per un ente locale di ricorrere all'acquisto di beni e servizi di importo inferiore alla soglia comunitaria, nonostante lo stesso sia tenuto ad avvalersi del Mercato elettronico della Pubblica amministrazione (ME.PA) o di altri mercati elettronici, è ammessa solo nell'ipotesi in cui non si riesca a reperire il bene in tali mercati, ovvero, quando il bene ivi reperito non è equipollente o sostituibile con quello che necessita all'ente.
Occorre, pertanto, che l'ente attui una verifica preliminare in tal senso, ben sapendo che, in caso contrario, il contratto stipulato sarà nullo e, per il dirigente che lo sottoscrive, sarà avviata un'azione disciplinare con conseguente apertura di una parallela azione di responsabilità amministrativa a suo carico.

È quanto mette nero su bianco la Sez. regionale di controllo della Corte dei Conti per la Regione Lombardia, nel testo del parere 18.03.2013 n. 92, con cui fa chiarezza sugli effetti del decreto legge n. 52/2012, in relazione all'obbligo per gli enti locali di avvalersi del mercato elettronico per gli acquisti di beni e servizi.
Il parere nasce dalla richiesta formulata alla Corte lombarda dall'amministrazione comunale di Rovello Porro (Co), in cui viene espressa la perplessità di doversi rivolgere al mercato elettronico anche per gli acquisti al di sotto della soglia di rilievo comunitario. Per la Corte, dopo aver svolto un breve excursus normativo sul punto, è pacifico che dal 9 maggio dello scorso anno, per effetto dell'articolo 7, comma 2, del citato dl n. 52, anche gli enti locali sono tenuti a rivolgersi ai soglia. Tuttavia, ammette la Corte, residua una possibilità. Ovvero che il ricorso ad acquisti al di fuori di tali mercati, è possibile nelle sole ipotesi in cui i beni che necessitano all'ente non possono essere reperiti.
Quindi, nella fase amministrativa di determinazione a contrarre, l'ente dovrà evidenziare le caratteristiche del bene e della prestazione, di avere effettuato il preventivo accertamento della insussistenza degli stessi sui mercati elettronici disponibili e, quando necessario, dovrà indicare la motivazione sulla non equipollenza o sostituibilità con altri beni o servizi presenti nei mercati elettronici. In poche parole, si può ricorrere a procedure autonome, solo quando il bene non può essere acquisito al mercato elettronico oppure, anche se disponibile, è inidoneo alle necessità dell'amministrazione acquirente.
Il tutto, dovrà essere messo per iscritto nella determinazione a contrattare della stessa amministrazione. In difetto di questa rigorosa verifica, la Corte rileva le pesanti conseguenze indicate a tal fine dal decreto legge sulla spending review (il dl n. 95/2012). Ovvero, che i contratti stipulati in violazione di acquisto sui mercati elettronici sono nulli e costituiscono illecito disciplinare e contabile, cui corrisponde un'ipotesi idonea per l'apertura di un fascicolo di responsabilità amministrativa (articolo ItaliaOggi del 23.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Gare, c'è un limite ai requisiti. Da considerare la natura del contratto e il suo valore. La giurisprudenza sul tema del potere discrezionale delle stazioni appaltanti.
Il potere discrezionale della stazione appaltante nel definire requisiti di gara ed elementi di valutazione delle offerte deve essere esercitato tenendo conto della natura del contratto e in modo proporzionato al valore dello stesso. In ogni caso i requisiti non devono essere manifestamente irragionevoli, irrazionali, sproporzionati, illogici ovvero lesivi della concorrenza.

È quanto si deduce dalla giurisprudenza del Consiglio di stato, che ha affrontato il problema, delicato soprattutto in questa fase di contrazione del mercato pubblico degli appalti, connesso ai limiti dell'esercizio del potere discrezionale delle stazioni appaltanti nella definizione dei bandi di gara. Tutto parte dal fatto che l'Amministrazione ha la legittima esigenza di gestire la gara in maniera che il concorrente aggiudicatario risponda a livelli adeguati di affidabilità tecnica, morale e finanziaria.
A tale riguardo si deve però muovere entro precisi confini perché, intanto, è la normativa nazionale e comunitaria, in materia di affidamento di servizi, forniture e lavori pubblici, a definire quali debbano essere gli elementi di valutazione da prendere in considerazione (nel caso dei lavori si definiscono requisiti ad hoc soltanto oltre i 20 milioni come cifra d'affari globale; per il resto vale il possesso dell'attestazione Soa). La questione assume rilievo anche in relazione al fatto che la carenza dei requisiti di partecipazione si traduce necessariamente nell'esclusione dalla gara.
Intanto occorre ricordare che di recente il decreto-legge 95/2012 (conv. in legge 135/2012), per i requisiti di fatturato nei servizi e nelle forniture, ha stabilito la regola che essi sono illegittimi laddove non siano fissati con idonea e congrua motivazione. Per tutti gli altri requisiti i limiti si rinvengono nella normativa nazionale e in quella comunitaria, nonché nella giurisprudenza nazionale. Negli articoli 41 e 42 del Codice vengono elencati alcuni elementi (sia per la capacità economico-finanziaria che per quella tecnico-organizzativa) utili a selezionare i concorrenti (elenco delle attività svolte negli ultimi tre anni, bilanci, attrezzature ecc.) senza fissare un range quantitativo entro il quale definire i valori, cosa invece prevista nel settore dei servizi di ingegneria e architettura (art. 263 del dpr 207/2010).
Non fissando i requisiti la normativa consente alle stazioni appaltanti di fissare i limiti minimi senza vincoli formali (a parte il caso dei servizi di ingegneria e architettura); rimane poi anche la possibilità di fissare diversi requisiti di partecipazione (le due norme del Codice dicono che la capacità del concorrente può essere dimostrata «attraverso uno o più dei seguenti modi»).
Cosa succede quindi quando la stazione appaltante definisce requisiti eccessivi? La giurisprudenza del Consiglio di stato ha ormai stabilito che la stazione appaltante può mettere a punto i requisiti di partecipazione a una gara (così come gli elementi di valutazione delle offerte) definendone anche di più rigorosi o in numero maggiore rispetto a quelli previsti dalla legge, ma ciò deve sempre avvenire nel rispetto del canone di ragionevolezza e in modo non discriminatorio. Laddove ciò non accade si finisce, infatti, per determinare una situazione limitativa della concorrenza, rendendo illegittima la lex specialis, cioè il bando o l'avviso di gara. Per tutte si possono citare le pronunce più significative: Consiglio di stato, sez. IV, 22.10.2004 n. 6972; Id., sez. V, 31.12.2003 n. 9305.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (determinazione 4/2012) ha avuto modo di sintetizzare efficacemente il concetto precisando che i requisiti devono essere fissati «tenendo conto della natura del contratto e in modo proporzionato al valore dello stesso; in ogni caso non devono essere manifestamente irragionevoli, irrazionali, sproporzionati, illogici ovvero lesivi della concorrenza». In particolare i requisiti ulteriori devono giustificati dalla particolare natura del servizio da affidare o dell'opera da realizzare .
Numerosi i casi presi in esame dal giudice amministrativo ed efficacemente messi in risalto in diverse determinazioni dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (per tutte si veda det. 5/2010 e la giurisprudenza in essa richiamata, e Comunicato 20/10/2010). Fra questi, a mero titolo esemplificativo: le limitazioni territoriali (gara aperta soltanto ai professionisti iscritti a un determinato ordine provinciale), i requisiti analoghi esorbitanti, le richieste di organico medio annuo sproporzionate (sei volte le unità fissate), le richieste di esperienze pregresse così specifiche da individuare esattamente il concorrente affidatario.
Analogamente, anche per la fase di valutazione delle offerte gli elementi di valutazione e i criteri motivazionali devono rispondere alle caratteristiche evidenziate e, soprattutto, consentire il sindacato giurisdizionale amministrativo sotto il profilo della logicità e coerenza rispetto alla natura dell'appalto. Non è, per esempio, infrequente il caso di bandi di gara per servizi che prevedono come criteri motivazionali elementi specifici attinenti alla valutazione di particolari figure professionali, inserite nell'offerta tecnica, e che attribuiscano punteggi anche non di poco conto a elementi come la vicinanza della sede del concorrente a quella della stazione appaltante. Difficile in questo caso ritenere congrue e logiche le scelte delle Amministrazioni (articolo ItaliaOggi Sette del 18.03.2013).

LAVORI PUBBLICIIl decreto del Mef è stato pubblicato in G.U. La prima rilevazione al 30 giugno
Opere pubbliche monitorate. Tutte le informazioni alla banca dati della Ragioneria.

Al via il monitoraggio sulle opere pubbliche finanziate dallo Stato.
Con il decreto del Mef 26.02.2013 (pubblicato sulla G.U. n. 54 del 05.03.2013) sono state dettate le modalità attuative dell'art. 5 del dlgs 229/2011.
Nel mirino ci sono i lavori in corso di progettazione o di realizzazione alla data del 21.02.2012 e quelli avviati successivamente.
Alle amministrazioni pubbliche e agli altri soggetti attuatori destinatari di finanziamenti a carico del bilancio statale è imposto l'obbligo di comunicare una nutrita batteria di informazioni di natura finanziaria, fisica e procedurale alla banca dati costituita presso la Ragioneria generale dello Stato.
Il decreto, in particolare, definisce il contenuto informativo minimo da rilevare e le modalità e regole di trasmissione.
A regime, la rilevazione dovrà essere effettuata con cadenza bimestrale (alle date del 28 febbraio, del 30 aprile, del 30 giugno, del 31 agosto, del 31 ottobre e del 31 dicembre di ciascun anno) e i dati dovranno essere resi disponibili entro i 30 giorni successivi.
Solo per il 2013 è prevista una deroga: la rilevazione potrà essere effettuata al 30 giugno e la trasmissione tra il 30 settembre e il 20 ottobre.
Il puntuale adempimento dell'obbligo informativo costituisce presupposto fondamentale per l'erogazione del finanziamento, a pena di blocco dello stesso.
Tale disciplina si colloca nell'ambito del più ampio progetto di realizzazione di un sistema di programmazione, valutazione e monitoraggio della spesa pubblica per investimenti. L'obiettivo è quello di migliorare la gestione delle risorse finanziarie impiegate e di aumentare la conoscenza e la trasparenza complessiva di settore nella prospettiva di migliorare l'efficienza degli interventi.
Per gli enti di minori dimensioni è prevista la facoltà di usufruire dell'ausilio della Rgs nella fase di start-up (articolo ItaliaOggi del 16.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Sulla violazione dell'obbligo della specificazione delle parti di servizio imputate alle singole imprese del raggruppamento.
Nel caso in cui l'oggetto dell'appalto non si presenta come un unico servizio omogeneo, da svolgere eseguendo un'unica tipologia di prestazioni, ma si articola in servizi e prestazioni distinte in relazione alle attività da svolgere, alle forniture da eseguire, al personale ed ai mezzi da impiegare nei servizi da rendere, come nel caso di specie, le imprese che fanno parte del costituendo RTI devono indicare, oltre alle quote di partecipazione, anche le parti del servizio di cui ciascuna intende occuparsi.
La violazione dell'obbligo della specificazione delle "parti" di servizio imputate alle singole imprese del raggruppamento, sancito dall'art. 11, c. 2, l. n. 157 del 1995 (attuale art. 37, c. 4, d.lgs. n. 163 del 2006), non si risolve in una violazione meramente formale, ma incide, in modo sostanziale sulla serietà, affidabilità, determinatezza e completezza, e dunque sugli elementi essenziali dell'offerta, la cui mancanza, pena la violazione dei principi della par condicio e della trasparenza, non è suscettibile di regolarizzazione postuma.
Incide, inoltre, sui poteri di verifica della stazione appaltante in relazione alla coerenza dei requisiti di capacita degli operatori raggruppati con riguardo alla natura della prestazione, in funzione della garanzia della qualità delle prestazioni oggetto dell'appalto e sul un corretto assetto concorrenziale, evitando l'elusione delle norme di ammissione stabilite dai bandi e impedendo la partecipazione fittizia di imprese, non chiamate (o chiamate in modo inappropriato) ad effettuare le prestazioni oggetto della gara (TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 15.03.2013 n. 2705 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Il documento contenuto in un'altra busta non integra inadempimento del bando di gara.
L’interpretazione delle clausole munite di sanzioni espulsive va condotta necessariamente alla luce dell’art. 46, c. 1-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, che fa riferimento ai casi “di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte”.
Poiché, in questa circostanza i plichi erano integri, completi, sicuramente provenienti e sottoscritti e non mancava l’atto richiesto. Secondo i giudici del Consiglio di Stato non è quindi possibile interpretare tale contesto fuori dal principio di tassatività delle cause d’esclusione indicate dalla norma.
Più precisamente, nella pronuncia in commento si contestava la violazione della lex specialis di una procedura negoziata, in quanto la “domanda di autorizzazione di commercio all’ingrosso di farmaci” era stata rinvenuta nella busta della documentazione amministrativa, e non in quella della documentazione tecnica, come era invece richiesto dal bando.
Ma secondo i giudici di Palazzo Spada ciò non integra affatto un inadempimento della legge di gara, perché lo stesso seggio di gara dava atto che, nella busta della documentazione tecnica dell’aggiudicataria, era presente il predetto documento (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 14.03.2013 n. 1533 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIIl Sindaco del Comune di Menaggio (CO) ha posto alla Sezione una richiesta di parere articolata in tre distinti quesiti (ed ulteriori sub-quesiti), in merito all’art. 1 del D.L. n. 95/2012, all’art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012, ed infine all’art 18 del D.L. n. 83/2012.
Più nel dettaglio, l’organo rappresentativo dell’ente osserva quanto segue.
1. Art. 1 del D.L. n. 95/2012
L’art. 26 della legge n. 488/1999, comma 3, dispone che le amministrazioni pubbliche possono ricorrere alle convenzioni stipulate ai sensi del comma 1, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche utilizzando procedure telematiche per l'acquisizione di beni e servizi (...). La stipulazione di un contratto in violazione del presente comma è causa di responsabilità amministrativa; ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo previsto nelle convenzioni e quello indicato nel contratto.
L’ultimo periodo dell’art. 26, comma 3, contempla una specifica deroga per quanto concerne le amministrazioni locali di più ridotte dimensioni, prevedendo quanto segue: “Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e ai comuni montani con popolazione fino a 5.000 abitanti”.
L’art. 1 del D.L. 95/2012, convertito in Legge 135/2012, prevede -al comma 1- che “i contratti stipulati in violazione dell'articolo 26, comma 3 della legge 23.12.1999, n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da CONSIP S.p.A. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa”.
Nel merito, si chiede di conoscere se il ricorso alle convenzioni Consip, MEPA ovvero Centrali di committenza regionali da parte dei comuni montani o al di sotto comunque dei 1.000 abitanti rimanga facoltativo e, quindi, non obbligatorio. Nel caso di conferma circa la vigenza dell’art. 26, comma 3, della L. n. 488/1999 per gli enti di minori dimensioni demografiche, si chiede di conoscere se i prezzi e le tariffe Consip/MEPA debbano essere, comunque, oggetto di comparazione.
2. Art. 4 comma 6 del D.L. 95/2012
Il secondo quesito riguarda l’esatta interpretazione dell’art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012, il quale prevede quanto segue: “a decorrere dal 01.01.2013, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell'amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l'alta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni ed attività culturali, dell'istruzione e della formazione, le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 07.12.2000, n. 383, gli enti di volontariato di cui alla legge 11.08.1991, n. 266, le organizzazioni non governative di cui alla legge 26.02.1987, n. 49, le cooperative sociali di cui alla legge 08.11.1991, n. 381, le associazioni sportive dilettantistiche di cui all'articolo 90 della legge 27.12.2002, n. 289, nonché le associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali”.
In merito alla suddetta norma l’ente chiede un parere sulla possibilità da parte degli enti locali di erogare contributi a soggetti e/o associazioni che svolgono la propria attività a favore della cittadinanza (e indirettamente a favore del Comune).
Inoltre, il sindaco domanda se le Pro Loco possano essere annoverate tra le “associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali” per le quali la norma prevede una esclusione dell’applicazione della norma, ovvero se solo quelle iscritte nei registri nazionali o regionali previsti dalla legge 383/2000 (Associazioni di promozione sociale) possono beneficiare di detta esclusione.
3. Art. 18 del D.L. n. 83/2012
L’art. 18 del D.L. n. 83/2012 dispone quanto segue: “1. La concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese e l'attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere di cui all'articolo 12 della legge 07.08.1990, n. 241 ad enti pubblici e privati, sono soggetti alla pubblicità sulla rete internet, ai sensi del presente articolo e secondo il principio di accessibilità totale di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150.
2. Nei casi di cui al comma 1 ed in deroga ad ogni diversa disposizione di legge o regolamento, nel sito internet dell'ente obbligato sono indicati: a) il nome dell'impresa o altro soggetto beneficiario ed i suoi dati fiscali; b) l'importo; c) la norma o il titolo a base dell'attribuzione; d) l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del relativo procedimento amministrativo; e) la modalità seguita per l'individuazione del beneficiario; f) il link al progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato, nonché al contratto e capitolato della prestazione, fornitura o servizio.
3. Le informazioni di cui al comma 2 sono riportate, con link ben visibile nella homepage del sito, nell'ambito dei dati della sezione «Trasparenza, valutazione e merito» di cui al citato decreto legislativo n. 150 del 2009, che devono essere resi di facile consultazione, accessibili ai motori di ricerca ed in formato tabellare aperto che ne consente l'esportazione, il trattamento e il riuso ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196.
4. Le disposizioni del presente articolo costituiscono diretta attuazione dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità sanciti dall'articolo 97 della Costituzione, e ad esse si conformano entro il 31.12.2012, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettere g), h), l), m), r) della Costituzione, tutte le pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali, le aziende speciali e le società in house delle pubbliche amministrazioni. Le regioni ad autonomia speciale vi si conformano entro il medesimo termine secondo le previsioni dei rispettivi Statuti.
5. A decorrere dal 01.01.2013, per le concessioni di vantaggi economici successivi all'entrata in vigore del presente decreto-legge, la pubblicazione ai sensi del presente articolo costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante delle concessioni ed attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare previste dal comma 1, e la sua eventuale omissione o incompletezza è rilevata d'ufficio dagli organi dirigenziali e di controllo, sotto la propria diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per l'indebita concessione o attribuzione del beneficio economico. La mancata, incompleta o ritardata pubblicazione è altresì rilevabile dal destinatario della prevista concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 30 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 02.07.2010, n. 104
”.
In relazione al suindicato art. 18 del D.L n. 83/2012, il Comune chiede se siffatta pubblicazione, per l’importo superiore ad euro 1.000,00, sia riferita esclusivamente alla concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese e all'attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere di cui all'articolo 12 della legge 07.08.1990, n. 241, ovvero si riferisca a qualsiasi tipologia di spesa superiore a detto importo.
...
La Sezione si pronuncia in ordine alla richiesta di parere del Sindaco del Comune di Menaggio (CO), articolata in tre distinti quesiti, in merito all’art. 1 del D.L. n. 95/2012, all’art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012 ed all’art. 18 del D.L. n. 83/2012.
Primo quesito: la Sezione osserva che
l’unica ipotesi in cui possano ritenersi consentite procedure autonome è quella in cui il bene e/o servizio non possa essere acquisito secondo le modalità sin qui descritte; ovvero, pur disponibile, si appalesi –per mancanza di qualità essenziali– inidoneo rispetto alle necessità della amministrazione procedente.
Tale specifica evenienza dovrà essere prudentemente valutata e dovrà trovare compiuta evidenza nella motivazione della determinazione a contrattare i cui contenuti, per l’effetto, si arricchiscono. In difetto di siffatta rigorosa verifica l’avvenuta acquisizione di beni e servizi, secondo modalità diverse da quelle previste dal novellato art. 1, comma 450, da parte di comuni di qualsivoglia dimensione demografica, nella ricorrenza dei presupposti per il ricorso al Me.PA, inficerà il contratto stipulato ai sensi del disposto di cui all’art. 1, comma 1, L. 135/2012 comportando le connesse responsabilità.
Infatti, il Me.PA, è ascrivibile al genus degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip Spa. E’ fatta salva la disciplina speciale dell’art. 1, comma 7, del d.l. n. 95/2012, più volte richiamata in precedenza, in relazione a puntuali categorie merceologiche.

Secondo quesito: la Sezione osserva che
il divieto di erogazione di contributi ricomprende l’attività prestata dai soggetti di diritto privato menzionati dalla norma in favore dell’Amministrazione Pubblica quale beneficiaria diretta; risulta, invece, esclusa dal divieto di legge l’attività svolta in favore dei cittadini, id est della “comunita' amministrata”, seppur quale esercizio -mediato- di finalità istituzionali dell’ente locale e dunque nell’interesse di quest’ultimo.
Il discrimine appare, in sostanza, legato all’individuazione del fruitore immediato del servizio reso dall’associazione.

Terzo quesito: per quanto concerne il terzo quesito
sulla tipologia di atti rientranti nell’obbligo di pubblicazione ex art. 18 del D.L n. 83/2012, il Collegio osserva che –in virtù dell’espresso tenore letterale della norma soprarichiamata– vi sono assoggettati:
a) gli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese;
b) gli atti di attribuzione, comunque, di vantaggi economici di qualunque genere a enti pubblici e privati ex art. 12 L. n. 241/1990;
c) gli atti di attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 14.03.2013 n. 89).

APPALTILavori da saldare sempre a 30 giorni
È illegittima la clausola che subordina il pagamento di un corrispettivo di un appalto all'avvenuto finanziamento da parte di un ente terzo; è sempre a 30 giorni il pagamento dei lavori perché prevale il decreto 192 sul regolamento del codice dei contratti pubblici.

È quanto afferma la Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo per la Puglia, con il parere 14.03.2013 n. 53, che ha preso in considerazione due profili di particolare delicatezza su richiesta di parere di un ente locale.
Si chiedeva in primo luogo se, nei contratti stipulati con imprese relativi a lavori pubblici finanziati da altre amministrazioni, i pagamenti potessero essere effettuati dopo l'accredito delle relative somme da parte degli enti erogatori, mediante previsione espressa nei bandi di gara e nei relativi contratti d'appalto.
La Corte nega decisamente la legittimità di una clausola di gara come quella proposta dall'ente locale sul presupposto che il rapporto contrattuale investe infatti soltanto l'ente locale, ma non chi finanzia; è pertanto la stazione appaltante, all'atto dell'affidamento dei lavori che assume l'obbligo contrattuale diretto, rimanendo estraneo a tale rapporto la sussistenza di un rapporto di finanziamento con soggetti.
Per la delibera l'eventuale clausola che subordinasse la corresponsione del corrispettivo al ricevimento del finanziamento sarebbe illegittima. Stessa sorte avrebbe la clausola che dovesse escludere la maturazione di interessi a favore dell'appaltatore per effetto di ritardi da parte dell'ente finanziatore negli accrediti di rate di finanziamento. Da qui l'indicazione della Corte a che la stazione appaltante valuti la propria possibilità autonoma di pagamento e, in assenza di tale possibilità, non proceda all'affidamento dei lavori.
D'altro canto per principio generale le disposizioni dettate sui termini di pagamento e di corresponsione degli interessi di mora non possono essere derogate in danno dell'appaltatore.
In secondo luogo si poneva il problema se fosse tuttora applicabile ai pagamenti delle amministrazioni le norme del codice dei contratti pubblici (art. 133) e del regolamento (artt. 143 e 144 del dpr 207/2010). Premessa la prevalenza delle norme comunitarie di recepimento della direttiva «ritardati pagamenti», come recepite nel decreto 192/2012, la Corte dei conti precisa che alla luce della normativa Ue devono essere interpretate e applicate le norme nazionali con esse configgenti.
Pertanto non potranno essere considerate più applicabili le norme del dpr 207 che definiscono interessi di mora in misura diversa da quella prevista dal decreto 192/12 (tasso d'interesse pari a quello applicato dalla Bce, maggiorato dell'8% senza necessità di costituzione in mora). Inapplicabili sono, poi, le norme che fissano il termine di 45 giorni per l'emissione del certificato di pagamento del Sal (art. 143, comma 1, dpr n. 207/2010), oggi da considerare fissato a 30 giorni dalla normativa di recepimento della direttiva europea.
Pertanto risulta illegittimo, per la Corte, inserire clausole contrattuali che pattuiscano termini maggiori per i pagamenti, «nel nome di giustificazioni derivanti dalla natura o l'oggetto del contratto o da circostanze esistenti al momenti della sua stipulazione» (articolo ItaliaOggi del 16.04.2013).

APPALTI: L’informativa prefettizia non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo sull’esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e di un condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari da cui emergano gli elementi di pericolo di dette infiltrazioni mafiose ma tali elementi devono comunque essere costanti e attuali e riferibili all’attività di impresa con un certo grado di probabilità e consequenzialità.
In merito, non è posta in discussione la discrezionalità di cui dispone il Prefetto nella ricerca e ponderazione degli elementi dai quali possa dedursi, nel quadro della disciplina dettata dal d.lgs. n. 252/1998, l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società ed imprese con le quali le pubbliche amministrazioni stipulano contratti o nei cui confronti autorizzano o comunque consentono concessioni o erogazioni ma tale potere deve comunque essere esercitato con prudente bilanciamento fra la libertà di iniziativa dell’impresa e la concorrente tutela delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico cui sono indirizzate le norme di prevenzione in questione, con la conseguenza che il complesso degli elementi sintomatici ed indiziari che emergono nella fase istruttoria che precede l’adozione del provvedimento devono, quantomeno, configurarsi idonei, nella loro emergenza ed oggettiva potenzialità, ad indurre con efficienza casuale e con carattere di attualità la situazione di condizionamento da parte della criminalità organizzata dell’impresa sottoposta a monitoraggio.
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La giurisprudenza ha precisato che l'accertamento dell'esistenza di un legame di parentela o affinità con soggetti inquisiti o condannati per reati di mafia non determina automaticamente la sussistenza di tentativi di infiltrazioni criminali nella impresa, occorrendo che vengano provati gli effettivi ed attuali tentativi di condizionamento degli indirizzi e delle scelte della società.
Ciò perché l’informativa prefettizia è strumento che, pur potendosi fondare su un attendibile giudizio di possibilità secondo la nozione di pericolo, poiché non occorre che sia provata l'esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, essendo invece sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, ancorché ragionevole e circostanziato, “la mera possibilità di interferenze malavitose rivelata da fatti idonei a configurarne il substrato", deve essere utilizzato, oltre che con estremo rigore, anche con estrema attenzione e cautela, perché il suo meccanismo opera incidendo nel delicato equilibrio, proprio dell'ordinamento democratico, che sussiste tra diritti di difesa e di libertà di impresa, da un lato, ed esigenze di politica repressiva e preventiva, dall'altro.

Il Collegio è ben conscio che l’informativa prefettizia non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo sull’esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e di un condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma che può essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari da cui emergano gli elementi di pericolo di dette infiltrazioni mafiose (Cons. Stato, Sez. III, n. 4360/2011) ma tali elementi devono comunque essere costanti e attuali e riferibili all’attività di impresa con un certo grado di probabilità e consequenzialità.
In merito, non è posta in discussione la discrezionalità di cui dispone il Prefetto nella ricerca e ponderazione degli elementi dai quali possa dedursi, nel quadro della disciplina dettata dal d.lgs. n. 252/1998, l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società ed imprese con le quali le pubbliche amministrazioni stipulano contratti o nei cui confronti autorizzano o comunque consentono concessioni o erogazioni ma tale potere deve comunque essere esercitato con prudente bilanciamento fra la libertà di iniziativa dell’impresa e la concorrente tutela delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico cui sono indirizzate le norme di prevenzione in questione, con la conseguenza che il complesso degli elementi sintomatici ed indiziari che emergono nella fase istruttoria che precede l’adozione del provvedimento devono, quantomeno, configurarsi idonei, nella loro emergenza ed oggettiva potenzialità, ad indurre con efficienza casuale e con carattere di attualità la situazione di condizionamento da parte della criminalità organizzata dell’impresa sottoposta a monitoraggio (Cons. Stato, n. 204/2013 cit.).
Come detto, nel caso in esame, i fatti di rilevanza penale risalivano nel tempo a due anni e mezzo addietro e nessun ulteriore elemento è contenuto nella motivazione dell’informativa in merito all’esistenza, con carattere di prossimità, attualità ed immanenza, del pericolo di condizionamento malavitoso al momento dell’adozione dell’informativa in questione (Cons. Stato, Sez. VI, 10.02.2010, n. 684).
Tale valutazione non poteva essere sostenuta comunque dall’unica altra circostanza presa in considerazione dal Prefetto, legata al mero rapporto di coniugio con il nuovo amministratore della società, in assenza dell’individuazione di pluralità di rapporti parentali e di riferimento ad unico centro di interessi malavitosi e di ulteriori circostanze significative che ne confermino i presupposti potenziali di infiltrazione mafiosa. La giurisprudenza ha infatti precisato che l'accertamento dell'esistenza di un legame di parentela o affinità con soggetti inquisiti o condannati per reati di mafia non determina automaticamente la sussistenza di tentativi di infiltrazioni criminali nella impresa, occorrendo che vengano provati gli effettivi ed attuali tentativi di condizionamento degli indirizzi e delle scelte della società (Cons. Stato, Sez. VI, 17.07.2006, n. 4574 e 02.05.2007, n. 1916; Sez. V, 29.08.2005, n. 4408).
Ciò perché –come prima già anticipato– l’informativa prefettizia è strumento che, pur potendosi fondare su un attendibile giudizio di possibilità secondo la nozione di pericolo (Cons. Stato, Sez. VI, 11.09.2001, n. 4724), poiché non occorre che sia provata l'esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, essendo invece sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, ancorché ragionevole e circostanziato, “la mera possibilità di interferenze malavitose rivelata da fatti idonei a configurarne il substrato" (Cons. Stato, Sez. V, 23.06.2008, n. 3090), deve essere utilizzato, oltre che con estremo rigore, anche con estrema attenzione e cautela, perché il suo meccanismo opera incidendo nel delicato equilibrio, proprio dell'ordinamento democratico, che sussiste tra diritti di difesa e di libertà di impresa, da un lato, ed esigenze di politica repressiva e preventiva, dall'altro (TAR Calabria, Cz, Sez. I, 17.04.2012, n. 402) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 13.03.2013 n. 2659 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIE' perentorio anche il termine di cui al comma 2 dell’art. 48 del d.lgs. nr. 163 del 2006, oltre che quello del comma 1, come peraltro confermato anche dalla più recente introduzione nella norma del comma 1-bis il quale, richiamando solo in parte il precedente comma 1, conferma a contrario che il successivo richiamo contenuto nel comma 2 deve intendersi integrale, con conseguente identità di “regime” anche quanto al termine per la produzione comprovante il possesso dei requisiti dichiarati.
Ritenuto che l’ordinanza appellata appare meritevole di conferma, tenuto conto che il più recente indirizzo giurisprudenziale –che questo Collegio condivide– è nel senso della perentorietà anche del termine di cui al comma 2 dell’art. 48 del d.lgs. nr. 163 del 2006, oltre che di quello del comma 1 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 08.03.2012, nr. 1321), come peraltro confermato anche dalla più recente introduzione nella norma del comma 1-bis il quale, richiamando solo in parte il precedente comma 1, conferma a contrario che il successivo richiamo contenuto nel comma 2 deve intendersi integrale, con conseguente identità di “regime” anche quanto al termine per la produzione comprovante il possesso dei requisiti dichiarati (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 13.03.2013 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIPur trattandosi di soggetto con struttura ed identità autonoma rispetto a quella delle cooperative consorziate, il possesso dei requisiti generali e morali ex art. 38 codice appalti deve essere verificato non solo in capo al consorzio, ma anche alle consorziate, dovendosi ritenere cumulabili in capo al consorzio i soli requisiti di idoneità tecnica e finanziaria ai sensi dell’art. 35 codice appalti.
La diversa opzione ermeneutica condurrebbe invero a conseguenze paradossali in quanto le stringenti garanzie di moralità professionale richieste inderogabilmente ai singoli imprenditori potrebbero essere eluse da cooperative che, attraverso la costituzione di un consorzio con autonoma identità, riuscirebbero di fatto ad eseguire lavori e servizi per le pubbliche amministrazioni alle cui gare non sarebbero state singolarmente ammesse.
Nel senso qui seguito è la giurisprudenza secondo cui, mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono essere riferiti al consorzio (come previsto dall’art. 35 codice appalti), i requisiti generali di partecipazione alla procedura di affidamento previsti dall’art. 38 codice citato devono essere posseduti dalle singole imprese consorziate; se, infatti, in caso di consorzi, tali requisiti andassero accertati solo in capo al consorzio e non anche in capo ai consorziati che eseguono le prestazioni, il consorzio potrebbe agevolmente diventare uno schermo di copertura consentendo la partecipazione di consorziati privi dei necessari requisiti; per gli operatori che non hanno i requisiti dell’art. 38 (si pensi al caso di soggetti con condanne penali per gravi reati incidenti sulla moralità professionale) basterebbe, anziché concorrere direttamente andando incontro a sicura esclusione, aderire a un consorzio da utilizzare come copertura.

Ritiene, infatti, il Collegio di condividere le argomentazioni espresse sul punto dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8/2012.
La predetta decisione, che ha affrontato un caso analogo a quello per cui è causa, in quanto riguardante un consorzio fra società cooperative di produzione e lavoro, ha affermato che ammettere la sostituzione successiva della consorziata, in caso di esito negativo della verifica sul possesso dei requisiti generali, significherebbe, di fatto, rendere vano il controllo preventivo ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 in capo alla ditta originariamente indicata nella domanda di partecipazione.
Ai sensi dell’art. 37, comma 7, del codice dei contratti pubblici, in effetti, i consorzi di cui all'articolo 34, comma 1, lettera b) (consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro, e consorzi tra imprese artigiane), sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorra.
In applicazione di tale disposizione, la lex specialis di gara aveva richiesto al sodalizio di indicare preventivamente la ditta incaricata per l’esecuzione dell’appalto, onde consentire la verifica dei requisiti di ordine generale; il consorzio, di conseguenza, aveva fatto presentare a Baviera Costruzioni, una delle due società indicate per l’affidamento dei lavori, un’autodichiarazione attestante la sua regolarità contributiva.
Tale autodichiarazione, peraltro, in sede di verifica dei requisiti, è risultata falsa (elemento di fatto non contestato dalla ricorrente), di modo che il consorzio si è visto costretto a sostituire la ditta non in regola con un’altra.
Sostiene la ricorrente che il consorzio non avrebbe responsabilità in ordine alle eventuali dichiarazioni mendaci o erronee rilasciate dai propri soci, essendo un soggetto giuridico distinto ed autonomo rispetto alle singole imprese che lo compongono.
A questo riguardo appare sufficiente richiamare quanto espresso, in senso contrario, dalla decisione dell’Adunanza Plenaria su citata: “Pur trattandosi di soggetto con struttura ed identità autonoma rispetto a quella delle cooperative consorziate, il possesso dei requisiti generali e morali ex art. 38 codice appalti deve essere verificato non solo in capo al consorzio, ma anche alle consorziate, dovendosi ritenere cumulabili in capo al consorzio i soli requisiti di idoneità tecnica e finanziaria ai sensi dell’art. 35 codice appalti.
La diversa opzione ermeneutica condurrebbe invero a conseguenze paradossali in quanto le stringenti garanzie di moralità professionale richieste inderogabilmente ai singoli imprenditori potrebbero essere eluse da cooperative che, attraverso la costituzione di un consorzio con autonoma identità, riuscirebbero di fatto ad eseguire lavori e servizi per le pubbliche amministrazioni alle cui gare non sarebbero state singolarmente ammesse.
Nel senso qui seguito è la giurisprudenza secondo cui, mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono essere riferiti al consorzio (come previsto dall’art. 35 codice appalti), i requisiti generali di partecipazione alla procedura di affidamento previsti dall’art. 38 codice citato devono essere posseduti dalle singole imprese consorziate; se, infatti, in caso di consorzi, tali requisiti andassero accertati solo in capo al consorzio e non anche in capo ai consorziati che eseguono le prestazioni, il consorzio potrebbe agevolmente diventare uno schermo di copertura consentendo la partecipazione di consorziati privi dei necessari requisiti; per gli operatori che non hanno i requisiti dell’art. 38 (si pensi al caso di soggetti con condanne penali per gravi reati incidenti sulla moralità professionale) basterebbe, anziché concorrere direttamente andando incontro a sicura esclusione, aderire a un consorzio da utilizzare come copertura [Cons. St., sez. V, 15.06.2010, n. 3759; Id., sez. IV, 27.06.2007, n. 3765; Id., sez. V, 05.09.2005, n. 4477; Id., sez. V, 30.01.2002, n. 507]
”.
Ne consegue che il consorzio è stato legittimamente escluso dalla procedura, in quanto, da un lato, una delle imprese consorziate espressamente indicate per l’affidamento dell’appalto non possedeva i prescritti requisiti generali di partecipazione alla gara, dall’altro, tale impresa aveva presentato una dichiarazione sostitutiva falsa.
Né la legittimità del provvedimento impugnato può essere inficiata dalla circostanza della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento alle imprese consorziate o dal mancato rispetto dei trenta giorni per la conclusione del procedimento di esclusione (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 13.03.2013 n. 674 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulle conseguenze derivanti dalla mancata allegazione del documento di identità alla dichiarazione sostitutiva sui requisiti generali prescritti dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
L'allegazione della copia fotostatica del documento del sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva, prescritta dal c. 3 dell'art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000, è adempimento inderogabile, atto a conferire, in considerazione della sua introduzione come forma di semplificazione, legale autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione e giuridica esistenza ed efficacia all'autocertificazione.
Si tratta di un elemento integrante della fattispecie normativa, teso a stabilire, data l'unità della fotocopia sostitutiva del documento di identità e della dichiarazione sostitutiva, un collegamento tra la dichiarazione ed il documento ed a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imputabilità soggettiva della dichiarazione al soggetto che la presta.
L'assenza della copia fotostatica del documento di identità alla dichiarazione sostitutiva sui requisiti generali prescritti dall'art. 38 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006) non determina, pertanto, una mera incompletezza del documento, idonea a far scattare il potere di soccorso della stazione appaltante tramite la richiesta di chiarimenti sul suo contenuto ex art. 46 d.lgs. n. 163/2006, ma la sua giuridica inesistenza con la conseguenza che, in ossequio al principio della par condicio e della parità di trattamento tra le imprese partecipanti, l'impresa deve essere esclusa per mancanza della prescritta dichiarazione (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 13.03.2013 n. 223 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: L. Bellagamba, La sponsorizzazione ordinaria e quella nel settore dei beni culturali - Il D.M. 19.12.2012 (13.03.2013 - ricevuto da e tratto da www.linobellagamba.it).

LAVORI PUBBLICINo a leasing in costruendo che aggiri l'indebitamento
Gli enti locali non possono utilizzare il leasing in costruendo per aggirare i limiti all'indebitamento.

Lo stop arriva dalla Sez. regionale di controllo della Corte dei Conti per il Veneto, che con il parere 12.03.2013 n. 74 conferma la linea del rigore tracciata in passato dalle sezioni riunite con la deliberazione n. 49/2011.
Il leasing immobiliare è un particolare tipo di contratto che ha come finalità principale la realizzazione di un'opera, ma che può talora comprendere anche un'importante componente di finanziamento.
In pratica, una delle parti (tipicamente, come nel caso in esame, quella pubblica) si impegna a pagare un canone periodico per ottenere la disponibilità del bene che la controparte realizza, con possibilità di riscattarlo dopo un certo numero di anni.
La configurazione del rapporto e le sue conseguenze contabili dipendono dalla ripartizione dei rischi inerenti l'esecuzione e la gestione dell'opera: ove questi ultimi ricadano sul soggetto pubblico, l'operazione si configura sostanzialmente come indebitamento. Pertanto, essa risulta preclusa per tutti gli enti che hanno sforato il Patto di stabilità interno (una delle relative sanzioni consiste proprio nel divieto di assumere nuovi debiti) e per quelli che hanno superato il tetto massimo nel rapporto sugli interessi (attualmente fissato al 4% delle entrate correnti).
Solo nel caso in cui il privato si assuma i predetti rischi, il leasing non ha effetti sull'indebitamento: in tal caso, il bene entra nel patrimonio dell'ente solo al momento del riscatto e il canone periodico viene contabilizzato fra le spese correnti.
Gli enti locali dispongono di una certa discrezionalità nella scelta del metodo di contabilizzazione, ma la giurisprudenza contabile è ferma nel considerare come elusivi dei vincoli di finanza pubblica, e quindi sanzionabili, i contratti che, dietro la facciata di un'operazione di partenariato pubblico-privato con utilizzo di risorse private, celano un sostanziale indebitamento.
Anche nel parere della sezione veneta, pertanto, viene espresso un deciso favor a favore della contabilizzazione con il cosiddetto metodo finanziario, che impone di rilevare in bilancio il debito imputando le uscite alle spese correnti per la componente interessi ed alle spese di rimborso prestiti per la quota capitale (articolo ItaliaOggi del 19.03.2013).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 12.03.2013 n. 60 "Approvazione delle norme tecniche e linee guida in materia di sponsorizzazioni di beni culturali e di fattispecie analoghe o collegate" (Ministero per i Beni e le Attività Culturali, decreto 19.12.2012).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIAcquisti pubblici, la mappa degli obblighi. Dopo l'estensione del perimetro di Consip e delle centrali locali una bussola per tutti gli enti della Pa.
Spending review. I contratti autonomi sono ammessi solo in via residuale: se la fornitura è più «cara» scattano l'annullamento e la responsabilità del funzionario.
La Pa ormai deve comprare solo all'ingrosso. Sono poche le amministrazioni che dopo il massiccio intervento della spending review, possono sottrarsi all'obbligo di rifornirsi da una centrale di acquisto, sia essa la Consip, mega struttura dell'Economia, o una delle centrali di acquisto a livello locale, di fatto organizzate su base territoriale dalle Regioni.
Gli ultimi ritocchi al programma di razionalizzazione degli acquisti della Pa sono entrati in vigore con la legge di stabilità, il 1° gennaio di quest'anno. La legge 228/2012 ha chiarito alcuni aspetti di dettaglio della riforma varata con il decreto Salva Italia (Dl 201/2011) e con gli analoghi provvedimenti sulla spending review (Dl 52 e 95 del 2012). Tra questi, ad esempio, c'è la possibilità per le amministrazioni statali che hanno già in corso un contratto con un fornitore a prezzi più bassi rispetto a quelli Consip, di mantenere in vita l'accordo «a condizione che tra l'amministrazione interessata e l'impresa –recita la norma– non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza».
Ma la riscrittura delle procedure di acquisto per ministeri, Comuni, Province, Regioni, scuole e, per la prima volta in modo così massiccio, anche per gli enti del servizio sanitario nazionale è avvenuta, appunto, con i decreti sulla spending review. Ora il quadro è totalmente cambiato: sono pochi i casi di amministrazioni che "sfuggono" alla regola dell'acquisto centralizzato, sia per forniture di beni e servizi di valore superiore alla soglia comunitaria (fino al 2014 pari a 130mila euro per le amministrazioni statali e a 200mila per le altre).
A riepilogare gli obblighi di acquisto per tutte le tipologie di ente è la Consip con una tabella sintetica (da oggi in versione integrale anche su tre siti: www.dag.mef.gov.it, www.acquistinretepa.it e www.consip.it). In questo modo, a colpo d'occhio le amministrazioni hanno rapido accesso alla normativa applicabile in base alla propria categoria di appartenenza (amministrazione centrale, regionale, territoriale, Asl, scuole e organismi di diritto pubblico), alla tipologia di acquisto (importi superiori o inferiori alla soglia comunitaria) e al tipo di merce da acquistare. In questo ultimo caso, infatti, la distinzione riguarda le categorie merceologiche per le quali il ricorso a Consip è obbligatorio (il primo riquadro rosso della tabella) e quelle per le quali invece, spesso, l'offerta Consip o delle centrali regionali di acquisto è solo facoltativa.
Ma, in realtà, la tabella mostra proprio l'estensione del metodo Consip a gran parte delle amministrazioni, senza molte distinzioni né di importo della fornitura, né merceologiche. Le convenzioni, ad esempio, ovvero l'acquisto centralizzato del bene tramite fornitori pre-selezionati da Consip con gara, sono infatti la prima strada obbligata di approvvigionamento, non più solo per i ministeri, ma anche per le scuole e per le società partecipate. Solo Regioni, Province e Comuni possono scegliere un'altra strada che è comunque l'acquisto centralizzato presso la centrale regionale, se esiste.
Al contrario, gli acquisti autonomi sono dappertutto l'ultima ratio e le amministrazioni devono comunque riuscire da sole a spuntare –operazione non certo facile– prezzi competitivi rispetto a quelli dei "giganti" degli acquisti.
Ora, poi, le scelte degli enti non sono prive di conseguenze: i decreti sulla spending review infatti hanno previsto che i contratti stipulati in violazione delle procedure di acquisto sono nulli e costituiscono per il funzionario che li firma «illecito disciplinare e causa di responsabilità amministrativa» (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013).

APPALTI: Stazione unica appalti in Unione o convenzione. La scelta dipende dalla gestione associata già in funzione.
Piccoli Comuni. L'organismo va attivato entro marzo negli enti fino a 5mila abitanti.

Mentre gli enti locali più piccoli sono intenti a discutere sulle funzioni fondamentali da gestire insieme, tramite Unione o convenzione, un servizio interno da associare con immediatezza è quello che si occupa degli appalti finalizzati alla realizzazione dei lavori pubblici e all'acquisizione di beni e di servizi.
I Comuni con popolazione fino a 5mila abitanti devono accentrare queste procedure secondo lo schema della «Stazione unica appaltante» o della «Centrale unica di committenza» (articolo 33 del Dlgs 163/2006), con decorrenza dalle gare bandite successivamente al 31.03.2013 (lo prevedono l'articolo 23, comma 5, del Dl 201/2011 e l'articolo 29 del Dl 216/2011).
È ormai acquisito che l'obbligo in esame riguarda solo le procedure di gara (ufficiale o ufficiosa), mentre ogni ente rimane responsabile delle fasi a monte (programmazione/progettazione) e a valle (esecuzione). Ogni ente (o ufficio associato) provvede inoltre autonomamente agli affidamenti diretti nei casi consentiti dall'ordinamento (si veda Corte dei conti, sezione Piemonte, parere n. 271 del 06.07.2012).
Resta peraltro l'opportunità di associare anche l'ufficio acquisti, che costituisce uno strumento essenziale ai fini della razionalizzazione della spesa degli enti locali; non a caso questa facoltà diviene obbligo entro la fine del 2013, come previsto dall'articolo 14, comma 27, del Dl 78/2010, che dispone l'obbligo per i piccoli Comuni di gestire in forma associata «l'organizzazione generale dell'amministrazione».
Meno chiaro e tassativo è il contenuto di questa norma con riferimento ai lavori pubblici - anche se sarebbe paradossale non considerarli all'interno delle funzioni «fondamentali» dell'ente.
La scadenza in esame va necessariamente posta in raccordo con le disposizioni in materia di associazionismo, potendo distinguere anche alla luce di tale previsione due ipotesi:
a) se al 31.03.2013 risulta costituita una Unione di Comuni, l'obbligo di costituzione della centrale di committenza dovrà gravare verosimilmente sull'Unione stessa, in una logica complessiva conforme allo spirito dell'intervento normativo. È stato affermato che i piccoli Comuni possono fare ricorso a una pluralità di forme associative, fermo restando il divieto di scomposizione di ogni singola funzione; vista la trasversalità delle gare ad evidenza pubblica sembra possibile sostenere che questa gestione debba essere ricondotta all'insieme delle funzioni fondamentali quale funzione strumentale o connessa (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle gare riguardanti l'edilizia scolastica o la fornitura di materiale scolastico);
b) se invece al 31.03.2013 l'Unione non è ancora costituita, o se i Comuni hanno deciso di stipulare una convenzione per la gestione associata delle funzioni fondamentali, sembra gravare sugli stessi l'obbligo di stipulare un «accordo consortile» - al quale la norma fa riferimento e che va inteso tuttavia nel senso previsto dall'articolo 30 del Dlgs 267/2000.
Il riferimento ai consorzi in questa delicata materia è in palese contraddizione con quanto affermato in altra recente opzione espressa dal legislatore statale (legge Finanziaria 2010), che ha immaginato la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali (articolo 2, comma 186, legge 191/2009). Il probabile "refuso" legislativo, quindi, non può che essere interpretato in modo coerente con la normativa generale in materia di gestione associata dei servizi, che prevede due sole forme: l'Unione e la convenzione.
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Le opzioni
01|LA SCADENZA
Entro il 31 marzo i Comuni con popolazione compresa entro i 5mila abitanti devono associare nella Stazione unica appaltante, per una popolazione superiore alla soglia, gli uffici che si occupano degli appalti per la realizzazione di lavori e per le prestazioni di servizi
02|LE UNIONI
La scadenza si intreccia con l'obbligo di avviare la gestione associata negli stessi enti di almeno tre funzioni fondamentali a partire da quest'anno, mentre dall'anno prossimo sarà l'intero novero delle funzioni fondamentali a dover essere associato. Negli enti in cui è già costituita un'Unione, può essere questa l'organizzazione a cui collegare la stazione unica appaltante
03|L'ALTERNATIVA
In linea con gli obblighi generali di gestione associata, anche la convenzione può essere utilizzata come strumento per avviare la stazione unica appaltante. Fuori linea appare invece il richiamo della norma agli accordi consortili, perché i consorzi sono stati soppressi nel 2009
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Forme alternative. L'infortunio della norma. Da escludere il ricorso a nuovi consorzi.
IL «REFUSO»/ Il richiamo agli «accordi consortili» nella legge è in netto contrasto con la Finanziaria 2010 che li ha aboliti.

L'interpretazione che vede il riferimento ai consorzi come "refuso" normativo nella disciplina sulla Stazione unica appaltante ha certamente il pregio di evitare la costituzione di ulteriori organi consortili e con essi le relative spese. Ogni altra lettura della norma si porrebbe in evidente violazione degli obiettivi sottesi alla spending review.
In altri termini, come da più parti osservato, il termine «accordo consortile» contenuto al comma 3-bis dell'articolo 33 del Dlgs 163/2006 -anche alla luce delle disposizioni introdotte dall'articolo 2, comma 186, lettera e), della legge 191/2009- deve ritenersi utilizzato dal legislatore in senso atecnico.
Da questa previsione normativa, in sostanza, non discenderebbe dunque l'obbligo di istituire un Consorzio, quanto, piuttosto semplicemente l'obbligo, attraverso un atto convenzionale, di istituire una centrale di committenza.
La centrale di committenza può essere costituita di conseguenza mediante accordo convenzionale ex articolo 30 del Testo unico degli enti locali, utilizzando il modello della delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all'accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.
Sulla base di questi presupposti, in merito alla dimensione demografica ottimale della gestione in forma associata della centrale di committenza, in assenza di puntuali previsioni normative, devono ritenersi applicabili le disposizioni regionali già adottate per la gestione associata obbligatoria delle funzioni fondamentali (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: La decisione 07.06.2012 n. 21 dell’Adunanza Plenaria ha statuito che nel caso di incorporazione o fusione societaria, sussiste in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione l’onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006 anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la società incorporata o le società fusesi nell’ultimo triennio, ovvero che sono cessati dalla relativa carica in detto periodo (dopo il d.l. n. 70 del 2011, nell’ultimo anno). Resta ferma la possibilità di dimostrare la c.d. dissociazione.
L’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006, sia prima che dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 70 del 2011, pertanto, impone la presentazione di una dichiarazione sostitutiva completa, a pena di esclusione, anche per gli amministratori delle società che partecipano ad un procedimento di incorporazione o di fusione.
L’Adunanza Plenaria, tenuto conto della precedente incertezza giurisprudenziale, giunge alla conclusione che i concorrenti che omettono la dichiarazione possono essere esclusi dalle gare -in relazione alle dichiarazioni rese ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. c)- fino alla data di pubblicazione della decisione medesima (07.06.2012) solo se il bando espliciti tale onere di dichiarazione e la conseguente causa di esclusione; in caso contrario, l’esclusione può essere disposta solo ove vi sia la prova che gli amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali.

La decisione dell’Adunanza Plenaria n. 21 intervenuta in data 07.06.2012 ha statuito che nel caso di incorporazione o fusione societaria, sussiste in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione l’onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006 anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la società incorporata o le società fusesi nell’ultimo triennio, ovvero che sono cessati dalla relativa carica in detto periodo (dopo il d.l. n. 70 del 2011, nell’ultimo anno). Resta ferma la possibilità di dimostrare la c.d. dissociazione.
L’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006, sia prima che dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 70 del 2011, pertanto, impone la presentazione di una dichiarazione sostitutiva completa, a pena di esclusione, anche per gli amministratori delle società che partecipano ad un procedimento di incorporazione o di fusione.
L’Adunanza Plenaria, tenuto conto della precedente incertezza giurisprudenziale, giunge alla conclusione che i concorrenti che omettono la dichiarazione possono essere esclusi dalle gare -in relazione alle dichiarazioni rese ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. c)- fino alla data di pubblicazione della decisione medesima (07.06.2012) solo se il bando espliciti tale onere di dichiarazione e la conseguente causa di esclusione; in caso contrario, l’esclusione può essere disposta solo ove vi sia la prova che gli amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali.
Nel caso in esame, il punto 13.1 del bando (requisiti generali) prevede che siano attestate da tutti i soggetti che intendono partecipare l’assenza delle condizioni di cui all’art. 38 cit., specificamente elencate.
Il punto 3 del disciplinare di gara prevede espressamente che tutti i soggetti componenti il raggruppamento (soggetto finanziatore, soggetto realizzatore e progettista) devono dichiarare di non trovarsi in una delle condizioni previste dall’art. 38, comma 1, del d.l.vo 163/2006.
In particolare, al punto 3d) è specificato che deve essere dichiarato da tutti i soggetti indicati dall’art. 38, comma 1, lett. b e c, (ossia per le società per azioni, da amministratori muniti di potere di rappresentanza e direttori tecnici) se risultano (o non risultano, alternativamente),per ciascuno dei componenti del raggruppamento, soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando.
In tale ipotesi, il capitolato prevede ulteriormente (in neretto) che per i soggetti cessati dalla carica “in caso di pronuncia di condanne penali di cui alla lett. b) l’impresa potrà essere ammessa a gara solo presentando a corredo della dichiarazione la documentazione idonea e sufficiente a dimostrare di aver adottato atti e misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata.”.
Ritiene il Collegio, pertanto, che sia evidente come la lex di gara abbia previsto, pena l’esclusione, l’obbligo di rendere la dichiarazione ex art. 38 cit. per gli amministratori con potere di rappresentanza cessati dalla carica nel triennio (tra questi, va incluso anche il Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione, in quanto soggetto titolare, a norma di statuto, degli stessi poteri di amministrazione e di rappresentanza spettanti al Presidente in caso di assenza o di impedimento dello stesso – cfr. Consiglio di Stato sez. V, 08.11.2012, n. 5693).
La lex di gara, tuttavia, non ha previsto espressamente il medesimo obbligo a carico degli amministratori di società fuse per incorporazione; essi, però, ad avviso del Collegio, debbono ritenersi inclusi tra gli “amministratori cessati nel triennio” considerato il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale risultante dalla fusione societaria a cui si riferiscono, sicché l’amministratore cessato dalla carica appartenente alla società incorporata è identificabile come interno al concorrente.
Come evidenzia la stessa Adunanza Plenaria n. 21/2012, difatti, nelle ipotesi di fusione o di incorporazione di società, ancorché venute in essere antecedentemente all'avvio della gara, si realizza, anche se non la fattispecie di successione a titolo universale, “l'integrazione reciproca delle società partecipanti all'operazione, ossia una vicenda meramente evolutiva del medesimo soggetto, che conserva la propria identità pur in un nuovo assetto organizzativo (Cass. civ. sez. un., 08.02.2006, n. 2637).” Ritenuta la continuità nel nuovo soggetto, perdura, per le società che proseguono sotto la nuova identità della società incorporante l'onere di rendere la dichiarazione relativa ai propri amministratori cessati.
In altri termini, la società incorporante o risultante dalla fusione, non è un soggetto "altro" e "diverso", ma semmai un soggetto composito in cui proseguono la loro esistenza le società partecipanti all'operazione di incorporazione e, per l'effetto, non si possono considerare "altrui" gli amministratori che sono amministratori di un soggetto che è parte del tutto e che conserva la sua identità originaria sotto una diversa forma giuridica.
Diversamente opinando, le operazioni di fusione tra società finirebbero per prestarsi alla elusione dello scopo perseguito con la preclusione di cui all’art. 38 cit., da individuarsi sicuramente in quello di impedire anche solo la possibilità di inquinamento dei pubblici appalti, derivante dalla partecipazione alle relative procedure di soggetti di cui sia accertata la non affidabilità sul piano morale e professionale (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 08.03.2013 n. 1411 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla sussistenza degli oneri di dichiarazione di precedenti sentenze penali ex art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. 163/2006, anche in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione.
Nel caso di incorporazione o fusione societaria, sussiste in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione l'onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui all'art. 38, c. 1, lett. c), d.lgs. n. 163/2006, anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la società incorporata o le società fusesi nell'ultimo triennio, ovvero che sono cessati dalla relativa carica in detto periodo (dopo il d.l. n. 70 del 2011, nell'ultimo anno).
Resta ferma la possibilità di dimostrare la c.d. dissociazione. L'art. 38, c. 2, d.lgs. n. 163/2006, sia prima che dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 70/2011, pertanto, impone la presentazione di una dichiarazione sostitutiva completa, a pena di esclusione, anche per gli amministratori delle società che partecipano ad un procedimento di incorporazione o di fusione (CdS, Adunanza Plenaria del 07.06.2012, n. 21).
Tenuto conto della precedente incertezza giurisprudenziale, l'Adunanza Plenaria giunge alla conclusione che i concorrenti che omettono la dichiarazione possono essere esclusi dalle gare -in relazione alle dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c)- fino alla data di pubblicazione della decisione medesima (07.06.2012) solo se il bando espliciti tale onere di dichiarazione e la conseguente causa di esclusione; in caso contrario, l'esclusione può essere disposta solo ove vi sia la prova che gli amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali.
Nelle ipotesi di fusione o di incorporazione di società, ancorché venute in essere antecedentemente all'avvio della gara, si realizza, infatti, anche se non la fattispecie di successione a titolo universale, "l'integrazione reciproca delle società partecipanti all'operazione, ossia una vicenda meramente evolutiva del medesimo soggetto, che conserva la propria identità pur in un nuovo assetto organizzativo." Ritenuta la continuità nel nuovo soggetto, perdura, per le società che proseguono sotto la nuova identità della società incorporante l'onere di rendere la dichiarazione relativa ai propri amministratori cessati.
In altri termini, la società incorporante o risultante dalla fusione, non è un soggetto "altro" e "diverso", ma semmai un soggetto composito in cui proseguono la loro esistenza le società partecipanti all'operazione di incorporazione e, per l'effetto, non si possono considerare "altrui" gli amministratori che sono amministratori di un soggetto che è parte del tutto e che conserva la sua identità originaria sotto una diversa forma giuridica. Diversamente opinando, le operazioni di fusione tra società finirebbero per prestarsi alla elusione dello scopo perseguito con la preclusione di cui all'art. 38 cit., da individuarsi sicuramente in quello di impedire anche solo la possibilità di inquinamento dei pubblici appalti, derivante dalla partecipazione alle relative procedure di soggetti di cui sia accertata la non affidabilità sul piano morale e professionale" (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 08.03.2013 n. 1411 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Oggetto: Legge 07.08.2012 n.134, di conversione con modificazioni del cd. “Decreto Sviluppo” (D.L. 83/2012): Responsabilità solidale nei contratti di appalto - Chiarimenti ministeriali: Circolare n. 2/E del 01.03.2013 (ANCE Bergamo, circolare 08.03.2013 n. 74).

APPALTI: Oggetto: Banca dati nazionale dei contratti pubblici – AVCPASS - Sistema operativo dall’01.07.2013 (ANCE Bergamo, circolare 08.03.2013 n. 73).

APPALTI: Oggetto: Documentazione antimafia – Nuove disposizioni (ANCE Bergamo, circolare 08.03.2013 n. 64).

APPALTI: Oggetto: Forma del contratto d’appalto – Indicazioni dell’Autorità per la vigilanza (ANCE Bergamo, circolare 08.03.2013 n. 63).

APPALTIL'articolo 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 deve leggersi nel senso che sono tenuti alla dichiarazione sostitutiva di notorietà attestante l'inesistenza di cause di esclusione tutti i soggetti che siano rappresentanti legali e/o titolari di poteri institori ex art. 2203 c.c. della ditta concorrente (e, peraltro, tale obbligo incombe anche in mancanza di un suo espresso richiamo nella lex specialis della gara).
Inoltre, secondo un condivisibile orientamento, l’esigenza di certezza cui è collegato l’obbligo della dichiarazione personale di ciascun rappresentante, peraltro garantita nella sua genuinità da sanzione penale, porta ad escludere che possa considerarsi valevole per tutti la dichiarazione resa da un solo amministratore.

Ai sensi dell’articolo 38 del d.lgs. n.163 del 2006, viceversa, i requisiti di ordine generale devono essere riferiti ad ogni amministratore munito di potere di rappresentanza.
Come noto, alla stregua del prevalente orientamento giurisprudenziale (cfr. Tar Venezia sentenza n. 6069 del 2010), l'articolo 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 deve leggersi nel senso che sono tenuti alla dichiarazione sostitutiva di notorietà attestante l'inesistenza di cause di esclusione tutti i soggetti che siano rappresentanti legali e/o titolari di poteri institori ex art. 2203 c.c. della ditta concorrente (e, peraltro, tale obbligo incombe anche in mancanza di un suo espresso richiamo nella lex specialis della gara).
Inoltre, secondo un condivisibile orientamento, l’esigenza di certezza cui è collegato l’obbligo della dichiarazione personale di ciascun rappresentante, peraltro garantita nella sua genuinità da sanzione penale, porta ad escludere che possa considerarsi valevole per tutti la dichiarazione resa da un solo amministratore (cfr. Tar Molise, sentenza n. 19 del 2009); circostanza che, peraltro, nel caso in esame non si è neanche verificata (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 07.03.2013 n. 154 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGare d'appalto, sì al concordato
L'istanza di concordato preventivo non è ragione sufficiente per l'esclusione da una gara di appalto. Questo a seguito della reintroduzione, ad opera del decreto sviluppo del 2012, dell' istituto del concordato con continuità aziendale previsto dall'art. 186-bis del rd 267/1942. In base al dettato normativo, l'istanza di concordato preventivo, non è da considerarsi ostativa alla partecipazione alle gare, ma bensì come un'eccezione all'operatività della causa di esclusione.

Così ha stabilito il TAR Friuli-Venezia Giulia, con la sentenza 07.03.2013 n. 146.
La vicenda, che si è conclusa con la dichiarazione di infondatezza del ricorso, ha avuto come protagonista un'impresa partecipante ad una gara d'appalto per l'assegnazione di un servizio in materia ambientale. La ricorrente, che contestava l'assegnazione della gara in questione alla prima classificata, sosteneva che la stessa non potesse essere ritenuta la reale assegnataria definitiva della gara.
L'impresa argomentava sostenendo che la prima classificata, non avrebbe nemmeno dovuto partecipare alla gara, a causa della situazione fiscale e finanziaria tutt'altro che tranquilla. Il giorno dopo la scadenza del termine per presentare le domande infatti, aveva proposto istanza di concordato preventivo. La ricorrente basava il proprio ragionamento sull'art. 38 del dlgs 163 del 2006.
In base a quanto previsto dalla norma infatti «sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: a) che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all'articolo 186-bis del regio decreto 267/1942, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni» (si veda ItaliaOggi del 7 marzo). Proprio in base all'analisi della norma, il Tar ritiene di dover respingere il ricorso. Il Tribunale friulano, argomenta su due punti fondamentali.
In prima battuta viene posta in evidenza la questione temporale. In base a quest'ultima infatti, risulta che l'istanza di concordato preventivo era stata presentata a seguito della presentazione di domanda di partecipazione alla gara d'appalto, ragion per cui se i controlli fossero stati effettuati precedentemente alla presentazione della richiesta, sarebbero risultati del tutto in regola. In secondo luogo, il Tribunale spiega come l'art. 38, così come modificato dal decreto sviluppo 2012, nonostante preveda effettivamente quanto sostenuto dalla ricorrente, sia stato oggetto di un errore interpretativo. In base a quest'ultimo infatti, l'istanza di concordato preventivo, non è da considerarsi come un ostacolo alla partecipazione alle gare d'appalto, ma anzi come un' eccezione all'operatività della causa di esclusione.
«Del resto», conclude il Tar, «è lo stesso art. 186-bis del rd 267/1942 a dettare le condizioni per una legittima partecipazione alle gare d'appalto in costanza di ammissione a tale tipologia di concordato preventivo». I requisiti previsti dalla norma sono infatti: una relazione di un professionista che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto e la dichiarazione di altro operatore che dichiara di farsi garantire del corretto svolgimento di quanto previsto dal contratto di appalto.
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La massima
L’istanza di concordato preventivo, non è da considerarsi come un ostacolo alla partecipazione alle gare d’appalto, ma anzi come un’eccezione all’operatività della causa di esclusione (articolo ItaliaOggi del 02.04.2013).

LAVORI PUBBLICIDecreto ministeriale. La mancata comunicazione da parte degli enti determinerà il blocco dei finanziamenti.
Monitoraggio a tappeto per le opere pubbliche.

Le amministrazioni pubbliche e le società partecipate devono rilevare e trasmettere al sistema di monitoraggio nazionale presso il Cipe un'ampia serie di informazioni inerenti la realizzazione di lavori finanziati da risorse pubbliche.
Il decreto del ministro dell'Economia 26.02.2013 ridefinisce i flussi informativi e i relativi adempimenti collegati al Cup, finalizzati a tracciare le varie fasi di sviluppo delle opere pubbliche.
La rilevazione è effettuata con le nuove modalità in attuazione del Dlgs 229/2011 (che ha riorganizzato il sistema di monitoraggio che fa leva sul codice unico di progetto) e si riferisce alle opere pubbliche in corso di progettazione o di realizzazione alla data del 21.02.2012.
Il decreto individua il dettaglio dei dati anagrafici, finanziari, fisici e procedurali concernenti la realizzazione di lavori pubblici destinatari di finanziamenti e di agevolazioni a carico del bilancio dello Stato. Questo profilo applicativo potrebbe determinare la possibilità di ricomprendere nel novero delle opere anche quelle di urbanizzazione (principalmente secondaria) realizzate a scomputo dai soggetti attuatori di piani urbanistici.
Il dato principale per la rilevazione è sempre il Cup, ma nella comunicazione devono essere precisate anche le informazioni descrittive delle intese istituzionali o degli strumenti attuativi nell'ambito dei quali sono realizzate le opere. Le amministrazioni devono precisare anche se il progetto genera entrate, nonché un'ampia serie di elementi descrittivi dei finanziamenti pubblici e la segnalazione di eventuali cofinanziatori privati. Un aspetto molto interessante della schedatura è individuabile nella dettagliata descrizione del monitoraggio dei pagamenti. Le amministrazioni, inoltre, sono tenute a fornire elementi di riscontro relativi a indicatori di realizzazione fisica del progetto e occupazionali.
Il Dm delinea il suo ambito applicativo non solo con riguardo alle amministrazioni pubbliche (peraltro secondo l'ampio quadro di riferimento della legge di contabilità pubblica), ma anche alle società da esse partecipate a qualsiasi livello. La rilevazione dei dati deve essere effettuata quattro volte all'anno, ma per il 2013 vale una deroga che consente di concretizzare la prima operazione entro il 30 giugno. La periodicità dei riscontri può essere comunque aumentata per consentire l'ottimizzazione con altre linee di rilevazione di informazioni settoriali.
Gli enti di minori dimensioni potranno fruire dell'ausilio della ragioneria generale dello Stato, qualora non riuscissero nella fase iniziale a raccogliere i dati con i propri sistemi. La comunicazione dei dati relativi al monitoraggio dello stato di realizzazione delle opere pubbliche costituisce presupposto fondamentale per l'erogazione del finanziamento: qualora non sia effettuata, la diretta conseguenza è il blocco dello stesso (articolo Il Sole 24 Ore del 07.03.2013 - link a www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICIL'Authority contratti boccia le nuove prassi per la promozione dell'opera. Illegittimo aggiudicare l'appalto valutando anche il co-marketing.
Illegittimo aggiudicare un appalto valutando anche il cosiddetto “co-marketing” nell'ambito delle offerte tecnico-economiche; si tratta di elemento non attinente alle caratteristiche dell'appalto che non può essere oggetto di valutazione ai fini dell'affidamento del contratto.

E' quanto afferma l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con il parere di precontenzioso 13.02.2013 n. 11 (prec. 222/12/L, ancora non pubblicato sul sito www.avcp.it), in accoglimento dell'istanza presentata da Ance Sicilia.
Si tratta della prima pronuncia relativa ad una innovativa prassi di valutazione delle offerte posta in essere da alcune amministrazioni locali nell'ambito della valutazione tramite il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Il caso specifico riguardava un appalto di lavori di riqualificazione urbana con importo a base d'asta di 1,052 milioni per l'aggiudicazione del quale si prevedeva anche l'attribuzione di un punteggio all'offerta in aumento sull'importo da versare al Comune per installare spazi pubblicitari sui luoghi oggetto dell'intervento, per promuovere le opere oggetto dell'appalto (sotto questo profilo si parla di “co-marketing”).
L'anomalia segnalata all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici consisteva nel fatto che al vero e proprio ribasso sul prezzo posto a base di gara si attribuiva un punteggio ben più basso (15 punti su 100) rispetto a quello attribuito all'elemento concernente il “co-marketing” (inizialmente fissato a 50/100 e poi ridotto a 20/100) e, soprattutto che si trattava di un elemento di valutazione non coerente rispetto al quadro di riferimento nazionale e comunitario, che privilegia valutazioni tese a garantire la qualità dell'offerta dell'impresa, e in contrasto con quanto previsto nella determinazione 7/2011 dell'organismo di vigilanza.
L'Autorità di via di Ripetta (relatore Giuseppe Borgia) ha in primo luogo ritenuto inammissibile questo “discriminante criterio” di valutazione delle offerte e poi ha aggiunto che “non è dato evincere alcuna specifica attinenza tra il criterio in esame e le caratteristiche dell'appalto”.
Inoltre è stato rilevato che “la semplice ricorrenza del profilo di interesse pubblico, espressamente riconnesso al valore culturale degli spazi interessati dai lavori, non è tale da giustificare l'inserimento del contestato criterio di valutazione dell'offerta appunto perché non attinente alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche dell'appalto, volto alla riqualificazione dell'area attraverso l'esecuzione di un complessivo intervento di trasformazione, al fine di migliorarne la fruibilità, che non comprende anche la sua valorizzazione pubblicitaria e commerciale”.
Nel capitolato era previsto, in particolare, che gli impianti pubblicitari realizzati dalla stazione appaltante sarebbero stati concessi per 12 mesi e affidati all'aggiudicatario dell'appalto per azioni di co-marketing e che il corrispettivo sarebbe comunque e sempre dovuto alla stazione appaltante anche in caso di mancato utilizzo degli impianti pubblicitari (in sostanza l'appaltatore si sarebbe accollato il “rischio di domanda”) (articolo ItaliaOggi del 06.03.2013 - link a www.corteconti.it).

APPALTIRESPONSABILITÀ APPALTI/ Semplificazione, passi avanti con la circolare 2/E. Versamenti asseverati a tentoni. Professionisti, l'unico riferimento il visto sui crediti Iva.
Nell'asseverazione della regolarità dei versamenti nell'ambito della disciplina sulla responsabilità fiscale negli appalti, professionisti senza certezze.
Manca una disciplina organica per le modalità di esecuzione delle verifiche, dovendo necessariamente far riferimento, per quanto compatibili e adattandole, alle modalità di verifica dei dati utilizzati in sede di rilascio del visto di conformità del credito Iva.

L'Agenzia delle entrate, con la circolare n. 2/E di venerdì scorso (si veda ItaliaOggi del 2 e del 5 marzo), ha fatto passi avanti nella semplificazione degli adempimenti, ma servono ancora numerose indicazioni per poter applicare senza affanni (e senza rischi) la disciplina introdotta dall'art. 13-ter, dl n. 83/2012, sulla solidarietà fiscale nell'ambito dei contratti di appalto.
Passando in rassegna le problematiche ancora aperte si segnala, innanzitutto, quella relativa alla sanzione posta a carico del committente che varia da euro 5 mila a euro 200 mila; sul punto, non è stata indicata alcuna modulazione, ma si ritiene che la stessa sanzione si renda applicabile soltanto nel caso in cui sia riscontrato l'effettivo inadempimento tributario in capo ai soggetti obbligati, tenendo conto della gravità dell'omissione e della ripetitività dell'inadempimento.
Si ritiene che, essendo la sanzione non commisurata alla somma oggetto dell'inadempimento, in presenza di violazioni concernenti importi contenuti, la sanzione applicabile sia quella minima, ma non indifferente, pari a 5 mila euro.
Né la circolare n. 40/E/2012, né quella in commento (n. 2/E/2013) hanno speso più di qualche riga per fissare la disciplina dell'eventuale asseverazione; nel primo documento di prassi richiamato, in effetti, l'Agenzia delle entrate aveva precisato che la certificazione sulla regolarità dei versamenti effettuati dall'appaltatore o dal sub-appaltatore poteva essere rilasciata, oltre che con una dichiarazione sostitutiva, attraverso un'asseverazione resa dai responsabili dei Caf o da professionisti abilitati (dottori commercialisti, consulenti del lavoro e quant'altro).
Sul punto, in assenza di un modello ad hoc, nell'asseverazione si ritiene opportuno indicare, alla stessa stregua di quanto previsto per la dichiarazione sostitutiva, l'applicazione dell'inversione contabile o dell'Iva per cassa, gli estremi delle deleghe «F24», in caso di debito da liquidazione periodica dell'Iva, l'indicazione del periodo nel quale le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente sono state versate, con l'indicazione degli estremi delle deleghe e l'attestazione che detti versamenti sono riferibili al contratto (o ai contratti) per il quale l'asseverazione si rende necessaria.
Permangono perplessità, inoltre, sull'eventuale presenza di contratti verbali, ai fini della relativa dimostrabilità degli stessi, ma si nutre ulteriormente perplessità che, per i casi soggetti alla disciplina, si sia in assenza di contratti redatti in forma scritta, anche per cautelare le parti dalle rispettive inadempienze, soprattutto quando l'entità delle prestazioni sono di una certa consistenza.
Si nutrono, inoltre, perplessità sulla esclusione dalla disciplina di determinate tipologie, come le prestazioni d'opera; se chiara e scontata appare l'esclusione delle prestazioni intellettuali (commercialista, avvocato, ingegnere e quant'altro), non altrettanta chiara è l'esclusione di taluni soggetti, come gli artigiani.
È proprio la delimitazione organizzativa (l'assenza dell'organizzazione di mezzi) che crea perplessità non potendo sic et simpliciter escludere dall'applicazione tutti gli artigiani, per esempio, inseriti nel relativo albo, posto che all'interno vi sono operatori che operano con utilizzo minimo di mezzi e risorse, ma anche società a responsabilità limitata, nelle quali i soci prestano la propria opera.
Pertanto, al fine di evitare possibili contenziosi (e sanzioni), è consigliabile che anche i prestatori d'opera, potenzialmente esclusi ma con un minimo di organizzazione, rilascino l'attestazione; soluzione che permetterà, inoltre, di incassare il corrispettivo (articolo ItaliaOggi del 06.03.2013).

LAVORI PUBBLICIIn G.U. il dm attuativo del dlgs 299/2011. Adempimenti necessari per i finanziamenti. Appalti trasparenti o stop soldi. Tutte le informazioni vanno alla banca dati delle p.a..
Appalti trasparenti o stop ai finanziamenti pubblici. Con il decreto del mineconomia 26.02.2013, pubblicato sulla G.U. n. 54 di ieri, si dà attuazione dell'art. 5 del decreto legislativo 29.12.2011, n. 229, individuando le informazioni che le amministrazioni e i soggetti aggiudicatori sono tenute a detenere e a comunicare alla banca dati delle amministrazioni pubbliche.
Le informazioni, riassunte in una scheda, sono le più varie, e vanno dall'indicazione delle fonti di finanziamento dell'opera (compreso il codice fiscale del cofinanziatore privato) ai ribassi d'asta registrati, dai pagamenti effettuati dalle amministrazioni aggiudicatrici alle imprese che attuano il progetto allo stato di avanzamento dell'opera «misurato» passo passo. Ma rientrano anche le informazioni sull'occupazione creata e quelle più generali su tutti i soggetti collegati al progetto a vario titolo: chi sono, cosa fanno, dimensioni, addetti, rappresentante legale ecc. In sostanza un'operazione trasparenza necessaria anche per monitorare l'andamento delle opere pubbliche e il cui mancato rispetto avrà conseguenze pesanti per gli operatori.
Il decreto dell'Economia, infatti, prevede che «l'adempimento degli obblighi di comunicazione (_) è un presupposto del relativo finanziamento a carico del bilancio dello stato, verificato all'atto della sua erogazione dai competenti uffici preposti al controllo di regolarità amministrativa e contabile». In altre parole, se manca la comunicazione, che è tutta imperniata sul Codice identificativo di gara (Cig) e sul Codice unico di progetto (Cup), il finanziamento viene meno. Le disposizioni del decreto si applicano alle amministrazioni pubbliche ma anche ai soggetti diversi destinatari di finanziamenti e agevolazioni a carico del bilancio dello stato finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche. Oggetto di rilevazione saranno le opere pubbliche in corso di progettazione o realizzazione alla data del 21.02.2012, nonché quelle avviate successivamente.
Per quanto riguarda la tempistica, le amministrazioni e i soggetti aggiudicatori rilevano le informazioni riferite allo stato di attuazione delle opere alle date del 28 febbraio, del 30 aprile, del 30 giugno, del 31 agosto, del 31 ottobre e del 31 dicembre di ciascun anno e le rendono disponibili alla banca dati delle amministrazioni pubbliche entro i 30 giorni successivi. In questa fase iniziale, la rilevazione riguarderà lo stato delle opere al 30 giugno e l'invio dovrà avvenire tra il 30.09.2013 e il 20.10.2013 (articolo ItaliaOggi del 06.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Con riguardo all’apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche tale obbligo si deve ritenere ora applicabile solo alle gare indette dopo l’entrata in vigore (07.07.2012) della citata novella all’art. 120 del DPR 207/2010, per effetto dell’art. 12 del DL 52/2012 che l’ha previsto in modo espresso per la prima volta.
- Considerato che l’appello è meritevole d’accoglimento, anzitutto con riguardo all’apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche, nella specie avvenuta il 01.03.2011, in quanto il relativo obbligo si deve ritenere ora applicabile solo alle gare indette dopo l’entrata in vigore (07.07.2012) della citata novella all’art. 120 del DPR 207/2010, per effetto dell’art. 12 del DL 52/2012 che l’ha previsto in modo espresso per la prima volta (cfr. Cons. St., IV, 04.01.2013 n. 4);
- Considerato che in questa sede non si può rimettere in discussione quanto deciso dall’Adunanza Plenaria con decisione n. 13/2011, né per quanto riguarda il merito della questione di diritto (obbligo di aprire le buste con le offerte tecniche in seduta pubblica), né per quanto riguarda il carattere interpretativo e non innovativo della massima affermata in quella decisione (anche perché nel nostro ordinamento giuridico, come in tutti quelli di c.d. civil law, il còmpito del giudice è esclusivamente quello d’interpretare le norme giuridiche, non di dettarne delle nuove: «è proibito ai giudici di pronunciare in via di disposizione generale o di regolamento nelle cause di loro competenza»: art. 1, comma 5, del Codice Napoleone nella versione promulgata il 16.01.1806 per il Regno d’Italia; cfr. anche gli artt. 1 e 12 delle vigenti disposizioni sulla legge in generale);
- Considerato tuttavia che dopo la decisione dell’Adunanza Plenaria il legislatore è intervenuto con l’art. 12 del decreto legge n. 52/2012, il quale, con le parole «La commissione, anche per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data del 09.05.2012, apre in seduta pubblica i plichi contenenti le offerte tecniche al fine di procedere alla verifica della presenza dei documenti prodotti» nel recepire e fare proprio suddetto principio giurisprudenziale, ha tuttavia fissato positivamente un dies a quo per la sua applicazione, coincidente con la data di entrata in vigore della legge di conversione, lasciando così intendere che anteriormente a quella data dovesse applicarsi la regola opposta;
- Considerato pertanto che all’art. 12 del DL 52/2012 va riconosciuta la natura di norma transitoria in funzione di salvaguardia (o sanatoria) delle modalità d’apertura di tali plichi e dei relativi effetti, relativamente alle procedure già concluse al 09.05.2012 o i cui plichi siano stati già aperti a quella data, donde la portata non solo ricognitiva di detta disposizione (cfr. Cons. St., III, 14.01.2013 n. 145) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.03.2013 n. 1333 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIRate fiscali? Niente appalto. La dilazione del debito non consente la partecipazione. Sentenza del Consiglio di stato: le imprese devono essere perfettamente in regola.
Brutta sorpresa per le imprese che a causa della crisi o per altri motivi hanno dovuto rateizzare il debito fiscale. Esse, infatti, non possono partecipare alle gare d'appalto. Perché chi vuole lavorare con la pubblica amministrazione deve rispettare gli obblighi di lealtà e correttezza.
E la rateizzazione di un debito fiscale non implica che esso venga necessariamente estinto.

Il Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.03.2013 n. 1332, traccia una strada che non farà sicuramente piacere alle aziende già alle prese con la crisi economica e finanziaria.
Dal punto di vista giuridico, i giudici di palazzo Spada, ribaltando la decisione della prima sezione del Tar di Napoli., evidenziano che l'accordo di ristrutturazione del debito non ha natura novativa. Tanto più nel caso di specie, in cui la dichiarazione circa il quantum era risultata poi essere mendace.
La vicenda
La vicenda vede protagonisti tre istituti di vigilanza privata, tutti contemporaneamente concorrenti alla gara d'appalto indetta dalla pubblica amministrazione per la sorveglianza della Azienda sanitaria locale di Caserta. Se in prima battuta una delle tre imprese era risultata essere provvisoriamente aggiudicataria, questa stessa in un secondo momento vedeva sottrarsi l'assegnazione della gara in favore della seconda classificata. Questo a seguito della verifica della regolarità dei requisiti previsti dall'articolo 38, I comma, lett. g), del dlgs 163/2006, così come modificata dalla legge 106/2011.
La norma, facente parte del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, prevede che «Debbano essere esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni di appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che: hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello stato in cui sono stabiliti».
Ricorrendo in prima battuta di fronte Tar, l'azienda interessata asseriva l'illegittimità della revoca della aggiudicazione provvisoria per irregolarità fiscale, sostenendo che i debiti tributari che gli venivano eccepiti, erano stati oggetto di rateizzazione prima che venisse accolta la loro richiesta di partecipazione alla gara, non sussistendo quindi alcuna violazione definitivamente accertata. La prima sezione, accogliendo il ricorso, andava ad annullare la prima assegnazione, affermando che «sia la concessione della rateizzazione del debito tributario, sia la successiva stipula di una transazione fiscale, presupponevano un accordo tra il contribuente e l'amministrazione erariale, tale per cui il concorrente interessato non potesse essere considerato in situazione di irregolarità fiscale».
Secondo questa opinione, sia la rateizzazione sia l'accordo di ristrutturazione avrebbero quindi avuto natura novativa. Di tutt'altro avviso si dimostrerà essere il Consiglio di stato. Divenuta ricorrente, la ditta a cui viene sottratta l'assegnazione, eccepisce non solo la falsità circa l'effettivo ammontare del debito in capo all' azienda aggiudicataria, che era in realtà quasi dieci volte tanto, ma anche l'inesistenza vera e propria dell'accordo transattivo, che in realtà non sarebbe mai stato iscritto al ruolo.
Il no dei giudici
In punto di diritto però, i giudici di palazzo Spada si pronunciano mettendo in evidenza due elementi fondamentali. Il primo proprio in relazione alla falsità della dichiarazione. Per il Consiglio «è opinione largamente condivisa in giurisprudenza che costituisca in sé motivo di esclusione dalla gara, il fatto che l'autodichiarazione presentata dalla concorrente, sia risultata non veritiera». Il secondo elemento evidenziato riguarda la natura degli accordi tra contribuente e amministrazione erariale. Viene infatti negata, ribaltando quanto sostenuto dalla prima sezione del Tar di Napoli, la natura novativa sia della rateizzazione, sia dell'accordo di ristrutturazione.
Al di là del caso di specie quindi, il Consiglio di stato prende posizione circa i requisiti necessari per la partecipazione alle gare di appalto indette dalle pubbliche amministrazioni. Per i giudici infatti, «i soggetti che contraggono con la pubblica amministrazione devono rispettare obblighi di lealtà e correttezza», per tanto non ha più rilevanza il quantum del debito, né qualsiasi tipo di accordo volto a regolarizzarlo.
I requisiti previsti dall'articolo 38, I comma, lett. g) del dlgs 163/2006, così come modificato dalla legge 106/2011, indispensabili per la partecipazione alle gare di appalto e alla successiva stipula dei contratti, si ritengono soddisfatti solo in assenza di qualsiasi tipo di irregolarità (articolo ItaliaOggi del 07.03.2013 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIForma di partecipazione modificata strada facendo.
Il concorrente in una procedura di gara può modificare la forma di partecipazione, rispetto a quanto indicato in fase di prequalifica.

Il principio è affermato con la sentenza 05.03.2013 n. 1328 del Consiglio di Stato, Sez. III.
Nella fattispecie oggetto dell'esame del giudice amministrativo, in sede di prequalifica, il concorrente richiedeva l'invito alla procedura con la forma del costituendo raggruppamento di imprese, mentre al momento della partecipazione cambiava sia forma, consorzio anziché RTI, che composizione, in quanto risultava differente uno dei tre partecipanti al consorzio.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che la possibilità di modifica non era vietata dal bando, in quanto il riferimento alla forma giuridica era come da domanda di partecipazione, riferendosi pertanto non alla fase di prequalifica ma all'effettiva partecipazione alla gara.
Inoltre, a parte il riferimento del bando, è lo stesso codice degli appalti che agli articoli 37 e 51 consente agli operatori che concorrono alle procedure di gare, di modificare la veste giuridica assunta inizialmente, fino alla presentazione delle offerte.
Il Codice e la stessa normativa comunitaria sono indifferenti alla veste giuridica con la quale gli operatori concorrono alle procedure di gara e alle modifiche della veste inizialmente assunta, almeno fino alla presentazione delle offerte. In particolare, i commi 9 e 12 del citato articolo 37 consentono espressamente che l'operatore prequalificato modifichi il proprio profilo soggettivo, a condizione che avvenga prima della presentazione dell'offerta e che non sia preordinato a sopperire ad una carenza di requisiti.
La lex specialis non potrebbe, infine, prevedere il divieto di modifica della forma giuridica di partecipazione, in quanto risulterebbe illegittima, con limiti alle capacità concorrenziali e imprenditoriali, limitando la facoltà delle imprese di scegliere e utilizzare gli strumenti aggregativi ritenuti più idonei (articolo ItaliaOggi del 29.03.2013).

APPALTI: Gli operatori che concorrono alle procedure di gara possono modificare la veste giuridica assunta inizialmente, quantomeno fino alla presentazione delle offerte.
Dagli articoli 37 (c. 9 e 12) e 51 del d.lgs. n. 163 del 2006, sia dalla normativa comunitaria di riferimento, emerge l'indifferenza dell'ordinamento, alla veste giuridica a mezzo della quale gli operatori concorrono alle procedure di gara ed alle eventuali modifiche della veste assunta inizialmente, quanto meno fino alla presentazione delle offerte. In particolare l'art. 37, c. 9 e 12, del codice degli appalti consente espressamente che l'operatore prequalificatosi modifichi il proprio profilo soggettivo in vista della gara, sempre che detta modifica intervenga prima della presentazione delle offerte e sempre che la stessa non risulti preordinata a sopperire ad una carenza di requisiti intervenuta medio tempore o esistente ab origine.
Pertanto, nel caso di specie, non è condivisibile la tesi prospettata dall'appellante intesa a restringere il mutamento della forma giuridica di partecipazione ai soli rti e anzi la lex specialis, ove interpretata nel senso auspicato dall'appellante principale, risulterebbe illegittima ponendo inutili limiti alle capacità concorrenziali e imprenditoriali in specie limitando la facoltà delle imprese di scegliere e utilizzare gli strumenti aggregativi più idonei (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.03.2013 n. 1328 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICILa procedura del project financing –disciplinata prima dagli articoli 37 e seguenti della legge n. 109/1994 e successivamente dagli articoli 153 e seguenti del d.lgs. n. 163/2006– risulta articolata in due fasi, distinte ma strettamente connesse: la scelta del promotore, caratterizzata da ampia discrezionalità amministrativa per l’accoglimento della proposta, proveniente talvolta del promotore stesso, alla stregua della già effettuata programmazione delle opere pubbliche, con gara preliminare per la valutazione comparativa delle diverse offerte, seguita da eventuali modifiche progettuali e da rilascio della concessione, ovvero da una ulteriore fase selettiva ad evidenza pubblica (secondo le regole nazionali e comunitarie) fra più aspiranti alla concessione in base al progetto prescelto, con risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti. Quanto sopra, con fattispecie a formazione progressiva, il cui scopo finale (aggiudicazione della concessione, in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa) è interdipendente dalla fase prodromica di individuazione del promotore.
Nella peculiare procedura, sopra sommariamente descritta, così come in generale per ogni procedimento –selettivo o meno– possono verificarsi interruzioni anche definitive, connesse a provvedimenti assunti dall’Amministrazione in via di autotutela, rapportati a vizi di legittimità, o a revoche motivate da ragioni di interesse pubblico: queste ultime –disciplinate in via generale dall’art. 21-quinquies della legge 07.08.1990, n. 241, nel testo aggiunto dall’art. 14 della legge 11.2.2005, come successivamente modificato ed integrato– possono corrispondere a sopravvenuti motivi di pubblico interesse, a mutamento della situazione di fatto o a nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Per il project financing, una disciplina peculiare in materia di revoca è contenuta nell’art. 158 del citato d.lgs. n. 163/2006, da considerare –sussistendone i presupposti– lex specialis rispetto al predetto art. 21-quinquies L. n. 241/1990 (che parte della giurisprudenza riteneva inapplicabile all’approvazione di un progetto preliminare di project financing o alla fase di aggiudicazione provvisoria, poiché riguardante –prima dell’inserimento, con d.l. n. 7/2007, del comma 1-bis– i soli provvedimenti ad efficacia durevole).

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne una procedura di project financing, avviata per la ricerca di offerenti, disponibili a realizzare un’attrazione storico-scenografica sulla distruzione di Pompei, da effettuare all’interno del noto sito archeologico.
Detta procedura –disciplinata prima dagli articoli 37 e seguenti della legge n. 109/1994 e successivamente dagli articoli 153 e seguenti del d.lgs. n. 163/2006– risulta articolata in due fasi, distinte ma strettamente connesse: la scelta del promotore, caratterizzata da ampia discrezionalità amministrativa per l’accoglimento della proposta, proveniente talvolta del promotore stesso, alla stregua della già effettuata programmazione delle opere pubbliche, con gara preliminare per la valutazione comparativa delle diverse offerte, seguita da eventuali modifiche progettuali e da rilascio della concessione, ovvero da una ulteriore fase selettiva ad evidenza pubblica (secondo le regole nazionali e comunitarie) fra più aspiranti alla concessione in base al progetto prescelto, con risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti. Quanto sopra, con fattispecie a formazione progressiva, il cui scopo finale (aggiudicazione della concessione, in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa) è interdipendente dalla fase prodromica di individuazione del promotore (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 28.01.2012, n. 1; Cons. St., sez. V, 06.10.2010, n. 7334, 08.02.2011, n. 843, 07.04.2011, n. 2154; Cons. St., sez. IV, 26.01.2009, n. 391).
Nella peculiare procedura, sopra sommariamente descritta, così come in generale per ogni procedimento –selettivo o meno– possono verificarsi interruzioni anche definitive, connesse a provvedimenti assunti dall’Amministrazione in via di autotutela, rapportati a vizi di legittimità, o a revoche motivate da ragioni di interesse pubblico: queste ultime –disciplinate in via generale dall’art. 21-quinquies della legge 07.08.1990, n. 241, nel testo aggiunto dall’art. 14 della legge 11.2.2005, come successivamente modificato ed integrato– possono corrispondere a sopravvenuti motivi di pubblico interesse, a mutamento della situazione di fatto o a nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (cfr. anche, per il principio, Cons. St., sez. VI, 17.03.2010, n. 1554; Cons. St., sez. V, 06.10.2010, n. 7334 e 06.12.2010, n. 8554).
Per il project financing, una disciplina peculiare in materia di revoca è contenuta nell’art. 158 del citato d.lgs. n. 163/2006, da considerare –sussistendone i presupposti– lex specialis rispetto al predetto art. 21-quinquies L. n. 241/1990 (che parte della giurisprudenza riteneva inapplicabile all’approvazione di un progetto preliminare di project financing o alla fase di aggiudicazione provvisoria, poiché riguardante –prima dell’inserimento, con d.l. n. 7/2007, del comma 1-bis– i soli provvedimenti ad efficacia durevole: cfr. Cons. St., sez. VI, 17.03.2010, n. 1554) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.03.2013 n. 1315 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'attendibilità dell’offerta presentata nell’ambito di una gara d’appalto e sospettata di anomalia deve essere valutata nella sua globalità, poiché l'art. 88, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) -quando statuisce che, all'esito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, la stazione appaltante dichiara l'eventuale esclusione dell’offerta che risulta, "nel suo complesso", inaffidabile- va inteso nel senso che la stazione appaltante deve accertare l'affidabilità globale dell’offerta mediante un giudizio sintetico sulla serietà o meno della medesima nel suo insieme considerata.
In altre parole, “Il giudizio di congruità dell’offerta per l'aggiudicazione di un gara d'appalto si basa su una valutazione complessiva, riguardante tutte le diverse voci, nella quale il sospetto su alcune parti può essere trascurato sulla base del giudizio globale. Il giudizio positivo non deve essere giustificato sulla base della minuta disamina espressa di tutte le componenti dell’offerta, di conseguenza, chi contesta la legittimità dell'aggiudicazione ha l'onere di individuare specifici punti che dimostrano l’anomalia dell’offerta dimostrando anche, nel corso del contraddittorio processuale, il loro rilievo nella sua logica complessiva".
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Se si dovesse ritenere che l’esame, nel merito, della congruità dell’offerta dovesse avvenire solo alla luce di quanto esposto nell’offerta, considerando come un’inammissibile modifica dell’offerta ogni successivo chiarimento od integrazione, la valutazione dell’anomalia sarebbe assolutamente priva di significato.
Pur dovendosi, dunque, ritenere immodificabile l’offerta, deve altresì ammettersi la possibilità di integrare le varie voci di spesa, chiarendo il metodo di calcolo e l’esatta imputazione. Le giustificazioni debbono, dunque, ritenersi modificabili.

Come già affermato in sede cautelare, <<per costante ed uniforme giurisprudenza, l'attendibilità dell’offerta presentata nell’ambito di una gara d’appalto e sospettata di anomalia deve essere valutata nella sua globalità, poiché l'art. 88, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) -quando statuisce che, all'esito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, la stazione appaltante dichiara l'eventuale esclusione dell’offerta che risulta, "nel suo complesso", inaffidabile- va inteso nel senso che la stazione appaltante deve accertare l'affidabilità globale dell’offerta mediante un giudizio sintetico sulla serietà o meno della medesima nel suo insieme considerata (in tal senso, da ultimo, TAR Lombardia Milano Sez. I, 13.09.2012, n. 2318). In altre parole, “Il giudizio di congruità dell’offerta per l'aggiudicazione di un gara d'appalto si basa su una valutazione complessiva, riguardante tutte le diverse voci, nella quale il sospetto su alcune parti può essere trascurato sulla base del giudizio globale. Il giudizio positivo non deve essere giustificato sulla base della minuta disamina espressa di tutte le componenti dell’offerta, di conseguenza, chi contesta la legittimità dell'aggiudicazione ha l'onere di individuare specifici punti che dimostrano l’anomalia dell’offerta dimostrando anche, nel corso del contraddittorio processuale, il loro rilievo nella sua logica complessiva” (Cons. Stato Sez. V, 27.08.2012, n. 4600)>>.
Tale esame, complessivo e globale, risulta essere stato positivamente superato, in sede di valutazione dell’anomalia, dall’offerta della Servizi comunali s.p.a., la cui congruità risulta essere sostenuta da elementi che, unitariamente considerati, sono sufficienti ad escludere un giudizio affetto da profili di illogicità ed incongruità che consentirebbero il sindacato “debole” del giudice amministrativo.
Appare, comunque, condivisibile la tesi dell’Amministrazione secondo cui, se si dovesse ritenere che l’esame, nel merito, della congruità dell’offerta dovesse avvenire solo alla luce di quanto esposto nell’offerta, considerando come un’inammissibile modifica dell’offerta ogni successivo chiarimento od integrazione, come vorrebbe la ricorrente, la valutazione dell’anomalia sarebbe assolutamente priva di significato. Pur dovendosi, dunque, ritenere immodificabile l’offerta, deve altresì ammettersi la possibilità di integrare le varie voci di spesa, chiarendo il metodo di calcolo e l’esatta imputazione. Le giustificazioni debbono, dunque, ritenersi modificabili (Cons. Stato, V, 20.05.2012, n. 875) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 05.03.2013 n. 216 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di jus poenitendi dell’amministrazione, dopo l’avvio della procedura di scelta del contraente la stessa mantiene il potere di revoca per documentate e motivate esigenze di interesse pubblico, anche consistenti in un diverso apprezzamento dei medesimi presupposti già considerati, in ragione delle quali sia evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione della gara stessa: è sufficiente al riguardo che non risulti illogica né illegittima per manifesta abnormità o travisamento dei presupposti di fatto la decisione di perseguire una strada diversa.
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Il divieto rigoroso di rinegoziazione delle offerte economiche è pacifico in giurisprudenza e non può essere messo in discussione con considerazioni che si diffondano sulla misura ridotta dello sconto praticato posteriormente allo svolgimento della selezione.

In quest’ottica può essere richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di jus poenitendi dell’amministrazione che –dopo l’avvio della procedura di scelta del contraente– mantiene il potere di revoca per documentate e motivate esigenze di interesse pubblico, anche consistenti in un diverso apprezzamento dei medesimi presupposti già considerati, in ragione delle quali sia evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione della gara stessa: è sufficiente al riguardo che non risulti illogica né illegittima per manifesta abnormità o travisamento dei presupposti di fatto la decisione di perseguire una strada diversa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 05/09/2011 n. 5002; TAR Puglia Lecce, sez. III – 25/01/2012 n. 139).
Ebbene, nel caso all’esame ragioni di opportunità (ossia il reperimento di offerte più economiche) hanno indotto l’Azienda Ospedaliera a non privilegiare l’opzione dell’affidamento alla seconda classificata (divenuta poi prima ed unica nella gara): a questo punto deve essere sciolto l’interrogativo circa la sostenibilità, la coerenza e la ragionevolezza di tale condotta.
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Anzitutto il divieto rigoroso di rinegoziazione delle offerte economiche –richiamato nell’atto impugnato– è pacifico in giurisprudenza (cfr. TAR Lazio Roma, sez. III-quater – 24/07/2012 n. 6868), e non può essere messo in discussione con considerazioni che si diffondano sulla misura ridotta dello sconto praticato posteriormente allo svolgimento della selezione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 05.03.2013 n. 214 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: A. Caroselli, L’Affidamento diretto tra vincoli comunitari e principio di discrezionalità (05.03.2013 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 05.03.2013 n. 54 "Attuazione dell’art. 5 del decreto legislativo 29.12.2011, n. 229, concernente la definizione dei dati riguardanti le opere pubbliche, oggetto del contenuto informativo minimo dei sistemi gestionali informatizzati che le Amministrazioni e i soggetti aggiudicatori sono tenute a detenere e a comunicare alla banca dati delle amministrazioni pubbliche, di cui all’art. 13 della legge 31.12.2009, n. 196" (Ragioneria Generale dello Stato, decreto 26.02.2013).

APPALTII riflessi dei chiarimenti dell'Agenzia delle entrate. Contratti d'opera esenti. Non si applica la responsabilità solidale.
Ai contratti d'opera non si applica la corresponsabilità tributaria prevista nel caso di appalto e sub appalto. È necessaria l'analisi della singola fattispecie per poter qualificare il contratto. La bussola per decidere è fornita dal codice civile.

Sono le riflessioni che scaturiscono dalla circolare 2/E del 2013 dell'Agenzia delle entrata (si veda ItaliaOggi del 2 marzo scorso) che ha previsto che la disciplina in tema di responsabilità tributaria in presenza di contratti di appalto e sub appalto non si applica a una serie di figure contrattuali affini tra cui il contratto d'opera.
Esso è definito dall'art. 2222 cc come quello in cui «una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente». Il successivo art. 2223 prevede anche che tale qualificazione giuridica del rapporto è confermata «anche se la materia è fornita dal prestatore d'opera, purché le parti non abbiano avuto prevalentemente in considerazione la materia, nel qual caso si applicano le norme sulla vendita». L'appalto è invece definito dall'art. 1655 come quel contratto «col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro».
Inoltre la materia necessaria a compiere l'opera deve essere fornita dall'appaltatore. Il vero elemento distintivo tra contratto d'opera e appalto è la prevalenza o meno dell'elemento personale rispetto a quello dell'organizzazione. Qualora l'impresa che assume l'incarico sia di dimensioni rilevanti e/o qualora il servizio richiesto necessiti oltre alle capacità personali dell'assuntore anche di una organizzazione d'impresa, sarà sempre più facile riconoscere un contratto di appalto invece che un contratto d'opera.
Ipotizziamo una serie di rapporti abituali quali per esempio quello dell'idraulico, dell'elettricista ecc. che svolgono la loro opera per l'appaltatore impresa edile. Se trattasi di imprenditori individuali sorge allora più di un dubbio che il rapporto possa qualificarsi di sub appalto, nonostante quello principale sia effettivamente di appalto, ma appare più coerente la qualificazione dello stesso come contratto d'opera. Ciò permetterebbe di escludere un gran numero di rapporti dalle nuove regole.
Ma a sostegno, oltre alla circolare 2/E nella parte in cui esprime la necessità di evitare «interpretazioni di tipo estensivo», si può anche richiamare la circolare 7/2007, che dovendo commentare un ambito oggettivo riferito anche in quel caso ai contratti di appalto ha ricompreso le prestazioni per interventi di manutenzione o ristrutturazione dell'edificio condominiale e degli impianti elettrici o idraulici, e anche per l'esecuzione di attività di pulizia, manutenzione di caldaie, ascensori, giardini, piscine e altre parti comuni dell'edificio.
Ma tale scelta derivava dal fatto che la norma ampliava in modo esplicito il suo ambito oggettivo anche ai compensi corrisposti a fronte di prestazioni occasionali «ossia rese nell'ambito di attività non abituali e verosimilmente in assenza di organizzazioni complesse e articolate». Nelle regole in commento tale estensione invece non è prevista dal testo letterale e quindi appare coerente disegnare l'ambito oggettivo in modo più limitato rispetto a quanto previsto dalla circolare 7 del 07.02.2007 (articolo ItaliaOggi del 05.03.2013 - link a www.corteconti.it).

APPALTII chiarimenti delle Entrate. Le aperture interpretative sulla responsabilità solidale nella circolare dell'Agenzia.
Appalti con certificazione unica. In caso di contratti tra le stesse parti basta un documento a cadenza periodica.
TAGLIO ALLE CARTE INUTILI/ Non è necessario richiedere attestati di regolarità a lavoratori autonomi legati da contratti d'opera intellettuale.

Certificazione unica con riferimento a tutti i contratti di appalto stipulati tra le medesime parti e con possibilità di attestazione con cadenza periodica della regolarità di tutti i versamenti di Iva e ritenute nel frattempo scaduti.
Sono due delle aperture della circolare 2/E dell'Agenzia (commentata sul quotidiano il 2 marzo e visibile nella sezione Strumenti di lavoro, voce Documenti, sul sito del Sole 24 Ore), nell'ottica di semplificare per quanto possibile gli adempimenti delle imprese chiamate dal legislatore ad assolvere compiti "innaturali" di controllo altrui, pena pesanti sanzioni.
Ricordiamo che la solidarietà dell'appaltatore nei confronti del subappaltatore per versamenti fiscali irregolari di quest'ultimo, nonché la sanzione da 5mila a 200mila euro a carico del committente per lo stesso motivo (articolo 35, commi 28 e seguenti del Dl 223/2006) ha effetto per tutti i contratti stipulati dal 12.08.2012 e relativamente ai pagamenti effettuati dall'11 ottobre (circolare 40/E/2012).
Nella circolare 2/E l'Agenzia ha fornito molti chiarimenti che aiutano l'operatività quotidiana delle imprese; altri dovranno poi verificare se le disposizioni raggiungono –e a quali costi– gli obiettivi desiderati.
Assodato che l'ambito di applicazione non è limitato alla sola edilizia (dove già la presenza del reverse charge nei subappalti elimina gran parte dei problemi) l'Agenzia ha ricondotto le disposizioni ai soli contratti di appalto di opere o servizi (e relativi subappalti) come individuati dal l'articolo 1655 del Codice civile. Restano fuori, pertanto, tutti i contratti d'opera (articolo 2222, Codice civile) che si qualificano in quanto la prestazione va svolta, quanto meno in via prevalente, con il lavoro proprio (al massimo familiare) del prestatore, senza l'organizzazione di mezzi e persone che contraddistinguono l'appaltatore.
Nei casi dubbi sarà opportuno chiarire per iscritto sin dall'inizio quale sia la figura contrattuale a cui le parti hanno inteso fare riferimento. Devono cessare le richieste (del tutto fuori luogo) dell'attestazione della regolarità dei versamenti da parte dei lavoratori autonomi, i quali, stipulando contratti d'opera intellettuale (articolo 2230, Codice civile), sono, a maggior ragione, fuori dal campo applicativo. Positiva anche l'esclusione degli «appalti di fornitura di beni», indicazione che l'Agenzia ha ricondotto a un refuso del legislatore.
Per l'attestazione, nella pratica si assiste quasi sempre all'autocertificazione resa ai sensi del Dpr 445/2000, con un contenuto molto specifico ricalcato dalle istruzioni fornite nella circolare 40/E. Dove l'Agenzia ha chiarito che essa deve «contenere l'affermazione che l'Iva e le ritenute versate includono quelle riferibili al contratto di appalto/subappalto per il quale la dichiarazione viene resa», implicitamente negando efficacia a dichiarazioni "generiche" di regolarità fiscale.
Con la circolare 2, affermando che l'attestazione può essere resa in modo unitario per i vari contratti in essere tra le medesime parti, nonché riconoscendo efficacia a una certificazione periodica onnicomprensiva, l'Agenzia sembra ora allentare un po' il vincolo di specificità, anche se i riferimenti a contratti in essere, fatture ricevute e ritenute operate in relazione ai singoli rapporti contrattuali non dovrebbero poter essere omessi nella dichiarazione rilasciata dall'appaltatore o dal subappaltatore.
Se c'è un solo contratto di appalto, senza alcun subappalto, le norme si applicano ugualmente, per quanto limitate nell'estensione. Si ritiene (ma una conferma sarebbe opportuna) che in questo caso non si possa parlare di solidarietà (comma 28) ma di semplice soggezione alla sanzione (comma 28-bis) essendo il committente chiamato in causa solo in questi termini. In proposito, il riferimento testuale presente nella circolare n. 40/E/2012 («la disposizione... prevede la responsabilità dell'appaltatore e del committente») non è confermata nella circolare n. 2/E/2013, dove, nelle premesse, in relazione al committente si torna a citare la sola applicabilità della sanzione e non più il vincolo solidale.
In ogni caso vanno sempre ricordati i punti fondamentali. Il momento determinante che fa scattare la solidarietà (o la sanzione) è quello del pagamento (anche parziale) delle spettanze; il rischio della solidarietà è limitato all'importo contrattuale e agli adempimenti (omessi) relativi all'appalto già scaduti a tale data; se non ci sono omissioni nei versamenti l'assenza della certificazione non comporta alcuna conseguenza (articolo Il Sole 24 Ore del 05.03.2013).

APPALTI: OGGETTO: il contratto d’appalto elettronico – il nuovo comma 13 dell'art. 11 del d.lgs. n. 163 del 2006 (Consorzio dei Comuni Trentini, circolare 04.03.2013 n. 8/2013).

APPALTI: Irresponsabilità solidale.
Le Entrate cercano di limitare i disastri combinati dalla norma che scarica sulle imprese il peso dei controlli fiscali. Con effetti paradossali.

Diciamo la verità: la norma sulla responsabilità solidale nei contratti di appalto è una stupidaggine solenne, un capriccio legislativo di qualche politicante che non ha la minima idea di come gira l’economia delle piccole e medie imprese. L’Agenzia delle entrate ha cercato, con la circolare del 1° marzo, di mettere qualche pezza.
Ma il risultato finale rimane un pasticcio legislativo del quale proprio non si sentiva la necessità. Tutto nasce con il governo dei tecnici che, nel decreto 83 del 2012, ha la brillante idea di trasformare gli imprenditori in tanti sceriffi del fisco. Come se non bastassero gli uomini dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza. Come se il signor Brambilla non avesse niente di meglio da fare. In nessun paese del mondo si era arrivati a tanta protervia da parte del legislatore fiscale. L’articolo 13-ter del decreto Crescita prevede infatti sanzioni fino a 200 mila euro per l’appaltatore che paga regolarmente i suoi debiti senza aver prima verificato che il subappaltatore sia in regola con il fisco. La norma è in vigore dal 12 agosto, e finora ha prodotto solo danni.
Se è vero che la maggior parte delle imprese ha ben altro da pensare che ai ghiribizzi del legislatore, e quindi si è comportata come se questa follia nemmeno esistesse, altre imprese hanno utilizzato questa disposizione come ottimo espediente per ritardare i pagamenti, altre si sono preoccupate oltre misura e hanno distribuito a raffica richieste di certificazione fiscale ben oltre il ragionevole. Anche gli interpreti si sono mossi in ordine sparso. Ora le Entrate precisano che la responsabilità solidale non si applica solo in edilizia (e questo era ovvio, anche se in molti hanno provato a circoscrivere questa bomba a orologeria). Chiariscono che le disposizioni si applicano ad appalti e subappalti, ma non al contratto d’opera: è già un passo in avanti, ma il problema è che non è facile nella pratica distinguere le due fattispecie. Interessante anche l’esplicita ammissione della necessità «di evitare interpretazioni di tipo estensivo».
Ma sul problema fondamentale di cosa certificare, anche gli uomini di Befera sembrano alzare le mani, limitandosi a scrivere che con la certificazione «deve essere attestata la regolarità di tutti i versamenti relativi alle ritenute e all’Iva scaduti a tale data». Allora se l’appaltatore non emette fattura fino al momento del pagamento può disinteressarsi della responsabilità solidale? E in tutti gli altri casi nei quali i termini per i versamenti non sono ancora scaduti che succede? Norme così assurde minano un bene primario quale la certezza e la ragionevolezza del diritto, mantenendo gli operatori economici nell’incertezza continua sui comportamenti corretti da tenere. E comunque alla continua mercé del verificatore di turno.
Una pubblica amministrazione che non riesce a onorare i suoi debiti con le imprese (100 miliardi di arretrati) pretende di scaricare sulle stesse anche il lavoro di verifica di correttezza dei versamenti fiscali. Ma allora a cosa servono le enormi banche dati del fisco, l’abolizione del segreto bancario, l’obbligo di trasmettere in formato digitale decine di documenti? Poi ci si stupisce che la gente voti in massa per Grillo (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013 - link a www.ecostampa.it).

APPALTI: L'Agenzia delle Entrate chiarisce diversi punti ma permangono i dubbi sull'ambito applicativo. Corresponsabilità a sorpresa. Indispensabile qualificare i rapporti volta per volta.
La corresponsabilità tributaria in caso di appalto non è limitata al settore edile. Sono però esclusi i contratti di opera riconosciuti come differenti da quelli di appalto. Esclusi dall'applicazione delle norme i condomini. Nuovi dubbi su cosa occorre chiedere all'appaltatore per evitare problemi.

Questi i temi di maggior interesse approfonditi dalla circolare 2/E del 1° marzo a commento dell'articolo 13-ter del dl n. 83 del 2012 che ha introdotto la responsabilità dell'appaltatore con il subappaltatore per il versamento all'Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta dal subappaltatore, in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto ed anche la responsabilità sanzionatoria in capo al committente.
L'ambito oggettivo. Come previsto la circolare rigetta al tesi che era stata avanzata circa la possibilità di limitare al settore edile l'applicazione delle nuove regole.
Correttamente l'Agenzia osserva che l'articolo 13-ter in commento ha disposto la modifica dell'articolo 35 del dl n. 223 del 2006, rubricato «Misure di contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale».
Pertanto tale rubrica mostra l'intenzione del legislatore di contrastare pratiche evasive correlate a contratti di appalto e subappalto a prescindere dal settore economico in cui operano le parti contraenti.
Ancor più interessanti le indicazioni contenute con riguardo ai contratti interessati.
Pur senza giungere (comprensibilmente) ad una definizione dell'appalto e del sub appalto, ma rimandando sul punto al dettato dell'art. 1655 del codice civile, la circolare esprime dapprima una buona intenzione ovvero quella della necessità di «definire con chiarezza l'ambito di applicazione della norma in base al suo contenuto letterale al fine di evitarne interpretazioni di tipo estensivo».
Nel dettaglio si esclude poi specificatamente dal campo di applicazione gli appalti di fornitura dei beni (ma ciò era già chiaro dal comma 28 dell'articolo 13-ter), il contratto d'opera, disciplinato dall'articolo 2222 c.c. (quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV), il contratto di trasporto; il contratto di subfornitura, le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile.
Sul punto è senza dubbio positiva l'esclusione con riguardo ai contratti d'opera (che invece ricordiamo che la circolare 7 del 07.02.2007 aveva ritenuto compresi nelle regole che riguardano l'obbligo di ritenuta dei condomini che letteralmente è anch'essa da riferire al caso dei contratti di appalto e sub appalto), anche se in tal modo le finalità della norma lasciano qualche perplessità. Spesso i soggetti maggiormente a rischio sono proprio i piccoli imprenditori/artigiani che per loro natura più che contratti di appalto stipulano appunto contratti d'opera.
Non si capisce neanche perché la circolare voglia ribadire che altri contratti (ad esempio quello di trasporto) sono esclusi dall'applicazione: trattasi di contratti tipici e differenti rispetto a quello di appalto e quindi automaticamente esclusi dall'applicazione.
Purtroppo sul punto rimangono tutti i dubbi circa l'esatta qualificazione dei rapporti: su questo rimane la necessità di verificare (con le difficoltà conseguenti) se i rapporti contrattuali possano o meno qualificarsi come appalti.
I rapporti bilaterali. Un altro punto chiarito è quello per cui le regole trovano applicazione anche nel caso in cui vi sia un contratto di appalto e non invece un conseguente subappalto.
Quindi anche in assenza di un rapporto trilaterale la corresponsabilità (o meglio la responsabilità sanzionatoria) si applica. Ciò in quanto la norma quando descrive gli adempimenti del committente circa l'acquisizione della documentazione che attesti il regolare adempimento degli obblighi fiscali da parte dell'appaltatore, indica il subappaltatore quale figura eventuale: quindi anche in sua assenza la stessa si applica.
Il condominio e i privati. Da più parti si era sollevato il dubbio circa l'applicabilità delle norme ai condomini. La circolare prima di tutto ricorda che il comma 28-ter delimita l'ambito di applicazione ai contratti di appalto e di subappalto «conclusi da soggetti che stipulano i predetti contratti nell'ambito di attività rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto».
Da qui la circolare è per fortuna decisa nell'escludere per carenza del requisito soggettivo, le persone fisiche che risultano prive di soggettività passiva ai fini Iva e anche il condominio in quanto non riconducibile fra i soggetti individuati agli articoli 73 e 74 del Tuir.
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Attestazione della regolarità fiscale da correlare al singolo contratto.
Dopo l'apertura all'autocertificazione della circolare 40/E sul punto ci si poteva aspettare qualcosa di più dal nuovo documento di prassi.
Il tutto perché nel paragrafo 3 della circolare non si chiarisce fino in fondo e senza dubbi il pensiero della prassi circa il contenuto dell'attestazione.
Dalla norma pare chiaro che la regolarità (e quindi l'attestazione) riguardi gli adempimenti Iva e ritenute sui redditi di lavoro dipendenti:
● scaduti al momento del pagamento;
● e che riguardano le prestazioni rese con riguardo al singolo contratto di appalto.
La circolare indagando sull'ipotesi di coesistenza di più contratti intercorrenti tra le medesime parti afferma che la certificazione attestante la regolarità dei versamenti delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva relativi al contratto d'appalto «può essere fornita anche con cadenza periodica fermo restando che, al momento del pagamento, deve essere attestata la regolarità di tutti i versamenti relativi alle ritenute e all'Iva scaduti a tale data, che non siano stati oggetto di precedente attestazione».
Tale frase fin troppo generica parrebbe insinuare il dubbio che la regolarità non sia da correlare alla singola situazione ma in generale alla posizione del contribuente. Tale ipotesi è però assolutamente da scartare in quanto sia letteralmente che indagando sulla sua ratio la norma dispone invece che al regolarità debba riguardare solo il singolo contratto che è «oggetto» del pagamento.
D'altra parte la stessa circolare analizzando il caso dei pagamenti effettuati mediante bonifico bancario o altri strumenti che non consentono al beneficiario l'immediata disponibilità della somma versata a suo favore afferma che in tali casi «occorra attestare la regolarità dei versamenti fiscali scaduti al momento in cui il committente o l'appaltatore effettuano la disposizione bancaria e non anche di quelli scaduti al momento del successivo accreditamento delle somme al beneficiario». Da notare che ciò renderà molto spesso la regola priva di importanza. Si pensi all'appaltatore che non emette fattura (come consentito) fino al momento del pagamento del corrispettivo: non dovrà certificare alcunché in materia di Iva al committente e quindi potrà incassare il corrispettivo senza troppi pensieri in capo alle due parti.
Ciò accerta in modo chiaro che l'attestazione non può che riguardare gli adempimenti scaduti al momento del pagamento e non invece che dovendo l'attestazione riguardare tutti gli adempimenti correlati a quel contratto sia necessario attendere in ogni caso la loro scadenza così da poter rilasciare l'attestazione e conseguentemente ottenerne il pagamento (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

APPALTI: Danno alla concorrenza: la violazione delle norme in materia di evidenza pubblica non basta!
Invero, se è incontestabile che la nozione del danno erariale risarcibile ha da molto tempo abbandonato, sia in dottrina che in giurisprudenza, il connotato della deminutio patrimoni per ricomprendere anche le lesioni di interessi pubblici tutelati dall’ordinamento e comunque economicamente valutabili (si pensi al danno all’immagine, al danno cosiddetto da disservizio ecc.) ciò non significa che ogni lesione, nella specie quella delle regole dell’evidenza pubblica in materia di contratti, possa in re ipsa, equivalere a prova di un danno ontologicamente sussistente.
In questo caso occorrono dunque elementi di prova che dimostrino che la spesa, pur a fronte di lavori integralmente eseguiti e collaudati e quindi di una incontestata controprestazione resa, è stata invece, seppure solo in parte, un esborso dannoso in quanto non bilanciata da alcuna utilità acquisita al patrimonio del soggetto pubblico.
Né è possibile richiamare l’art. 1226 c.c. in quanto norma che se consente di quantificare in via equitativa il danno, presuppone, secondo la pacifica giurisprudenza civile e contabile che ne stata fornita la prova, anche presuntiva, dell’an (massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. II giur. centrale d'appello, sentenza 01.03.2013 n. 130 - link a www.corteconti.it).

APPALTIResponsabilità solidale leggera. Fuori condomìni, forniture di beni e contratti d'opera. Circolare dell'Agenzia delle entrate. Applicazione semplificata per il dl 83/2012.
Responsabilità solidale negli appalti soft. Fuori i privati e i condomini, nonché i contratti di appalto per fornitura dei beni, d'opera, di trasporto e di subfornitura.

L'Agenzia delle entrate, tentando una chiara operazione di semplificazione, ha emanato ieri il secondo e atteso documento di prassi (circolare 01.03.2013 n. 2/E), concernente le disposizioni in materia di responsabilità solidale dell'appaltatore, di cui all'art. 13-ter, dl n. 83/2012 (si veda ItaliaOggi del 26/02/2013).
Il documento, che si aggiunge al precedente (circ. n. 40/E/2012), conferma la presenza di pesanti sanzioni poste a carico dei committenti (da 5 mila a 200 mila euro), nel caso in cui gli stessi eseguano i pagamenti delle prestazioni di servizio ricevute senza ottenere almeno una dichiarazione sostitutiva, ai sensi del dpr n. 445/2000, con il quale l'appaltatore e/o il subappaltore attesti l'avvenuto versamento delle ritenute e dell'Iva.
Primo dubbio fugato dalle Entrate riguarda l'ambito oggettivo, con riferimento all'applicazione della disciplina al settore edile, stante la collocazione delle disposizioni nell'ambito delle misure urgenti per le infrastrutture; si conferma l'applicazione alla generalità dei soggetti e non solo al settore edile, nell'ambito dei contratti di appalto, finalizzata all'emersione di base imponibile nell'ambito dei servizi.
L'Agenzia delle entrate, però, ritiene, sulla base del tenore letterale delle disposizioni, che la disciplina sia applicabile nell'ambito dei contratti di appalto, come individuati dall'art. 1655 c.c., anche nel caso in cui la prestazione sia eseguita direttamente dall'appaltatore (senza subappalto), con esclusione di quelli concernenti forniture di beni, d'opera (art. 2222 c.c.), di trasporto (art. 1678 c.c.) e di subfornitura (legge 192/1998) e delle prestazioni rese nell'ambito dei rapporti di natura consortile.
Per l'applicazione della disciplina risulta necessario che i contratti di appalto siano conclusi nell'ambito di attività soggette alla disciplina Iva e, comunque, esercitate da società ed enti, di cui agli articoli 73 e 74, dpr n. 917/1986 (società di capitali, enti privati, cooperative, ecc.), restando escluse le stazioni appaltanti (comma 33, art. 3, dlgs n. 163/2006), i condomini e le persone fisiche non Iva.
Sul punto, si ritiene di poter confermare che nell'ambito di una prestazione in cui il committente è un consumatore finale (privato) che si avvale del solo appaltatore, la disciplina resta inapplicabile, ma se l'appaltatore opera con un subappaltatore, nell'ambito dei rapporti tra questi due ultimi soggetti, la disciplina deve essere interamente applicata.
Come indicato nel precedente documento di prassi (circ. n. 40/E/2012), l'obbligo riguarda i contratti stipulati a decorrere dal 12/08/2012, data di entrata in vigore dell'art. 13-ter, con la conseguenza che anche il rinnovo di un contratto già in essere a tale data deve essere assimilato a una nuova stipula e assoggettato alla disciplina.
In presenza di più contratti stipulati tra le parti, l'Agenzia è del parere che la regolarità dei versamenti delle ritenute e dell'Iva possa essere attestata in modo unitario ovvero considerando tutti i contratti in essere tra le medesime controparti e non per singolo contratto, potendo rilasciare la stessa attestazione con cadenza periodica.
In detto caso è necessario che l'attestazione di regolarità dei versamenti riguardanti le ritenute e l'Iva, riferibili al contratto per il quale la dichiarazione viene resa, siano scaduti alla data di pagamento, escludendo quelli oggetto di una precedente attestazione.
Per i pagamenti eseguiti a mezzo canale bancario (bonifici), l'Agenzia delle entrate ritiene che sia necessario attestare la regolarità dei versamenti erariali scaduti al momento in cui il committente (o appaltatore) ha eseguito la disposizione di pagamento e non di quelli scaduti alla data dell'accreditamento delle somme al beneficiario.
Un'altra ipotesi contemplata dalla circolare riguarda l'eventuale cessione del credito vantato dall'appaltatore e dal subappaltatore a terzi, per la quale l'Agenzia richiama le precisazioni fornite dalla Ragioneria dello Stato nell'ambito dei pagamenti con le pubbliche amministrazioni (circ. n. 29/2009).
In sintesi, gli enti appartenenti alla Pubblica amministrazione, prima di eseguire il pagamento per importi superiori a 10 mila euro, verificano la regolarità dei versamenti erariali del beneficiario e, in caso di omissione dei detti versamenti, procedono nella sospensione del relativo pagamento.
Al fine di liberare il cessionario da potenziali rischi di inadempimenti del cedente, per l'Agenzia è necessario che la regolarità, riferibile al rapporto oggetto di cessione, sia attestata nel momento in cui il cedente, appaltatore e/o subappaltatore, comunica la cessione al debitore ceduto, committente o appaltatore.
Nonostante il notevole sforzo dell'Agenzia, che si è necessariamente mossa nel perimetro delle norme, volto ad alleggerire la disciplina, restano numerosi i punti ancora oscuri, non ultimo quello inerente alla qualificazione delle prestazioni eseguite da artigiani che operano con una modesta organizzazione e che si ritiene debbano essere riconducibili nell'ambito dell'art. 2222 c.c. e, di conseguenza, esclusi dalla disciplina (articolo ItaliaOggi del 02.03.2013).

APPALTII chiarimenti delle Entrate. Circolare dell'Agenzia sui nuovi obblighi di responsabilità riferiti ai versamenti fiscali.
Appalti «solidali», fissati i confini. Responsabilità non solo per l'edilizia - Esclusi professionisti, trasporti e forniture.
La responsabilità solidale si applica in tutti i settori economici e non soltanto nel settore dell'edilizia come faceva supporre il titolo I del Dl 83/2012 rubricato «Misure urgenti per le infrastrutture, l'edilizia e i trasporti».

Lo precisa la circolare 01.03.2013 n. 2/E dell'agenzia delle Entrate. Viene infatti precisato che la finalità della norma è quella di far emergere la base imponibile in relazione alle prestazioni di servizi in esecuzione di contratti di appalto intesi nella loro generalità. Tuttavia la circolare chiarisce che alcune forme di appalti sono escluse dalla responsabilità solidale quali ad esempio gli appalti di fornitura di beni e i contratti d'opera.
Il dato normativo è contenuto nell'articolo 13-ter del Dl 83 del 22.06.2012, convertito nella legge 134/2012 il quale, sostituendo il comma 28 dell'articolo 35 del Dl 223/206, ha previsto la solidarietà dell'appaltatore con il subappaltatore nel versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva. Inoltre il committente è soggetto a una sanzione amministrativa pecuniaria da 5mila a 200mila euro nel caso in cui provveda a effettuare il pagamento all'appaltatore senza che questi abbia provato il corretto versamento dell'Iva e ritenute.
La circolare emanata ieri dall'Agenzia ha precisato che l'obbligo solidale ha una portata generale e non riguarda soltanto lo specifico settore dell'edilizia. Tuttavia l'Agenzia entra nel merito della tipologia di contratti soggetti all'obbligo solidale. La fattispecie riguarda il contratto di appalto di cui all'articolo 1655 del Codice civile e cioè quello in cui una parte, con organizzazione di mezzi, assume il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro. Sono invece esclusi dalla responsabilità solidale gli appalti di fornitura di beni (in cui prevale la cessione del bene) e il contratto d'opera di cui all'articolo 2222 del Codice civile; rientrano in questa categoria tutte le prestazioni professionali di lavoro autonomo, ma anche quelle svolte da piccoli artigiani senza organizzazione di mezzi. Inoltre sono esclusi i contratto di trasporto, quelli di subfornitura (legge 192/1998), nonché le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile (il consorzio non risponde dei versamenti fiscali omessi dai soci consorziati).
La circolare ricorda che la responsabilità solidale si applica anche in presenza del solo appaltatore in quanto il coma 28-bis dell'articolo 35 del Dl 223/2006 indica il subappaltatore come figura eventuale.
I nuovi obblighi decorrono dai contratti stipulati a partire dal 12.08.2012 (circolare 40/E del 08.10.2012), ma comprende anche quelli rinnovati successivamente a tale data.
Sotto il profilo soggettivo la responsabilità solidale riguarda i contratti di appalto e subappalto stipulati dai soggetti che rientrano nel campo di applicazione dell'Iva, oppure dai soggetti Ires di cui agli articoli 73 e 74 del Tuir, compresi quindi gli enti non commerciali. Sono invece escluse le stazioni appaltanti dei contratti pubblici (Dlgs 163/2006), privati e anche i condomini.
Con la precedente circolare 40/E/2012, l'Agenzia aveva stabilito che la responsabilità solidale viene rimossa se l'appaltatore/subappaltatore attesta l'avvenuto pagamento dell'Iva e delle ritenute. La circolare 2/E/2013 precisa che, in presenza di più contratti stipulati fra le medesime parti, l'autocertificazione può essere rilasciata in modo unitario. Questa attestazione può essere rilasciata periodicamente in presenza del pagamento del corrispettivo e attestare la regolarità dei versamenti scaduti prima di questa data. Infatti l'autocertificazione è riferita ai versamenti scaduti nel momento del versamento del corrispettivo e non può avere come oggetto fatti successivi al suo rilascio.
L'Agenzia esamina anche la fattispecie della cessione del credito e in questo caso l'autocertificazione deve essere rilasciata nel momento in cui il cedente dà notizia della cessione al proprio committente.
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Tra conferme e novità
01 | LE ESCLUSIONI
La circolare 2 emanata ieri dall'agenzia delle Entrate esclude dalla responsabilità fiscale solidale per l'appaltatore (e dalla sanzione per il committente) i contratti d'opera, quelli di trasporto e di subfornitura, nonché gli appalti di fornitura dei beni e le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile. La circolare non cita le prestazioni d'opera intellettuale ma non vi sono dubbi sulla loro esclusione
02 | LE CONFERME
Confermata l'esclusione soggettiva delle stazioni appaltanti, dei condomìni e delle persone fisiche non soggetti passivi Iva
03 | L'ESTENSIONE
Le disposizioni si applicano a tutti i settori, non solo all'edilizia. Sono soggetti alla nuova disciplina tutti i contratti (non solo stipulati ma anche) rinnovati a decorrere dal 12.08.2012, per i pagamenti effettuati dall'11.10.2012. Le sanzioni scattano, nel contratto tra committente e appaltatore, anche in assenza di subappalto
04 | LA CERTIFICAZIONE
La certificazione (anche in forma di dichiarazione sostitutiva del prestatore) può essere rilasciata in modo unitario per Iva e ritenute e anche con cadenza periodica, purché attesti la regolarità di tutti i versamenti scaduti a tale data non già certificati (articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIDisposizioni semplificate ma sempre inefficaci.
La responsabilità solidale degli appaltatori e la sanzionabilità del committente per le irregolarità relative all'Iva e alle ritenute fiscali commesse dal prestatore di servizio costituisce un onere sproporzionato e pressoché inefficace per gli obiettivi antievasione che si propone. Questo giudizio che nasce dalla formulazione della norma non può essere assolutamente scalfito dagli interventi interpretativi dell'agenzia delle Entrate che nel loro ambito di competenza hanno fatto di tutto per semplificare e ridurre gli effetti che lo specifico onere produce in capo alle imprese che agiscono quali committenti e/o appaltatori.
È chiaro, infatti, che gli sforzi interpretativi del fisco contribuiscono certamente a rendere meno oneroso l'adempimento, sia definendo, in modo chiaro la sua portata (finalmente risulta chiaro che le regole si escludono per i contratti tipici ovvero per i contratti d'opera dei professionisti e si applicano solo per gli appalti veri e propri), sia individuando più ampi margini per la tempistica di attivazione e per il contenuto della dichiarazione del prestatore.
Questi elementi positivi che porteranno, finalmente, a una drastica riduzione delle richieste fatte nei mesi scorsi dalle imprese nei confronti di fornitori di servizi, non consentono però di considerare chiusa la partita. In effetti sarebbe più utile superare lo strumento della solidarietà ponendo a carico dei prestatori obblighi di preventiva autorizzazione presso le autorità fiscali (inserimento in un albo) o chiedendo un intervento diretto dell'amministrazione con controlli preventivi con emissione (come per il Durc) di una certificazione di regolarità fiscale.
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I dubbi. Le risposte non date.
Applicazione a rischio sui contratti verbali.

Nonostante lo sforzo dell'Agenzia per chiarire alcune delle questioni più spinose, la circolare 01.03.2013 n. 2/E non risolve tutti i dubbi sollevati dagli operatori.
Dal lato soggettivo è importante comprendere se, anche in presenza di un'esclusione per il contratto che lega il committente all'appaltatore (ad esempio, poiché il primo soggetto è un condominio o una stazione appaltante ai sensi del Dlgs 163/2006), i relativi contratti di subappalto possano ritenersi anch'essi liberi dai nuovi adempimenti. Ad esempio: il subappaltatore, nell'ambito di un appalto in cui il committente è una persona fisica, deve fornire all'appaltatore la dichiarazione di "regolarità fiscale" per evitare a quest'ultimo le responsabilità? Anche considerando lo scopo della norma, la risposta sembra positiva (forse il legislatore poteva esonerare i contratti di importo non significativo).
Quanto all'aspetto oggettivo, l'Agenzia fa il massimo dal lato interpretativo, riconoscendo l'inapplicabilità della norma a tutte le figure contrattuali diverse dal contratto di appalto anche se a volte del tutto «contigue» (si pensi al contratto d'opera o a quello di subfornitura). Ma ora il problema si sposta sul piano operativo, poiché spesso ci sono accordi solo verbali o dal contenuto non ben definito.
E se la giurisprudenza (anche di Cassazione) si affatica da decenni proprio sull'individuazione degli elementi distintivi tra le diverse tipologie contrattuali, è facile trarre la seguente conclusione: o, anche nella pratica, imprese e professionisti si abituano a pattuire in forma scritta le varie prestazioni ("battezzandole" di volta in volta sin dall'inizio in maniera conforme alle modalità applicative), oppure aumenta il rischio che, in sede di verifica, vi sia la tendenza a classificarle in quelle maggiormente presidiate da adempimenti e sanzioni. Si consideri che non è ancora chiaro se la responsabilità dell'appaltatore si estende anche alle sanzioni, oltre all'imposta non versata, mentre quella del committente ha una sanzione minima di 5mila euro che non si comprende se possa essere limitata per contratti di importo inferiore.
Infine, sotto l'aspetto temporale un dubbio frequente è il seguente: se il contratto di appalto è anteriore al 12 agosto scorso, un eventuale subappalto stipulato nella vigenza delle nuove norme è soggetto o meno agli adempimenti che quest'ultima richiede? L'autonomia dei singoli accordi porta a rispondere in senso positivo (articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2013).

APPALTI: OGGETTO: Articolo 13-ter del DL n. 83 del 2012 - Disposizioni in materia di responsabilità solidale dell’appaltatore - Circolare n. 40/E dell’08.10.2012 - Problematiche interpretative (Agenzia delle Entrate, circolare 01.03.2013 n. 2/E).
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M. Denaro, Responsabilità solidale negli appalti non solo nel settore dell’edilizia.
Sono esclusi, invece, quelli di fornitura di beni, nonché quelli di opere e servizi, di trasporto, di subfornitura e le prestazioni rese nell’ambito del rapporto consortile.
L’Agenzia delle Entrate, a integrazione dei chiarimenti forniti con la circolare n. 40/2012, torna a occuparsi dell’esatta interpretazione delle disposizioni contenute nell’articolo 13-ter del Dl n. 83/2012 (“decreto crescita”), che hanno modificato, a decorrere dal 12.08.2012, la disciplina in materia di responsabilità fiscale nell’ambito dei contratti d’appalto e subappalto di opere e servizi (circolare n. 2/E dell'01.03.2013). ...
(link a http://www.fiscooggi.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: M. Dell'Unto, LINEE GUIDA SU PROGRAMMAZIONE, PROGETTAZIONE ED ESECUZIONE DEL CONTRATTO NEI SERVIZI E NELLE FORNITURE (Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
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Determinazione n. 5 del 6.11.2013 dell’Autorità per la vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture: Indicazioni sulla programmazione, progettazione ed esecuzione dei contratti pubblici.
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Sommario: Sommario: 1. Premessa. - 2. Programmazione. - 2.1. Contenuto della programmazione. - 2.2. Iter procedurale. - 3. Progettazione. - 3.1. Contenuto della progettazione. - 3.2. Soggetti incaricati. - 3.3. Garanzie e verifiche. - 4. Esecuzione del contratto. - 4.1. Responsabile del procedimento e Direttore dell’esecuzione. - 4.2. Compiti del Direttore dell’esecuzione. - 4.3. La corretta esecuzione della prestazione e le penali. - 4.4 Immodificabilità del contratto. Le varianti. - 5. Modifiche soggettive del raggruppamento in corso di esecuzione.

LAVORI PUBBLICI: S. Napolitano, QUALE GIURISDIZIONE PER LE CONTROVERSIE INERENTI LE CONCESSIONI DI COSTRUZIONE DI OPERE PUBBLICHE? (Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
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Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e devoluzione al giudice ordinario. Sulla compromettibilità in arbitri delle controversie in materia di concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche.
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Sommario: 1. Introduzione. - 2. Considerazione conclusive.

febbraio 2013

ATTI AMMINISTRATIVI - LAVORI PUBBLICI: G. Ciaglia, L'evoluzione dell'accordo di programma: da strumento di programmazione delle opere pubbliche a generale modello di semplificazione delle procedure di approvazione di interventi complessi (L'ufficio tecnico n. 1-2/2013).

APPALTI: C. De Portu, Apertura dell’offerta tecnica: novità giurisprudenziali e normative (Urbanistica e appalti n. 2/2013 - tratto da www.ispoa.it).

LAVORI PUBBLICI: A. Mancini, La nuova disciplina dei ritardi nei pagamenti applicabile ai lavori pubblici dal 2013 (Bollettino di Legislazione Tecnica n. 2/2013).

LAVORI PUBBLICI: M. Mattalia, I partenariati pubblici privati per il superamento della crisi economica (febbraio 2013 - link a www.lexitalia.it).

APPALTIIn tema di gara per l’affidamento di appalti pubblici, l’omessa predisposizione di una busta apposita nella quale inserire la documentazione amministrativa non integra una delle ipotesi astrattamente contemplate dall'art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, non essendo pregiudicate né la segretezza dell'offerta né l’integrità del plico.
Per queste ragioni deve pertanto ritenersi illegittimo il bando di gara, laddove commina l’esclusione per il concorrente che non abbia inserito la documentazione nella busta A, chiusa, sigillata e controfirmata, nonché dell'atto applicativo di esclusione dalla gara della ricorrente principale e, per illegittimità derivata, dell'aggiudicazione provvisoria a favore della contro interessata.

L’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 163/2006, prevede che la stazione appaltante possa escludere i concorrenti dalla gara nel caso di mancato adempimento delle prescrizioni previste dallo stesso codice, dal suo regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte. I bandi di gara e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Se poste tali prescrizioni sono da ritenersi nulle.
Orbene, nel caso di specie l’omissione contestata alla società ricorrente non può ritenersi rientrare tra quelle per le quali il citato art. 46, comma 1-bis, giustifica l’esclusione, trattandosi di una mera inadempienza formale che non incide sulla possibilità della identificazione e della certezza del soggetto presentatore dell’offerta (il domicilio e il numero di fax non inseriti nella busta potevano comunque essere desunti dalla documentazione presentata dalla stessa ricorrente)
D’altra parte, anche la giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare che in tema di gara per l’affidamento di appalti pubblici, l’omessa predisposizione di una busta apposita nella quale inserire la documentazione amministrativa non integra una delle ipotesi astrattamente contemplate dall'art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, non essendo pregiudicate né la segretezza dell'offerta né l’integrità del plico. Per queste ragioni deve pertanto ritenersi illegittimo il bando di gara, laddove commina l’esclusione per il concorrente che non abbia inserito la documentazione nella busta A, chiusa, sigillata e controfirmata, nonché dell'atto applicativo di esclusione dalla gara della ricorrente principale e, per illegittimità derivata, dell'aggiudicazione provvisoria a favore della contro interessata (cfr. ex multis, TAR Catanzaro, sez. II, n. 914/2012).
Non può dunque trovare accoglimento la tesi delle parti resistenti in ordine alla circostanza che il bando al punto 3.3, a pena esclusione, richiede l’indicazione del domicilio eletto in coerenza art. 46, comma 1, d.lgs. 163/2006. Come sopra rilevato, dalla documentazione agli atti di causa emerge che la società ricorrente ha comunque indicato il suo domicilio nella busta A, seppure nella dichiarazione sostitutiva sulla insussistenza di cause di esclusione dalle gare d’appalto, ed anche nella documentazione trasmessa ai fini della prequalifica.
Deve poi ritenersi superata, con la proposizione dei motivi aggiunti, anche l’eccezione di inammissibilità formulata dalla controinteressata Among srl in ordina alla mancata impugnazione del provvedimento di aggiudicazione (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 28.02.2013 n. 2221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'analisi dell'anomalia dell'offerta va compiuta in un'ottica di generale valutazione in ordine alla “congruità complessiva dei costi” in relazione al servizio globalmente offerto.
Non dunque una analisi puntuale delle singole voci va compiuto, ma una verifica della “capienza” del corrispettivo proposto in relazione ai servizi/opere che si intendono rendere.
Invero, "il giudizio di anomalia dell'offerta richiede una motivazione rigorosa ed analitica solo ove si concluda in senso negativo; mentre, in caso positivo, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni rese dall'impresa vincitrice, sempre che queste, a loro volta, siano state congrue ed adeguate".
"Il giudizio di verifica della congruità di un'offerta apparentemente anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme, restando irrilevanti eventuali singole voci di scostamento; tale verifica non ha dunque per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, essendo invero finalizzato ad accertare se l'offerta sia attendibile nel suo complesso e, dunque, se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell'appalto, sicché ciò che rileva è che l'offerta rimanga nel complesso <seria>".
Questo significa che, in sede di ricorso, colui che detiene il contrapposto interesse deve essere in grado di dimostrare la sussistenza di “voci di costo”, con un margine tale da rendere sostanzialmente "incapiente” il corrispettivo proposto dall’aggiudicataria.

L'analisi dell'anomalia dell'offerta va compiuta in un'ottica di generale valutazione in ordine alla “congruità complessiva dei costi” in relazione al servizio globalmente offerto.
Non dunque una analisi puntuale delle singole voci va compiuto, ma una verifica della “capienza” del corrispettivo proposto in relazione ai servizi/opere che si intendono rendere.
Secondo la giurisprudenza, infatti, "Il giudizio di anomalia dell'offerta richiede una motivazione rigorosa ed analitica solo ove si concluda in senso negativo; mentre, in caso positivo, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni rese dall'impresa vincitrice, sempre che queste, a loro volta, siano state congrue ed adeguate" (Consiglio di Stato sez. V 10.09.2012 n. 4785).
"Il giudizio di verifica della congruità di un'offerta apparentemente anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme, restando irrilevanti eventuali singole voci di scostamento; tale verifica non ha dunque per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, essendo invero finalizzato ad accertare se l'offerta sia attendibile nel suo complesso e, dunque, se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell'appalto, sicché ciò che rileva è che l'offerta rimanga nel complesso <seria>" (Consiglio di Stato sez. VI 07.09.2012 n. 4744).
Questo significa che, in sede di ricorso, colui che detiene il contrapposto interesse deve essere in grado di dimostrare la sussistenza di “voci di costo”, con un margine tale da rendere sostanzialmente "incapiente” il corrispettivo proposto dall’aggiudicataria (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 28.02.2013 n. 1894 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La mera pubblicazione dell'aggiudicazione di un appalto sull'albo pretorio non può essere ritenuta idonea, nel sistema previsto dall'art. 79 del Codice dei contratti, come modificato dall'art. 2, d.lgs. n. 53 del 2010, a determinare la decorrenza del termine di impugnazione in caso di mancata comunicazione dell'aggiudicazione definitiva a tutti gli interessati secondo la prescrizione della citata disposizione normativa.
In quest’ultimo caso, infatti, al di fuori delle ipotesi in cui i convenuti eccepiscano la piena conoscenza dell’aggiudicazione da parte del ricorrente e dimostrino tale evenienza in capo alla ricorrente medesima, la decorrenza del termine di impugnazione di trenta giorni ex art. 120, comma 1, c.p.a. non opera, dovendosi, dunque, ricorrere alla disposizione del seguente comma 2, secondo cui il termine decorre dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso ex artt. 65 e 225 del d.lgs. 163/2006 (nella specie insussistente o, comunque non dimostrato da chi l’avrebbe dovuto eccepire, ovvero dai convenuti in appello), ovvero è pari a sei mesi dalla data di stipulazione del contratto.

Tuttavia, il Collegio deve osservare che la mera pubblicazione dell'aggiudicazione di un appalto sull'albo pretorio, come è avvenuto nella specie, non può essere ritenuta idonea, nel sistema previsto dall'art. 79 del Codice dei contratti, come modificato dall'art. 2, d.lgs. n. 53 del 2010, a determinare la decorrenza del termine di impugnazione in caso di mancata comunicazione dell'aggiudicazione definitiva a tutti gli interessati secondo la prescrizione della citata disposizione normativa.
In quest’ultimo caso, infatti, al di fuori delle ipotesi in cui i convenuti eccepiscano la piena conoscenza dell’aggiudicazione da parte del ricorrente e dimostrino tale evenienza in capo alla ricorrente medesima (il che non si verifica nel caso di specie), la decorrenza del termine di impugnazione di trenta giorni ex art. 120, comma 1, c.p.a. non opera, dovendosi, dunque, ricorrere alla disposizione del seguente comma 2, secondo cui il termine decorre dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso ex artt. 65 e 225 del d.lgs. 163/2006 (nella specie insussistente o, comunque non dimostrato da chi l’avrebbe dovuto eccepire, ovvero dai convenuti in appello), ovvero è pari a sei mesi dalla data di stipulazione del contratto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.02.2013 n. 1204 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Il Comune può gestire in economia il servizio delle lampade votive.
Il tribunale amministrativo di Latina, nella sentenza in commento, si pronuncia sulla possibilità per l'amministrazione comunale di gestire in economia il servizio delle lampade votive all'interno del cimitero comunale.
È legittimo, ad avviso dei giudici amministrativi laziali, il provvedimento con cui la giunta municipale, revocando la precedente deliberazione recante la dichiarazione di pubblico interesse di un progetto presentato da un terzo nominato promotore, ha deciso di gestire direttamente il servizio delle lampade votive all'interno del cimitero comunale.
La disciplina normativa consente, infatti, alle amministrazioni pubbliche la gestione in economia (diretta o con cottimo fiduciario) "a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione" (art. 6-bis, d. lg. 30.03.2001 n. 165) e, "qualora ne ricorrano le condizioni" ai sensi dell'art. 125, d. lg. 12.04.2006 n. 163. Sebbene, spiegano gli stessi giudici, dal quadro normativo complessivo, emerga la netta preferenza del legislatore per l'esternalizzazione dei servizi pubblici, tuttavia, non può non riconoscersi anche una -seppur limitata -possibilità, per l'ente pubblico, di gestione in economia di detti servizi.
Infatti, nonostante tutta la normativa in materia è finalizzata alla regolamentazione della concorrenza, essa non ha alcuna incidenza in ipotesi in cui l'ente pubblico decida, a monte e nei limiti in cui detta discrezionalità è riconosciuta dall'ordinamento, di gestire da sé medesimo il servizio pubblico.
Né può in radice escludersi detta possibilità in capo all'amministrazione, posto che il principio della concorrenza, a cui è ispirata la disciplina sui servizi pubblici, non può prevalere sui principi di efficienza ed economicità e buon andamento dell'attività amministrativa, laddove una ragionevole valutazione induca a ritenere preferibili soluzioni interne all'amministrazione interessata e dunque non competitive (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it
 - TAR Lazio-Latina, sentenza 28.02.2013 n. 207 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIGare lavori, l'avvalimento non può essere limitato. Conclusioni dell'Avvocato generale della Corte di giustizia Ue.
Illegittimo limitare l'avvalimento per le gare di lavori: il codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006) viola la direttiva 2004/18 sugli appalti pubblici perché non consente di utilizzare i requisiti di due imprese per qualificarsi in una specifica categoria di lavori e impedisce l'accesso alle gare da parte delle piccole e medie imprese.
È questa la conclusione cui giunge l'Avvocato generale Jääskinen nella conclusione 28.02.2013 causa C-94/12, rimessa alla Corte di giustizia europea dal Tar delle Marche, che -laddove confermate- porterebbero al superamento dei vincoli oggi previsti nel «codice De Lise».
La questione riguarda in particolare una specifica norma del Codice dei contratti pubblici: l'articolo 49, comma 6, del decreto legislativo n. 163, del 12.04.2006, che per quanto riguarda la partecipazione a gare d'appalto prevede che «per i lavori, il concorrente può avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione. Il bando di gara può ammettere l'avvalimento di più imprese ausiliarie in ragione dell'importo dell'appalto o della peculiarità delle prestazioni, fermo restando il divieto di utilizzo frazionato per il concorrente dei singoli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi di cui all'articolo 40, comma 3, lettera b), che hanno consentito il rilascio dell'attestazione in quella categoria».
Nella fattispecie oggetto del contenzioso era accaduto che la stazione appaltante aveva provveduto ad escludere dalla gara un raggruppamento temporaneo in cui una delle imprese si era qualificata in una determinata categoria di qualificazione Soa utilizzando i requisiti di due imprese diverse, in assenza di previsione del bando. Dopo avere ricostruito la posizione della giurisprudenza comunitaria, prendendo le mosse dalla sentenza del 1994 (Ballast Noedam groep, vedi ItaliaOggi del 20.05.1994, pag. 25), l'Avvocato generale afferma espressamente che «l'esclusione degli offerenti sulla base del numero dei soggetti che partecipano all'esecuzione, da cui discende che sia ammessa una sola impresa ausiliaria per categoria, riduce le scelte dell'amministrazione aggiudicatrice e può incidere sull'efficacia della concorrenza».
Il diritto comunitario deve infatti tendere a garantire la massima apertura alla concorrenza «non solo con riguardo all'interesse alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, bensì anche nell'interesse stesso dell'amministrazione aggiudicatrice, la quale disporrà così di un'ampia scelta circa l'offerta più vantaggiosa».
Ma c'è un secondo obiettivo da perseguire: «aprire il relativo mercato a tutti gli operatori economici indipendentemente dalla loro dimensione», favorendo quindi «l'integrazione delle piccole e medie imprese (pmi)», che, nelle parole dell'Avvocato generale, «vengono considerate la spina dorsale dell'economia dell'Ue». Da ciò l'esigenza che le pmi non siano «ostacolate dalla dimensione degli appalti».
Pertanto contrastano con tali esigenze i limiti alla possibilità per gli offerenti di partecipare a raggruppamenti facendo affidamento sulle capacità di imprese ausiliarie come previsto nel codice dei contratti italiano (articolo ItaliaOggi del 02.03.2013).

APPALTIOggetto: Quesiti sull'applicazione dell'art. 11, comma 13, del decreto legislativo n. 163 del 2006 come modificato dall'art. 6, comma 3, del D.L. 179 del 2012 sulle modalità di stipulazione dei contratti pubblici (Ministero per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, nota 28.02.2013 n. 77 di prot. - tratto da http://venetoius.it).
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Il Capo dell'Ufficio Legislativo del Ministro risponde all'ANCE in ordine ai seguenti cinque interrogativi:
1) se la disposizione dell'art. 11, comma 13, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, come modificato dall'art. 6, comma 3, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, preveda come obbligatorio il ricorso alle modalità elettroniche in caso di utilizzo della forma amministrativa ovvero della scrittura privata;
2) cosa si deve intendere per "modalità elettroniche" e, in particolare, se occorre ricorrere alla firma digitale;
3) se la previsione di cui all'art. 11, comma 13, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, come modificato dall'art. 6, comma 3, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 implichi anche l'utilizzo di modalità elettroniche per la registrazione e conservazione dei contratti;
4) se in mancanza di firma digitale da parte dell'aggiudicatario del contratto, possa ricorrersi all'autenticazione della firma mediante acquisizione digitale della sottoscrizione autografa (scannerizzazione e attestazione del pubblico ufficiale);
5)
se sia opportuno che la stazione appaltante porti a conoscenza dei concorrenti la forma di sottoscrizione del contratto prescelta e le modalità elettroniche previste.

APPALTI SERVIZILe tabelle redatte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali danno indicazione dei costi medi del lavoro, formulati sulla base dei valori economici risultanti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di settore e di altre variabili attinenti alla natura e all’organizzazione dell’impresa.
Tali tabelle offrono alla stazione appaltante un parametro in base al quale valutare la congruità dell’offerta. Pertanto, lo scostamento dai costi medi orari del lavoro ivi indicati non determina l’inammissibilità dell’offerta stessa, bensì esclusivamente la necessità che l’impresa fornisca adeguate giustificazioni al riguardo.
Ciò premesso, la stazione appaltante non può, nella lex specialis di gara, stabilire l’inderogabilità di tali costi medi a pena di esclusione, stante il principio di tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46, comma 1-bis del codice dei contratti pubblici.
Alla luce di siffatto principio, la stazione appaltante può escludere i concorrenti soltanto in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché in ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o per altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte.
Ma i bandi e le lettere di invito, come espressamente chiarisce la norma, “non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.

Preliminarmente, pare opportuno ricordare che le tabelle redatte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali danno indicazione dei costi medi del lavoro, formulati sulla base dei valori economici risultanti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di settore e di altre variabili attinenti alla natura e all’organizzazione dell’impresa.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, condivisa da questo Collegio, tali tabelle offrono alla stazione appaltante un parametro in base al quale valutare la congruità dell’offerta. Pertanto, lo scostamento dai costi medi orari del lavoro ivi indicati non determina l’inammissibilità dell’offerta stessa, bensì esclusivamente la necessità che l’impresa fornisca adeguate giustificazioni al riguardo (cfr. Tar Sardegna, sez. I, sentenza 09.01.2013, n. 6 e Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 28.05.2012, n. 3134).
Ciò premesso, la stazione appaltante non può, nella lex specialis di gara, stabilire l’inderogabilità di tali costi medi a pena di esclusione, stante il principio di tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46, comma 1-bis del codice dei contratti pubblici.
Alla luce di siffatto principio, la stazione appaltante può escludere i concorrenti soltanto in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché in ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o per altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte. Ma i bandi e le lettere di invito, come espressamente chiarisce la norma, “non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGli oneri a carico dell’impresa relativi alla sicurezza dei lavoratori debbono essere computati con riferimento ai soli lavoratori che operino stabilmente alle dipendenze dell’impresa, non anche con riguardo a coloro i quali siano deputati saltuariamente ad effettuare sostituzioni dei lavoratori assenti.
L’art. 4, d.lgs. 09.04.2008, n. 81 (T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) dispone, infatti, che “ai fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale il presente decreto legislativo fa discendere particolari obblighi non sono computati: (…) d) i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 06.09.2001, n. 368, in sostituzione di altri prestatori di lavoro assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro; e) i lavoratori che svolgono prestazioni occasionali di tipo accessorio ai sensi degli articoli 70, e seguenti, del decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, e successive modificazioni, nonché prestazioni che esulano dal mercato del lavoro ai sensi dell'articolo 74 del medesimo decreto”.
Da tale disposizione si evince che gli oneri a carico dell’impresa relativi alla sicurezza dei lavoratori debbono essere computati con riferimento ai soli lavoratori che operino stabilmente alle dipendenze dell’impresa, non anche con riguardo a coloro i quali siano deputati saltuariamente ad effettuare sostituzioni dei lavoratori assenti.
Alla luce di tale norma, non devono, dunque, essere computati tra i lavoratori, ai fini del calcolo degli oneri di sicurezza, coloro i quali svolgono attività lavorativa soltanto in sostituzione dei lavoratori assenti.
Pertanto, nel caso di specie, correttamente il Consorzio SGM ha computato gli oneri di sicurezza per rischi specifici con riguardo soltanto agli 11 lavoratori da impiegare stabilmente nel servizio oggetto dell’appalto
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl principio di immodificabilità dell’offerta, teso a garantire, da un lato, la par condicio fra i concorrenti, e dall’altro, l’affidabilità del contraente, attiene non ad ogni aspetto della stessa, bensì ai profili economici e tecnici essenziali della medesima. In altri termini, è precluso all’impresa alla quale sia stato richiesto di giustificare l’offerta “anormalmente bassa”, ex art. 88 del codice dei contratti pubblici, di modificare l’offerta economica, non anche quella tecnica, salvo per quegli aspetti che si riverberino, ovviamente, sui profili economici ovvero sui contenuti tecnici essenziali posti a base di gara dalla stazione appaltante.
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Obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso, e nel suo importo originario, affidabile o meno, il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia quelli che militano a favore, sia quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme: deve di conseguenza ritenersi possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa dimostri che per converso altre voci di prezzo sono state inizialmente sopravvalutate, e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di altre voci.
Pertanto, ciò che si può consentire è:
a) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite), lasciando le voci di costo invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili.
La giurisprudenza ha infatti precisato che il subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile.

Tuttavia, il principio di immodificabilità dell’offerta, teso a garantire, da un lato, la par condicio fra i concorrenti, e dall’altro, l’affidabilità del contraente, attiene non ad ogni aspetto della stessa, bensì ai profili economici e tecnici essenziali della medesima. In altri termini, è precluso all’impresa alla quale sia stato richiesto di giustificare l’offerta “anormalmente bassa”, ex art. 88 del codice dei contratti pubblici, di modificare l’offerta economica, non anche quella tecnica, salvo per quegli aspetti che si riverberino, ovviamente, sui profili economici ovvero sui contenuti tecnici essenziali posti a base di gara dalla stazione appaltante.
In tal senso si muove anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, nel confermare il principio di immodificabilità dell’offerta, anche in sede di giustificazioni, rileva come «obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso, e nel suo importo originario, affidabile o meno, il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia quelli che militano a favore, sia quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme: deve di conseguenza ritenersi possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa dimostri che per converso altre voci di prezzo sono state inizialmente sopravvalutate, e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di altre voci (nella specie, si era riconosciuto che il maggior importo di alcune voci del costo della manodopera rispetto a quello indicato dall’impresa potesse essere compensato dal maggior risparmio conseguito sul prezzo dei contratti di fornitura) [Cons. St., sez. VI, 21.05.2009 n. 3146; Cons. St., sez. VI, 19.05.2000 n. 2908].
Dalla citata giurisprudenza si desume che ciò che si può consentire è:
a) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite), lasciando le voci di costo invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili.
La giurisprudenza ha infatti precisato che il subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile [Cons. St., sez. V, 12.03.2009 n. 1451]
» (così, di recente, Cons. St., VI, 07.02.2012, n. 636)
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICICostituisce buona regola che nel progetto dell'opera pubblica, recante la dichiarazione di pubblica utilità, l'espropriante è tenuto a redigere il piano particellare degli immobili da espropriare, operandone la distinzione con tutti quelli che nel prosieguo della realizzazione dell'opera potranno risultare necessari per la corretta esecuzione dei lavori previsti, e perciò costituire oggetto di occupazione temporanea ex art. 49 d.P.R. n. 327 del 2001.
In ordine alla questione della occupazione temporanea dei beni ai sensi dell’art. 49 T.U. espropri, va osservato quanto segue.
La sezione, già in sede cautelare, ha osservato come gli immobili di titolarità della ricorrente originaria fossero ricompresi nel piano particellare di esproprio e ciò costituiva sufficiente ragione per ritenere legittimo e corretto il procedimento di occupazione temporanea contestato.
L’art. 49 su citato prevede al primo comma che “L'autorità espropriante può disporre l'occupazione temporanea di aree non soggette al procedimento espropriativo anche individuate ai sensi dell'articolo 12, se ciò risulti necessario per la corretta esecuzione dei lavori previsti”. Per il comma 5 “Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano, in quanto compatibili, nel caso di frane, alluvioni, rottura di argini e in ogni altro caso in cui si utilizzano beni altrui per urgenti ragioni di pubblica utilità”.
Si è affermato (e quindi costituisce buona regola) che nel progetto dell'opera pubblica recante la dichiarazione di pubblica utilità l'espropriante è tenuto a redigere il piano particellare degli immobili da espropriare, operandone la distinzione con tutti quelli che nel prosieguo della realizzazione dell'opera potranno risultare necessari per la corretta esecuzione dei lavori previsti, e perciò costituire oggetto di occupazione temporanea ex art. 49 d.P.R. n. 327 del 2001 (così Cassazione civile sez. un., 06.05.2009, n. 10362).
Nella specie, risulta incontestato che i terreni oggetto della occupazione temporanea, di titolarità della ricorrente originaria, fossero ricompresi nel piano particellare, ricompreso a sua volta nell’approvazione del progetto definitivo.
Ad opinione di questo Giudicante non rileva in alcun modo, in tale sede, che vi fosse stata o meno l’approvazione del progetto esecutivo.
La parte appellata si duole del difetto di motivazione, che invero deve ritenersi soddisfatto dalle evidenziate esigenze di cantierizzazione dell’area, come desumibile per relationem rispetto alla motivazione del progetto definitivo approvato.
La problematica della occupazione temporanea è stata in qualche modo risolta dalla nuova normativa del testo unico.
In precedenza, dalle leggi precedenti (art. 65, l. fond.) si desumeva che il potere di occupazione temporanea, per esempio a fini di cantiere, potesse ritenersi svincolato dalla previa valutazione e dichiarazione di pubblica utilità, con un procedimento indipendente e deformalizzato corrispondente a quello del decreto di esproprio.
Le opere pubbliche debbono essere oggetto di una previa e distinta dichiarazione di pubblica utilità, recante un giudizio sulla loro ottimale localizzazione e soggetta ai principi di imparzialità e proporzionalità dell'azione amministrativa, oltre che alle garanzie pubblicitarie e partecipative in favore dei privati; l’ideale è che tale valutazione sia estesa per le occupazioni temporanee di aree strumentali alla realizzazione dell'opera pubblica, legate alla stessa da un vincolo di accessorietà.
Si è osservato come in molti casi (si pensi a reti infrastrutturali, strade, ferrovie, linee elettriche e di distribuzione del gas) le aree da espropriare possano essere di entità comparativamente assai ridotta rispetto a quelle da sottoporre ad occupazione per cantieri, asservimenti temporanei od opere provvisionali, che rappresentano la vera e più importante interferenza con la proprietà privata.
Il testo unico afferma all’art. 49 che le aree da occupare temporaneamente possono "anche" essere individuate nel progetto dichiarativo della pubblica utilità.
Anche se per l’art. 33, comma 1, d.p.r. n. 554/1999, sui requisiti dei progetti di opere pubbliche, il piano particellare deve censire solo le aree da espropriare o asservire è buona regola, pienamente osservata nella specie, che già nel progetto approvato siano individuate le aree di cantiere e le ragioni della occupazione, anche per relationem.
D’altronde, l’occupazione di cui alla ordinanza impugnata evidenzia in modo dettagliato i provvedimenti a suo fondamento e cioè:
1) la deliberazione CIPE di approvazione del progetto definitivo;
2) il progetto definitivo approvato e pubblicato, che comporta dichiarazione di pubblica utilità e contiene il piano particellare degli espropri (in cui sono indicate tutte le zone da espropriare e da occupare e i soggetti proprietari, come le aree di proprietà della Cascina Pagnana);
3) l’istanza di occupazione temporanea presentata dal Consorzio TEEM.
E’ vero in giurisprudenza si è anche affermato che le occupazioni temporanee sono svincolate dal procedimento di dichiarazione di pubblica utilità (per esempio, in tal senso TAR Puglia, Bari, Sez. III, 17.12.2008 n. 2891, secondo cui "Il piano particellare da allegare al progetto definitivo dell'opera pubblica, ai sensi dell'art. 16 d.p.r. n. 327 del 2001 e dell'art. 13 dell'Allegato al d.lgs. n. 163 del 2006, deve indicare i terreni di cui si prevede l'espropriazione o l'asservimento, non anche le aree da sottoporre ad occupazione temporanea ai sensi dell'art. 49 del d.p.r. n. 327 del 2001"); nel precedente su richiamato (Cassazione sez. un., 06.05.2009, n. 10362) la Suprema Corte, dopo aver ricordato la imprescindibile necessità della dichiarazione di pubblica utilità, quale fase preliminare e distinta dal potere coattivo di spossessamento di cui è anzi presupposto fondante, ribadisce che tale fase di ponderazione del pubblico interesse deve riguardare –e questo è proprio l’ideale modo di procedere, rispettato nella fattispecie- non solo le aree coinvolte a fini espropriativi, ma anche quelle interessate da un vincolo di occupazione temporanea "ai sensi dell'art. 49" del testo unico.
Il progetto definitivo deve dunque farsi carico di identificarle motivatamente al pari delle prime, a pena di illegittimità.
Il significato dell'art. 49 del testo unico, disegnato dalle Sezioni Unite, è dunque quello di un istituto necessariamente connesso all'opera pubblica (e quindi al progetto definitivo) a cui è strumentale. La previsione secondo cui le aree da occupare sono "anche" indicate nella d.p.u., non può insomma significare che l'amministrazione ha il potere di occupare aree non previste nel progetto; essa va invece interpretata, in modo conforme a Costituzione, nel senso che, ogni qualvolta l'occupazione sia funzionalmente connessa ad un'opera pubblica, la decisione di ricorrervi dovrà, secondo buona amministrazione, necessariamente essere assunta a monte, nel progetto dichiarativo della pubblica utilità, nel quale dovranno anche essere identificate le aree da occupare ed è ciò che è avvenuto nella specie.
Pertanto, che la scelta di provvedere alla occupazione temporanea sia assunta in occasione della approvazione del progetto definitivo, comprensivo della dichiarazione di pubblica utilità, piuttosto che in occasione del progetto esecutivo -a differenza di quanto ha ritenuto il primo giudice, che ha tratto argomentazione sulla illegittimità dell’operato amministrativo, basandosi sul fatto che il progetto esecutivo non era ancora stato approvato- è situazione fisiologica e anche corretta per l’operato dell’amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.02.2013 n. 1184 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In caso di clausole di dubbio significato, deve preferirsi l'interpretazione che favorisca la massima partecipazione alla gara piuttosto che quella che la ostacoli essendo esclusa, per la commissione di gara, la possibilità di ricavare ab implicito dei requisiti di partecipazione o delle cause di esclusione inespressi nella legge di gara.
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Ove si lamenti la mancata, idonea custodia delle buste contenenti la documentazione di gara e delle offerte, spetta al deducente suffragare l’assunto con elementi circostanziati o quantomeno sintomatici, tali da far ritenere verosimile o altamente probabile che la condotta dell’amministrazione possa avere dato adito a manomissioni e che in mancanza di deduzioni specifiche ogni censura avanzata in proposito è affetta da assoluta genericità.
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Non esiste un principio assoluto di unicità o immodificabilità delle commissioni giudicatrici e tale principio è destinato ad incontrare deroghe ogni volta vi sia un caso di indisponibilità da parte di uno dei componenti della commissione a svolgere le proprie funzioni.
Questo Consiglio di Stato ha statuito infatti che i “...membri delle commissioni di gara ...possono essere sostituiti in relazione ad esigenze di rapidità e continuità della azione amministrativa” configurandosi la sostituzione come “...un provvedimento di ordinaria amministrazione necessario a garantire il corretto funzionamento e la continuità delle operazioni".
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Con riferimento alla “omessa verifica d’integrità dei plichi e delle buste ivi contenute” la giurisprudenza ha rilevato che la censura deve ritenersi infondata ove il verbale espliciti chiaramente l’avvenuta effettuazione delle operazioni ricomprendendovi anche la verifica della integrità dei plichi ma che la sinteticità della formula utilizzata nel verbale per descrivere lo svolgimento di tale attività non può essere ritenuta idonea a viziare la procedura di gara non dovendo il seggio di gara verbalizzare in maniera minuziosa tutte le attività di fatto materialmente svolte.
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Il principio di concentrazione e continuità delle operazioni di gara è un principio solo tendenziale, derogabile in presenza di ragioni oggettive quali la complessità delle operazioni di valutazione delle offerte, il numero delle offerte in gara, l’eventuale indisponibilità dei membri della commissione, la correlata necessità di nominare sostituti ecc. che giustifichino il ritardo anche in relazione al preminente interesse alla effettuazione di scelte ponderate.
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Il punteggio numerico assegnato agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa integra una sufficiente motivazione quando siano prefissati con chiarezza e adeguato grado di dettaglio i criteri di valutazione, prevedenti un minimo ed un massimo; in questo caso, infatti, sussiste comunque la possibilità di ripercorrere il percorso valutativo e quindi di controllare la logicità e la congruità del giudizio tecnico.

Va ricordato il pacifico principio giurisprudenziale secondo il quale in caso di clausole di dubbio significato, deve preferirsi l'interpretazione che favorisca la massima partecipazione alla gara piuttosto che quella che la ostacoli (Cons. Stato, VI , 04.03.2008 n. 874) essendo esclusa, per la commissione di gara, la possibilità di ricavare ab implicito dei requisiti di partecipazione o delle cause di esclusione inespressi nella legge di gara.
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Tali argomentazioni del Tar non meritano conferma ritenendo la Sezione di richiamare, anche nella presente vicenda, l’orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. III, 25.11.2011 n. 6266; III, 13.05.2011 n. 2908; V, 07.07.2011 n. 4055; V, 05.10.2011 n. 5456) secondo il quale, ove si lamenti la mancata, idonea custodia delle buste contenenti la documentazione di gara e delle offerte, spetta al deducente suffragare l’assunto con elementi circostanziati o quantomeno sintomatici, tali da far ritenere verosimile o altamente probabile che la condotta dell’amministrazione possa avere dato adito a manomissioni e che in mancanza di deduzioni specifiche ogni censura avanzata in proposito è affetta da assoluta genericità.
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In fatto deve sottolinearsi che la sostituzione è avvenuta per indisponibilità di un componente in un momento in cui la commissione non aveva ancora cominciato le operazioni valutative che invece sono state effettuate dalla commissione sempre nella medesima composizione; si aggiunga che il sostituto aveva le medesime qualità e la medesima esperienza del sostituito trattandosi in entrambi i casi del direttori medici di presidi ospedalieri.

Al riguardo la Sezione richiama l’orientamento seguito più volte da questo Consiglio di Stato secondo il quale non esiste un principio assoluto di unicità o immodificabilità delle commissioni giudicatrici e che tale principio è destinato ad incontrare deroghe ogni volta vi sia un caso di indisponibilità da parte di uno dei componenti della commissione a svolgere le proprie funzioni. Questo Consiglio di Stato ha statuito infatti che i “...membri delle commissioni di gara ...possono essere sostituiti in relazione ad esigenze di rapidità e continuità della azione amministrativa” (Cons. Stato,V, 03.12.2010 n. 8400) configurandosi la sostituzione come “...un provvedimento di ordinaria amministrazione necessario a garantire il corretto funzionamento e la continuità delle operazioni" (Cons. Stato, V, 05.11.2009 n. 6872).
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Con riferimento alla “omessa verifica d’integrità dei plichi e delle buste ivi contenute” la giurisprudenza ha rilevato che la censura deve ritenersi infondata ove il verbale espliciti chiaramente l’avvenuta effettuazione delle operazioni ricomprendendovi anche la verifica della integrità dei plichi ma che la sinteticità della formula utilizzata nel verbale per descrivere lo svolgimento di tale attività non può essere ritenuta idonea a viziare la procedura di gara non dovendo il seggio di gara verbalizzare in maniera minuziosa tutte le attività di fatto materialmente svolte (Cons. Stato, Sez. V, 13.10.2010 n. 7470).
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La giurisprudenza ha evidenziato che il principio di concentrazione e continuità delle operazioni di gara è un principio solo tendenziale, derogabile in presenza di ragioni oggettive quali la complessità delle operazioni di valutazione delle offerte, il numero delle offerte in gara, l’eventuale indisponibilità dei membri della commissione, la correlata necessità di nominare sostituti ecc. che giustifichino il ritardo anche in relazione al preminente interesse alla effettuazione di scelte ponderate (Cons. Stato, V, 25.07.2006 n. 4657; IV, 05.10.2005 n. 5360).
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Come questo Consiglio di Stato ha frequentemente osservato, il punteggio numerico assegnato agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa integra una sufficiente motivazione quando siano prefissati con chiarezza e adeguato grado di dettaglio i criteri di valutazione, prevedenti un minimo ed un massimo; in questo caso, infatti, sussiste comunque la possibilità di ripercorrere il percorso valutativo e quindi di controllare la logicità e la congruità del giudizio tecnico (cfr., Sez. V, 17.01.2011 n. 222; Sez. V, 16.06.2010 n. 3806; 11.05.2007 n. 2355; 09.04.2010 n. 1999)
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 25.02.2013 n. 1169 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In materia di partecipazione ad appalti pubblici deve essere mantenuta una distinzione ben netta tra l’attività di mera integrazione o di specificazione di dichiarazioni già rese in sede di gara, rispetto alla distinta ipotesi della introduzione di elementi o fatti nuovi, successivamente alla data di scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte; soltanto quest’ultima attività deve ritenersi assolutamente non consentita, in quanto violativa della fondamentale regola della par condicio competitorum.
Per converso, laddove si tratti di esplicitare o di chiarire una dichiarazione o il contenuto di un atto già tempestivamente prodotto agli atti di gara, l’attività di integrazione non soltanto è consentita ma la stessa risulta dovuta, nel senso che la stazione appaltante è tenuta, in omaggio al principio di leale collaborazione codificato all’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, a richiedere o a consentire la suddetta integrazione, in modo da rendere conforme l’offerta, anche in relazione al materiale documentale di corredo, a quanto richiesto dalla lex specialis di gara. In tal caso è il principio di massima partecipazione alle gare ad imporre tale soluzione interpretativa finalizzata a consentire un’effettiva concorrenza tra le imprese in gara.

In materia di partecipazione ad appalti pubblici deve essere mantenuta una distinzione ben netta tra l’attività di mera integrazione o di specificazione di dichiarazioni già rese in sede di gara, rispetto alla distinta ipotesi della introduzione di elementi o fatti nuovi, successivamente alla data di scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte; soltanto quest’ultima attività deve ritenersi assolutamente non consentita, in quanto violativa della fondamentale regola della par condicio competitorum.
Per converso, laddove si tratti di esplicitare o di chiarire una dichiarazione o il contenuto di un atto già tempestivamente prodotto agli atti di gara, l’attività di integrazione non soltanto è consentita ma la stessa risulta dovuta, nel senso che la stazione appaltante è tenuta, in omaggio al principio di leale collaborazione codificato all’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, a richiedere o a consentire la suddetta integrazione, in modo da rendere conforme l’offerta, anche in relazione al materiale documentale di corredo, a quanto richiesto dalla lex specialis di gara. In tal caso è il principio di massima partecipazione alle gare ad imporre tale soluzione interpretativa finalizzata a consentire un’effettiva concorrenza tra le imprese in gara (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.02.2013 n. 1122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI - TRIBUTIPubblicità stradale con gara. È obbligatoria per affidare spazi in concessione. L'adunanza plenaria del Consiglio di stato: necessario garantire la concorrenza.
È obbligatoria la gara per l'affidamento in concessione di spazi pubblicitari stradali; si tratta di gare con offerte in aumento («al rialzo») motivate dal fatto che gli spazi pubblicitari sono contingentati in ogni comune e che occorre garantire la libera concorrenza.
È il Consiglio di Stato, adunanza plenaria sentenza 25.02.2013 n. 5, a chiarire definitivamente la questione posta dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia con ordinanza n. 653 del 2012.
La materia è trattata in più sedi: nella normativa sulla viabilità, che sottopone gli impianti, per la sicurezza del traffico veicolare, ad autorizzazione comunale se collocati nei centri abitati (art. 23, comma 4, del codice della strada dlgs n. 285 del 1992), in quella sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici [articoli 49 e 153 del codice dei beni culturali e del paesaggio (dlgs n. 42 del 2004)], se gli impianti incidano su tali profili, e nella normativa tributaria, posta in particolare dal dlgs n. 507 del 1993 (e poi dal dlgs n. 446 del 1997).
Sul tema dell'assegnazione degli spazi pubblici disponibili per gli impianti pubblicitari ad affissione diretta, in giurisprudenza erano emersi due indirizzi. Il primo, sposato dal giudice che ha rimesso la questione all'Adunanza plenaria e risalente a una pronuncia del Consiglio di stato del 2007, poggia la sua tesi sul fatto che le imprese, titolari di un diritto alla libera attività di affissione diretta (ai sensi della pronuncia della Corte costituzionale n. 355 del 2002), sarebbero sottoposte soltanto ad autorizzazione onerosa, ai sensi degli articoli 23 del codice della strada e 53 del relativo regolamento attuativo, con un «prezzo» (tariffa) pagato dall'autorizzato anche per compensare l'occupazione del suolo pubblico. Il secondo indirizzo del Consiglio di stato del 2009, prevalente anche a livello di Tar, parte dalla considerazione che il «mercato dell'uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino è, allo stato attuale, contingentato, a motivo della limitatezza degli spazi disponibili», con conseguente obbligo per i comuni di determinare «la quantità degli impianti pubblicitari».
Pertanto in questa ottica lo strumento idoneo a garantire la libera iniziativa economica non può che essere quello della concessione degli spazi tramite gara. Diversamente, infatti, sarebbe del tutto inibito a nuovi operatori l'accesso ad un mercato che resterebbe riservato a quanti hanno conseguito in passato le autorizzazioni all'uso degli spazi più remunerativi.
L'adunanza plenaria sposa questo secondo indirizzo partendo dalla conferma della considerazione generale per cui la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane è vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi disponibili all'interno del territorio comunale e ulteriormente ristretta per effetto dei vincoli sia di viabilità, sia di tutela dei beni culturali, gravanti sul territorio. Di fatto, quindi, tale assetto configura un vero e proprio «mercato contingentato» determinato da una scarsa risorsa pubblica, cioè il suolo pubblico. La sentenza delinea quindi, in questo ambito, un rapporto tra l'ente locale e privato che non può che essere di natura concessoria, sotto forma di concessione di area pubblica.
Per l'adunanza plenaria è quindi «corretto allocare l'uso degli spazi pubblici contingentati con gara, dovendosi altrimenti ricorrere all'unico criterio alternativo dell'ordine cronologico di presentazione delle domande accoglibili, che è di certo meno idoneo ad assicurare l'interesse pubblico all'uso più efficiente del suolo pubblico e quello dei privati al confronto concorrenziale».
Per assicurare il perseguimento del principio di tutela della concorrenza nell'esercizio dell'attività economica privata incidente sull'uso di risorse pubbliche occorre quindi riferirsi all'istituto della concessione tramite gara dell'uso di beni pubblici per l'esercizio di attività economiche private, che risulta del tutto coerente anche con i principi comunitari, in particolare di non discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza.
In particolare la concessione di un'area pubblica fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato (come è nella specie e quindi la gara si impone come strumento a presidio e tutela del principio, fondamentale, della piena concorrenza. Si tratterà, ovviamente, di una gara con offerte in aumento, «al rialzo», per l'assegnazione di una concessione con durata temporale prefissata (articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTII comuni potranno accedere al casellario giudiziale tramite l'Anci.
Al ministero della giustizia non può essere richiesto di stipulare più di 8.000 convenzioni, una per comune, al fine di consentire alle amministrazioni l'accesso al Sic, (Sistema informativo del casellario). E di conseguenza, la direzione generale agli affari penali ha già scelto nell'Anci e nel Authority di vigilanza dei contratti pubblici i propri interlocutori. Sarà cura di ogni ente, quindi, aderire all' intesa tra il ministero della giustizia e l'Associazione dei comuni per le verifiche connesse alle attività produttive, mentre per le opere ed i servizi pubblici le verifiche dovranno essere esperite tramite l'Autorità per la vigilanza sui contratti.

Lo ha chiarito il direttore dell'Ufficio III del dipartimento per gli affari di giustizia con la nota 20.02.2013 n. 24051 di prot..
Con la nota stessa, peraltro, il ministero ha colto l'occasione per fornire alcune indicazioni operative connesse alla tutela della riservatezza dei dati contenuti nel casellario. Per acquisire il certificato selettivo previsto dall'art. 39 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale (dpr 313/2002), infatti, ha precisato il dicastero, dovranno essere «assolutamente» indicate nella scheda informativa che accompagnerà la richiesta, le norme che regolamentano lo specifico procedimento amministrativo che ne giustifica la domanda.
In altre parole, ha sottolineato il direttore Barbara Chiari, occorre indicare puntualmente, sia la legge che disciplina il procedimento, sia lo specifico articolo che stabilisce i requisiti morali che deve possedere l'interessato per l'accoglimento dell'istanza. A titolo di esempio, nel procedimento per l'avvio di attività di vendita al dettaglio, occorrerà indicare sia il riferimento al dlgs 59/2010, che all'articolo 71, commi 1, 3, 4 e 5, nei quali sono stabiliti i motivi ostativi all'esercizio dell'attività commerciale di vendita e somministrazione.
Per quanto riguarda, invece, la consultazione diretta del Sic per l'acquisizione del certificato previsto dall'art. 21 del codice dei contratti pubblici, rilasciato ai fini del controllo delle dichiarazioni sostitutive di certificati da parte di tutte le stazioni appaltanti e degli enti aggiudicatari, la stessa potrà avvenire soltanto per il tramite dell'Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp) presso la quale è istituita la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (art. 6-bis del dlgs 163/2006).
E, a tale proposito, sarà stipulata una convenzione con la suddetta Autorità, nei tempi stabiliti dalla deliberazione dell'Avcp n. 111 del 20.12.2012, consultabile all'indirizzo http://avcp.it/portal/public/classic/ (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIIn via di ultimazione la circolare dell'Agenzia delle entrate con le semplificazioni. Appalti, responsabilità limitata. Pagamento sospeso per la quota di debito non versata.
Nella disciplina sulla responsabilità (fiscale) nei contratti di appalto, possibile sospensione del pagamento limitata alla somma di debito erariale non versata dall'appaltatore o dal sub-appaltatore e non all'intero corrispettivo dovuto.

Numerose sono le perplessità operative, in presenza di contratti di appalto e di sub-appalto, per effetto del recente intervento, di cui all'art. 13-ter, del dl n. 83/2012 («Decreto crescita») e nonostante l'emanazione di un recente documento di prassi (Agenzia delle entrate, circolare 8/10/2012 n. 40/E).
L'art. 13-ter, dl n. 83/2012, in vigore dal 12/08/2012, ha sostituito il comma 28, dell'art. 35, dl n. 223/2006 introducendo nuove disposizioni sulla disciplina applicabile ai contratti di appalto o sub-appalto di opere, forniture e servizi, conclusi da soggetti passivi Iva e da soggetti collettivi, come le società di capitali, le cooperative, gli enti pubblici e quant'altro, di cui agli artt. 73 e 74, dpr n. 917/1986 (Tuir).
Innanzitutto, da quanto risulta a ItaliaOggi, l'Agenzia delle entrate è in dirittura di arrivo per quanto concerne l'emanazione della nuova (e seconda) circolare sul tema, con l'obiettivo di semplificare la vita delle imprese, come già anticipato a suo tempo dal quotidiano (si veda ItaliaOggi 26/01/2013).
Il documento di prassi è veramente atteso poiché la disciplina, già in vigore, risulta particolarmente complessa e articolata, anche per la definizione dell'ambito applicativo; sul punto, nonostante l'art. 13-ter sia contenuto in una sezione destinata alle misure per l'edilizia, è opportuno confermare che la relativa applicazione si estende a tutti i settori che operano nell'ambito di appalti o sub-appalti. Si ritiene che siano escluse dalla disciplina le prestazioni eseguite nei confronti di un committente «privato» e sicuramente quelle di natura intellettuale, fornite da professionisti, poiché queste ultime trovano la giusta collocazione nell'ambito dell'art. 2229 c.c. e non dell'art. 1655 c.c.
Al contrario, le disposizioni sulla solidarietà tributaria parlano di contratti di appalto e di sub-appalto ovvero di quei contratti con i quali una parte (appaltatore) assume il compimento di un'opera o di un servizio su incarico di un committente e verso un corrispettivo in danaro, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, ai sensi dell'articolo 1655 c.c., e riguardano le attività delle imprese. L'individuazione del perimetro applicativo non è del tutto agevole poiché il tenore letterale delle disposizioni appena richiamate porterebbero a escludere che tale disciplina si estenda ai contratti d'opera, come disciplinati dall'art. 2222 c.c., che prevedono la fattispecie in cui un soggetto si obbliga a compiere un'opera verso pagamento di un corrispettivo, con il lavoro proprio e senza vincolo di subordinazione. Di conseguenza, alcuni autori, condivisibilmente, hanno evidenziato che la prestazione d'opera di un artigiano con modesta organizzazione d'impresa, sia riconducibile più in un contratto d'opera (art. 2222 c.c.) che in un contratto di appalto (art. 1655 c.c.) e che la corretta individuazione del perimetro applicativo non può essere rimessa alla discrezionalità delle parti in causa, sulla base delle clausole contrattuali che potrebbero non essere apposte in assenza di un accordo scritto.
Non è chiaro nemmeno se la disciplina, in presenza di committenza privata, sia o meno applicabile nel caso in cui l'appaltatore utilizzi uno o più sub-appaltatori, con la possibile applicazione limitata ai rapporti tra queste due ultime figure (appaltatore e sub-appaltore).
Una paradossale situazione, infine, è quella in cui l'appaltatore, nei rapporti con il committente, o il sub-appaltatore, nei confronti dell'appaltatore, non abbia onorato i versamenti delle ritenute alla fonte sui redditi da lavoratore dipendente o dell'Iva ma debba incassare un corrispettivo più alto rispetto al debito erariale impagato.
Le disposizioni, in tal caso, non danno certezze con la conseguenza che si ritiene che il committente o l'appaltatore debbano sospendere l'intero pagamento del corrispettivo fino al pagamento del debito erariale. In attesa delle necessarie precisazioni in merito sembrerebbe più corretto, in tal caso, sospendere il pagamento per l'ammontare di debito erariale non ancoro onorato, mentre dal dettato letterale pare che, per esempio, se il committente deve pagare all'appaltatore prestazioni per un corrispettivo pari a 10 mila euro, in presenza di debiti (ritenute e Iva) dell'appaltatore non onorati per 5 mila euro, lo stesso non può erogare gli ulteriori 5 mila euro (10 mila - 5 mila) fino alla sistemazione di quanto dovuto, creando ulteriori problemi di liquidità del prestatore (appaltatore o sub-appaltatore) (articolo ItaliaOggi del 26.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - APPALTIP.a., finanziamenti in chiaro. Obblighi rafforzati per le concessioni oltre i mille euro. Le misure contenute nel decreto sulla trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
Totale trasparenza sui corrispettivi e sui contratti affidati a imprese e professionisti; introdotto l'indicatore di tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni; trasparenza assoluta sui finanziamenti e sui contributi alle imprese, oltre che sulle partecipazioni pubbliche in enti privati.

Sono alcune delle principali novità contenute nel decreto legislativo recante la disciplina degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle p.a., approvato in via definitiva dal consiglio dei ministri del 15 febbraio scorso e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Il provvedimento riveste particolare interesse per le imprese: infatti, da un lato le mette in condizione di avere la massima e totale trasparenza sull'operato delle pubbliche amministrazioni, dall'altro rende trasparenti e accessibili a tutti situazioni che coinvolgono l'operato delle imprese. Esempio emblematico è l'introduzione del diritto di accesso civico che comporta un'estensione soggettiva del generale diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui all'art. 22, comma 1, legge 241/1990 anche per coloro che non sono portatori di alcun interesse giuridico qualificato (diretto, concreto e attuale) rispetto al procedimento.
Un primo aspetto che può interessare direttamente il settore imprenditoriale è quello legato ai pagamenti delle amministrazioni per appalti e contratti pubblici affidati alle imprese.
L'articolo 33 del decreto, riprendendo quanto già previsto dalla lett. a) del comma 5 dell'articolo 23 della legge n. 69 del 2009, impone alle pubbliche amministrazioni di pubblicare e aggiornare annualmente l'indicatore dei tempi medi di pagamento per l'acquisto di beni, servizi e forniture, denominato «indicatore di tempestività dei pagamenti». In questo modo, e anche in relazione alle nuove disposizioni in materia di ritardati pagamenti, sarà possibile tenere sotto controllo e monitorare i comportamenti delle amministrazioni debitrici nei confronti delle imprese aggiudicatarie dei contratti.
Un altro profilo di interesse attiene alle modalità di pagamento: l'articolo 36 stabilisce che, per i pagamenti informatici, le pubbliche amministrazioni rendano note nei propri siti istituzionali e specifichino nelle richieste di pagamento i codici Iban identificativi del conto di pagamento, ovvero gli identificativi del conto corrente postale sul quale i soggetti versanti possono effettuare i pagamenti mediante bollettino postale, oltre ai codici identificativi del pagamento da indicare obbligatoriamente per il versamento.
Pubblicità e trasparenza assoluta viene prevista dall'articolo 26 anche per gli atti di concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari alle imprese, nonché per l'attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati, e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati. L'obbligo di pubblicità è addirittura «rafforzato» dal fatto che la pubblicazione diviene condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare al medesimo beneficiario (è poi anche prevista la responsabilità disciplinare del pubblico dipendente che abbia violato l'obbligo). In base all'articolo 27 vengono poi specificati, riprendendo quanto già previsto dal dl 83/2012, gli elementi oggetto di pubblicità, fra cui: il nome dell'impresa o altro soggetto beneficiario, la norma o il titolo base dell'attribuzione, l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del procedimento, le modalità seguite per individuazione del soggetto beneficiario, il link al progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato.
L'articolo 25 del decreto prevede, sulla scorta dell'articolo 14, comma 3 del dl n. 5/2012 (che delega il governo ad adottare sistemi di semplificazione dei controlli sulle imprese) che le pubbliche pubblichino sul proprio sito istituzionale e sul sito www.impresainungiorno.gov.it sia l'elenco delle tipologie di controllo cui sono assoggettate le imprese in ragione della dimensione e del settore di attività, sia l'elenco degli obblighi e degli adempimenti oggetto delle attività di controllo che le imprese sono tenute a rispettare. Infine, alcune norme del provvedimento si occupano della pubblicità e trasparenza dei dati relativi agli enti di diritto privato controllati o vigilati dall'amministrazione pubblica, nonché alle partecipazioni in società di diritto privato (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIContratti pubblici, uno spazio ad hoc sui siti istituzionali.
Obbligo di pubblicare sui siti internet i dati principali dei contratti stipulati dalle amministrazioni con le imprese; trasparenza assoluta sui processi di pianificazione e programmazione sulle opere pubbliche e di valutazione degli investimenti.

È quanto prevede il decreto legislativo in materia di pubblicità e trasparenza dell'operato delle amministrazioni che all'articolo 37 declina i principi di trasparenza e pubblicità anche come obbligo di pubblicazione delle informazioni, relative ai contratti pubblici, sui siti istituzionali di ciascuna amministrazione pubblica.
Si tratta di un adempimento che è funzionale a garantire esigenze di garanzia, a favore di ogni potenziale offerente e della collettività, a che siano conoscibili e accessibili i dati relativi alle procedure di aggiudicazione ed esecuzione dei contratti pubblici, in modo da consentire un maggior controllo sull'imparzialità degli affidamenti nonché una maggiore apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. Saranno quindi accessibili l'oggetto del bando, l'elenco degli offerenti, l'aggiudicatario, l'importo di aggiudicazione, i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate.
Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all'anno precedente, dovranno essere pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto, per un maggior controllo sull'imparzialità degli affidamenti, nonché una maggiore apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. La norma richiama anche, con una formula omnicomprensiva, tutti gli obblighi di pubblicazione, in materia di contratti pubblici, derivanti dalla normativa nazionale, ivi compresi quelli che si sostanziano nella pubblicazione sui quotidiani, locali e nazionali, per estratto, di avvisi e bandi di gara.
Di particolare rilievo è anche la previsione con la quale si introduce per le pubbliche amministrazioni l'obbligo di pubblicare, nell'ipotesi di cui all'articolo 57, comma 6, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, la delibera a contrarre. Si tratta dei casi in cui le amministrazioni affidano contratti con procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara. Sui propri siti istituzionali le amministrazioni dovranno inoltre rendere pubbliche le informazioni concernenti tempi, costi unitari e indicatori di realizzazione delle opere pubbliche completate.
L'articolo 38 del decreto, riprendendo quanto già previsto dall'articolo 9, comma 1, dlgs 228 del 2011 in ordine alla trasparenza dei processi di pianificazione, realizzazione e valutazione delle opere pubbliche, prevede poi l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare tempestivamente sui propri siti istituzionali: i documenti di programmazione anche pluriennale delle opere pubbliche, le linee guida per la valutazione degli investimenti, le relazioni annuali e ogni altro documento predisposto nell'ambito della valutazione, compresi i pareri dei valutatori che si discostino dalle scelte delle amministrazioni e gli esiti delle valutazioni ex post (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTICodice appalti. Le istruzioni dell'Authority. Contratti in forma elettronica con regolamenti autonomi.
La nuova disciplina sulla stipulazione elettronica dei contratti vale solo per gli appalti e richiede l'elaborazione di regole attuative da parte degli enti locali.
L'Autorità sugli appalti ha fornito una serie di chiarimenti sulla nuova formulazione dell'articolo 11, comma 13, del Codice Appalti, introdotta dalla legge 221/2006 che comporta l'obbligo di digitalizzare i contratti.
Nella determinazione n. 1/ 2013 l'Authority evidenzia che la nuova norma riguarda solo i contratti disciplinati dal Dlgs 163/2006, mentre rimangono esclusi i contratti di locazione o quelli di compravendita immobiliare. Il nuovo comma 13 non incide però sul generale obbligo di stipulazione dei contratti mediante atto pubblico o in forma pubblica amministrativa, dettato dall'articolo 16 del Rd 2240/1923, ancora vigente come l'articolo 17 dello stesso decreto, che individua l'eccezione per i contratti derivanti da procedura negoziata (stipulabili anche con scrittura privata).
Secondo l'Autorità, infatti, la disposizione determina l'obbligo ulteriore, riferito appunto ai soli contratti per gli appalti e le concessioni, di composizione con modalità elettroniche: l'atto pubblico notarile informatico e l'atto in forma pubblica con l'intervento dell'ufficiale rogante (il segretario comunale o provinciale), secondo regole di gestione informatizzata stabilite da ciascuna amministrazione.
Ogni amministrazione aggiudicatrice è quindi chiamata a definire all'interno del proprio regolamento dei contratti alcune norme specifiche.
L'Authority evidenzia che le amministrazioni possono prevedere la sottoscrizione dalle parti con la firma elettronica "leggera", ossia l'acquisizione digitale della firma autografa, richiedendo invece come passaggio essenziale l'apposizione della firma digitale da parte dell'ufficiale rogante.
Il percorso è garantito sia dall'articolo 25, comma 2, del Dlgs 82/2005 sia dalla legge notarile sull'atto pubblico informatico (in particolare dall'articolo 52-bis).
L'Autorità, inoltre precisa che l'articolo 6 della legge 221/2012 ha introdotto invece (comma 2) un obbligo di stipulazione solo con firma digitale degli accordi tra Pubbliche amministrazioni, quando stipulati ai sensi dell'articolo 15 della legge 241/1990.
La determinazione 1/2013 chiarisce anche che la forma della scrittura privata può ancora essere gestita secondo modalità tradizionali (firma autografa su supporto cartaceo), nulla vietando, peraltro, alle amministrazioni di applicare alla stessa la sottoscrizione con firma digitale o realizzare lo scambio delle lettere secondo gli usi del commercio mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata (articolo Il Sole 24 Ore del 25.02.2013).

APPALTI: Pagamenti, la trasparenza non va online. Gli enti disattendono l'obbligo di pubblicazione sui siti delle spese oltre mille euro in vigore da gennaio.
Quanto spende il tuo sindaco? In teoria dal primo gennaio dovrebbe bastare un click per saperlo. In pratica, invece, il sipario sui pagamenti della pubblica amministrazione non si è ancora alzato.
A distanza di due mesi dall'entrata in vigore dell'obbligo di mettere on-line tutti i pagamenti oltre i mille euro sono veramente pochissime le amministrazioni pubbliche in regola con le nuove disposizioni (articolo 18 del Dl 83/2012).
Un censimento ufficiale non è ancora disponibile, ma un monitoraggio ufficioso, svolto dal sito «L'era della trasparenza» e coordinato da Agorà digitale, segnala a fine gennaio un tasso di regolarità praticamente nullo: su circa mille siti pubblici censiti sono poco più di una trentina -molte le Province- quelli con l'elenco.
Tra questi, c'è la Regione Lombardia. Il monitoraggio fornisce uno spaccato rappresentativo di tutte le provvidenze, le fatture, le spese grandi e piccole dell'era Formigoni. Tutto visibile, fin nei minimi dettagli: dai 363mila euro richiesti dal Centro studi interregionale Cinsedo come quota associativa 2013 ai 2.860 versati alla Royal Food (rinfresco o tramezzini?) per spese di rappresentanza. La Regione Lazio, invece, rende noti solo i dati del microcredito, dei sussidi agricoli e per il diritto allo studio. Ancora un po' poco per l'ente di Fiorito.
Buio pesto, poi, nelle aziende sanitarie locali lombarde. A fronte di 797 milioni di servizi acquistati (bilancio 2010), ad esempio, dalla Asl 2 di Milano, non un centesimo è ancora visibile nella sezione "Trasparenza, valutazione e merito" dell'azienda. Zero anche per le medesime realtà di Bergamo. Ma non è un fatto territoriale: nulla cambia, per esempio, nelle Asl di Alessandria o di Livorno.
Tra le amministrazioni centrali rispetta l'obiettivo la Presidenza del Consiglio dei ministri, ma non l'enorme centro di spesa rappresentato dal ministero delle Infrastrutture.
L'intento della norma è chiaro: fare luce sulla gestione della spesa pubblica, sui 140 miliardi di euro solo per gli acquisti (stima Istat), senza contare i mille rivoli dei finanziamenti e contributi a pioggia.
Da qui l'obbligo di mettere in rete, in formato aperto, qualsiasi uscita (fatture, contributi) sopra i modesti mille euro.
Alla Pa è stato dato un po' di tempo per organizzarsi di fronte alla ciclopica sfida: l'obbligo è in vigore da agosto scorso, ma solo da gennaio è accompagnato da pesanti «sanzioni». Innanzitutto per i beneficiari dei pagamenti: la pubblicazione preventiva degli importi è «condizione legale di efficacia del titolo» di pagamento. In altre parole se si aggira la norma, il pagamento diventa un fatto indebito (e va restituito). Una vera e propria spada di Damocle che dal primo gennaio pende su milioni di cittadini (e pochi lo sanno): dall'impresa appaltatrice di un lavoro pubblico, fino allo studente che incassa il sussidio scolastico. Possono tutelarsi solo segnalando l'inadempienza. Anche i dirigenti dell'amministrazione rischiano in proprio: per loro può scattare la responsabilità patrimoniale e devono risarcire i danni.
Eppure l'opacità resta. «In realtà sappiamo che molte amministrazioni stanno cercando di mettersi in regola -spiega Antonio Naddeo, capo dipartimento della Funzione pubblica- ma hanno difficoltà organizzative, e nessuna risorsa aggiuntiva». Ancora più difficile per le realtà più grandi e articolate sul territorio organizzare il flusso di informazioni e centralizzarle.
Per Ernesto Belisario di Agorà digitale a rallentare le scelte degli enti hanno contribuito «le prime bozze del decreto di riordino della trasparenza amministrativa che sembravano rimensionare questi obblighi e sospenderli per sei mesi». Proprio Agorà rivendica di essere riuscita «con un emendamento a ripristinare il testo vigente». La riforma è stata approvata il 15 febbraio dal Consiglio dei ministri. Se come sembra anche si confermerà il rigore sulla spesa non è più tempo di sconti. Dopo la stretta sui tempi di pagamento dei fornitori, anche la mancata trasparenza sui destinatari dei soldi pubblici può costare molto cara alle amministrazioni (articolo Il Sole 24 Ore del 25.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Gli "intrecci personali" determinano l'esclusione dalla gara.
Indizi gravi, precisi e concordanti come gli “intrecci personali” esistenti tra società collegate e partecipanti ad una gara pubblica determinano la legittima esclusione dalla procedura.

Questo il principio ribadito dalla VI Sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 22.02.2013 n. 1091.
Nel caso in esame alcune imprese concorrenti ad una procedura ad evidenza pubblica, per l’affidamento dei lavori di ristrutturazione di un edificio scolastico, erano state escluse:
- per non aver dichiarato l’esistenza di una situazione di collegamento formale (come espressamente richiesto dal bando di gara);
- perché tra di loro esistevano degli “intrecci personali” che facevano presumere l’esistenza di quegli indizi gravi, precisi e concordanti che il legislatore ritiene i presupposti per la sussistenza di un unico centro decisionale.
Respinto il ricorso presentato in primo grado contro l’esclusione, le imprese adivano il Supremo Consesso Amministrativo, che giudica infondato il ricorso: “Premesso che il collegamento sostanziale ricorre nel caso in cui le offerte, seppure provenienti da imprese diverse, siano riconducibili ad un medesimo centro di interessi, si osserva che tale fattispecie, delineata dal richiamato orientamento giurisprudenziale sulla scorta della disciplina comunitaria, secondo cui il sistema delle gare pubbliche può funzionare solo, se le imprese partecipanti si trovino in posizione di reciproca ed effettiva concorrenza, ha poi avuto riconoscimento normativo nel d.lgs. n. 163 del 2006 –dapprima, nell’art. 34, comma 2, ora, nell’art. 38, comma 1, lett. m-quater), inserito dall’art. 3, comma 1, d.l. 25.09.2009, n. 135–, che, in aggiunta alla fattispecie tipizzata delle situazioni di controllo ex art. 2359 cod. civ., contempla espressamente, a ricognizione del principio già affermato in via giurisprudenziale, le ipotesi di collegamenti, anche di fatto, tra imprese partecipanti che comportino l’imputabilità delle relative offerte ad un unico centro decisionale.”
Pertanto: “…applicando le enunciate coordinate normative e giurisprudenziali alla fattispecie sub iudice, deve, in primo luogo, affermarsi la legittimità delle impugnate previsioni della lex specialis di gara e del c.d. "Patto di integrità", sopra citate, in quanto conformi all’enunciato principio della natura escludente di collegamenti sostanziali tra imprese partecipanti lesivi dei canoni della segretezza delle offerte e della serietà e trasparenza delle procedure di evidenza pubblica.”
Il collegamento societario e la partecipazione alle gare pubbliche hanno più volte interessato anche il legislatore comunitario, il quale ha recentemente disposto la contrarietà ai principi comunitari di trasparenza e concorrenza di una norma nazionale che impedisce, in via di principio, la partecipazione ai bandi pubblici di imprese tra loro collegate.
Con l’art. 38, comma 1, lett. m-quater), il legislatore italiano ha voluto recepire questo indirizzo, stabilendo che l’eventuale esclusione può essere stabilita soltanto valutando l’effettiva situazione concreta sottoposta all’attenzione della stazione appaltante (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'Antitrust può bacchettare gli enti sulla concorrenza.
Non c'è alcuna violazione dei principi costituzionali posti a presidio delle autonomie locali se all'Autorità antitrust viene riconosciuto il potere di intervenire su tutti gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica, statale, regionale o locale, che ritenga emanati in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato.
Sulla nuova competenza attribuita all'Autorità garante della concorrenza e del mercato dall'art. 35 del decreto legge 06.12.2011, n. 201, si è pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza 14.02.2013 n. 20, dichiarando l'inammissibilità delle questioni poste nel ricorso presentato dalla Regione Veneto.
Ciò in quanto nessuna lesione alla Carta costituzionale è collegata al fatto che all'Antitrust, in base alle sopraindicate disposizioni è stata assegnata la possibilità di intervenire, in una prima fase a carattere consultivo (parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda (eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale, qualora la pubblica amministrazione non si conformi al parere stesso Non si è in presenza, pertanto, ha osservato il Giudice delle leggi, di nessun nuovo e generalizzato controllo di legittimità, su iniziativa di un'autorità statale, analogo al controllo che era previsto dal previgente art. 125, primo comma, Cost., norma successivamente abrogata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 che ha modificato il Titolo V della Cost..
Il parere del Garante, infatti, è finalizzato esclusivamente a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato (art. 21, comma 1, della legge 287/1990) e, comunque, certamente non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi «che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato».
La disposizione, quindi, che la Regione Veneto considerava limitativa delle proprie prerogative ed in contrasto con il principio della leale collaborazione, ha un perimetro ben individuato (quello, per l'appunto, della concorrenza), che è compreso in una materia appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello stato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), concernente anche la potestà regolamentare, ai sensi dell'art. 117, sesto comma, primo periodo, Cost. (articolo ItaliaOggi del 22.02.2013).

APPALTI: Pubblicità legale a costo zero. Inserzioni sui giornali rimborsate da chi vince la gara.  È l'effetto combinato del decreto crescita bis e della legge anticorruzione (legge 190/2012).
Confermati tutti gli obblighi di pubblicità legale previsti dal Codice dei contratti pubblici, ivi compresa la pubblicità sui quotidiani che verrà rimborsata dagli aggiudicatari alle stazioni appaltanti ai sensi del decreto crescita-bis.
Le stazioni appaltanti dovranno mettere sui propri siti web i principali elementi caratterizzanti i contratti stipulati e inviarli all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici; da pubblicare anche le delibere per affidamenti a trattativa privata senza bando di gara (in particolare per lavori fino a 500 mila euro e per di servizi di ingegneria fra 40 mila e 100 mila euro).

È quanto si desume dalla lettura combinata delle norme della legge 190/2012 e del decreto legislativo approvato in via definitiva dal consiglio dei ministri del 19 febbraio scorso in materia di disciplina degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle p.a.
Per quel che riguarda i contratti pubblici il provvedimento declina i principi di trasparenza e pubblicità come obbligo di pubblicazione delle informazioni sui siti istituzionali di ciascuna amministrazione pubblica in modo da rendere conoscibili ed accessibili gli elementi delle procedure di affidamento.
Il contenuto degli elementi da rendere pubblici non viene specificato dalla norma ma si deve ritenere che si tratti di quelli riguardanti la struttura proponente, l'oggetto del bando, l'elenco degli offerenti, l'aggiudicatario, l'importo di aggiudicazione, i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate citati al comma 32 dell'articolo 1 della legge 06.11.2012 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 13 novembre n. 265).
Questi elementi andranno poi ogni anno trasmessi all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici secondo appositi format.
Anche al fine di chiarire definitivamente ogni questione in ordine alla vigenza degli adempimenti che fanno capo alle stazioni appaltanti, l'articolo 37 del decreto delegato richiama, attraverso una formula omnicomprensiva, tutti gli obblighi di pubblicazione in materia di contratti pubblici derivanti dalla normativa nazionale, citando espressamente anche le norme che impongono alle stazioni appaltanti la pubblicazione sui quotidiani per estratto degli avvisi e bandi di gara, oltre a tutte le altre norme che prevedono la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, sui siti istituzionali e sui siti delle singole amministrazioni (avvisi di preinformazione, pubblicità dei sistemi di qualificazione nei cosiddetti settori speciali, ecc. previsti quindi agli articoli 63, 65, 66, 122, 124, 206 e 223 del Codice dei contratti pubblici).
Due di queste disposizioni (il comma 7 dell'articolo 66 e il comma 5 dell'articolo 122 del Codice) sono a loro volta espressamente citate dal comma 35 dell'articolo 34 del decreto-legge legge 179/2012 convertito nella legge 221/2012 per imputare, dal primo gennaio 2013, a carico dell'aggiudicatario del contratto, l'obbligo di rimborso alle stazioni appaltanti delle spese di pubblicazione per estratto sui quotidiani (locali e nazionali, a secondo dell'importo) degli avvisi e bandi di gara.
Il richiamo espresso di tutte le norme in materia di pubblicità previste dal Codice risulta del tutto coerente e conforme a quanto prevede il comma 31, dell'articolo 1 della legge 190/2012 che, da una parte, prevede la delega al ministro della funzione pubblica per l'emanazione di uno o più decreti cui siano definite, fra le altre, le informazioni rilevanti da pubblicare sui siti web, e «le relative modalità di pubblicazione» e dall'altro lato, prevede la disposizione «di salvezza» delle norme in materia di pubblicità contenute nel Codice dei contratti pubblici («Restano ferme le disposizioni in materia di pubblicità previste dal codice di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163»).
Il decreto legislativo delegato prevede anche un rilevante obbligo di pubblicità che riguarda la delibera a contrarre inerente i contratti affidati con procedura negoziata senza bando di gara.
Si tratta delle «trattative private» con invito ad almeno tre soggetti ammessa per lavori pubblici fino a 500 mila euro, ai sensi dell'articolo 122, comma 7-bis del dlgs 12.04.2006, n. 163 (nel prosieguo, Codice), come novellato dalla legge 22.12.2008, n. 201, e per i servizi di ingegneria e architettura compresi fra 40 mila e 100 mila euro, ma con invito ad almeno cinque soggetti. Infine va segnalato come l'articolo 38 del decreto stabilisca l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare anche, le informazioni relative ai tempi, a i costi unitari e agli indicatori di realizzazione delle opere pubbliche completate (articolo ItaliaOggi del 22.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

LAVORI PUBBLICILombardia, 1 mln per bonificare edifici dall'amianto. Beneficiari i comuni.
Parte il sostegno per la bonifica ambientale negli edifici pubblici. È aperto lo sportello per l'erogazione di contributi a fondo perduto ai comuni lombardi per la bonifica del proprio patrimonio abitativo da manufatti contenenti amianto.
Il fondo di 1 milione di euro è gestito da Finlombarda spa. Possono presentare proposta di accesso al finanziamento a fondo perduto esclusivamente i comuni lombardi per interventi di rimozione dei materiali contenenti amianto presenti negli edifici destinati a edilizia residenziale pubblica. I contributi verranno concessi secondo la modalità «a sportello», vale a dire fino a esaurimento dello stanziamento assegnato.
Sono da considerarsi ammissibili i costi per spese tecniche di progettazione al massimo 8% del totale costi ammissibili, spese per l'allestimento del cantiere, ponteggi e sicurezza, limitatamente al periodo necessario per le operazioni di rimozione dei manufatti contenenti amianto, spese per rimozione, trasporto, conferimento e smaltimento dei materiali contenenti amianto presso gli impianti autorizzati. È ammessa la cumulabilità con eventuali altri contributi di provenienza regionale, nazionale ed europea previsti per la realizzazione degli interventi di riqualificazione energetica e produzione di energia da fonte solare.
Il finanziamento a fondo perduto è concesso a copertura dei costi ammissibili dell'intervento nella misura massima del 100%, fino ad un massimo di 150 mila euro Iva inclusa. I comuni possono presentare anche più di una domanda, fino a una richiesta massima di 300 mila euro (articolo ItaliaOggi del 22.02.2013).

APPALTITempi negoziabili sui pagamenti. Senza ordini o commesse il B2B può derogare ai 30 giorni.  Il dlgs che recepisce la direttiva Ue concede una via d’uscita con la indicazione in fattura.
Si deve ritenere sufficiente l’indicazione in fattura di un termine di pagamento dei beni o di prestazioni di servizi fissato oltre i 30 giorni, come prescritti dalla disciplina sui pagamenti nelle transazioni commerciali, in assenza di un ordine o di una commessa.
Con il decreto legislativo 09.11.2012 n. 192, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15.11.2012 n. 267, il legislatore è intervenuto, in grande anticipo rispetto al termine fissato per il recepimento della Direttiva comunitaria n. 2011/7/Ue (31/03/2013) per modificare il precedente decreto legislativo n. 231/2002, introducendo tempi più certi e più brevi nella riscossione dei crediti di natura commerciale.
Le nuove disposizioni, che si aggiungono a quelle introdotte dall’art. 62, del decreto legge n. 1/2012 destinate ai soli prodotti agro-alimentari, sono molto meno rigorose, stante la mancata previsione di sanzioni in caso di ritardato pagamento, con la possibilità di derogare ai termini di pagamento fissati ex lege.
Com’è noto la disciplina si applica alle transazioni «concluse» a partire dal 01.01.2013, con la conseguenza che per le cessioni eseguite nel mese di dicembre 2012, ancorché fatturate nel 2013, in ossequio alla disciplina Iva, le nuove regole non si rendono applicabili, potendo mantenere i pagamenti nei termini già concordati tra le parti. Restano escluse le transazioni commerciali eseguite nell’ambito di procedure concorsuali o di ristrutturazione del debito e nelle ipotesi di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento assicurativo.
L’art. 4, del dlgs 231/2002, nella nuova versione, prevede l’applicazione degli interessi moratori al semplice decorso del termine di pagamento (cosiddetta «mora automatica») stabilito in 30 giorni (termini raddoppiati in presenza di imprese pubbliche o di enti riconosciuti che operano nell’ambito dell’assistenza sanitaria) dal ricevimento della fattura o della richiesta di pagamento, dal ricevimento dei beni o della prestazione di servizi, dall’accettazione della verifica (se prevista dalla legge o dal contratto) della conformità dei lavori eseguiti.
Risulta possibile, però, la definizione di un pagamento anche superiore a 60 giorni al rispetto di due condizioni: che il termine non sia «gravemente iniquo» e sia giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto e che la relativa previsione sia fornita «per iscritto». Da qui i problemi di natura operativa, posto che il regime non ha previsto particolari sanzioni ma solo l’obbligo (e non la facoltà) posta a carico del debitore inadempiente, di effettuare il pagamento degli interessi e di una indennità di 40 euro, a titolo di rimborso per l’attività di recupero del credito, giacché come detto è indecifrabile la situazione di iniquità e s’implementano gli adempimenti per le imprese, al fine di produrre la prova scritta (onere probatorio) del diverso termine di pagamento concordato tra le parti.
Si ricorda, innanzitutto, che in base all’articolo 1321 c.c. «il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere fra loro un rapporto giuridico patrimoniale», che lo stesso può essere sviluppato non necessariamente in forma scritta e che, nel commercio, spesso il compratore si reca spesso presso l’azienda, decide quali sono i beni di interesse, concorda il pagamento e se ne va via con ddt o fattura alla mano. Stante il fatto che per la deroga del pagamento oltre i 30 giorni si richiede che l’accordo sia «provato per iscritto», si rende necessario che il cedente (o prestatore) e il cessionario (o committente) si trovino d’accordo e, in assenza di un preventivo ordine di acquisto o di un contratto, si deve ritenere valida l’indicazione in fattura della modalità di pagamento (per esempio: bonifico bancario a 90 giorni fine mese) e il termine di scadenza relativo (31.05.2013).
È pur vero che, trattandosi di «accordo», si potrebbe eccepire la mancanza della manifestazione di volontà della controparte, ma quest’ultima non può non essere a conoscenza del termine derogato, ricevendo la fattura integrata di detti dati, potendo anche sottoscrivere e rispedire al cedente (prestatore) una copia del documento per l’accettazione; per gli edili operanti nell’ambito dei lavori pubblici è intervenuto recentemente il ministero dello sviluppo economico (nota n. 1293/2013). La situazione di «grave iniquità», sancita dal legislatore in presenza di clausole contrattuali che escludono il pagamento degli interessi (e, si ritiene, dell’indennità), si presta a un’ampia discrezionalità, poiché in certi settori i termini di pagamento commerciali sono, per prassi consolidata, notevolmente lunghi (in agricoltura si paga a fine campagna – 1 anno).
Infine, almeno due certezze: la prima concernente la messa in «mora automatica» del debitore al decorso del termine fissato e la seconda riguardante l’obbligo (non facoltà) di pagamento degli interessi moratori, legati al tasso della Bce maggiorato di otto punti e dell’importo forfetario (40 euro) (articolo ItaliaOggi del 22.02.2013).

LAVORI PUBBLICIL'individuazione dell'area ove ubicare un'opera di pubblica utilità costituisce una scelta tecnico-discrezionale dell'amministrazione, come tale sottratta al sindacato di legittimità, salvo evidenti profili di illogicità o abnormità.
In linea di principio, l'individuazione dell'area ove ubicare un'opera di pubblica utilità costituisce una scelta tecnico-discrezionale dell'amministrazione, come tale sottratta al sindacato di legittimità, salvo evidenti profili di illogicità o abnormità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25.07.2011, n. 4454) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.02.2013 n. 1077 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Decreto dirigenziale Ministero della Giustizia 05.12.2012 - Richiesta di attivazione procedura per la consultazione diretta del Sistema Informativo del Casellario (S.I.C.) ai sensi dell'art. 39 DPR 313/2012, prot. n. --- del 14.02.2013 (Ministero della Giustizia, nota 20.02.2013 n. 24051 di prot.).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Attraverso l'istituto della revoca, ancor prima dell’emanazione dell’art. 21-quinquies della legge 241/1990, l’amministrazione esercitava il potere di ritiro dei propri provvedimenti per sopravvenuti motivi di pubblico interesse nonché per successivi mutamenti della situazione di fatto.
Con l'entrata in vigore dell'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca del provvedimento amministrativo, prevedendo tre presupposti alternativi che ne legittimano l'adozione:
a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse;
b) per mutamento della situazione di fatto;
c) per nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, oggi consentita non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.
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Costituisce ius receptum il principio secondo cui anche l’eventuale legittimità dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di una gara, non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento della P.A., con riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza in senso oggettivo nelle trattative che conducono alla conclusione del contratto di appalto.
La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara è infatti sempre configurabile, qualora il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché, anche dalla revoca legittima degli atti di gara, può scaturire l'obbligo di risarcire il danno, nel caso di affidamento suscitato nell'impresa.
In particolare, l'accertamento della responsabilità precontrattuale della P.A. non è escluso dalla dichiarata legittimità del provvedimento di annullamento o di revoca assunto in via di autotutela, posto che la revoca dell'aggiudicazione pone al riparo l'interesse pubblico, ma non quello privato. Permane infatti il legittimo affidamento suscitato nel privato dagli atti della procedura di evidenza pubblica, poi rimossi dalla P.A., quando la ricorrente non poteva non confidare, con correttezza e buona fede, durante il procedimento di evidenza pubblica, sulla "possibilità" di diventare affidataria del contratto.
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Nelle gare di appalto il risarcimento danni derivanti da responsabilità precontrattuale riguarda il solo interesse negativo, ossia le spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto e le perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali, mentre non è risarcibile il mancato utile relativo alla specifica gara d'appalto revocata.
In linea con l'inquadramento di tale responsabilità nell'ambito della responsabilità aquiliana, la prova di tali danni spetta alla parte lesa.

Ciò posto, è necessario precisare che l’atto di ritiro del predetto Bando, impugnato con il presente ricorso, al di là del nomen juris deve intendersi quale “revoca” del medesimo atto.
Ed invero attraverso tale istituto, ancor prima dell’emanazione dell’art. 21-quinquies della legge 241/1990, l’amministrazione esercitava il potere di ritiro dei propri provvedimenti per sopravvenuti motivi di pubblico interesse nonché per successivi mutamenti della situazione di fatto.
Con l'entrata in vigore dell'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca del provvedimento amministrativo, prevedendo tre presupposti alternativi che ne legittimano l'adozione:
a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse;
b) per mutamento della situazione di fatto;
c) per nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, oggi consentita non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (TAR Puglia Lecce Sez. III, 25-01-2012, n. 139).
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Ed invero, costituisce ius receptum il principio secondo cui anche l’eventuale legittimità dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di una gara, non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento della P.A., con riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza in senso oggettivo nelle trattative che conducono alla conclusione del contratto di appalto.
La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara è infatti sempre configurabile, qualora il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché, anche dalla revoca legittima degli atti di gara, può scaturire l'obbligo di risarcire il danno, nel caso di affidamento suscitato nell'impresa. In particolare, l'accertamento della responsabilità precontrattuale della P.A. non è escluso dalla dichiarata legittimità del provvedimento di annullamento o di revoca assunto in via di autotutela, posto che la revoca dell'aggiudicazione pone al riparo l'interesse pubblico, ma non quello privato. Permane infatti il legittimo affidamento suscitato nel privato dagli atti della procedura di evidenza pubblica, poi rimossi dalla P.A., quando la ricorrente non poteva non confidare, con correttezza e buona fede, durante il procedimento di evidenza pubblica, sulla "possibilità" di diventare affidataria del contratto (Cons. Stato Sez. IV, 07-02-2012, n. 662; TAR Puglia Bari Sez. I, 19-10-2011, n. 1552).
Orbene, se è vero che nel caso in esame, anche ad accedere alla tesi dell’amministrazione (cfr. punto 4 del verbale n. 101del 19.06.2009, pubblicato sull’albo scolastico, in cui si da atto che “al bando…..hanno risposto due ditte”), la ricorrente aveva quantomeno il 50% delle chances di aggiudicazione della gara, ciò non può ritenersi sufficiente per determinare l’accoglimento della relativa pretesa.
Ed invero, nelle gare di appalto –a cui la presente può assimilarsi- il risarcimento danni derivanti da responsabilità precontrattuale riguarda il solo interesse negativo, ossia le spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto e le perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali, mentre non è risarcibile il mancato utile relativo alla specifica gara d'appalto revocata. In linea con l'inquadramento di tale responsabilità nell'ambito della responsabilità aquiliana, la prova di tali danni spetta alla parte lesa (TAR Campania Napoli Sez. VIII, 03-10-2012, n. 4017; TAR Abruzzo L'Aquila Sez. I, 29-03-2012, n. 198; TAR Piemonte Torino Sez. I, 02-03-2012, n. 289; TAR Veneto Venezia Sez. II, 08-09-2011, n. 1372; Cass. civ. Sez. III, 29-07-2011, n. 16735). Orbene, nel caso in esame la ricorrente non ha dimostrato la perdita di ulteriori occasioni favorevoli, né l’ammontare effettivo delle spese sostenute per partecipare alla gara
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-bis, sentenza 20.02.2013 n. 1874 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 19.02.2013 n. 42 "Intesa sulle linee guida in materia di controlli, ai sensi dell’articolo 14, comma 5, del decreto-legge 09.02.2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 04.04.2012, n. 35" (Conferenza Unificata, intesa 24.01.2013).

APPALTIOneri a carico delle imprese. Da oggi trasparenza per la p.a..
Indicazioni chiare e puntuali circa gli oneri a carico delle imprese e mai più anarchia nella pubblica amministrazione (statale). E se l'obbligo della trasparenza non sarà rispettato, ne pagheranno le conseguenze i dirigenti di tasca propria, perché se ne terrà conto ai fini della loro valutazione.

Lo prevede il decreto del presidente del Consiglio dei ministri 252/2012 che, in G.U. lo scorso 4 febbraio, entra in vigore oggi, 19.02.2013.
Per raggiungere l'obiettivo di uniformare, a livello nazionale, l'elenco degli obblighi, lo Statuto delle imprese (legge 180/2011) ha previsto la pubblicazione online, nei siti istituzionali, di tutti gli «oneri informativi» che gravano sui cittadini e sulle imprese. E ciò al fine di prevenire l'introduzione o il mantenimento di oneri sproporzionati o non necessari rispetto alle esigenze di tutela degli interessi pubblici ma anche per rendere immediatamente conoscibili gli adempimenti prescritti dalle relative discipline, in modo da assicurare anche unitarietà nelle interpretazioni delle disposizioni adottate.
Le linee guida - In vista del termine del 31/3, che prevede la predisposizione di una relazione, il Dipartimento della funzione pubblica ha emanato le linee guida delle modalità che devono essere rispettate dai diversi dipartimenti. In particolare dovranno essere compilate delle specifiche schede all'interno delle quali saranno indicati oneri eliminati e introdotti, con il riferimento alla relativa disposizione contenuta in regolamenti o provvedimenti che, rispettivamente, regolano l'esercizio dei poteri autorizzatori o certificatori, nei confronti di cittadini e imprese; disciplinano l'accesso ai servizi pubblici da parte degli utenti e, infine, disciplinano la concessione di benefici, come quelli fiscali o monetari. In tale categoria, precisano le linee guida, rientrano le circolari e in genere gli atti di indirizzo, mentre rimangono esclusi i bandi per gli appalti pubblici.
L'onere informativo - In base alla definizione riconosciuta a livello internazionale, un onere informativo, (molto spesso si utilizza anche il termine «obbligo») si configura ogniqualvolta una norma impone di raccogliere, produrre, elaborare, trasmettere o conservare informazioni e documenti.
Perché scaturisca l'onere, in pratica, non è necessario l'invio delle informazioni alla p.a. Perché, a volte, come è il caso della tenuta dei registri, detto onere impone soltanto agli interessati di raccogliere notizie, dati, informazioni e documenti da conservare ed esibire su richiesta degli organi di controllo (articolo ItaliaOggi del 19.02.2013).

APPALTI: In materia di gare d'appalto, il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale delle domande di risarcimento dei danni va individuato non nella data di conoscenza della avvenuta aggiudicazione, ma dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento che fa nascere in capo all'interessato il diritto di chiedere il ristoro del giudizio derivato dal provvedimento poi annullato.
Secondo la più recente giurisprudenza di questo Consiglio, che il Collegio condivide, "in materia di gare d'appalto, il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale delle domande di risarcimento dei danni va individuato non nella data di conoscenza della avvenuta aggiudicazione, ma dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento che fa nascere in capo all'interessato il diritto di chiedere il ristoro del giudizio derivato dal provvedimento poi annullato" (Sez III, 12.04.2012 n. 2082; Sez. V, 02.09.2005, n. 4461) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.02.2013 n. 966 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’ammissibilità in via di principio dell’avvalimento interno non implica anche avvalimento implicito, nel senso che il ricorso all’avvalimento possa avvenire prescindendo dalle formalità previste dalla disciplina in materia (art. 49 del d. lgs. n. 163 del 2006).
Poiché l’avvalimento integra una mera facoltà, l’impresa che ha interesse ad avvalersi dell’istituto deve far constare con la necessaria chiarezza, all’atto di partecipazione alla singola gara, tale volontà con indicazione del soggetto sulla cui capacità intende fare affidamento, come pure specificando i requisiti che di siffatto affidamento formeranno oggetto e, soprattutto, dovrà rendere di tutto ciò necessariamente edotta l’amministrazione interessata al singolo appalto.
In definitiva, evidenti ragioni di certezza non consentono che l’istituto dell’avvalimento possa operare in mancanza di dichiarazione esplicita dell’ausiliata e dell’ausiliaria, non essendo possibile un avvalimento implicito o postumo.
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Il contratto di avvalimento, nell’ambito della disciplina dei contratti pubblici, essendo un accordo pattizio, assume rilievo nei confronti della stazione appaltante, ove l’ausiliata e l’ausiliaria rendano apposita e precisa dichiarazione di volersi avvalere dell’avvalimento e, quindi, l’una dei requisiti posseduti da altro soggetto, anche facente parte del medesimo raggruppamento e quest’ultimo soggetto dichiari di mettere a disposizione dell’ausiliata detti requisiti.

L’ammissibilità in via di principio dell’avvalimento interno non implica anche avvalimento implicito, nel senso che il ricorso all’avvalimento possa avvenire prescindendo dalle formalità previste dalla disciplina in materia (art. 49 del d. lgs. n. 163 del 2006).
E’ incontestato che SCT non ha dichiarato di volersi avvalere dei requisiti di Aimeri Ambiente, né è intercorso tra l’ausiliata e l’ausiliaria alcun accordo in tal senso.
Poiché l’avvalimento integra una mera facoltà, l’impresa che ha interesse ad avvalersi dell’istituto deve far constare con la necessaria chiarezza, all’atto di partecipazione alla singola gara, tale volontà con indicazione del soggetto sulla cui capacità intende fare affidamento, come pure specificando i requisiti che di siffatto affidamento formeranno oggetto e, soprattutto, dovrà rendere di tutto ciò necessariamente edotta l’amministrazione interessata al singolo appalto (Cons. Stato, V, 19.09.2011, n. 5279; III, 16.11.2011, n. 6048).
In definitiva, come rilevato dal TAR, evidenti ragioni di certezza non consentono che l’istituto dell’avvalimento possa operare in mancanza di dichiarazione esplicita dell’ausiliata e dell’ausiliaria, non essendo possibile un avvalimento implicito o postumo.
Assume l’appellante che l’avvalimento nel caso sarebbe desumibile dal contratto di costituzione del raggruppamento.
Invero, seppure è ammissibile in via di principio che un contratto contenga una pluralità di negoziazioni, qualora siano presenti gli elementi essenziali che contraddistinguono ciascun negozio, sta di fatto, che nel caso non risulta sia stato ancora sottoscritto il contratto di costituzione del raggruppamento, trattandosi di raggruppamento costituendo e, comunque, non risulta provata l’esistenza di siffatta negoziazione.
Comunque, il contratto di avvalimento, nell’ambito della disciplina dei contratti pubblici, essendo un accordo pattizio, assume rilievo nei confronti della stazione appaltante, ove l’ausiliata e l’ausiliaria rendano apposita e precisa dichiarazione di volersi avvalere dell’avvalimento e, quindi, l’una dei requisiti posseduti da altro soggetto, anche facente parte del medesimo raggruppamento e quest’ultimo soggetto dichiari di mettere a disposizione dell’ausiliata detti requisiti (Cons. Stato, sezione VI, 29.12.2010, n. 9577)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.02.2013 n. 965 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’impresa concorrente, che sia stata legittimamente esclusa dalla gara, non ha legittimazione né interesse a contestare l’ammissione di altra concorrente, posto che non è titolare di una posizione maggiormente qualificata di quella che si può riconoscere in capo ad un qualunque altro soggetto che non abbia partecipato alla gara.
L’impresa concorrente, che sia stata legittimamente esclusa dalla gara, non ha legittimazione né interesse a contestare l’ammissione di altra concorrente, posto che non è titolare di una posizione maggiormente qualificata di quella che si può riconoscere in capo ad un qualunque altro soggetto che non abbia partecipato alla gara (Cons. Stato, ad plen. 07.04.2011, n. 4; sez. VI, 21.09.2011, n. 5308; IV, 16.11.2011, n. 6053; sez. V, 28.11.2011, n. 6394) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.02.2013 n. 965 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Appalti e subappalti.
Domanda
Nel vigente sistema per gli appalti la responsabilità solidale tra appaltante e subappaltante deve intendersi estesa anche nei confronti del commissionario col proprio committente?
Risposta
L'attuale normativa prevede la responsabilità solidale dell'appaltatore e del committente per il versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore con riferimento alle prestazioni rese nell'ambito contrattuale (contratti d'appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi dagli operatori che li stipulano nell'ambito di attività aventi rilevanza Iva).
Per quel che concerne il contratto di commissione, stante il fatto che la stessa costituisce una fattispecie negoziale diversa dall'appalto, non è ritenibile possa trovarvi ingresso la responsabilità solidale di cui all'articolo 13-ter del dl n. 83 del 2012 (cosiddetto «decreto Crescita»), che ha modificato, a decorrere dal 12.08.2012, la disciplina in materia di responsabilità fiscale nell'ambito dei contratti d'appalto e subappalto di opere e servizi (articolo ItaliaOggi Sette del 18.02.2013).

APPALTII certificati antimafia ora li rilascia solo la prefettura.
Dal 13 febbraio stop al rilascio dei certificati antimafia da parte della Camera di commercio. I soggetti che hanno rapporti contrattuali o di natura autorizzatoria con pubbliche amministrazioni devono richiedere la certificazione antimafia presso le prefetture.
Questo in seguito all'entrata in vigore del dlgs del 15/11/2012 n. 218 che ha abrogato il dpr del 03/06/1998 n. 252 e ha stabilito che la Camera di commercio non è più competente al rilascio dei certificati del registro delle imprese integrati con la dicitura antimafia né al privato che si presenta allo sportello né alle pubbliche amministrazioni o privati gestori di servizi pubblici. Le nuove disposizioni antimafia (dlgs 15.11.2012, n. 218) comportano anche l'aumento del numero di soggetti e operatori economici soggetti alle verifiche antimafia necessarie per il rilascio delle informative.
Tra questi ora ci sono anche i gruppi europei di interesse economico, i membri dei collegi sindacali di società ed associazioni anche prive di personalità giuridica, chi esercita poteri di amministrazione, rappresentanza o direzione dell'impresa per le società costituite all'estero prive di sede secondaria con rappresentanza stabile in Italia, le società concessionarie nel settore dei giochi pubblici. Si rammenta che, ai sensi dell'art. 15 della legge 183/2011, le Pubbliche amministrazioni nonché i gestori di pubblici servizi non possono più richiedere ai cittadini alcun tipo di certificato (compreso quello antimafia), ma solo dichiarazioni sostitutive di certificazione.
Pertanto, esclusivamente gli enti pubblici e i soggetti equiparati potranno rivolgersi alle prefetture per la verifica delle autocertificazioni ricevute. La documentazione antimafia deve essere richiesta alla prefettura dalle pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, dagli enti e dalle aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e dalle società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché dai concessionari di opere pubbliche e dai contraenti generali di cui all'art. 76 del dlgs. 163/2006 (articolo ItaliaOggi del 16.02.2013 - link a www.ecostampa.it).

APPALTIIn difetto di esplicite sanzioni di esclusione contenute nella legge e/o nel bando, deve ritenersi che non possa farsi luogo ad esclusioni, come prevede ora l’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti, modificato dall’art. 4, comma 2, lett. d), del D.L. 13.05.2011, n. 70.
Si è pertanto osservato, estendendo detto principio a casi e fattispecie analoghe, che nelle gare pubbliche le cause di esclusione, incidendo sull'autonomia privata delle imprese e limitando la libertà di concorrenza -nonché il principio di massima partecipazione-, devono ritenersi tassative e non possono essere interpretate analogicamente.
Ne consegue che qualora manchi una chiara prescrizione che imponga in modo esplicito l'obbligo della esclusione, vale il principio della più ampia partecipazione alla gara allo scopo di garantire il migliore risultato per l'amministrazione stessa.

Come ha peraltro confermato una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sezione Terza – sentenza 04.10.2012, n. 5203) in difetto di esplicite sanzioni di esclusione contenute nella legge e/o nel bando, deve ritenersi che non possa farsi luogo ad esclusioni, come prevede ora l’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti, modificato dall’art. 4, comma 2, lett. d), del D.L. 13.05.2011, n. 70.
Si è pertanto osservato, estendendo detto principio a casi e fattispecie analoghe, che nelle gare pubbliche le cause di esclusione, incidendo sull'autonomia privata delle imprese e limitando la libertà di concorrenza -nonché il principio di massima partecipazione-, devono ritenersi tassative e non possono essere interpretate analogicamente.
Ne consegue che qualora manchi una chiara prescrizione che imponga in modo esplicito l'obbligo della esclusione, vale il principio della più ampia partecipazione alla gara allo scopo di garantire il migliore risultato per l'amministrazione stessa (Consiglio Stato sez. IV, 12.06.2009, n. 3696; TAR Lazio sez. I, 21.07.1997, n. 1157) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.02.2013 n. 228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURENelle forniture responsabilità solidale esclusa. Attesa la circolare dell'Agenzia.
IL PRINCIPIO/ L'analisi della norma porta a considerare fuori dal vincolo anche le prestazioni dei professionisti.

La nuova responsabilità solidale negli appalti (articolo 13-ter del Dl 83/2012) non si applica né alle prestazioni dei professionisti né ai contratti di semplice fornitura di beni o servizi (come trasporto e noleggio).
Questo principio, che deriva da un'interpretazione letterale della norma e dalle regole che informano la disciplina degli appalti, non sembra essere stato ancora metabolizzato dalle imprese committenti, che continuano a inondare di richieste consulenti e prestatori per ottenere da questi ultimi l'agognata autocertificazione che li "esclude" dall'applicazione delle relative sanzioni.
A dire il vero anche negli ultimi convegni in cui sono intervenuti esponenti del l'agenzia delle Entrate le risposte hanno sempre rinviato a una circolare di prossima pubblicazione che dovrebbe definitivamente chiarire il punto.
La specifica normativa va comunque riportata necessariamente nell'ambito giuridico del contratto di appalto. Questa lettura della portata della norma discende dal dettato della disposizione, che espressamente si rivolge ai contratti di appalto di opere e servizi e, sul piano soggettivo individua come destinatari delle nuove regole l'appaltatore, il subappaltatore e il committente.
L'appalto si caratterizza per la presenza di un fare, e questo sin dalla definizione normativa dell'articolo 1655 del Codice civile: «L'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro». Questo esclude tutti quei contratti in cui invece abbia una prevalenza l'aspetto del dare (compravendita, somministrazione, locazione, eccetera).
La definizione normativa di appalto fa specifico riferimento a «opere» o «servizi»; il fatto che nell'ambito della normativa comunitaria (e poi nazionale) sui contratti pubblici sia comunemente assimilata anche la «fornitura», non può fare sorgere alcun dubbio in ordine al l'esclusione dei contratti privati di fornitura dalla norma in questione. Ciò sia perché la norma in questione esclude espressamente i contratti pubblici dal proprio spettro applicativo, sia perché il nuovo comma 28 recita: «In caso di appalto di opere o di servizi», non includendovi le forniture (si deve registrare l'incongruità della menzione agli «appalti di opere, forniture e servizi» operata al comma 28-ter, mutuata dalla terminologia degli appalti pubblici, e incoerente con il comma 28 che invece chiaramente delinea l'ambito applicativo della solidarietà ai soli appalti di opere o servizi): in assenza di un'interpretazione autentica del legislatore, non può che prevalere la prima disposizione, la quale individua l'ambito applicativo sostanziale della norma, rispetto alla seconda che ne fa un mero –ed erroneo– richiamo al solo fine di specificare che deve trattarsi di appalti soggetti a regime Iva). La stessa agenzia delle Entrate, nella circolare n. 40/E dell'08.10.2012, avvalora tale impostazione laddove riconosce che tale ultima disposizione normativa «ha modificato la disciplina in materia di responsabilità fiscale nell'ambito dei contratti d'appalto e subappalto di opere e servizi».
Andrebbero parimenti esclusi quei contratti che costituiscono locazione d'opera professionale, rispetto ai quali sia la Corte dei conti (Sezione regionale di controllo per la Lombardia - deliberazione n. 37 del 04.03.2008) che il Consiglio di Stato (IV sezione, 29.01.2008 n. 263) hanno segnato una chiara differenza rispetto all'appalto, in particolare per l'inesistenza di una «organizzazione di impresa» che caratterizza invece l'appalto (articolo Il Sole 24 Ore del 15.02.2013 - link a www.corteconti.it).

APPALTIGare. Spese a carico delle imprese. Bandi e appalti da rendere pubblici sui quotidiani.
Alle imprese di costruzione e alle società di ingegneria e progettazione vincere le gare di appalto dei lavori pubblici può costare, complessivamente, 75 milioni di euro.
Si tratta dell'onere che dovranno sostenere per l'applicazione del comma 35 dell'articolo 34 del decreto legge 179/2012 (cosiddetto crescita 2). Esso stabilisce che «a partire dai bandi e dagli avvisi pubblici pubblicati successivamente al 01.01.2013, le spese per la pubblicazione di cui al secondo periodo del comma 7 dell'articolo 66 e al secondo periodo del comma 5 dell'articolo 122 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, sono rimborsate alla stazione appaltante dall'aggiudicatario entro 60 giorni dall'aggiudicazione».
In sostanza, chi vince una gara d'appalto deve rimborsare il comune, l'università o qualunque altro ente che l'ha indetta, della spesa di pubblicità sostenuta per cercare chi gli realizzasse l'opera o gli prestasse il servizio.
Gli avvisi e i bandi relativi a contratti di progettazione del valore di almeno 500mila euro oltre che sulla «Gazzetta Ufficiale» e sui siti informatici del ministero delle Infrastrutture e su quello dell'osservatorio dei lavori pubblici, devono essere pubblicati (per estratto) su almeno uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i lavori (comma 5, articolo 122 del decreto legislativo 163/2006).
Tanto quelli nazionali quanto quelli locali diventano due nel caso di bandi di rilevanza comunitaria, cioè relativi a contratti che superano specifiche soglie di valore (comma 7, articolo 66 del decreto legislativo 163/2006).
In una primissima versione del decreto legge 06.07.2012, n. 95 (quello sulla spending review confezionato da Bondi) fu prevista l'eliminazione della pubblicità dei bandi sui giornali, con un risparmio di spesa stimato, nella relazione tecnica di accompagnamento del decreto, in 25 milioni di euro per il 2012 e di 75 all'anno a partire dal 2013. Prima ancora che iniziasse la discussione del decreto la norma (era il comma 5 dell'articolo 1) che prevedeva l'eliminazione di questa forma di pubblicità fu cassata.
Nel maxiemendamento al decreto legge 179/2012 presentato dal Governo spuntò una soluzione che salvava capra e cavoli: i bandi di gara avrebbero continuato a essere pubblicati anche sui giornali ma a spese di ingegneri e costruttori che si aggiudicano i contratti.
L'Ance e l'Oice, le associazioni delle imprese di costruzioni e delle società di ingegneria, lo giudicarono un blitz negativo per le imprese. Paolo Guzzetti e Luigi Iperti, i presidenti delle due associazioni, chiesero, senza successo, il ritiro di quella parte dell'emendamento, partendo dall'assunto che «è assolutamente incredibile e fuori dalla realtà che il Governo, in un provvedimento che dovrebbe favorire la crescita, abbia potuto inserire un ulteriore balzello a carico delle società, degli studi professionali e di tutte le imprese che partecipano a gare pubbliche. È una misura iniqua per tutto il settore delle costruzioni».
Proteste che non avuto alcun esito, visto che ora, per legge, le spese di pubblicità devono essere rimborsate alla stazione appaltante entro 60 giorni dall'aggiudicazione, mentre i vincitori delle gare non ricevono i pagamenti con la stessa sollecitudine. Proprio per questo, per imprese e professionisti sarebbe stato più semplice se fosse stato previsto di scontare il rimborso delle spese delle pubblici sui giornali dal pagamento, effettuato al vincitore della gara da parte della stazione appaltante, dell'anticipo o del primo saldo i avanzamento dei lavori.
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La regola
01|IL RIMBORSO
Chi vince una gara d'appalto deve rimborsare il comune o qualunque altro ente che l'ha indetta, della spesa di pubblicità sostenuta per cercare chi gli realizzasse l'opera o gli prestasse il servizio.
Gli avvisi e i bandi relativi a contratti di progettazione del valore di almeno 500mila euro oltre che sulla «Gazzetta Ufficiale» e sui siti informatici del ministero delle Infrastrutture e su quello dell'osservatorio dei lavori pubblici, devono essere pubblicati (per estratto) su almeno uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i lavori
02|NUOVI COSTI
Le imprese di costruzione e le società di ingegneria e progettazione che vinceranno le gare di appalto dei lavori pubblici dovranno spendere 75 milioni di euro per l'onere che dovranno sostenere per l'applicazione del comma 35 dell'articolo 34 del decreto legge 179/2012 (cosiddetto crescita 2) (articolo Il Sole 24 Ore del 15.02.2013 - link a www.corteconti.it).

APPALTI: R. Labriola. Impugnabilità del bando di gara - (Il Consiglio di Stato mette in discussione il principio della impugnabilità del bando di gara riservato solo alle clausole immediatamente lesive) (15.02.2013 - link a www.appaltieriserve.it).

APPALTI: Il ricorso all'avvalimento, avente ad oggetto il fatturato o l'esperienza pregressa è legittimo, atteso che la disciplina dell'art. 49 del Codice dei contratti non pone alcuna limitazione, se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39 del Codice stesso.
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Se può configurarsi ex art. 38 del Codice degli appalti un obbligo in capo ai concorrenti di dichiarare anche gli amministratori cessati nel triennio precedente, ivi compresi quelli che nel medesimo periodo amministravano società incorporate dalla concorrente prima della pubblicazione del bando di gara, tale obbligo non è rinvenibile nella ipotesi dell'avvalimento di cui all'art. 49 del medesimo Codice.
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E’ noto come la questione della cessione d'azienda ai fini della dichiarazione ex art. 38 del Codice degli appalti, oggetto di contrastanti indirizzi giurisprudenziali, sia stata di recente risolta dalla Adunanza Plenaria di questo Consiglio con la decisione n. 10 del 04.05.2012.
Con detta decisione, l'Adunanza ha precisato che deve "ritenersi la sussistenza in capo al cessionario dell'onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs n. 163 del 2006, anche in riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la cedente nell'ultimo triennio (ora nell'ultimo anno)".

Premette il Collegio, in linea generale, come la riconducibilità del contratto di avvalimento alla categoria degli atti di ordinaria amministrazione piuttosto che a quella degli atti di straordinaria amministrazione, nella assenza di specifiche indicazioni normative, debba necessariamente farsi dipendere dalla tipologia dei requisiti che l'impresa ausiliaria si impegna a mettere a disposizione dell'impresa ausiliata.
Se, infatti, gli atti di ordinaria amministrazione posseggono una valenza di tipo conservativo del patrimonio sociale, mentre quelli di straordinaria amministrazione sono suscettibili per la loro intrinseca rischiosità di diminuirne l'entità economica, è consequenziale che con riferimento all'avvalimento la distinzione vada compiuta tenendo conto dell'importanza, della finalità ovvero della eccezionalità dell'atto compiuto in confronto a quelli che possono considerarsi eventi normali in un'impresa, in rapporto alla natura e all'oggetto sociale della stessa, nonché in relazione ai rapporti che intercorrono tra ausiliaria e ausiliata.
Pertanto, è attraverso l'individuazione del requisito che l'impresa ausiliaria si è impegnata a mettere a disposizione dell'impresa ausiliata che andrà verificato se tale impegno possa in qualche modo comportare il rischio di una diminuzione del patrimonio ovvero alterare l'organizzazione sociale dell'ausiliaria medesima, e quindi rientrare o meno tra gli atti di straordinaria amministrazione.
Ciò posto, osserva il Collegio come nella specie l'impresa ausiliaria, che è totalmente partecipata e controllata dalla società ausiliata, abbia messo a disposizione esclusivamente la propria pregressa esperienza.
Essa non ha, quindi, messo a disposizione mezzi, uomini o altre risorse aziendali, quale ad esempio la propria attestazione SOA, né si è impegnata a svolgere attività in subappalto nell'ambito del servizio pubblico posto a gara.
Se, dunque, l'impegno assunto dall'ausiliaria è rappresentato unicamente dalla messa a disposizione dell'esperienza maturata nel tempo nello specifico ambito del servizio di igiene pubblica, non può ragionevolmente ritenersi che lo stesso possa comportare il rischio di una diminuzione del patrimonio aziendale o un'alterazione dell'organizzazione sociale.
Peraltro, che l'impresa ausiliaria possa legittimamente conferire in avvalimento anche la sola propria referenza maturata in passato non è contestabile, in quanto detta possibilità non trova alcun divieto espresso nella disciplina comunitaria e di diritto interno.
Al riguardo, del resto, la giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di precisare più volte che il ricorso all'avvalimento, avente ad oggetto il fatturato o l'esperienza pregressa è legittimo, atteso che la disciplina dell'art. 49 del Codice dei contratti non pone alcuna limitazione, se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39 del Codice stesso.
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Ed invero, se può configurarsi ex art. 38 del Codice degli appalti un obbligo in capo ai concorrenti di dichiarare anche gli amministratori cessati nel triennio precedente, ivi compresi quelli che nel medesimo periodo amministravano società incorporate dalla concorrente prima della pubblicazione del bando di gara, tale obbligo non è rinvenibile nella ipotesi dell'avvalimento di cui all'art. 49 del medesimo Codice.
Infatti, la disposizione in parola stabilisce al riguardo che, in sede di presentazione dell'offerta, il concorrente debba semplicemente allegare "una dichiarazione sottoscritta dall'impresa ausiliaria attestante il possesso da parte di quest'ultima dei requisiti generali di cui all'art. 38".
Ben diverso e ben più stringente, quindi, è il tenore della disposizione di cui all'art. 38 relativamente alla dichiarazione che deve essere resa dai concorrenti in gara, laddove, per questi ultimi, specifica che "in ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno (prima della recente modifica "nel triennio") antecedente la data di pubblicazione del bando di gara ...".
Del resto , la ratio della differente formulazione delle norme in esame va rinvenuta nella diversa posizione dei soggetti coinvolti, poiché ai sensi dell'art. 49, comma 10, solo il concorrente aggiudicatario è chiamato ad eseguire il servizio e solo ad esso è rilasciato il certificato di esecuzione.
Orbene, stante il principio di tipicità e tassatività delle cause di esclusione, non v'è dubbio che la norma recata dall'art. 38, co. 1, lett. c), di cui si controverte, non sia suscettibile di interpretazione tale da introdurre ulteriori e non previste cause ostative.
Ne consegue che all'ausiliario non possano estendersi i rigorosi criteri limitativi propri del concorrente.
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E’ noto come la questione della cessione d'azienda ai fini della dichiarazione ex art. 38 del Codice degli appalti, oggetto di contrastanti indirizzi giurisprudenziali, sia stata di recente risolta dalla Adunanza Plenaria di questo Consiglio con la decisione n. 10 del 04.05.2012.
Con detta decisione, l'Adunanza ha precisato che deve "ritenersi la sussistenza in capo al cessionario dell'onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs n. 163 del 2006, anche in riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la cedente nell'ultimo triennio (ora nell'ultimo anno)".
A tanto, la medesima è pervenuta sul presupposto che il contenuto della norma di cui al richiamato art. 38 "già di per sé" comprenda ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono, sicché il soggetto cessato dalla carica sia identificabile quale interno al concorrente, così come "ben può verificarsi.... in ipotesi di cessione di azienda o di ramo d'azienda".
Ciò posto, l'Adunanza ha però precisato che "resta altresì fermo -tenuto conto della non univocità delle norme circa l'onere del cessionario- che in caso di mancata presentazione della dichiarazione e sempre che il bando non contenga al riguardo una espressa comminatoria di esclusione, quest'ultima potrà essere disposta soltanto là dove sia effettivamente riscontrabile l'assenza del requisito in questione".
E ciò in quanto, a ben vedere, lo scopo della preclusione di legge è da individuarsi sicuramente in quello di impedire la partecipazione alle procedure di affidamento dei pubblici appalti, "di soggetti di cui sia accertata la mancanza di rigore comportamentale con riguardo a circostanze gravemente incidenti sull'affidabilità morale e professionale"
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.02.2013 n. 911 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: La nozione di servizio pubblico prescelta dal legislatore, quella oggettiva, si fonda su due elementi: 1) la preordinazione dell'attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti; 2) la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico- professionale e qualità.
Ne consegue che, fermi gli elementi essenziali sopra menzionati, la configurazione del servizio pubblico è compatibile con diversi schemi giuridici e con differenti modalità di remunerazione della prestazione. A nulla quindi rileva che oggetto dell'affidamento fosse soltanto la raccolta dei rifiuti e non l'intero servizio dell'igiene ambientale, così come non rileva che il gestore fosse remunerato dal soggetto aggiudicatore: quel che conta, infatti, è che l'attività del gestore fosse diretta ad una platea indifferenziata di utenti e che esso fosse destinatario di obblighi funzionali alla destinazione al pubblico dell'attività dovuta.

Ed invero, con riferimento al primo profilo, va rilevato che l'art. 23-bis, comma 9, del D.L. n. 112/2008, convertito in L. n. 113 del 2008 e modificato dall'art. 15 del D.L. n. 135/2009, nella sostanza, vieta l'acquisizione della gestione di servizi ulteriori, con o senza gara, alle società che gestiscono servizi pubblici locali ad esse affidati senza il rispetto dei principi dell'evidenza pubblica, anche per il tramite di società controllanti o da esse controllate.
La "ratio" della predetta disposizione, come correttamente rilevato dal Tar, va senz'altro ravvisata nell'esigenza di impedire alterazioni del mercato concorrenziale che deriverebbero dalla partecipazione alle gare per l'affidamento di ulteriori servizi pubblici locali di quei soggetti che, in quanto già affidatari diretti di tali servizi nel medesimo o in altri ambiti territoriali, si trovano in una posizione di privilegio acquisita al di fuori dei meccanismi dell'evidenza pubblica.
Se tant'é sotto il profilo funzionale, appare allora irrilevante, sempre come esattamente rilevato dal primo giudice, la modalità di affidamento prescelta dalla stazione appaltante (appalto o concessione), atteso che il divieto posto dal legislatore riguarda genericamente "l'acquisizione" della gestione di servizi ulteriori.
In altri termini, le modalità di remunerazione delle attività, pur idonee a far ascrivere la gara nella categoria dell'appalto anziché in quella della concessione, non possono influire sulla natura delle prestazioni oggetto della procedura in esame.
Al riguardo, peraltro, la giurisprudenza della Sezione ha già avuto modo di precisare che "La nozione di servizio pubblico prescelta dal legislatore, quella oggettiva, si fonda su due elementi: 1) la preordinazione dell'attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti; 2) la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico- professionale e qualità (sez. V, 12.10.2004, n. 6574).
Ne consegue che, fermi gli elementi essenziali sopra menzionati, la configurazione del servizio pubblico è compatibile con diversi schemi giuridici e con differenti modalità di remunerazione della prestazione. A nulla quindi rileva che oggetto dell'affidamento fosse soltanto la raccolta dei rifiuti e non l'intero servizio dell'igiene ambientale, così come non rileva che il gestore fosse remunerato dal soggetto aggiudicatore: quel che conta, infatti, è che l'attività del gestore fosse diretta ad una platea indifferenziata di utenti e che esso fosse destinatario di obblighi funzionali alla destinazione al pubblico dell'attività dovuta
" (cfr. sentenza n. 1651 del 22.03.2010)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.02.2013 n. 911 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In tema di appalti pubblici l’atto che costituisce la prestazione di garanzia non può presentare contraddizioni o ambiguità tali che il garante possa opporre alla stazione appaltante limitazioni alla garanzia prestata ovvero eccezioni tali da frustrare la finalità stessa della previsione normativa; pertanto, quando la polizza non consenta con immediatezza di ritenere assolta la garanzia di cui all’art. 75 cit. (cioè senza che si renda necessario un lavorio interpretativo in ordine alla individuazione della esatta portata soggettiva ed oggettiva del patto contrattuale), deve ritenersi violata la relativa prescrizione della legge di gara.
Come noto, in tema di appalti pubblici l’atto che costituisce la prestazione di garanzia non può presentare contraddizioni o ambiguità tali che il garante possa opporre alla stazione appaltante limitazioni alla garanzia prestata ovvero eccezioni tali da frustrare la finalità stessa della previsione normativa; pertanto, quando la polizza non consenta con immediatezza di ritenere assolta la garanzia di cui all’art. 75 cit. (cioè senza che si renda necessario un lavorio interpretativo in ordine alla individuazione della esatta portata soggettiva ed oggettiva del patto contrattuale), deve ritenersi violata la relativa prescrizione della legge di gara (cfr. da ultimo Cons. St., sez. IV, 17.10.2012, n. 5340) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.02.2013 n. 861 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: F. Grilli, Sono nulli i contratti in forma pubblica amministrativa non elettronica? (13.02.2013 - link a www.leggioggi.it).

APPALTIPAGAMENTI P.A./ Tajani: il governo intervenga subito. Passera: al lavoro su soluzione. Chance dalla fattura differita. La regola dei 30 giorni è aggirabile nelle transazioni B2B.
Pagamenti rateali e fatture differite per uscire dalle strettoie imposte dal recepimento della direttiva sui ritardati pagamenti. Possono essere questi gli unici grimaldelli per aprire qualche varco all'interno della regola dei 30 giorni di tempo imposta dal dlgs 192/2012.
Il pagamento a rate può essere ammesso sia nei rapporti tra imprese e p.a. sia nelle transazioni B2B.
La postergazione della data di emissione della fattura, invece, è espressamente vietata dalla legge (e quindi nulla) quando il debitore è una pubblica amministrazione. Ma il dlgs nulla dice sull'ipotesi che le parti possano far slittare l'emissione della fattura a un momento successivo rispetto alla prestazione dei servizi o alla consegna della merce.
Si tratta di uno dei tanti aspetti lacunosi (evidenziati da Vincenzo Roppo, ordinario di diritto civile all'Università di Genova) del decreto che pur avendo recepito a tempo record la direttiva 2011/7/Ue, necessita ora di un ulteriore “tagliando” in via interpretativa.
Il primo è arrivato con la circolare dello Sviluppo economico che ha chiarito che la direttiva contro i pagamenti-lumaca si applica anche agli appalti pubblici.
Il secondo dovrà riguardare i termini di pagamento e dovrà affermare senza ombra di dubbio che nelle transazioni commerciali tra p.a. e imprese i debiti vanno pagati entro 30 giorni salvo pochissime eccezioni (sanità, aziende pubbliche, alcune tipologie di appalti) che consentono lo slittamento fino a 60 giorni. La richiesta di un chiarimento urgente, già avanzata la settimana scorsa in un convegno organizzato a Milano dalla commissione europea (si veda ItaliaOggi del 5/2/2013) è stata recapitata dal vicepresidente dell'esecutivo di Bruxelles, Antonio Tajani, direttamente al ministro Corrado Passera, nel corso di un incontro presso Assolombarda. «Bisogna fare presto», ha detto Tajani, «perché l'Ue sarà intransigente nel verificare le modalità con cui i paesi membri hanno applicato la direttiva». L'apertura di una procedura di infrazione, se il chiarimento non dovesse arrivare entro il 16 marzo, (dead line per l'attuazione delle nuove regole) è un pericolo reale e per questo ad occuparsene dovrà essere l'esecutivo attualmente in carica.
L'altro nodo da sciogliere riguarda l'avvio del negoziato sui debiti pregressi. Nessuno conosce l'esatto ammontare dei mancati pagamenti della p.a. italiana nei confronti delle imprese perché fino ad ora la cifra “monstre” (che si aggirerebbe tra i 70 e i 100 miliardi di euro) non è stata contabilizzata nel debito pubblico. E il motivo è da ricercare nelle regole contabili italiane che consentono di mettere a debito un pagamento solo quando è saldato e non quando sorge l'obbligo giuridico.
Se il pregresso dei mancati pagamenti venisse contabilizzato nel debito pubblico italiano (ormai abbondantemente sopra i 2.000 miliardi di euro) l'obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 sarebbe gravemente compromesso. Di qui il tentativo di Tajani di convincere il commissario Ue per gli affari economici e monetari Olli Rehn ad offrire una via d'uscita ai Paesi con il maggior fardello di debiti scaduti (oltre all'Italia anche Portogallo e Spagna).
Gli incontri sono iniziati la scorsa settimana (si veda ItaliaOggi del 5/2/2012) e proseguiranno incessantemente per arrivare a una soluzione nel giro di un mese. Tajani è ottimista e realista al tempo stesso. «Non sarà facile, ma sono convinto che qualche spiraglio possa esserci», ha dichiarato.
Nel frattempo le strade percorribili sono la certificazione dei crediti e le compensazioni con i debiti fiscali. Due opportunità offerte alle imprese dal governo Monti e che Passera ha rivendicato con orgoglio.
Al termine del primo mese di operatività (gennaio 2013), ha annunciato il ministro, le amministrazioni abilitate all'utilizzo del sistema di certificazione dei crediti sono state 1.227, sono state rilasciate 71 certificazioni (per circa 3 mln di euro) e presentate 467 istanze (per circa 45 mln di euro). Le compensazioni fiscali concluse nel 2012 ammontano invece a 200 per un importo di 15 milioni di euro.
Per quanto riguarda la richiesta di un intervento chiarificatore sui tempi di pagamento, Passera non si è tirato indietro. «Cercheremo di trovare una soluzione», ha dichiarato, «perché l'applicazione della direttiva deve essere rigorosa».
«Intanto», ha proseguito, «va risolto il problema del debito pregresso che è una zavorra accumulatasi ai danni delle imprese creditrici e della stessa p.a.». Secondo il ministro dello sviluppo economico la strada maestra da percorrere è una revisione del patto di stabilità, europeo e interno, in modo che i vincoli contabili non penalizzino la virtuosità delle amministrazioni.
Una richiesta che ha trovato concorde anche il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi secondo cui, contro i mancati pagamenti, «serve una terapia d'urto nei primi 100 giorni di governo del prossimo esecutivo». «E' essenziale che lo stato paghi almeno 48 dei 70-100 miliardi di debiti pregressi. L'importo sul deficit sarebbe irrilevante per il 2013 e in ogni caso ampiamente compensato dagli effetti benefici sull'economia» (articolo ItaliaOggi del 12.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: Viene meno il principio della eccezionalità del modello in house.
I giudici del Consiglio di Stato hanno sancito con la pronuncia in commento che a seguito dell'abrogazione referendaria dell'art. 23-bis d.l. n. 112/2008, è venuto meno il principio della eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Stante l'abrogazione referendaria dell'art. 23-bis d.l. n. 112/2008 e la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 4, d.l. n. 138/2011, e le ragioni del quesito referendario (lasciare maggiore scelta agli enti locali sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali, anche mediante internalizzazione e società in house) è venuto meno il principio, con tali disposizioni perseguito, della eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Venuto meno l'art. 23-bis d.l. n. 112/2008 per scelta referendaria, e dunque venuto meno il criterio prioritario dell'affidamento sul mercato dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e l'assoluta eccezionalità del modello in house, la scelta dell'ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare la opzione tra modello in house e ricorso al mercato, deve basarsi sui consueti parametri di esercizio delle scelte discrezionali, vale a dire:
- valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti;
- individuazione del modello più efficiente ed economico;
- adeguata istruttoria e motivazione.
Trattandosi di scelta discrezionale, la stessa è sindacabile se appaia priva di istruttoria e motivazione, viziata da travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.02.2013 n. 762 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 7 dell'11.02.2013, "Approvazione dell’invito a presentare proposte per l’accesso ai finanziamenti a fondo perduto del fondo costituito presso Finlombarda s.p.a. e riservato ad interventi di rimozione di manufatti contenenti amianto dal patrimonio di edilizia residenziale pubblica dei comuni lombardi" (decreto D.U.O. 05.02.2013 n. 782).

APPALTILavori pubblici. Il rilascio di un provvedimento interdittivo impedirà la stipula dell'accordo e comunque ne farà scattare la risoluzione.
Più controlli antimafia negli appalti. Da domani gli accertamenti sulle infiltrazioni si estendono ai familiari dell'imprenditore.

Al via da domani le nuove regole sulla documentazione antimafia. Il Dlgs 218/2012 ha anticipato al 12 febbraio l'entrata in vigore delle norme contenute nel libro II del Dlgs 159/2011 (di riforma del Codice antimafia), rimaste finora congelate in attesa dell'attivazione della banca dati nazionale della documentazione antimafia che invece, per il momento, resterà in standby.
Nel riordino della disciplina, il Codice mantiene inalterata la distinzione tra comunicazione ed informazione antimafia: la prima attesta l'eventuale sussistenza di misure di prevenzione a carico di un'impresa; mentre, la seconda accerta anche la presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa all'interno della società.
Come in passato, la documentazione dovrà essere acquisita dalle amministrazioni prima della stipula, o dell'autorizzazione, di contratti e subcontratti pubblici di lavori, servizi e forniture in base ai seguenti scaglioni:
- comunicazione in caso di contratti di importo superiore a 150mila euro e inferiore alle soglie comunitarie (attualmente di 5 milioni per i lavori, 200mila per i servizi e 130mila euro per le forniture);
- informazione per contratti di importo superiore alle soglie e per subcontratti di importo superiore a 150mila euro.
Diverse tuttavia le novità, a cominciare dalla modalità di acquisizione della comunicazione antimafia che potrà essere rilasciata solamente dal prefetto della provincia in cui ha sede l'ente richiedente, attraverso l'utilizzo dei collegamenti telematici con le altre banche dati già esistenti (Ced interforze e Camere di commercio). Nel Codice non è stata infatti inserita una disposizione analoga all'articolo 9 del Dpr 252/1998, che equiparava il certificato di iscrizione al Registro imprese rilasciato dalla Camera di commercio con il nullaosta antimafia alla comunicazione e che, quindi, consentiva ai committenti di effettuare i controlli direttamente mediante le Camere di commercio. L'informazione antimafia continuerà ad essere rilasciata dalle prefetture.
Il Codice ha tuttavia ampliato l'elenco delle situazioni dalle quali si potrà desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa: rispetto al passato, l'informativa sarà interdittiva anche in caso di condanna, comprese quelle non definitive, per i nuovi reati di turbata libertà degli incanti e del procedimento di scelta del contraente, oltre che per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche; oppure, ancora, nel caso in cui l'impresa non abbia denunciato all'autorità giudiziaria i reati di corruzione ed estorsione, a meno che non vi sia stata costretta per stato di necessità o per legittima difesa (si veda anche la tabella a fianco).
Ma il Dlgs 218/2012 ha ulteriormente arricchito il catalogo delle situazioni in odore di mafia, desumendo l'infiltrazione anche dalla violazione degli obblighi di tracciabilità dei pagamenti imposti dalla legge n. 136/2010: l'informazione vieterà la stipula del contratto, solo per comportamenti reiterati nell'arco di cinque anni.
Ampliata inoltre la schiera dei soggetti sottoposti a verifica che fa registrare l'ingresso in elenco dei familiari conviventi.
Un'autentica novità è poi rappresentata dagli effetti collegati alle informazioni antimafia: d'ora in avanti, infatti, il rilascio di un provvedimento interdittivo impedirà sempre la stipula del contratto e determinerà in ogni caso la sua risoluzione in fase esecutiva. Come confermato dal comunicato Casgo (comitato di sorveglianza Grandi opere) del 19.12.2012, scompare dunque la categoria delle informative atipiche che, sino ad ora, lasciavano alla discrezionalità delle stazioni appaltanti, la decisione sulle sorti del contratto.
Confermata infine la validità della comunicazione antimafia per sei mesi dalla data di acquisizione, aumentata a un anno nel caso dell'informazione, sempre che non siano intervenuti mutamenti nell'assetto societario e gestionale dell'impresa, da comunicare al prefetto entro 30 giorni, pena l'applicazione di una sanzione da 20 a 60mila euro (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Pagamenti. L'applicazione delle norme sui tempi e ritardi. Anche le verifiche della Pa entro il termine di 30 giorni.
Le amministrazioni pubbliche devono pagare le imprese per gli appalti di forniture, servizi e lavori entro il termine standard di 30 giorni, ma possono concordare con le stesse un termine diverso, in ogni caso non superiore a sessanta giorni.
Dal 1° gennaio sono entrate in vigore le modifiche alla disciplina dei pagamenti per le transazioni commerciali (contenuta nel Dlgs 231/2002), che sono interamente applicabili ai contratti pubblici, compresi quelli relativi alle opere, per espressa previsione della normativa (Dlgs n. 192/2012, che recepisce la direttiva comunitaria sui ritardi nei pagamenti, la 2011/17).
I ministeri dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture hanno prodotto una nota interpretativa (protocollo 1293 del 23.01.2013) che ha evidenziato come la normativa settoriale (contenuta nel Codice dei contratti e nel regolamento attuativo) sia in parte compatibile con il quadro generale (con riferimento alla tempistica di 30 giorni per il saldo del certificato di pagamento), ma come presenti anche disposizioni (ad esempio quella relativa al periodo intercorrente tra la maturazione dello stato avanzamento lavori e l'emissione del certificato) confliggenti con le norme comunitarie e, quindi, sia da disapplicare (si veda anche il Sole 24 Ore del 24 gennaio).
La nuova normativa non può peraltro impedire che l'amministrazione effettui le verifiche, comprese quelle del responsabile del procedimento rispetto allo stato di avanzamento lavori proposto dal direttore lavori prima di autorizzare l'emissione della fattura o del certificato. Ma queste operazioni –comunque doverose– non potranno superare il termine standard di 30 giorni.
Anche negli appalti di lavori, quindi, si applicano i termini previsti dall'articolo 4 dell'innovato decreto 231/2002. Ed è sui tempi che i fornitori devono focalizzare l'attenzione.
Il termine standard, infatti, è individuato in 30 giorni dal ricevimento della fattura (o di altro titolo di pagamento idoneo) da parte dell'amministrazione appaltante, ma questa può concordare con l'affidatario un termine diverso, comunque non superiore a sessanta giorni e che deve essere giustificato dall'oggetto del contratto o da particolari condizioni al momento della stipulazione.
Negli appalti con gli organismi del servizio sanitario (Asl, aziende ospedaliere, istituti di ricerca) il termine standard è già di sessanta giorni (articolo 4, comma 5), senza altra estensione. Questa tempistica rischia però di essere vanificata dai vincoli posti dal patto di stabilità interno alla gestione dei flussi di spesa.
I problemi maggiori potrebbero aversi per le spese per investimenti (lavori pubblici), in considerazione della maggiore rigidità e minore frequenza dei flussi in entrata che vanno ad alimentare la cassa (aspetto invece meno rilevante per la spesa corrente, salvo che negli enti sanitari, dipendenti in gran parte dai trasferimenti regionali).
Gli operatori economici possono tuttavia controllare se i responsabili di servizio che hanno impegnato le risorse per l'appalto abbiano verificato il rispetto della programmazione della spesa (articolo 9, comma 2, legge n. 102/2009).
Un ulteriore problema potrebbe aversi in relazione ai tempi per l'acquisizione del Durc (documento unico di regolarità contributiva) da parte della stazione appaltante, qualora non coincidano con lo standard dei 30 giorni: la mancanza del Durc impedisce infatti di dar corso al pagamento.
In caso di ritardo, la corresponsione degli interessi di mora deve essere effettuata dalle amministrazioni automaticamente, senza diffida del l'impresa. Inoltre devono essere rimborsati all'operatore economico i costi per il recupero dei crediti e deve essere corrisposto un indennizzo forfettario di 40 euro.
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I vincoli
01 | LE SCADENZE
Dal primo gennaio con l'entrata in vigore del Dlgs 190/2012 le amministrazioni devono saldare i fornitori entro trenta giorni dal certificato di pagamento (60 per la Sanità). Tempi diversi possono essere concordati tra le parti, fino a un massimo di 60 giorni, ma vanno motivati
02 | LE CONSEGUENZE
Se i nuovi termini vengono superati, l'amministrazione deve riconoscere al debitore gli interessi di mora in automatico, senza diffida
03 | LE VERIFICHE
Il funzionario responsabile del procedimento deve comunque effettuare i controlli sullo stato di avanzamento lavori fornito dall'impresa nel limite dei trenta giorni
04 | LE DIFFICOLTÀ
Se l'amministrazione non riesce ad acquisire il Durc entro i trenta giorni, non può comunque procedere al pagamento. Ulteriori ritardi potrebbero essere causati dalla necessità per l'ente appaltante di ritardare i pagamenti per via del patto di stabilità (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIDal 1° gennaio. I contratti ora solo in formato digitale.
Dal primo gennaio i contratti di appalto hanno detto addio alla carta. Da quella data infatti tutti i contratti pubblici di lavori, servizi o forniture devono essere stipulati, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, oppure in modalità elettronica secondo le regole di ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa o con scrittura privata.

Il Decreto crescita (Dl 179/2012) ha introdotto questa importante novità nel Codice dei contratti pubblici, riformulando la disposizione che disciplina la formalizzazione dei rapporti tra stazioni appaltanti e operatori economici aggiudicatari (articolo 11 del Dlgs 163/2006). La norma impone il passaggio al digitale, prescrivendo la nullità di tutti i contratti pubblici ancora stipulati su supporto cartaceo, fatta eccezione per le scritture private.
La stipula elettronica dei contratti per gli appalti pubblici semplifica le procedure e garantisce minori costi.
L'interpretazione prevalente in sede di prima analisi della norma evidenzia come dal 01.01.2013 le amministrazioni aggiudicatrici debbano digitalizzare i contratti sia se ricorrono ad un notaio sia se interviene come ufficiale rogante il segretario comunale. Ormai solo la scrittura privata è gestibile con modalità tradizionali (firma autografa sul supporto cartaceo, con formalizzazione semplice o autenticata).
Il percorso per l'atto pubblico notarile informatico è disciplinato in modo dettagliato da una serie di disposizioni della legge notarile (n. 89/1913) introdotte dal Dlgs 110/2010.
L'articolo 52-bis, in particolare, consente la sottoscrizione delle parti sia con la firma digitale sia con la firma elettronica, consistente anche nell'acquisizione digitale della sottoscrizione autografa.
L'alternativa all'atto pubblico notarile informatico è individuata nella forma pubblica amministrativa, anch'essa realizzata con modalità elettroniche, che devono tuttavia essere definite dalle stazioni appaltanti con proprie norme, da inserire nel regolamento dei contratti.
L'intervento del segretario comunale come ufficiale rogante segue lo schema operativo delineato dalla legge notarile, per cui anche in tal caso le sottoscrizioni delle parti possono essere acquisite con forma digitale o firma autografa scannerizzata.
Il passaggio più delicato è quello della registrazione del l'atto, per la quale molte amministrazioni pubbliche (soprattutto enti locali) stanno sperimentando l'utilizzo del software Unimod, messo a disposizione dall'agenzia delle Entrate: il programma consente anche il pagamento del l'imposta di registro e dell'imposta di bollo.
Proprio rispetto a quest'ultimo adempimento tributario si rileva uno dei principali elementi positivi per gli operatori economici, in quanto in base al Dm 22.02.2007 il pagamento del bollo è effettuato in modo forfettario proprio in funzione della registrazione telematica (per un importo di 45 euro ad atto).
Più complesso appare il tema dei diritti di segreteria, per i quali le amministrazioni locali dovrebbero prevedere un passaggio intermedio, anch'esso digitalizzato, immediatamente precedente la registrazione.
Il flusso gestionale del contratto informatizzato si completa con la conservazione, per la quale i notai si avvalgono di una struttura tecnologica messa a punto dalla società informatica del Notariato, Notartel, con il coordinamento della commissione Informatica interna. Questo percorso è in fase di sperimentazione collaborativa, in alcuni contesti, anche per gli atti rogati dai segretari comunali (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.02.2013).

APPALTIViolazioni antiriciclaggio indizi per l'antimafia. Una circolare dell'Interno sulle disposizioni correttive.
La violazione degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari assumerà valore «indiziante» ai fini delle verifiche antimafia; 45 giorni, prorogabili di altri 30, per la verifica da parte delle prefetture; dal 13 febbraio in vigore le nuove norme sulla documentazione antimafia che prescinderanno dall'attivazione della banca dati unica.
È quanto chiarisce la circolare emanata dal capo di gabinetto del ministero dell'interno relativamente al dlgs 15.11.2012 n. 218, recante disposizioni integrative e correttive al decreto n. 159/2011, il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.
La circolare 08.02.2013 n. 11001/119/20(6) richiama innanzitutto l'attenzione delle amministrazioni sulla più rilevante novità, l'anticipazione al 13.02.2013 dell'entrata in vigore delle disposizioni del libro II del Codice relativo alla documentazione antimafia che viene quindi sganciata dall'effettiva attivazione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia.
Una seconda novità è l'ampliamento della platea di operatori economici da sottoporre alle verifiche antimafia: i Geie (gruppi europei di interesse economico, membri dei collegi sindacali di associazioni e società e componenti degli organi di vigilanza; soggetti che esercitano poteri di amministrazione, rappresentanza o direzione dell'impresa per società costituite all'estero prive di sede secondaria in Italia, società concessionarie nel settore dei giochi pubblici.
Dal punto di vista dei comportamenti e, quindi, delle situazioni «indizianti», la circolare pone in evidenza come si debbano tenere presenti anche le violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari. Viene inoltre richiamata l'attenzione sulla avvenuta soppressione delle cosiddette «informazioni atipiche» (segnalazione di evenienze dubbie anche in assenza di accertate ostatività): ad oggi quindi l'informazione antimafia dovrà avere contenuto o liberatorio o interdittivo a proseguire il rapporto contrattuale o amministrativo.
Sul procedimento di rilascio della documentazione antimafia, la circolare ricorda che il codice prefigura un sistema basato sulla banca dati nazionale unica della documentazione antimafia che a regime dovrebbe restituire in tempo reale alle amministrazioni il provvedimento richiesto; allo stesso tempo viene eliminata la possibilità di acquisire la comunicazione antimafia nella forma dei certificati camerali.
Al riguardo la circolare precisa che fino all'attivazione del nuovo sistema informatico le amministrazioni dovranno richiedere la documentazione alle prefetture competenti che verificheranno tramite il Ced interforze e sistema Sicrant delle camere di commercio la sussistenza o meno delle situazioni controindicanti. Dal punto di vista dei tempi, i prefetti avranno 45 giorni prorogabili di altri 30 per verifiche di particolare complessità (articolo ItaliaOggi del 13.02.2013).

APPALTI: Oggetto: Decreto legislativo 15.11.2012, n. 218 recante disposizioni integrative e correttive al Codice Antimafia. Prime indicazioni operative [Ministero dell'Interno, nota 08.02.2013 n. 11001/119/20(6)].

APPALTI: Il partecipante a una selezione pubblica ha diritto di accedere ai curricula degli altri concorrenti.
Questo è quanto ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza 08.02.2013 n. 731.
Nel caso in esame un professore associato di medicina interna della facoltà di medicina dell'Università degli studi di Bari aveva partecipato a una procedura finalizzata al provvisorio conferimento per l'anno accademico 2011-2012 dell'incarico di direttore della struttura di geriatria. A seguito del conferimento dell'incarico a un altro associato di medicina interna, il ricorrente aveva inoltrato domanda di accesso ai documenti riguardanti i titoli dichiarati dal vincitore della procedura nel suo curriculum.
L'amministrazione, però, aveva messo a disposizione dell'interessato atti diversi da quelli richiesti e, pertanto, era stato proposto ricorso al Tar Puglia contro il diniego di accesso. Il tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso ritenendo soddisfatto il diritto di accesso con i documenti rilasciati. Il Cds, invece, accoglie il ricorso e ordina al Policlinico di Bari di rilasciare all'interessato copia degli atti, non ancora esibiti. Secondo il Collegio, infatti, il ricorrente, in quanto partecipante alla procedura selettiva, vanta il diritto a conoscere gli atti relativi al curriculum degli altri partecipanti, atti in relazione ai quali non vi è alcuna contrapposta esigenza di riservatezza.
Si precisa, poi, che «anche se è vero che è inammissibile il diritto di accesso esercitato in maniera generica e indifferenziata, chiedendo all'amministrazione di svolgere un'attività di indagine e ricerca o un'attività valutativa ed elaborativa», è altresì vero «che non può considerarsi generica una richiesta di accesso che indica precisamente quale sia il contenuto degli atti, ignorandone soltanto gli estremi, ma consentendone agevolmente all'amministrazione l'identificazione».
In conclusione, essendo stati messi a disposizione della ricorrente documenti in parte diversi dai richiesti, e comunque non idonei a soddisfare integralmente la domanda, l'impugnazione deve essere accolta e, conseguentemente, va ordinato all'azienda di rilasciare all'interessato copia degli oggetti della richiesta di accesso, non ancora mostrati (articolo ItaliaOggi del 07.03.2013).

APPALTI: La legittimazione ad agire in giudizio della singola impresa in associazione –sia essa mandante o mandataria e sia che il raggruppamento sia stato già costituito al momento dell'offerta o debba costituirsi all'esito dell'aggiudicazione– è riconosciuta dal consolidato e pressoché univoco indirizzo della giurisprudenza amministrativa.
Il raggruppamento temporaneo di imprese non istituzionalizza, invero, un soggetto diverso dalle singole imprese che aggregano le proprie potenzialità economiche, con capacità di rappresentanza degli interessi del gruppo a mezzo di organi all'uopo costituiti. La singola impresa è, quindi, titolare in corso di gara di una posizione di interesse legittimo al regolare svolgimento della procedura, che può tutelare anche in caso di inerzia delle altre imprese associate a proporre congiunta impugnativa.

Ed invero, diversamente da quanto sostiene l’appellante, la legittimazione ad agire in giudizio della singola impresa in associazione –sia essa mandante o mandataria e sia che il raggruppamento sia stato già costituito al momento dell'offerta o debba costituirsi all'esito dell'aggiudicazione– è riconosciuta dal consolidato e pressoché univoco indirizzo della giurisprudenza amministrativa (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 05.06.2012, n. 3314; Cons. Stato, sez. VI, 08.10.208, n. 4931).
Il raggruppamento temporaneo di imprese non istituzionalizza, invero, un soggetto diverso dalle singole imprese che aggregano le proprie potenzialità economiche, con capacità di rappresentanza degli interessi del gruppo a mezzo di organi all'uopo costituiti. La singola impresa è, quindi, titolare in corso di gara di una posizione di interesse legittimo al regolare svolgimento della procedura, che può tutelare anche in caso di inerzia delle altre imprese associate a proporre congiunta impugnativa.
Il gravame proposto dalla singola impresa in associazione non è, inoltre, sfornito di interesse al ricorso. La presentazione dell’offerta da parte del raggruppamento da costituire reca l’impegno reciproco delle imprese in associazione, in caso di aggiudicazione della gara, a conferire mandato ad una di esse, qualificata come capogruppo, alla stipula il contratto. Si tratta di posizione di obbligo il cui assolvimento è esigibile nei confronti delle altre imprese associate in caso di esito favorevole dell'impugnativa e che, in caso di inadempimento, espone l’impresa cha aveva prestato il consento alla costituzione dell’a.t.i. ATI a possibili pretese risarcitorie. Tanto basta a suffragare la tesi della legittimazione della singola impresa in associazione a reagire nei confronti di della violazione di regole che presiedono il procedimento di aggiudicazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.02.2013 n. 714 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La violazione delle forme prescritte dall’art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000 non integra una mera irregolarità ma, anche in forza del richiamo a tale disposizioni espressamente contenuto nella lex specialis, si traduce nella violazione di una regola di gara espressamente sanzionata a pena di esclusione.
Va evidenziato che l’art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000 prevede che: “Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono […] sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore”.
E’ palese evidente, quindi, che in assenza di sottoscrizione la dichiarazione sostitutiva non produce effetti perché risulta priva di un elemento essenziale.

Nel caso di specie, la lettera di invito, al punto n. 3, richiedeva, da parte delle imprese partecipanti alla gara, la presentazione, a pena di esclusione, di una dichiarazione (attestante, in sostanza, la mancanza delle cause di esclusione), da rendersi, sotto forma di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, nelle forme previste dall’art. 38 d.P.R. 28.12.2000, n. 445 del 2000.
La violazione delle forme prescritte dall’art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000 non integra, quindi, una mera irregolarità, ma, anche in forza del richiamo a tale disposizioni espressamente contenuto nella lex specialis, si traduce nella violazione di una regola di gara espressamente sanzionata a pena di esclusione.
Non è corretto, a tal riguardo, sostenere che la lex specialis sanzionasse a pena di esclusione solo la mancata presentazione della dichiarazione sostitutiva e non anche la sua incompletezza o la violazione delle forme previste per la sua presentazione.
In primo luogo, qui il punto n. 3 della lettera di invito richiedeva, a pena di esclusione, che la dichiarazione fosse resa nelle forme di cui all’art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000, con la conseguenza che la violazione dell’art. 38 d.P.R. cit. integra pienamente, in virtù dell’espresso richiamo contenuto nella lettera di invito, la violazione di una prescrizione sanzionata espressamente a pena di esclusione.
Inoltre, nel caso di specie, risulta dirimente la circostanza che la violazione “formale” di cui si discute consiste nella mancanza di un elemento essenziale di ogni dichiarazione, ovvero della sua sottoscrizione, la quale che rappresenta un insostituibile strumento di imputazione della dichiarazione al soggetto che ne è autore. In mancanza di sottoscrizione, quindi, la dichiarazione non può dirsi semplicemente incompleta o “irregolare”, ma è radicalmente inesistente.
Va evidenziato, del resto, che l’art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000 prevede che: “Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono […] sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore”.
E’ palese evidente, quindi, che in assenza di sottoscrizione la dichiarazione sostitutiva non produce effetti perché risulta priva di un elemento essenziale.
Non si tratta, in definitiva, di una semplice dichiarazione incompleta: la mancanza della sottoscrizione, anche se relativa solo al secondo dei due fogli di cui essa si compone, rende la dichiarazione presentata inimputabile e dunque totalmente inidonea ad attestare le circostanze in essa menzionate. Con riferimento a tali attestazioni, quindi, essa la dichiarazione deve considerarsi mancante e tale, pertanto, da determinare l’esclusione dalla gara
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.02.2013 n. 714 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’inutile decorso del termine (di trenta giorni, qualora non diversamente previsto) indicato nell’art. 12, I comma del codice dei contratti comporta non già l’aggiudicazione definitiva, ma soltanto l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria della gara (adempimento, questo, che ai sensi del citato art. 11, V comma, è preliminare all’adozione del provvedimento finale di aggiudicazione definitiva): in altre parole, scaduto il termine di trenta giorni dall’aggiudicazione provvisoria, quest’ultima, in difetto di un provvedimento espresso, si ha per approvata tacitamente, e l’aggiudicatario provvisorio può esigere, chiedendola formalmente, l’emissione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, quale atto conclusivo della procedura concorsuale.
Ma anche qualora si aderisse alla tesi della ricorrente –e cioè che il silenzio serbato dall’Amministrazione avrebbe trasformato l’aggiudicazione provvisoria in definitiva-, la situazione non muterebbe, in quanto l’art. 11, VIII comma subordina comunque l’efficacia dell’aggiudicazione definitiva alla positiva verifica del possesso, in capo all’aggiudicataria, dei prescritti requisiti, che, se riscontrati assenti (come nel caso in esame), consentono l’esercizio dell’autotutela, ovvero, se non riscontrati per inerzia, consentono all’interessata di sciogliersi da ogni vincolo mediante atto notificato alla stazione appaltante (art. 11 cit., IX comma).
La verifica dei requisiti di ammissione è, dunque, in ogni caso un adempimento che la stazione appaltante deve espletare sia in sede di approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, sia –in caso di inutile decorso del termine per provvedere all’approvazione– in sede di aggiudicazione definitiva, quale condizione di efficacia.

... ritenuto che il ricorso è infondato per i motivi di seguito esposti:
- l’inutile decorso del termine (di trenta giorni, qualora non diversamente previsto) indicato nell’art. 12, I comma del codice dei contratti comporta non già l’aggiudicazione definitiva, ma soltanto l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria della gara (adempimento, questo, che ai sensi del citato art. 11, V comma, è preliminare all’adozione del provvedimento finale di aggiudicazione definitiva): in altre parole, scaduto il termine di trenta giorni dall’aggiudicazione provvisoria, quest’ultima, in difetto di un provvedimento espresso, si ha per approvata tacitamente, e l’aggiudicatario provvisorio può esigere, chiedendola formalmente, l’emissione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, quale atto conclusivo della procedura concorsuale (cfr. CdS, III, 16.10.2012 n. 5282; IV, 26.03.2012 n. 1766, citata dalla stessa ricorrente).
Ma anche qualora si aderisse alla tesi della ricorrente –e cioè che il silenzio serbato dall’Amministrazione avrebbe trasformato l’aggiudicazione provvisoria in definitiva-, la situazione non muterebbe, in quanto l’art. 11, VIII comma subordina comunque l’efficacia dell’aggiudicazione definitiva alla positiva verifica del possesso, in capo all’aggiudicataria, dei prescritti requisiti, che, se riscontrati assenti (come nel caso in esame), consentono l’esercizio dell’autotutela, ovvero, se non riscontrati per inerzia, consentono all’interessata di sciogliersi da ogni vincolo mediante atto notificato alla stazione appaltante (art. 11 cit., IX comma).
La verifica dei requisiti di ammissione è, dunque, in ogni caso un adempimento che la stazione appaltante deve espletare sia in sede di approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, sia –in caso di inutile decorso del termine per provvedere all’approvazione– in sede di aggiudicazione definitiva, quale condizione di efficacia.
Orbene, nel caso di specie l’Amministrazione ha riscontrato in capo alla ricorrente la (sopravvenuta) assenza del requisito della capacità economica e finanziaria, requisito questo che la concorrente doveva possedere sia al momento di presentazione dell’offerta (ed ivi lo possedeva, tramite l’impresa di cui si era avvalsa ai sensi dell’art. 49 del codice), sia durante lo svolgimento del servizio e fino alla sua conclusione, in quanto requisito garantista dell’affidabilità dell’aggiudicataria e, conseguentemente, della corretta esecuzione del contratto: ma requisito di cui, invece, la ricorrente in tale fase sarebbe stata priva, atteso che la sopravvenuta contestazione del contratto di avvalimento (portata a conoscenza della stazione appaltante, peraltro, prima dell’aggiudicazione definitiva o, comunque, prima che l’aggiudicazione definitiva divenisse efficace) ha inevitabilmente compromesso la certezza dell’Amministrazione in merito all’affidabilità dell’impresa aggiudicataria, certezza che l’Amministrazione ha inteso, appunto, collegare al possesso della capacità economico-finanziaria nei termini evidenziati nella legge di gara, e affidabilità che ha stimato sussistere proprio in ragione dell’incontestato godimento della predetta capacità, individuata quale requisito di ammissione alla gara.
Giacché, premesso che ausiliaria ed ausiliata sono solidalmente responsabili in relazione alla prestazione dedotta nel contratto da aggiudicare, l'avvalimento dispiega la funzione di assicurare alla stazione appaltante un “partner” commerciale che garantisca una capacità imprenditoriale –nella fattispecie, sotto il profilo economico e finanziario- proporzionata ai rischi dell'inadempimento o dell’inesatto adempimento della prestazione dedotta nel contratto di appalto: garanzia che, nel caso in cui il contratto di avvalimento venga contestato dall’impresa ausiliaria – come nel caso di specie -, viene certamente meno (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 08.02.2013 n. 178 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ENTI LOCALITrasparenza, i contratti sul web. Non rileva pubblicare la liquidazione della fattura. Sono molte le difficoltà operative generate dalle nuove norme sull'amministrazione aperta.
La pubblicazione delle determine di liquidazione, ai sensi della normativa sulla cosiddetta «amministrazione aperta», non condiziona l'efficacia dei pagamenti. I servizi finanziari, dunque, possono procedere ai pagamenti senza avere l'onere di controllare l'avvenuto adempimento.
Sono molteplici le difficoltà operative che continua a porre l'articolo 18 del dl 83/2012, convertito in legge 134/2012, per effetto del quale le amministrazioni sono obbligate a pubblicare una serie di informazioni concernenti appalti, incarichi di collaborazione e contributi sui propri siti istituzionali.
I problemi discendono, prevalentemente, dal disposto del comma 5 del citato articolo 18, ai sensi del quale «a decorrere dal 01.01.2013, per le concessioni di vantaggi economici successivi all'entrata in vigore del presente decreto legge, la pubblicazione ai sensi del presente articolo costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante delle concessioni ed attribuzioni di importo complessivo superiore a 1.000 euro nel corso dell'anno solare».
La norma è molto rigorosa, perché introduce una condizione di efficacia, il cui mancato rispetto comporta responsabilità per indebita concessione del beneficio stesso, ma è evidentemente troppo laconica nell'indicare quale sia l'atto condizionato dalla pubblicazione.
Il riferimento poco chiaro è al «titolo legittimante».
Moltissimi ritengono che detto titolo legittimante sia la fattura e che, di conseguenza, il pagamento resti condizionato all'adozione e pubblicazione del provvedimento che la liquida. Pertanto, i responsabili degli uffici finanziari ritengono di dover controllare che l'adempimento della pubblicazione del provvedimento liquidativo sia stato rispettato, prima di ordinare il pagamento al tesoriere.
Si tratta, tuttavia, di una visione non corretta. La fattura non ha alcuna funzione di «titolo legittimante». Come sancisce la pacifica giurisprudenza della Cassazione la fattura commerciale, che è atto formato unilateralmente dall'imprenditore e, soprattutto, inerente a un rapporto già formato tra le parti, ha solo natura di atto partecipativo e non di prova documentale, né di indizio circa l'esistenza del credito in essa riportato.
Dunque, la fattura sicuramente non costituisce «titolo legittimante». Esso va ricercato a monte del rapporto cui la fattura inerisce, non avendo essa natura costitutiva del medesimo.
Il titolo legittimante, allora, non può che essere l'atto di costituzione e regolazione del rapporto tra pubblica amministrazione e privato. Non è, di conseguenza, il provvedimento amministrativo di concessione del contributo o individuazione del contraente (aggiudicazione definitiva o affidamento), perché si tratta comunque di atti aventi esclusivamente efficacia interna: autorizzano l'amministrazione a impegnare definitivamente la spesa e a stipulare il contratto o gli atti convenzionali regolanti il rapporto.
Dunque, si comprende come il «titolo legittimante» sia esclusivamente l'atto di regolazione del rapporto, cioè contratto, convenzione, o altro atto di identica natura, qualunque sia il nomen iuris.
Il beneficio viene materialmente concesso o attribuito al terzo destinatario con la stipulazione del contratto, dunque esso è il titolo legittimante. Allora, la pubblicazione che condiziona l'efficacia è quella del contratto.
Sicuramente la pubblicazione del provvedimento di liquidazione, pur essendo comunque obbligatoria, non assume alcun a funzione né di condizione di efficacia, né presupposto, tanto della liquidazione, quanto del successivo pagamento.
I servizi finanziari non debbono, quindi, accertare preventivamente al pagamento che la liquidazione sia pubblicata. Semmai, occorre sempre evidenziare in tutti gli atti e provvedimenti adottati successivamente alla stipulazione del contratto che esso risulti pubblicato nel sito istituzionale dell'ente, con l'indicazione dell'indirizzo internet nel quale reperirlo (articolo ItaliaOggi dell'08.02.2013).

APPALTI: G. P. Turcato, Le modalità di stipula dei contratti pubblici, una norma di difficile interpretazione (08.02.2013 - link a www.leggioggi.it).

APPALTICassazione sull'autocertificazione. Gare d'appalto, requisiti doc.
Stretta sui requisiti di accesso agli appalti. Risponde di falso in atto pubblico l'imprenditore che nella dichiarazione sostitutiva dice di essere in regola con l'Inps. La responsabilità penale scatta al di là della falsificazione del Durc.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. V penale, con la sentenza 07.02.2013 n. 6221.
La quinta sezione penale del Palazzaccio ha dunque bocciato il ricorso di un imprenditore di L'Aquila che aveva fatto una dichiarazione sostitutiva attestando falsamente per avere libero ingresso a una gara d'appalto, di essere a posto con le posizione contributiva dei suoi operai. Per questo, con una doppia conforme, Tribunale e Corte d'appello avevano condannato l'uomo per falso in atto pubblico.
Lui si era difeso da subito sostenendo che una dichiarazione sostitutiva non fosse paragonabile al Durc.
A questa obiezione il Collegio di legittimità ha risposto che l'art. 483 c.p. punisce la violazione del dovere giuridico dell'imprenditore di esporre la verità in un atto destinato a provare la verità dei fatti attestati e a cui siano ricollegati specifici effetti, rappresentati, nella specie, dalla ammissione alla gara di appalto. Non solo la norma, sanziona inoltre, l'obbligo giuridico del dichiarante di dire la verità, circa il pagamento dei contributi verso la cassa edile nella dichiarazione allegata all'offerta per l'aggiudicazione di un appalto pubblico. Infatti tale obbligo risiede anche nell'art. 24, comma 2, della direttiva 93/97 Cee, recepita sul punto dal dl 30.07.1994, n. 478, non convertito, i cui effetti sono peraltro stati stabilizzati dalla legge 29.03.1995, n. 95.
In altri termini, se la certificazione viene utilizzata per attestare la posizione contributiva in un procedimento pubblico allora la punibilità scatta lo stesso, a prescindere dal fatto che il documento falsificato fosse anch'esso pubblico o privata, come l'autocertificazione (articolo ItaliaOggi del 09.02.2013).

LAVORI PUBBLICILe nuove Linee guida sulla pubblica illuminazione con Capitolati tecnici, esempi e progetti pilota.
Informare, sensibilizzare e fornire alle Amministrazioni Comunali tutti gli strumenti necessari ad una gestione energeticamente efficiente della pubblica illuminazione, contribuendo alla riduzione delle emissioni inquinanti e ad un risparmio economico per la collettività”.
È questo l’obiettivo delle Linee Guida per la predisposizione di Capitolati tecnici comunali finalizzati a promuovere la fornitura di energia elettrica, l’esercizio e la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti pubblici, le opere di adeguamento normativo e di riqualificazione tecnologica degli impianti stessi, redatte da Ancitel.
In coerenza con le Linee Guida dell’ENEA (v. articolo BibLus-net “Arrivano le linee guida per la gestione efficiente dell’illuminazione pubblica”) il documento approfondisce con maggior dettaglio gli aspetti tecnici, economici e gestionali dei sistemi di illuminazione pubblica, ponendosi come strumento operativo concreto a disposizione delle Amministrazioni e dei tecnici in generale.
Le linee guida contengono, inoltre, esempi e applicazioni concrete e illustrano in maniera dettagliata un progetto pilota (07.02.2013 - link a www.acca.it).

LAVORI PUBBLICIGallerie e prevenzione incendi: ecco i nuovi adempimenti.
A seguito dell'entrata in vigore del nuovo Regolamento di prevenzione incendi (D.P.R. 151/2011), che ha compreso nell'ambito delle attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi anche le gallerie stradali di lunghezza superiore ai 500 metri, il Ministero dell’Interno ha emanato la Circolare esplicativa n. 1 DIP. VV.F. del 29.01.2013.
La Circolare, in attesa dell’emanazione della regola tecnica di prevenzione incendi relativa alle gallerie stradali di lunghezza superiore ai 500 metri, al fine di dare immediata attuazione al D.P.R. 151/2011, fornisce ai gestori di gallerie stradali chiarimenti sui nuovi adempimenti.
Nello specifico, vengono date indicazioni su come procedere in funzione dei diversi casi che possono verificarsi:
galleria ricadente nella rete stradale trans-europea;
galleria non ricadente nella rete stradale trans-europea;
galleria conforme ai requisiti indicati nel D.Lgs. 246/2006;
galleria non conforme ai requisiti indicati nel D.Lgs. 246/2006;
galleria esistente;
galleria di nuova realizzazione.
Vengono fissati i termini e le modalità per la presentazione della SCIA a seconda dei vari casi (07.02.2013 - link a www.acca.it).

APPALTI: Oggetto: Art. 11, comma 13, del Codice dei contratti pubblici. Modalità di registrazione dei contratti di appalto stipulati con modalità elettronica (Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Firenze, Ufficio Territoriale di Empoli, nota 06.02.2013).

APPALTI: L'Authority contratti vuole i link con tutti i dati.
Le stazioni appaltanti devono trasmettere tutte le informazioni pubblicate sui siti internet relativi alla gestione di contratti pubblici anche all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.

È quanto chiede il presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, Sergio Santoro, in una lettera trasmessa al ministro della funzione pubblica nella quale si chiedono diverse modifiche allo schema di decreto legislativo sulla pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.
Si tratta del provvedimento varato in via preliminare dal governo il 21 gennaio, che attua l'art. 1, comma 35, della legge 190/2012 (anticorruzione) e, fra le altre cose, fa fermi, confermandoli, gli obblighi di pubblicità legale di bandi e avvisi di gara sui quotidiani (ItaliaOggi dell'01/02/2013). La proposta è di estendere l'obbligo di trasmissione all'organismo di vigilanza anche delle informazioni che le stazioni appaltanti devono pubblicare sui propri siti internet, oltre a quelle concernenti i contratti di importo inferiore a 20.000 e all'obbligo di pubblicazione del verbale di consegna lavori, di ultimazione dei lavori e del conto finale dei lavori.
In altre parole le amministrazioni dovrebbero inviare all'Autorità la determina di aggiudicazione definitiva dell'appalto e le informazioni relative all'importo di aggiudicazione, al soggetto aggiudicatario, alla base d'asta, alla procedura di selezione, al numero degli offerenti, ai tempi di completamento dell'appalto; all'importo delle somme liquidate, a eventuali modifiche contrattuali alle decisioni di ritiro e di recesso dei contratti. Per agevolare le amministrazioni l'Autorità propone di acquisire, tramite collegamento alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici, tutte le informazioni rilevanti sui contratti stipulati, riportandole in una tabella riassuntiva predisposta dall'Autorità.
Le stazioni appaltanti dovrebbero quindi integrare le tabelle, pubblicarle sul proprio sito e comunicare all'Autorità il link o la pagina del sito dove è avvenuta la pubblicazione. In questo modo, peraltro, l'Autorità può verificare l'avvenuto adempimento degli obblighi informativi e segnalare alla Corte dei conti eventuali omissioni. Un altro profilo critico dello schema di decreto riguarda le informazioni sui costi unitari e gli indicatori di realizzazione delle opere pubbliche, da pubblicare sulla base di uno schema tipo curato dall'Authority; la pubblicazione di queste informazioni sostituirebbe l'obbligo di pubblicare i costi unitari di produzione dei servizi erogati ai cittadini previsto dall'art. 1, comma 15, della legge 190.
La lettera sottolinea l'esigenza di raccordare la nozione di costi unitari con quella di «costi standard» (art. 7 del Codice) e di «prezzi di riferimento» (art. 17 legge 98/2011) e critica la scelta di superare l'obbligo di pubblicazione dei costi dei servizi erogati ai cittadini che determinerebbe «la conseguenza di impedire ogni opportuna valutazione di convenienza economica delle scelte» (articolo ItaliaOggi del 06.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIAutorità di vigilanza. Appello del regolatore dei contratti pubblici: correzioni prima della pubblicazione. «Trasparenza Pa da rivedere». Santoro: nel decreto rafforzare gli obblighi di comunicazione negli appalti.
L'OMISSIONE/ Dimenticati gli obblighi di trasmissione all'Autorità dei dati relativi agli appalti che le amministrazioni dovranno mettere on-line.

Correggere il decreto sulla trasparenza della Pa prima della pubblicazione. È quanto chiede l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici con una lettera firmata dal presidente Sergio Santoro e inviata al ministro della semplificazione Filippo Patroni Griffi e al sottosegretario di Stato Antonio Catricalà.
Secondo l'Autorità il testo approvato dal Consiglio dei ministri il 22 gennaio, in attesa del parere della Conferenza unificata e del garante della privacy, va rivisto, rafforzando gli obblighi di comunicazione della Pa in materia di appalti, estendendo il sistema delle sanzioni nei confronti delle amministrazioni ritrose a fornire informazioni sui contratti, uniformando il concetto di costi unitari delle opere pubbliche a quello dei costi standard, previsto dal codice dei contratti pubblici, e dei prezzi di riferimento delle prestazioni sanitarie che la stessa Autorità è stata incaricata di rilevare.
Il decreto varato dal Governo mette in pratica le indicazioni della legge anticorruzione (legge 190/2012) in materia di appalti pubblici e sul fronte dell'edilizia privata. Il decreto fa salvi gli obblighi di pubblicità legale, con il vincolo di pubblicazione di bandi e avvisi di aggiudicazione sui giornali (con costi a carico di imprese e professionisti a partire dal primo gennaio). Aumentano però i dati e le informazioni da pubblicare sui siti web.
Nel dettaglio, andranno on-line il bando, la determina di aggiudicazione, l'oggetto del bando, l'oggetto dell'eventuale delibera a contrarre, l'importo, l'aggiudicatario, la base d'asta, la procedura e la modalità di selezione del contraente, il numero di offerenti, i tempi di completamento dell'opera, l'importo delle somme liquidate, le modifiche contrattuali, le decisioni di ritiro e recesso dei contratti (comma 1 dell'articolo 37).
Per tutte queste informazioni, segnala Santoro, non è previsto «alcun obbligo di trasmissione delle informazioni in formato digitale a questa Autorità». Né, di conseguenza, esiste alcun obbligo per l'Autorità di pubblicare queste informazioni sul proprio sito e di comunicare l'elenco delle Pa inadempienti alla Corte dei Conti con l'applicazione delle sanzioni previste dal Codice degli appalti per le amministrazioni poco trasparenti (da 25.822 a 51.545 euro per i casi più gravi).
Una "dimenticanza" poco spiegabile per l'Autorità. Anche alla luce del fatto che lo stesso decreto prevede che le stazioni appaltanti raccolgano comunque tutte queste informazioni rendendole liberamente fruibili sul proprio sito web e inviandole al via Ripetta ogni tre mesi in forma aggregata. Un principio che vale per tutti i contratti sotto i 20mila euro e per tutti gli appalti di lavori pubblici: per i quali vanno pubblicati anche il verbale di consegna dei lavori, il certificato di ultimazione dei lavori e il conto finale. Oltre alla delibera a contrarre nel caso di interventi affidati a trattativa privata senza bando.
In tutte questi casi il provvedimento varato dal Governo prevede l'obbligo di informare l'Autorità a pena di sanzione. «E ciò -sottolinea Santoro- senza che questa disparità di trattamento appaia giustificata da una maggiore rilevanza di tali dati rispetto a quelli del comma 1 ai fini perseguiti dall'intervento normativo». Cioè aumentare il grado di trasparenza della Pa.
Un altro rilievo riguarda l'obbligo per le amministrazioni di pubblicare sui propri siti web i «costi unitari» di realizzazione delle opere pubbliche sulla base di uno schema-tipo redatto dall'Autorità. Per Santoro servirebbe innanzitutto un chiarimento sulla «nozione di costi unitari», da raccordare a quelle di «costi standard» e «prezzi di riferimento» previste rispettivamente dal codice dei contratti pubblici e dalle norme in materia di prestazioni sanitarie. «Tale raccordo non è stato ancora operato dal legislatore ed è, ad oggi, fonte di gravi difficoltà operative» (articolo Il Sole 24 Ore del 06.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIPagamenti in 30 giorni per tutti. Deroghe eccezionali. Ora l'Italia è a rischio infrazione. Convegno a Milano sul recepimento della direttiva Ue. Tajani: il governo chiarisca.
Pagamenti entro 30 giorni, con pochissime eccezioni. Questa è la regola generale nelle transazioni commerciali tra p.a. e imprese, ma anche tra impresa e impresa (B2B), introdotta nell'ordinamento italiano dal dlgs 192/2012 che ha recepito la direttiva comunitaria sui ritardati pagamenti. Le parti non possono decidere di allungare o meno i termini a proprio piacimento a meno che non vi siano circostanze eccezionali che legittimino lo slittamento del termine a 60 giorni (aziende pubbliche, sanità, particolari procedure di appalto come il dialogo competitivo).
Al di fuori di questi casi, il periodo massimo per saldare le fatture resta di 30 giorni. Dopo scatteranno gli interessi di mora fissati dal 01.01.2013 all'8,75% (8% + il tasso Bce). La possibilità di deroga a 60 giorni, che appare come generalizzata nel dlgs 192/2012, rischia quindi di essere incompatibile con il dettato della direttiva 2011/7/Ue. E potrebbe anche portare all'avvio di una procedura di infrazione contro l'Italia.

È quanto è emerso nel corso dell'incontro organizzato ieri a Milano dalla Commissione europea con i rappresentanti delle istituzioni e del mondo economico per illustrare gli effetti del recepimento in Italia della direttiva contro i pagamenti lumaca.
Un'occasione che è servita ai rappresentanti dell'esecutivo di Bruxelles per ribadire alcuni concetti ancora oggetto di interpretazioni fuorvianti «anche a causa dell'ambiguità del testo italiano» (ha ammesso il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani).
Per questo Tajani ha annunciato che chiederà al nuovo governo una presa di posizione ufficiale entro il 16 marzo, pena l'apertura di una procedura di infrazione contro l'Italia. E poco importa che la bacchettata di Bruxelles possa essere attivata proprio dall'iniziativa del nostro commissario europeo. Tajani ha fatto della corretta applicazione della direttiva uno dei punti caratterizzanti del proprio mandato di commissario per l'Industria e l'Imprenditoria. E si è già attivato per chiedere al governo italiano di fugare ogni dubbio sull'ambito di applicazione della direttiva 2011/7/Ue. Cosa che è avvenuta con la recente circolare del ministero dello sviluppo economico (si veda ItaliaOggi Sette del 28.01.2013) che ha chiarito che non esistono settori esclusi dall'applicazione della direttiva. Gli appalti pubblici, quindi, vi rientrano a tutti gli effetti. Ora però, secondo Tajani, la priorità è insistere sulla rigidità dei tempi di pagamento.
La regola generale è che le fatture vanno saldate entro 30 giorni, elevabili a 60 (e non oltre) in determinati settori (sanità, aziende pubbliche o particolari procedure di appalto quali il dialogo competitivo). Trascorsi questi termini iniziano a decorrere gli interessi di mora. «I ritardi nei pagamenti disincentivano gli investimenti stranieri», ha osservato Tajani. «In tutto il mondo la base per fare affari è la certezza giuridica». In tutto il mondo tranne che in Italia, dove a causa delle attuali regole di contabilità pubblica è possibile iscrivere un debito a bilancio solo nel momento dell'effettivo pagamento e non invece nel momento in cui sorge l'obbligo giuridico a pagare.
«È un incentivo a non pagare», lamenta Tajani, «perché non pagando un debito questo non entra in bilancio, ma così facendo si finisce per sottomettere l'economia reale alle regole di contabilità, quando invece dovrebbe essere il contrario».
Intanto a livello europeo i ritardi di pagamento continuano a crescere raggiungendo il livello senza precedenti di 340 miliardi di euro. Di questi, almeno 100 miliardi di euro sono la fetta attribuibile all'Italia, sempre più maglia nera visto che la p.a. tricolore paga mediamente in 180 giorni quando invece la media Ue è di 162 e quella dei paesi nordici addirittura di 32 giorni. Le insolvenze hanno portato alla perdita di 450 mila posti di lavoro e il 57% delle imprese europee ha avuto problemi di liquidità a causa dei ritardi di pagamento.
Ma se per il futuro la strada dovrebbe essere tracciata, come fare a risolvere il problema dei debiti pregressi? Cento miliardi di euro sono una cifra che, se sommata al debito pubblico, renderebbe impossibile il raggiungimento del pareggio di bilancio previsto per il 2014.
Come fare quindi a liberarsi di questo fardello? E soprattutto come conciliarlo con i rigidi vincoli di contabilità pubblica imposti a livello europeo? La soluzione potrebbe essere quella di escludere il debito monstre verso le imprese dal calcolo del debito pubblico. E quindi dall'obbligo di pareggio di bilancio. La richiesta sarà oggetto di una riunione tecnica che Tajani avrà giovedì prossimo col collega (e commissario Ue per gli affari economici e monetari) Olli Rehn. E non è escluso che il tema possa diventare presto uno dei prossimi temi caldi della campagna elettorale. Anzi, l'auspicio di Tajani è proprio questo, perché per mettere la p.a. nelle condizioni di pagare in tempo servono regole contabili più flessibili. Altrimenti sarà difficile centrare gli obiettivi europei di arrivare al 70% delle fatture saldate entro 30 giorni.
Anche il presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, si è detto d'accordo con la richiesta di escludere dal debito pubblico i 100 miliardi di euro attesi dalle imprese. L'edilizia, del resto, è forse il settore che più di tutti sta soffrendo per i ritardi nel pagamento delle fatture. E il credit crunch, ossia la difficoltà di accesso al credito bancario, fa il resto. I costruttori hanno portato a casa la certezza che la direttiva Ue si applica agli appalti pubblici (così come chiarito espressamente dal Mise).
Ma restano ancora alcuni nervi scoperti col governo di cui il prossimo esecutivo dovrà farsi carico. L'Imu sull'invenduto, per esempio, non va proprio giù ai costruttori che la considerano incostituzionale (per violazione del principio di uguaglianza) oltre che contraria alla normativa europea (articolo ItaliaOggi del 05.02.2013).

APPALTICondanne per reati, la verifica si fa on-line.
Attivata la procedura per la richiesta delle risultanze del casellario giudiziale online. Viene, in pratica, data attuazione a quanto era stato disposto dall'art. 39 del dpr 313/2002, ovvero il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti.

Con l'art. 39 del testo unico era stata prevista la consultazione diretta del sistema telematico del Ministero della giustizia, oltre che da parte dell'autorità giudiziaria anche da parte delle amministrazioni pubbliche e dei gestori di pubblici servizi. E ciò, al fine della verifica del possesso dei requisiti di onorabilità prescritti dalla relativa disciplina per coloro i quali sono intenzionati a esercitare un'attività economica, quale ad esempio il commercio, l'attività di somministrazione, agenzie di affari. Verifica che, fino ad oggi, è stata effettuata con la tradizionale modalità cartacea.
La novità è conseguente alla entrata in vigore del decreto 05.12.2012, pubblicato in Gazzetta lo scorso 21 dicembre scorso e con il quale sono state fissate le regole procedurali di carattere tecnico operativo per l'attuazione della consultazione diretta. Per poter utilizzare il sistema telematico, tuttavia, sarà necessaria la stipula di una convenzione da richiedere utilizzando la modulistica (Allegato C) del decreto del 05.12.2012.
In seguito alla richiesta, l'ufficio del Casellario svolgerà le necessarie verifiche e avvierà la procedura per la stipula di convenzione con il richiedente su fruibilità dei dati e garanzia del pieno rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali, di accesso ai documenti amministrativi, di tutela del segreto e di divieto di divulgazione.
Nella convenzione saranno stabiliti anche termini e condizioni per garantire che il certificato contenga solo i dati pertinenti con i compiti istituzionali delle amministrazioni interessate (articolo ItaliaOggi del 05.02.2013).

APPALTI: Gare, Un 'errore passato' non determina l'esclusione perenne.
E' illegittimo il provvedimento di esclusione di una ditta da una gara di appalto, la cui motivazione, operando esclusivo riferimento a un precedente grave errore commesso dalla partecipante nell'esecuzione di altre prestazioni con la medesima stazione, tralascia di indicare tutte le circostanze successivamente verificatesi.

La decisione evidenzia l’importanza della motivazione di un provvedimento di esclusione da una gara di appalto, attraverso un’efficace rappresentazione di tutte le circostanze verificatesi in un lungo lasso di tempo che possono, in qualche misura, incidere sul giudizio “di fiducia” dell’impresa contraente.
In particolare la ricorrente, partecipante a una procedura indetta per l'affidamento in economia del servizio di gestione delle selezioni per l'ammissione alle Scuole di specializzazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia, ha impugnato il provvedimento con cui la stazione appaltante, ai sensi dell’art. 38, lett. f), D.Lgs. n. 163/2006, aveva disposto la propria esclusione dalla gara a cagione “… della sussistenza di elementi reputati tali da far venir meno la fiducia nell’impresa”.
Ha contestato, così, la violazione dell’art. 38 cit., dell’art. 332, D.P.R. n. 207/2010, nonché il difetto di motivazione, contestualmente formulando richiesta di risarcimento del danno ingiusto sofferto per effetto dell’attività amministrativa contestata.
Il ricorso è stato accolto. Il TAR di Napoli ha osservato che la misura espulsiva –intervenuta dopo che la stazione appaltante aveva rilevato che l’offerta della ricorrente era la migliore e chiesto alla stessa di anticipare l’avvio delle attività preparatorie– era stata adottata sulla base della motivazione per cui: "… da un accertamento in ordine alla pregressa collaborazione con questa amministrazione è emerso che codesta società ha commesso un grave errore nell’espletamento di analoga procedura, a seguito del quale sono state rilevate l’inidoneità e l’inaffidabilità della stessa a eseguire la prestazione in argomento per le motivazioni esplicitate nella nota di questa amministrazione del 28.10.2002.
Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto e per gli effetti dell’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006 codesta società è esclusa dalla gara.
"
Sicché, considerato il tenore motivazionale dell’impugnato provvedimento di esclusione, il giudicante ha riscontrato sia la violazione del menzionato art. 38 per carenza dei presupposti, sia il censurato difetto di motivazione.
Al riguardo ha precisato che, sibbene la fattispecie contemplata dalla citata previsione normativa implichi un ampio potere discrezionale in ordine alla ponderazione dei fatti integranti grave negligenza, malafede o errore grave nell’esercizio dell’attività professionale, l’esercizio della suddetta potestà non si sottrae per ciò solo al sindacato giurisdizionale nei casi di manifesta illogicità o irrazionalità (nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. V, 21.06.2012, n. 3666).
Del resto, l’apprezzamento dell’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali con la pubblica Amministrazione esclude di per sé qualsiasi automatismo, occorrendo che, come richiesto dalla norma, l’esclusione sia supportata da una "motivata valutazione" della stazione appaltante.
Pertanto, pur riconoscendo la rilevanza dell’episodio, l’adito G.A. ha rilevato che, nella specie, l’autorità amministrativa non aveva considerato che il contestato “grave errore” era stato commesso circa dieci anni prima e che l’addebito era stato prontamente riconosciuto dalla ricorrente con la rinuncia a percepire il compenso stabilito per lo svolgimento di quel servizio.
Invero, ha osservato che il decorso di un lungo periodo di tempo –i cui effetti l'ordinamento riconosce e consacra dando vita a istituti ampiamente disciplinati in ogni settore del diritto– avrebbe determinato l'esigenza di rafforzare l'impianto motivazionale del provvedimento di esclusione, mediante una dettagliata illustrazione delle circostanze che avrebbero potuto rilevare nel giudizio di affidabilità dell’impresa contraente; la meccanica applicazione della misura espulsiva, infatti, aveva snaturato la connotazione dell’istituto in esame, configurandolo impropriamente alla stregua di un potere sanzionatorio.
Non a caso, la ricorrente aveva rappresentato che, nell’arco temporale in questione, la compagine sociale era mutata e che la stessa aveva conseguito idonee certificazioni per i settori d’interesse e gestito positivamente molteplici, complesse procedure concorsuali presso i più prestigiosi atenei italiani.
Tali elementi, a opinione del Collegio, avrebbero dovuto essere oggetto di una più meditata valutazione da parte della stazione appaltante che, in tal modo, avrebbe potuto esprimere un adeguato giudizio di complessiva idoneità dell’impresa a eseguire con la dovuta diligenza il servizio in questione. In tal modo si sarebbe evitato ogni illogico automatismo conseguente a un solo episodio sfavorevole accaduto in passato che, peraltro, non avrebbe potuto comunque limitare le chances della deducente di contrattare sine die con l’ateneo e di acquisire altre esperienze e referenze utili per l’ulteriore crescita dell’impresa.
Sotto differente profilo, il TAR partenopeo ha censurato le modalità attraverso le quali l’Amministrazione aveva adottato il contestato provvedimento di esclusione.
Quest’ultima, infatti, ancorché in possesso di tutte le informazioni relative al pregresso rapporto, aveva dapprima invitato l’interessata a far pervenire la propria offerta e, solo dopo aver constatato l’economicità della propria offerta e averla invitata a porre in essere le attività propedeutiche allo svolgimento del servizio, aveva provveduto a comunicare il proprio intendimento di estrometterla dalla procedura.
Conseguentemente, il G.A. di Napoli, rintracciando plurimi profili d’illegittimità dell’operato della stazione appaltante, ha accolto il gravame e, per l’effetto, annullato il contestato provvedimento di esclusione della ricorrente; parallelamente reputando sussistenti tutti gli elementi costitutivi della responsabilità della P.A., ivi compreso l’elemento soggettivo, ha accolto la domanda di risarcimento del danno, la cui quantificazione ha equitativamente determinato ai sensi dell’art. 1226 c.c. (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 01.02.2013 n. 695 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bandi di gara subito impugnabili per ogni vizio o no? Lo deciderà l'Ad. Plen. Consiglio di Stato.
La VI Sez. del Consiglio di Stato, con l'ordinanza 01.02.2013 n. 634, ha rimesso all'Adunanza Plenaria la questione se il bando di gara sia immediatamente impugnabile per ogni vizio rilevato ovvero se il bando possa essere impugnato entro il termine decadenziale solo ove immediatamente lesivo di una situazione soggettiva protetta.
Di seguito, la massima dell'ordinanza.
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1. L’atto amministrativo generale, o l’atto di normazione secondaria presupposto debbono essere impugnati entro i predetti termini decadenziali –non assieme all’atto conclusivo della procedura– solo ove immediatamente lesivi di una situazione soggettiva protetta: situazione, quella appena indicata, ritenuta ravvisabile quando l’atto presupposto risulti di per sé ostativo per la realizzazione dell’interesse finale perseguito (ovvero in rapporto ad una procedura concorsuale, il cui bando sia per talune ditte preclusivo della partecipazione cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen., 23.01.2003, n. 1 e successiva, pacifica giurisprudenza conforme).
La sussistenza di ragioni per pervenire ad un diverso indirizzo è stata affermata dalla sezione con ordinanze nn. 351 del 18.01.2011 e 2633 in data 08.05.2012; in entrambi i casi, tuttavia, l’Adunanza Plenaria non ha esaminato la questione per difetto di rilevanza (Cons. St., Ad. Plen. 07.04.2011, n. 4 e 31.07.2012, n. 31)
Ad avviso del Collegio, la questione merita quindi di essere nuovamente sollevata.
2. La sussistenza di giusti motivi per un indirizzo evolutivo, rispetto alla citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2003, risultano già esposti nelle ordinanze della sezione sopra ricordate, nei termini di seguito sintetizzati:
- la volontà deflattiva del contenzioso, sottostante all’indirizzo di immediata impugnabilità delle sole clausole escludenti, non ha trovato rispondenza nei fatti, con reiterate impugnazioni che, dopo la conclusione delle procedure di gara, postulano l’annullamento del bando e quindi l’azzeramento delle procedure stesse, con notevole aggravio di spese per l’amministrazione e danno per le imprese aggiudicatarie incolpevoli, sulle cui offerte non fosse emerso o riconosciuto alcun vizio;
- i principi di buona fede e affidamento, di cui agli articoli 1337 e 1338 cod. civ., dovrebbero implicare che le imprese, tenute a partecipare alla gara con attenta disamina delle prescrizioni del bando, fossero non solo abilitate, ma obbligate a segnalare tempestivamente, tramite impugnazione del bando stesso, eventuali cause di invalidità della procedura di gara così come predisposta, anche come possibile fonte di responsabilità precontrattuale; quanto sopra, in linea con la ratio ispiratrice dell’art. 243-bis del codice degli appalti (d.lgs. n. 163/2006), nel testo introdotto dal d.lgs. n. 53/2010 (informativa preventiva dell’intento di proporre ricorso giurisdizionale).
Il Collegio condivide le predette osservazioni e ritiene che le imprese partecipanti a procedure contrattuali ad evidenza pubblica dovrebbero ritenersi tenute ad impugnare qualsiasi clausola del bando ritenuta illegittima, entro gli ordinari termini decadenziali.
La questione sopra indicata appare connessa alla vera e propria svolta, impressa al contenzioso in materia di pubblici appalti dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2011, ispirata al superamento di indirizzi giurisprudenziali, che finiscono per determinare una “litigiosità esasperata”, senza garantire il soddisfacimento dell’interesse primario di ciascun concorrente (aggiudicazione dell’appalto) e rendendo “estremamente difficoltosa e spesso impossibile (si pensi alla perdita di finanziamenti comunitari) l’esecuzione dell’opera pubblica”.
3. Fra tali indirizzi, sembra al Collegio che possa annoverarsi quello riconducibile alla ricordata sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2003, limitativa dell’immediata impugnabilità dei bandi di gara (o di concorso) –senza necessità di attendere i relativi atti applicativi– solo con riferimento alle clausole impeditive dell’ammissione di soggetti interessati alla selezione, ovvero impositive di oneri sproporzionati per la partecipazione, o di condizioni non comprensibili; quanto sopra, nella presupposizione che in ogni altro caso mancherebbe una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto.
Tale conclusione –oltre a non condurre, come già in precedenza rilevato, ad una riduzione del contenzioso, che viene normalmente avviato su ogni questione prospettabile (con aggravata lesione degli interessi sia pubblici che privati, in caso di azzeramento dell’intera procedura dopo la conclusione della stessa)– appare non più convincente anche sul piano dei principi, regolatori dell’impugnativa di atti amministrativi generali, destinati alla cura concreta di interessi pubblici nei confronti di destinatari indeterminati, ma determinabili.
Con la domanda di partecipazione alla gara, infatti, le imprese concorrenti divengono titolari di un interesse legittimo, quale situazione soggettiva protetta corrispondente all’esercizio di un potere, soggetto al principio di legalità ed esplicato, in primo luogo, con l’emanazione del bando.
A qualsiasi vizio di quest’ultimo si contrappone, pertanto, l’interesse protetto al corretto svolgimento della procedura, nei termini disciplinati dalla normativa vigente in materia e dalla lex specialis; l’inoppugnabilità della disciplina di gara contenuta nel bando, alla scadenza degli ordinari termini decadenziali, appare dunque conforme alle esigenze di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa (commento tratto da www.giurdanella.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Revoca della gara in autotutela, quando 'scattano' le regole civilistiche.
La revoca degli atti di gara da parte di una stazione appaltante può configurare un illecito precontrattuale perché in contrasto con le comuni regole di buona fede e correttezza di cui all'articolo 1337 del codice civile; il Consiglio di Stato si è pronunciato in merito al risarcimento danni, subito da un ATI partecipante ad una gara, a seguito di annullamento in autotutela della procedura di affidamento di lavori.
Con bando pubblicato sulla G.U.C.E., una stazione appaltante indiceva una procedura aperta avente ad oggetto l’affidamento, secondo il criterio del prezzo più basso, dei lavori di ristrutturazione e riqualificazione di un immobile di proprietà di un ente locale, per un “nuovo” complesso termale.
La gara in questione era aggiudicata ad un ATI composta da tre SRL; nell’agosto 2007 nelle more del giudizio amministrativo che ha interessato la gara in questione, la procura della Repubblica disponeva il sequestro dell’immobile da riqualificare.
Nel 2008 il Ministero dello Sviluppo Economico sospendeva in via cautelare l’iter procedimentale relativo alle agevolazioni finanziarie richieste dalla stazione appaltante e, conseguentemente, quest’ultima preso atto che per effetto del sequestro giudiziario del nuovo complesso termale era stato impossibile dare esecuzione ai lavori di riqualificazione, deliberava di rinunciare all’investimento e di risolvere il contratto stipulato con il Comune avente ad oggetto la concessione in godimento dell’immobile termale.
La stazione appaltante in seguito deliberava di revocare tutti gli atti e i provvedimenti del procedimento di gara relativo all’affidamento dei lavori di ristrutturazione e riqualificazione.
L’ATI si era rivolta al TAR per chiedere la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno derivante dall’intervenuta autotutela.
Il Tribunale amministrativo regionale aveva accolto in parte il ricorso riconoscendo soltanto alcune delle voci risarcitorie reclamate dalla ricorrente; l’ATI di conseguenza si rivolgeva al Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato con la corposa sentenza in commento ritiene, nel caso di specie, che il comportamento complessivo tenuto della stazione appaltante, poi sfociato nella revoca degli atti di gara, integra un illecito precontrattuale, perché si pone in contrasto con le regole di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c., riferite ad una pubblica amministrazione.
E’ ormai consolidata la configurabilità di una responsabilità precontrattuale anche della pubblica amministrazione, perché anche su di essa grava l’obbligo sancito dall’art. 1337 c.c. di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative.
Di conseguenza, se durante la fase formativa del contratto la pubblica amministrazione viola quel dovere di lealtà e di correttezza, ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l’affidamento della controparte (anche colposamente, perché non occorre un particolare comportamento di malafede, né la prova dell’intenzione di arrecare pregiudizio all’altro contraente) in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale.
Per i giudici di Palazzo Spada in caso di responsabilità precontrattuale da ingiustificato recesso dalla trattativa, nel cui ambito si inquadra la vicenda oggetto del presente contenzioso, in cui viene messo in rilievo la revoca degli atti di gara da parte della stazione appaltante, il danno è commisurato non al c.d. interesse positivo (ovvero alle utilità economiche che il privato avrebbe tratto dall’esecuzione del contratto), ma al c.d. interesse negativo, da intendersi, appunto, come interesse a non essere coinvolto in trattative inutili, a non investire inutilmente tempo e risorse economiche partecipando a trattative (o, nel presente caso, a gare d’appalto) destinate poi a rivelarsi del tutto inutili a causa del recesso scorretto della controparte.
I fatti che hanno portato alla revoca dell’aggiudicazione sono riconducibili ad un comportamento non diligente della stazione appaltante; una delle ragioni principali su cui si fonda il provvedimento di revoca è, infatti, il venire meno delle risorse finanziarie necessarie al finanziamento dei lavori. Di fronte, infatti, al procedimento penale iniziato dalla Procura della Repubblica per presunti illeciti consumati dalla stessa stazione appaltante, in occasione della richiesta di finanziamento pubblico per iniziare i lavori di ristrutturazione dell’immobile, la stessa stazione appaltante ha immediatamente rinunciato al finanziamento e, conseguentemente, ha disposto la revoca della gara.
La stazione appaltante, anziché rinunciare al finanziamento e disporre la revoca degli atti di gara, avrebbe dovuto, visto che la gara ormai era stata bandita e aggiudicata (e, quindi, si configurava un ragionevole e fondato affidamento dell’aggiudicatario in ordine alla prossima conclusione del contratto), quanto meno adoperarsi attivamente per trovare soluzioni alternative, comunque “meno penalizzanti per gli interessi dell’aggiudicatario, in ipotesi anche verificando la ragionevole possibilità, prima di rinunciare unilateralmente al finanziamento già ottenuto, di reperire congruamente risorse finanziarie da altre fonti, onde dare comunque seguito ai lavori per i quali la gara era stata espletata”.
Per il Consiglio di Stato, tuttavia, nell’ambito della responsabilità precontrattuale il c.d. danno curriculare non è risarcibile, perché non attiene all’interesse negativo, ma, più propriamente, all’interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell’appalto, non dall’inutilità della trattativa. Il c.d. danno curriculare può, infatti, essere definito come il pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto.
Il Consiglio di Stato, quindi, condanna la stazione appaltante al rimborso, nei confronti delle società che costituiscono l’ATI, delle spese vive sostenute per la partecipazione alla gara nei limiti dei cui importi riescano a dimostrarne l’avvenuto pagamento, del danno emergente per le spese generali per il costo del personale e della struttura che avrebbero potuto essere destinate ad altre attività, del lucro cessante per la perdita di chance contrattuale alternativa scaturente dalla rinuncia a concludere un altro contratto (commento tratto da www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. I, sentenza 01.02.2013 n. 633 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAppalti, pubblicità doppia. Oltre ai bandi anche gli affidamenti a trattativa privata. Il dlgs attuativo della legge anticorruzione conferma gli obblighi di pubblicazione.
Fatti salvi tutti gli obblighi di pubblicità, anche sui quotidiani, per i bandi e avvisi di contratti pubblici, le amministrazioni dovranno pubblicare anche le delibere di affidamento per contratti a trattativa privata, i certificati di ultimazione dei lavori e il conto finale dei lavori. Obbligo di trasmissione dei dati pubblicati all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, la quale potrà denunziare alla Corte dei conti le amministrazioni inadempienti.
Introdotto il nuovo istituto del diritto di accesso civico. Previsto un piano triennale per la trasparenza. Sanzioni per la violazione degli obblighi di pubblicità.

Sono questi alcuni dei punti più rilevanti previsti nello schema di decreto legislativo attuativo dell'articolo 1, comma 35 della legge «anticorruzione» (190/2012) predisposto su proposta del ministro della pubblica amministrazione e semplificazione, che prevede anche l'obbligo di delle situazioni patrimoniali di politici, e parenti entro il secondo grado, degli atti dei procedimenti di approvazione dei piani regolatori e delle varianti urbanistiche.
Da indiscrezioni filtrate da ambienti ministeriali risulterebbe che il testo, approvato in via preliminare la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri, è stato modificato e inviato, oltre alla Conferenza unificata anche ad altri enti competenti per materia ai quali è stato chiesto di esprimere un parere.
Il provvedimento non dovrebbe quindi andare alle commissioni parlamentari per i pareri e, nell'auspicio del governo, dovrebbe essere approvato entro la fine di febbraio.
Per i contratti pubblici lo schema di regolamento richiama, facendoli «fermi», «gli altri obblighi di pubblicità legale e, in particolare quelli sui siti web delle stazioni appaltanti relativi ai bandi e alle gare per affidamento di lavori, forniture e servizi»; ciò conferma, quindi, la vigenza di tutti gli obblighi di pubblicità previsti dal Codice dei contratti pubblici (artt. 66 e 124 del dlgs 163/2006), ivi compresa la pubblicità per estratto sui quotidiani di avvisi e bandi (vedi ItaliaOggi del 30.11.2012 e 25.01.2013).
Si introduce, in aggiunta agli usuali obblighi di pubblicità dei bandi e degli avvisi, l'obbligo di pubblicazione della determina di aggiudicazione definitiva dell'appalto, l'importo di aggiudicazione, il soggetto aggiudicatario, la base d'asta, la procedura di selezione, il numero degli offerenti, i tempi di completamento dell'appalto; l'importo delle somme liquidate, eventuali modifiche contrattuali le decisioni di ritiro e recesso dei contratti.
Per i contratti al di sotto dei 20 mila euro si potrà effettuare una pubblicazione in forma «integrata». Prevista anche la pubblicazione delle determine a contrarre per le procedure a trattativa privata senza bando di gara. Entro il 31 gennaio di ogni anno ciascuna amministrazione comunicherà i dati anche all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici che a sua volta le pubblicherà sul proprio sito rendendoli liberamente accessibili a tutti i cittadini.
L'organismo di vigilanza dovrà anche segnalare entro fine aprile di ogni anno alla Corte dei conti le amministrazioni che non avranno pubblicato le informazioni.
Lo schema prevede poi, in generale, il nuovo istituto del diritto di accesso civico che consentirà a tutti i cittadini hanno diritto di chiedere e ottenere che le p.a. pubblichino atti, documenti e informazioni che detengono e che, per qualsiasi motivo, non hanno ancora divulgato.
Infine viene disciplinato il Piano triennale per la trasparenza e l'integrità, che è parte integrante del Piano di prevenzione della corruzione, che dovrà indicare le modalità di attuazione degli obblighi di trasparenza e gli obiettivi collegati con il piano della performance. Previste sanzioni da 500 a 10 mila euro (articolo ItaliaOggi dell'01.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTII pagamenti sprint mal si conciliano con l'obbligo del Durc. Nel recepire le norme europee il legislatore non le ha armonizzate con l'ordinamento italiano.
L'accelerazione dei termini di pagamento non si coordina con l'obbligo di acquisire il Durc. Risulta praticamente impossibile per le pubbliche amministrazione pagare gli appaltatori entro i 30 giorni previsti dal dlgs 192/2012, che ha integrato e modificato il dlgs 231/2002, recependo le direttive europee sui pagamenti.
La ragione fondamentale non consiste, tanto, nel termine per procedere, quanto nella circostanza che nel recepire le norme europee il legislatore italiano ha mancato di compiere l'opera essenziale, cioè l'armonizzazione della disciplina comunitaria, con l'ordinamento italiano. È proprio esclusivamente del nostro sistema, infatti, l'obbligo di acquisire un Durc regolare non solo per effettuare il pagamento, ma per la stessa fase preliminare alla procedura, cioè la liquidazione in quanto non risulta possibile considerare pagabile la prestazione, se non si verifica la regolarità della posizione dell'azienda.
In ogni caso, l'istruttoria tecnico-contabile è compiuta nella fase della liquidazione, visto che il pagamento consegue quasi meccanicamente all'ordine al tesoriere emesso dai servizi finanziari, in base ai controlli contabili sulle liquidazioni.
Il problema sorge dalla circostanza che il dlgs ha eliminato la possibilità per le parti di fissare nel contratto un termine diverso dai 30 giorni. Questi decorrono: dalla data di consegna delle merci o dall'effettuazione della prestazione se la fattura sia emessa prima o non risulti certa la data; dalla presentazione della fattura; o, infine, dalla data di effettuazione della verifica della correttezza del bene fornito o della prestazione svolta.
In assenza della possibilità di definire termini diversi, i 30 giorni disponibili per l'istruttoria sulla regolarità della fattura, l'ordinazione e il pagamento coincidono con l'eguale periodo previsto dalla disciplina del Durc per il rilascio del certificato. Avrebbe dovuto essere noto al legislatore che Inps, Inail e Cassa edile impiegano sostanzialmente sempre tutto il periodo di 30 giorni a loro disposizione, per il rilascio del certificato (per altro, il tutto in aperta violazione della disciplina sulla «decertificazione»).
Il dlgs 192/2012 non ha risolto questa difficoltà operativa, come avrebbe potuto stabilendo un termine ordinariamente più ampio per i pagamenti della pubblica amministrazione o, meglio, modificando la disciplina del Durc, con l'eliminazione dell'istanza e la possibilità per le amministrazioni di accedere direttamente alle banche dati dell'Inps per visualizzare in tempo reale la situazione previdenziale delle aziende.
I rischi della cattiva opera di recepimento e coordinamento sono almeno tre.
Il primo è l'abuso della possibilità, prevista dal nuovo articolo 4, comma 4, del dlgs 231/2002 di portare il termine di pagamento a 60 giorni.
Tale facoltà è condizionata «dalla natura o dall'oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione». A meno di non considerare l'obbligo di acquisire il Durc una «circostanza» che giustifichi sempre il raddoppio dei termini, risulta in modo piuttosto evidente motivare l'esistenza di ragioni per il prolungamento dei termini del pagamento connesse alla natura e all'oggetto del contratto, elementi che, a ben vedere, con l'adempimento del debitore nulla hanno a che vedere.
Il secondo rischio è quello dell'inserimento nei contratti di clausole di deroga al termine ordinario di 30 giorni nulle, con il relativo contenzioso.
Il terzo, quello più grave, è la violazione diffusa dei termini, con le conseguenze anche di natura finanziaria potenzialmente derivanti, considerato l'elevato tasso di interesse di mora e la penale di 40 euro introdotta dal dlgs 192/2012.
Un sistema per evitare di raddoppiare senza effettive giustificazioni i termini di pagamento o sforarli è prevedere il pagamento entro 30 giorni dalle verifiche delle prestazioni, inoltrando la richiesta del Durc in coincidenza con la consegna del bene o del verbale di esecuzione del servizio o dello stato di avanzamento. In questo modo, vi sono a disposizione 30 giorni per compiere le verifiche e altri 30 per effettuare il pagamento: in questo lasso di tempo si dovrebbe riuscire a ottenere l'attestazione della regolarità contributiva.
Il sistema migliore, tuttavia, è una modifica normativa urgente, che elimini la confusione operativa determinata dalla riforma, fissi tempi certi per i pagamenti che, però, tengano conto degli adempimenti imposti alle pubbliche amministrazioni (articolo ItaliaOggi dell'01.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: M. Gnes, La nuova disciplina sui ritardi dei pagamenti (D.Lgs. 09.11.2012 n. 192) (Giornale di diritto amministrativo n. 2/2013 - tratto da www.ipsoa.it).

gennaio 2013

APPALTI: F. A. Caputo, VADEMECUM SUGLI APPALTI PUBBLICI (2) - Modelli di comportamento per le Amministrazioni Aggiudicatrici (gennaio 2013 - tratto da www.ieopa.it).

APPALTI SERVIZI: Responsabilità degli amministratori locali per gli affidamenti senza procedure pubbliche.
E' configurabile la responsabilità amministrativo-contabile per gli amministratori degli enti locali che violino le norme in materia di procedure ad evidenza pubblica, cagionando un ‘‘danno alla concorrenza’’. 
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Il caso
Nell’ipotesi in esame, il sindaco di un comune campano, a seguito di ripetuti episodi di teppismo registrati sul territorio, ha deciso -di propria iniziativa e senza curarsi di apprestare la relativa copertura finanziaria- di incaricare una cooperativa del luogo, per lo svolgimento di un servizio di vigilanza notturna, con il fine di contenere nuove manifestazioni di violenza.
La ditta -individuata senza ricorrere a procedure ad evidenza pubblica- ha, peraltro, reso un servizio non soddisfacente, col che l’Amministrazione si è vista costretta ad interrompere bruscamente il rapporto ormai avviato.
Il comune, preso atto della sostanziale inutilità del servizio, si è rifiutato di adempiere alla richiesta di pagamento del quantum di prestazione resa fino all’interruzione.
Sennonché, in seguito a una nuova diffida della cooperativa, e l’instaurazione di un processo ordinario volto al recupero del credito, il consiglio comunale si è deciso a comporre la lite per mezzo di una transazione, riconoscendo con delibera il debito fuori bilancio corrispondente alla sola sorta capitale del debito contratto nei confronti della creditrice per lo svolgimento dell’incarico.
Dalla dinamica riportata è disceso un procedimento per danno erariale a carico del sindaco, dei consiglieri e del Segretario e responsabile economico e finanziario del comune, tenuto innanzi alla Corte dei conti, sez. Campania, pronunciatasi con sentenza 31.01.2013, n. 141.
L’addebito formulato nei loro confronti dalla Procura Generale è stato duplice: da un lato, quello di aver affidato il servizio di vigilanza senza le consuete forme pubblicistiche a tutela della concorrenza; dall’altro, quello di aver affidato l’incarico senza la necessaria copertura finanziaria e, dunque, in violazione degli artt. 191 e 194 del D.Lgs. n. 267/2000.
Da qui, la richiesta di condanna dei convenuti al pagamento, in favore del comune stesso, della somma di euro 2.473,20, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giustizia. Secondo la ricostruzione dell’accusa, detta somma -pari al 10% dell’importo pagato dal comune a seguito dell’accordo transattivo- rappresentava l’effettivo risparmio di spesa conseguibile laddove fosse stata attivata una valida procedura concorrenziale.
Con riferimento alle singole posizioni, al sindaco si è rimproverato di aver agito in prima persona comportandosi come un privato contraente, in spregio alla normativa in tema di contratti passivi della pubblica amministrazione che dettano una precisa cadenza procedimentale; ai consiglieri comunali, invece, è stata eccepita l’illegittimità della condotta consistita nell’aver deliberato il completo riconoscimento del debito fuori bilancio, ritenendo che la prestazione resa dalla cooperativa fosse utile nella sua interezza per l’ente, ancorché non fosse stata individuata in forma scritta e nemmeno adeguatamente pubblicizzata; da ultimo, il segretario comunale e` stato raggiunto dall’addebito di aver espresso parere positivo alla delibera consiliare.
La soluzione
La Corte dei conti, nel pronunciarsi sulla questione, ha ritenuto di dover condannare solamente il sindaco, assolvendo, di contro, tutti gli altri convenuti.
Scrutando i vari tasselli della responsabilità amministrativo-contabile, i giudici campani hanno rinvenuto la responsabilità del (solo) primo cittadino, muovendo tanto dall’eziologia delle singole violazioni attribuite ai convenuti, quanto dall’elemento soggettivo soppesato secondo precise scansioni temporali della vicenda.
In effetti, l’atteggiamento dei consiglieri e del segretario comunale, pur giudicato dalla stessa Corte ‘‘discutibile e grossolano’’, non è stato tale da assurgere al livello della ‘‘grave colposità’’, sol che si consideri, come acutamente sottolineato nella pronuncia, l’intento ultimo che aveva indotto all’approvazione del debito fuori bilancio: quello, cioè, di comporre una lite provocata dall’iniziativa (tutta arbitraria) del sindaco, incurante dei basilari principi (non solo) di buona amministrazione, come tale ritenuta causativa del danno per il 90% del suo ammontare.
Problemi e prospettive
Diverse le questioni affrontate dalla Corte dei conti con la sentenza in esame.
In disparte rimangono le questioni meno spinose, tra le quali si colloca l’individuazione, nel momento del ‘‘pagamento della ditta privata’’, del dies a quo della prescrizione per l’azione di responsabilità amministrativo-contabile, come anche l’indagine in ordine alla violazione della normativa volta all’imposizione degli impegni contabili registrati a fronte di ogni spesa degli enti locali, fatto salvo, ovviamente, il disposto di cui all’art. 194, rimasto comunque inapplicato nel caso di specie.
Merita particolare attenzione, invece, il passo motivazionale in ordine al delicato profilo del danno erariale sub specie di ‘‘danno alla concorrenza’’.
Se è vero, infatti, che l’acquisizione dei beni e dei servizi da parte degli enti locali è legata a filo doppio con le norme di contabilità che individuano in modo analitico la procedura finanziaria da osservare allorché l’ente decida di procurarsi all’esterno una utilità della quale non dispone, giova ancor prima tenere in debita considerazione il peso specifico che il mancato ricorso alle procedure ad evidenza pubblica può assumere nella genesi del danno erariale.
Il principio della concorrenza, come acutamente osservato dalla Corte, ‘‘deve presiedere le scelte dell’Amministrazione aventi ad oggetto qualsiasi commessa pubblica  di lavori, forniture e servizi’’. La lesione dei parametri di imparzialità e buona amministrazione che si ricavano dal principio evocato sono tali da provocare un danno patrimoniale che concorre rectius si abbina, fin da subito, a quello scaturente dalla mera violazione dei canoni giuscontabilistici dovuto ad impegni assunti senza la copertura finanziaria.
Ed invero, già in passato (Sez. giur. Lombardia, sentenza n. 447/2006) la giurisprudenza contabile ha sostenuto che la normativa in tema di evidenza pubblica, seppur nata al fine di favorire l’economicità dell’azione amministrativa, riducendo gli sprechi della Amministrazione e, quindi, i danni all’erario pubblico, ‘‘ha finito con il diventare modus agendi tipico della pubblica amministrazione, in quanto modalità procedimentale idonea a garantire il perseguimento non solo dei fini di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, ma altresì quelli di legalità, trasparenza e responsabilità’’.
La stessa quantificazione del danno è incentrata, nel caso di specie, sul valore differenziale ricavato dal raffronto della procedura ad evidenza pubblica e l’affidamento diretto, privo dei canoni della concorsualità. Non a caso, è ricorrente nella pronuncia il riferimento al ‘‘risparmio di spesa che si sarebbe conseguito attivando una valida procedura concorsuale’’; risparmio che, nello specifico, in disaccordo rispetto alla prospettazione accusatoria, è stato quantificato nel 5% dell’esborso sostenuto dall’Amministrazione, posto che si trattava di un appalto di fornitura di servizi.
La pronuncia, che ben può essere estesa a tutte le Amministrazione soggette all’applicazione del Codice dei contratti pubblici, offre una prospettiva di analisi che, per certi versi, contribuisce ad arretrare la soglia di responsabilità degli amministratori pubblici, specialmente per quelli, quali il sindaco di un comune, che godono di maggiori poteri di iniziativa.
Si tratta di capire, tuttavia, entro quali limiti le violazioni della normativa a tutela degli operatori economici possa essere estesa ai consiglieri e al segretario comunale: stando alla sentenza in epigrafe, dette figure parrebbero sollevati da ogni addebito nei limiti in cui abbiano manifestato, perlomeno in principio, un atteggiamento negativo in ordine alle stesse violazioni; e tuttavia non può escludersi un orientamento più rigorista della giurisprudenza, teso a sanzionare ogni forma di sostegno, anche indiretto, di scelte volte ad escludere i principi di imparzialità e trasparenza dell’agere pubblico
(Corte dei Conti, Sez. giurisd. Campania, sentenza 31.01.2013 n. 141 - commento tratto da Azienditalia, Enti Locali, n. 5/2013).

APPALTI - CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il risarcimento del danno erariale “da distrazione”.
Sussiste il danno erariale da distrazione quando una amministrazione comunale, beneficiaria di finanziamenti pubblici a destinazione vincolata, utilizza gli stessi per scopi differenti rispetto a quelli posti a base della richiesta di finanziamento, in particolare per la realizzazione di opere diverse, anche se aventi finalità istituzionali.
Il superficiale controllo, sebbene periodico, effettuato dagli enti finanziatori, che abbia contribuito ad agevolare i comportamenti amministrativi illeciti, determina un concorso di responsabilità.

Il Sindaco, l’Assessore all’urbanistica e il responsabile dell’area lavori pubblici di un Comune avevano chiesto un finanziamento al Ministero dell’ambiente e alla Regione Toscana al fine di effettuare opere di consolidamento e ricostruzione di muri di contenimento nel centro storico del paese, a seguito di dissesto idrogeologico. A tale scopo avevano presentato al Ministero e alla Regione un progetto preliminare delle opere da realizzarsi. Ottenuto il finanziamento, lo stesso era utilizzato per la costruzione di un parcheggio multipiano, in totale difformità rispetto al progetto preliminare posto a base della richiesta.
La Corte dei conti ha condannato i trasgressori al risarcimento del danno cd. “da distrazione”, con conseguente restituzione delle somme finanziate, non accogliendo le difese dei convenuti, i quali sostenevano comunque la sussistenza di una finalità istituzionale nella costruzione del parcheggio.
Tuttavia, considerato che parte delle opere realizzate avevano anche una funzione di contenimento idrogeologico e che l’omesso controllo (accertato in via incidentale) da parte del Ministero e della Regione sulla regolare esecuzione delle opere aveva agevolato la condotta illecita, i magistrati contabili hanno decurtato l’obbligazione risarcitoria dei responsabili (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Toscana, sentenza 31.01.2013 n. 35 - commento tratto da http://drasd.unipmn.it).
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MASSIMA
L’insieme delle argomentazioni di cui trattasi, premessa la presenza o l’assenza di implicazioni di natura penale non rilevanti in questa sede (se non come imput alla presente indagine di responsabilità amministrativa contabile) indica sicuramente la sussistenza di un livello di colpa azionabile.
Al riguardo
la giurisprudenza di questa Corte si è più volte occupata dell’utilizzazione dei pubblici finanziamenti non conforme alle destinazioni impresse dalla legge o dall’amministrazione concedente, ritenendo che la fattispecie all’esame costituisca ipotesi di danno erariale (c.d. da distrazione).
Detta giurisprudenza costantemente è stata confermata anche in tempi recenti (Sez. III, 06.05.2009, n. 171 - Sez. III, 23.03.2009, n. 106) per cui il danno è stato considerato proprio quello di avere distratto i fondi dall’utilizzazione dei progetti presentati all’amministrazione (cfr. altresì la copiosa giurisprudenza di primo grado indicata in atto di citazione).
La medesima giurisprudenza ha peraltro evidenziato che il carattere illecito della distrazione di fondi a destinazione vincolata non è escluso dal fatto che i fondi stessi siano stati utilizzati per altre finalità istituzionali, potendosi, in tal caso, solo tenersi conto degli eventuali vantaggi in sede di quantificazione del danno (Sez. III, 12.10.2004, n. 542).
Peraltro la distrazione delle pubbliche finanze dai fini impressi dalla legge è espressamente punita anche dal codice penale (artt. 316-bis e 316-ter).
In sintesi
la procedura di finanziamento, come rilevato, lascia alcuni margini di discrezionalità all’amministrazione richiedente nell’indicare i luoghi e le soluzioni tecniche con cui eliminare i problemi connessi al rischio idrogeologico ma una volta indicati e prescelti ogni modifica è inibita all’amministrazione ed in ogni caso deve essere portata a conoscenza del Ministero che la deve valutare nuovamente come conforme all’interesse generale e specifico della tutela del territorio, revocando in caso contrario il finanziamento.
Peraltro anche le comunicazioni periodiche che il Comune inviava al Ministero per informarlo sull’andamento dei lavori (All. 1, sub. 12, nota dep. cit.) si limitavano a comunicare laconicamente gli importi erogati a stato di avanzamento dei lavori senza alcun ulteriore dettaglio.
La palese non conformità a norma di tali comportamenti amministrativi doveva essere rilevata dalla struttura ministeriale (come dalla struttura regionale per la parte di propria competenza) il cui silenzio è stato invece superato solo da una indagine penale, partita per irregolarità riscontrate nelle gare di affidamento dei lavori finanziati con gli importi in contestazione.
In altri termini il Collegio ritiene che
gli omessi controlli periodici demandati ex lege al Ministero dell’Ambiente ed alla Regione Toscana abbiano agevolato i comportamenti amministrativi di cui trattasi, incidendo anche sul volume del riflesso economico degli stessi.
Per quanto sopra, in conformità all’indirizzo giurisprudenziale già seguito da questa Sezione (Sent. n. 330 del 15.06.2012), dall’importo complessivo del danno erariale contestato vanno detratte le quote teoricamente ascrivibili al comportamento di soggetti non citati in giudizio ma la cui responsabilità va accertata in via incidentale (e, quindi, senza effetto di giudicato), al solo fine di consentire al Collegio di parametrare la condanna degli odierni citati in base al loro effettivo contributo causale, tenuto conto che il danno non può farsi risalire alla loro esclusiva responsabilità.
Tale quota può esser indicata in via equitativa nel 50% del danno azionabile la cui determinazione, come già anticipato in parte narrativa, ha richiesto l’adozione di una consulenza tecnica d’ufficio il cui deliberato è stato recepito da questo Collegio nei termini che seguono.
3. Danno erariale
In primo luogo mentre non paiono condivisibili (per tutte le argomentazioni soprasvolte) le eccezioni difensive che ipotizzano la non attualità del danno in quanto il Ministero dell’Ambiente potrebbe pur sempre attivarsi per recuperare gli importi nei confronti del Comune di Campagnatico oppure l’inesistenza dello stesso per l’ipotizzata “legittimità” della spesa, la richiesta di valutazione della utilitas è stata invece (parzialmente) accolta dal Collegio.
La materia, ovviamente, per il tecnicismo della stessa ha necessitato il ricorso ad un consulente esterno al quale sono stati posti due distinti quesiti volti ad appurare il valore delle opere realizzate e la quota parte delle stesse cui possa attribuirsi una azione di “contenimento del rischio idrogeologico”.
L’elaborato consegnato del perito, corredato da una ampia ed esaustiva documentazione, dopo aver ripercorso le fasi storiche del finanziamento, dalla richiesta alla utilizzazione, ha valorizzato la quota utile di fini della salvaguardia del territorio nei seguenti termini:
   A) finanziamento ministeriale:
utilizzato per € 1.079.002,67 (al netto del saldo disponibile di cassa pari ad € 90.997,33 potenzialmente a disposizione del Ministero dell’Ambiente e non oggetto della presente azione risarcitoria) di cui € 125.000,00 con valenza ambientale ed un danno differenziale di € 954.002,67;
   B) finanziamento regionale:
utilizzato per € 141.900,00 di cui € 105.000,00 con valenza ambientale ed un danno differenziale di € 36.900,00.
Come già riportato, il Collegio condivide la tesi del CTU (pagg. 64-67 dell’atto peritale) per la quale, diversamente da quanto richiesto dai Consulenti di parte, l’utilitas da detrarre postula un effetto “ambientale” dell’opera principale (struttura adibita a futuro parcheggio auto e terrazza calpestabile realizzata a contatto con mura pericolanti) nei fatti piuttosto contenuto mentre l’opera minore (muro di contenimento lungo la viabilità) per la maggior parte può dirsi di concreto aiuto all’ambiente.
In altri e definitivi termini le opere pubbliche (per inciso oggi del tutto incomplete e inutilizzabili nonché sotto sequestro per motivi di ordine penale) sono state sì parzialmente realizzate ma con denaro erogato e percepito con vincolo di destinazione all’interno di una procedura “rigida”, nei fatti superata da una progettazione esecutiva non solo difforme dalla preliminare ma neppure ritualmente approvata dalla Amministrazione centrale.
Sul punto poi il Consulente (pag. 56) indica anche violazioni in ordine alla violazione della normativa coinvolgente il Genio civile di Grosseto, situazione paradossale trattandosi ovviamente di opere in cemento armato.
A parte le considerazioni di cui sopra, come detto il 50% dal danno può attribuirsi a soggetti non evocati in giudizio, residua l’importo di € 477.001,33 a favore del Ministero dell’Ambiente ed € 18.450,00 a favore della Regione Toscana.
Ciò premesso a tutte le parte citate in giudizio possono essere ascritte censure a titolo di colpa grave, sia pure differentemente riscontrata nei seguenti termini.
4. Ripartizione danno erariale
   A) El.PE. in qualità di
Sindaco ha adottato gli atti fondamentali delle procedure di richiesta ed utilizzazione del finanziamento che, considerate le dimensioni del Comune di Campagnatico e l’entità delle opere realizzate, non può ritenersi un atto di mera ordinaria amministrazione.
A prescindere dalle ipotetiche implicazioni penali, sul piano prettamente amministrativo risultano essere stati posti in essere comportamenti non in linea con una doverosa corretta gestione amministrazione di denaro pubblico per cui la quota maggiore del danno, individuabile nel 60% dell’importo ascrivibile, deve essere addebitato al medesimo (€ 477.001,33 x 60% = 286.200,79 a favore del Ministero ed € 36.900,00 x 60% = 22.140,00 a favore della Regione) per un totale di € 308.340,79
   B) Lu.GR. come
Vice-sindaco Assessore all’Urbanistica ha partecipato alla adozione del progetto esecutivo accettandone colpevolmente i contenuti che non potevano e dovevano a lui sfuggire in virtù della natura del proprio Assessorato.
Per inciso la deliberazione è stata assunta da una Giunta, composta di soli tre soggetti, di cui uno era anche assente per cui il provvedimento doveva e poteva essere idoneamente attenzionato.
Al riguardo deve essere disattesa l’eccezione per cui essendo le opere concretamente avviate anche parzialmente diverse da quelle indicate nella progettazione, ne sarebbe esclusa la responsabilità.
In realtà la progettazione esecutiva fin dall’inizio contrastava con il solo progetto sottoposto al Ministero dell’Ambiente, quello preliminare ed allora tale eccezione può solo essere parzialmente accolta, ai fini della limitazione percentuale del danno ascrivibile.
Per quanto sopra, sempre a titolo di colpa grave, il convenuto può essere chiamato a rispondere del 20% del danno (€ 477.001,33 x 20% = 95.400,27 a favore del Ministero ed € 36.900,00 x 60% = 7.380,00 a favore della Regione) per un totale di € 102.780,27.
   C) Em.BA. in quanto
Responsabile della Area LL.PP. non solo ha dato i previsti pareri sulla delibera di adozione del progetto esecutivo ma ha altresì svolto le funzioni di Direttore lavori e Responsabile unico del procedimento (RUP) dell’opera finanziata per cui non poteva non conoscere nel dettaglio le opere in via di realizzazione.
Per quanto sopra, sempre a titolo di colpa grave, il convenuto può essere chiamato a rispondere del 20% del danno (€ 477.001,33 x 20% = 95.400,27 a favore del Ministero ed € 36.900,00 x 60% = 7.380,00 a favore della Regione) per un totale di € 102.780,27.
Alla somma per cui è condanna, trattandosi di debito di valore conseguente alla valutazione economica di parte del manufatto pubblico in contestazione obbligazione originariamente pecuniaria, vanno aggiunti la rivalutazione monetaria e gli interessi secondo i criteri che seguono:
   - la rivalutazione va calcolata secondo l’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie ed operai (FOI), a decorrere dal fatto illecito che trattandosi di un unicum va indicato nella data dell’ultima erogazione da parte del Ministero (15.06.2006), fino alla pubblicazione della presente sentenza;
   - gli interessi legali vanno calcolati dalla stessa data sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici ci rivalutazione monetaria (Cass. Sez. II n. 18028/2010 – Sez. III n. 4587/2009 – Sez. III n. 5671/2010 – SS.UU. 1712/2005), fino al concreto soddisfo.
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono altresì dovuti, sulla somma come sopra incrementata, gli interessi nella misura del saggio legale fino all’effettivo pagamento.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno, quindi, poste a carico in quota percentuale delle parti convenute condannate;
PER QUESTI MOTIVI
la Sezione giurisdizionale della Regione Toscana della Corte dei conti, definitivamente pronunciando sul giudizio n. 57901/REL, in parziale conformità delle conclusioni del Pubblico ministero
CONDANNA
   A) El.PE. all’importo complessivo di € 308.340,79 (60% del totale) di cui 286.200,79 a favore del Ministero dell’Ambiente ed 22.140,00 a favore della Regione Toscana;
   B) Lu.GR. all’importo complessivo di € 102.780,27 (20% del totale) di cui 95.400,27 a favore del Ministero dell’Ambiente ed 7.380,00 a favore della Regione Toscana;
   C) Em.BA. all’importo complessivo di € 102.780,27 (20% del totale) di cui 95.400,27 a favore del Ministero dell’Ambiente ed 7.380,00 a favore della Regione Toscana;
somme tutte cui vanno aggiunti gli interessi legali e la rivalutazione monetarie secondo il criterio di calcolo indicato in motivazione.
Segue la condanna al pagamento delle spese processuali che, fino alla presente decisione, sono percentualmente liquidate in € 2182,90 (Euro duemilacentottantadue/90).
Dispone infine il pagamento delle spese peritali, quantificate in € 4.331,17 per rimborsi a piè di lista omnicomprensivi e € 19.678,00 oltre IVA di legge per onorari e spese (in totale € 28.145,55) a carico delle parti condannate nelle rispettive quote di competenza, dedotti gli eventuali acconti medio-tempore corrisposti.

LAVORI PUBBLICI: Enti locali – Acquisto di immobili – Limiti introdotti dalla legge di stabilità 2013 – Ambito di applicabilità.
     L'art. 12, commi 1-ter e 1-quater, della Legge 15.07.2011 n. 111 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 06.07.2011 n. 98), così recita: "1-ter.
A decorrere dal 01.01.2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente." (comma introdotto dall'art. 1, comma 138, legge n. 228 del 2012)
"
1-quater.
Per l’anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell’articolo 8 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto". (comma introdotto dall'art. 1, comma 138, legge n. 228 del 2012)
     Dalla ratio della disposizione, consistente nella necessità di consentire una riduzione della complessiva spesa pubblica, consegue la necessità di una sua ampia applicazione compatibilmente, peraltro, con il tessuto ordinamentale in cui va ad inserirsi.
     Alla luce di quanto precede, la Sezione ritiene di fornire le seguenti coordinate interpretative:
1) il divieto di acquistare immobili sancito per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014, si estende ad ogni tipo di immobile e non solo ai fabbricati;
2) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche alle ipotesi di acquisto di diritti reali su cosa altrui;
3) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche all’acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità;
4) le condizioni di cui sopra non devono ritenersi applicabili all’acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità avviate prima del 01.01.2013 ma non ancora concluse;
5) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche alle ipotesi di contratti preliminari di compravendita stipulati prima del 01.01.2013;
6) il divieto di acquisto sancito per il 2013 si applica anche ai diritti di prelazione, compresi quelli aventi fonte legale;
7) gli enti locali, a partire dall’esercizio 2014, potranno partecipare ad aste pubbliche per l’acquisto di immobili ma le offerte presentate non potranno superare il valore indicato nell’attestazione di congruità del prezzo rilasciata dall’Agenzia del Demanio.

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... il Comune di Magliolo chiede di sapere:
1) se il divieto di acquisto immobili sancito per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014, valga per ogni categoria di immobili come definiti dall’art. 812 del codice civile, ovvero possa intendersi limitato ai “fabbricati” (come sembra evincersi dal riferimento ai “locali” contenuto nel comma 1-quater);
2) se il divieto di acquisto di immobili sancito per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014 valga solo per l’acquisto in proprietà, o anche per l’acquisto di altri diritti reali;
3) se il divieto di acquisto di immobili sancito per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014 valga anche per l’acquisizione (in particolare terreni) per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità mediante decreto di esproprio, cessione volontaria (ex art. 45 del DPR 327/2001) o compravendita iure privatorum;
4) quale sia la sorte delle acquisizioni assistite da dichiarazioni di pubblica utilità (decreto di esproprio, cessione volontaria -ex art. 45 del DPR 327/2001- o compravendita iure privatorum) avviate prima del 01/01/2013 ma non ancora concluse;
5) quale sia la sorte dei contratti preliminari di compravendita stipulati prima del 01/01/2013 per i quali non sia stato ancora stipulato il contratto definitivo;
6) come sia possibile conciliare il divieto di acquisto sancito per il 2013, con l’esercizio di diritti di prelazione (anche legale) da esercitarsi entro termini perentori;
7) come sia possibile conciliare l’acquisto di immobili mediante partecipazione ad aste pubbliche (ad es. nel caso di procedure fallimentari) con l’obbligo di acquisire l’attestazione della congruità del prezzo all’Agenzia del Demanio.
La soluzione dei vari quesiti deve ruotare intorno al necessario rispetto della ratio dell’art. 1138 L. n. 228/2012, peraltro chiaramente espressa al suo interno e consistente nella necessità di consentire una riduzione della complessiva spesa pubblica (<<al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno>>). Ne consegue, per rimanere fedeli alla voluntas legis, la necessità di una sua ampia applicazione compatibile, peraltro, con il tessuto ordinamentale in cui le disposizioni de quibus vanno ad inserirsi.
Poiché il concetto di <<immobile>>, come descritto dall’art. 812 c.c., ricomprende <<il suolo, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni anche se unite al suolo a scopo transitorio>> appare evidente come l’ambito di applicazione dell’articolo sopra menzionato non possa essere limitata ai fabbricati in senso stretto, ovvero al trasferimento del diritto di proprietà, ma debba essere esteso anche ai terreni e alle aree agricole.
La risposta al secondo quesito, relativo all’estensione dei divieti o limitazioni all’acquisto di diritti reali su cosa altrui è direttamente fornita dall’art. 813 c.c. il quale chiaramente stabilisce, come principio generale che <<salvo che dalla legge risulti diversamente, le disposizioni concernenti i beni immobili si applicano anche ai diritti reali che hanno per oggetto beni immobili e alle azioni relative>>.
Non avendo previsto l’art. 1 L. cit. alcuna deroga, appare evidente l’applicazione del medesimo anche a tale ultima ipotesi, in linea del resto con l’esigenza di limitare al massimo l’acquisto di diritti immobiliari.
Con riferimento all’acquisizione di immobili accompagnati dalla dichiarazione di pubblica utilità, di cui al terzo e quarto quesito, occorre distinguere in base al principio tempus regit actum l’ipotesi di una procedura espropriativa –o alternativa all’esproprio– che si perfezioni o meno nel 2013.
Preliminarmente,
si deve ritenere necessaria l’estensione dei divieti anche alle procedure espropriative, che nel disegno del T.U. 08.06.2001 n. 327 dovrebbero divenire peraltro residuali rispetto agli accordi di diritto pubblico, in quanto nel caso contrario si consentirebbe, con riferimento ai terreni, un’agevole possibilità di eludere tali divieti stimolando la scelta di moduli (e cioè gli espropri) che nel corso di questi anni si sono sovente dimostrati inefficienti ed inefficaci oltreché del tutto diseconomici.
L’art. 121-quater pone un divieto assoluto di acquistare, a qualunque titolo, diritti immobiliari nell’esercizio 2013, con la sola esclusione dei contratti di locazione passiva nei limiti descritti dal medesimo. Occorre però evitare che l’applicazione pedissequa di tale divieto conduca al risultato opposto rispetto a quello voluto dal Legislatore. Infatti,
mentre non sembra porsi alcun problema in presenza della sola dichiarazione di pubblica utilità, diversa è la situazione, tutt’altro che infrequente, che la medesima sia stata accompagnata dall’emissione, antecedente al 01.01.2013, di un decreto di occupazione d’urgenza dell’area preordinata all’espropriazione con la contemporanea corresponsione della relativa indennità.
In questo caso il procedimento è giunto ad un livello tale (tempus regit actum) da ritenere possibile e più soddisfacente alla ratio finanziaria voluta dal Legislatore condurlo a termine, anche con un possibile accordo di cessione volontaria intervenuto nel frattempo, piuttosto di lasciare ferma la situazione con una complessiva perdita maggiore di denaro pubblico, costituita dall’artificioso prolungamento del periodo di occupazione rispetto all’immissione definitiva nella proprietà da parte dell’ente.
Con riferimento agli esercizi successivi al 2013, l’art. 121-ter L. cit. –che prevede la possibilità di acquistare immobili in caso di comprovata indispensabilità ed indilazionabilità- ben giustifica la conclusione dei procedimenti espropriativi in corso sul presupposto che la loro instaurazione sia stata giustificata proprio dalla necessità di soddisfare interessi pubblici assolutamente primari. In questo caso deve ritenersi che il parere di congruità dell’Agenzia del Demanio debba richiedersi per le sole cessioni volontarie in quanto il riferimento testuale al <<prezzo>> mal si attaglia ad una applicazione estensiva di tale adempimento burocratico alla corresponsione della sola indennità di esproprio.
Per quanto riguarda la concreta esecuzione dei negozi preparatori di cui al quinto e sesto quesito, si deve ritenere che
l’art. 121-quater introduca una fattispecie di impossibilità giuridica sopravvenuta per factum principis preclusiva all’esercizio dei diritti di prelazione ed alla conclusione dei contratti definitivi per l’anno 2013, laddove negli esercizi successivi anche questa tipologia di acquisti immobiliari dovrà soggiacere al requisito dell’indispensabilità ed indilazionabilità.
Infine, sulla conciliabilità dell’<<acquisto di immobili mediante partecipazione ad aste pubbliche (ad es. nel caso di procedure fallimentari) con l’obbligo di acquisire l’attestazione della congruità del prezzo all’Agenzia del Demanio>>,
si può ritenere, in via interpretativa che il Comune possa partecipare alle aste nei limiti della congruità del prezzo fissata dall’Agenzia del Demanio, essendogli precluso rilanciare offerte che superino tale soglia.
Pertanto, in conclusione, la Sezione ritiene che:
1) il divieto di acquistare immobili sancito per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014 si estende ad ogni tipo di immobile e non solo ai fabbricati;
2) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche alle ipotesi di acquisto di diritti reali su cosa altrui;
3) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche all’acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità;
4) le condizioni di cui sopra non devono ritenersi applicabili all’acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità avviate prima del 01.01.2013 ma non ancora concluse;
5) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche alle ipotesi di contratti preliminari di compravendita stipulati prima del 01.01.2013;
6) il divieto di acquisto sancito per il 2013 si applica anche ai diritti di prelazione, compresi quelli aventi fonte legale;
7) gli enti locali, a partire dall’esercizio 2014, potranno partecipare ad aste pubbliche per l’acquisto di immobili ma le offerte presentate non potranno superare il valore indicato nell’attestazione di congruità del prezzo rilasciata dall’Agenzia del Demanio
(Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria, parere 31.01.2013 n. 9).

LAVORI PUBBLICI: Imposta di bollo su elaborati, atti e documenti attinenti ai lavori pubblici.
L'applicazione dell'imposta di bollo alle diverse tipologie di elaborati, atti e documenti concernenti l'appalto di lavori pubblici è stata puntualmente chiarita dall'Agenzia delle entrate con risoluzione 27.03.2002, n. 97/E, cui occorre ancora fare riferimento per stabilire quali scontino l'imposta sin dall'origine e quali in caso d'uso.
In virtù di alcune previsioni contenute nel D.P.R. 642/1972, gli atti e i documenti devono essere redatti su carta uso bollo, ovvero nel rispetto delle caratteristiche proprie di tale tipo di carta, al fine di provvedere al corretto pagamento dell'imposta.

Il Comune pone due quesiti in ordine all'assoggettamento all'imposta di bollo di elaborati, atti e documenti attinenti all'appalto di lavori pubblici, chiedendo, specificatamente:
1) se si ritenga corretta l'individuazione, operata dall'Ente, dei documenti [1] che dovrebbero scontare l'imposta sin dall'origine;
2) se i documenti da assoggettare all'imposta di bollo (tanto sin dall'origine, quanto in caso d'uso) debbano essere stampati su carta uso bollo (o, comunque, rispettare i parametri di tale carta per numero di righe e caratteri, ecc., così come avviene per i contratti), al fine di poterli bollare correttamente.
Occorre, anzitutto, evidenziare che la materia oggetto di esame ricade nell'ambito dell'esclusiva competenza legislativa statale. Ciò implica che l'apporto che questo Ufficio può fornire sulle questioni poste è necessariamente limitato alla ricognizione degli atti interpretativi emanati, al riguardo, dall'Agenzia delle entrate, cui codesto Ente dovrebbe rivolgersi direttamente per acquisire le indicazioni relative agli aspetti eventualmente non ancora trattati dalla medesima.
Un tanto premesso, si rappresenta che, in ordine al primo quesito posto dal Comune, l'Agenzia delle entrate si è dettagliatamente espressa con risoluzione 27.03.2002 n. 97/E, il cui contenuto è stato confermato con la più recente risoluzione 23.03.2009 n. 74/E [2], pur riguardando, quest'ultima, il diverso ambito dell'applicabilità dell'imposta di bollo agli elaborati tecnici allegati alla concessione edilizia.
Con la predetta risoluzione n. 97/E/2002 l'Amministrazione finanziaria ha chiarito il corretto trattamento tributario, ai fini dell'imposta di bollo, di una serie di atti e documenti formati nell'esecuzione di contratti pubblici di appalto [3], nei termini che seguono.
Quanto al contratto di appalto e ad eventuali atti aggiuntivi [4], ai capitolati d'oneri [5] e al verbale di concordamento nuovi prezzi [6], l'Agenzia ha affermato che, in considerazione della natura e del contenuto che li contraddistingue, essi devono essere assoggettati ad imposta di bollo fin dall'origine, ai sensi degli artt. 1 e 2 della tariffa, parte I [7], allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26.10.1972, n. 642.
Con riferimento agli ulteriori atti e documenti elencati nella richiesta di chiarimento interpretativo, l'Agenzia ha richiamato le pertinenti disposizioni normative atte a definirne natura e contenuto [8], nonché l'art. 110, comma 1 [9], del decreto del Presidente della Repubblica 21.12.1999, n. 554, le cui previsioni sono state trasfuse (con integrazioni) nell'art. 137, comma 1 [10], del decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207, ove sono individuati gli atti che formano parte integrante del contratto e che devono essere richiamati nello stesso.
È stato, quindi, affermato che, per stabilire l'imposta di bollo dovuta sui documenti elencati da tale norma, occorre accertare se essi «siano riconducibili tra le tipologie alternative di seguito precisate:
- 'Scritture private contenenti convenzioni o dichiarazioni anche unilaterali, con le quali si creano, si modificano, si estinguono, si accertano o si documentano rapporti giuridici di ogni specie, descrizioni, constatazioni e inventari destinati a far prova tra le parti che li hanno sottoscritti', individuati dall'articolo 2 della tariffa, allegato A, parte prima del d.P.R. 642 del 1972, per le quali è dovuta l'imposta di bollo fin dall'origine di € 10,33 (lire 20.000) [11] per ogni foglio;
- 'Tipi, disegni, modelli, piani, dimostrazioni, calcoli ed altri lavori degli ingegneri, architetti, periti, geometri e misuratori;...', individuati dall'articolo 28 della tariffa, allegato A, parte seconda [12] del d.P.R. 642 del 1972, per i quali è dovuta l'imposta di bollo in caso d'uso di € 0,31 (lire 600) [13] per ogni foglio o esemplare
.».
Sulla scorta di tali indicazioni, l'Agenzia ha ritenuto, che:
1) i documenti individuati alle lett. a), b), d) ed f) dell'art. 110, comma 1, del D.P.R. 554/1999 (i capitolati generale e speciale, l'elenco prezzi unitari ed il cronoprogramma), non avendo i requisiti necessari per l'applicazione dell'art. 28 della tariffa, parte seconda, ricadono nell'ambito dell'art. 2 della tariffa, parte prima, giacché disciplinano particolari aspetti del contratto[14] e sono, pertanto soggetti all'imposta di bollo fin dall'origine;
2) gli elaborati grafici progettuali (lett. c) [15] ed i piani di sicurezza (lett. e) ricadono, invece, nell'ambito della previsione di cui all'art. 28 della tariffa, parte seconda, che riguarda la documentazione tecnica propriamente riconducibile alle categorie di professionisti ivi individuate;
3) gli ulteriori documenti (processo verbale di consegna; verbale di sospensione e di ripresa lavori; certificato di ultimazione lavori; determinazione ed approvazione dei nuovi prezzi non contemplati nel contratto; libretto di misura dei lavori e delle provviste; certificato di collaudo; certificato di regolare esecuzione), che attengono al rispetto delle prescrizioni contrattuali nell'esecuzione dei lavori e, pertanto, si caratterizzano per l'incidenza che producono sui rapporti contrattuali intercorrenti tra le parti, vanno ascritti nell'ambito delle tipologie previste dall'art. 2 della tariffa, parte prima, con applicazione dell'imposta di bollo fin dall'origine.
Quanto ai documenti amministrativi contabili per l'accertamento dei lavori e delle somministrazioni in appalto (giornale dei lavori; libretto delle misure; lista settimanale; registro di contabilità; sommario del registro di contabilità; stato di avanzamento; certificato per il pagamento di rate; conto finale dei lavori) l'Amministrazione finanziaria ha affermato che essi non sono riconducibili alla previsione dell'art. 28 della tariffa, parte seconda, per carenza delle peculiarità tecniche dei documenti ivi individuati e devono, pertanto, essere assoggettati alla disciplina dell'art. 32[16] della stessa tariffa, che prevede il pagamento dell'imposta di bollo in caso d'uso di € 10,33 [17] per ogni esemplare dell'atto, documento o altro scritto e per ogni cento pagine o frazione di cento pagine o del relativo estratto.
Si ritiene doveroso segnalare, per completezza di argomentazione, che l'art. 137 del D.P.R. 207/2010, innovando la precedente previsione di cui all'art. 110 del D.P.R. 554/1999, che non contemplava alcunché al riguardo, dispone, al comma 3, che «I documenti elencati al comma 1 [18] possono anche non essere materialmente allegati, fatto salvo il capitolato speciale e l'elenco prezzi unitari, purché conservati dalla stazione appaltante e controfirmati dai contraenti.».
Ne consegue che, della documentazione che costituisce 'parte integrante' del contratto, solo il capitolato speciale e l'elenco prezzi unitari devono essere concretamente allegati allo stesso, essendo riconosciuta la facoltà della stazione appaltante di omettere l'allegazione dei restanti documenti, a condizione che questi siano conservati dall'amministrazione e controfirmati dai contraenti.
Infine, circa la questione concernente l'eventuale obbligo di redigere gli atti su carta uso bollo, o, quantomeno, nel rispetto delle caratteristiche proprie di tale tipo di carta, al fine di provvedere al pagamento dell'imposta nei termini di legge, si risponde affermativamente, nella considerazione delle previsioni contenute nell'art. 4, secondo comma [19], nell'art. 5, primo comma, lett. a) [20] e secondo comma[21], nell'art. 9, primo [22] e secondo comma [23] e nell'art. 10, primo comma [24], del D.P.R. 642/1972.
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[1] Capitolato speciale d'appalto; elenco prezzi unitari; cronoprogramma; processo verbale di consegna lavori; verbali di sospensione e ripresa lavori; certificato e verbale di ultimazione lavori; determinazione ed approvazione dei nuovi prezzi non contemplati nel contratto; verbali di constatazione delle misure; certificato di collaudo; certificato di regolare esecuzione.
[2] Nella quale viene richiamata anche la risoluzione 30.03.1995, n. 78, ove era già stato affermato che gli atti e i documenti di natura tecnica indicati nell'art. 28 della tariffa (allegato A), parte seconda, annessa al D.P.R. 642/1972, sono sempre assoggettati all'imposta di bollo in caso d'uso, in quanto non perdono la loro particolare natura di 'scritti tecnici', anche se sono allegati o costituiscono parte integrante di atti soggetti all'imposta di bollo sin dall'origine.
[3] Contratto di appalto ed eventuali atti aggiuntivi; capitolati di oneri e relative tariffe; verbale di concordamento nuovi prezzi; progetti, disegni, computi metrici, relazioni tecniche, planimetrie; piano di sicurezza; tariffe; giornale del direttore dei lavori; verbali di consegna, di sospensione, di ripresa e di ultimazione lavori; verbali di constatazione delle misure, libretto delle misure, note settimanali, registro delle misure, certificati di acconto, conto finale; certificato di collaudo e certificato di regolare esecuzione.
[4] Atti rogati, ricevuti o autenticati da notai o da altri pubblici ufficiali (v. art. 1 della tariffa).
[5] Atti contenenti le condizioni negoziali dei contratti di un determinato genere ovvero di un singolo contratto di appalto (v. art. 2 della tariffa).
[6] Dichiarazione diretta a modificare un preesistente rapporto giuridico (v. art. 2 della tariffa).
[7] «Atti, documenti e registri soggetti all'imposta fin dall'origine».
[8] Relativamente alle previsioni concernenti i piani di sicurezza ed il piano operativo, già contenute nell'art. 31 della L. 109/1994 e negli artt. 4 e 10 del D.Lgs. 494/1996 v., ora, rispettivamente, l'art. 131 del D.Lgs. 163/2006 e gli artt. 91 e 98 del D.Lgs. 81/2008.
[9] «Sono parte integrante del contratto e devono in esso essere richiamati: a) il capitolato generale; b) il capitolato speciale; c) gli elaborati grafici progettuali; d) l'elenco dei prezzi unitari; e) i piani di sicurezza previsti dall'articolo 31 della Legge; f) il cronoprogramma.».
[10] «Sono parte integrante del contratto, e devono in esso essere richiamati: a) il capitolato generale, se menzionato nel bando o nell'invito; b) il capitolato speciale; c) gli elaborati grafici progettuali e le relazioni; d) l'elenco dei prezzi unitari; e) i piani di sicurezza previsti dall'articolo 131 del codice; f) il cronoprogramma; g) le polizze di garanzia.».
[11] Attualmente € 14,62.
[12] «Atti, documenti e registri soggetti all'imposta in caso d'uso».
[13] Attualmente € 0,52.
[14] Termine entro il quale devono essere ultimati i lavori, responsabilità ed obblighi dell'appaltatore, modi di riscossione dei corrispettivi dell'appalto, indicazione dei tempi massimi di svolgimento delle varie fasi di esecuzione.
[15] Quali disegni, computi metrici, relazioni tecniche e planimetrie.
[16] «Atti per i quali non sono espressamente previsti il pagamento dell'imposta o l'esenzione».
[17] Attualmente € 14,62.
[18] V. nota n. 10.
[19] «La carta bollata, esclusa quella per cambiali, deve essere marginata e contenere cento linee per ogni foglio.».
[20] «Agli effetti del presente decreto e delle annesse Tariffa e Tabella: a) il foglio si intende composto da quattro facciate, la pagina da una facciata; [...]».
[21] «Per i tabulati meccanografici l'imposta è dovuta per ogni 100 linee o frazione di 100 linee effettivamente utilizzata.».
[22] «Sulla carta bollata non si può scrivere fuori dei margini né eccedere il numero delle linee in essa tracciate. Nei margini del foglio possono apporsi sottoscrizioni ed annotazioni, visti, vidimazioni, numerazioni e bolli prescritti o consentiti da leggi o regolamenti.».
[23] «Per gli atti e documenti scritti a mezzo stampa, litografia o altri analoghi sistemi è consentito, in deroga al disposto del precedente comma, scrivere fuori dei margini, fermo peraltro il divieto di eccedere le 100 linee per foglio.».
[24] «Nei casi in cui il pagamento dell'imposta di bollo in modo straordinario o virtuale sia sostitutivo o alternativo di quello ordinario si osservano i limiti stabiliti dagli artt. 4 e 9 circa il numero delle linee di ciascun foglio.»
(30.01.2013 - link a www.regione.fvg.it).

LAVORI PUBBLICICircolare esplicativa per l'attuazione da parte dei gestori delle gallerie stradali degli adempimenti amministrativi introdotti dal Nuovo Regolamento di semplificazione di Prevenzioni Incendi, emanato con il D.P.R. 151/2011 (Ministero dell'Interno e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, circolare 29.01.2013 n. 1).

APPALTI: Fra le cause di esclusione dalle gare pubbliche devono essere ricomprese, oltre alle ipotesi previste dall’art. 2359 del c.c., anche quelle non codificate di collegamento sostanziale le quali, attestando la riconducibilità dei soggetti partecipanti alla selezione ad un unico centro decisionale, causano o possono causare la vanificazione dei principi generali in tema di par condicio, segretezza delle offerte e trasparenza della competizione, risultando ininfluente che la rilevanza del collegamento sia stata o meno esplicitata nel bando di gara: in tal modo si intende evitare il rischio di ammettere alla gara soggetti che, in quanto legati da stretta comunanza di interessi caratterizzata da una certa stabilità, non sono ritenuti, proprio per tale situazione, capaci di formulare offerte caratterizzate dalla necessaria indipendenza, serietà ed affidabilità, coerentemente ai principi di imparzialità e buon andamento cui deve ispirarsi l'attività della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 97 della Costituzione.
Anche a prescindere dall'inserimento di un'apposita clausola nel bando, in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti attestanti la provenienza delle offerte da un unico centro decisionale, è consentita l’esclusione delle imprese (benché non si trovino in situazione di controllo ex art. 2359 del c.c.) poiché altrimenti sarebbe facile eludere la descritta norma imperativa posta a tutela della concorrenza e della regolarità delle procedure di gara.
In linea di diritto, dunque, l’art. 10, comma 1-bis, della L. 109/1994 –applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio (il quale vietava la partecipazione alle gare d'appalto per la realizzazione di lavori pubblici alle imprese in situazione di collegamento ai sensi dell'art. 2359 c.c.)– non può qualificarsi alla stregua di disposizione tassativa di stretta interpretazione, preclusiva dell'individuazione di fattispecie ulteriori di collegamento sostanziale tra imprese, che siano lesive del principio di segretezza delle offerte e dunque falsino la competizione e violino la par condicio tra le partecipanti alla gara.
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L’esistenza di un unico centro di interesse tra due (o più) soggetti distinti, tale da consentire uno scambio di informazioni, esige significativi elementi rilevatori di un collegamento sostanziale tra le imprese, da provare in concreto enucleando elementi oggettivi concordanti suscettibili di generare il pericolo per i principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio dei concorrenti.
Tale impostazione si rivela in linea con le statuizioni della Corte di giustizia, ad avviso della quale una normativa basata su una presunzione assoluta secondo cui le diverse offerte presentate per un medesimo appalto da imprese collegate si sarebbero necessariamente influenzate l’una con l’altra, viola il principio di proporzionalità, in quanto non lascia a tali imprese la possibilità di dimostrare che, nel loro caso, non sussistono reali rischi di insorgenza di pratiche atte a minacciare la trasparenza e a falsare la concorrenza tra gli offerenti.
Le amministrazioni aggiudicatrici hanno il compito di accertare se il rapporto di controllo in questione abbia esercitato un’influenza sul contenuto delle rispettive offerte depositate dalle imprese interessate nell’ambito di una stessa procedura selettiva: la constatazione di un’influenza siffatta, in qualunque forma, è sufficiente per escludere tali imprese dalla procedura di cui trattasi.

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, fra le cause di esclusione dalle gare pubbliche devono essere ricomprese, oltre alle ipotesi previste dall’art. 2359 del c.c., anche quelle non codificate di collegamento sostanziale le quali, attestando la riconducibilità dei soggetti partecipanti alla selezione ad un unico centro decisionale, causano o possono causare la vanificazione dei principi generali in tema di par condicio, segretezza delle offerte e trasparenza della competizione, risultando ininfluente che la rilevanza del collegamento sia stata o meno esplicitata nel bando di gara (Consiglio di Stato, sez. V – 18/07/2012 n. 4189; sez. V – 06/04/2009 n. 2139): in tal modo si intende evitare il rischio di ammettere alla gara soggetti che, in quanto legati da stretta comunanza di interessi caratterizzata da una certa stabilità, non sono ritenuti, proprio per tale situazione, capaci di formulare offerte caratterizzate dalla necessaria indipendenza, serietà ed affidabilità, coerentemente ai principi di imparzialità e buon andamento cui deve ispirarsi l'attività della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 97 della Costituzione.
Anche a prescindere dall'inserimento di un'apposita clausola nel bando, in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti attestanti la provenienza delle offerte da un unico centro decisionale, è consentita l’esclusione delle imprese (benché non si trovino in situazione di controllo ex art. 2359 del c.c.) poiché altrimenti sarebbe facile eludere la descritta norma imperativa posta a tutela della concorrenza e della regolarità delle procedure di gara (Consiglio di Stato, sez. VI – 17/02/2012 n. 844).
In linea di diritto, dunque, l’art. 10, comma 1-bis, della L. 109/1994 –applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio (il quale vietava la partecipazione alle gare d'appalto per la realizzazione di lavori pubblici alle imprese in situazione di collegamento ai sensi dell'art. 2359 c.c.)– non può qualificarsi alla stregua di disposizione tassativa di stretta interpretazione, preclusiva dell'individuazione di fattispecie ulteriori di collegamento sostanziale tra imprese, che siano lesive del principio di segretezza delle offerte e dunque falsino la competizione e violino la par condicio tra le partecipanti alla gara (Consiglio di Stato, sez. VI – 08/05/2012 n. 2657).
La successiva evoluzione normativa e giurisprudenziale –seppur non direttamente applicabile ratione temporis– conferma la correttezza delle conclusioni raggiunte.
Il Codice dei contratti pubblici –che ha sostituito, tra l'altro, la L. 109/1994– ha recepito il consolidato orientamento della giurisprudenza in relazione al collegamento sostanziale, prevedendolo, inizialmente, come causa di esclusione che si aggiunge al collegamento formale di cui all’art. 2359, quando vi sia la prova, sulla base di univoci elementi, che due o più offerte siano riconducibili ad un unico centro decisionale (art. 34, comma 2). Attualmente il D.Lgs. 163/2006 contempla come causa di esclusione “una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”, da accertare ad opera della stazione appaltante sulla base di “univoci elementi” (cfr. art. 38, comma 1, lett. m-quater, e comma 2 del D. Lgs. 163/2006, come modificato dal D.L. 25/09/2009 n. 135 conv. in L. 20/11/2009 n. 166).
L’esistenza di un unico centro di interesse tra due (o più) soggetti distinti, tale da consentire uno scambio di informazioni, esige significativi elementi rilevatori di un collegamento sostanziale tra le imprese, da provare in concreto enucleando elementi oggettivi concordanti suscettibili di generare il pericolo per i principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio dei concorrenti (Consiglio di Stato, sez. V – 19/06/2012 n. 3559).
Tale impostazione si rivela in linea con le statuizioni della Corte di giustizia (sentenza 19/05/2009 - causa C-538/2007), ad avviso della quale una normativa basata su una presunzione assoluta secondo cui le diverse offerte presentate per un medesimo appalto da imprese collegate si sarebbero necessariamente influenzate l’una con l’altra, viola il principio di proporzionalità, in quanto non lascia a tali imprese la possibilità di dimostrare che, nel loro caso, non sussistono reali rischi di insorgenza di pratiche atte a minacciare la trasparenza e a falsare la concorrenza tra gli offerenti (punto 30). Le amministrazioni aggiudicatrici hanno il compito di accertare se il rapporto di controllo in questione abbia esercitato un’influenza sul contenuto delle rispettive offerte depositate dalle imprese interessate nell’ambito di una stessa procedura selettiva: la constatazione di un’influenza siffatta, in qualunque forma, è sufficiente per escludere tali imprese dalla procedura di cui trattasi (punto 32) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.01.2013 n. 94 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Pagamenti in 30-60 giorni senza alcuna discriminazione. La risposta ministeriale alle associazioni di settore: direttiva applicabile ai lavori pubblici.
I nuovi termini di pagamento nelle transazioni commerciali previsti del dlgs 192/2012 (entro 30 giorni, prorogabili fino a 60 solo in casi particolari) si applicano a tutti i settori produttivi. Lavori pubblici compresi.
Lo ha chiarito ufficialmente una nota congiunta 23.01.2013 n. 1293 di prot. dei ministeri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, emanata mercoledì scorso.
I dubbi riguardavano soprattutto il settore dei lavori pubblici, già escluso dalla portata della precedente direttiva europea in materia (la n. 2000/35/Ce, recepita nel nostro paese dal dlgs 231/2002). Tale lettura nasceva dall'espresso riferimento, operato tanto dalla fonte comunitaria quanto dal provvedimento interno di recepimento, quali possibili oggetto delle transazioni commerciali esclusivamente alla consegna di «merci» o alla prestazione di «servizi», il che portava a escludere i contratti di lavori. In tal senso, si era espressa anche l'Autorità garante dei lavori pubblici con la determinazione n. 5 del 27.03.2002. La stessa relazione illustrativa al dlgs 231/2002, del resto, demandava a un apposito intervento legislativo (finora mai effettuato) l'adeguamento della disciplina degli appalti pubblici di lavori.
Per superare questo «doppio binario», nella nuova direttiva (la n. 2011/7/Ue) è stato inserito un nuovo «considerando», che recita: «La fornitura di merci e la prestazione di servizi dietro corrispettivo a cui si applica la presente direttiva dovrebbero anche includere la progettazione e l'esecuzione di opere ed edifici pubblici, nonché i lavori di ingegneria civile».
Tuttavia, il dlgs 192 non ha espressamente accolto tale indicazione e, per di più, si è limitato a modificare il precedente dlgs 231, senza sostituirlo integralmente.
A sgombrare il campo da equivoci è ora intervenuta la circolare ministeriale, fortemente sollecitata dagli operatori del settore (fra i più colpiti dai ritardi nei pagamenti da parte della p.a.), anche con la presentazione, lo scorso mese di novembre, di un position paper. Nei giorni scorsi, sul tema era nuovamente intervenuta l'Ance con un proprio documento (si veda ItaliaOggi del 22 gennaio) che ha in gran parte anticipato i contenuti della stessa circolare.
Del resto, la tesi dell'applicazione generale della nuova disciplina è stata autorevolmente sostenuta anche dal commissario europeo per l'industria e l'imprenditoria (e vicepresidente della Commissione Ue) Antonio Tajani, che aveva formalmente chiesto al governo di intervenire sul punto. Nella lettera (inviata al ministro per lo sviluppo economico, Corrado Passera, poco prima di Natale), peraltro, si evidenziano anche altri aspetti critici della normativa italiana, che andranno corretti.
Oltre alla questione (ora risolta) dell'ambito di applicazione, infatti, Tajani ha anche contestato l'indebita estensione e la genericità delle deroghe all'obbligo per la p.a. di pagare a 30 giorni: secondo la direttiva, ciò potrebbe essere previsto solo a favore degli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria, solo a determinate condizioni e fino a un massimo di 60 giorni. Viceversa, il dlgs 192 lo consente a tutte le p.a. quando ciò sia giustificato dalla natura o dall'oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione: una formulazione effettivamente troppo generica, che favorisce tentativi di elusione e quindi rischia di ingenerare contenzioso. Manca, inoltre, una previsione che precisi che i termini vanno computati in giorni di calendario, domeniche comprese. Da rivedere infine, le tutele giurisdizionali, anche con la previsione di procedure accelerate, a prescindere dall'importo del debito.
Su questi punti, la palla passa ora al prossimo governo, che dovrà intervenire con tempestività per scongiurare il rischio di incappare in una procedura di infrazione comunitaria.
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Gli effetti della direttiva sul codice contratti.
L'estensione del dlgs 192 al settore dei lavori pubblici, ora espressamente riconosciuta dal governo (si veda l'articolo nella pagina precedente), comporta alcune rilevanti modifiche al codice dei contratti (dlgs 163/2006) e al relativo regolamento di esecuzione e attuazione (dpr 207/2010).
Come noto, il nuovo art. 4, comma 2, del dlgs 231/2002 stabilisce per i pagamenti da parte della p.a. il termine di 30 giorni decorrenti, secondo le circostanze, dalla data della prestazione, ovvero dalla data di ricevimento della fattura o dalla data della verifica della prestazione. A questo proposito, il successivo comma 6 prevede che, laddove sia prevista una procedura diretta ad accertare il corretto adempimento del contratto, essa non può avere una durata superiore a 30 giorni dalla data della prestazione. In sostanza, dunque, la nuova normativa prevede un termine di 30 giorni per la verifica delle prestazioni effettuate e un termine di pari durata per le operazioni di pagamento.
Nel sistema delineato dal dpr 207/2010, la verifica della conformità della prestazione al contratto, che si esplicita essenzialmente nella verifica della conformità dei lavori eseguiti al progetto, viene effettuata progressivamente, ai sensi dell'art. 185, dal direttore dei lavori che li certifica sui libretti delle misure in contraddittorio con l'esecutore e li riporta successivamente sul registro di contabilità. Rispetto a tale attività di verifica, l'emanazione dello Stato avanzamento lavori (Sal) assume un carattere ricognitivo (art. 194). La fase di verifica si conclude con il rilascio da parte del responsabile del procedimento del certificato di pagamento che costituisce l'atto di liquidazione del credito (art. 195).
Al riguardo, la circolare ministeriale chiarisce che, in base alla normativa sopravvenuta, tale fase non può avere una durata superiore a 30 giorni dalla data della prestazione e cioè dalla data in cui dalla contabilizzazione risulta che i lavori hanno raggiunto l'importo contrattualmente previsto per il pagamento. Pertanto, il termine speciale di 45 giorni indicato dall'art. 143, comma 1, primo periodo, del regolamento è da intendersi sostituito con quello ordinario di 30 giorni.
Discorso analogo vale per il termine di 90 giorni dal collaudo fissato dall'art. 143, comma 2, del regolamento per il pagamento del saldo, anch'esso da ritenersi sostituito con quello ordinario di 30 giorni.
Secondo la circolare, è ancora possibile, tuttavia, pattuire contrattualmente termini più lunghi, purché non superiori, nel primo caso, a 45 giorni e nel secondo caso a 60. Di diverso avviso l'Ance, secondo cui un temine più elevato per la fase di verifica sarebbe ingiustificato e dunque iniquo per il creditore, giacché la verifica relativa alla conformità al progetto dei lavori eseguiti è effettuata in modo progressivo dal direttore dei lavori e sostanzialmente esaurita nel momento in cui i dati vengono riportati sul registro di contabilità e da questo viene estratto lo stato di avanzamento lavori, mentre le operazioni di verifica effettuate dal responsabile del procedimento si sostanziano essenzialmente nella richiesta del Durc. Più in generale, valgono le perplessità già evidenziate nell'articolo nella pagina precedente sulla legittimità delle deroghe previste dal diritto interno rispetto al testo della direttiva.
È invece ancora applicabile il termine di 30 giorni previsto dall'art. 143, comma 1, secondo periodo, del regolamento per il pagamento delle rate di acconto e decorrente dall'emissione del certificato di pagamento, in quanto coincidente con quello fissato da citato art. 4, comma 2, del dlgs 231.
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Sale il conto degli interessi.
In base al dlgs 192, in caso di ritardato pagamento, scatta (senza necessità di costituzione in mora) l'obbligo per il debitore di corrispondere gli interessi ad un saggio pari al tasso Bce (per il semestre in corso, lo 0,75%, come da comunicato del Mef pubblicato sulla G.U. n. 14 del 17.01.2013), maggiorato dell'8%.
Anche in tal caso, rispetto al settore dei lavori pubblici, la nuova disciplina ha tacitamente abrogato quella previgente, prevista dall'art. 144, commi 2 e 3, del dpr 207/2010. In base a tali disposizioni, nei primi 60 giorni di ritardo nel pagamento dell'acconto e del saldo si applicava il tasse legale (oggi pari al 2,5%), mentre dal sessantunesimo giorno il saggio stabilito annualmente con decreto interministeriale (da ultimo fissato al 5,27%). Nei fatti, con tempi medi di pagamento di circa 8 mesi, i ritardi si registrano sia sul certificato che sul mandato e quindi il tasso legale si applicava per i primi 4 mesi di ritardo.
Secondo la circolare ministeriale, sempre in virtù del principio del favor creditoris, dal 01.01.2013 si applica, invece, il (più elevato) tasso previsto dal dlgs 192 (oggi, come detto, l'8,75%), fatta eccezione per il caso (previsto dall'art. 144, comma 1, del regolamento) di ritardo nell'emissione del certificato di pagamento.
Si tratta di una novità importante, in grado di correggere almeno in parte la precedente distorsione che portava la p.a. (e specialmente gli enti locali) a dare precedenza ai pagamenti in altri settori, ai quali si applicava il tasso più pesante previsto dal vecchio dlgs 231 (Bce+7%) (articolo ItaliaOggi Sette del 28.01.2013).

APPALTI FORNITURE: DL 95/2012 e acquisto di carburanti.
Per l'approvvigionamento dei beni appartenenti alle categorie contemplate dall'articolo 1, comma 7 del DL 95/2012, in alternativa all'utilizzo delle convenzioni Consip gli enti locali possono:
- svolgere proprie autonome procedure, nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione resi disponibili da Consip o da centrali di committenza regionali (attualmente non presenti in Regione);
- esperire autonome procedure ad evidenza pubblica in cui i corrispettivi siano inferiori a quelli previsti dalle convenzioni Consip attualmente disponibili, sottoponendo tali contratti alla condizione risolutiva prescritta dalla legge.

Il Comune chiede di conoscere se l'obbligo di aderire ad una convenzione Consip per l'acquisto di carburanti sussista anche qualora sia documentabile l'antieconomicità dell'utilizzo di detto strumento, atteso che il distributore più vicino, del gestore convenzionato, risulta ubicato a parecchi chilometri dalla sede comunale e, conseguentemente, il rifornimento comporterebbe spese di carburante e per il personale conducente tali da rendere maggiormente competitivo un qualsiasi distributore posto in prossimità della sede dell'ente instante.
Sentito il Servizio provveditorato e servizi generali di questa Direzione centrale e premesso che lo scrivente Ufficio si esprime unicamente in termini generali relativamente all'applicazione di norme, si formulano le seguenti osservazioni.
Come già esplicitato dallo scrivente Ufficio nel parere prot. 1077, dd. 14.01.2013, cui si rimanda, l'art. 1, comma 7, del D.L. 95/2012, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 07.08.2012, n. 135, stabilisce una disciplina speciale per l'approvvigionamento per le pubbliche amministrazioni di beni, quali energia elettrica, gas, carburanti, combustibili per riscaldamento e telefonia.
Tale comma 7
[1], infatti, prevede che la fornitura dei predetti beni avvenga utilizzando le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip o da centrali di committenza regionali ovvero attraverso proprie autonome procedure, nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione resi disponibili dai soggetti sopra indicati.
In alternativa, sussiste la possibilità di procedere ad affidamenti che conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure ad evidenza pubblica i cui corrispettivi siano inferiori (e, quindi, migliorativi) rispetto a quelli delle convenzioni e degli accordi quadro messi a disposizione da Consip e dalle centrali regionali di committenza. In tale caso, i contratti devono essere sottoposti a condizione risolutiva, con possibilità di adeguamento da parte del contraente, per il caso in cui intervengano convenzioni Consip o delle centrali regionali di committenza che prevedano condizioni economiche di maggiore vantaggio.
L'art. 1, comma 8, del D.L. 95/2012 stabilisce che sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa i contratti stipulati in violazione di quanto previsto dal comma 7.
In conclusione, per l'approvvigionamento dei beni appartenenti alle categorie contemplate dalla norma, in alternativa all'utilizzo delle convenzioni Consip gli enti possono:
- svolgere proprie autonome procedure, nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione resi disponibili da Consip o da centrali di committenza regionali (attualmente non presenti in Regione);
- esperire autonome procedure ad evidenza pubblica in cui i corrispettivi siano inferiori a quelli previsti dalle convenzioni Consip attualmente disponibili, sottoponendo tali contratti alla condizione risolutiva prescritta dalla legge.
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[1] Come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 151, della l. 228/2012 (Legge di stabilità)
(28.01.2013 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTIAppalti, responsabilità snella. Possibile esclusione di alcune tipologie di contratto. Attilio Befera, direttore delle Entrate, al convegno della Cna: in arrivo una circolare.
Semplificazioni in arrivo per la responsabilità solidale negli appalti, che pesa sulle imprese anche in termini monetari. E adempimenti infrannuali, come la comunicazione di intenti, raggruppati nella dichiarazione annuale.
Il direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera, intervenendo al convegno, «Fisco, competitività, sviluppo», della Cna, a Firenze, ieri, ha anticipato l'arrivo di una circolare che tende a rendere più chiara e a smussare l'ambito applicativo della disciplina introdotta dall'art. 13-ter, del dl n. 83/2011 (cosiddetto «Decreto crescita») per i contratti di appalto stipulati a partire dal 12.08.2012.
Claudio Carpentieri, responsabile fiscale dell'associazione, durante il suo intervento, ha chiesto che l'intervento di prassi amministrativa «chiarisca che la norma sulla responsabilità solidale non si applichi ai contratti di trasporto, di opera e su fornitura, settori», ha sottolineato Carpentieri, «che esulano dalla lettera della norma».
Befera sul punto ha quindi ricordato che con il prossimo intervento di prassi si cercherà di intervenire sul tema, con ogni probabilità, secondo quanto risulta a ItaliaOggi nella direzione dell'alleggerimento del peso degli oneri. La nuova disposizione, infatti, prevede la responsabilità dell'appaltatore e del committente per il versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dell'Iva dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore con riferimento alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto.
Si ricorda che l'esclusione dalla responsabilità «solidale» è prevista solo se l'appaltatore e/o committente ottiene la documentazione ad hoc, attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore e/o appaltatore; documentazione che può consistere anche nell'asseverazione rilasciata da Caf o da professionisti abilitati. Durante il convegno, il direttore delle Entrate ha riconosciuto la complessità della disciplina recentemente introdotta e ha anticipato, in aggiunta al documento di prassi già emanato (circolare n. 40/E/2011), un'ulteriore circolare che ha l'obiettivo di semplificare e rendere più chiara l'applicazione pratica del nuovo adempimento che, come indicato dal responsabile fiscale di Cna ha ulteriormente compromesso le riscossioni, già difficili, delle imprese.
Tutto questo si inserisce in un più ampio contesto di semplificazione che vedrà, presumibilmente e già a partire dalla prossima settimana, un tavolo di concertazione con i professionisti e le associazioni di categoria, al fine di rendere più snelli gli adempimenti che per i responsabili fiscali dell'associazione organizzatrice arrivano fino a 120 all'anno, con ulteriori oneri, in termini monetari, posti a carico delle stesse imprese. Cosa peraltro ricordata da Carpientieri nel suo intervento: «Uno stato credibile è anche semplice. Rivede in modo sistematico e periodico tutti gli obblighi di comunicazione previsti per le imprese, lasciando solamente quelli che sono realmente necessari alla lotta all'evasione». Delle proposte presentate, lo scorso ottobre, da Rete imprese Italia, la direzione intrapresa, dall'amministrazione, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, è quella di uno snellimento degli adempimenti infrannuali, convogliandoli nella dichiarazione annuale.
L'esempio è quello della comunicazione di intenti che appunto potrebbe essere inserita nella tempistica della dichiarazione annuale. D'altra parte è lo stesso Attilio Befera che, in apertura del proprio intervento, auspica prossimi cambiamenti del testo unico delle imposte dirette (Tuir), il via libera della riforma fiscale, con una riduzione e semplificazione degli adempimenti per un fisco più «illuminato» e una cooperazione «biunivoca» e una maggiore assistenza e tutoraggio da parte degli uffici periferici (articolo ItaliaOggi del 26.01.2013.

APPALTIGara senza mani. L'offerta si fa con raccomandata. Il Consiglio di stato: ok anche alla postacelere.
Esclusa dalla gara l'impresa che presenta l'offerta a mani direttamente presso gli uffici dell'amministrazione anziché utilizzare la raccomandata assicurata o postacelere del servizio postale nazionale, come richiesto dal bando.

È quanto ha stabilito la IV Sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 25.01.2013 n. 485.
Nel caso concreto, una impresa partecipante a una gara pubblica per l'affidamento della fornitura di vestiario della Guardia di finanza è stata esclusa dalla selezione per aver depositato la sua domanda direttamente a mani, anziché a mezzo raccomandata, assicurata o postacelere del servizio postale nazionale.
L'esclusione dalla gara, assieme all'aggiudicazione definitiva in favore dell'impresa prima classificata, è stata impugnata dalla società esclusa davanti al tribunale amministrativo regionale.
Secondo la ricorrente, il provvedimento emesso era illegittimo data la totale assenza, nella normativa comunitaria e in quella nazionale, della possibilità per la stazione appaltante di escludere l'impresa partecipante alla gara per il solo fatto di aver presentato l'offerta direttamente all'ufficio dell'amministrazione.
Il tribunale ha accolto il ricorso, di conseguenza annullando l'intera procedura di gara, compresa l'aggiudicazione disposta in favore dell'azienda risultata vincitrice.
Secondo il giudice amministrativo, infatti, la clausola del bando che vietava la presentazione diretta delle domande di partecipazione risultava illegittima se applicata nel senso di precludere la partecipazione all'impresa che non la rispetti.
La questione è stata sottoposta all'attenzione del Consiglio di stato, cui si è rivolta l'amministrazione insieme all'impresa spodestata dell'aggiudicazione. Nel contestare, sotto vari profili, la sentenza del Tar, l'amministrazione ha fatto valere la sua discrezionalità nello stabilire i criteri e le modalità di presentazione delle offerte da parte delle imprese partecipanti alla gara, così come il potere lei riconosciuto di precludere la partecipazione alla gara nel caso in cui le regole del bando vengano violate.
Palazzo Spada ha accolto l'appello proposto dall'amministrazione, chiarendo il valore della clausola oggetto della lite, anche in base a quanto prevede o, meglio, non prevede il diritto comunitario.
La sentenza ricorda come alla luce del disposto di cui all'articolo 77 del Codice dei contratti pubblici, il quale, come noto, prevede le diverse modalità di presentazione delle offerte, appaia legittima la scelta della stazione appaltante, indicata nel bando di gara, di escludere forme di autopresentazione dell'offerta.
Si osserva, in particolare, come il divieto della consegna diretta dei plichi presso gli uffici della stazione appaltante contribuisca ad assicurare la massima imparzialità dell'operato amministrativo, la parità di trattamento tra i partecipanti e la segretezza delle offerte, eliminando in radice il rischio di una dispersione di notizie riservate. Il Consiglio di stato ha poi affermato come tale interpretazione non contrasti affatto con il diritto europeo.
Infatti, il paragrafo 6 dell'articolo 42 della direttiva 2004/18/CE, il quale si limita a distinguere fra la trasmissione «per iscritto» e la forma orale, nulla afferma con riferimento alle possibili modalità (fra cui rientra anche la consegna a mano) con le quali la domanda formulata per iscritto deve essere presentata.
Pertanto, hanno concluso i giudici romani, l'amministrazione è libera di escludere dalla gara l'impresa che, in violazione del bando, abbia presentato la propria offerta a mani. Tale decisione, infatti, rientra nella sfera insindacabile della stazione appaltante (articolo ItaliaOggi del 09.02.2013).

APPALTI: Il possesso dei requisiti di capacità generale di cui all’art. 38 deve essere assicurato non solo all’atto di presentazione della domanda ma per tutta la procedura di gara ed anche, successivamente all’aggiudicazione, per tutta la durata dell’appalto, al punto da ritenere che l’impresa debba comunicare all’amministrazione appaltante ogni variazione rilevante al riguardo.
Tutto questo legittima, ed anzi obbliga, la stessa amministrazione appaltante ad un controllo periodico sul possesso dei requisiti in capo alle imprese con le quali contratta, da cui consegue, in linea generale (fatti salvi i limiti di cui all’art. 21-nonies l. 241/1990), il potere di intervenire in autotutela, ove l’esito di tale controllo sia negativo.

Una volta chiarito tale aspetto, va ricordato come il possesso dei requisiti di capacità generale di cui all’art. 38 debba essere assicurato non solo all’atto di presentazione della domanda ma per tutta la procedura di gara ed anche, successivamente all’aggiudicazione, per tutta la durata dell’appalto (v., per tutte, Cons. St., IV, n. 6539/2012), al punto da ritenere che l’impresa debba comunicare all’amministrazione appaltante ogni variazione rilevante al riguardo.
Tutto questo legittima, ed anzi obbliga, la stessa amministrazione appaltante ad un controllo periodico sul possesso dei requisiti in capo alle imprese con le quali contratta, da cui consegue, in linea generale (fatti salvi i limiti di cui all’art. 21-nonies l. 241/1990), il potere di intervenire in autotutela, ove l’esito di tale controllo sia negativo (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 25.01.2013 n. 483 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILegittima la revoca dell'aggiudicazione per indisponibilità delle risorse finanziarie.
E' legittima la revoca dell'aggiudicazione disposta per indisponibilità delle risorse finanziarie: lo ha ribadito il CGARS nella sentenza 25.01.2013 n. 47.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale in materia di appalti pubblici, che i giudici amministrativi siciliani condividono, anche dopo l'intervento dell'aggiudicazione definitiva (nel caso di specie, solo provvisoria), non è precluso all'amministrazione appaltante di revocare l'aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, del quale occorre dare atto nella motivazione del provvedimento di autotutela.
Sono elementi sufficienti per considerare adeguatamente motivato il provvedimento (specie ove si consideri che il procedimento era giunto alla fase dell'aggiudicazione provvisoria e non ancora a quella dell'aggiudicazione definitiva) il riferimento all'indisponibilità delle relative somme in bilancio e alla necessità di assicurare il rispetto delle previsioni del bilancio e del patto di stabilità (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Oggetto: Legge 221/2012: ulteriori modifiche al Codice 163/2006 (ANCE Bergamo, circolare 25.01.2013 n. 25).

LAVORI PUBBLICI: APPALTI PUBBLICI: LINEE GUIDA PER LA GESTIONE DELL’OFFERTA ECONOMICAMENTE PIU’ VANTAGGIOSA E LA REDAZIONE DEGLI STUDI DI FATTIBILITA’.
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato, nella riunione del 24.01.2013, la “Guida operativa per l’utilizzo del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa negli appalti di lavori pubblici di sola esecuzione” e le “Linee guida per la redazione di studi di fattibilità”, realizzate entrambe nell'ambito del gruppo di lavoro interregionale contratti pubblici di ITACA.
Soddisfatto per l’approvazione delle due importanti guide messe a punto sui tavoli tecnici di ITACA con la preziosa collaborazione dei rappresentanti delle istituzioni pubbliche, ordini professionali, imprese e sindacati, a cui va tutto il nostro ringraziamento”. E’ quanto ha sottolineato Ugo Cavallera, Presidente di ITACA, organo tecnico della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
L’obiettivo del nostro lavoro” continua Cavallera “è quello di contribuire a migliorare qualitativamente il sistema della contrattualistica pubblica che assorbe gran parte spesa pubblica attraverso strumenti che possano aiutare concretamente l’operato dei tecnici delle stazioni appaltanti impegnati quotidianamente nella gestione di procedure sempre più complesse in un settore iper regolamentato. Inoltre, la crescente scarsità di risorse a disposizione delle pubbliche amministrazioni impone alle stesse di dotarsi di strumenti atti a consentirne una gestione ed una politica di investimenti pubblici che sia il più possibile razionale, efficiente ed economicamente sostenibile”.
La guida sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa rappresenta un valido supporto alle stazioni appaltanti nella delicata gestione degli affidamenti di appalti di lavori pubblici per la sola esecuzione.
Con l’applicazione di tale criterio, che comporta una elevata complessità tecnica nella gestione della procedura, l’amministrazione aggiudicatrice ha maggiore possibilità di rispondere più appropriatamente ai bisogni espressi dalla collettività pubblica su esigenze di tipo economico, ambientale, sociale, attivando un più efficace contrasto a fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata e del lavoro nero e garantendo, in maniera trasparente, una maggiore competizione tra gli operatori economici.
La guida, elaborata da tecnici che hanno piena conoscenza delle problematiche che occorre affrontare o che possono sopravvenire nel corso dell'aggiudicazione ed esecuzione dell'appalto, fornisce un contributo di tipo pratico sia per la fase di impostazione della procedura che per la fase di esecuzione del contratto attraverso suggerimenti per la stesura della documentazione di gara e dello stesso contratto.
La guida per la redazione degli studi di fattibilità nei procedimenti riguardanti opere pubbliche, origina, prioritariamente, dalla necessità di mettere a “fattor comune” le esperienze maturate a livello regionale che già oggi, pur in assenza di un obbligo normativo, utilizzano lo studio di fattibilità quale strumento di selezione dei progetti tramite verifica preventiva circa la fattibilità tecnica, economico-finanziaria, ambientale, amministrativa e procedurale dei diversi interventi per i quali si richiede un contributo regionale.
Le linee guida ITACA costituiscono pertanto un utile strumento di lavoro quale riferimento per la redazione degli studi di fattibilità di opere pubbliche o di interesse pubblico (tratto da www.itaca.org).

APPALTI: A. Rinaldi e M. Marzano, Responsabilità solidale negli appalti: quali norme si applicano agli Enti Locali ? (link a www.entilocaliweb.info).

APPALTI SERVIZI: C. Volpe, La “nuova normativa” sui servizi pubblici locali di rilevanza economica. Dalle ceneri ad un nuovo effetto “Lazzaro”. Ma è vera resurrezione? (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINotariato. L'atto pubblico è digitale.
Il Notariato mette in pratica l'agenda digitale del governo Monti (dl n. 179/2012) che prevede che a partire dal 01.01.2013 la stipula dei contratti pubblici di appalto di lavori, servizi e forniture, possa essere redatta solo con atto pubblico notarile informatico. Martedì scorso è stato infatti stipulato il primo atto pubblico informatico.

È accaduto in Puglia, in provincia di Brindisi, tra un comune e una società che si era aggiudicata l'appalto per la gestione del servizio integrato di igiene urbana. Per la conservazione degli atti notarili informatici, i notai si avvalgono di una struttura tecnologica idonea a custodire la validità giuridica nel tempo del documento informatico (articolo ItaliaOggi del 25.01.2013).

APPALTIPubblicità legale obbligatoria. Bandi e avvisi di gara da pubblicare sui quotidiani. Il decreto crescita prevede che le spese della p.a. siano rimborsate dall'aggiudicatario.
Anche dopo il 01.01.2013 le stazioni appaltanti hanno l'obbligo di pubblicare per estratto sui quotidiani i bandi e gli avvisi di gara per affidamento di lavori, forniture e servizi e le avvenute aggiudicazioni; la legge 69/2009 non ha toccato la disciplina del Codice, a sua volta confermata dalla legge «anticorruzione»; possibile pubblicare sui quotidiani anche gli avvisi per appalti di lavori al di sotto dei 500 mila euro e per appalti di forniture e servizi al dei sotto dei 200 mila euro.
È quanto si desume dalla lettura coordinata dalle disposizioni che si sono succedute in questi ultimi anni e che, anche alla luce della natura «rinforzata» del Codice dei contratti pubblici e della novella della legge «Crescita 2», rendono superata la disciplina del 2009 che avrebbe voluto mandare in soffitta la pubblicità legale sui giornali (si veda ItaliaOggi del 30.11.2012).
Dal punto di vista dell'ambito oggettivo di applicazione, l'obbligo di procedere alla pubblicazione per estratto su almeno due quotidiani risulta applicabile agli appalti di lavori, servizi e forniture per le gare sopra soglia (secondo periodo del comma 7 dell'art. 66 e quindi oltre i 5 milioni per i lavori e oltre i 200 mila euro per servizi e forniture) e alle procedure di affidamento di appalti di lavori sotto soglia (secondo periodo del comma 5 dell'art. 122 che prevede la soglia superiore a 500 mila euro ma con pubblicazione su un quotidiano a diffusione nazionale).
Va anche rilevato che, nonostante l'articolo 124, comma 5, non preveda la pubblicazione sui quotidiani degli avvisi per appalti sotto soglia di forniture e servizi, ai sensi dell'art. 66, comma 15, del Codice le stazioni appaltanti potrebbero (facoltà) anche prevedere forme aggiuntive di pubblicità. In ipotesi, quindi, anche un contratto di fornitura al di sotto dei 200 mila euro potrebbe, in base a una scelta motivata della stazione appaltante, essere pubblicato su un quotidiano a diffusione nazionale.
Dal punto di vista interpretativo è stato posto in dubbio che l'articolo 66 del Codice dei contatti potesse essere stato superato, nel 2009, dalla legge n. 69 che (articolo 32, comma 5) prevedeva che «dal 01.01.2013, le pubblicazioni effettuate in forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale, ferma restando la possibilità per le amministrazioni e gli enti pubblici, in via integrativa, di effettuare la pubblicità sui quotidiani a scopo di maggiore diffusione, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio».
In realtà, però, questa disposizione è risultata a sua volta implicitamente abrogata dalla successiva legge «anticorruzione» (190/12) che ha introdotto una disposizione «
di salvezza» delle norme in materia di pubblicità contenute nel Codice dei contratti pubblici, stabilendo che «restano ferme le disposizioni in materia di pubblicità previste dal codice di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163».
Pertanto, se restano «ferme» le vigenti norme del Codice, in base a una disposizione che entra in vigore prima del 01.01.2013, automaticamente la disposizione del 2009 deve considerarsi superata e quindi inapplicabile per implicita abrogazione. D'altro canto sarebbe stato difficile anche sostenere che il comma 5 dell'articolo 32 della legge 69/2009 potesse avere abrogato o superato quanto stabilito dall'articolo 66 del Codice dei contratti pubblici in materia di pubblicità legale sui quotidiani.
L'articolo 255 del codice dei contratti pubblici, infatti, stabilisce che «ogni intervento normativo incidente sul codice, o sulle materie dallo stesso disciplinate, va attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute». Ma la legge. 69/2009 non ha certo disposto in tal senso, non rinvenendosi in alcuna parte di essa l'abrogazione espressa delle disposizioni di cui al secondo periodo del comma 7 dell'articolo 66 e al secondo periodo del comma 5 dell'articolo 122 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, proprio richiamate dalla norma della legge «anticorruzione».
Ciò detto a conferma dell'operatività dell'obbligo, anche a decorrere dal 01.01.2013, della pubblicità per estratto sui quotidiani (certamente non quelle di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale), sta anche l'articolo 34, comma 35 del dl n. 179/2012 (c.d. Crescita 2.0). In esso si prevede infatti l'obbligo per l'aggiudicatario di rimborsare alla stazione appaltante le spese di pubblicazione sui giornali dei bandi e degli avvisi di gara.
In particolare, si prevede che «a partire dai bandi e dagli avvisi pubblicati successivamente al 01.01.2013, le spese per la pubblicazione di cui al secondo periodo del comma 7 dell'articolo 66 e al secondo periodo del comma 5 dell'articolo 122 del dlgs 12.04.2006, n. 163, sono rimborsate alla stazione appaltante dall'aggiudicatario entro il termine di 60 giorni dall'aggiudicazione» (articolo ItaliaOggi del 25.01.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Amministrazione aperta ex art. 18 D.L. 83/2012.
Ai sensi delle disposizioni sull'amministrazione aperta, anche una determinazione dirigenziale, avente ad oggetto, ad esempio, la fornitura di carta per i fotocopiatori di un ente locale, può essere soggetta agli obblighi di pubblicazione, ricadendo la fattispecie all'interno dell'ambito dell'attribuzione di corrispettivi e compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati di cui all'art. 18, comma 1, del D.L. 83/2012.
Il quinto comma dell'art. 18 stabilisce, tuttavia, che solo per le concessioni e le attribuzioni di importo superiore a 1.000 euro, avvenute nel corso del medesimo anno solare, la pubblicazione acquisisce valore di condizione legale di efficacia la cui eventuale omissione o incompletezza costituisce responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile rilevabile anche d'ufficio dagli organi dirigenziali e di controllo e altresì rilevabile da chiunque abbia interesse anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell'amministrazione.

Il Comune chiede di sapere a quali tipologie di atti il legislatore intende fare riferimento quando, all'art. 18 del decreto legge 22.06.2012, n. 83 [1], nell'ambito delle informazioni e dei dati soggetti a pubblicità su internet in applicazione degli obblighi sull'amministrazione aperta, ricomprende anche quelli connessi alla 'attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere di cui all'articolo 12 della legge 07.08.1990, n. 241 ad enti pubblici e privati'. Più specificatamente, l'Ente si domanda se anche una determina per la fornitura di beni, come la carta per fotocopiatore, sia soggetta a detta normativa.
Le disposizioni sull'amministrazione aperta, previste, in particolare, dal primo comma dell'art. 18, coprono un triplice ambito oggettivo di applicazione. Esse, infatti, riguardano:
a) la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari alle imprese [2];
b) l'attribuzione di corrispettivi e compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati [3];
c) l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere, di cui all'art. 12 della L. 241/1990, ad enti pubblici e privati [4].
Il secondo comma prevede tutta una serie di dati, informazioni e documenti [5] che, qualora si versi in uno degli ambiti di cui al primo comma, l'amministrazione è tenuta a pubblicare sul proprio sito internet nella sezione 'Trasparenza, valutazione e merito' [6].
Ai sensi di un tanto, pare che anche una determinazione dirigenziale, avente ad oggetto, ad esempio, la fornitura di carta per i fotocopiatori di un ente locale, possa essere soggetta agli obblighi pubblicitari previsti dalla norma, ricadendo la fattispecie all'interno della lettera b) dell'elenco [7].
Il quinto comma dell'art. 18 stabilisce, tuttavia, che solo per le concessioni e le attribuzioni di importo superiore a 1.000 euro, avvenute nel corso del medesimo anno solare, la pubblicazione acquisisce valore di condizione legale di efficacia la cui eventuale omissione o incompletezza costituisce responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile rilevabile anche d'ufficio dagli organi dirigenziali e di controllo e altresì rilevabile da chiunque abbia interesse anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell'amministrazione.
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[1] Convertito, con modificazioni, dalla legge 07.08.2012, n. 134.
[2] Tali atti sono caratterizzati dal fatto di costituire attribuzioni economiche, non legate ad una controprestazione, che hanno come destinatari le imprese.
[3] Tali atti sono caratterizzati dal fatto di costituire attribuzioni economiche, erogate a fronte di una controprestazione, a favore di privati.
[4] Tali atti sono caratterizzati dal fatto di costituire generiche attribuzioni di un 'vantaggio economico' riferibili all'art. 12 della L. 241/1990 e, perciò, senza che vi sia una controprestazione verso il concedente. Vi sono compresi i contributi ad enti pubblici per la realizzazione di specifiche attività o l'attuazione di programmi di pubblico interesse.
[5] L'amministrazione è tenuta a pubblicare: 'a) il nome dell'impresa o altro soggetto beneficiario ed i suoi dati fiscali; b) l'importo; c) la norma o il titolo a base dell'attribuzione; d) l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del relativo procedimento amministrativo; e) la modalità seguita per l'individuazione del beneficiario; f) il link al progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato, nonché al contratto e capitolato della prestazione, fornitura o servizio'.
[6] Si coglie l'occasione per rammentare che, per agevolare il compito delle amministrazioni locali, la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, per il tramite del Servizio Sistemi Informativi ed E-Government e nell'ambito della convenzione per i servizi informatici SIAL, ha messo a disposizione l'applicativo "Amministrazione Aperta". Per maggiori informazioni, si prega di consultare la pagina: http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/SIAL/Amministrazione_aperta/
[7] Sul contemporaneo obbligo, nel caso sussistano le condizioni previste dalla legge, di pubblicazione delle determinazioni dirigenziali sia all'albo pretorio on-line sia nella sezione 'Trasparenza, valutazione e merito' del sito internet, questo Ufficio si è già espresso con il parere prot. n. 1704 del 18.01.2013, scaricabile alla pagina http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/
(25.01.2013 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI SERVIZINiente proroga per la gestione di lampade votive.
Non ha alcun diritto alla proroga, fino al 2031, l'impresa che nel 1971 ha vinto l'appalto concorso per la costruzione e la gestione dell'impianto di illuminazione votiva del cimitero. Ciò in quanto, alla fattispecie, si devono applicare gli artt. 113, comma 15-bis, del dlgs n. 267/2000 e 23-bis, comma 8, del dl n. 112/2008, che prevedono l'automatica cessazione delle concessioni di servizi pubblici locali rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica.

La questione è stata posta all'attenzione del Consiglio di stato, Sez. V, il quale, con la sentenza 24.01.2013 n. 435.
Il Collegio ha ricordato come in caso di prestazioni eterogenee, «vanno individuate quali prestazioni siano prevalenti e quale sia il nesso direzionale che regola il rapporto di strumentalità tra le diverse componenti, stabilendo se la gestione delle opere e degli impianti sia funzionale e strumentale alla loro realizzazione o alla gestione del servizio». Nel caso specifico ha avuto ragione, quindi, il Tar, ad affermare la accessorietà della componente lavori, rispetto la gestione del servizio, perché di rilevanza economica non considerevole.
La questione era sorta a seguito dell'affidamento, nato come concessione di costruzione e gestione perché il Comune non disponeva di impianto di illuminazione votiva cimiteriale, attribuendo al concessionario, quale controprestazione per la realizzazione e gestione dell'impianto e per l'esecuzione delle lavorazioni richieste, il diritto di gestire l'impianto e le opere realizzate, che sarebbero rimaste di proprietà del concessionario sino alla scadenza della concessione (articolo ItaliaOggi del 22.02.2013).

APPALTI: Oggetto: interpello ex art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – DURC – posizione non regolare del socio di una società di capitali (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interpello 24.01.2013 n. 2/2013).

LAVORI PUBBLICI: Pagamenti Pa, inclusi i lavori pubblici. Circolare dello Sviluppo economico: tempi e sanzioni si applicano a tutti gli appalti.
«La nuova disciplina dei ritardati pagamenti introdotta in attuazione della normativa comunitaria 7/2011 si applica ai contratti pubblici relativi a tutti i settori produttivi, inclusi i lavori, stipulati a decorrere dal 01.01.2013, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del Dlgs n. 192 del 2012».

È il passaggio chiave della nota 23.01.2013 n. 1293 di prot. inviata dal capo di gabinetto del ministero dello Sviluppo economico, Mario Torsello, alle principali associazioni delle imprese di costruzioni che avevano lamentato il rischio di un'esclusione del settore dei lavori pubblici dalla nuova normativa sui tempi di pagamento della Pa.
Nel Dlgs 192, che ha recepito le norme Ue sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali, dettando nuove regole anche per il settore pubblico, non veniva citato espressamente il settore edile e dei lavori pubblici: questo aveva messo in allarme il presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, che si era rivolto al Governo per chiedere un chiarimento e aveva minacciato il ricorso a Bruxelles (si veda Il Sole 24 Ore del 15.11.2012).
Nel Governo era seguito un braccio di ferro tra il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, che subito si era pronunciato in favore di un inserimento esplicito dei lavori pubblici, e il ministero dell'Economia e in particolare la Ragioneria generale, contrari all'inclusione dei lavori.
Non a caso Passera, che ha impiegato due mesi per superare le resistenze nell'Esecutivo, ora chiama in causa Palazzo Chigi. «La Presidenza del Consiglio -afferma il documento dello Sviluppo economico- ha precisato che, sebbene il provvedimento non lo menzioni espressamente, esso deve ritenersi applicabile anche al settore edile. Ciò è stato argomentato sia sotto il profilo formale, rimarcando che l'espressione «prestazione di servizi» abbraccia inevitabilmente anche i lavori, sia a livello sistematico, rilevando che la disciplina generale, di matrice sovranazionale, in tema di ritardati pagamenti, non può che prevalere su regolamentazioni nazionali con essa eventualmente confliggenti».
Dopo aver risolto il nodo principale, la circolare fa una seconda, importante operazione giuridica: rilegge il codice degli appalti (Dlgs 163/2006) e il regolamento di settore (Dpr 207/2010) alla luce dei termini di pagamento (tempi e sanzioni) disposti dalla nuova disciplina. «Le disposizione dettate dal codice dei contratti pubblici e dal regolamento di attuazione già vigenti per il settore dei lavori pubblici, relative ai termini di pagamento delle rate di acconto e di saldo nonché alla misura degli interessi da corrispondere in caso di ritardato pagamento, devono essere interpretate e chiarite alla luce delle disposizioni del decreto legislativo 192/2012, ritenendosi prevalenti queste ultime sulle disposizioni di settore confliggenti, tenendo conto anche dell'espressa clausola di salvezza, secondo cui restano "salve le vigenti disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore"».
L'inasprimento più severo delle sanzioni per i ritardati pagamenti della pubblica amministrazione nei lavori pubblici riguarda non tanto gli stati di avanzamento lavori (i cosiddetti Sal) quanto la liquidazione del saldo finale. In questo caso, infatti, il termine temporale di 90 giorni previsto oggi dal codice degli appalti è «incompatibile» con la disciplina europea e nazionale che prevede il termine di 30 giorni dalla verifica della prestazione (cioè dal certificato di collaudo). In questo caso, in caso di mancato rispetto, scatterebbe la corresponsione degli interessi semplici di mora su base giornaliera a un tasso che è pari al tasso di interesse applicato dalla Bce alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali, in vigore all'inizio del semestre, maggiorato dell'8%, senza che sia necessaria la costituzione in mora (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2013 - tratto da www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICI: Oggetto: Decreto legislativo n. 192/2012, recante modifiche al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (Ministero dello Sviluppo Economico, nota 23.01.2013 n. 1293 di prot.).

APPALTIAppalti, il volontariato può partecipare.
Le associazioni di volontariato possono concorrere all'aggiudicazione di appalti pubblici anche se non svolgono fini di lucro e se l'attività connessa alla partecipazione alla gara ha carattere «marginale»; la legittimazione deriva dalla legge sul volontariato e dalla disciplina sulle cosiddette imprese sociali di cui al decreto 155/2006.

È quanto afferma il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 23.01.2013 n. 387 che riforma la sentenza del Tar Campania, Napoli, sezione I, n. 1666/2008 che non aveva riconosciuto legittima la partecipazione della associazione alla gara.
I giudici affermano infatti che le associazioni di volontariato possono essere aggiudicatarie di gare di pubblici appalti, in quanto l'assenza di fine di lucro non è di per sé ostativa della partecipazione ad appalti pubblici. Tale affermazione viene motivata in primo luogo con la nota giurisprudenza comunitaria del 2007 (in particolare sez. III, 29.11.2007, causa C-119/06), ma la parte più interessante della motivazione è quella in cui la legittimazione si lega a quanto prevede in Italia la legge quadro sul volontariato che, nell'elencare le entrate di tali associazioni, menziona anche le entrate derivanti da attività commerciali o produttive svolte a latere, con ciò riconoscendo la capacità di svolgere attività di impresa.
Il Consiglio di stato, infine, motiva la decisione riconducendo le associazioni di volontariato nel novero delle cosiddette «imprese sociali»: «esse possono essere ammesse alle gare pubbliche quali “imprese sociali”, a cui il dlgs 24.03.2006 n. 155 ha riconosciuto la legittimazione a esercitare in via stabile e principale un'attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d'interesse generale, anche se non lucrativa». Infatti, si legge nella sentenza, l'art. 5 della legge n. 266/2001, nell'indicare le risorse economiche delle Onlus, menziona anche le «entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali», con ciò dimostrando di riconoscere la capacità delle Onlus di svolgere attività commerciali e produttive e, dunque, anche quella di partecipare a gare di appalto, quanto meno nei settori di specifica competenza.
È sì vero, dice il Consiglio di stato, che la norma fa riferimento ad attività imprenditoriali «marginali», ma occorrerebbe dimostrare che la partecipazione dell'associazione all'appalto non abbia il carattere di marginalità (articolo ItaliaOggi dell'01.02.2013).

APPALTIL'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, nella parte in cui elenca le dichiarazioni di sussistenza dei requisiti morali e professionali richiesti ai fini della partecipazione alle procedure di gara, assume come destinatari tutti coloro che, in quanto titolari della rappresentanza dell'impresa, siano in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell'ordinamento nei riguardi della loro personale condotta, al soggetto rappresentato.
Pertanto, deve ritenersi sussistente l'obbligo di dichiarazione non soltanto da parte di chi rivesta formalmente la carica di amministratore, ma anche da parte di colui che, in qualità di procuratore ad negotia, abbia ottenuto il conferimento di poteri consistenti nella rappresentanza dell'impresa e nel compimento di atti decisionali.
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Costituisce causa di esclusione sia la mancanza di uno dei requisiti soggettivi di cui all’art. 38 del Codice, a prescindere dalle indicazioni riportate nel bando di gara, che, oltre all’ipotesi di falsità, l’omissione o l’incompletezza delle dichiarazioni da rendersi ai sensi dell’art. 38 da parte di tutti i soggetti alle stesse tenute. Tali omissioni costituiscono, di per sé, motivo di esclusione dalla procedura ad evidenza pubblica anche in assenza di una espressa previsione del bando di gara.
Del resto, tale interpretazione della norma si ricava anche alla luce delle enunciazioni contenute nella direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, il cui art. 45, intitolato: “situazione personale del candidato o dell’offerente” al par. 1, ultimo alinea, stabilisce che, ai fini del controllo dell’insussistenza dei precedenti penali in capo ai concorrenti, “le richieste riguarderanno le persone giuridiche e/o le persone fisiche, compresi, se del caso, i dirigenti delle imprese o qualsiasi persona che eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo del candidato o dell’offerente”.
L’opzione ermeneutica sostanzialistica preferita dal collegio risponde, dunque, anche ad un canone interpretativo conforme al diritto europeo, dal quale deriva tutta la disciplina sugli appalti pubblici vigente nell’ordinamento italiano.
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Riguardo all’unico motivo aggiunto concernente la asserita violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163/2006, deve premettersi che la norma di esclusione non ha carattere sanzionatorio, ma contempla una misura a presidio dell'elemento fiduciario, che esclude di per sé qualsiasi automatismo, perché l'esclusione deve essere il risultato di una "motivata valutazione"; in tema di contenzioso per l'esclusione da gara di appalto ai sensi dell'art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (inadempimenti in precedenti contratti) la decisione di esclusione per "deficit di fiducia" è frutto di una valutazione discrezionale della stazione appaltante, alla quale il legislatore riserva la individuazione del "punto di rottura dell'affidamento" nel pregresso o futuro contraente; pertanto il controllo del g.a. su tale valutazione discrezionale deve essere svolto "ab estrinseco", ed è diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di simulazione, ma non è mai sostitutivo.
In tema di esclusione da una gara pubblica ex art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006, la gravità della generica negligenza o dell'inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali va commisurata al pregiudizio arrecato alla fiducia, all'affidamento che la stazione appaltante deve poter riporre, "ex ante", nell'impresa cui decide di affidare l'esecuzione di un nuovo rapporto contrattuale.

Il collegio, pur consapevole degli orientamenti altalenanti della giurisprudenza amministrativa sul punto, ritiene che, per le circostanze concrete della fattispecie, sia da preferire senz’altro quello più rigoroso.
Ed invero, l’art. 38 del codice degli appalti, in ragione della sua complessità e delle conseguenti difficoltà interpretative –che ne hanno suggerito, finanche, la parziale modifica da parte del legislatore- ha dato adito a diverse elucubrazioni ermeneutiche confluite, per quel che ci occupa, in due filoni principali.
Per il primo, ispirato al principio del favor partecipationis, l'obbligo di presentare le dichiarazioni di cui all'art. 38 del codice dei contratti pubblici non opera per i procuratori speciali indipendentemente dall'ampiezza dei poteri rappresentativi di cui gli stessi sono investiti, essendo richiesta a tale fine la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza dovendosi "ancorare l'applicazione della norma su basi di oggettivo rigore formale" (Cons. St., V, n. 3069/2011), occorrendo avere riguardo alla posizione formale del singolo nell'organizzazione societaria piuttosto che a malcerte indagini "sostanzialistiche", e ciò anche per non scalfire garanzie di certezza del diritto sotto il profilo della possibilità di partecipare a pubblici appalti (sez. V, n. 513/11 cit., in cui si ribadisce che "una norma che limiti la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa economica delle imprese... assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a situazioni diverse, quale è quella dei procuratori") (cfr. Cons. Stato, sez. V, 06.06.2012, n. 3340).
Per il secondo, dal quale trapela un’esegesi più severa della norma, suggerita anche dall’intento di evitare comportamenti elusivi della disciplina da parte degli operatori, “non sfugge al Collegio l'esistenza di un orientamento giurisprudenziale secondo il quale gli obblighi di cui all'art. 38, comma 1, lettera c), sono riferibili ai soli amministratori della società muniti di poteri di rappresentanza e ai direttori tecnici, ma non anche ai procuratori speciali, con la conseguenza che tali obblighi non incombano anche su questi ultimi" (fra tutte: Cons. Stato, V, 25.01.2011, n. 513).
Tuttavia, si ritiene che prevalenti ragioni sistematiche inducano a preferire la diversa opzione interpretativa secondo cui l'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, nella parte in cui elenca le dichiarazioni di sussistenza dei requisiti morali e professionali richiesti ai fini della partecipazione alle procedure di gara, assume come destinatari tutti coloro che, in quanto titolari della rappresentanza dell'impresa, siano in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell'ordinamento nei riguardi della loro personale condotta, al soggetto rappresentato.
Pertanto, deve ritenersi sussistente l'obbligo di dichiarazione non soltanto da parte di chi rivesta formalmente la carica di amministratore, ma anche da parte di colui che, in qualità di procuratore ad negotia, abbia ottenuto il conferimento di poteri consistenti nella rappresentanza dell'impresa e nel compimento di atti decisionali (sul punto, cfr. -ex multis-: Cons. Stato, V, 09.03.2010, n. 1373; id., VI, 24.11.2009, n. 7380; id., V, 26.01.2009 n. 375).
Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza da ultimo richiamata risultano tanto più persuasive nel caso in esame, laddove è accertato -ad esempio- che al signor Cl. (procuratore speciale della società Projenia) era riconosciuto un ampio potere di rappresentanza negoziale, tale da consentirgli di adottare nei confronti dei soggetti pubblici atti di valore fino a 100mila euro.
Si tratta, come è evidente, di poteri di rappresentanza di rilevanza sostanziale e di contenuto economico tali da giustificare senz'altro l'assoggettamento agli obblighi di cui al più volte richiamato art. 38 (Cons. Stato, sez. VI, 18.01.2012, n. 178).
Tali considerazioni si attagliano perfettamente al caso di specie, dovendosi ravvisare, sulla base della procura versata in atti allo stesso conferita, la titolarità di ampi poteri di rappresentanza in capo al sig. Julian Barrutia Olasolo, in riferimento alla possibilità al medesimo riconosciuta di partecipare alle gare e di firmare contratti, ed in generale ad operare come sostanziale rappresentante della società all’interno dell’intero territorio italiano.
Ciò risulta confermato dalla più volte citata risposta della stazione appaltante alla richiesta di chiarimenti formulata da un concorrente (Precisazioni 9 del 18.07.2012, versato in atti), nella quale la stessa, a fronte della richiesta “se i procuratori sono più di uno, bisognerà fornire tanti allegati B quanto il numero dei procuratori?” aveva risposto affermativamente, evidenziando, in alternativa, la possibilità da parte del concorrente di “produrre, in luogo degli Allegati A e B, unicamente l’Allegato A sottoscritto dal legale rappresentante che elenchi ai punti c) e d) tutti i soggetti indicati nella norma, compresi i procuratori”.
In ogni caso, come asserito finanche dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici nella determinazione n. 4 del 10.10.2012, costituisce causa di esclusione sia la mancanza di uno dei requisiti soggettivi di cui all’art. 38 del Codice, a prescindere dalle indicazioni riportate nel bando di gara, che, oltre all’ipotesi di falsità, l’omissione o l’incompletezza delle dichiarazioni da rendersi ai sensi dell’art. 38 da parte di tutti i soggetti alle stesse tenute. Tali omissioni costituiscono, di per sé, motivo di esclusione dalla procedura ad evidenza pubblica anche in assenza di una espressa previsione del bando di gara (cfr. pag. 8 della deliberazione succitata, oltre che la deliberazione 16.05.2012, n. 74; cfr, altresì, Cons. Stato, sez. III, 04.05.2012, n. 2557).
Del resto, tale interpretazione della norma si ricava anche alla luce delle enunciazioni contenute nella direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, il cui art. 45, intitolato: “situazione personale del candidato o dell’offerente” al par. 1, ultimo alinea, stabilisce che, ai fini del controllo dell’insussistenza dei precedenti penali in capo ai concorrenti, “le richieste riguarderanno le persone giuridiche e/o le persone fisiche, compresi, se del caso, i dirigenti delle imprese o qualsiasi persona che eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo del candidato o dell’offerente”.
L’opzione ermeneutica sostanzialistica preferita dal collegio risponde, dunque, anche ad un canone interpretativo conforme al diritto europeo, dal quale deriva tutta la disciplina sugli appalti pubblici vigente nell’ordinamento italiano.
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iguardo, infine, all’unico motivo aggiunto dedotto da CAF, concernente la asserita violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163/2006, deve premettersi che, per giurisprudenza consolidata, la norma di esclusione non ha carattere sanzionatorio, ma contempla una misura a presidio dell'elemento fiduciario, che esclude di per sé qualsiasi automatismo, perché l'esclusione deve essere il risultato di una "motivata valutazione"; in tema di contenzioso per l'esclusione da gara di appalto ai sensi dell'art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (inadempimenti in precedenti contratti) la decisione di esclusione per "deficit di fiducia" è frutto di una valutazione discrezionale della stazione appaltante, alla quale il legislatore riserva la individuazione del "punto di rottura dell'affidamento" nel pregresso o futuro contraente; pertanto il controllo del g.a. su tale valutazione discrezionale deve essere svolto "ab estrinseco", ed è diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di simulazione, ma non è mai sostitutivo (Cons. Stato, sez. VI, 15.05.2012, n. 2761);
In tema di esclusione da una gara pubblica ex art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006, la gravità della generica negligenza o dell'inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali va commisurata al pregiudizio arrecato alla fiducia, all'affidamento che la stazione appaltante deve poter riporre, "ex ante", nell'impresa cui decide di affidare l'esecuzione di un nuovo rapporto contrattuale (Cons. Stato, sez. V, 21.01.2011, n. 409)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV sentenza 22.01.2013 n. 183 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIAnce: la direttiva Ue sui pagamenti lumaca si applica ai lavori pubblici. Costruttori, crediti ricchi. In caso di ritardo interessi pari all'8,75%.
Anche al settore dei lavori pubblici si applicano i termini previsti della direttiva europea sui ritardati pagamenti. In caso di ritardo, a favore dei costruttori scattano gli interessi nella misura stabilita dal nuovo provvedimento (oggi l'8,75%), non essendo più applicabile la disciplina pregressa (meno favorevole ai creditori).

Sono queste due importanti precisazioni contenute nella circolare 18.01.2013 diffusa ieri dall'Ance per fornire alcune prime indicazioni operative relative all'applicazione del dlgs 192/2012.
Mediante tale provvedimento, come noto, è stato disposto l'integrale recepimento della nuova direttiva europea 2011/7/Ue relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Proprio argomentando a partire dal fatto che il recepimento della direttiva è stato «integrale» e che essa riguarda tutti i settori, compreso quello dell'edilizia, l'Ance afferma che le nuove disposizioni devono ritenersi applicabili anche al settore delle costruzioni.
La questione, in effetti, è piuttosto controversa, anche perché il nuovo decreto si limita a modificare il precedente dlgs 231/2002, il quale non si applicava a tale settore. Sul punto, nei mesi scorsi, è intervento più volte anche il Vice-Presidente della Commissione europea, Antonio Tajani, anch'egli sostenendo la tesi dell'applicazione a 360° della nuova direttiva e quindi dei relativi provvedimenti nazionali di recepimento. Tuttavia, al momento, non si registrano conferme ufficiali da parte del governo. Nelle scorse settimane era stata annunciata una circolare congiunta del ministero dello sviluppo economico, che tuttavia non dovrebbe vedere la luce prima di febbraio.
Altrettanto importante il secondo chiarimento fornito dall'Ance e che riguarda la decorrenza e la misura degli interessi legali di mora in caso di ritardato pagamento. Secondo i costruttori, l'approvazione del dlgs 192 ha comportato alcune modifiche alla disciplina settoriale per i lavori pubblici definita dal codice dei contratti e dal relativo regolamento di esecuzione ed attuazione.
Per effetto di tali modifiche, anche al settore in questione si applica il duplice termine di 30 giorni+30 giorni per la verifica delle prestazioni effettuate (consacrata dall'emanazione del c.d. SAL) e per le operazioni di pagamento. Il primo termine, secondo l'Ance, sostituisce quello di 45 giorni previsto dall'art. 143 del predetto regolamento. Quanto al secondo termine, in base al dlgs 192, esso dovrebbe scattare dal momento della emissione della fattura. In tal caso, tuttavia, l'Ance ritiene che rimanga in vigore la previsione del regolamento, in quanto più favorevole per il creditore: il conto alla rovescia, quindi, scatterebbe dall'emissione del certificato di pagamento, che normalmente arriva prima del rilascio della fattura.
Infine, l'Ance chiarisce che la misura degli interessi di mora è in ogni caso quella prevista dal dlgs 192. Secondo i costruttori, infatti, quest'ultimo ha abrogato i commi 2 e 3 dell'art. 144 del regolamento dei codice dei contratti, che prevedevano che nei primi 60 giorni di ritardo nel pagamento dell'acconto e del saldo si applicasse il tasse legale (oggi pari al 2,5%) e che dal sessantunesimo giorno scattasse il saggio stabilito annualmente con decreto interministeriale (da ultimo fissato al 5,27%).
Nei fatti, con tempi medi di pagamento di circa 8 mesi, i ritardi si registrano sia sul certificato che sul mandato e quindi il tasso legale si applica per i primi 4 mesi di ritardo. Dal 1° gennaio scorso, invece, sin dal primo giorno di ritardo si applica il tasso Bce (per il semestre in corso pari allo 0,75%, come da comunicato del Mef pubblicato sulla G.U. n. 14 del 17.01.2013), maggiorato dell'8%. Secondo l'Ance, in tal modo si corregge la precedente distorsione che portava gli operatori (specialmente negli enti locali) a dare precedenza ai pagamenti in altri settori (articolo ItaliaOggi del 22.01.2013).

APPALTI: Deve ritenersi necessaria e sufficiente una modalità di sigillatura del plico tale da impedire che il plico possa essere aperto e manomesso senza che ne resti traccia visibile. Ne deriva che, anche in caso di mancata osservanza pedissequa e cumulativa di ciascuna delle singole modalità di chiusura contemplate dal disciplinare di gara, deve ritenersi preclusa l’esclusione di un’impresa concorrente in presenza di una modalità di sigillatura comunque idonea a garantire l’ermetica e inalterabile chiusura del plico.
A tal fine, l’uso di un sigillo in ceralacca non può ritenersi strumento esclusivo indispensabile per impedirne la manomissione (apertura + richiusura) a plico inalterato, costituendo invero l’apposizione dei timbri e la controfirma sul lembo di chiusura –da intendersi quale imboccatura della busta soggetta ad operazione di chiusura a sé stante, talché è sufficiente che l’adempimento formale imposto alle imprese concorrenti venga limitato ai lembi della busta chiusi dall’utilizzatore, con esclusione di quelli preincollati dal fabbricante– una modalità di sigillatura di per sé idonea prevenire eventuali manomissioni.

Si premette, in linea di diritto, che alla presente controversia, avente ad oggetto una gara d’appalto indetta con bando di gara del 28.12.2011, è applicabile l’art. 46, comma 1-bis, d.lgs. 16.04.2006, n. 163 –aggiunto dall’art. 4, comma 2, lett. d), d.l. 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla l. 12.07.2011, n.106, secondo la disciplina transitoria dettata dal comma 3 del citato art. 4 applicabile alle procedure i cui bandi siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge–, il quale introduce un criterio d’impronta sostanzialistica nella configurazione delle cause di esclusione dalla gara connesse, tra l’altro, all’irregolare chiusura dei plichi contenenti le offerte o le domande di partecipazione, prevedendo, per quanto qui interessa, che “(…) la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti (…) in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte (…)”, e al contempo comminando la sanzione della nullità per le prescrizioni della lex specialis che contemplino cause di esclusione diverse da quelle tassativamente previste dalla legge.
Nel caso di specie, il disciplinare di gara prevede testualmente che “(…) il plico contenente l’offerta e la documentazione amministrativa dovrà, pena l’esclusione dalla gara: (…) b) essere idoneamente sigillato con ceralacca, timbrato, controfirmato sui lembi di chiusura (…)”.
Orbene, interpretando la citata clausola della lex specialis alla luce del criterio valutativo introdotto dal comma 1-bis dell’art. 46 d.lgs. n. 163 del 2006, in maniera non formalistica al fine di garantire la massima partecipazione alla gara, deve ritenersi necessaria e sufficiente una modalità di sigillatura del plico tale da impedire che il plico potesse essere aperto e manomesso senza che ne restasse traccia visibile. Ne deriva che, anche in caso di mancata osservanza pedissequa e cumulativa di ciascuna delle singole modalità di chiusura contemplate dal disciplinare di gara, deve ritenersi preclusa l’esclusione di un’impresa concorrente in presenza di una modalità di sigillatura comunque idonea a garantire l’ermetica e inalterabile chiusura del plico.
A tal fine, l’uso di un sigillo in ceralacca non può ritenersi strumento esclusivo indispensabile per impedirne la manomissione (apertura + richiusura) a plico inalterato, costituendo invero l’apposizione dei timbri e la controfirma sul lembo di chiusura –da intendersi quale imboccatura della busta soggetta ad operazione di chiusura a sé stante, talché è sufficiente che l’adempimento formale imposto alle imprese concorrenti venga limitato ai lembi della busta chiusi dall’utilizzatore, con esclusione di quelli preincollati dal fabbricante– una modalità di sigillatura di per sé idonea prevenire eventuali manomissioni (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.01.2013 n. 319 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: G.U. 21.01.2013 n. 17 "Linee Guida concernenti la comunicazione alla stazione appaltante degli accertamenti effettuati ai sensi 1-septies del D.L. 06.09.1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.10.1982, n. 726" (Ministero dell'Interno, Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, comunicato 19.12.2012).

LAVORI PUBBLICI: R. Troccoli, SUBAPPALTO, ERGO SUM! - L’Autorità, con un inaspettato parere (non vincolante), cambia direzione e va all’attacco dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di subappalto qualificante. E mentre la Merloni si rivolta nella tomba, gli operatori si interrogano: errore di percorso o definitivo cedimento del sistema di qualificazione per l’esecuzione degli appalti pubblici? (21.01.2013).

APPALTI: Nelle gare d'appalto, una volta accertata la correttezza dell'applicazione del metodo del confronto a coppie ovvero quando non ne sia stato accertato l'uso distorto o irrazionale, non c'è spazio alcuno per un sindacato del Giudice Amministrativo nel merito dei singoli apprezzamenti effettuati ed in particolare sui punteggi attribuiti nel confronto a coppie, che indicano il grado di preferenza riconosciuto ad ogni singola offerta in gara, con l'ulteriore conseguenza che la motivazione delle valutazioni sugli elementi qualitativi risiede nelle stesse preferenze attribuite ai singoli elementi di valutazione considerati nei raffronti con gli stessi elementi delle altre offerte.
Nel caso in cui un bando abbia indicato criteri valutativi dettagliati e adeguati rispetto allo specifico oggetto del contratto messo a gara, e qualora la commissione giudicatrice abbia previamente individuato correlativi criteri motivazionali, con successiva comparazione delle offerte segnalandone i pregi e i difetti, allora non vi è alcun bisogno di integrare, sul piano motivazionale i punteggi attribuiti dai commissari con il metodo del confronto a coppie, dal momento che detti punteggi si limitano a esprimere le varie preferenze accordate, le quali, costituendo il precipitato dei criteri prestabiliti e delle analisi preliminari compiute, si sottraggono all'obbligo di una specifica, ulteriore motivazione.
E' legittima la valutazione resa in termini numerici da una commissione giudicatrice qualora il relativo bando di gara, prevedendo lo svolgimento di siffatta attività mediante il metodo del cd. "confronto a coppie", attribuisca valenza di motivazione al grado di preferenza che ogni commissario attribuisce a ciascuna offerta nel raffronto con le altre.

Va innanzitutto ribadito che, laddove –come nel caso di specie- il metodo di valutazione delle offerte sia quello del c.d. “confronto a coppie”, la motivazione aritmetica è ben sufficiente e non richiede alcun supplemento motivazionale in quanto emerge con chiarezza la preferenza accordata all’uno piuttosto che all’altro elemento (ex multis: “nelle gare d'appalto, una volta accertata la correttezza dell'applicazione del metodo del confronto a coppie ovvero quando non ne sia stato accertato l'uso distorto o irrazionale, non c'è spazio alcuno per un sindacato del Giudice Amministrativo nel merito dei singoli apprezzamenti effettuati ed in particolare sui punteggi attribuiti nel confronto a coppie, che indicano il grado di preferenza riconosciuto ad ogni singola offerta in gara, con l'ulteriore conseguenza che la motivazione delle valutazioni sugli elementi qualitativi risiede nelle stesse preferenze attribuite ai singoli elementi di valutazione considerati nei raffronti con gli stessi elementi delle altre offerte” -Cons. Stato Sez. V, 28-02-2012, n. 1150-; “nel caso in cui un bando abbia indicato criteri valutativi dettagliati e adeguati rispetto allo specifico oggetto del contratto messo a gara, e qualora la commissione giudicatrice abbia previamente individuato correlativi criteri motivazionali, con successiva comparazione delle offerte segnalandone i pregi e i difetti, allora non vi è alcun bisogno di integrare, sul piano motivazionale i punteggi attribuiti dai commissari con il metodo del confronto a coppie, dal momento che detti punteggi si limitano a esprimere le varie preferenze accordate, le quali, costituendo il precipitato dei criteri prestabiliti e delle analisi preliminari compiute, si sottraggono all'obbligo di una specifica, ulteriore motivazione” -Cons. Stato Sez. V, 05-03-2010, n. 01281-; “è legittima la valutazione resa in termini numerici da una commissione giudicatrice qualora il relativo bando di gara, prevedendo lo svolgimento di siffatta attività mediante il metodo del cd. "confronto a coppie", attribuisca valenza di motivazione al grado di preferenza che ogni commissario attribuisce a ciascuna offerta nel raffronto con le altre” -TAR Marche Ancona Sez. I, 10-05-2012, n. 320) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.01.2013 n. 341 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In materia di gare di appalto, in una situazione di obiettiva incertezza (quando cioè le clausole della lex specialis risultino imprecisamente formulate o si prestino comunque ad incertezze interpretative) la risposta dell'amministrazione appaltante ad una richiesta di chiarimenti avanzata da un concorrente non costituisce un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta di interpretazione autentica, con cui l'amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis.
Si rammenta in proposito che, per consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, “in materia di gare di appalto (D.Lgs. n. 163/2006 - Codice degli appalti) in una situazione di obiettiva incertezza (quando cioè le clausole della lex specialis risultino imprecisamente formulate o si prestino comunque ad incertezze interpretative) la risposta dell'amministrazione appaltante ad una richiesta di chiarimenti avanzata da un concorrente non costituisce un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta di interpretazione autentica, con cui l'amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis" (Cons. Stato Sez. V, 17-10-2012, n. 5296) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.01.2013 n. 341 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' ben possibile, ad opera della stazione appaltante, cumulare il compito di responsabile unico del procedimento con l’incarico di presidente della Commissione giudicatrice. Nessuna norma, infatti, neanche l’invocato art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, impedisce espressamente tale cumulo; anzi il comma 4 dell'art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006 ne conferma, indirettamente, la legittimità allorché prevede limiti solo per i commissari diversi dal presidente.
E, d'altronde, la giurisprudenza ha avuto anche modo di precisare che non sussiste incompatibilità tra le funzioni di Presidente della Commissione di gara e quella di responsabile del procedimento-RUP, mentre, per altro verso, l'approvazione degli atti della Commissione non può essere ricompresa nella nozione di controllo, risolvendosi in una revisione interna, connessa alla responsabilità unitaria del procedimento.
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Pur nel doveroso rispetto di quanto prescritto dall’art. 84, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, a norma del quale, qualora la scelta della migliore offerta debba avvenire con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tutti i componenti della commissione, ivi incluso il presidente, devono essere “esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”– questa norma va opportunamente intesa nel senso che l’esperienza richiesta deve essere valutata, vieppiù con riferimento al presidente della commissione ed ai compiti a lui pertinenti, con riferimento non solo alle conoscenze prettamente tecniche, ma anche con riguardo a quelle più genericamente intese come gestionali ed organizzative, in rapporto alla necessità di garantire il coordinamento e la concentrazione del procedimento di gara.
Il comma 2 dell’art. 84 deve, infatti, necessariamente coordinarsi con il successivo comma 3 il quale affida la presidenza della commissione di gara ad un dirigente della medesima stazione appaltante ovvero, in mancanza, ad un funzionario incaricato di funzioni apicali, così legittimando anche la nomina di un funzionario non appartenente a ruoli tecnici specificamente specializzato nel settore. La garanzia dell’“adeguata professionalità”, per l’ipotesi di accertata carenza in organico, è peraltro mantenuta dal successivo comma 8 solo per i componenti della commissione diversi dal suo presidente, con ciò implicitamente confermando che la professionalità di quest’ultimo è già di per sé assicurata dal grado di apicalità (e, quindi, di connesse conoscenze, nonché di esperienza, di natura gestionale ed organizzativa) dal medesimo rivestito nell’ambito dell’amministrazione appaltante.
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Deve ritenersi condivisibile l’orientamento che, in proposito, è di gran lunga prevalente nella giurisprudenza amministrativa secondo cui “la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità dell'attività posta in essere dalla commissione di gara per garantire la custodia di plichi, in assenza di ulteriori elementi idonei a far ipotizzare che si siano verificate in concreto manomissioni o alterazione dei documenti”.
Ciò, sulla scorta dell’ulteriore osservazione secondo cui, in caso di mancata verbalizzazione, allorché non ci siano indizi di segno contrario, si deve presumere che la documentazione di gara sia sempre conservata, a cura del responsabile del procedimento o del presidente della Commissione, in modo tale da non essere accessibile a soggetti estranei: sul dipendente pubblico infatti grava, ratione muneris, l’obbligo del segreto d’ufficio.

Nel merito, non può anzitutto trovare accoglimento il primo motivo di gravame.
Secondo un consistente filone giurisprudenziale –già fatto proprio da questa Sezione sin dalla sentenza n. 459 del 2005 e che questo Collegio condivide– è ben possibile, ad opera della stazione appaltante, cumulare il compito di responsabile unico del procedimento con l’incarico di presidente della Commissione giudicatrice. Nessuna norma, infatti, neanche l’invocato art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, impedisce espressamente tale cumulo; anzi il comma 4 dell'art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006 ne conferma, indirettamente, la legittimità allorché prevede limiti solo per i commissari diversi dal presidente.
E, d'altronde, la giurisprudenza ha avuto anche modo di precisare che non sussiste incompatibilità tra le funzioni di Presidente della Commissione di gara e quella di responsabile del procedimento-RUP, mentre, per altro verso, l'approvazione degli atti della Commissione non può essere ricompresa nella nozione di controllo, risolvendosi in una revisione interna, connessa alla responsabilità unitaria del procedimento (cfr., ex multis, di recente: TAR Basilicata, n. 100 del 2010; TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, n. 474 del 2011; TAR Puglia, Bari, sez. I, n. 1183 del 2012).
Né è degno di positiva disamina l’altro profilo di censura, sollevato nell’ambito del primo motivo di gravame, e riguardante l’asserita inidoneità professionale dell’ing. Leli ad assumere la presidenza della Commissione di gara. Deve, in merito, anzitutto osservarsi che, come si evince dal curriculum vitae depositato in giudizio dalla S.C.R. (doc. n. 14), l’ing. Leli ha partecipato, in ambito sanitario, a diversi gruppi di lavoro nominati dalla Regione Piemonte per la definizione delle specifiche tecniche di diverse categorie merceologiche le quali risultano attinenti a quella per cui è stata bandito l’appalto de quo: “aghi e siringhe, ausili per incontinenza, farmaci, soluzioni infusionali, suturatrici, vaccini, ecc.”: donde deve darsi per appurata la sussistenza di una sua pur minima esperienza nel settore cui si riferiva l’oggetto del contratto per cui è causa (riguardante la fornitura di suturatrici).
Per altro verso, va poi osservato che –pur nel doveroso rispetto di quanto prescritto dall’art. 84, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, a norma del quale, qualora la scelta della migliore offerta debba avvenire con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tutti i componenti della commissione, ivi incluso il presidente, devono essere “esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”– questa norma va opportunamente intesa nel senso che l’esperienza richiesta deve essere valutata, vieppiù con riferimento al presidente della commissione ed ai compiti a lui pertinenti, con riferimento non solo alle conoscenze prettamente tecniche, ma anche con riguardo a quelle più genericamente intese come gestionali ed organizzative, in rapporto alla necessità di garantire il coordinamento e la concentrazione del procedimento di gara, aspetto che di certo risulta soddisfatto in presenza di un presidente –come nella specie– laureato in ingegneria gestionale nonché, già da diversi anni, responsabile dell’“Ufficio Acquisti e Commesse esterne” di S.C.R.
Il comma 2 dell’art. 84 deve, infatti, necessariamente coordinarsi con il successivo comma 3 il quale affida la presidenza della commissione di gara ad un dirigente della medesima stazione appaltante ovvero, in mancanza, ad un funzionario incaricato di funzioni apicali, così legittimando anche la nomina di un funzionario non appartenente a ruoli tecnici specificamente specializzato nel settore (cfr., analogamente, Cons. Stato, sez. V, n. 7353 del 2009). La garanzia dell’“adeguata professionalità”, per l’ipotesi di accertata carenza in organico, è peraltro mantenuta dal successivo comma 8 solo per i componenti della commissione diversi dal suo presidente, con ciò implicitamente confermando che la professionalità di quest’ultimo è già di per sé assicurata dal grado di apicalità (e, quindi, di connesse conoscenze, nonché di esperienza, di natura gestionale ed organizzativa) dal medesimo rivestito nell’ambito dell’amministrazione appaltante.
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Venendo ora al terzo motivo di gravame –concernente la mancata verbalizzazione delle modalità di conservazione dei plichi contenenti le offerte tecniche ed economiche– esso deve respingersi per le ragioni che seguono.
Come già statuito da questo TAR in recenti occasioni (sez. I, sentt. n. 569 e 1180 del 2012), deve ritenersi condivisibile l’orientamento che, in proposito, è di gran lunga prevalente nella giurisprudenza amministrativa secondo cui “la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità dell'attività posta in essere dalla commissione di gara per garantire la custodia di plichi, in assenza di ulteriori elementi idonei a far ipotizzare che si siano verificate in concreto manomissioni o alterazione dei documenti” (Cons. Stato, sez. V, nn. 3079, 4055 e 5456 del 2011; Cons. Stato, sez. III, n. 2908 del 2011 e n. 5050 del 2012; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, n. 424 del 2011; TAR Sicilia, Catania, sez. III, n. 2003 del 2011; TAR Campania, Napoli, sez. I, n. 1496 del 2011).
Ciò, sulla scorta dell’ulteriore osservazione secondo cui, in caso di mancata verbalizzazione, allorché non ci siano indizi di segno contrario, si deve presumere che la documentazione di gara sia sempre conservata, a cura del responsabile del procedimento o del presidente della Commissione, in modo tale da non essere accessibile a soggetti estranei: sul dipendente pubblico infatti grava, ratione muneris, l’obbligo del segreto d’ufficio (così TAR Marche, n. 576 del 2011)
(TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 18.01.2013 n. 85 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Oggetto: Termine del regime transitorio riguardante il regolamento di attuazione del Codice 163/2006 e le categorie SOA variate (ANCE Bergamo, circolare 18.01.2013 n. 20).

LAVORI PUBBLICI: IL RECEPIMENTO DELLA NUOVA DIRETTIVA EUROPEA SUI RITARDI DI PAGAMENTO - Prime indicazioni operative relative all'applicazione del D.Lgs. 09.11.2012 n. 192 (ANCE, circolare 18.01.2013).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Amministrazione aperta e pubblicazione delle determinazioni.
L'affissione di atti all'albo pretorio on-line non esonera l'amministrazione dall'obbligo di pubblicazione anche sul sito istituzionale nel caso in cui gli stessi rientrino nelle categorie per le quali l'obbligo è previsto dalle norme sull'amministrazione aperta di cui all'art. 18 del D.L. 83/2012.
Il Comune rileva che è stato recentemente sostituito, ad opera della legge regionale 21.12.2012, n. 26 (legge di manutenzione dell'ordinamento regionale 2012), l'art. 1, comma 15, della legge regionale 11.12.2003, n. 21, il quale ora prevede la pubblicazione all'interno dei siti informatici propri o di altre pubbliche amministrazioni, oltre che delle deliberazioni, anche delle determinazioni degli enti locali.
L'Ente locale osserva, inoltre, che la Regione Friuli Venezia Giulia ha disciplinato, all'art. 12, commi 26-41, della legge regionale 31.12.2012, n. 27 [1], gli obblighi sull'amministrazione aperta derivanti dall'applicazione dell'art. 18 del decreto legge 22.06.2012, n. 83 [2].
Alla luce di un tanto, il Comune chiede se la pubblicazione all'interno del proprio sito istituzionale delle determinazioni assolva anche alle prescrizioni di cui al citato art. 18 del D.L. 83/2012 ovvero se queste ultime debbano essere comunque rispettate da parte dell'Ente.
Gli obblighi sulla pubblicazione di concessioni, compensi ed altri vantaggi, previsti dall'art. 18 del D.L. 83/2012, come già osservato in altro parere espresso da questo Ufficio [3], trovano applicazione anche per le amministrazioni locali del Friuli Venezia Giulia.
E' pur vero che l'oggetto delle pubblicazioni previste dalle due norme può, in alcuni casi, coincidere, potendo, ad esempio, una determinazione dirigenziale riguardare l'attribuzione di compensi o altri vantaggi economici per i quali l'art. 18 del D.L. 83/2012 prevede la pubblicazione sul sito internet.
Anche in tale caso, però, gli enti devono adempiere agli obblighi previsti dalle due distinte normative, pubblicando, se del caso, sia sull'albo pretorio informatico sia nella sezione 'Trasparenza, valutazione e merito' il medesimo atto qualora richiesto dalle norme citate.
Di un tanto si è avuto conferma in una delibera della Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit), la quale, constatando che la tenuta, anche online, dell'albo pretorio non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 11 del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150 [4], e più in generale delle norme sulla trasparenza, ha espresso l'avviso che l'affissione di atti nell'albo pretorio on-line non esonera l'amministrazione dall'obbligo di pubblicazione anche sul sito istituzionale nel caso in cui tali atti rientrino nelle categorie per le quali l'obbligo è previsto dalla legge [5].
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[1] Come emerge dalla circolare n. 20 del 27.12.2012 della Direzione centrale finanze, patrimonio e programmazione, tali disposizioni si applicano, ai sensi dei commi 40 e 41 dell'art. 12 della L.R. 27/2012, solamente all'amministrazione regionale, agli enti regionali ed alle agenzie regionali e, quindi, non agli enti locali. La norma lascia, tuttavia, aperta l'applicabilità a questi ultimi solamente qualora gli stessi operino in qualità di 'soggetti che gestiscono, per conto della Regione, risorse finalizzate alle concessioni e alle attribuzioni', con riferimento, in particolare, ai casi in cui tali enti siano soggetti delegatari in forza di delegazioni amministrative intersoggettive (v. art. 51 della legge regionale 31.05.2002, n. 14).
[2] Convertito, con modificazioni, dalle legge 7 agosto 2012, n. 134.
[3] V. parere prot. n. 39395 del 14.12.2012 scaricabile dal Portale delle autonomie locali alla pagina http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/.
[4] Norme sulla trasparenza nella pubblica amministrazione, intesa come accessibilità totale anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali.
[5] V. delibera Civit n. 33/2012: 'Rapporti di affissione di atti nell'albo pretorio on-line e il loro obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale dell'Ente'
(18.01.2013 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: Ai fini della validità dei contratti pubblici di appalto, è necessaria, ad substantiam, la forma scritta.
Altresì, nelle procedure di affidamento dei contratti in parola, l'offerta esprime, in via unilaterale e con carattere vincolante, l'impegno negoziale del concorrente ad eseguire l’appalto con prestazioni conformi al relativo oggetto, nonché con modalità tecniche e corrispettivo economico che la qualificano agli effetti della valutazione comparativa sottesa all'aggiudicazione.
In un simile contesto, connotato dalla tassatività della forma scritta e dalla coattività della dichiarazione unilaterale di impegno negoziale da parte del concorrente, la firma serve a rendere nota la paternità ed a vincolare l'autore al contenuto del documento ritraente detta dichiarazione; assolve, cioè, la funzione indefettibile di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell'offerta e costituisce elemento essenziale per la sua ammissibilità, sotto il profilo sia formale sia sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti propri della manifestazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico.
La clausola di gara che imponga la sottoscrizione (anche) della documentazione tecnica da parte del soggetto concorrente corrisponde, dunque, all’illustrata esigenza che l'offerta sia formalmente imputata al soggetto titolato ad assumere le obbligazioni in essa contemplate per l'esecuzione dell’appalto.
Conseguentemente, la mancanza della richiesta sottoscrizione, pregiudicando un interesse sostanziale pubblicistico, comporta che l'offerta non possa essere ‘tal quale’ accettata; non integra, cioè, una mera irregolarità formale, sanabile nel corso del procedimento, ma inficia irrimediabilmente la validità e la ricevibilità della dichiarazione di offerta, senza che, all’uopo, sia necessaria una espressa previsione della lex specialis, stante la diretta comminatoria di esclusione enunciata dall'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163/2006 con riferimento ai “casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione”.
Ciò posto, occorre richiamare in appresso l’orientamento giurisprudenziale formatosi in ordine alla tassatività della sottoscrizione in calce (anche) dell’offerta tecnica, dal quale il Collegio non ritiene di doversi discostare:
- in particolare, una ‘sottoscrizione’ deve, per definizione, essere apposta in calce al documento al quale si riferisce;
- in tale prospettiva, la sottoscrizione conclusiva della dichiarazione di impegno non è stata reputata surrogabile dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti ovvero dall'apposizione della controfirma sui lembi sigillati della busta che la contiene (mirando, quest’ultima formalità, a garantire il principio della segretezza dell'offerta e della integrità del plico, piuttosto che –come, invece, la firma in calce– l’imputazione della manifestazione di volontà al concorrente);
- nella stessa prospettiva, e in omaggio al principio della par condicio tra concorrenti, alla firma in calce di un documento non è equiparabile quella apposta solo in apertura di esso (‘in testa’) ovvero sul solo frontespizio di un testo di più pagine, in quanto unicamente con la firma in calce si manifesta la consapevole assunzione della paternità di una dichiarazione e la responsabilità in ordine al suo contenuto; né, tanto meno, alla firma in calce di singoli ed autonomi documenti è equiparabile la sottoscrizione dell’elenco riproduttivo della mera intitolazione dei documenti medesimi, del cui contenuto rimane, dunque, incerta l’imputabilità al soggetto offerente;
- siffatto approccio è stato, peraltro, mantenuto fermo, anche allorquando sono state ripudiate interpretazioni puramente formali delle regole di gara, essendosi ritenuta conseguita la finalità della sottoscrizione –consistente nell’assicurare la riferibilità della dichiarazione di offerta al relativo presentatore– pur sempre in presenza almeno della sigla in calce di quest’ultimo.

- al riguardo, giova, in primis, rammentare che, ai fini della validità dei contratti pubblici di appalto, è necessaria, ad substantiam, la forma scritta (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 6827/2010; sez. I, n. 1614/2009; n. 19209/2009; sez. III, n. 20340/2010);
- giova, altresì, rammentare che, nelle procedure di affidamento dei contratti in parola, l'offerta esprime, in via unilaterale e con carattere vincolante, l'impegno negoziale del concorrente ad eseguire l’appalto con prestazioni conformi al relativo oggetto, nonché con modalità tecniche e corrispettivo economico che la qualificano agli effetti della valutazione comparativa sottesa all'aggiudicazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 7987/2010);
- in un simile contesto, connotato dalla tassatività della forma scritta e dalla coattività della dichiarazione unilaterale di impegno negoziale da parte del concorrente, la firma serve a rendere nota la paternità ed a vincolare l'autore al contenuto del documento ritraente detta dichiarazione; assolve, cioè, la funzione indefettibile di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell'offerta e costituisce elemento essenziale per la sua ammissibilità, sotto il profilo sia formale sia sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti propri della manifestazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico;
- la clausola di gara che imponga la sottoscrizione (anche) della documentazione tecnica da parte del soggetto concorrente corrisponde, dunque, all’illustrata esigenza che l'offerta sia formalmente imputata al soggetto titolato ad assumere le obbligazioni in essa contemplate per l'esecuzione dell’appalto;
- conseguentemente, la mancanza della richiesta sottoscrizione, pregiudicando un interesse sostanziale pubblicistico, comporta che l'offerta non possa essere ‘tal quale’ accettata (cfr. TAR Liguria, Genova, sez. II, n. 630/2010); non integra, cioè, una mera irregolarità formale, sanabile nel corso del procedimento, ma inficia irrimediabilmente la validità e la ricevibilità della dichiarazione di offerta, senza che, all’uopo, sia necessaria una espressa previsione della lex specialis (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5547/2008; sez. IV, n. 1832/2010; sez. V, n. 528/2011; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, n. 5498/2010), stante la diretta comminatoria di esclusione enunciata dall'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163/2006 con riferimento ai “casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione”;
- ciò posto, occorre richiamare in appresso l’orientamento giurisprudenziale formatosi in ordine alla tassatività della sottoscrizione in calce (anche) dell’offerta tecnica, dal quale il Collegio non ritiene di doversi discostare;
- in particolare, una ‘sottoscrizione’ –ha osservato Cons. Stato, sez. V, n. 2317/2912, con riferimento ad una fattispecie omologa a quella dedotta nel presente giudizio– deve, per definizione, essere apposta in calce al documento al quale si riferisce;
- in tale prospettiva, la sottoscrizione conclusiva della dichiarazione di impegno non è stata reputata surrogabile dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1832/2010) ovvero dall'apposizione della controfirma sui lembi sigillati della busta che la contiene (mirando, quest’ultima formalità, a garantire il principio della segretezza dell'offerta e della integrità del plico, piuttosto che –come, invece, la firma in calce– l’imputazione della manifestazione di volontà al concorrente: cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 528/2011);
- nella stessa prospettiva, e in omaggio al principio della par condicio tra concorrenti, alla firma in calce di un documento non è equiparabile –prosegue Cons. Stato, sez. V, n. 2317/2912– quella apposta solo in apertura di esso (‘in testa’) ovvero –come nel caso dei sopra indicati elaborati prodotti in gara dall’ATI Italimpianti– Matera – sul solo frontespizio di un testo di più pagine, in quanto unicamente con la firma in calce si manifesta la consapevole assunzione della paternità di una dichiarazione e la responsabilità in ordine al suo contenuto (cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. III, n. 625/2011; TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, n. 634/2012); né, tanto meno, alla firma in calce di singoli ed autonomi documenti è equiparabile –a dispetto degli assunti delle ricorrenti principali– la sottoscrizione dell’elenco riproduttivo della mera intitolazione dei documenti medesimi, del cui contenuto rimane, dunque, incerta l’imputabilità al soggetto offerente;
- siffatto approccio è stato, peraltro, mantenuto fermo, anche allorquando sono state ripudiate interpretazioni puramente formali delle regole di gara, essendosi ritenuta conseguita la finalità della sottoscrizione –consistente nell’assicurare la riferibilità della dichiarazione di offerta al relativo presentatore– pur sempre in presenza almeno della sigla in calce di quest’ultimo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 8933/2010) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 17.01.2013 n. 368 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare, ok alla partecipazione con irregolarità fiscali ''pendenti''.
Ai fini della partecipazione alle gare pubbliche d'appalto non può essere considerata irregolare la posizione dell'impresa (partecipante) qualora sia ancora pendente il termine di sessanta giorni per l'impugnazione del provvedimento che imputa la commissione di violazioni gravi degli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse (o per l'adempimento) ovvero, qualora sia stata proposta impugnazione, non sia ancora passata in giudicato la pronuncia giurisdizionale.
L'adempimento o la contestazione nei termini decadenziali all'uopo fissati dalla legge implica che in precedenza le violazioni non potessero reputarsi definitivamente accertate.
Il Collegio ritiene, pertanto, che il giudice di primo grado abbia correttamente fatto applicazione dei condivisibili principi contenuti nella circolare n. 34/E del 25.05.2007, con la quale l'Agenzia delle entrate ha fornito gli indirizzi operativi ai propri uffici locali in merito alle modalità di attestazione della regolarità fiscale delle imprese partecipanti a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, alla luce della nuova normativa introdotta dal codice dei contratti pubblici.
Secondo la menzionata circolare vi è regolarità fiscale quando, alternativamente:
- a carico dell'impresa, non risultino contestate violazioni tributarie mediante atti ormai definitivi per decorso del termine di impugnazione, ovvero, in caso di impugnazione, qualora la relativa pronuncia giurisdizionale sia passata in giudicato;
- in caso di violazioni tributarie accertate, la pretesa dell'amministrazione finanziaria risulti, alla data di richiesta della certificazione, integralmente soddisfatta, anche mediante definizione agevolata.
La circolare precisa inoltre che non può essere considerata irregolare la posizione dell'impresa partecipante qualora sia ancora pendente il termine di sessanta giorni per l'impugnazione (o per l'adempimento) ovvero, qualora sia stata proposta impugnazione, non sia passata ancora in giudicato la pronuncia giurisdizionale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.01.2013 n. 261 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICINell’ipotesi di opere realizzate in regime di concessione, la responsabilità per le indennità ed i risarcimenti nei confronti di terzi sono esclusivamente a carico del soggetto concessionario, qualora tale conclusione risulti conforme alle previsioni contenute nella disciplina del titolo concessorio.
In particolare, è stato affermato che in questi casi l’ente sostituto (cioè il concessionario) agisce per l’esecuzione dell’opera non in rappresentanza dell’Amministrazione sostituita, ma per competenza propria e spendendo il proprio nome di persona giuridica diversa, assumendo quindi di fronte all’espropriato o al titolare del bene occupato tutti gli obblighi relativi o derivanti dal procedimento (inclusi quelli risarcitori), con esclusione della legittimazione passiva del concedente, anche nel caso in cui quest’ultimo risulti il beneficiario delle opere realizzate.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito, confermando sul punto un consistente indirizzo della giurisprudenza di merito, che, nell’ipotesi di opere realizzate in regime di concessione, la responsabilità per le indennità ed i risarcimenti nei confronti di terzi sono esclusivamente a carico del soggetto concessionario, qualora tale conclusione risulti conforme alle previsioni contenute nella disciplina del titolo concessorio.
In particolare, la Suprema Corte (cfr. Cass. Civ., Sez. I, n. 5630/2012; Cass. Civ., Sez. I, n. 26261/2007; Cass. Civ., Sez. I., n. 11139/2003 e Cass. Civ., Sez. Un., n. 388/2000) ha affermato che in questi casi l’ente sostituto (cioè il concessionario) agisce per l’esecuzione dell’opera non in rappresentanza dell’Amministrazione sostituita, ma per competenza propria e spendendo il proprio nome di persona giuridica diversa, assumendo quindi di fronte all’espropriato o al titolare del bene occupato tutti gli obblighi relativi o derivanti dal procedimento (inclusi quelli risarcitori), con esclusione della legittimazione passiva del concedente, anche nel caso in cui quest’ultimo risulti il beneficiario delle opere realizzate (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 17.01.2013 n. 79 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: G.U. 17.01.2013 n. 14 "Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali - periodo 01.01.-30.06.2013" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, comunicato).

APPALTI: L'interpretazione degli atti amministrativi, ivi compreso il bando di gara pubblica, soggiace alle stesse regole dettate dall'art. 1362 e ss. c.c. per l'interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all'interpretazione letterale in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, dovendo in ogni caso il giudice ricostruire l'intento dell'Amministrazione, ed il potere che essa ha inteso esercitare, in base al contenuto complessivo dell'atto (cd. interpretazione sistematica), tenendo conto del rapporto tra le premesse ed il suo dispositivo e del fatto che, secondo il criterio di interpretazione di buona fede ex art. 1366 c.c., gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla P.A. di operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative.
Conseguentemente, solo in caso di oscurità ed equivocità delle clausole del bando e degli atti che regolano i rapporti tra cittadini e Amministrazione può ammettersi una lettura idonea a tutela dell'affidamento degli interessati in buona fede, non potendo generalmente addebitarsi al cittadino un onere di ricostruzione dell'effettiva volontà dell'Amministrazione mediante complesse indagini ermeneutiche ed integrative.

Come è noto, per conforme giurisprudenza di questo Consiglio, l'interpretazione degli atti amministrativi, ivi compreso il bando di gara pubblica, soggiace alle stesse regole dettate dall'art. 1362 e ss. c.c. per l'interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all'interpretazione letterale in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, dovendo in ogni caso il giudice ricostruire l'intento dell'Amministrazione, ed il potere che essa ha inteso esercitare, in base al contenuto complessivo dell'atto (cd. interpretazione sistematica), tenendo conto del rapporto tra le premesse ed il suo dispositivo e del fatto che, secondo il criterio di interpretazione di buona fede ex art. 1366 c.c., gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla P.A. di operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 05.09.2011, n. 4980).
Da tale premessa, deriva, quale diretto corollario, la regola secondo la quale solo in caso di oscurità ed equivocità delle clausole del bando e degli atti che regolano i rapporti tra cittadini e Amministrazione può ammettersi una lettura idonea a tutela dell'affidamento degli interessati in buona fede, non potendo generalmente addebitarsi al cittadino un onere di ricostruzione dell'effettiva volontà dell'Amministrazione mediante complesse indagini ermeneutiche ed integrative
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.01.2013 n. 238 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Le verifiche che devono essere effettuate su un progetto in gara devono, ovviamente, rispondere ad uno specifico ed oggettivo interesse dell’Amministrazione; in particolare, con riguardo al progetto definitivo, non solo le verifiche devono riguardare la documentazione espressamente stabilita all’art. 93, comma 4, del Codice, ma devono anche controllare che esso sia stato redatto nel rispetto delle esigenze, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabilite nel progetto preliminare secondo le indicazioni fornite dall’Amministrazione nell’esercizio della sua potestà discrezionale.
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L’inosservanza delle prescrizioni del capitolato speciale prestazionale in ordine alla documentazione (asseverazione dei progettisti) da allegare all’offerta tecnica (progetto definitivo), implica l’esclusione dalla gara in quanto si tratta di prescrizione rispondente ad un particolare interesse dell’Amministrazione appaltante: speditezza dell’azione amministrativa e del buon funzionamento dell’operato dell’apparato organizzativo chiamato a verificare la rispondenza degli elaborati del progetto definitivo prescelto ai documenti di cui all’art. 93, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 163/2006 e la loro conformità alla normativa vigente.
L’asseverazione del progetto definitivo richiesto in gara è, quindi, finalizzato all’accelerazione del procedimento di validazione ex art. 47 D.P.R. 554/1999 che costituisce fase necessaria e prodromica all’affidamento dei lavori, cui non può prescindersi, atteso che il procedimento di D.I.A., cui si riferisce l’appellante presuppone invece il già avvenuto affidamento dei lavori; pertanto, la relativa disciplina sull’asseverazione del progetto opera su di un piano logico-temporale e regolamentare non sovrapponibile a quello in esame.

In via generale, peraltro, è noto che le verifiche che devono essere effettuate su un progetto in gara devono, ovviamente, rispondere ad uno specifico ed oggettivo interesse dell’Amministrazione; in particolare, con riguardo al progetto definitivo, non solo le verifiche devono riguardare la documentazione espressamente stabilita all’art. 93, comma 4, del Codice, ma devono anche controllare che esso sia stato redatto nel rispetto delle esigenze, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabilite nel progetto preliminare secondo le indicazioni fornite dall’Amministrazione nell’esercizio della sua potestà discrezionale.
La descritta clausola di cui all’art. 9, comma 7, del capitolato speciale, relativamente all’asseveramento dei progettisti sulla rispondenza del progetto al disposto di cui all’art. 47 del D.P.R n, 554/1999, rientra a pieno titolo in tale potestà discrezionale della stazione appaltante che può prevedere negli atti di gara un onere documentale a carico delle ditte concorrenti e a pena di esclusione ulteriore rispetto alle disposizioni vigenti in materia, purché detto onere sia ragionevole.
La suddetta prescrizione appare del tutto adeguata all’effettivo controllo che ha inteso effettuare la stazione appaltante.
Infatti, l’inosservanza delle prescrizioni del capitolato speciale prestazionale in ordine alla documentazione (asseverazione dei progettisti) da allegare all’offerta tecnica (progetto definitivo), implica l’esclusione dalla gara in quanto si tratta di prescrizione rispondente ad un particolare interesse dell’Amministrazione appaltante: speditezza dell’azione amministrativa e del buon funzionamento dell’operato dell’apparato organizzativo chiamato a verificare la rispondenza degli elaborati del progetto definitivo prescelto ai documenti di cui all’art. 93, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 163/2006 e la loro conformità alla normativa vigente.
Inoltre, con tale prescrizione la stazione appaltante ha evidentemente inteso tutelarsi nei confronti degli autori del progetto nell’eventualità in cui, nonostante il rilascio della dichiarazione di asseverazione, dopo la conclusione del procedimento amministrativo si renda necessario apportare al progetto prescelto integrazioni, perfezionamenti e miglioramenti, al fine di eliminare gli errori o le omissioni della progettazione.
L’asseverazione del progetto definitivo richiesto in gara è, quindi, finalizzato all’accelerazione del procedimento di validazione ex art. 47 D.P.R. 554/1999 che costituisce fase necessaria e prodromica all’affidamento dei lavori, cui non può prescindersi, atteso che il procedimento di D.I.A., cui si riferisce l’appellante presuppone invece il già avvenuto affidamento dei lavori; pertanto, la relativa disciplina sull’asseverazione del progetto opera su di un piano logico-temporale e regolamentare non sovrapponibile a quello in esame.
In sostanza, la validazione operata dalla stazione appaltante e il controllo sul progetto definitivo effettuato dal Comune nel procedimento di D.I.A., non possono essere assimilati dato che presentano un diverso campo d’applicazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.01.2013 n. 238 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZILa Corte di Giustizia ha manifestato preferenza per un approccio sostanzialista in tema di raggruppamenti temporanei di imprese e, per logica estensione, riguardo ai raggruppamenti temporanei di professionisti, specificando, con riguardo all’istituto dell’avvalimento, ma con ricadute di carattere sistematico sul piano generale, che “la direttiva 92/50 va interpretata nel senso che consente ad un prestatore, per comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara d'appalto ai fini dell'aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi, di far riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto”.
Il Collegio muove, anzitutto, dal principio di libertà di scelta delle forme di collaborazione tra imprese, che costituisce diretta derivazione del diritto comunitario e rappresenta, pertanto, il canone di interpretazione dell’art. 53 del D.lgs. 163/2006, norma da leggere nel senso del pieno riconoscimento della facoltà di articolare liberamente i rapporti professionali tra concorrenti e progettisti.
A tal riguardo, occorre, infatti, richiamare l’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia, che ha manifestato preferenza per un approccio sostanzialista in tema di raggruppamenti temporanei di imprese e, per logica estensione, riguardo ai raggruppamenti temporanei di professionisti, specificando, con riguardo all’istituto dell’avvalimento, ma con ricadute di carattere sistematico sul piano generale, che “la direttiva 92/50 va interpretata nel senso che consente ad un prestatore, per comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara d'appalto ai fini dell'aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi, di far riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto” (cfr. Corte giustizia CE, sez. V, 02.12.1999, C-176/98).
Sulla scorta di tale principio ermeneutico, il Collegio si associa all’orientamento, reiteratamente affermato in giurisprudenza (cfr., tra le tante, TAR Lazio – Roma, sez. I, 17.04.2008 n. 3305), e fatto proprio dalle società ricorrenti in via principale, secondo cui i progettisti non assumono la qualità di concorrenti, né quella di titolari del rapporto contrattuale con l’Amministrazione in caso di eventuale aggiudicazione.
Non può, quindi, ritenersi compatibile con la disciplina comunitaria, improntata al visto principio di liberalizzazione delle forme di collaborazione professionale, l’interpretazione restrittiva dell’art. 37, comma 8, sostenuta dalla ricorrente incidentale, non potendosi in alcun modo giustificare l’eventuale esclusione dalla procedura di gara per mancanza della dichiarazione “D” (cfr. pag. 7 del disciplinare di gara) relativa all’impegno dei professionisti ad impegnarsi a costituire un raggruppamento per l’esecuzione dei servizi di progettazione: previsione che, pur prevedendo la comminatoria di esclusione, deve considerarsi come non apposta per contrasto diretto con il diritto comunitario.
Le medesime considerazioni conducono il Collegio a ritenere infondato anche il secondo motivo del ricorso incidentale, nel quale è stata dedotta la mancata indicazione, nella documentazione amministrativa delle ricorrenti principali, del professionista laureato con meno di cinque anni di iscrizione all’albo professionale.
E ciò, non soltanto in ragione della tradizionale interpretazione della disposizione di cui all’art. 253, comma 5, del D.P.R. 207/2010 (e, prima di questa, dell’art. 51 del D.P.R. 554/1999), finalizzata a promuovere la partecipazione dei giovani professionisti onde garantire a questi la possibilità di svolgere “un utile apprendistato e arricchire il proprio bagaglio curricolare” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 24.10.2006, n. 6347), quanto, altresì, in esito all’esame obiettivo della disciplina di gara (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.01.2013 n. 128 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISussiste l’onere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di invito solo per quelle prescrizioni che impediscono “in limine” la partecipazione alla procedura di determinati soggetti, e che non richiedono alcuna significativa attività interpretativa, fissando i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva “con prescrizioni inequivoche”.
La decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29/01/2003 n. 1 ha ritenuto esservi un onere di immediata impugnazione:
a) delle clausole del bando che, imponendo requisiti soggettivi di ammissione non posseduti dal concorrente, gli impediscono in via immediata e diretta la partecipazione;
b) delle clausole del bando in quei limitati casi in cui gli oneri imposti all'interessato ai fini della partecipazione risultino manifestamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale.
In tutti gli altri casi le clausole del bando e degli altri documenti di gara vanno impugnate unitamente agli atti della procedura concretamente ed immediatamente lesivi.
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L’art. 83, comma 4, del D.Lgs. 12/04/2006 n. 163, nello stabilire che il bando di gara, per ciascun criterio di valutazione prescelto, può prevedere (ove necessario) sub-criteri e sub-pesi o sub-punteggi, ha effettuato una scelta che trova giustificazione nell'esigenza di ridurre gli apprezzamenti soggettivi della commissione giudicatrice, garantendo in tale modo l'imparzialità delle valutazioni nell’essenziale tutela della par condicio tra i concorrenti, i quali sono tutti messi in condizione di formulare un'offerta che consenta di concorrere effettivamente all’aggiudicazione del contratto in gara.
E’ stato anche ripetutamente affermato che –quanto alla valutazione delle offerte da parte della commissione di gara– l’attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica è accettabile soltanto in presenza di parametri di valutazione (con sotto-voci e relativi punteggi) sufficientemente analitici, tali da ridurre gli spazi di discrezionalità tecnica rimessi all’organo collegiale, con la delimitazione del giudizio tra un minimo ed un massimo entro cui effettuare la graduazione dei punteggi in conformità ai criteri. Diversamente, l’obbligo motivazionale dovrà essere assolto attraverso i tradizionali canoni di esternazione mediante i verbali, per cui è necessario che, oltre al punteggio numerico, sia espresso un giudizio motivato con il quale la commissione espliciti le ragioni del punteggio attribuito.
I principi generali, anche di matrice comunitaria, di uguaglianza e trasparenza dell’azione amministrativa esigono in buona sostanza di definire preventivamente le modalità di valutazione delle offerte e di garantire –ex post– la leggibilità delle decisioni adottate dalla stazione appaltante, e quindi la controllabilità della sua attività ai sensi degli artt. 24 e 113 della Costituzione.

Sussiste l’onere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di invito solo per quelle prescrizioni che impediscono “in limine” la partecipazione alla procedura di determinati soggetti, e che non richiedono alcuna significativa attività interpretativa, fissando i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva “con prescrizioni inequivoche” (TAR Lombardia Milano, sez. IV – 21/11/2012 n. 2828). La decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29/01/2003 n. 1 ha ritenuto esservi un onere di immediata impugnazione:
a) delle clausole del bando che, imponendo requisiti soggettivi di ammissione non posseduti dal concorrente, gli impediscono in via immediata e diretta la partecipazione;
b) delle clausole del bando in quei limitati casi in cui gli oneri imposti all'interessato ai fini della partecipazione risultino manifestamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale (Consiglio di Stato, sez. VI – 14/11/2012 n. 5748).
In tutti gli altri casi le clausole del bando e degli altri documenti di gara vanno impugnate unitamente agli atti della procedura concretamente ed immediatamente lesivi (cfr. ex plurimis Consiglio di Stato, sez. V – 06/06/2012 n. 3344).
Nel caso esaminato il ricorso introduttivo è stato tempestivamente proposto nei confronti dell’esclusione dalla gara, mentre con la disposta riammissione i connotati dei parametri di valutazione, le modalità di assegnazione dei punteggi e di nomina della Commissione hanno assunto una valenza pregiudizievole soltanto in seguito alla disposta aggiudicazione a favore della vincitrice.
Il profilo afferente alla violazione dell’art. 83 del D. Lgs. 163/2006, dell’art. 283 del D.P.R. 207/2010 e del principio di trasparenza, e all’eccesso di potere per indeterminatezza, difetto dei presupposti e di istruttoria è fondato.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr. per tutte Consiglio di Stato, sez. V – 12/06/2012 n. 3445), l’art. 83, comma 4, del D.Lgs. 12/04/2006 n. 163, nello stabilire che il bando di gara, per ciascun criterio di valutazione prescelto, può prevedere (ove necessario) sub-criteri e sub-pesi o sub-punteggi, ha effettuato una scelta che trova giustificazione nell'esigenza di ridurre gli apprezzamenti soggettivi della commissione giudicatrice, garantendo in tale modo l'imparzialità delle valutazioni nell’essenziale tutela della par condicio tra i concorrenti, i quali sono tutti messi in condizione di formulare un'offerta che consenta di concorrere effettivamente all’aggiudicazione del contratto in gara.
E’ stato anche ripetutamente affermato che –quanto alla valutazione delle offerte da parte della commissione di gara– l’attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica è accettabile soltanto in presenza di parametri di valutazione (con sotto-voci e relativi punteggi) sufficientemente analitici, tali da ridurre gli spazi di discrezionalità tecnica rimessi all’organo collegiale, con la delimitazione del giudizio tra un minimo ed un massimo entro cui effettuare la graduazione dei punteggi in conformità ai criteri. Diversamente, l’obbligo motivazionale dovrà essere assolto attraverso i tradizionali canoni di esternazione mediante i verbali, per cui è necessario che, oltre al punteggio numerico, sia espresso un giudizio motivato con il quale la commissione espliciti le ragioni del punteggio attribuito (Consiglio di Stato, sez. VI – 08/03/2012 n. 1332).
I principi generali, anche di matrice comunitaria, di uguaglianza e trasparenza dell’azione amministrativa esigono in buona sostanza di definire preventivamente le modalità di valutazione delle offerte e di garantire –ex post– la leggibilità delle decisioni adottate dalla stazione appaltante, e quindi la controllabilità della sua attività ai sensi degli artt. 24 e 113 della Costituzione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 16.01.2013 n. 36 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIOggetto: Appunto n. 1/13: "Nuovi obblighi per la firma del contratto di appalto" (Istituto Etico per l'Osservazione e la Promozione degli Appalti, appunto 16.01.2013 n. 1/2013).

APPALTIAccesso: know-how eccepibile solo se coperto da segreto tecnico.
E’ illegittimo il rigetto di una istanza ostensiva avanzata dalla ditta seconda classificata in graduatoria, tendente ad ottenere copia dell’offerta presentata dall’aggiudicataria, che sia motivato con riferimento alla necessità di tutelare la segretezza del know-how aziendale e quella relativa ai rapporti commerciali, nel caso in cui, da un lato, la domanda di accesso sia stata avanzata a fini difensivi, e dall’altro, l’attività da svolgere a seguito dell’aggiudicazione dell’appalto sia sostanzialmente priva di un segreto tecnico o commerciale.
L’art 13, comma 5, lett. a), del D. Lgs. n. 163 del 2006, richiamato nel provvedimento di diniego, spiegano i giudici del Tribunale amministrativo di Milano, ha introdotto un'ipotesi di speciale deroga rispetto alla disciplina di cui alla legge n. 241 del 1990, da applicare esclusivamente nei casi in cui l'accesso sia inibito in ragione della tutela di segreti tecnici o commerciali motivatamente evidenziati dall'offerente in sede di presentazione dell'offerta.
Ma in questa occasione, chiariscono i giudici lombardi, l’Ente in causa ha richiamato la disposizione sopra riportata, senza tuttavia rappresentare quali fossero le specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e commerciale, in riferimento a precisi dati tecnici, dati che avrebbero già dovuti essere indicati in sede di offerta. Mentre di tale indicazione non vi è alcuna prova. La disposizione si riferisce infatti a documentazione suscettibile di rivelare il know-how industriale e commerciale contenuto nelle offerte delle imprese partecipanti, in modo da evitare che operatori economici in diretta concorrenza tra loro possano utilizzare l'accesso per giovarsi delle specifiche conoscenze possedute da altri, al fine di conseguire un indebito vantaggio commerciale all'interno del mercato.
E’ difficile, concludono gli stessi giudici, immaginare in un servizio di manutenzione del verde, in cui sono utilizzati ordinari mezzi agricoli e viene utilizzato personale tecnico con funzioni di operatore giardiniere, quale possa essere il "segreto tecnico o commerciale" da tutelare, dal momento che ciò che assume maggiore rilevanza, anche in termini di punteggio nella gara, è l’aspetto organizzativo del servizio (cioè la ripartizione del lavoro, la tipologia di interventi operativi, il contratto di lavoro applicato e il piano di formazione dei dipendenti) ambito in cui non è configurabile un know-how commerciale o industriale (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -  TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 15.01.2013 n. 116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIIn forza di tali nozioni (cioè quelle di mero servizio e servizio pubblico, n.d.r.) non vi è dubbio che il servizio di pubblica illuminazione debba essere considerato servizio pubblico, poiché dell'erogazione dello stesso, da parte dell'appaltatore, beneficia direttamente ed esclusivamente la collettività (o il singolo utente) senza alcuna intermediazione del Comune nello svolgimento del processo produttivo.
Ciò chiarito, al fine di verificare la fondatezza della tesi sostenuta da parte ricorrente, si rende, dunque, preliminarmente necessario accertare se il servizio di illuminazione pubblica possa essere considerato un servizio pubblico locale ovvero un semplice servizio di cui l’ente locale appalta la fornitura per poter espletare la propria attività.
Sul punto il Collegio ritiene di poter condividere la tesi già affermata da questo Tribunale (cfr la sentenza TAR Brescia 27.12.2007, n. 1373), secondo cui: “In forza di tali nozioni (cioè quelle di mero servizio e servizio pubblico, n.d.r.) non vi è dubbio che il servizio di pubblica illuminazione debba essere considerato servizio pubblico, poiché dell'erogazione dello stesso, da parte dell'appaltatore, beneficia direttamente ed esclusivamente la collettività (o il singolo utente) senza alcuna intermediazione del Comune nello svolgimento del processo produttivo” (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.01.2013 n. 30 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 15.01.2013, "Approvazione iniziativa anno 2013 per l’accesso ai contributi in conto interessi a valere sui mutui dell’Istituto per il credito sportivo per la realizzazione di impianti sportivi di uso pubblico in Lombardia" (decreto D.S. 19.12.2012 n. 12338).

APPALTI: Una interpretazione -costituzionalmente orientata e coerente con le norme di legge- della clausola del bando, che consente alla Pubblica amministrazione “la facoltà di annullare la gara senza che le partecipanti possano avanzare richiesta per eventuali rimborsi, compensi o indennizzi a qualsiasi titolo", comporta che i soli “indennizzi” esclusi in via preventiva sono quelli che non presuppongono responsabilità della Pubblica Amministrazione, non essendo al contrario ammissibile una limitazione preventiva della responsabilità per illecito della P.A..
Come è infatti noto (e come sarà meglio di seguito esposto), sia il provvedimento di revoca (ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990), sia il provvedimento di annullamento di ufficio (ex art. 1, co. 136, l. n. 311/2004), prevedono forme di indennizzo dei soggetti direttamente interessati.
L’obbligo di indennizzo gravante sulla Pubblica Amministrazione non presuppone elementi di responsabilità della stessa, ma si fonda su valori puramente equitativi presi in considerazione dal legislatore, onde consentire il giusto bilanciamento tra il perseguimento dell’interesse pubblico attuale da parte dell’amministrazione e la sfera patrimoniale del destinatario (incolpevole) dell’atto di revoca o di annullamento, al quale non possono essere addossati integralmente i conseguenti sacrifici.
Orbene, se tale forma di indennizzo, pur prevista dalla legge, può essere esclusa da un atto della pubblica amministrazione (nel caso di specie, dal bando di gara), con il quale si richiede, in sostanza, al privato un atto unilaterale abdicativo di un diritto patrimoniale (e quindi disponibile), e ciò proprio in quanto l’attribuzione dell’indennizzo non dipende da responsabilità dell’amministrazione stessa; al contrario la pubblica amministrazione non può adottare atti ovvero pretendere dal privato, in via preliminare e quale condizione di partecipazione ad un procedimento amministrativo volto alla individuazione di un (futuro) contraente, un atto abdicativo del diritto alla tutela giurisdizionale avverso atti e/o comportamenti (anche futuri) della stessa pubblica amministrazione illegittimi o illeciti, (eventualmente) causativi di danno e quindi di responsabilità per il suo risarcimento.
Tale clausola –lungi dal giustificarsi sostenendo che la stessa è, in definitiva, riferita a diritti patrimoniali disponibili– nella misura in cui esclude in via preventiva la responsabilità della P.A. per illecito, si risolve in una limitazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione contra legem (argomentando ex art. 1229 cod. civ.), ed in violazione degli artt. 28 e 97 Cost..
Alla luce di quanto esposto, deve affermarsi che una interpretazione -costituzionalmente orientata e coerente con le norme di legge innanzi evocate- della clausola del bando, che consente alla Pubblica amministrazione “la facoltà di annullare la gara senza che le partecipanti possano avanzare richiesta per eventuali rimborsi, compensi o indennizzi a qualsiasi titolo", comporta che i soli “indennizzi” esclusi in via preventiva sono quelli che non presuppongono responsabilità della Pubblica Amministrazione, non essendo al contrario ammissibile una limitazione preventiva della responsabilità per illecito della P.A.
Nel caso di specie, quindi, non è la natura dell’atto (revoca e non annullamento) ad escludere il diritto alla tutela giurisdizionale dei partecipanti alla gara, onde far accertare dal giudice la eventuale responsabilità dell’amministrazione (in ciò concordando con l’amministrazione appellante che estende l’interpretazione della clausola a tutti gli atti adottati in esercizio del potere di autotutela).
Ciò che rende ammissibile la domanda di accertamento della responsabilità della P.A. (e, se del caso, di conseguente condanna della medesima al risarcimento del danno) è la irriferibilità della clausola medesima alle ipotesi in cui si controverte, appunto, di responsabilità della P.A., nei sensi innanzi chiariti (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.01.2013 n. 156 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nel caso di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, la misura del risarcimento comprende anche il danno curriculare.
L’intervenuta stipulazione di un contratto di appalto non costituisce circostanza preclusiva all’esercizio del potere di annullamento di ufficio; pertanto, è ben possibile l’esercizio di potere di autotutela sugli atti di gara, nonostante la (eventuale) adozione di un atto di aggiudicazione provvisoria ed anche in presenza di contratto stipulato.

Lo evidenzia il Consiglio di Stato, IV Sez., con la sentenza 14.01.2013 n. 156.
Il Collegio, poi, rileva che, secondo un orientamento affermato in giurisprudenza, il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale da parte della P.A. a seguito della mancata stipula dal contratto, debba intendersi limitato:
a) al rimborso dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto (danno emergente);
b) al ristoro della perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe stato realizzato con la stipulazione e l'esecuzione del contratto
A tali voci, ritiene il Collegio che possa essere aggiunto il cd. “danno curriculare”, cioè quel danno consistente nell’impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito.
Ciò nei casi in cui la responsabilità precontrattuale della P.A. non si configura con riferimento ad una interruzione delle trattative, che determina la mancata stipula del contratto, intervenuta in un generico momento delle stesse, bensì laddove si era già addivenuti alla sicura individuazione del contraente, a maggior ragione se per il tramite dell’aggiudicazione definitiva ed in presenza di un contenuto contrattuale già compiutamente definito, per il tramite del bando di gara e dell’offerta aggiudicataria (commento tratto da www.diritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non basta affermare il mero difetto di custodia dei plichi per concludere l’illegittimità della procedura, servendo piuttosto un serio e non emulativo principio di prova da cui dedurre, con ragionevole probabilità, come l’imprecisione nelle modalità della loro conservazione sia causa di sottrazione o di manomissione dei plichi stessi.
Né al riguardo occorre che il seggio di gara, nell’incipit del verbale di ciascuna seduta, ribadisca che i plichi siano ben custoditi o, alla fine, impartisca la medesima regola di conservazione già posta all’inizio, stante l’inutilità d’entrambe le precisazioni che si danno invece per implicite, ove la situazione di fatto non si scopra alterata o non venga modificata.

Parimenti da respingere è la censura con cui l’appellante si duole della sentenza che, a suo dire, avrebbe errato nel non tener in considerazione le sue osservazioni sulla non corretta conservazione e custodia dei plichi contenenti l’offerta.
Prescindendo da ogni considerazione sull’ammissibilità di detta censura, consta in atti che il seggio di gara, fin dalla sua prima seduta, diede disposizioni al RUP per la conservazione dei plichi stessi presso il di lui ufficio e sotto la di lui responsabilità. L’integrità dei plichi fu fatta verificare dal seggio di gara, nella seduta del 02.12.2011 e prima della loro apertura, ai rappresentanti delle imprese, compresi il direttore degli affari legali e l’amministratore unico della Società appellante, procedendo quindi alla lettura delle offerte economiche.
D’altro canto, non basta affermare il mero difetto di custodia dei plichi per concludere l’illegittimità della procedura, servendo piuttosto un serio e non emulativo principio di prova da cui dedurre, con ragionevole probabilità, come l’imprecisione nelle modalità della loro conservazione sia causa di sottrazione o di manomissione dei plichi stessi. Né al riguardo occorre che il seggio di gara, nell’incipit del verbale di ciascuna seduta, ribadisca che i plichi siano ben custoditi o, alla fine, impartisca la medesima regola di conservazione già posta all’inizio, stante l’inutilità d’entrambe le precisazioni che si danno invece per implicite, ove la situazione di fatto non si scopra alterata o non venga modificata (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 14.01.2013 n. 148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In presenza del generale obbligo di custodia dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione appaltante, è da presumere che lo stesso sia stato assolto con l'adozione delle ordinarie garanzie di conservazione degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei relativi plichi. In tal caso, la generica doglianza, secondo cui le buste contenenti le offerte, non sarebbero state adeguatamente custodite è irrilevante allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto e specifico atto a far ritenere che si possa esser verificata la sottrazione o la sostituzione dei medesimi plichi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante al fini della regolarità della procedura.
Per altro verso, non nega il Collegio che sussista un preciso obbligo, per la stazione appaltante, di predisporre adeguate cautele a tutela dell'integrità dei predetti plichi. Questo, pur in mancanza di precise norme positive al riguardo, discende necessariamente dalla stessa ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara ad evidenza pubblica. Infatti, di per sé l'integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti all'incanto è uno degli elementi sintomatici della segretezza di queste e della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità consacrati dall'art. 97 Cost..
È ben consapevole tuttavia il Collegio che la mera affermazione, senza indicazione a verbale d’una qualche misura acconcia a garantire la continuità della conservazione dei plichi, di manomissioni giammai avvenute potrebbe di fatto risolversi in una probatio diabolica, a carico dell'impresa interessata, in ordine alla non genuinità della documentazione esaminata. Invero, lasciare al seggio di gara il mero assunto della perfetta regolarità delle operazioni su documenti intatti, senza ulteriori precisazioni, appare altrettanto nocivo quanto l’astratta asserzione dell’omessa verbalizzazione della custodia, con conseguente ineluttabile declaratoria d’illegittimità dell’intera gara. Nell’un caso, per vero, sarebbe in pratica se non impossibile, certo molto complesso dimostrare in modo rigoroso tal manomissione e, quindi, ottenere la corrispondente tutela; nell’altro caso, la mera allegazione di un qualunque difetto di verbalizzazione, su rigide modalità di custodia dei plichi, ridondi sempre e senza rimedio in danno alla trasparenza dell’azione amministrativa, determinando l’annullamento della gara, al di là d’ogni diversa situazione di fatto.
Pare allora al Collegio che una più cauta e seria linea interpretativa o, meglio, integrativa dell’art. 78 del Dlgs 163/2006 serva ad offrire all’interessato non già una sorta d’inversione dell’onere della prova da questi alla stazione appaltante, bensì una più precisa distribuzione di tal onere tra i due soggetti del rapporto procedimentale. Tanto affinché tal integrazione non si risolva nella distorsione dei canoni di logicità e di buon andamento dell’attività amministrativa anche nei casi di evidenza pubblica, se non, addirittura, in un controllo meramente formale della verbalizzazione, più che del riscontro oggettivo dei fatti.
In pratica, la stazione appaltante ha la piena disponibilità e l’integrale responsabilità della conservazione degli atti di gara, cui in corso del procedimento l’interessato non può subito accedere, giusta quanto stabilito dal’art. 13, c. 2, del Dlgs 163/2006. Sicché essa ha l’onere di dimostrare, a fronte di una seria e non emulativa allegazione presuntiva dell’interessato circa un effetto di non genuinità degli atti stessi e fermo il diritto d’accesso, di dar idonea contezza dell’efficacia dei metodi di custodia in concreto adoperati, a tal fine dimostrandola non solo con il verbale (che di per sé ha fede privilegiata), ma pure con ogni idoneo mezzo di prova. Nella specie, l’appellante incidentale non ha dedotto fatti e circostanze suscettibili di generare un ragionevole dubbio sull’inidoneità della conservazione dei plichi da parte dell’ASL appellante principale, mentre questa ha fornito alcuni precisi principi di prova contraria.

La Sezione sul punto ha già chiarito (cfr. Cons. St., III, 02.08.2012 n. 4422; id., 21.09.2012 n. 5050) che, in presenza del generale obbligo di custodia dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione appaltante, è da presumere che lo stesso sia stato assolto con l'adozione delle ordinarie garanzie di conservazione degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei relativi plichi. In tal caso, la generica doglianza, secondo cui le buste contenenti le offerte, non sarebbero state adeguatamente custodite è irrilevante allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto e specifico atto a far ritenere che si possa esser verificata la sottrazione o la sostituzione dei medesimi plichi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante al fini della regolarità della procedura.
Per altro verso, non nega il Collegio che sussista un preciso obbligo, per la stazione appaltante, di predisporre adeguate cautele a tutela dell'integrità dei predetti plichi. Questo, pur in mancanza di precise norme positive al riguardo, discende necessariamente dalla stessa ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara ad evidenza pubblica. Infatti, di per sé l'integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti all'incanto è uno degli elementi sintomatici della segretezza di queste e della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità consacrati dall'art. 97 Cost.
Nondimeno, nella specie, dà atto il TAR che, come verbalizzato, il RUP ha disposto di «…custodire i plichi contenenti le offerte tecniche… fino alla individuazione della commissione giudicatrice che dovrà valutarle, ed alla conseguente trasmissione degli atti di gara alla stessa…». Inoltre, egli ha dichiarato a verbale di conservare tali offerte e le buste delle offerte economiche in un armadio chiuso, presso la sede dell’UOS Politiche approvvigionamenti dell’Azienda. Né basta: dai verbali delle operazioni s’evince, di volta in volta, l’apertura di plichi intonsi, nonché la firma apposta sulla prima pagina, da parte d’almeno un componente del seggio di gara, di tutti i documenti esaminati in seduta riservata. Reputa, dunque, il Collegio che siffatte operazioni dimostrino, al di là della minore o maggior solennità nell’indicazione in verbale di quali accorgimenti adoperati per preservare detti plichi, che di possibili manomissioni non sussistano indizi di sorta, donde la sufficienza in concreto delle cautele poste in essere.
È ben consapevole tuttavia il Collegio che la mera affermazione, senza indicazione a verbale d’una qualche misura acconcia a garantire la continuità della conservazione dei plichi, di manomissioni giammai avvenute potrebbe di fatto risolversi in una probatio diabolica, a carico dell'impresa interessata, in ordine alla non genuinità della documentazione esaminata. Invero, lasciare al seggio di gara il mero assunto della perfetta regolarità delle operazioni su documenti intatti, senza ulteriori precisazioni, appare altrettanto nocivo quanto l’astratta asserzione dell’omessa verbalizzazione della custodia, con conseguente ineluttabile declaratoria d’illegittimità dell’intera gara. Nell’un caso, per vero, sarebbe in pratica se non impossibile, certo molto complesso dimostrare in modo rigoroso tal manomissione e, quindi, ottenere la corrispondente tutela; nell’altro caso, la mera allegazione di un qualunque difetto di verbalizzazione, su rigide modalità di custodia dei plichi, ridondi sempre e senza rimedio in danno alla trasparenza dell’azione amministrativa, determinando l’annullamento della gara, al di là d’ogni diversa situazione di fatto.
Pare allora al Collegio che una più cauta e seria linea interpretativa o, meglio, integrativa dell’art. 78 del Dlgs 163/2006 serva ad offrire all’interessato non già una sorta d’inversione dell’onere della prova da questi alla stazione appaltante, bensì una più precisa distribuzione di tal onere tra i due soggetti del rapporto procedimentale. Tanto affinché tal integrazione non si risolva nella distorsione dei canoni di logicità e di buon andamento dell’attività amministrativa anche nei casi di evidenza pubblica, se non, addirittura, in un controllo meramente formale della verbalizzazione, più che del riscontro oggettivo dei fatti. In pratica, la stazione appaltante ha la piena disponibilità e l’integrale responsabilità della conservazione degli atti di gara (arg. ex Cons. St., III, 03.03.2011 n. 1368), cui in corso del procedimento l’interessato non può subito accedere, giusta quanto stabilito dal’art. 13, c. 2, del Dlgs 163/2006. Sicché essa ha l’onere di dimostrare, a fronte di una seria e non emulativa allegazione presuntiva dell’interessato circa un effetto di non genuinità degli atti stessi e fermo il diritto d’accesso, di dar idonea contezza dell’efficacia dei metodi di custodia in concreto adoperati, a tal fine dimostrandola non solo con il verbale (che di per sé ha fede privilegiata), ma pure con ogni idoneo mezzo di prova. Nella specie, l’appellante incidentale non ha dedotto fatti e circostanze suscettibili di generare un ragionevole dubbio sull’inidoneità della conservazione dei plichi da parte dell’ASL appellante principale, mentre questa ha fornito alcuni precisi principi di prova contraria (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 14.01.2013 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE: Acquisti in economia di energia elettrica e gas.
Per l'approvvigionamento delle categorie di beni contemplate dall'art. 1, comma 7, del D.L. 95/2012 (energia elettrica, gas, carburanti, combustibili per riscaldamento e telefonia), gli enti possono esperire autonome procedure ad evidenza pubblica in cui i corrispettivi siano inferiori a quelli previsti dalle convenzioni Consip attualmente disponibili, sottoponendo tali contratti alla condizione risolutiva prescritta dalla legge.
Non pare, però, possibile utilizzare in tali circostanze le procedure in economia in quanto, ai sensi dell'art. 125 del D.Lgs. 163/2006, le stesse, individuate nell'amministrazione diretta e nel cottimo fiduciario, prevedono modalità semplificate di affidamento rispetto alle procedure ad evidenza pubblica richieste dalla legge.

L'Ente afferma di avere recentemente affidato ad una ditta la fornitura di gas naturale e di energia elettrica per un anno, per un importo inferiore a 40.000 euro, in base al proprio regolamento per gli acquisti in economia e dopo avere constatato che la ditta aveva applicato un 'ribasso unico maggiore rispetto ai prezzi fissati dalla Convenzione Consip'.
Con riferimento a quanto previsto dall'art. 1, commi 7 e 8, del decreto legge 06.07.2012, n. 95
[1], l'Ente chiede di sapere se la procedura utilizzata possa ritenersi corretta.
Sentito il Servizio provveditorato e servizi generali di questa Direzione centrale e premesso che questo Ufficio può solo esprimere considerazioni di ordine generale in merito all'applicazione delle norme, si formulano le seguenti osservazioni.
L'art. 1, comma 7, del D.L. 95/2012 stabilisce una disciplina speciale per l'approvvigionamento per le pubbliche amministrazioni di beni, quali energia elettrica, gas, carburanti, combustibili per riscaldamento e telefonia.
Ivi si richiede che la fornitura di tali beni avvenga utilizzando le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip o da centrali di committenza regionali ovvero attraverso proprie autonome procedure, nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione resi disponibili dai soggetti sopra indicati.
La legge di conversione ha introdotto, come alternativa, la possibilità di procedere ad affidamenti che conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure ad evidenza pubblica i cui corrispettivi siano inferiori (e, quindi, migliorativi) rispetto a quelli delle convenzioni e degli accordi quadro messi a disposizione da Consip e dalle centrali regionali di committenza. In tale caso, i contratti dovranno essere sottoposti a condizione risolutiva, con possibilità di adeguamento da parte del contraente, per il caso in cui intervengano convenzioni Consip o delle centrali regionali di committenza che prevedano condizioni economiche di maggiore vantaggio.
L'art. 1, comma 8, del D.L. 95/2012 stabilisce che sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa i contratti stipulati in violazione di quanto previsto dal comma 7.
Per l'approvvigionamento delle categorie di beni contemplate dalla norma, gli enti possono, perciò, esperire autonome procedure ad evidenza pubblica
[2] in cui i corrispettivi siano inferiori a quelli previsti dalle convenzioni Consip attualmente disponibili, sottoponendo tali contratti alla condizione risolutiva prescritta dalla legge.
Per quanto riguarda la possibilità di utilizzare le procedure in economia per gli acquisti di tali categorie di beni, anche se con il beneficio di condizioni migliorative rispetto a quelle offerte dalle convenzioni di cui all'art. 1, comma 7, del D.L. 95/2012, si osserva che, ai sensi dell'art. 125 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), tali procedure, individuate nell'amministrazione diretta e nel cottimo fiduciario
[3], prevedono modalità semplificate di affidamento rispetto alle procedure ad evidenza pubblica.
Infatti, il cottimo fiduciario di cui al citato art. 125, 'procedura negoziata in cui le acquisizioni avvengono mediante affidamenti a terzi' (comma 4), nel caso di forniture o servizi di importo pari o superiore a quarantamila euro, deve avvenire nel 'rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici' (comma 11, primo periodo).
Come rilevato dalla giurisprudenza, «Siamo quindi in presenza di una procedura negoziata la quale, pur procedimentalizzata, non richiede tuttavia il necessario rispetto dello specifico assetto disciplinare predisposto dal Codice dei contratti pubblici per le procedure aperte e ristrette, com'è peraltro reso evidente dal richiamo al rispetto dei 'principi', cioè dei contenuti valoristici sostanziali della trasparenza, parità di trattamento ecc. senza tuttavia il necessario ossequio di tutti i passaggi procedurali in cui tali principi si inverano nelle procedure concorsuali ordinarie.»
[4].
Si ritiene che tali considerazioni valgano tanto più nell'ipotesi di cottimo fiduciario diretto, prevista dall'ultimo periodo del comma 11 dell'art. 125 del Codice dei contratti, secondo cui 'Per servizi o forniture inferiori a quarantamila euro, è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento'.
Atteso che, allo stato, si sono rinvenute solamente pronunce che sottolineano la diversità delle regole alla base delle procedure in economia rispetto a quelle ad evidenza pubblica e, quindi, la non assimilabilità tra le stesse
[5], si ritiene che l'applicabilità delle norme sugli acquisti in economia in relazione alle categorie merceologiche in esame potrebbe essere sostenuta soltanto nel caso in cui fosse fatta propria dal legislatore o dalla giurisprudenza una interpretazione estensiva del concetto di 'procedure ad evidenza pubblica', di cui all'art. 1, comma 7, del D.L. 95/2011.
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[1] Convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 07.08.2012, n. 135.
[2] L'evidenza pubblica è un procedimento caratterizzato da una sequenza di fasi volte, da una parte, a garantire la legittima e corretta formazione della volontà contrattuale pubblica e, dall'altra, attraverso la trasparenza delle fasi (e in particolare di quella relativa alla scelta del contraente) ad assicurare la concorrenzialità della procedura.
Secondo la ripartizione classica, le procedure ad evidenza pubblica si compongono di cinque fasi: determinazione a contrarre, scelta del contraente, aggiudicazione, stipulazione ed approvazione del contratto (v. 'Manuale di diritto amministrativo', Elio Casetta, 2001, Giuffrè, pagg. 517 e ss. e 'Manuale di diritto amministrativo', Francesco Caringella, 2011, Dike, pagg. 1385-1386).
La procedura dell'evidenza pubblica prevede particolari modalità di scelta del contraente, funzionalizzate al perseguimento dell'obiettivo della trasparenza, l'individuazione della modalità selettiva è effettuata con il bando che costituisce la lex specialis della procedura: le più rilevanti forme selettive contemplate dal codice dei contratti pubblici sono le procedure aperte, le procedure ristrette (entrambe utilizzabili in via generale) e le procedure negoziate (che possono avere luogo in ipotesi eccezionali e residuali).
[3] Il cottimo fiduciario, la procedura che nel caso in esame riveste maggiore interesse, si sostanzia nel fatto che l'ufficio competente stabilisce direttamente, sotto la sua responsabilità, accordi con ditte di fiducia, senza che necessiti esperire una gara per la scelta del cottimista e senza che occorra per il perfezionamento del contratto la sua approvazione (v. 'servizi e forniture in economia nel codice dei contatti', Dauno F.G. Trebastoni, relazione presentata al convegno su 'La gestione delle forniture alla luce del nuovo codice degli appalti', organizzato a S. Alessio Siculo (Me) il 27.10.2006, dall'Associazione Regionale Economi Provveditorati Siciliani).
[4] Così, TAR Toscana, Firenze, sez. I, 11.09.2008, n. 1989 e 04.05.2012, n. 868.
[5] V. Tar Bari Puglia, 05.10.2009, n. 2348; Tar Toscana Firenze, sez. I, 22.12.2009, n. 3988, ove si afferma che: 'Non sono applicabili alle procedure in economia e, in particolare, al cottimo fiduciario, le norme del Codice dei contratti pubblici. Il cottimo fiduciario è una procedura negoziata la quale, ancorché procedimentalizzata, non esige l'osservanza di tutte le regole tipiche dell'evidenza pubblica'.
Sussistono opinioni dottrinali che sembrano, invece, ammettere l'inclusione all'interno degli affidamenti ad evidenza pubblica anche delle procedure negoziate, come quella del cottimo fiduciario, se attuate nel rispetto concreto dei principi di trasparenza e pubblicità.
L'Anci, nel parere dd. 13.12.2012, ha ritenuto che anche una procedura negoziata, quale quella del cottimo fiduciario, possa essere considerata ad evidenza pubblica, purché per essa sia prevista la pubblicazione del bando di gara, con esclusione pertanto dei casi di affidamento diretto.
Secondo alcuni autori, inoltre, il 'cottimo fiduciario' fa parte del sistema in economia solo nominalmente: per sostanza giuridica esso sarebbe integralmente un pubblico appalto (nel senso comunitario del termine), di valore inferiore alla soglia comunitaria, come tale affidabile in modalità semplificata, purché nel rispetto dei principio di trasparenza (cfr. 'Le procedure in economia', Alessandro Massari, 2012, Maggioli Editore, pag. 25)
(14.01.2013 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: La responsabilità solidale negli appalti. Come e a chi si applica l'articolo 13-ter del decreto crescita (articolo ItaliaOggi Sette del 14.01.2013).

APPALTI: G. Giustiniani, IL TERMINE PER L’IMPUGNAZIONE E L’ANNULLAMENTO D’UFFICIO DEGLI ATTI DI GARA (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: V. Capuzza, LE ESCLUSIONI NON CODIFICATE DAL D.LGS. N. 163/2006 E DAL D.P.R. 207/2010 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: A. Bonanni, L'AVVALIMENTO NELLE PROCEDURE DI GARA - BREVE COMMENTO ALLA DETERMINAZIONE N. 2 DELL’01.08.2012 DELL’AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI - ENTI LOCALITrasparenza boomerang. Contratti p.a. inefficaci senza pubblicità. La norma del dl crescita sta mettendo in difficoltà le amministrazioni.
Efficacia di contratti, contributi ed incarichi di collaborazione condizionata dalla pubblicazione sul sito degli enti.
Con il 2013 entra a regime la disposizione cosiddetta «amministrazione aperta», contenuta nell'articolo 18 del dl 83/2012, convertito in legge 1234/2012.
Dovrebbe trattarsi, nell'ispirazione, di una disposizione di «semplificazione» ispirata ai principi della trasparenza totale (tratti dal Freedom of information act, molto di moda in campagna elettorale). Nella realtà è, invece, un'ennesima complicazione burocratica, che sta mettendo in serie difficoltà le amministrazioni.
La norma, come noto, impone di pubblicare sul sito di ciascuna amministrazione, nella sezione «trasparenza e valutazione» una rilevante serie di informazioni riguardanti «la concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese e l'attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere di cui all'articolo 12» della legge 241/1990.
I problemi posti dalla norma sono molteplici. In primo luogo, la sua obbligatorietà. Fino al 31.12.2012 la sua mancata applicazione non comportava conseguenze.
Col 2013 le cose cambiano radicalmente. Ai sensi del comma 5 del citato articolo 18, infatti, «a decorrere dal 01.01.2013, per le concessioni di vantaggi economici successivi all'entrata in vigore del presente decreto legge, la pubblicazione ai sensi del presente articolo costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante delle concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare».
Questo significa che non sarà sufficiente l'efficacia del provvedimento di aggiudicazione (ma del resto è sempre stato così), ma perfino la stessa stipulazione del contratto non saranno sufficienti perché le obbligazioni contratte siano produttive di effetti. Per meglio esemplificare, la stipulazione del contratto non è più presupposto per la legittima ordinazione della prestazione. Occorre necessariamente che il contratto sia pubblicato e solo successivamente le parti possono legittimamente darvi corso, o, nel caso di contributi, erogare la somma prevista.
Tanto è rilevante l'adempimento che nel caso di violazione scatta «la diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per l'indebita concessione o attribuzione del beneficio economico».
Inoltre, il beneficiario e chiunque altro vi abbia interesse può a sua volta far rilevare la mancata, incompleta o ritardata pubblicazione, anche allo scopo di ottenere l'eventuale risarcimento del danno da ritardo.
Non solo, dunque, dirigenti, responsabili di servizio e uffici dovranno stare molto attenti alla formalità burocratica, ma si pone il problema del formato della pubblicazione. Prendendo l'articolo 18 alla lettera occorre che i dati pubblicati siano «resi di facile consultazione, accessibili ai motori di ricerca ed in formato tabellare aperto che ne consente l'esportazione, il trattamento e il riuso».
La gran parte delle amministrazioni non si è ancora dotata del sistema informatico per pubblicare i dati così come richiede il legislatore (si veda ItaliaOggi di ieri).
C'è da chiedersi, allora, se l'adempimento che condiziona l'efficacia dei contratti e dei contributi sia non solo legato alla pura e semplice pubblicazione, ma anche alla sua effettuazione nel formato previsto. In questo secondo caso, sarebbero innumerevoli le irregolarità da parte di moltissime amministrazioni.
Sembra doversi dare, tuttavia, rilievo alla sostanza della norma, che impone la pubblicità, consistendo il formato della stessa una formalità di dettaglio che non può inficiare l'efficacia dei provvedimenti pubblicati.
A meno di non intendere l'articolo 18 (le cui conseguenze operative non sono state certamente ben considerate dall'estensore del testo) come una norma che inchiodi per lunghi mesi ogni attività amministrativa. Il che, oggettivamente, appare una conseguenza parossistica ed inaccettabile (articolo ItaliaOggi del 12.01.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Gare, trasparenza per tutti. Documenti in copia anche a chi non partecipa all'appalto. Il Consiglio di stato allarga la platea dei soggetti tutelati se vi sono interessi qualificati.
Appalti più trasparenti per tutti. Anche chi non ha partecipato alla gara può avere la copia dei documenti presentati dall'aggiudicatario. E non solo di quelli amministrativi sui requisiti di partecipazione, ma anche sui progetti relativi alle offerte tecniche.
La giurisprudenza del Consiglio di stato (Sez. VI sentenza 11.01.2013 n. 110, si veda ItaliaOggi del 16.01.2013) apre le porte a tutti, purché portatori di un interesse qualificato, senza riserva per le imprese concorrenti, nonostante il codice degli appalti sembri favorire i concorrenti alla gara a discapito degli altri.
Il problema è se deve ritenersi vincente la trasparenza degli atti che riguardano procedure pubbliche o se, invece, debba darsi prevalenza all'esigenza delle imprese di tenere segrete e riservate le informazioni sui processi produttivi, organizzazione del lavoro, know how e caratteristiche dei propri prodotti e servizi.
Non rappresenta un paradosso pensare a una strumentalizzazione delle disposizioni sulla trasparenza per lo scopo di copiare servizi, prodotti o progetti da proporre sul mercato, magari in altre pubbliche gare.
L'articolo 13 del codice dei contratti cerca di bilanciare gli opposti interessi. D'altra parte lo stesso Consiglio di stato, nella sentenza citata, ricorda che l'articolo 13 del Codice dei contratti contiene specifiche previsioni in materia di accesso ai documenti di gara, e prescrive l'inaccessibilità o l'accessibilità riservata ai soli ricorrenti, i documenti che costituiscono, con motivata e comprovata dichiarazione degli offerenti, segreti tecnici o commerciali.
Tuttavia, osservano i giudici di Palazzo Spada, l'articolo 13 del Codice degli appalti fa espresso rinvio alla legge n. 241 del 1990 ed in particolare dall'articolo 24, per il quale spetta ai richiedenti l'accesso ai documenti la cui conoscenza è necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici.
Inoltre si legge nella sentenza «la tutela del diritto di accesso assicura la trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, indipendentemente dall'effettiva lesione di una determinata situazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo»: come dire anche chi non ha partecipato alla gara può vantare un interesse (qualificato) ad acquisire la documentazione.
Nel caso specifico si è trattato di una società che ha attivato un ricorso parallelo per impugnare la gara, alla quale non ha potuto partecipare.
La trasparenza si estende al massimo e ne beneficia anche un soggetto che non è stato concorrente nella procedura di appalto.
L'orientamento del Consiglio di stato è significativo in quanto supera un precedente indirizzo contrario. Il Tar Lazio Roma, sentenza Sez. III-ter, 10/05/2011, n. 4081 ha sostenuto che il comma 6 dell'articolo 13 del codice degli appalti consente l'accesso agli atti coperti da segreti tecnici e commerciali, contenuti nelle offerte, riservandolo, però «al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso».
Secondo il Tar Lazio l'articolo 13 collega l'interesse all'accesso alla posizione giuridica non di chiunque vi abbia interesse, ma del solo concorrente che abbia intrapreso un giudizio avente ad oggetto la procedura di gara in cui l'istanza di accesso è formulata.
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Limitazioni all'accesso per evitare pressioni o accordi illegittimi.
L'articolo 13 del codice degli appalti prevede una disciplina ad hoc, pur richiamando le regole generali della legge 241/1990.
Innanzi tutto la norma stabilisce un rinvio dell'accesso a determinate fasi della procedura. Nel dettaglio il diritto di accesso è differito: nelle procedure aperte, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime nelle procedure ristrette e negoziate, e in ogni ipotesi di gara informale, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, e in relazione all'elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è consentito l'accesso all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare.
Inoltre si verifica il differimento, in relazione alle offerte, fino all'approvazione dell'aggiudicazione e, in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell'offerta, fino all'aggiudicazione definitiva.
Le limitazioni all'accesso hanno l'obiettivo di preservare la correttezza della gara ed evitare accordi illegittimi o pressioni indebite.
Altra limitazione è rappresentata dai casi di esclusione del diritto di accesso. L'accesso e ogni forma di divulgazione sono vietati in relazione alle informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali; a eventuali ulteriori aspetti riservati delle offerte, da individuarsi in sede di regolamento; ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici; alle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto.
C'è però un'eccezione al divieto di accesso ai segreti tecnici e commerciali e agli aspetti riservati delle offerte: lo stesso articolo 13 del codice appalti prevede che «è comunque consentito l'accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso». Quest'ultima disposizione sembra limitare l'accesso alle offerte (motivato dal diritto di difesa) al solo concorrente, e non a terzi. Ma è su questo punto che la giurisprudenza amministrativa mostra un'apertura a una maggiore trasparenza.
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Resta protetto il know how industriale e commerciale.
Nelle gare pubbliche va tutelato anche il know how aziendale.
Non può, infatti, di regola essere data copia della documentazione sul know how industriale e commerciale contenuto nelle offerte delle imprese partecipanti. Questo per evitare che operatori economici in diretta concorrenza tra loro possano utilizzare l'accesso per giovarsi delle specifiche conoscenze possedute da altri al fine di conseguire un indebito vantaggio commerciale all'interno del mercato. Anche in questo caso, però, è consentito l'accesso al concorrente (ma anche ai terzi portatori di un interesse qualificato stando all'ultimo orientamento del consiglio di stato) che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi (Tar Lazio Roma Sez. III, 21/03/2011, n. 2422).
Tra l'altro le imprese non devono dimenticarsi che per stendere un velo sulle proprie informazioni riservate devono farlo presente alla stazione appaltante: quando gli atti di gara cui l'interessato chieda di avere accesso concernano informazioni fornite dall'azienda partecipante nell'ambito dell'offerta, ma costituiscono nel contempo segreti tecnici o commerciali della stessa, l'esclusione del diritto di visionare ed estrarre copia degli atti amministrativi trova applicazione solo a condizione che l'impresa cui le informazioni si riferiscono abbia manifestato il proprio interesse alla non divulgazione delle stesse (Cons. di stato Sez. VI sent., 19/10/2009, n. 6393).
E le imprese non devono neppure dimenticarsi che a loro carico sussiste l'onere della prova della segretezza o riservatezza delle informazioni inserite nelle offerte presentate nelle gare pubbliche.
Il Codice degli appalti, spiega il Consiglio di stato (sentenza Sez. V, 21/11/2011, n. 6136), nel prevedere l'esclusione dall'accesso per «le informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime», esige a tal fine che le medesime integrino segreti tecnici o commerciali «secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente». Quindi l'esclusione dall'accesso opera solo se il concorrente interessato adempie allo specifico onere di fornire motivata dichiarazione comprovante che effettivamente siano in questione informazioni integranti segreti tecnici o commerciali.
E comprovare non significa solo affermare, ma significa spiegare le ragioni per le quali si può parlare di segreto o riservatezza aziendale. Residua alla stazione appaltante anche una valutazione relativa alla congruità della motivazione e anche sull'idoneità delle giustificazioni. Anche un parere legale acquisito dalla stazione appaltante può essere acquisito. Purché il parere si riferisca ad una fase endoprocedimentale amministrativa (per esempio, al fine dell'adozione di successivi provvedimenti, che vi fanno espresso riferimento) e non riguardi una lite in atto o potenziale, ovvero una fase precontenziosa (Cons. di stato Sez. V, 23/06/2011, n. 3812) (articolo ItaliaOggi Sette del 28.01.2013).

APPALTIAccessibili a tutti le carte delle gare.
Ammesso l'accesso agli atti sull'offerta tecnica dell'aggiudicatario di un appalto anche per chi non ha partecipato alla gara; prevale la legge sul procedimento amministrativo rispetto al Codice dei contratti pubblici.

È questo l'interessante principio affermato dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 11.01.2013 n. 110.
Nella fattispecie esaminata, una società non partecipante a una gara di appalto aveva instaurato un giudizio tendente a contestare gli atti di gara chiedendo l'annullamento della procedura di gara e riservandosi la facoltà di presentare motivi aggiunti una volta esaminati i documenti richiesti (offerta dell'aggiudicatario provvisorio).
In primo grado il Tar Lazio (sentenza n. 4081/2011) aveva rigettato (con silenzio-rifiuto) la domanda di accesso sostenendo, fra le altre cose, che la disciplina del codice dei contratti pubblici (articolo 13) , pur rinviando alla legge 241/1990, ammette l'accesso soltanto al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi, mentre la società non aveva assunto un ruolo da partecipante. Il Consiglio di stato ribalta la sentenza di primo grado e ritiene che l'articolo 13, comma 6, del Codice contenga specifiche previsioni in materia di accesso ai documenti di gara che, però, non possono essere tali da impedire la tutela generalizzata sul buon esito del procedimento garantita dalla legge sul procedimento amministrativo.
In particolare, secondo i giudici, lo stesso articolo 13, nel richiamare la legge 241, rende applicabile alla disciplina degli appalti pubblici anche l'articolo 24 della normativa del 1990, per il quale spetta ai richiedenti l'accesso ai documenti la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici. E, al di là di quanto disciplinato dal Codice dei contratti pubblici, dice la sentenza, non può non riconoscersi che «con la tutela del diritto di accesso il legislatore ha voluto assicurare all'amministrato la trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, indipendentemente dall'effettiva lesione di una determinata situazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo».
In altre parole, quindi, prevale l'interesse generale stabilito dalle disciplina della legge 241 in quanto è il complessivo interesse alla trasparenza dell'azione amministrativa a dovere prevalere sugli specifici interessi soggettivi. Ancorché disciplina «speciale», quella del Codice, deve ritenersi quindi recessiva rispetto a quella generale (articolo ItaliaOggi del 16.01.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: L’aggiudicazione provvisoria costituisce un mero atto endoprocedimentale, la cui autonoma impugnabilità è condizionata, ai fini della sua procedibilità, dalla tempestiva impugnazione con motivi aggiunti anche dell’aggiudicazione definitiva che successivamente intervenga.
La ricorrente Philips ha impugnato, con l'atto introduttivo del giudizio, la comunicazione di aggiudicazione ricevuta in data 13.08.2012, comunicazione con la quale la ricorrente è stata informata dell'avvenuta aggiudicazione provvisoria a Siemens.
Philips s.p.a. ha poi impugnato, con motivi aggiunti notificati in data 14.12.2012, la delibera di aggiudicazione definitiva. Secondo una giurisprudenza pacifica, l’aggiudicazione provvisoria costituisce un mero atto endoprocedimentale, la cui autonoma impugnabilità è condizionata, ai fini della sua procedibilità, dalla tempestiva impugnazione con motivi aggiunti anche dell’aggiudicazione definitiva che successivamente intervenga (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27.04.2011, n. 2482; sez. V, 26.11.2008, n. 5485; sez. VI, 18.03.2003, n. 1417 e, da ultimo, Ad. Plen. 31.07.2012 n. 31).
L’art. 10 del Disciplinare di Gara (Norme Finali), prevedeva che "La comunicazione di cui all'art. 11, comma 10, d.lgs. 163/2006 si intende effettuata ad ogni effetto di legge mediante la pubblicazione del relativo provvedimento d'aggiudicazione definitiva sull'albo pretorio di quest'Azienda e sul sito internet il cui indirizzo è: www.aziendaospedalieracosenza.it”.
Nel caso di specie l'aggiudicazione definitiva è intervenuta con deliberazione del Direttore Generale n. 820 in data 13.08.2012, pubblicata sul sito Internet dell’Azienda il 20.08.2012, mentre i motivi aggiunti sono stati notificati il 14.12.2012, quindi, ben oltre il termine previsto in materia di appalti dall’art. 120 c.p.a.
Il ricorso è improcedibile, quanto alla impugnazione rivolta contro l'aggiudicazione provvisoria (per effetto dell'intervenuta aggiudicazione definitiva) e irricevibile quanto alla impugnazione rivolta contro l'aggiudicazione definitiva, poiché tardivo (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 11.01.2013 n. 52 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Opere superspecialistiche. Associazioni obbligate ko. Il parere del Consiglio di stato sul decreto sugli appalti.
Pollice verso dal Consiglio di stato contro alcune norme in tema di appalti contenute nel regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici.

Il parere 11.01.2013 n. 38 reso nell'adunanza della commissione speciale di Palazzo Spada boccia le disposizioni contenute nel dpr 207/2010 laddove penalizza le imprese generali: il provvedimento, infatti, individua ben ventiquattro categorie «superspecialistiche» che impongono la necessaria costituzione dell'associazione temporanea di imprese verticale per poter partecipare alla gara.
Contraddizione in termini
Le censure arrivano da un gruppo di grandi gruppi, attivi soprattutto nel campo delle grandi opere.
Gli effetti del sistema sarebbero penalizzanti per le imprese generali, le quali, pur se in possesso della qualificazione nella categoria generale prevalente, non sarebbero più in grado di eseguire alcuna opera da sole, ma sarebbero costrette, praticamente per tutti gli appalti, a subaffidare opere non ricomprese nelle proprie qualificazioni «generali» e, per moltissime categorie, anche ad associare altre imprese.
In effetti, riconosce Palazzo Spada, le norme sembrano contraddittorie: da una parte c'è la regola generale secondo cui l'affidatario dei lavori in possesso della qualificazione nella categoria prevalente può eseguire direttamente tutte le lavorazioni si cui si compone l'opera, anche qualora sia privo delle relative qualificazioni; dall'altra c'è la tabella sintetica delle categorie: ben 46 delle 52 categorie complessivamente indicate risultano a qualificazione obbligatoria e quindi non realizzabili direttamente dall'affidatario ma necessariamente da subappaltare.
Nell'ambito di queste 46 categorie esiste un ulteriore elenco di 24 categorie, per le quali il subappalto è consentito solo nei limiti del 30 per cento: ne consegue che, in presenza delle opere «speciali», l'impresa munita della qualificazione nella categoria prevalente, già solo per partecipare alla gara, deve necessariamente costituire un'Ati verticale con un'impresa qualificata nella categoria «speciale». «Il dato quantitativo», concludono i giudici, «è già sintomatico di un'evidente contraddittorietà». Il ministero delle Infrastrutture è avvisato (articolo ItaliaOggi del 12.07.2013).

APPALTI: Sull'obbligo di richiedere nel bando di gara, pena la nullità del bando, l'obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di conto corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le somme relative all'appalto
In secondo luogo, il collegio prende brevemente posizione sulla questione sollevata d’ufficio con l’ordinanza cautelare n. 706 del 2012, relativa a possibili profili di nullità del bando, in ordine all’applicazione dell’art. 2, comma 1, della l.r. 20.11.2008 n. 15, atteso che la lett. s) del bando non riproduce pedissequamente la suddetta disposizione (che stabilisce l'obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di conto corrente unico) ma consente, a differenza di questa, l’apertura di più conti correnti, anche non esclusivi, dedicati alle commesse pubbliche e finalizzati alla movimentazione finanziaria relativa all’appalto.
Detta questione, infatti, se fondata, porterebbe alla declaratoria di nullità della lex specialis della gara e, di conseguenza, renderebbe improcedibili tutte le impugnazione proposte avverso quest’ultima.
Il collegio premette che negli ultimi anni la giurisprudenza di questo Tribunale ha preso posizione sulla questione suddetta, dichiarando nulli i bandi privi degli avvisi di cui all’art. 2 della l.r. 20.11.2008 n. 15.
La suddetta disposizione stabilisce, al comma 1, che “Per gli appalti di importo superiore a 100 migliaia di Euro, i bandi di gara prevedono, pena la nullità del bando, l'obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di conto corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le somme relative all'appalto. L'aggiudicatario si avvale di tale conto corrente per tutte le operazioni relative all'appalto, compresi i pagamenti delle retribuzioni al personale da effettuarsi esclusivamente a mezzo di bonifico postale o assegno circolare non trasferibile. Il mancato rispetto dell'obbligo di cui al presente comma comporta la risoluzione per inadempimento contrattuale”.
La norma in questione “è finalizzata alla garanzia della trasparenza e della tracciabilità dei pagamenti posti in essere nell' esecuzione degli appalti, garanzia ritenuta prevalente, mediante la previsione della nullità del bando in caso di omessa previsione, rispetto ad ogni altro interesse pubblico o privato concorrente, nella considerazione dell'alto rischio di infiltrazioni mafiose nel campo degli appalti che, data la rilevanza degli interessi economici in gioco, richiama da sempre l'attenzione della criminalità organizzata” (Tar Sicilia, Palermo, III, 25.02.2011, n. 361; nello stesso senso: Tar Sicilia, Palermo, III, 19.12.2011, n. 2406, confermata dal C.g.a. con sentenza 27.07.2012, n. 721; TAR Sicilia, Catania, III, 20.07.2010, n. 3127; da ultimo, TAR Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 21.12.2012, n. 2752).
Si è ritenuto anche che l'applicabilità della citata norma, prescinde, da un lato, dal fatto che sia stata proposta apposita censura, di talché è onere del giudice di rilevare d'ufficio la questione di nullità, e dall'altro lato, dal fatto che il ricorso sia eventualmente, per altre, ragioni infondato (cfr. Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 25.02.2011, n. 361).
Se certamente non vi sono dubbi che siano nulli i bandi privi dell’avviso in questione (ex multis, TAR Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 31.10.2012, n. 2147; id., 19.12.2011, n. 2406), la situazione è un po’ diversa nei casi in cui, come quello che qui interessa, il bando riproduca la citata disposizione operando un commistione tra norma regionale e norma nazionale corrispondente, che è l’art. 3, comma 1, della l. 136 del 2010, la quale stabilisce che “per assicurare la tracciabilità dei flussi finanziari finalizzata a prevenire infiltrazioni criminali, gli appaltatori, i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese nonché i concessionari di finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici devono utilizzare uno o più conti correnti bancari o postali, accesi presso banche o presso la società Poste italiane Spa, dedicati, anche non in via esclusiva, fermo restando quanto previsto dal comma 5, alle commesse pubbliche“.
Il bando di gara, infatti, alla lett. s), stabilisce che “l’aggiudicatario dovrà indicare uno o più numeri di conto corrente bancario o postale accesi presso banche o Poste Italiane s.p.a. dedicati, anche in via non esclusiva, alle commesse pubbliche”, mentre alla lett. t) stabilisce che “per le finalità di cui all’art. 2, comma 1, della l.r. 15/2008 e all’art. 3 L. 136/2010, il mancato rispetto dei suddetti obblighi da parte dell’aggiudicatario comporterà la risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell’art. 3, comma 8, L. 136/2010”.
Fermo restando che la disposizione regionale non è stata implicitamente abrogata dalla legge nazionale, perché, come ribadito da ultimo dal CGA, 27.07.2012, n. 721, “la nota peculiarità della criminalità organizzata in Sicilia può giustificare l'adozione di una disciplina diversa e più severa di quella nazionale” (si vedano anche TAR Sicilia Palermo Sez. I, 12.07.2012, n. 1530; id., 27.06.2012, n. 1311; id., 11.05.2012, n. 959; Sez. III, Sent., 30.11.2012, n. 2511), il collegio si è dovuto necessariamente porre la questione (sottoponendola al contraddittorio delle parti già in primo grado) circa la compatibilità tra il testo del bando e la norma regionale: non essendovi corrispondenza, infatti, potrebbe ritenersi che la lex specialis della gara sia formalmente priva della disposizione di cui all’art. 2 della l.r. 15/2008 e, pertanto, nulla.
Infatti, la norma regionale è senza dubbio più restrittiva di quella nazionale, prevedendo la necessità di un unico conto da destinare all’appalto (laddove la legge nazionale menziona più conti, anche non esclusivi), e commina la nullità del bando in mancanza di avviso (sanzione, quest’ultima, assente a livello nazionale).
Sul punto, il collegio osserva, da un lato, che la ratio di entrambe le norme è la tracciabilità; sotto questo profilo, la circostanza che vi sia un unico conto oppure più conti appare del tutto irrilevante, posto che i partecipanti alle gare debbono comunque comunicarli alla stazione appaltante; dall’altro, la comminatoria di nullità, che rende la legge speciale più restrittiva e degna di sopravvivenza all'avvento della legge 136/2010, non può però essere interpretata in modo del tutto irragionevole e discriminatorio con riguardo al numero dei conti utilizzabili, nel senso che se nel bando si consente la possibilità di averne più di uno (a differenza della legge regionale), ciò non toglie che nella sostanza il precetto della norma regionale potrà essere comunque rispettato, per il principio che il più contiene il meno, imponendo all’aggiudicatario (a gara terminata) di utilizzare un unico conto corrente.
In pratica, non è con la comminatoria di nullità del bando che si risolve l'eventuale inadempienza dell'aggiudicatario al precetto di legge, che può dirsi rispettato se la stazione appaltante comunica a questi –laddove avesse indicato più conti– che deve restringere il campo a uno solo, pena la risoluzione del contratto.
Si tratta, in ogni caso, di situazioni successive alla chiusura della procedura di gara e che saranno valutate dalle stazioni appaltanti caso per caso, senza che la gara venga invalidata in radice.
A conferma di ciò, va detto che in una fattispecie simile, nella quale, quindi, il bando recava l’avviso sulla tracciabilità riproducendo la legge nazionale, anziché quella regionale, questo Tribunale non ha ritenuto di dover comminare la nullità del medesimo (TAR Sicilia Palermo Sez. III, 08.06.2012, n. 1207)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 11.01.2013 n. 28 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'onere di immediata impugnazione del bando di gara riguarda le sole clausole che concernono i requisiti soggettivi di partecipazione dei soggetti interessati, che risultino esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non siano suscettibili di essere condizionate dal suo svolgimento e perciò in condizioni di ledere immediatamente e direttamente l'interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla procedura, nonché quelle che impongono oneri incomprensibili o manifestamente sproporzionati, come tali immediatamente ostativi alla partecipazione alla gara.
Ogni diversa questione riguardante l'assunta illegittimità della procedura di gara può e deve essere proposta unitamente agli atti che delle clausole dimostratesi lesive fanno diretta applicazione (provvedimento di esclusione o dell'aggiudicazione del contratto o di altro provvedimento che segni comunque, per l'interessato, un arresto procedimentale), atteso che sono essi atti che rendono attuale e concreta la lesione della situazione dell'interessato.
Pertanto, sussiste l'onere di immediata impugnazione del bando di gara o lettera di invito solo in relazione alle clausole che impediscono in limine la partecipazione alla procedura di determinati soggetti e non richiedano alcuna significativa attività interpretativa né dei destinatari del bando, né degli organi dell'Amministrazione che ne debbano fare applicazione sicché in tutti gli altri casi deve ritenersi tempestiva l'impugnazione della lex specialis contestualmente a quella degli atti che di essa fanno applicazione, atteso che solo questi ultimi identificano il concorrente leso e rendono attuale e concreta la lesione della relativa situazione soggettiva in relazione all'eventuale esito negativo della gara, mentre anteriormente la lesività delle clausole contestate resta sul piano dell'astrattezza e potenzialità.

Sul punto, la giurisprudenza amministrativa afferma in modo costante, da anni, che “l'onere di immediata impugnazione del bando di gara riguarda le sole clausole che concernono i requisiti soggettivi di partecipazione dei soggetti interessati, che risultino esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non siano suscettibili di essere condizionate dal suo svolgimento e perciò in condizioni di ledere immediatamente e direttamente l'interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla procedura, nonché quelle che impongono oneri incomprensibili o manifestamente sproporzionati, come tali immediatamente ostativi alla partecipazione alla gara.
Ogni diversa questione riguardante l'assunta illegittimità della procedura di gara può e deve essere proposta unitamente agli atti che delle clausole dimostratesi lesive fanno diretta applicazione (provvedimento di esclusione o dell'aggiudicazione del contratto o di altro provvedimento che segni comunque, per l'interessato, un arresto procedimentale), atteso che sono essi atti che rendono attuale e concreta la lesione della situazione dell'interessato.
Pertanto, sussiste l'onere di immediata impugnazione del bando di gara o lettera di invito solo in relazione alle clausole che impediscono in limine la partecipazione alla procedura di determinati soggetti e non richiedano alcuna significativa attività interpretativa né dei destinatari del bando, né degli organi dell'Amministrazione che ne debbano fare applicazione sicché in tutti gli altri casi deve ritenersi tempestiva l'impugnazione della lex specialis contestualmente a quella degli atti che di essa fanno applicazione, atteso che solo questi ultimi identificano il concorrente leso e rendono attuale e concreta la lesione della relativa situazione soggettiva in relazione all'eventuale esito negativo della gara, mentre anteriormente la lesività delle clausole contestate resta sul piano dell'astrattezza e potenzialità
” (così TAR Campania, Napoli, sez. I, 03.04.2012, n. 1550; ex plurimis, Cons. St., sez. V, 28.05.2012, n. 3128; id., sez. VI, 04.10.2011, n. 5434; id., sez. V, id., sez. V, 07.09.2001 n. 4679; id. 04.03.2011 n. 1380; id, 21.02.2011 n. 1071; id., sez. VI, 24.02.2011 n. 1166; id., sez. V, 04.03.2008 n. 901; TAR Campania, Napoli, sez. I, 09.10.2012, n. 4037; TAR Lazio sez. I, 06.07.2012, n. 6163; TAR Lazio sez. III, 14.01.2012, n. 354; TAR Campania, Napoli, sez. I, 03.04.2012, n. 1550; TAR Lazio sez. I, 01.06.2012, n. 5000; TAR Campania, Napoli, sez. III, 01.06.2012, n. 2610)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 11.01.2013 n. 28 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ENTI LOCALITrasparenza, gli enti latitano. Solo in pochi hanno messo online compensi e contributi. L'obbligo è imposto dal dl crescita. Ed è operativo dal 1° gennaio. Lo conferma la Civit.
P.a. ancora lontane dal traguardo dell' «amministrazione aperta». Dal 1° gennaio scorso è divenuto pienamente operativo l'art. 18 del dl 83/2012, che impone di dare piena pubblicità alle erogazioni di denaro pubblico di qualunque genere. Ma finora sono relativamente pochi gli enti (sia centrali che locali) che si sono adeguati.
Spulciando fra i siti di ministeri, regioni, province e comuni, infatti, è ancora abbastanza raro trovare tutte le informazioni obbligatorie, ovvero: il nome dei beneficiari ed i relativi dati fiscali, l'importo, la norma o il titolo a base dell'attribuzione, l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del procedimento amministrativo, la modalità seguita per l'individuazione del beneficiario, il link al progetto, al curriculum del soggetto incaricato, nonché al contratto e capitolato della prestazione, fornitura o servizio.
I dati, precisa la norma, vanno inseriti nella sezione «trasparenza, valutazione e merito» (istituita ai sensi del dlgs 150/2009) e devono essere riportati in formato elettronico di testo per l'importazione ed esportazione in formato gabellare, in modo da essere facilmente accessibili dall'home-page e dai motori di ricerca.
Si tratta di un obbligo a tutto campo, poiché riguarda tutte le sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari alle imprese, nonché l'attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati.
E si tratta di un obbligo immediatamente cogente per tutti (amministrazioni centrali, regionali e locali, aziende speciali e società in house): lo ha chiarito la Civit con la deliberazione 21.12.2012 n. 35 adottata poco prima di Natale, fugando i dubbi derivanti dalla mancata adozione (prevista entro il 31.12.2012) del regolamento statale che avrebbe dovuto definirne le modalità attuative, coordinandole con le altre numerose disposizioni che incidono sulla stessa materia.
Ben pochi, però, si sono già attrezzati per rispettarlo. Fra i ministeri, l'unico ad aver provveduto in modo puntuale e quello del lavoro e delle politiche sociali, mentre fra le agenzie statali spicca la tempestività delle Entrate. Ritardi anche fra le regioni, dove solo Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna hanno rispettato il timing. Stessa situazione a livello locale, dove fra gli enti maggiori solo i comuni di Venezia e Firenze risultano adempienti. Non mancano, peraltro, best practices anche fra i municipi di medie (Asti) e piccole dimensioni (ad esempio, Castelnuovo di Sotto, 8 mila abitanti circa in provincia di Reggio Emilia).
In molti casi, le pagine risultano in costruzione, le informazioni carenti (spesso, ad esempio, vi sono solo quelle relative ad incarichi e consulenze) o non aggiornate, i link assenti o non funzionanti.
Certo, i problemi tecnici non mancano (molte amministrazioni lamentano l'indisponibilità di sistemi informatici adeguati alla mole di dati da correlare). Ma non si può non rilevare una certa insofferenza, tipica della pa italiana, alle iniezioni di trasparenza. In più, pesa l'attuale situazione di stallo politico, che non agevola l'attuazione dei provvedimenti varati dal governo uscente.
I rischi, in tal caso, sono però alti. In base al comma 5 dell'art. 18, infatti, da quest'anno la pubblicazione delle informazioni indicate «costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante delle concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a 1.000 euro nel corso dell'anno solare e la sua eventuale omissione o incompletezza è rilevata d'ufficio dagli organi dirigenziali e di controllo, sotto la propria diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per l'indebita concessione o attribuzione del beneficio economico». Inoltre, «la mancata, incompleta o ritardata pubblicazione è altresì rilevabile dal destinatario della prevista concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell'amministrazione, ai sensi dell'art. 30 del codice del processo amministrativo di cui al dlgs 104/2010».
In parole povere, l'inadempimento può costare caro a coloro che (dirigenti e responsabili dei servizi) firmano i provvedimenti di erogazione. È quindi necessario che tutte le p.a. che non avessero ancora provveduto si attivino quanto prima (articolo ItaliaOggi dell'11.01.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: La commissione non può integrare il bando di gara mediante la previsione di criteri integrativi dello stesso, ossia di criteri valutativi.
L'esclusione della facoltà, da parte della commissione, di integrare il bando di gara mediante la previsione di criteri integrativi dello stesso, ossia di criteri valutativi, è avvalorata anche dalla giurisprudenza comunitaria che statuisce la necessità che "...tutti gli elementi presi in considerazione dall'autorità aggiudicatrice per identificare l'offerta economicamente più vantaggiosa e la loro importanza relativa siano noti ai potenziali offerenti al momento in cui presentano le offerte ... infatti i potenziali offerenti devono essere messi in condizione di conoscere, al momento della presentazione delle loro offerte, l'esistenza e la portata di tali elementi ... pertanto un'amministrazione aggiudicatrice non può applicare regole di ponderazione o sottocriteri per i criteri di aggiudicazione che non abbia preventivamente portato a conoscenza degli offerenti ... gli offerenti devono essere posti su un piano di parità durante l'intera procedura, il che comporta che i criteri e le condizioni che si applicano a ciascuna gara debbano costituire oggetto di un'adeguata pubblicità da parte delle amministrazioni aggiudicatrici" (sentenza della Corte di Giustizia CE C-532/2006, 24.01.2008).
Pertanto, nel caso di specie, la commissione ha violato i suddetti principi, nel prevedere nuovi criteri di valutazione dell'offerta tecnica rispetto alla lex specialis, per di più omettendo un adeguato discorso giustificativo, che, anche per via schematica (griglie motivazionali), consenta di ricollegare l'attribuzione del punteggio alle "caratteristiche premianti" da essa predefinite (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10.01.2013 n. 97 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Rifiuti. Avvalimento e servizio di raccolta differenziata e trasporto dei rifiuti solidi urbani.
Nel caso di affidamento del servizio di raccolta differenziata e trasporto dei rifiuti solidi urbani con sistema porta a porta, l’avvalimento, così come configurato dalla legge, deve essere reale e non formale, nel senso che non può considerarsi sufficiente “prestare” la certificazione posseduta assumendo impegni assolutamente generici, giacché in questo modo verrebbe meno la stessa essenza dell’istituto, finalizzato non già ad arricchire la capacità tecnica ed economica del concorrente, bensì a consentire a soggetti che ne siano sprovvisti di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri soggetti, garantendo l’affidabilità dei lavori, dei servizi o delle forniture appaltati.

- Vista la censura proposta in primo grado mediante ricorso incidentale da Avr s.p.a. e riproposta con memoria in appello, secondo la quale il contratto di avvalimento tra la Diodoro Ecologia s.r.l. e l’ausiliaria C.i.p.e.f. sarebbe inidoneo a garantire la stazione appaltante in ordine alla serietà ed effettività della messa a disposizione delle risorse oggetto di avvalimento, per cui, conseguentemente, l’appellante Diodoro Ecologia sarebbe stata in ogni caso del tutto priva del requisito dell’iscrizione alla categoria 10b dell’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali inerente la bonifica da amianto;
- Ritenuto che il contratto di avvalimento in parola si limita a stabilire che “l’Ausiliaria…si obbliga nei confronti dell’Impresa, come sopra rappresentata, nonché della Stazione Appaltante Comune di Riano, a norma dell’art. 49 co. 2, lett. f), D.Lgs. 163/2006, a fornire il requisito cui l’Impresa è carente, …nonché a mettere a disposizione i mezzi e attrezzature necessarie, per tutta la durata dell’appalto”, mentre gli impegni assunti dall’Ausiliaria a favore dell’Impresa saranno dettagliatamente regolati con separata scrittura privata, in caso di aggiudicazione della procedura alla Diodoro Ecologia s.r.l.;
- Ritenuto che il contratto in questione è in buona sostanza una mera ripetizione del testo dell’art. 49, co. 2, D.Lgs. n. 163/2006, il quale richiede l’allegazione all’offerta di “una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente” e del “contratto in virtù del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto”;
- Considerato che l’avvalimento, così come configurato dalla legge, deve essere reale e non formale, nel senso che non può considerarsi sufficiente “prestare” la certificazione posseduta (Cons. Stato, III, 18.04.2011, n. 2343) assumendo impegni assolutamente generici, giacché in questo modo verrebbe meno la stessa essenza dell’istituto, finalizzato non già ad arricchire la capacità tecnica ed economica del concorrente, bensì a consentire a soggetti che ne siano sprovvisti di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri soggetti (C.d.S., sez. V, 03.12.2009, n. 7592), garantendo l’affidabilità dei lavori, dei servizi o delle forniture appaltati;
- Rilevato inoltre che la responsabilità solidale, che viene assunta con il contratto di avvalimento da parte dell’impresa ausiliaria nei confronti dell’amministrazione appaltante relativamente ai lavori oggetto dell’appalto, e che discende direttamente dalla legge e si giustifica proprio per l’effettiva partecipazione dell’impresa ausiliaria all’esecuzione dell’appalto (Cons. Stato, VI, 13.05.2010, n. 2956, secondo cui l’impresa ausiliaria diventa titolare passivo di un’obbligazione accessoria dipendente rispetto a quella principale del concorrente, obbligazione che si perfeziona con l’aggiudicazione a favore del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti), non si può rinvenire nel caso di specie, mancando del tutto l’autentica messa a disposizione di risorse, mezzi o di altro elemento necessario, rinviata ad un inammissibile futuro contratto da stipularsi in caso di aggiudicazione alla Diodoro Ecologia (per tutto Cons. Stato, V, 18.11.2011, n. 6079) (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2013 n. 90 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'inosservanza delle prescrizioni del bando sulle modalità di presentazione delle offerte implica l'esclusione quando vengano in rilievo prescrizioni rispondenti ad un particolare interesse della p.a. appaltante o poste a garanzia della par condicio.
In materia di appalti della pubblica amministrazione, l'inosservanza delle prescrizioni del bando circa le modalità di presentazione delle offerte può implicare l'esclusione dalla gara (anche a prescindere dal fatto che questa sia espressamente prevista in termini specifici dalla lex specialis) quando vengano in rilievo prescrizioni rispondenti ad un particolare interesse della pubblica amministrazione appaltante, o poste a garanzia della par condicio dei concorrenti.
Laddove invece, come nel caso di specie, non sia ravvisabile la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante, va accordata preferenza al favor partecipationis, in coerenza con l'interesse pubblico al più ampio confronto concorrenziale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2013 n. 89 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: G.U. 10.01.2013 n. 8 "Norme di attuazione dell’articolo 1, comma 453, della legge 27.12.2006, n. 296, come sostituito dall’art. 11, comma 11, del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, in tema di meccanismi di remunerazione sugli acquisti" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, decreto 23.11.2012).
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Chi vince l'appalto dà l'1,5% alla Consip.
Una commissione da parte delle imprese aggiudicatarie. Per finanziare parzialmente i costi di funzionamento della Consip e le attività da essa svolte nella sua qualità di centrale di committenza per conto di altre amministrazioni affidanti.
A dare attuazione della norma, modificata da ultimo dalla legge 111/2011, è il decreto del ministero dell'economia 23.11.2012, apparso sulla G.U. n. 8 di ieri.
I soggetti che dovranno pagare la commissione sono l'aggiudicatario delle convenzioni stipulate da Consip, l'aggiudicatario di gare su delega bandite da Consip Spa nell'ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi, l'aggiudicatario degli appalti basati su accordi quadro conclusi da Consip Spa nell'ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi.
La commissione non deve essere superiore all'1,5% da calcolarsi sul valore, al netto di Iva, del fatturato realizzato, con riferimento agli acquisti effettuati dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti legittimati risultante dalla rendicontazione delle fatture. Al fine del calcolo dell'entità della commissione, gli aggiudicatari trasmettono a Consip, per via telematica, entro 30 giorni dal termine di ciascuno dei due semestri dell'anno solare, una dichiarazione sostitutiva, attestante l'importo delle fatture.
Successivamente Consip procede all'emissione della fattura relativa alla commissione e gli aggiudicatari provvedono al versamento entro 60 giorni dalla data di ricevimento della fattura. Per chi non paga, scattano le procedure esecutive previste dal codice di procedura civile (articolo ItaliaOggi dell'11.01.2013).

APPALTIAVCPass, arriva il nuovo sistema informatico per la verifica dei requisiti per l’accesso alle gare.
L’art. 6-bis del D.Lgs. 163/2006 (come modificato dal Decreto Semplificazioni) dispone che dal primo gennaio 2013 stazioni appaltanti ed enti aggiudicatori possano verificare il possesso dei requisiti degli operatori che partecipano alle gare esclusivamente tramite la Banca Dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP).
A tal proposito, l’AVCP (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici) ha sviluppato e reso disponibile il nuovo sistema AVCpass che permette:
● alle stazioni appaltanti e agli enti aggiudicatori l’acquisizione dei documenti relativi al possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario per l’affidamento dei contratti pubblici;
● agli operatori economici di inserire a sistema i documenti la cui produzione è a proprio carico ai sensi dell’art. 6-bis, comma 4, del Codice (10.01.2013 - link a www.acca.it.

APPALTI: In assenza del provvedimento di aggiudicazione, senza nemmeno conoscere il contenuto dell’offerta economica presentata dalla ricorrente, non è affatto invocabile l’orientamento giurisprudenziale che ha affermato non essere ostativo al risarcimento del danno in materia di procedure ad evidenza pubblica l’intervento di un atto di revoca assunto in via di autotutela ancorché quest’ultimo sia legittimo. Né per la stessa ragione è utilmente applicabile l’indirizzo a mente del quale non costituisce ostacolo al riconoscimento della responsabilità patrimoniale dell'ente, la mancata impugnazione del provvedimento di revoca.
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In presenza d’atto d’autotutela, pienamente efficace perché non impugnato, e senza che la ricorrente non sia stata individuata come aggiudicataria, ma di cui non si conosca (nemmeno) il contenuto dell’offerta presentata in gara, difettano in fatto i presupposti per configurare la responsabilità precontrattuale in capo alla stazione appaltante: fra tutti l’effettiva sussistenza di posizione giuridica qualificata della ricorrente quale (ancorché, allo stato, potenziale) parte contraente.
In termini: l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene sussistere la responsabilità precontrattuale in capo alla P.A. nel caso di annullamento d'ufficio degli atti di gara pubblica di appalto per un vizio rilevato dall'amministrazione solo successivamente all'aggiudicazione definitiva, o che avrebbe potuto rilevare già all'inizio della procedura.

La stazione appaltante dopo l’accertamento dell’illegittimità dell’esclusione, ma prima di aprire le offerte economiche, ha revocato gli atti della procedura di gara.
L’atto di revoca della procedura di gara non è stato impugnato.
Sicché, in assenza del provvedimento di aggiudicazione, senza nemmeno conoscere il contenuto dell’offerta economica presentata dalla ricorrente, contrariamente a quanto essa suppone, non è affatto invocabile l’orientamento giurisprudenziale che ha affermato non essere ostativo al risarcimento del danno in materia di procedure ad evidenza pubblica l’intervento di un atto di revoca assunto in via di autotutela ancorché quest’ultimo sia legittimo (Cons. Stato Sez. IV, 07.02.2012, n. 662). Né per la stessa ragione è utilmente applicabile l’indirizzo a mente del quale non costituisce ostacolo al riconoscimento della responsabilità patrimoniale dell'ente, la mancata impugnazione del provvedimento di revoca (TAR Puglia Bari Sez. I, 19.10.011, n. 1552; Cons. Stato Sez. VI, 05.09.2011, n. 5002).
Del resto la c.d. perdita di chance su cui la ricorrente fonda la domanda di risarcimento del danno presuppone l’effettiva sussistenza d’aspettativa giuridica qualificata alla conclusione del contratto d’appalto, che nel caso in esame difetta in assoluto posto che la procedura s’è arrestata senza che sia stata conosciuto il contenuto dell’offerta economica.
In altri termini la chance non raggiunge la soglia del 50% di probabilità di successo a cui fa riferimento la giurisprudenza consolidata per ritenerla risarcibile.
Situazione di fatto ostativa al ristoro della perdita di chance addebitabile allo stesso comportamento processuale della ricorrente che a riguardo non ha assolto ad alcun onere probatorio in ordine al nesso di causalità fra illegittimità dell’esclusione dalla gara e danno ingiusto. In misura tale da non consentire d’esperire il giudizio prognostico su base oggettiva che fonda la chance risarcibile.
Aggiungasi che l’Amministrazione ha esercitato la potestà di autotututela in fase ben anteriore all’individuazione della parte contraente, sicché in difetto di gravame, la revoca esplica i propri effetti senza che sia invocabile il regime della responsabilità precontrattuale in ordine al comportamento scorretto tenuto dall’amministrazione.
In presenza d’atto d’autotutela, pienamente efficace perché non impugnato, e senza che la ricorrente (non sono) non sia stata individuata come aggiudicataria, ma di cui non si conosca (nemmeno) il contenuto dell’offerta presentata in gara, difettano in fatto i presupposti per configurare la responsabilità precontrattuale in capo alla stazione appaltante: fra tutti l’ effettiva sussistenza di posizione giuridica qualificata della ricorrente quale (ancorché, allo stato, potenziale) parte contraente.
In termini: l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene sussistere la responsabilità precontrattuale in capo alla P.A. nel caso di annullamento d'ufficio degli atti di gara pubblica di appalto per un vizio rilevato dall'amministrazione solo successivamente all'aggiudicazione definitiva, o che avrebbe potuto rilevare già all'inizio della procedura (Cons. Stato Sez. V, 16.03.2011, n. 1627) (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 08.01.2013 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIPagamenti entro 30 giorni. Il limite può essere esteso a 60 quando il debitore è una Pa.
IL RIFERIMENTO/ La scadenza si misura dalla data di ricevimento della fattura da parte del debitore o delle merci.

Con il decreto legislativo 192/2012, in vigore dal 1° gennaio, è stata recepita la direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16.02.2011 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. La normativa integra quella già dettata dal decreto legislativo 231/2002, con l'intento di evitare abusi da posizione dominante, soprattutto da parte della pubblica amministrazione.
La nuova disciplina trova applicazione per ogni pagamento effettuato, a titolo di corrispettivo, in una transazione commerciale e, quindi, sia tra privati che tra questi e un soggetto pubblico.
In primo luogo la disciplina introduce una sostanziale distinzione tra gli "interessi moratori" (liberamente determinati fra le parti) e gli "interessi legali di mora", applicabili ope legis a un tasso pari a quello di riferimento maggiorato di otto punti percentuali. In sostanza, mentre dal 1° gennaio le pubbliche amministrazioni non possono più derogare all'applicazione degli interessi legali di mora, i privati conservano ancora tale possibilità in alcuni specifici casi.
I tempi di pagamento massimi standard stabiliti per tutti dalle nuove norme sono:
- 30 giorni dalla data di ricevimento, da parte del debitore, della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente;
- 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;
- 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;
- 30 giorni dalla data dell'accettazione o della verifica (eventualmente previste ai fini dell'accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali), qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.
I 30 giorni sono estensibili a 60 nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, previo accordo espresso e scritto delle parti e solo quando ciò sia giustificato dalla natura o dall'oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. Il termine di 60 giorni è, invece, automatico per i rapporti con imprese pubbliche "trasparenti" e con le aziende pubbliche sanitarie.
I 30 giorni valgono anche per le transazioni fra privati ma, come detto, questi potranno essere ulteriormente dilatati, purché non risultino gravemente iniqui per il creditore, in quanto molto difformi da quelli della prassi commerciale o in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, avuto conto della natura della merce o del servizio oggetto del contratto.
Decorso, in assenza di pagamento, il termine scatta l'applicazione degli interessi moratori sull'intero importo dovuto, senza che sia necessaria la costituzione in mora.
Il tasso di riferimento che deve essere usato è quello applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali, maggiorato di otto punti percentuali. Resta ferma la facoltà per i privati di concordare un tasso differente da quello legale, purché non iniquo.
Resta, comunque, possibile concordare pagamenti rateali e, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi saranno calcolati sugli importi scaduti.
Rimane, infine, sempre possibile per il debitore dimostrare che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
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La bussola
01 | LA DISCIPLINA GENERALE
La normativa relativa ai pagamenti per le transazioni commerciali interessa le operazioni concluse dal 01.01.2013. I tempi standard di pagamento sono fissati in 30 giorni, dal ricevimento della fattura o delle merci: il termine è estensibile in alcuni casi; il termine di 60 giorni è automatico nei rapporti tra fornitori e Asl. Decorso il termine, si applicano gli interessi di mora, vincolanti per le pubbliche amministrazioni
02 | LA CERTIFICAZIONE
Per quanto riguarda gli "importi scaduti", in particolare i rapporti con la Pubblica amministrazione, è operativa la procedura di certificazione dei crediti. La richiesta di certificazione dei crediti vantati dalle imprese verso la Pubblica amministrazione per le forniture eseguite può essere presentata da chiunque, società, impresa individuale o persona fisica, vanti un credito nei confronti dei predetti enti, purché non prescritto, certo, liquido ed esigibile.
L'azienda potrà utilizzare la certificazione per compensare debiti iscritti a ruolo per tributi erariali, regionali o locali e nei confronti di Inps o Inail; ottenere un'anticipazione bancaria del credito, eventualmente anche assistita dalla garanzia del Fondo centrale di garanzia; cedere il credito, pro-soluto e pro-solvendo. L'istanza di certificazione può essere inoltrata dalle imprese solo attraverso la procedura ordinaria, con la modulistica cartacea resa disponibile su www.mef.gov.it/certificazionecrediti/. L'amministrazione dovrà fornire l'attestazione richiesta nei trenta giorni successivi alla ricezione dell'istanza.
03 | I PRODOTTI AGRICOLI
I prodotti agricoli sono sottoposti alla disciplina generale e di settore: il termine di pagamento, cui sono sottratti i contratti in cui cedente e cessionario sono entrambi produttori agricoli, sono 30 giorni per i prodotti deperibili, 60 per gli altri.
In caso di ritardi nel pagamento, gli interessi di mora si calcolano in base al tasso di riferimento Ue (7%) più l'integrazione stabilita semestralmente dal Governo italiano (1%), più 2 punti, per un totale del 10%. Per omessa o incompleta stesura del contratto, che comunque non è nullo la sanzione va da 516 a 20mila euro (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.01.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: L'esame delle offerte economiche prima di quelle tecniche costituisce una palese violazione dei principi inderogabili di trasparenza e di imparzialità che devono presiedere alle gare pubbliche.
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Costituisce violazione degli essenziali principi della par condicio tra i concorrenti e di segretezza delle offerte l'inserimento, da parte dell'impresa concorrente, di elementi concernenti l'offerta economica all'interno della busta contenente l'offerta tecnica.

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti pubblici sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la commissione di gara è tenuta a valutare prima i profili tecnici delle offerte, e solo successivamente le offerte economiche.
E' irrilevante che il bando non detti una specifica disposizione per stabilire quale delle due offerte debba essere esaminata con priorità sull'altra, atteso che l'esame delle offerte economiche prima di quelle tecniche costituisce una palese violazione dei principi inderogabili di trasparenza e di imparzialità che devono presiedere alle gare pubbliche, in quanto la conoscenza preventiva dell'offerta economica consentirebbe di modulare il giudizio sull'offerta tecnica in modo non conforme alla parità di trattamento dei concorrenti, e tale possibilità, ancorché remota ed eventuale, per il solo fatto di esistere inficia la regolarità della procedura.
Da tale principio deriva il lineare corollario per cui le offerte economiche, sempre nel caso di gara secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, devono restare segrete per tutto il tempo occorrente ad evitare che una eventuale conoscenza degli elementi di valutazione di carattere automatico (quale appunto il prezzo) possa influenzare la valutazione degli elementi.
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Costituisce violazione degli essenziali principi della par condicio tra i concorrenti e di segretezza delle offerte -principi, questi, di matrice comunitaria che si applicano anche a materie diverse dagli appalti, essendo sufficiente che si tratti di attività suscettibile di apprezzamento in termini economici e che, quindi, valgono anche per le concessioni di beni pubblici- l'inserimento, da parte dell'impresa concorrente, di elementi concernenti l'offerta economica all'interno della busta contenente l'offerta tecnica, e ciò senza necessità di espressa menzione da parte della lex specialis di gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.01.2013 n. 10 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Rappresenta un principio inderogabile in ogni tipo di gara, ivi comprese anche le procedure negoziate, quello della pubblicità delle sedute nelle quali si proceda alla verifica dell'integrità dei plichi e alla disamina del loro contenuto.
Un consolidato insegnamento giurisprudenziale riconosce quale principio inderogabile in ogni tipo di gara, ivi comprese anche le procedure negoziate, quello della pubblicità delle sedute nelle quali si proceda alla verifica dell'integrità dei plichi e alla disamina del loro contenuto (documentazione amministrativa, offerta tecnica ed economica).
E va rimarcato che lo stesso principio è stato inequivocabilmente esteso dalla più recente giurisprudenza anche alle procedure negoziate senza previo bando, ed ha trovato, da ultimo, il definitivo suggello dell'Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 31 del 31.07.2012 proprio nel segno, appunto, della massima latitudine applicativa del canone di pubblicità delle operazioni di gara, quale corollario del più generale principio di trasparenza.
Quest'ultima pronuncia, invero, con grande nettezza ha affermato che le esigenze di informazione dei partecipanti alla gara a tutela dei principi di trasparenza e par condicio, richiamate nella decisione n. 13/2011 della stessa Adunanza a sostegno della necessità che l'apertura delle buste contenenti le offerte tecniche avvenga in seduta pubblica, si pongono in termini sostanzialmente identici anche in relazione alle procedure negoziate, ed ha concluso, pertanto, che anche laddove si tratti di procedure negoziate, con o senza previo bando, l'apertura delle buste contenenti le offerte e la verifica dei documenti in esse contenuti (verifica preliminare alle successive valutazioni tecniche ed economiche delle medesime offerte) vadano effettuate in seduta pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.01.2013 n. 8 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La mancata dettagliata indicazione, nel verbale di gara, delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità dell’attività posta in essere dalla Commissione per garantire siffatta custodia, in assenza di ulteriori elementi realmente idonei a far ritenere verificate in concreto manomissioni o alterazione dei documenti.
Sul punto, la Sezione non ravvisa ragioni per discostarsi dall’indirizzo secondo cui la mancata dettagliata indicazione, nel verbale di gara, delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità dell’attività posta in essere dalla Commissione per garantire siffatta custodia, in assenza di ulteriori elementi realmente idonei a far ritenere verificate in concreto manomissioni o alterazione dei documenti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 02.08.2012, nr. 4422; Cons. Stato, sez. VI, 24.11.2010, nr. 8224) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.01.2013 n. 4 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La sola pubblicazione del bando di gara sul sito internet della stazione appaltante è sufficiente a garantire la pubblicità di un appalto di servizi rientrante nella categ. dell'all. IIB della dir. 2004/18 di importo superiore alla soglia comunitaria
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Il gestore uscente di un servizio che intenda partecipare alle successive gare indette dalla stessa amministrazione è tenuto ad una maggiore diligenza in sede di gara.

La Commissione Europea nella comunicazione interpretativa 2006/C-179/02, (la quale, pur non rivestendo alcun valore normativo, costituisce pur sempre una guida per l'interprete) sintetizzando i principi affermati nel corso degli anni dalla Corte di Giustizia in materia di appalti c.d. esclusi, ha chiarito che …Spetta alle amministrazioni aggiudicatrici scegliere il mezzo più adeguato a garantire la pubblicità dei loro appalti. La loro scelta deve essere guidata da una valutazione dell'importanza dell'appalto per il mercato interno, tenuto conto in particolare del suo oggetto, del suo importo nonché delle pratiche abituali nel settore interessato.
Quanto più interessante è l'appalto per i potenziali offerenti di altri Stati membri, tanto maggiore deve essere la copertura. In particolare, un'adeguata trasparenza per gli appalti di servizi di cui all'all. II B della dir. 2004/18/CE e all'all. XVII B della dir. 2004/17/CE il cui importo superi le soglie di applicazione di tali direttive implica di solito la pubblicazione in un mezzo di comunicazione largamente diffuso. Quali forme di pubblicità adeguate e frequentemente utilizzate, è opportuno citare: - Internet. L'ampia disponibilità e la facilità di utilizzazione di Internet rendono gli avvisi pubblicitari di appalti pubblicati sui siti molto più accessibili, in particolare per le imprese di altri Stati membri e le PMI interessate ad appalti di importo limitato. Internet offre un'ampia gamma di possibilità per la pubblicità degli appalti pubblici.
Pertanto, nel caso di specie, anche in presenza di un appalto ascrivibile ad una delle categorie menzionate dall'all. IIB di importo superiore alla soglia comunitaria la pubblicità del bando sul solo sito internet della stazione appaltante è misura adeguata allo scopo, l'operato dell'amministrazione va esente da qualsiasi rilievo in punto di legittimità e ciò anche in ragione del chiaro disposto dell'art. 20 del Codice dei contratti pubblici (nella specie, peraltro, il bando è stato pubblicato anche sul sito dell'A.V.C.P., a riprova del fatto che la Comunità Montana non aveva alcuna intenzione di rendere "inaccessibile" la presente gara).
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Il gestore uscente di un servizio che intenda partecipare alle successive gare indette dalla stessa amministrazione, così come gode, in sede di formulazione dell'offerta, dei vantaggi derivanti dalla c.d. asimmetria informativa rispetto agli altri concorrenti, è per converso tenuto ad una maggiore diligenza in sede di gara, visto che è lecito presumere che egli conosca meglio degli altri partecipanti le regole della procedura e non può quindi normalmente fruire del c.d. soccorso istruttorio (TAR Marche, sentenza 04.01.2013 n. 1 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Nella comunicazione interpretativa 2006/C 179/02, la Commissione Europea, sintetizzando i principi affermati nel corso degli anni dalla Corte di Giustizia CE in materia di appalti c.d. esclusi, proprio con riferimento alla questione dibattuta nel presente giudizio, ha avuto modo di chiarire che “….Spetta alle amministrazioni aggiudicatrici scegliere il mezzo più adeguato a garantire la pubblicità dei loro appalti. La loro scelta deve essere guidata da una valutazione dell'importanza dell'appalto per il mercato interno, tenuto conto in particolare del suo oggetto, del suo importo nonché delle pratiche abituali nel settore interessato. Quanto più interessante è l'appalto per i potenziali offerenti di altri Stati membri, tanto maggiore deve essere la copertura. In particolare, un'adeguata trasparenza per gli appalti di servizi di cui all'allegato II B della direttiva 2004/18/CE e all'allegato XVII B della direttiva 2004/17/CE il cui importo superi le soglie di applicazione di tali direttive implica di solito la pubblicazione in un mezzo di comunicazione largamente diffuso. Quali forme di pubblicità adeguate e frequentemente utilizzate, è opportuno citare:
- Internet
L'ampia disponibilità e la facilità di utilizzazione di Internet rendono gli avvisi pubblicitari di appalti pubblicati sui siti molto più accessibili, in particolare per le imprese di altri Stati membri e le PMI interessate ad appalti di importo limitato. Internet offre un'ampia gamma di possibilità per la pubblicità degli appalti pubblici.
Gli avvisi pubblicitari sul sito Internet dell'amministrazione aggiudicatrice sono flessibili ed efficaci sotto il profilo dei costi. Essi devono essere presentati in modo che i potenziali offerenti possano venire a conoscenza delle informazioni agevolmente. Le amministrazioni aggiudicatrici possono inoltre prevedere di pubblicare tramite Internet informazioni su future aggiudicazioni di appalti non disciplinate dalle direttive «appalti pubblici» nel quadro del loro profilo di committente.
I portali Internet creati specificamente per gli avvisi pubblicitari di appalti hanno una visibilità più elevata e possono offrire maggiori opzioni di ricerca. Sotto questo profilo, la creazione di una piattaforma specifica per gli appalti di valore limitato con una directory per i bandi di gara con sottoscrizione via e-mail rientra tra le migliori pratiche, in quanto sfrutta appieno le possibilità offerte da Internet per accrescere la trasparenza e l'efficienza….”.
Pur non rivestendo alcun valore normativo, l’opinione autorevole della Commissione Europea costituisce pur sempre una guida per l’interprete, visto che una delle finalità principali degli organismi comunitari in materia di appalti pubblici è proprio quella di rendere sempre più ardua alle stazioni appaltanti nazionali la prassi di pubblicizzare in maniera inadeguata le gare ad evidenza pubblica.
Pertanto, se anche in presenza di appalti di cui all’allegato IIB di importo superiore alla soglia comunitaria la pubblicità del bando sul solo sito internet della stazione appaltante è ritenuta misura adeguata allo scopo, nella specie l’operato dell’amministrazione va esente da qualsiasi rilievo in punto di legittimità e ciò anche in ragione del chiaro disposto dell’art. 20 del Codice dei contratti pubblici (nella specie, peraltro, il bando è stato pubblicato anche sul sito dell’A.V.C.P., a riprova del fatto che la Comunità Montana non aveva alcuna intenzione di rendere “inaccessibile” la presente gara).

La presente controversia ripropone l’annosa questione dell’applicazione delle norme e dei principi delle direttive comunitarie nn. 17 e 18 del 2004 e quindi del D.Lgs. n. 163/2006 agli appalti relativi ai settori ed ai contratti “esclusi”.
Nella specie si tratta di servizio ascrivibile ad una delle categorie menzionate dall’allegato IIB al c.d. Codice dei contratti pubblici, la cui disciplina, come correttamente rilevato dalla stessa ricorrente, è desumibile dagli artt. 20 e 27 del D.Lgs. n. 163/2006.
Peraltro, parte ricorrente, pur muovendo da premesse corrette, non perviene a conclusioni condivisibili, atteso che:
a) nella richiamata comunicazione interpretativa 2006/C 179/02, la Commissione Europea, sintetizzando i principi affermati nel corso degli anni dalla Corte di Giustizia CE in materia di appalti c.d. esclusi, proprio con riferimento alla questione dibattuta nel presente giudizio, ha avuto modo di chiarire che “….Spetta alle amministrazioni aggiudicatrici scegliere il mezzo più adeguato a garantire la pubblicità dei loro appalti. La loro scelta deve essere guidata da una valutazione dell'importanza dell'appalto per il mercato interno, tenuto conto in particolare del suo oggetto, del suo importo nonché delle pratiche abituali nel settore interessato. Quanto più interessante è l'appalto per i potenziali offerenti di altri Stati membri, tanto maggiore deve essere la copertura. In particolare, un'adeguata trasparenza per gli appalti di servizi di cui all'allegato II B della direttiva 2004/18/CE e all'allegato XVII B della direttiva 2004/17/CE il cui importo superi le soglie di applicazione di tali direttive implica di solito la pubblicazione in un mezzo di comunicazione largamente diffuso. Quali forme di pubblicità adeguate e frequentemente utilizzate, è opportuno citare:
- Internet
L'ampia disponibilità e la facilità di utilizzazione di Internet rendono gli avvisi pubblicitari di appalti pubblicati sui siti molto più accessibili, in particolare per le imprese di altri Stati membri e le PMI interessate ad appalti di importo limitato. Internet offre un'ampia gamma di possibilità per la pubblicità degli appalti pubblici.
Gli avvisi pubblicitari sul sito Internet dell'amministrazione aggiudicatrice sono flessibili ed efficaci sotto il profilo dei costi. Essi devono essere presentati in modo che i potenziali offerenti possano venire a conoscenza delle informazioni agevolmente. Le amministrazioni aggiudicatrici possono inoltre prevedere di pubblicare tramite Internet informazioni su future aggiudicazioni di appalti non disciplinate dalle direttive «appalti pubblici» nel quadro del loro profilo di committente.
I portali Internet creati specificamente per gli avvisi pubblicitari di appalti hanno una visibilità più elevata e possono offrire maggiori opzioni di ricerca. Sotto questo profilo, la creazione di una piattaforma specifica per gli appalti di valore limitato con una directory per i bandi di gara con sottoscrizione via e-mail rientra tra le migliori pratiche, in quanto sfrutta appieno le possibilità offerte da Internet per accrescere la trasparenza e l'efficienza….
”. Nel prosieguo, naturalmente, la Commissione cita anche le altre più tradizionali forme di pubblicità, ma non si può fare a meno di notare che proprio il mezzo prescelto nella specie dall’amministrazione intimata è quello menzionato per primo nella comunicazione interpretativa del 01.08.2006;
b) pur non rivestendo alcun valore normativo, l’opinione autorevole della Commissione Europea costituisce pur sempre una guida per l’interprete, visto che una delle finalità principali degli organismi comunitari in materia di appalti pubblici è proprio quella di rendere sempre più ardua alle stazioni appaltanti nazionali la prassi di pubblicizzare in maniera inadeguata le gare ad evidenza pubblica.
Pertanto, se anche in presenza di appalti di cui all’allegato IIB di importo superiore alla soglia comunitaria la pubblicità del bando sul solo sito internet della stazione appaltante è ritenuta misura adeguata allo scopo, nella specie l’operato dell’amministrazione va esente da qualsiasi rilievo in punto di legittimità e ciò anche in ragione del chiaro disposto dell’art. 20 del Codice dei contratti pubblici (nella specie, peraltro, il bando è stato pubblicato anche sul sito dell’A.V.C.P., a riprova del fatto che la Comunità Montana non aveva alcuna intenzione di rendere “inaccessibile” la presente gara);
c) l’amministrazione resistente, anche su questo senza ricevere alcuna smentita dalla ricorrente, ha evidenziato che la forma di pubblicità adottata nel 2012 è la stessa posta in essere negli anni precedenti, in occasione delle procedure in cui è risultata aggiudicataria la cooperativa COOSS. Inoltre, è stato evidenziato che, essendo nota a COOSS la data di scadenza del vigente contratto (31/12/2012), la ricorrente avrebbe dovuto farsi parte diligente per conoscere gli intendimenti della stazione appaltante e la data di pubblicazione del bando relativo alla nuova gara;
d) il Tribunale ritiene che quest’ultimo argomento, che di per sé solo non sarebbe sufficiente a decretare il rigetto del ricorso, nella specie rafforza l’operato dell’amministrazione, non essendovi dubbio alcuno sul fatto che il gestore uscente di un servizio che intenda partecipare alle successive gare indette dalla stessa amministrazione, così come gode, in sede di formulazione dell’offerta, dei vantaggi derivanti dalla c.d. asimmetria informativa rispetto agli altri concorrenti, è per converso tenuto ad una maggiore diligenza in sede di gara, visto che è lecito presumere che egli conosca meglio degli altri partecipanti le regole della procedura e non può quindi normalmente fruire del c.d. soccorso istruttorio;
e) le decisioni del giudice amministrativo richiamate in ricorso si riferiscono a casi in cui la pubblicità della gara era stata interamente omessa dalle stazioni appaltanti, mentre nella specie, come si è chiarito, la pubblicità vi è stata. Parte ricorrente identifica probabilmente la pubblicità prevista dal Codice dei contratti solo con quella attuata con i tradizionali strumenti cartacei, ma questa visione del mondo è ormai da ritenere superata.
Fra l’altro, non si comprende quale sia per un operatore economico, in punto di gravosità degli oneri, la differenza fra la consultazione giornaliera della G.U.R.I. o della G.U.C.E. o dei Bollettini regionali o degli Albi pretori delle amministrazioni aggiudicatrici e la consultazione dei siti internet degli enti aggiudicatori. Tenuto conto dell’esistenza di efficienti motori di ricerca (nonché di siti informatici che hanno quale finalità proprio quella di segnalare alle ditte interessate gli appalti più significativi) è anzi da ritenere più agevole per un operatore economico la consultazione dei siti informatici piuttosto che delle tradizionali pubblicazioni cartacee;
f) la disposizione di cui all’art. 27, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. n. 163/2006 si riferisce ovviamente a casi in cui il bando non è pubblicato, non essendo logico e ragionevole prescrivere un doppio onere a carico delle stazioni appaltanti, ossia la previa pubblicazione del bando e, laddove pervenga un numero di manifestazioni di interesse o di offerte inferiore a cinque, l’estensione dell’invito ad altri operatori (i quali verrebbero fra l’altro individuati secondo criteri non meglio definiti), in modo che si abbiano comunque cinque concorrenti;
g) per tutto quanto detto in precedenza, va anche respinta la censura con cui si deduce il difetto di motivazione. In effetti, poiché la forma di pubblicità prescelta rientra fra quelle ammissibili e poiché le stesse vanno ritenute equipollenti fra loro, la decisione della Comunità Montana non necessitava sul punto di specifica motivazione.
Peraltro, la motivazione è stata indirettamente esposta dalla difesa dell’amministrazione, laddove ha evidenziato che anche negli anni passati i bandi erano stati pubblicati solo sul sito informatico dell’ente (TAR Marche, sentenza 04.01.2013 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratti della p.a. solo in formato elettronico.  Il decreto crescita manda in soffitta gli atti cartacei.
Contratti della pubblica amministrazione solo informatici. Il decreto sviluppo-bis, il dl 179/2012, convertito in legge 221/2012 ha modificato l'articolo 11, comma 13, del codice dei contratti pubblici, nel seguente nuovo testo: «Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata».
Non vi sono dubbi sulla volontà del legislatore che i contratti si stipulino esclusivamente in forma elettronica e non cartacea. Almeno, quando siano stipulati per atto pubblico notarile o in forma pubblica amministrativa, con l'intervento dell'ufficiale rogante pubblico, che nel caso degli enti locali è il segretario comunale e provinciale.
La perentorietà della norma è tale da imporre alle amministrazioni pubbliche l'urgente dotazione di sistemi di sottoscrizione mediante firma digitale, nel rispetto delle modalità di stipula elettronica, come fissate dal dlgs 110/2010.
La firma digitale è imposta necessariamente all'ufficiale rogante, non per le parti che possono ancora utilizzare anche una firma elettronica non qualificata e, al limite, apporre una sottoscrizione autografa, acquisita tramite scanner al documento elettronico: la minore affidabilità della firma elettronica non qualificata o dell'immagine della sottoscrizione autografa è compensata dall'attestazione che l'ufficiale rogante compie delle operazioni di sottoscrizione effettuate in sua presenza. La sottoscrizione digitale dell'ufficiale rogante, da apporre in calce al documento, attribuisce allo stesso la garanzia di autenticità delle sottoscrizioni.
Il legislatore impone la sottoscrizione elettronica dei contratti pubblici, ma non ha previsto un obbligo, che invece sarebbe apparso opportuno, per le aziende di dotarsi della firma digitale.
Per questa ragione, lascia un margine di disciplina interna, ai fini della regolamentazione della firma elettronica, che appare comunque opportuno non distaccare troppo dalle indicazioni contenute nel dlgs 110/2010.
Il problema si pone, in particolare, per la sottoscrizione dei contratti mediante scrittura privata non autenticata.
La lettura del nuovo comma 13 dell'articolo 11 è ambigua. Esso potrebbe essere inteso nel senso che la scrittura privata non autenticata viva di vita propria e non sia soggette alla forma elettronica.
Considerando che i privati che intervengono nella stipulazione dei contratti non sono obbligati ad essere dotati della firma digitale, l'interpretazione secondo la quale le scritture private non autenticate possano ancora stipularsi in forma cartacea appare corretta. Infatti, mancando un ufficiale rogante che rediga il contratto in forma elettronica, compiendo le operazioni che garantiscano la riconducibilità delle sottoscrizioni all'identità delle parti costituite nel contratto, il sistema della sottoscrizione del contratto in forma elettronica non sembra possa funzionare.
Le scritture private non autenticate potrebbero avere la forma elettronica (che comunque non è certo vietata) solo laddove l'appaltatore fosse dotato della firma digitale.
Altrimenti si potrebbe pensare a sistemi complessi, come lo scambio di lettere secondo gli usi commerciali, mediante posta elettronica certificata, il che richiede comunque che l'imprenditore disponga a sua volta di una casella di Pec. O, ancora, l'apertura di spazi nei portali, dedicati alla sottoscrizione della scrittura privata, nei quali l'imprenditore si autentichi con una user id e password fornite dall'ente, inserendo un codice numerico al quale accede autenticandosi con la user id e la password, salvando copia del documento, dotato del codice ed accompagnato con una copia del documento di identità.
L'obbligo imposto dalla norma consiglia, comunque, di ricorrere il più possibile al mercato elettronico della Consip, poiché gli acquisti vengono conclusi mediante contratti o ordini elettronici, in forma di scrittura privata non autenticata, sottoscritti mediante firma digitale (articolo ItaliaOggi del 04.01.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIIl Tar del lazio contraddice l'authority. No all'esclusione per i senza polizza.
Il «bando-tipo» dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici si pone in contrasto con il principio di tassatività delle cause di esclusione laddove prevede l'esclusione del concorrente che non allega la polizza fideiussoria o cauzione provvisoria, o ne allega una non sottoscritta; viceversa si tratta di irregolarità sanabile e la clausola del bando che prevede l'esclusione è nulla.
È quanto afferma il TAR Lazio-Roma, Sez. II, con la sentenza 03.01.2013 n. 16, che contraddice la delibera 4/2012 dell'organismo di vigilanza sui contratti pubblici rispetto a una fattispecie in cui un concorrente era stato escluso per mancata sottoscrizione della cauzione da parte dell'Istituto cauzionante, nonché del partecipante alla gara.
L'adempimento in questione è quello previsto dall'articolo 75 del Codice dei contratti pubblici che impone la cauzione provvisoria del 2% a corredo dell'offerta e a garanzia della stessa, ma non prevede l'esclusione del concorrente come nel caso della cauzione definitiva. Sul punto il Consiglio di stato era però intervenuto in passato affermando (Sez. V, 12.06.2009, n. 3746) che la cauzione provvisoria, assolvendo la funzione di garantire la serietà dell'offerta, costituisse parte integrante dell'offerta stessa e non elemento di corredo, sicché la mancata produzione della garanzia giustificava l'esclusione dalla gara.
Con l'articolo 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, introdotto dall'art. 4, comma 2, lettera d), del decreto legge n. 70/2011, è stata però prevista la tassatività delle cause di esclusione dalla procedura di affidamento del contratto di appalto: l'esclusione consegue quindi sia alla violazione di norma del Codice o del regolamento in cui è espressamente prevista l'esclusione, sia ai casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali. E dopo la norma del decreto 70 sempre il Consiglio di stato (Sez. III, 01.02.2012, n. 493) si era espresso nel senso di ritenere «sanabile o regolarizzabile la mancata prestazione della cauzione provvisoria».
Successivamente al decreto legge 70/2011, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, nel fornire delle prime indicazioni per la redazione dei bandi di gara (il cosiddetto «bando-tipo» nel quale è stata effettuata la ricognizione delle diverse fattispecie di esclusione, tipizzate dalla legge o ricavabili in sede interpretativa), ha affermato che costituiscono cause di esclusione tanto la mancata presentazione della cauzione provvisoria, quanto la mancata sottoscrizione da parte del garante, così come effettivamente prevedevano gli atti di gara (ancorché precedenti alla delibera n. 4).
Il Tar del Lazio contraddice l'Autorità e ritiene invece nullo il bando per violazione di legge (e del principio di tassatività delle cause di esclusione affermato dall'articolo 46, comma 1-bis, del Codice). Non solo: la sentenza afferma anche che non risulta condivisibile la tesi sostenuta dall'Autorità, perché tale tesi risulta in contrasto con la ratio della novella del 2011, evidentemente tesa a limitare le cause di esclusione dalle gare e a favorire, in ossequio al principio del favor partecipationis, la regolarizzazione delle domande e delle offerte che siano prive dei requisiti richiesti dalla legge o dal bando (articolo ItaliaOggi dell'08.01.2013).

APPALTI: Il bando della procedura di gara pubblica è affetto da nullità ogni qualvolta individua quale causa di esclusione dalla gara la mancata allegazione della polizza fideiussoria di cui all'art. 75, comma primo, del codice dei contratti pubblici.
Tale norma, la quale prevede, al comma sesto, l’obbligo -non sanzionato con l'inammissibilità dell'offerta o l'esclusione del concorrente per l'ipotesi in cui la garanzia non venga prestata- di corredare l'offerta di una garanzia pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente, a garanzia della serietà dell’impegno di sottoscrivere il contratto e quale liquidazione preventiva e forfettaria del danno in caso di mancata stipula per fatto dell’affidatario, ed al comma ottavo che l’offerta, espressamente a pena di esclusione, sia corredata, altresì, dall'impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia di cui all'art. 113, qualora l'offerente risultasse affidatario, in seguito alla entrata in vigore della disposizione dell'art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, deve essere interpretata in modo tale da valorizzare la diversa formulazione letterale del comma sesto, in relazione al comma ottavo, con l'evidente intento di ritenere sanabile o regolarizzabile la mancata prestazione della cauzione provvisoria, al contrario della cauzione definitiva, che garantisce l'impegno più consistente della corretta esecuzione del contratto e giustifica l'esclusione dalla gara.

CONSIDERATO che i suesposti motivi possono essere trattati congiuntamente e risultano fondati alla luce delle seguenti considerazioni:
   A) l’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, introdotto dall’art. 4, comma 2, lettera d), del decreto legge n. 70/2011, prevede la tassatività delle cause di esclusione dalla procedura di affidamento del contratto di appalto, disponendo come segue: “la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”;
   B) l’art. 75 del codice dei contratti pubblici prevede -ai commi da 1 a 6- l’obbligo di corredare l’offerta di una garanzia pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente, a garanzia della serietà dell’impegno di sottoscrivere il contratto e quale liquidazione preventiva e forfettaria del danno in caso di mancata stipula per fatto dell’affidatario; tuttavia tale disposizione non prevede alcuna sanzione di inammissibilità dell’offerta o di esclusione del concorrente per l’ipotesi in cui la garanzia non venga prestata, mentre l’ottavo comma dello stesso articolo 75, prevede espressamente “a pena di esclusione” che l’offerta sia corredata altresì dall’impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia di cui all’articolo 113 (ossia la garanzia per l’esecuzione del contratto, pari al 10 per cento dell’importo contrattuale), qualora l’offerente risultasse affidatario;
   C) prima della novella del 2011, con la quale è stato introdotto il comma 1-bis nell’art. 46 del codice dei contratti pubblici, la prevalente giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 12.06.2009, n. 3746) riteneva che la cauzione provvisoria, assolvendo la funzione di garantire la serietà dell’offerta, costituisse parte integrante dell’offerta stessa e non elemento di corredo, sicché la mancata produzione della garanzia giustificava l’esclusione dalla gara;
   D) a seguito della novella del 2011 la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. III, 01.02.2012, n. 493) ha chiarito che la disposizione dell’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici impone una diversa interpretazione dell’art. 75, che valorizza la diversa formulazione letterale del comma 6, in relazione al comma 8, e rende evidente «l’intento di ritenere sanabile o regolarizzabile la mancata prestazione della cauzione provvisoria, al contrario della cauzione definitiva, che garantisce l’impegno più consistente della corretta esecuzione del contratto e giustifica l’esclusione dalla gara»;
   E) alla luce di tale condivisibile opzione ermeneutica, non risulta condivisibile la tesi sostenuta dall’A.V.C.P. nella determinazione n. 4 del 10.10.2012, recante “Indicazioni generali per la redazione dei bandi di gara ai sensi degli articoli 64, comma 4-bis e 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici” (che comunque non vincola questo Tribunale, tanto più se si considera che non è richiamata nel bando, essendo successiva alla pubblicazione dello stesso), secondo la quale costituiscono cause di esclusione tanto la mancata presentazione della cauzione provvisoria, quanto la mancata sottoscrizione da parte del garante, perché tale tesi risulta in contrasto con la ratio della novella del 2011, evidentemente tesa a limitare le cause di esclusione dalle gare ed a favorire, in ossequio al principio del favor partecipationis, la regolarizzazione delle domande e delle offerte che siano prive dei requisiti richiesti dalla legge o dal bando;
   F) deve quindi ritenersi che il bando relativo alla gara di cui trattasi sia nullo, ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, nella parte in cui prevede quale causa di esclusione dalla gara la mancata allegazione della polizza fideiussoria di cui all’art. 75, comma 1, del medesimo codice, e che il provvedimento di esclusione della ricorrente sia illegittimo, perché adottato con riferimento ad una fattispecie che la legge considera come una mera irregolarità sanabile ai sensi dell’art. 46, comma 1, del codice dei contratti pubblici;
CONSIDERATO che, stante quanto precede, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, si deve dichiarare la nullità del bando nella parte in cui prevede quale causa di esclusione dalla gara la mancata allegazione della polizza fideiussoria di cui all’art. 75, comma 1, del codice dei contratti pubblici e si deve disporre l’annullamento del provvedimento di esclusione della società ricorrente
(TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 03.01.2013 n. 16  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: M. Urbani, Adempimenti, comunicazioni e tempistiche per l’espletamento delle procedure di gara (Bollettino di Legislazione Tecnica n. 1/2013).

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