dossier APPALTI
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2016 al 2019
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per
approfondimenti vedi anche:
A.N.AC. (già Autorità Vigilanza Contratti Pubblici)
<--->
Partenariato Pubblico Privato - MEF/RGS
* * *
A.N.AC. (massimario
dell'Autorità) - A.N.AC. (massimario
di giurisprudenza) |
anno 2013 |
|
dicembre 2013 |
|
ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO - TRIBUTI:
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) -
Selezione norme di interesse dei Comuni (ANCI,
dicembre 2013). |
ENTI
LOCALI - LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO:
G.U. 27.12.2013 n. 302, suppl. ord. n. 87/L, "Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato (legge di stabilità 2014)" (L.
27.12.2013 n. 147). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
G.U. 23.12.2013 n. 300 "Interventi urgenti di avvio del
piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle
tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi
RC-auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la
digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la
realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015" (D.L.
23.12.2013 n. 145).
---------------
Di particolare interesse, si leggano:
●
Art. 1.
- Disposizioni per la riduzione dei costi gravanti sulle
tariffe elettriche, per gli indirizzi strategici
dell’energia geotermica, in materia di certificazione
energetica degli edifici e di condominio, e per lo sviluppo
di tecnologie di maggior tutela ambientale
●
Art. 4. -
Misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei
siti di interesse nazionale e misure particolari per l’area
di crisi complessa del porto di Trieste
●
Art. 13. -
Disposizioni urgenti per EXPO 2015, per i lavori pubblici ed
in materia di trasporto aereo
●
Art. 14. -
Misure di contrasto al lavoro sommerso e irregolare |
APPALTI:
Oggetto: Nuove soglie comunitarie per gli appalti
pubblici dall'01.01.2014 (ANCE Bergamo,
circolare 20.12.2013 n. 278). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Modifiche in tema di appalti pubblici introdotti
dal cosiddetto “decreto del fare”. Specificazioni (ANCE
Bergamo,
circolare 20.12.2013 n. 277). |
APPALTI: Ai
sensi e per gli effetti dell'art. 38, comma 1, lett. i),
d.lgs. n. 163 del 2006, anche nel testo vigente
anteriormente al d.l. n. 70 del 2011, secondo cui
costituiscono causa di esclusione dalle gare di appalto le
gravi violazioni alle norme in materia previdenziale e
assistenziale, la nozione di "violazione grave" non è
rimessa alla valutazione caso per caso della stazione
appaltante, ma si desume dalla disciplina previdenziale, e
in particolare dalla disciplina del documento unico di
regolarità contributiva.
Nella fattispecie in esame il DURC di una delle imprese
indicate quale esecutrice indicava una irregolarità nel
versamento degli oneri assicurativi, che la stazione
appaltante non poteva che considerare grave.
----------------
Non può essere considerata irregolare ai fini contributi o
assistenziali la posizione della impresa qualora sia
pendente il termine per la proposizione della impugnazione o
non sia, comunque, stato definito con sentenza passata in
giudicato il contenzioso instaurato.
A tale conclusione il Consiglio di Stato è addivenuto sulla
base dell’art. 8, comma 2, lettera b, del decreto del
Ministero del lavoro e della previdenza sociale del
24.10.2007 e della circolare della Agenzia delle entrate n.
34/E del 25.05.2007.
L’art. 8 surrichiamato, nel disciplinare le “cause non
ostative al rilascio del DURC”, espressamente prevede che:
“b) in pendenza di contenzioso giudiziario, la regolarità è
dichiarata sino al passaggio in giudicato della sentenza di
condanna, salvo l'ipotesi in cui l'Autorità giudiziaria
abbia adottato un provvedimento esecutivo che consente
l'iscrizione a ruolo delle somme oggetto del giudizio ai
sensi dell'art. 24 del decreto legislativo 26.02.1999, n.
46”;.
La circolare succitata afferma, invece, espressamente che:
“la regolarità fiscale richiesta dal Codice dei contratti
pubblici possa (rectius può) essere certificata, in
riferimento alla data o al periodo indicati dal richiedente,
dall’Ufficio locale competente secondo il domicilio fiscale
del soggetto d’imposta quando risulti, in base alle
informazioni ed ai documenti di cui dispone, che
l’Amministrazione finanziaria non abbia contestato al
contribuente una qualsiasi violazione di obblighi in materia
di tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, mediante
atto che si sia reso definitivo per effetto del decorso del
termine di impugnazione ovvero, qualora sia stata proposta
impugnazione, del passaggio in giudicato della pronuncia
giurisdizionale (cfr. ris. n. 2/E del 03.01.2005).
Si ritiene, inoltre, che l’irregolarità fiscale viene meno
qualora, alla data rispetto alla quale viene richiesta la
certificazione, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria
sia stata integralmente soddisfatta, anche mediante
definizione agevolata”.
Nella specie dalla documentazione in atti risulta, come
anticipato, che il DURC costituente presupposto della revoca
impugnata è stato impugnato innanzi al Tribunale del lavoro
di Catania, che, per quanto risulta dal fascicolo, non si è
ancora pronunciato. Ne consegue che la controversia non è
stata definita con pronuncia passata in giudicato e che va
esclusa la definitività dell’accertamento.
Tutto ciò premesso può procedersi all’esame del primo
motivo, con il quale si deduce che l’amministrazione avrebbe
illegittimamente omesso qualunque verifica in ordine alla
sussistenza del requisito della gravità della irregolarità
contributiva risultante dal DURC della società cooperativa “Il
Sorriso”.
Nella fattispecie tale requisito, in particolare,
difetterebbe avuto riguardo alla irrisorietà della
irregolarità (pari ad € 462,00 rapportate ad un biennio) a
fronte del consistente valore dell’appalto (€
18.133.200,00), nonché alla circostanza della sua
addebitabilità ad una delle due imprese esecutrici indicate
dal “Consorzio Sol. Calatino” soc. coop. avente una
quota di partecipazione del 25%.
La doglianza è infondata avuto riguardo al principio di
diritto enunciato dalla adunanza plenaria nella decisione n.
8/2012, che si ritiene opportuno riportare letteralmente: "ai
sensi e per gli effetti dell'art. 38, comma 1, lett. i),
d.lgs. n. 163 del 2006, anche nel testo vigente
anteriormente al d.l. n. 70 del 2011, secondo cui
costituiscono causa di esclusione dalle gare di appalto le
gravi violazioni alle norme in materia previdenziale e
assistenziale, la nozione di "violazione grave" non è
rimessa alla valutazione caso per caso della stazione
appaltante, ma si desume dalla disciplina previdenziale, e
in particolare dalla disciplina del documento unico di
regolarità contributiva”.
Nella fattispecie in esame il DURC di una delle imprese
indicate quale esecutrice indicava una irregolarità nel
versamento degli oneri assicurativi, che la stazione
appaltante non poteva che considerare grave.
---------------
Va adesso esaminato
il secondo motivo, con il quale si deduce la violazione
degli artt. 49, 56 e 101 del TFUE, poiché la nozione di “violazione
contributiva grave” di cui all’art. 38 del codice degli
appalti, in quanto rigida, contrasterebbe con i principi
comunitari di proporzionalità e ragionevolezza dagli stessi
enunciati.
Come ritenuto nella condivisa ordinanza n. 1969/2012 della
III sezione del TAR Lombardia Milano richiamata nel ricorso,
alle cui ampie motivazioni per esigenze di sintesi si
rinvia, la questione è fondata nel senso che consente la
devoluzione alla Corte di Giustizia e non la disapplicazione
della normativa nazionale.
Tale devoluzione non è, però, nella fattispecie in esame
necessaria, in quanto il collegio, ad una più attenta
valutazione tipica della fase di merito, ritiene fondato il
terzo motivo, con il quale si deduce che non sussisterebbe
il presupposto della definitività dell’accertamento della
irregolarità previsto dall’art. 38.
Dalla documentazione in atti risulta, infatti, che il DURC
in questione è stato impugnato innanzi al giudice del lavoro
di Catania.
Orbene, come ritenuto nella decisione della V sezione del
Consiglio di Stato n. 2213 del 20.04.2010, alle cui ampie
motivazioni per esigenze di sintesi si rinvia, non può
essere considerata irregolare ai fini contributi o
assistenziali la posizione della impresa qualora sia
pendente il termine per la proposizione della impugnazione o
non sia, comunque, stato definito con sentenza passata in
giudicato il contenzioso instaurato (negli stessi termini
più di recente la decisione n. 261/2013).
A tale conclusione il Consiglio di Stato è addivenuto sulla
base dell’art. 8, comma 2, lettera b, del decreto del
Ministero del lavoro e della previdenza sociale del
24.10.2007 e della circolare della Agenzia delle entrate n.
34/E del 25.05.2007.
L’art. 8 surrichiamato, nel disciplinare le “cause non
ostative al rilascio del DURC”, espressamente prevede
che: “b) in pendenza di contenzioso giudiziario, la
regolarità è dichiarata sino al passaggio in giudicato della
sentenza di condanna, salvo l'ipotesi in cui l'Autorità
giudiziaria abbia adottato un provvedimento esecutivo che
consente l'iscrizione a ruolo delle somme oggetto del
giudizio ai sensi dell'art. 24 del decreto legislativo
26.02.1999, n. 46”;.
La circolare succitata afferma, invece, espressamente che: “la
regolarità fiscale richiesta dal Codice dei contratti
pubblici possa (rectius può) essere certificata, in
riferimento alla data o al periodo indicati dal richiedente,
dall’Ufficio locale competente secondo il domicilio fiscale
del soggetto d’imposta quando risulti, in base alle
informazioni ed ai documenti di cui dispone, che
l’Amministrazione finanziaria non abbia contestato al
contribuente una qualsiasi violazione di obblighi in materia
di tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, mediante
atto che si sia reso definitivo per effetto del decorso del
termine di impugnazione ovvero, qualora sia stata proposta
impugnazione, del passaggio in giudicato della pronuncia
giurisdizionale (cfr. ris. n. 2/E del 03.01.2005). Si
ritiene, inoltre, che l’irregolarità fiscale viene meno
qualora, alla data rispetto alla quale viene richiesta la
certificazione, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria
sia stata integralmente soddisfatta, anche mediante
definizione agevolata”.
Nella specie dalla documentazione in atti risulta, come
anticipato, che il DURC costituente presupposto della revoca
impugnata è stato impugnato innanzi al Tribunale del lavoro
di Catania, che, per quanto risulta dal fascicolo, non si è
ancora pronunciato. Ne consegue che la controversia non è
stata definita con pronuncia passata in giudicato e che va
esclusa la definitività dell’accertamento.
Concludendo, per le ragioni suesposte, il ricorso è fondato
e va accolto con conseguente annullamento degli atti
impugnati (TAR Sicilia-Palermo, Sez.
I,
sentenza
19.12.2013
n. 2497 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
M. A. Sandulli,
Natura ed effetti dei pareri dell'AVCP (18.12.2013
- link a www.federalismi.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: L’acquisizione di
beni e servizi secondo modalità diverse da quelle previste
dal novellato art. 1, comma 450, della L. 296/2006 sono causa
di nullità del contratto stipulato con configurazione di un
illecito disciplinare e di una fattispecie di responsabilità
amministrativa, “non potendo revocarsi in dubbio che il Me.PA, sia ascrivibile al genus degli strumenti di acquisto
messi a disposizione da Consip Spa”.
Tuttavia, la lettura coordinata e sistematica del
summenzionato comma 450 con l’immediatamente precedente
comma 449 della L. 296/2006 per cui, per l’acquisto di beni e
servizi “Le restanti amministrazioni pubbliche di cui
all’art. 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 e
s.m., possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente
comma …. ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità
come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. ….” ,
comporta che “l’obbligo di ricorrere agli strumenti di
approvvigionamento descritti va mitigato ogni qualvolta il
ricorso all’esterno persegue la ratio di contenimento della
spesa pubblica contenuta nella norma”.
Quanto
sopra pur, evidentemente, nella indispensabile
giustificazione delle oggettive motivazioni del mancato
esperimento della procedura della richiesta di offerta e/o
della mancata adesione alla procedura da parte
dell’offerente migliore, che dovrà, comunque, rispettare, ai
sensi dell’art. 327 del D.P.R. 207/2010, i requisiti generali
e di idoneità professionale previsti dagli artt. 38 e 39 del
codice dei contratti pubblici.
---------------
Il Presidente della Provincia di Parma ha inoltrato a questa
Sezione, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge
131/2003, una richiesta di parere in merito all’ambito di
applicazione dell’art. 1, comma 450, della Legge 27.12.2006, n. 296 per cui “Dal
01.07.2007, le amministrazioni
statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti
e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni
educative e delle istituzioni universitarie, per gli
acquisti di beni e servizi al di sotto della soglia di
rilievo comunitario, sono tenute a fare ricorso al mercato
elettronico della pubblica amministrazione di cui
all’articolo 328, comma 1, del regolamento di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207. Fermi
restando gli obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del
presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui
all’articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165,
per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla
soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al
mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad
altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo
articolo 328. Per gli istituti e le scuole di ogni ordine e
grado, le istituzioni educative e le università statali,
tenendo conto delle rispettive specificità, sono definite,
con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e
della ricerca, linee guida indirizzate alla
razionalizzazione e al coordinamento degli acquisti di beni
e servizi omogenei per natura merceologica tra più
istituzioni, avvalendosi delle procedure di cui al presente
comma. A decorrere dal 2014 i risultati conseguiti dalle
singole istituzioni sono presi in considerazione ai fini
della distribuzione delle risorse per il funzionamento”.
Specificamente viene richiesto “se possa risultare possibile
l’accesso al libero mercato, qualora l’indagine nell’ambito
del mercato elettronico della pubblica amministrazione,
ovvero di atri mercati elettronici istituiti ai sensi
dell’articolo 328 del decreto del Presidente della
Repubblica 05.10.2010 n. 207, evidenzi la disponibilità
dei beni e servizi necessari ma a prezzi superiori rispetto
a quelli normalmente praticati nel contesto commerciale di
riferimento”.
...
La soluzione del quesito si fonda sull’interpretazione da
fornire all’inciso del comma 450 dell’art. 1 della
finanziaria 2007 e s.m.i. per cui “le altre amministrazioni
pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, per gli acquisti di beni e servizi di
importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono
tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica
amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici
istituiti ai sensi del medesimo articolo 328”.
Il richiamato
art. 328 del D.P.R. 207/2010 ne prevede tre tipologie
diverse: quello della stessa stazione appaltante, quello
realizzato dal Ministero dell’economia e delle finanze
tramite il sistema Consip, quello realizzato dalle centrali
di committenza di cui all’art. 33 del codice dei contratti
pubblici.
Peraltro, oltre al già ampio spettro di scelta tra le
summenzionate tipologie di mercato elettronico
normativamente previste, l’eventualità di prezzi inferiori
reperibili sul mercato, rispetto a quelli catalogati, per i
beni e servizi necessari, trova una risposta adeguata nel
vigente testo normativo. Infatti, il sistema si configura
come un “mercato aperto cui è possibile l’adesione da parte
di imprese che soddisfino i requisiti previsti dai bandi
relativi alla categoria merceologica o allo specifico
prodotto e servizio e, quindi, anche di quella asseritamente
in grado di offrire condizioni di maggior favore rispetto a
quelle praticate sul Me. PA … . D’altro canto …nell’ambito
dello stesso è prevista una duplicità di modalità
d’acquisto: così, oltre all’ordine diretto che permette di
acquisire sul Mercato Elettronico i prodotti/servizi con le
caratteristiche e le condizioni contrattuali già fissate, è
prevista la richiesta di offerta (cd. R.d.O.) con la quale è
possibile negoziare prezzi e condizioni migliorative o
specifiche dei prodotti/servizi pubblicati su cataloghi on line”
(cfr. Sezione regionale di controllo Marche n. 169/2012).
A tal proposito, infatti, il comma 4 dell’art. 328 del
D.P.R.207/2010 prevede che le stazioni appaltanti,
servendosi del mercato elettronico, possano effettuare
acquisti di beni e servizi sotto soglia “a) attraverso un
confronto concorrenziale …..delle offerte ricevute sulla
base di una richiesta di offerta rivolta ai fornitori
abilitati; ….”.
Pertanto, attraverso la procedura della richiesta di
offerta, pur nell’ambito del sistema del mercato
elettronico, sono acquisibili prezzi più convenienti per i
beni e servizi pur disponibili nei cataloghi on-line.
L’inderogabilità della richiamata procedura è suffragata
dall’interpretazione letterale del dato normativo di cui al
comma 450 dell’art. 1 della finanziaria 2007 e s.m.i. che non
ammette deroghe neppure per gli enti locali, nonché alla
luce della ratio di tutela della trasparenza e della
concorrenzialità cui l’automaticità del meccanismo di
aggiudicazione, normativamente previsto, è sotteso.
Ad
ulteriore conferma, infine, il fatto che l’acquisizione di
beni e servizi secondo modalità diverse da quelle previste
dal novellato art. 1, comma 450, della L. 296/2006 saranno causa
di nullità del contratto stipulato con configurazione di un
illecito disciplinare e di una fattispecie di responsabilità
amministrativa, “non potendo revocarsi in dubbio che il Me.PA, sia ascrivibile al genus degli strumenti di acquisto
messi a disposizione da Consip Spa” (cfr. Sezione regionale
di controllo per le Marche n.169/2012).
Altresì, la lettura coordinata e sistematica del
summenzionato comma 450 con l’immediatamente precedente
comma 449 della L. 296/2006 per cui, per l’acquisto di beni e
servizi “Le restanti amministrazioni pubbliche di cui
all’art. 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 e
s.m., possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente
comma …. ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità
come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. ….” ,
comporta che “l’obbligo di ricorrere agli strumenti di
approvvigionamento descritti va mitigato ogni qualvolta il
ricorso all’esterno persegue la ratio di contenimento della
spesa pubblica contenuta nella norma” (cfr. Sezione
regionale di controllo per la Toscana n. 151/2013).
Quanto
sopra pur, evidentemente, nella indispensabile
giustificazione delle oggettive motivazioni del mancato
esperimento della procedura della richiesta di offerta e/o
della mancata adesione alla procedura da parte
dell’offerente migliore, che dovrà, comunque, rispettare, ai
sensi dell’art. 327 del D.P.R. 207/2010, i requisiti generali
e di idoneità professionale previsti dagli artt. 38 e 39 del
codice dei contratti pubblici
(Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
parere 17.12.2013 n. 286). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
OGGETTO: Interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge
n. 212 del 2000 – Imposta di bollo nell'ambito del Mercato
elettronico della Pubblica amministrazione (Agenzia
delle Entrate,
risoluzione 16.12.2013 n. 96/E).
---------------
Il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate. Mercato
elettronico della PA, forniture digitali con bollo.
Sono da assoggettare a imposta di
bollo i documenti di offerta e accettazione, redatti in
formato elettronico, scambiati tra enti e fornitori della
pubblica amministrazione sulla piattaforma del MEPA.
Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n.
96/E/2013.
La risoluzione risponde a un’istanza di interpello in merito
al corretto trattamento tributario applicabile, ai fini
dell’imposta di bollo, ai documenti di offerta e
accettazione per l’approvvigionamento di beni e servizi
scambiati tra Enti e fornitori all’interno del Mercato
Elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA).
La società istante, nel dettaglio, ritenendo lo scambio
telematico tra le due parti non equiparabile alla
conclusione di un vero e proprio contratto riteneva che i
documenti in parola potessero essere ricondotti nell’ambito
di applicazione dell’art. 24 della Tariffa, parte seconda,
allegata al D.P.R. n. 642/1972 (nel novero degli atti sotto
forma di corrispondenza, dispacci telegrafici, ecc.) con
conseguente assoggettamento a imposta di bollo solo in caso
d’uso.
Di diverso avviso l’Agenzia delle entrate, secondo la quale
gli accordi in questione sono equiparabili a una scrittura
privata, da assoggettare a imposta di bollo ai sensi
dell’art. 2 della Tariffa, parte prima.
Occorre evidenziare, infatti, che nel MEPA possono accedere,
oltre alle pubbliche amministrazioni, esclusivamente aziende
fornitrici che siano state previamente abilitate a
presentare i propri beni o servizi, offerti sul sistema in
forma di cataloghi. Secondo la risoluzione pertanto, i
fornitori abilitati formulano, anche a seguito di specifiche
richieste da parte della pubblica amministrazione, delle
offerte pubbliche di beni e servizi. A seguito della
presentazione di tali offerte, la pubblica amministrazione
individua quella che risulta conforme alle proprie
richieste, procedendo alla conclusione del contratto,
tramite apposito “documento di stipula”. E tale documento,
benché recante la sola firma digitale dell’amministrazione,
può ritenersi sufficiente ad instaurare il rapporto
contrattuale, non essendo la controparte tenuta a
manifestare ulteriormente la propria volontà in tal senso.
Infine, la risoluzione ricorda che l’imposta assolta in
relazione a tale documento potrà essere addebitata al
soggetto che presenta l'offerta.
A pagare il bollo sarà dunque il fornitore aggiudicatario,
il quale è responsabile del corretto assolvimento del
tributo, come previsto dall’art. 53 del Regolamento sul
sistema di e-procurement della Pubblica Amministrazione.
Non scontano l’imposta di bollo, infine, le offerte
economiche presentate dagli operatori che non siano seguite
dall’accettazione da parte della PA (commento tratto da
www.ipsoa.it).
---------------
PA: non evitano l’imposta di bollo le forniture tramite
mercato digitale.
Gli scambi di documenti elettronici tra le parti confermano
il rapporto contrattuale e si concludono con la stipula di
un contratto che ha valore di scrittura privata.
Pagano l’imposta
di bollo i documenti di offerta e accettazione, redatti in
formato elettronico, scambiati tra enti e fornitori
all’interno del Mercato elettronico della pubblica
amministrazione (Mepa) per l’approvvigionamento di beni e
servizi.
Così risponde l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n.
96/E del 16 dicembre, a una società che ritiene lo scambio
telematico tra le due parti non equiparabile alla
conclusione di un vero e proprio contratto, perché sul
documento conclusivo compare soltanto la firma digitale di
chi lo ha emesso, mentre manca la firma della controparte.
Questa circostanza, secondo l’interpellante, farebbe
ricadere l’atto non tra quelli indicati nell’articolo 2
della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 642/1972, che
stabilisce l’applicazione dell’imposta di bollo per le
“Scritture private contenenti convenzioni o dichiarazioni
anche unilaterali con le quali si creano, si modificano, si
estinguono, si accertano o si documentano rapporti giuridici
di ogni specie, descrizioni, constatazioni e inventari
destinati a far prova tra le parti che li hanno
sottoscritti”, ma tra quelli del successivo articolo 24
della tariffa, parte seconda, per i quali il tributo è
previsto solo in caso d’uso, ossia gli “Atti e documenti di
cui all'articolo 2 redatti sotto forma di corrispondenza o
di dispacci telegrafici, ancorché contenenti clausole di cui
all' articolo 1341 del codice civile”. (... continua) (link
a www.fiscooggi.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il Collegio si allinea al
prevalente indirizzo giurisprudenziale che ritiene di
sussumere il servizio di illuminazione votiva nella
categoria dei servizi pubblici comunali, mentre
l’eventuale affidamento a privati della gestione è
qualificabile quale concessione di servizio pubblico.
Come ha evidenziato l’organo di appello il tratto distintivo
della concessione di pubblico servizio è dato: <<a)
dall'assunzione del rischio a carico del concessionario per
la gestione del servizio;
b) dalla circostanza che il corrispettivo non sia versato
dall'amministrazione, come nei contratti di appalto di
lavori, servizi e forniture, la quale, anzi, percepisce un
canone da parte del concessionario;
c) dalla diversità dell'oggetto del rapporto, che nella
concessione di servizi è trilaterale (coinvolgendo
l'amministrazione, il gestore e gli utenti), mentre
nell'appalto è bilaterale (stazione appaltante -
appaltatore).>>
Peraltro, sulla questione si può anche richiamare
l’orientamento di questo Tribunale secondo cui: “In forza di
tali nozioni (cioè quelle di mero servizio e servizio
pubblico, n.d.r.) non vi è dubbio che il servizio di
pubblica illuminazione debba essere considerato servizio
pubblico, poiché dell'erogazione dello stesso, da parte
dell'appaltatore, beneficia direttamente ed esclusivamente
la collettività (o il singolo utente) senza alcuna
intermediazione del Comune nello svolgimento del processo
produttivo”.
---------------
L'illuminazione elettrica di aree
cimiteriali da parte del privato costituisce oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza
economica, perché richiede che il concessionario impegni
capitali, mezzi e personale da destinare a un’attività
suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di
gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto
concorrenziale del mercato di settore.
A conferma di ciò si può
richiamare la regola generale sancita dall'art. 172, comma 1,
lett. e), del D.Lgs. 267/2000, che impone di allegare al
bilancio di previsione, fra gli altri documenti, le
deliberazioni con le quali sono determinati le tariffe per i
servizi locali.
Sono considerati privi di rilevanza
economica i servizi che sono resi agli utenti in chiave
meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono
un’organizzazione di impresa in senso obiettivo, e in questo
quadro appare indubbia la riconducibilità del servizio di
illuminazione votiva tra quelli che rivestono spessore
economico,
e detta impostazione non è smentita dall’eventuale
irrisorietà del guadagno che in concreto il servizio
produca.
Anzitutto il Collegio si allinea al
prevalente indirizzo giurisprudenziale che ritiene di
sussumere il servizio di illuminazione votiva nella
categoria dei servizi pubblici comunali, mentre l’eventuale
affidamento a privati della gestione è qualificabile quale
concessione di servizio pubblico (TAR Sicilia Catania,
sez. II – 07/12/2012 n. 2851; Consiglio di Stato, sez. V –
29/03/2010 n. 1790). Come ha evidenziato l’organo di appello
(sez. V – 11/08/2010 n. 5620) il tratto distintivo della
concessione di pubblico servizio è dato:
<<a) dall'assunzione del rischio a carico del concessionario
per la gestione del servizio (cfr. Corte Giustizia CE, Sez.
III, 15.10.2009, n. 196, caso Acoset);
b) dalla circostanza che il corrispettivo non sia versato
dall'amministrazione, come nei contratti di appalto di
lavori, servizi e forniture, la quale, anzi, percepisce un
canone da parte del concessionario (cfr. Cons. St., sez. VI,
05.06.2006, n. 3333; Sez. V 05.12.2008 n. 6049);
c) dalla diversità dell'oggetto del rapporto, che nella
concessione di servizi è trilaterale (coinvolgendo
l'amministrazione, il gestore e gli utenti), mentre
nell'appalto è bilaterale (stazione appaltante -
appaltatore).>>
I predetti connotati sono rintracciabili nella convenzione
del 30/09/1983, visto che sono previsti interventi gratuiti
del concessionario i quali sostanziano l’erogazione del
compenso dovuto al Comune (art. 11), e che l’utente instaura
un rapporto diretto con il gestore versando a suo favore un
corrispettivo (prezzo di abbonamento – allegato A della
convenzione): dunque la Società Epis assume direttamente il
rischio correlato all’equilibrio economico dell’operazione
condotta.
Peraltro sulla questione si può anche richiamare
l’orientamento di questo Tribunale (cfr. sentenza 27/12/2007
n. 1373 richiamata dalla sez. II – 15/01/2013 n. 26, che
risulta appellata) secondo cui: “In forza di tali nozioni
(cioè quelle di mero servizio e servizio pubblico, n.d.r.)
non vi è dubbio che il servizio di pubblica illuminazione
debba essere considerato servizio pubblico, poiché
dell'erogazione dello stesso, da parte dell'appaltatore,
beneficia direttamente ed esclusivamente la collettività (o
il singolo utente) senza alcuna intermediazione del Comune
nello svolgimento del processo produttivo”.
In secondo luogo, l'illuminazione elettrica di aree
cimiteriali da parte del privato costituisce oggetto di
concessione di servizio pubblico locale a rilevanza
economica, perché richiede che il concessionario impegni
capitali, mezzi e personale da destinare a un’attività
suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di
gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto
concorrenziale del mercato di settore (Consiglio di Stato,
sez. V – 24/01/2013 n. 435). A conferma di ciò si può
richiamare la regola generale sancita dall'art. 172, comma 1,
lett. e), del D.Lgs. 267/2000, che impone di allegare al
bilancio di previsione, fra gli altri documenti, le
deliberazioni con le quali sono determinati le tariffe per i
servizi locali. Sono considerati privi di rilevanza
economica i servizi che sono resi agli utenti in chiave
meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono
un’organizzazione di impresa in senso obiettivo, e in questo
quadro appare indubbia la riconducibilità del servizio di
illuminazione votiva tra quelli che rivestono spessore
economico (Consiglio di Stato, sez. V – 23/10/2012 n. 5409),
e detta impostazione non è smentita dall’eventuale
irrisorietà del guadagno che in concreto il servizio
produca.
In presenza di una concessione di pubblico servizio non
risultano applicabili le invocate disposizioni di cui agli
artt. 30 e 143 del D.Lgs. 163/2006, che imporrebbero di
adottare provvedimenti di riequilibrio economico finanziario
degli investimenti effettuati al mutare delle condizioni di
fatto e dei presupposti. Detta conclusione discende
anzitutto dal rilievo che l’art. 143 riguarda le concessioni
di lavori pubblici, mentre nella fattispecie già si è
argomentato nel senso del riconoscimento della natura di
concessione di servizio pubblico (cfr. sulla specifica
questione Consiglio di Stato, sez. V – 29/03/2010 n. 1790).
Inoltre, l’art. 30 fa riferimento al perseguimento
dell’equilibrio economico-finanziario del rapporto concessorio secondo una valutazione compiuta
ex ante (al
momento di avviare la gara), mentre nella fattispecie non si
rinviene alcuna disposizione nella convenzione stipulata tra
le parti.
Infine, la ricorrente ha soltanto genericamente
prospettato l’omessa rideterminazione delle nuove
condizioni, e non ha fornito –con l’ausilio di un
dettagliato quadro economico– un resoconto puntuale delle
circostanze sopravvenute che avrebbero inciso
sull’equilibrio del sinallagma, in disparte la non
insignificante questione dell’imminente cessazione del
rapporto concessorio, come si vedrà in seguito (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 14.12.2013 n. 1132 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: G.U.U.E.
14.12.2013 n. L 335/17 "REGOLAMENTO
(UE) N. 1336/2013 DELLA COMMISSIONE del 13.12.2013
che modifica le direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE e
2009/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardo
alle soglie di applicazione in materia di procedure di
aggiudicazione degli appalti". |
APPALTI:
Contratto pubblico di appalto in modalità
elettronica: proposta di Intesa.
La Conferenza delle Regioni in relazione al Contratto
pubblico di appalto in modalità elettronica ha approvato,
nella riunione del 05.12.2013, un
proposta di intesa Governo-Regioni-ANCI.
Tale documento è stato consegnato al Governo in occasione
della discussione in Conferenza Unificata dell’Intesa sulle
modalità di stipula dei contratti pubblici conclusi ai sensi
dell’articolo 6, comma 3, del decreto legge 18.10.2012, n.
179, convertito dalla legge 17.12.2012 n. 221 (tratto da
www.regioni.it).
---------------
La disposizione di cui all’articolo 11, comma 13, del
d.lgs. 12.04.2006 n. 163 così come modificata
dall’articolo 6 del decreto legge 18.10.2012 n. 179,
stabilisce che a partire dal 01.01.2013 "Il contratto è
stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile
informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le
norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma
pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante
dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura
privata”.
Il presente documento è finalizzato ad
offrire alle pubbliche amministrazioni indicazioni per
affrontare i diversi aspetti operativi e organizzativi
derivanti dalla stipula in modalità elettronica dei
contratti pubblici relativi ad appalti e concessioni di
lavori, servizi e forniture.
A fini di inquadramento è opportuno evidenziare come il
contratto stipulato in modalità elettronica sia
riconducibile ai concetti più generali di documento
informatico, di cui al decreto legislativo 07.03.2005, n. 82
Codice dell’Amministrazione Digitale ed alle relative regole
tecniche in corso di emanazione.
Il contratto stipulato in modalità elettronica è formato
tramite l’utilizzo di appositi strumenti software oppure
tramite acquisizione della copia per immagine su supporto
informatico di un contratto cartaceo.
Le indicazioni contenute nel presente documento possono
essere adottate anche per la stipula di accordi fra
amministrazioni di cui all’art. 15 L. 241/1990. (...
continua)
---------------
Obbligo dei contratti d’appalto in modalità elettronica:
arrivano le linee guida su come operare.
L’articolo 11, comma 13, del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei
Contratti, come modificato dal D.L. 179/2012) stabilisce che
dall'01.01.2013 i contratti d’appalto debbano essere
stipulati, a pena di nullità, con atto pubblico notarile
informatico, ovvero in modalità elettronica secondo le norme
vigenti.
Con circa un anno di ritardo rispetto alla scadenza, la
Conferenza unificata nella seduta del 05.12.2013 ha definito
le modalità di stipula dei contratti elettronici con
apposite linee guida.
Il documento fornisce le indicazioni per affrontare i
diversi aspetti operativi e organizzativi derivanti dalla
stipula in modalità elettronica dei contratti pubblici
relativi ad appalti e concessioni di lavori, servizi e
forniture.
Secondo le nuove regole, il contratto deve essere generato
tramite l’uso di software o attraverso l’acquisizione
informatica del contratto cartaceo su supporto informatico.
Il contratto stipulato in modalità elettronica deve assumere
le caratteristiche di integrità e immodificabilità, in modo
che forma e contenuto non siano alterabili e ne sia
garantita l’integrità nella fase di conservazione.
Le tipologie di firma elettronica da utilizzare sono:
●
la firma digitale
●
la
firma elettronica qualificata
●
la firma elettronica avanzata
Per garantire l’interoperabilità, l’accesso e la leggibilità
dei documenti elettronici, i documenti dovranno essere
preferibilmente in uno dei seguenti formati:
●
pdf
●
rtf
●
txt
●
jpeg
●
xml
Vengono, inoltre, fornite indicazioni in merito a:
►
firma digitale del pubblico ufficiale rogante
►
firme elettroniche qualificate e digitali
►
acquisizione digitale della sottoscrizione autografa
►
atto pubblico amministrativo a mezzo Ufficiale Rogante
►
scritture private autenticate
►
scrittura privata
►
aggregato documentale informatico (12.12.2013 -
commento tratto da www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI: Subappaltatori pagati da chi fa l'appalto.
Una norma del decreto sviluppo
sblocca i cantieri. Expo: riassegnazioni di fondi per 165 mln.
Per non bloccare i cantieri, negli appalti pubblici i
subappaltatori potranno essere pagati direttamente dalla
stazione appaltante in caso di particolare urgenza e in
pendenza di una procedura di concordato preventivo; per
l'Expo 2015 previste revoche e riassegnazioni per 165
milioni; niente Iva sui project della Tem e della
Pedemontana.
Sono questi alcuni dei punti più rilevanti del
decreto-legge «Destinazione Italia», approvato ieri dal
Consiglio dei ministri, relativi agli appalti pubblici e
all'Expo 2015.
Prosecuzione degli appalti e pagamento subappaltatori. Lo
schema di decreto-legge affronta le problematiche derivanti
dalle crisi aziendali che toccano sempre più imprese di
costruzioni e le inevitabili conseguenze rispetto alla
prosecuzione degli appalti in corso. In particolare, per
consentire il completamento dell'esecuzione del contratto di
appalto e per condizioni di particolare urgenza, viene
stabilito che la stazione appaltante –anche in deroga al
bando di gara– possa procedere al pagamento diretto dei
corrispettivi ai subappaltatori e ai cottimisti per quanto
da essi eseguito.
Inoltre si prevede che nella pendenza di
una procedura di concordato preventivo, la stazione
appaltante possa pagare distintamente l'appaltatore
principale e i subappaltatori, secondo le istruzioni
impartite dal Tribunale competente, in modo da salvaguardare
sia la parità di condizione tra i creditori dell'appaltatore
in crisi aziendale, sia la prosecuzione dell'appalto. Ciò,
ovviamente, laddove il bando non abbia già previsto il
pagamento diretto dei subappaltatori o dei cottimisti. Si
estende, infine, il regime di svicolo delle garanzie di
buona esecuzione previsto dall'articolo 237-bis del codice
degli appalti anche ai settori «speciali» (acqua, energia e
trasporti) e anche per i contratti in essere.
Expo 2015. Il provvedimento interviene prevedendo meccanismi
di revoca e rassegnazione di fondi per ottimizzare l'impiego
delle risorse disponibili. Per quel che riguarda le somme
oggetto della revoca delle assegnazioni disposte dal Cipe,
complessivamente pari a 165,390 milioni, vengono destinate
prioritariamente, per 53,2 milioni, a opere di connessione
indispensabili per lo svolgimento dell'Expo 2015, al cui
finanziamento vengono anche destinati ulteriori 42,8 milioni
per l'anno 2013 (per un ammontare complessivo di 96 milioni)
a valere sul fondo di cui all'articolo 18, comma 1, del
decreto legge n. 69/2013, già assegnati dal Cipe con
delibera del 09.11.2013 alla linea M4 della
metropolitana di Milano e ritenuti non necessari
nell'immediato.
A quest'ultimo intervento vengono
contestualmente destinati 42,8 milioni a valere sulle
risorse derivanti dalle revoche, al fine di mantenere
inalterato l'ammontare complessivo del contributo assegnato
dal Cipe in attuazione dell'articolo 18, comma 3, del
decreto legge n. 69/2013. Quarantacinque milioni vengono
indirizzati ad interventi per l'accessibilità ferroviaria
dell'aeroporto di Malpensa. Infine si prevede che le risorse
residuali derivanti dalle revoche siano destinate a
interventi immediatamente cantierabili finalizzati al
miglioramento della competitività dei porti italiani e al
trasferimento ferroviario e modale all'interno dei sistemi
portuali. Molto importante, in prospettiva, è l'estensione
(dal 2008 al 2010) dell'arco temporale del termine entro il
quale deve essere avvenuta l'assegnazione delle risorse da
parte del Cipe, con ciò amplia il plafond delle risorse che
possono essere revocate e riutilizzate per opere
immediatamente cantierabili.
Una norma specifica riguarda
poi la chiusura del closing finanziario e la prosecuzione
dei lavori in corso relativi alla Tangenziale esterna est di
Milano e alla Pedemontana Veneta. La norma chiarisce infatti
che i contributi di 330 milioni e di 370 milioni stanziati
per le due opere, strettamente necessari per garantire
l'equilibrio economico-finanziario e la prosecuzione dei
cantieri dei due progetti, non siano assoggettabili a Iva,
come previsto dai piani economico-finanziari
(articolo ItaliaOggi del
14.12.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Lavori specialistici a rischio contenzioso.
Subito il decreto.
Risolvere con un decreto legge, da varare già nel prossimo
Consiglio dei ministri, il nodo della qualificazione
obbligatoria nelle categorie specialistiche, cancellata dal
parere del Consiglio di Stato reso operativo dal Dpr
30.10.2013.
Al ministero delle Infrastrutture premono per una soluzione
immediata, capace di sterilizzare da subito gli effetti del
decreto andato in Gazzetta lo scorso 29 novembre. Il
provvedimento autorizza le imprese qualificate a eseguire le
attività di maggior valore all'interno di un'opera pubblica
a realizzare direttamente tutti gli altri lavori
accessori anche in assenza di una specifica competenza. Una
sorta di impresa «factotum». ... (articolo
Il Sole 24 Ore dell'11.12.2013 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
APPALTI SERVIZI:
Modalità di gestione di un servizio pubblico locale di
rilevanza economica.
Allo stato attuale, la disciplina
generale di riferimento per la gestione dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica non indica, nel rispetto del
diritto comunitario, una modalità predefinita per
l'individuazione delle modalità di affidamento del servizio.
Il Comune è parte di una forma collaborativa, dotata di
personalità giuridica, costituita per l'esercizio coordinato
di funzioni e servizi.
Il Comune precisa che un servizio pubblico locale di
rilevanza economica (d'ora innanzi 'spl economico'),
nello specifico 'raccolta e smaltimento dei rifiuti'
('urbani' si ritiene) è attualmente gestito
esternamente con contraente individuato con 'appalto
europeo'.
Ciò posto chiede se la predetta forma collaborativa possa
acquisire una partecipazione societaria in una società di
capitali, alla quale sarebbe affidato 'in house' il
spl economico in parola.
La materia dei spl economici è stata, in questi anni,
interessata da una serie di discipline nazionali che si sono
succedute nel tempo, determinando un quadro normativo di
riferimento non sempre chiarissimo [1].
Allo stato attuale, la materia è principalmente disciplinata
[2], per
quanto riguarda la legislazione nazionale, dall'art. 34,
commi 20 e 21, del decreto legge 18.10.2012, n. 179
[3], che
così dispone: '20. Per i servizi pubblici di rilevanza
economica, al fine di assicurare il rispetto della
disciplina europea, la parità tra gli operatori,
l'economicità della gestione e di garantire adeguata
informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento
del servizio è effettuata sulla base di apposita relazione,
pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà
conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti
previsti dall'ordinamento europeo per la forma di
affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici
degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale,
indicando le compensazioni economiche se previste.
21. Gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore
del presente decreto non conformi ai requisiti previsti
dalla normativa europea devono essere adeguati entro il
termine del 31 dicembre 2013 pubblicando, entro la stessa
data, la relazione prevista al comma 20. Per gli affidamenti
in cui non è prevista una data di scadenza gli enti
competenti provvedono contestualmente ad inserire nel
contratto di servizio o negli altri atti che regolano il
rapporto un termine di scadenza dell'affidamento. Il mancato
adempimento degli obblighi previsti nel presente comma
determinata la cessazione dell'affidamento alla data del
31.12.2013'.
Queste disposizioni recepiscono il principio comunitario
dell'indifferenza della forma utilizzata per la gestione dei
servizi di interesse economico generale da parte degli enti:
l'ente in sostanza è libero di auto organizzarsi, nel
rispetto del diritto comunitario, mediante l'auto produzione
o il ricorso al mercato. A tale proposito, la Corte
costituzionale (con sentenza 325/2010) ha statuito che il
diritto comunitario non ha mai espressamente ed univocamente
affermato che per i spl economici ci sia, in capo agli enti
locali, un obbligo assoluto ed inderogabile di affidarli a
terzi sul mercato con l'esclusione dell'affidamento diretto
a società in house.
Il Giudice amministrativo [4],
a commento dell'art. 34, commi 20 e 21, del dl 179/2012, ha
così precisato: 'L'ordinamento nazionale non indica un
modello preferibile -ossia non predilige né l'in house né la
piena espansione della concorrenza nel mercato e per il
mercato e neppure il partneriato pubblico privato- ma rinvia
alla scelta concreta del singolo ente affidante. In
definitiva, si profila una maggiore autonomia degli enti
locali nella direzione da intraprendere... La scelta tra i
differenti modelli va effettuata tenendo conto della
concreta situazione di fatto, nel rispetto dei criteri
introdotti dall'art. 34, comma 20 del dl 179/2012 ossia la
parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e
l'adeguata informazione alla collettività di riferimento.
Detti obiettivi devono necessariamente essere correlati al
preminente interesse dell'utente del servizio a godere del
miglior servizio possibile alle condizioni più convenienti
...'. L'ente locale quindi dovrà rispettare i principi
comunitari, l'obbligo di motivazione (del resto ogni scelta
discrezionale dell'ente locale deve essere sorretta da
adeguata istruttoria e motivazione [5]),
i principi di efficienza, efficacia ed economicità
dell'azione amministrativa.
Tra 'i requisiti dell'affidamento in house'
[6]
-sempre citando il TAR lombardo- ci si sofferma su quello
del 'controllo analogo da parte dei soci pubblici, che
secondo la giurisprudenza comunitaria costituisce potere
assoluto di direzione coordinamento e supervisione
dell'attività del soggetto partecipato e riguarda l'insieme
dei più importanti atti di gestione del medesimo...'. 'Per
controllo analogo si intende un rapporto equivalente...ad
una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione
si verifica quando sussiste un controllo gestionale e
finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente
societario (C. St. sent. 25.1.2005, n. 168 ...)'.
[7] 'La
giurisprudenza comunitaria si è soffermata sulle modalità di
esercizio del controllo analogo in caso di una pluralità di
soci pubblici affrontando il tema se il controllo debba
essere individuale o possa essere congiunto e addivenendo
alla seconda soluzione...il controllo può essere esercitato
congiuntamene dalle stesse deliberando eventualmente a
maggioranza (C. Giust. CE, 13.11.2008 C-324/07)...si sono
ritenuti indici di controllo analogo, oltre che la
partecipazione totalitaria pubblica, taluni penetranti
poteri di vigilanza, quali: l'obbligo di trasmettere
mensilmente i verbali delle riunioni del consiglio di
amministrazione e del collegio sindacale... trimestralmente
al sindaco e all'assessore una relazione sull'andamento
della società con particolare riferimento alla qualità e
quantità dei servizi resi ai cittadini nonché dei costi di
gestione in relazione agli obiettivi fissati; i poteri di
nomina e revoca di un rilevante numero di amministratori e
sindaci...' [8].
Quindi si ribadisce che, per aversi un affidamento in
house, è indispensabile predefinire le modalità con le
quali l'ente locale determina quello strettissimo legame con
un soggetto terzo (e formalmente di diritto privato: un
organismo societario) tale da 'equipararlo' ad un
proprio ufficio: solo in tale caso si può derogare al
ricorso al mercato scegliendo l'autoproduzione del servizio
tramite il modello dello 'affidamento in house'.
L'art. 3-bis del dl 138/2011 [9]
poi, per i servizi pubblici a rete a rilevanza economica
(compresi quelli 'appartenenti al settore dei rifiuti
urbani'), ha demandato alle Regioni la definizione di
ambiti o bacini territoriali ottimali e della relativa
disciplina organizzativa (comprendente anche
l'individuazione dei relativi enti di governo).
La nostra Regione ha dettato la seguente disciplina (per il
solo servizio di gestione rifiuti urbani)
[10]: 'In
attuazione di quanto previsto dall'articolo 3-bis, comma 1,
terzo e quarto periodo, del decreto legge 138/2011...e sulla
base di deliberazioni degli enti locali interessati da
perfezionare con relativa assunzione entro il 31.12.2013,
nei casi di forme di cooperazione tra enti locali per la
gestione diretta ed in house dei servizi pubblici relativi
ai rifiuti urbani operanti per la raccolta differenziata ed
il recupero in attuazione delle direttive comunitarie in
materia, l'ambito unico di cui all'articolo 3, comma 51,
della l.r. 11/2011..., che viene confermato anche
successivamente al 31.12.2013 risulta articolato in zone
funzionali corrispondenti alle predette forme di
cooperazione. Le gestioni presenti in singoli Comuni non
facenti parte delle predette forme di cooperazione
proseguono o sono rinnovate in conformità alle norme vigenti
in materia, attuando l'organizzazione del servizio pubblico
su base sovracomunale anche mediante misure di integrazione
disposte dai livelli istituzionali competenti. Resta fermo
quanto previsto dalla normativa interna e comunitaria in
materia di servizi pubblici locali e in particolare
dall'articolo 34, commi 20 e seguenti, del decreto legge
179/2012...'.
Dal tenore di tali disposizioni, parrebbe evincersi che esse
abbiano un significato 'ricognitorio' della
situazione esistente in attesa dell'attuazione vera e
propria del nuovo assetto gestione del servizio rifiuti
urbani a livello unitario di ambito regionale. Le norme
infatti prevedono, in questo momento, che l'unico ambito
territoriale ottimale per la gestione integrata dei rifiuti
urbani (coincidente con il nostro territorio regionale) sia
articolato in zone funzionali corrispondenti 'alle forme
di cooperazione' in essere tra gli enti locali per la
gestione del servizio rifiuti urbani medesimo.
La ratio delle disposizioni infatti mira ad attuare
l'obbligo nazionale della gestione associata dei spl
economici.
Quindi, venendo al caso concreto (qui trattato per gli
aspetti riguardanti la disciplina comunitaria, nazionale e
regionale in materia di spl economici), se l'aggiudicazione
attualmente in essere è avvenuta con procedura ad evidenza
pubblica, come pare dal tenore del quesito, da parte di una
forma collaborativa (e non da 'singoli comuni'
[11]) essa
potrebbe proseguire fino a naturale scadenza in quanto
apparirebbe rispettosa della legislazione vigente: lo
strumento della gara rappresenta infatti attuazione della
regola della concorrenza imposta dal Trattato
[12].
In seguito, scaduta l'attuale aggiudicazione, la forma
collaborativa in parola, tramite i propri enti partecipanti,
potrà decidere come gestire il presente spl economico nel
rispetto della disciplina di fonte comunitaria, statale e
regionale, indicata.
Comunque per gli specifici aspetti interpretativi inerenti
la legislazione regionale in materia di rifiuti,
doverosamente, ci si rimette alle osservazioni che il
Servizio gestione rifiuti della Direzione centrale ambiente
ed energia, al quale è anche inviato il parere, riterrà di
formulare essendo la materia di sua competenza.
Parimenti, per quanto riguarda la previsione recata art.
3-bis, comma 3, del dl 138/2011, che prevede che, nella
scelta delle modalità di affidamento del servizio pubblico
economico, l'evidenza pubblica costituisce elemento di
valutazione della virtuosità degli enti ai sensi dell'art.
20, comma 2, del d.l. 98/2011, conv. in legge 111/2011 (e
quindi comporterebbe la possibilità di sottostare a vincoli
di finanza pubblica meno gravosi) [13],
ci si rimette a quanto riterrà di formulare la Posizione
organizzativa patto di stabilità e indennità amministratori
di questa Direzione centrale funzione pubblica, autonomie
locali e coordinamento delle riforme.
Si pregano quindi, per quanto di rispettiva competenza, il
Servizio gestione rifiuti della Direzione centrale ambiente
ed energia e la Posizione organizzativa patto di stabilità e
indennità amministratori della Direzione centrale funzione
pubblica, autonomie locali e coordinamento delle riforme, di
voler dare direttamente riscontro all'Ente richiedente ed a
questo Servizio per conoscenza.
---------------
[1] L'art. 35 della legge 448/2001 aveva disciplinato,
all'interno di un unico articolo (art. 113 TUEL) un vero e
proprio corpus normativo di settore, che è stato in parte
poi abrogato dall'art. 23-bis del dl 112/2008 (attuato dal
dpr 168/2010). In seguito, nel giro di una manciata di anni,
si sono succeduti, freneticamente i seguenti interventi: il
referendum popolare abrogativo del 12-13.06.2011 (attuato
dal dpr 113/2011) aveva espunto dall'ordinamento giuridico
il predetto dall'art. 23-bis del dl 112/2008. In seguito, la
disciplina veniva dettata dall'art. 4 del dl 138/2011,
successivamente dichiarato incostituzionale con sentenza
199/2012. E si giunge finalmente alla legislazione del 2012
come esposta nel prosieguo della parte narrativa del
presente parere.
[2] In via generale: restano tutt'ora vigenti singole
discipline di settore.
[3] Conv. con la legge 17.12.2012, n. 221. Si deve rilevare
che, ancora una volta, si è utilizzato lo strumento
improprio della decretazione d'urgenza, concentrando in una
manciata di commi, parte di una disciplina (quella dei
servizi pubblici locali a rilevanza economica), che
necessiterebbe invece in un intervento legislativo organico.
In altre norme sparse (alcune sempre in forma di
decretazione d'urgenza) infatti si trovano ulteriori
disposizioni sulla materia.
[4] TAR Lombardia, Brescia, sent. 11.06.2013, n. 558, alla
cui lettura integrale si rimanda. Ed ancora: 'Le autorità
nazionali, regionali e locali devono poter stabilire
liberamente i criteri di aggiudicazione.. secondo loro più
adeguati rispetto all'obiettivo del contratto' parere del
Comitato economico e sociale europeo del 26.04.2012 in merito
alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio per l'aggiudicazione dei contratti di concessione.
[5] Onde evitare illogicità o irrazionalità (si veda anche
TAR Campania, Napoli, sent. 1925/2013). Con il comma 20
dell'art. 4 del dl 179/2012 succitato 'si istituzionalizza
l'obbligo di motivare e pubblicizzare il ricorso
all'affidamento diretto o all'affidamento tramite gara' (C.
Volpe' La normativa sui servizi pubblici locali di rilevanza
economica..', in 'Giustizia amministrativa, documentazione,
studi'), alla cui lettura si rimanda per una panoramica
riassuntiva della disciplina attualmente vigente sulla
materia. L'Autore peraltro fa anche rilevare comunque la
'stranezza della nuova normativa', che prevede la
motivazione anche per il ricorso alla gara. Inoltre l'Autore
evidenzia che 'se è vero che la scelta di non trasferire ad
un soggetto terzo la funzione amministrativa idonea a
soddisfare la domanda relativa ad un pubblico servizio
costituisce per la PA una facoltà legittima, ciò non esclude
che comunque la decisione di ricorrere ad una società in
house anziché ad un soggetto terzo debba essere effettuata
previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi
offerti'.
[6] Oggetto di copiosissima giurisprudenza: i requisiti sono
capitale interamente pubblico, esercizio del controllo
analogo a quello esercitato dagli enti pubblici soci sui
propri uffici e parte più importante dell'attività svolta in
relazione alla sfera dei soci. Si vedano, per es., partendo
dalla prima pronuncia comunitaria sulla materia (sent.
Teckal 18.11.1999, C-107/98), molte altre sent. 11.02.2005
C-26/03 Stadt Halle, sent. 13.11.2008, C-324/07 Coditel
Brabant SA, sent. 13.10.2005 C-458/03 Parking Brixen per
arrivare a deliberazione C. Conti, sez. controllo Lombardia
del 07.10.2013, n. 411/PAR (tale ultima pronuncia tratteggia
anche utilmente i tratti salienti delle differenze tra
società che gestiscono spl economici e società strumentali,
le quali hanno una disciplina differente), TAR Lombardia,
Brescia, sent. 23.09.2013, n. 780.
[7] C. St., sent. 11.2.2013, 762.
[8] Sempre C. St., sent. 11.02.2013, 762, e anche alla
lettura integrale di tale sentenza si rimanda, contenendo
spunti interpretativi utili per la fattispecie: la questione
riguarda l'affidamento in house da parte di una comunità
montana. Sempre in merito al controllo esercitato
congiuntamente da più enti locali, si cita C. Giust.
europea, sent. 29.11.2012, n. 182, nella quale si ribadisce
la necessità per gli enti pubblici di esercitare un
controllo strutturale e funzionale effettivo sulla società.
[9] Conv. con legge 148/2011.
[10] Art. 3, comma 25, della l.r. 14/2012, come sostituito
dall'art. 4, comma 21, della l.r. 6/2013.
[11] Cfr. secondo periodo del comma 25 dell'art. 3 della
l.r. 14/2012.
[12] Art. 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea: 'Le imprese incaricate della gestione di servizi di
interesse economico generale ...sono sottoposte alle norme
dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza ,
nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti
all'adempimento, in linea di diritto o di fatto, della
specifica missione loro affidata' ('costituita dalla
soddisfazione dell'interesse generale...)' C.Volpe, op.cit..
[13] Facendo venire meno perciò sostanzialmente l'autonomia
degli enti nella scelta delle modalità di affidamento anche
se la norma non interviene sui presupposti dell'affidamento
(essa, a tale proposito, ha anche resistito ad una pronuncia
d'incostituzionalità: C.Cost. sent. 46/2013), ma sugli
effetti della scelta, introducendo un meccanismo di
premialità per gli enti 'virtuosi' (11.12.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
07.12.2013 n. 287 "Seconda edizione delle Linee-Guida per
i controlli antimafia di cui all’art. 3-quinquies del
decreto-legge 25.09.2009, n. 135, convertito dalla legge
20.11.2009, n. 166, inerente la realizzazione delle opere e
degli interventi connessi allo svolgimento dell’EXPO Milano
2015" (Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti, Comitato di
coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere,
deliberazione 20.11.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Abrogati gli articoli del regolamento sui
contratti pubblici (DPR 207/2010) riguardanti i subappalti
delle categorie super specializzate ed i criteri di
affidamento delle categorie a qualificazione obbligatoria
(ANCE Bergamo,
circolare 06.12.2013 n. 253). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 49 del 05.12.2013, "Criteri
e modalità per la presentazione delle domande di
autorizzazione in deroga al regime proprio dei parchi, per
la realizzazione di opere pubbliche e di reti ed interventi
infrastrutturali (art. 18, comma 6-ter, l.r. 86/1983)" (deliberazione
G.R. 29.11.2013 n. 990). |
LAVORI PUBBLICI:
Più poteri alle grandi imprese. Strada aperta ad
aziende "factotum" anche per lavori specializzati.
Varato il Dpr che accoglie il parere del Consiglio di Stato
- Specialisti e Anie in rivolta.
Cantieri in fibrillazione dopo la pubblicazione del Dpr che
di fatto permette alle imprese generali di eseguire le
lavorazioni specialistiche, anche in assenza di
qualificazione. ... (articolo Il Sole 24 Ore del
04.12.2013
- tratto da www.centrostudicni.it). |
LAVORI PUBBLICI: Vincere la causa non ridà l'appalto.
Non si può cambiare esecutore perché nelle opere strategiche
i tempi vanno rispettati. Giustizia
amministrativa. Sentenza del Tar Lombardia
sull'aggiudicazione dei lavori relativi all'autostrada
Pedemontana.
Un nuovo
tratto autostradale la cui realizzazione è contesa tra due
raggruppamenti di imprese, un'aggiudicazione dell'appalto
non coerente al bando di gara, 20 milioni di euro di danni
da risarcire.
Sono questi gli elementi e l'esito di una
corposa ed innovativa sentenza del TAR Lombardia-Milano -
Sez. III (sentenza
03.12.2013 n. 2681).
L'originalità sta soprattutto nel
fatto che in pratica i giudici hanno dato torto a tutti i
contendenti. Anche a quello al quale hanno riconosciuto una
parte di ragione.
L'autostrada è la Pedemontana Dalmine-Como-Varese,
dichiarata infrastruttura strategica per la sua importanza
nella congestionata rete di trasporti lombarda e posta in
gara nel 2010 (con lavori oggi in corso). I contendenti sono
consorzi tra le più qualificate imprese del settore. Il
risarcimento record è stato posto a carico della
concessionaria (Pedemontana Lombarda spa), che ha
aggiudicato l'appalto in maniera erronea.
Il progetto dell'impresa cui è stato aggiudicato l'appalto è
stato giudicato difforme da quello che avrebbe dovuto essere
presentato, ma i giudici del Tar esprimono la considerazione
secondo cui ormai non si può più sostituire. L'impresa
seconda classificata, pur avendo ingiustamente perso una
gara da 230 milioni, si vede riconosciuto circa l'1% di tale
importo (un decimo di quanto pretendeva). Inoltre, adesso il
concessionario, avendo scelto un progetto più oneroso per
circa 120 milioni di euro rispetto a quello originariamente
previsto, rischia responsabilità penali ed erariali: i
magistrati amministrativi hanno deciso di trasmettere una
copia degli atti alla Procura della Repubblica di Milano e
alla Corte dei conti.
La decisione del Tar è originale: affida ad un consulente
tecnico (di estrazione universitaria) la verifica dei
progetti, accettandone le conclusioni critiche verso ambedue
i contendenti. L'impresa che si è aggiudicata la gara aveva
presentato un'offerta sostanzialmente difforme dal bando,
che invece non prevedeva fossero apportate varianti. Ma
anche l'altro partecipante aveva presentato un'offerta
progettuale innovativa (in particolare per il ponte sul
fiume Adda), con "fasi critiche" da risolvere in sede
esecutiva e quindi un'elevata probabilità di dover ricorrere
a varianti.
Facendo proprie le conclusioni della ponderosa verifica
tecnica che avevano affidato ai consulenti d'ufficio scelti
da loro, i magistrati del Tar di Milano hanno ribaltato
l'esito di gara, promuovendo il secondo classificato. Ma la
sostituzione effettiva dell'aggiudicatario dei lavori non è
avvenuta: un'opera che sia stata dichiarata strategica non
può essere interrotta, perché va conclusa nei tempi e
modalità risultanti dalla gara. Per tenere indenne il
consorzio ingiustamente scavalcato, non rimaneva che
accordare un risarcimento danni, così il Tar ha posto
innovativi principi.
L'utile d'impresa (10% di 230 milioni) è stato ridotto
calcolandolo sul prezzo offerto (cioè con ribasso del 32%,
sui 230 milioni); è stato poi ancora ridotto al 4%, a causa
di un elevato rischio d'impresa (l'opera è comunque
problematica) ed ancora al 2% perché macchinari e maestranze
avrebbero potuto essere impiegate in altre attività.
Il danno "curriculare" (composto dai pregiudizi riportato
all'immagine dell'impresa, al suo grado di affinamento
tecnico e alla sua esperienza) è stato anch'esso ridotto,
dal 3% del valore dell'appalto all'1,5% in quanto le imprese
concorrenti erano già tutte espressione dei massimi livelli
di qualità.
Al termine di questi calcoli, l'importo a carico della
Pedemontana è stato comunque fissato dai giudici in oltre 20
milioni di euro, che la società concessionaria dell'opera
dovrà ora versare al consorzio sconfitto in gara ma
vincitore nelle aule. Tutto ciò sempre che in appello (grado
di giudizio al quale certamente si arriverà) il verdetto non
sia ribaltato. E sempre che la magistratuta penale e quella
contabile non aggiungano altri capitoli alla vicenda (articolo Il Sole 24 Ore del
12.12.2013 - tratto da www.centroctudicni.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Rischi di contenzioso sugli appalti pubblici.
Appalti di lavori pubblici a rischio caos e contenzioso dopo
l'annullamento delle norme del regolamento del Codice dei
contratti pubblici sulla qualificazione delle imprese
generali, oggi libere dai vincoli sul subappalto e sui
raggruppamenti obbligatori con gli specialisti; a breve è
atteso un decreto con nuove regole sulla qualificazione.
È
questo l'effetto della pubblicazione del dpr 30 ottobre
sulla gazzetta ufficiale n. 280 del 29.11.2013, che ha
accolto il ricorso promosso dall'Agi (Associazione imprese
generali), dopo che il Consiglio di Stato con parere n. 3014
del 26.06.2013 si era espresso per l'annullamento di
alcune norme del dpr 207/2010.
Oggetto del ricorso erano le regole per qualificarsi a
eseguire lavorazioni specialistiche che sono state annullate
ed espunte dal regolamento del codice dei contratti pubblici
(sembrerebbe con decorrenza 30 novembre visto che il dpr non
dispone diversamente, cioè per una entrata in vigore
differita di 15 giorni): l'articolo 109, comma 2 (per quanto
attiene all'allegato A del dpr 207/2010) e l'articolo 107,
comma 2. L'effetto dell'annullamento, semplificando
questioni interpretative anche complesse, è che le imprese
generali potranno eseguire le lavorazioni specialistiche a
qualificazione obbligatoria anche se non possiedono
l'attestato di qualificazione per tali lavorazioni.
Fino al 29 novembre, invece, avevano l'obbligo di
subappaltare i lavori, oppure di associare imprese in
possesso della qualificazione per le opere specialistiche
che avrebbero svolto quelle determinate lavorazioni. È stata
cancellata anche la norma del regolamento del codice (art.
85, comma 1) sulla utilizzabilità dei lavori subappaltati
dall'impresa generale all'impresa specialistica, in
percentuali diverse a seconda della tipologia di lavorazione
(prevalente o scorporabile) e della qualificazione richiesta
(obbligatoria o no).
Questa disposizione era stata dichiarata «irragionevole» dal
Consiglio di stato, anche in relazione al suo meccanismo
applicativo non lineare; adesso, determinandosi un
sostanziale ritorno alle regole dell'abrogato dpr 34/2000,
l'impresa potrà utilizzare senza limiti quanto subappaltato
all'impresa specialistica (nella misura in cui riterrà di
avvalersi del subappalto). I problemi, adesso, si spostano
sulle stazioni appaltanti che dovranno tenere conto di
questa situazione, senza però avere riferimenti certi e,
quindi, con il rischio di determinare involontariamente un
contenzioso.
Per evitare tutto ciò da tempo i tecnici del ministero delle
infrastrutture stanno lavorando ad un nuovo dpr «ponte» che
dia certezza alle amministrazioni e ottemperi alle
indicazioni del Consiglio di stato. Trattandosi però di un
intervento che ridefinisce implicitamente l'assetto del
mercato, è evidente come la soluzione da individuare non sia
così immediata (articolo
ItaliaOggi del 03.12.2013 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
APPALTI SERVIZI:
Appalti. Sentenza del Consiglio di Stato.
Il codice Ateco vincola la gara.
Occorre non
sottovalutare le conseguenze connesse alle informazioni
sulla attività economica esercitata denunciata al Registro
imprese.
È questo l'avvertimento implicito dato dal
Consiglio di Stato, Sez. IV, con la
sentenza
02.12.2013 n. 5729.
Il caso riguarda una pubblica amministrazione che ha emanato
un bando per l'affidamento del servizio di catering e che
nella lettera di invito lo ha qualificato come «servizio di
preparazione, distribuzione del vitto». Tra le condizioni di
partecipazione, pena l'esclusione, è prevista la «iscrizione
per attività inerenti al presente affidamento pubblico nel
Registro imprese». E il certificato del registro imprese di
un concorrente riporta come attività prevalente svolta dalla
società i «servizi di ristoro mediante distribuzione
automatica di bevande e snack».
Il Consiglio di Stato ha contestato la mancanza di idoneità
professionale della società in quanto: l'attività dichiarata
prevalente dalla società non può essere compresa nella
prescrizione del bando che si riferisce a ben altro tipo di
servizio; l'attività inerente l'appalto deve essere intesa
come l'attività prevalente svolta dalla società; ai fini del
requisito professionale occorre valutare l'attività
specifica dichiarata perché si tratta di selezionare tra
imprese con esperienza nello stesso servizio; è irrilevante
l'oggetto sociale dell'impresa, anche se include il
catering, perché l'oggetto elenca le attività potenziali,
mentre si tratta di verificare le attività reali.
Nessun dubbio che l'attività principale del concorrente non
sia attinente all'oggetto dell'appalto come evidenziato
anche dai codici Ateco: quello del catering è il 56.2;
quello della somministrazione di alimenti e bevande con
distributori automatici è il 47.99.2. Non si può invece
condividere l'affermazione dei giudici sul significato
giuridico e tecnico-economico delle informazioni riguardanti
le attività economiche denunciate dagli imprenditori al
registro imprese. Nella sentenza si afferma che «soltanto»
l'attività prevalente è quella «qualificante», anzi,
«l'unica che rileva ai fini dell'iscrizione nel registro
imprese».
Si dichiara inoltre che l'attività prevalente
«individua ontologicamente la tipologia di azienda,mentre
l'attività secondaria viene inserita a fini descrittivi e di
completezza informativa». La normativa del registro imprese
(Dpr 581/1995 articoli 9 e 10) obbliga a denunciare tutte le
attività effettivamente esercitate perché solo così
l'anagrafe delle aziende è completa. Sono molto frequenti le
imprese che esercitano in più settori e che, quando il
settore è unico, curano più specializzazioni. In questi
casi, come prevede la modulistica, occorre indicare la
prevalente.
Le Camere di commercio nel 2013 hanno predisposto il sito
http:\\ateco.infocamere.it per agevolare l'individuazione
delle attività e la loro classificazione. In ogni caso, non
esiste un parametro per definire la prevalenza; potrebbe
anche non essere il fatturato se l'imprenditore intende
valorizzare determinati tipi di prodotti o servizi. Il
profilo giuridico dell'attività prevalente non è diverso da
quello delle altre, anche perché nel tempo quella prevalente
potrebbe diventare secondaria (articolo Il Sole 24 Ore del
07.12.2013). |
APPALTI: Lodo arbitrale.
Domanda
Quali sono gli effetti del lodo arbitrale?
Risposta
Per rispondere alla domanda è necessario distinguere tra il
lodo arbitrale derivante da un procedimento c.d. «rituale» e
quello derivante da un procedimento c.d. «irrituale».
Nel primo caso, il lodo arbitrale ha la stessa efficacia di
una sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria, così
come disciplinato dall'art. 824-bis del codice di procedura
civile. La statuizione degli arbitri sul merito della
controversia, crea un vincolo per le parti che, decorso il
termine per l'impugnazione (i.e. 90 giorni dalla data della
notifica ovvero un anno dalla data dell'ultima
sottoscrizione), diviene definitivo. L'art 825 c.p.c.
disciplina l'omologazione del lodo da parte del Tribunale
ordinario. Tale omologazione servirà alla parte che la
richiede, solo al fine di dare al lodo stesso efficacia
esecutiva, ovvero di richiederne la trascrizione in tutte le
ipotesi previste dal codice di rito per le sentenze del
giudice, o, infine di procedere all'iscrizione dell'ipoteca
nei casi previsti dalle norme civilistiche in tema di
pubblicità.
Nel secondo caso, il lodo derivante da procedimento di
arbitrato «irrituale» non ha efficacia di sentenza,
ma produce gli stessi effetti di una determinazione
contrattuale. In altre parole il lodo irrituale ha la stessa
forza di un contratto stipulato tra le parti.
Conseguentemente non sarà possibile per le parti richiedere
al Tribunale ordinario l'omologazione del lodo e
l'apposizione della formula esecutiva
(articolo ItaliaOggi Sette del
02.12.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Lavori pubblici. Il sistema informatico Avcpass.
Appalti, la verifica dei requisiti attende istruzioni.
Manca solo un mese all'operatività del sistema Avcpass per
la verifica dei requisiti degli operatori economici
partecipanti alle gare di appalto da parte delle
amministrazioni pubbliche, ma emergono criticità che devono
essere risolte e le stazioni appaltanti non dispongono di
una versione dimostrativa per esercitarsi.
Il particolare percorso procedurale gestito in modo
totalmente informatizzato è disciplinato dalla deliberazione
dell'Avcp n. 111/2012, che fa riferimento all'articolo 6-bis
del Codice dei contratti. Dal 01.01.2014 le amministrazioni
aggiudicatrici potranno verificare i requisiti di ordine
generale e di capacità solo mediante tale sistema, che
consente l'accesso ai documenti depositati nella banca dati
nazionale dei contratti pubblici.
L'impostazione dell'Avcpass desumibile dai tutorial e dai
materiali formativi messi a disposizione dall'Autorità
prefigura il suo utilizzo per la verifica in corso di gara
sia dei requisiti di capacità (economico-finanziaria e
tecnico-profesisonale), in base all'articolo 48 del Codice,
sia di quelli di ordine generale, riferiti alle
dichiarazioni sostitutive rese in ordine alle varie
fattispecie previste dall'articolo 38, quindi secondo i
criteri stabiliti per il riscontro della veridicità delle
autocertificazioni.
Tuttavia i diagrammi di flusso proposti sembrano concentrare
le verifiche sull'aggiudicatario e sul secondo classificato
subito dopo la formazione della graduatoria di merito (dopo
la valutazione delle offerte e l'eventuale verifica di
quelle anomale), ma prima di pervenire all'aggiudicazione
provvisoria, non sembrando utilizzabile per i controlli in
sede di aggiudicazione definitiva e di stipulazione del
contratto.
Un aspetto di ulteriore criticità si rileva in ordine alle
ipotesi nelle quali la gara sia gestita da una centrale di
committenza o da una stazione unica appaltante: in tal caso,
infatti, la creazione della gara avviene da parte di un
responsabile del procedimento (quello dell'amministrazione
che approva il progetto e avvia la procedura) diverso da
quello che dovrà gestire l'accesso all'Avcpass, con
conseguente necessità di permettere a quest'ultimo la
gestione del Cig per l'effettuazione delle varie operazioni
nel sistema, in quanto deve registrarsi come soggetto tenuto
alla verifica dei requisiti.
Il sistema presenta alcune criticità anche per gli operatori
economici, i quali, comunque, dispongono nel sito
dell'Autorità di una specifica versione dimostrativa.
Secondo la deliberazione n. 111/2012 le imprese che
intendono concorrere a una gara devono inserire nel sistema
solo alcune tipologie di documenti inerenti i requisiti di
capacità economico-finanziaria (ad esempio le attestazioni
bancarie) e di capacità tecnico-professionale (ad esempio i
contratti e le fatture comprovanti i servizi o le forniture
precedentemente svolti a favore di amministrazioni
pubbliche), mentre i documenti inerenti i requisiti di
ordine generale sono acquisiti dall'Avcpass mediante
rapporto diretto con gli enti certificanti.
Tuttavia la simulazione dimostrativa evidenzia nella
libreria (la repository dove l'operatore economico può
inserire i file firmati digitalmente) e nella funzionalità
di associazione dei documenti al «PassOe» numerose sezioni
riferite al caricamento di documenti inerenti requisiti di
ordine generale, che devono essere acquisiti d'ufficio dalla
stazione appaltante, come il Durc relativo alla regolarità
contributiva.
L'inserimento dei documenti relativi ai requisiti di ordine
generale (collegati alle dichiarazioni sostitutive rese in
sede di partecipazione alla gara) non è peraltro possibile
per l'operatore economico, in quanto, in molti casi, si
tratta di certificati, i quali, in base alle norme sulla
decertificazione, non possono essere utilizzati nei rapporti
con le amministrazioni pubbliche
(articolo Il Sole 24 Ore del
02.12.2013 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
APPALTI:
N. Durante,
AMBITI DI DISCREZIONALITA’ IN MATERIA DI DOCUMENTAZIONE
ANTIMAFIA PER LE IMPRESE (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E. De Falco,
I costi della sicurezza da non assoggettare a ribasso d'asta
(Quaderni di Legislazione Tecnica n. 4/2013). |
APPALTI:
C. Tomasini,
Costo del personale: prime indicazioni per l’applicazione
dell’art. 82, comma 3-bis codice dei contratti pubblici
(Urbanistica e appalti n. 12/2013). |
novembre 2013 |
|
LAVORI PUBBLICI: G.U.
29.11.2013 n. 280 "Ricorso straordinario al Presidente
della Repubblica proposto da AGI - Associazione imprese
generali ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei
ministri ed altri per l’annullamento del decreto del
Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207 ed in
particolare delle seguenti disposizioni in parte qua:
articolo 109, comma 2, articolo 107, comma 2; Allegato A,
articolo 79, commi 17, 19 e 20; articolo 85, commi 1 e 2;
articolo 86, comma 1, articolo 83, comma 4, articolo 357,
comma 12; articolo 92, comma 2" (D.P.R.
30.10.2013). |
APPALTI:
Fallimento di soggetto creditore del Comune liquidazione
fattura.
Da un lato, sussiste la previsione per
cui deve essere ricompreso nel compendio fallimentare
qualsiasi credito vantato dal fallito/appaltatore, cosicché
si apra il concorso di tutti i creditori in relazione al
patrimonio dell'imprenditore. Dall'altro lato, la specifica
disposizione di cui all'art. 4, c. 2, d.P.R. 207/2010, entra
in conflitto con la regola concorsuale della par condicio
creditorum, in considerazione della sua finalità
garantistica nei confronti dei diritti del lavoratore.
L'Ente deve procedere alla liquidazione di una fattura a
favore di un soggetto sottoposto a procedura fallimentare.
Il Comune domanda, pertanto, come comportarsi ai fini delle
procedure preliminari alla liquidazione, in particolare per
quanto attiene alle verifiche della regolarità contributiva
e per quanto concerne l'eventuale inadempimento, da parte
del proprio creditore, rispetto all'obbligo di versamento
contributivo.
In particolare, il soggetto instante chiede:
a) se, in seguito alle sopra citate verifiche, in caso di
riscontro di situazione debitoria contributiva, si debba
procedere alla liquidazione della somma dovuta, a favore
degli enti dai quali è vantato credito nei confronti del
fallito (INPS, INAIL, ecc.) e, quindi, a favore della
curatela fallimentare per la quota residua; ovvero
b) se, nel rispetto della par condicio creditorum, si
debba procedere alla liquidazione complessiva del debito a
favore della curatela fallimentare, lasciando l'onere
dell'insinuazione nella massa passiva in capo ai
summenzionati enti creditori.
Si anticipa, fin d'ora, che, sulla prospettata questione, lo
scrivente ha ritenuto di formulare un quesito all'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, in considerazione della complessità della
evidenziata problematica, della sua portata di interesse
generale e del ruolo rivestito, nel nostro ordinamento
giuridico, dagli interessi ad essa sottesi, qui confliggenti
(applicazione del principio di par condicio creditorum
in sede fallimentare da un lato e tutela della posizione
contributiva ed assicurativa del prestatore di lavoro
dall'altro, garantita dallo strumento disciplinato
dall'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 05.10.2010, n. 207).
Si premette come l'applicazione della soluzione prospettata
sub a) piuttosto che di quella illustrata sub b) è
condizionata dall'interesse giuridico al quale si intende
dare prevalenza all'interno della delineata antinomia
(rispetto della par condicio creditorum in sede
fallimentare ovvero tutela della posizione contributiva ed
assicurativa del prestatore di lavoro). Le disposizioni che
tutelano i summenzionati interessi giuridici -nell'un caso
la legge fallimentare, nell'altro l'articolo 4, comma 2, del
decreto del Presidente della Repubblica 207/2010- sono
ambedue norme imperative poste a tutela di valori generali e
superiori del nostro ordinamento giuridico.
Poiché, dunque, nella fattispecie in esame, si assiste ad un
caso di conflitto tra norme, che tutelano, entrambe,
interessi superiori del nostro ordinamento giuridico, è
necessario delineare i confini dell'efficacia della
menzionata disposizione di cui all'articolo 4, comma 2, in
quanto, nel caso ora in attenzione, si riscontra una
contrapposizione tra la procedura concorsuale instaurata nei
confronti dell'appaltatore e la particolare condizione
soggettiva di pubblica amministrazione del committente che
impone a quest'ultimo, in caso di inadempienza contributiva
dell'esecutore di un contratto, di porre in atto la
particolare tutela prevista dalla norma da ultimo citata,
consistente nel cosiddetto 'intervento contributivo
sostitutivo' [1].
Si tratta, quindi, di capire se, a fronte di una instaurata
procedura fallimentare, le disposizioni specifiche che la
disciplinano prevalgano o meno rispetto alla normativa di
settore degli appalti pubblici (nel cui alveo deve essere
ricondotta anche la disposizione qui in esame, contenuta nel
regolamento esecutivo ed attuativo del codice degli appalti
pubblici - decreto del Presidente della Repubblica
207/2010).
Si rammenta, anzitutto, che il decreto del Presidente della
Repubblica 207/2010 [2]
-nella parte I- Disposizioni comuni - tra le novità di più
rilevante interesse ai fini della disciplina in tema di durc,
all'articolo 4, comma 2, ha introdotto il potere sostitutivo
della stazione appaltante in caso di inadempienza
contributiva dell'esecutore e del subappaltatore.
Il cosiddetto intervento sostituivo nei contratti pubblici
si concretizza nel pagamento, da parte della stazione
appaltante, direttamente ad Inail, Inps e Casse Edili,
dell'importo corrispondente alla inadempienza contributiva
segnalata nel durc. Oggetto dell'intervento è il pagamento
diretto, agli enti previdenziali, di quanto dovuto per le
inadempienze accertate, mediante il documento unico di
regolarità contributiva, nei confronti dell'operatore
economico. La somma che la stazione appaltante versa agli
enti previdenziali è trattenuta dal corrispettivo dovuto
all'operatore economico.
L'articolo 4, comma 2, introduce, pertanto, un particolare
meccanismo, attraverso il quale, in presenza di un documento
unico di regolarità contributiva che evidenzi delle
irregolarità nei versamenti dovuti agli Istituti e/o alle
Casse Edili, le stazioni appaltanti si sostituiscono al
debitore principale versando -in tutto o in parte- le somme
dovute in forza del contratto di appalto direttamente ai
predetti Istituti e Casse [3].
L'obiettivo della norma è, attraverso la soddisfazione della
pretesa creditoria degli enti nei cui confronti l'operatore
economico ha maturato un'esposizione debitoria, quello di
concorrere al recupero della regolarità contributiva del
medesimo [4].
L'articolo 4, comma 2, trova, dunque, ragion d'essere in
virtù dell'esigenza di garantire, in ogni caso, il
soddisfacimento del credito previdenziale anche a fronte
dell'eventuale inadempimento dell'appaltatore/debitore.
Si tratta di disposizione imperativa con finalità
pubblicistiche e garantistiche di tutela sociale (garantire
al lavoratore il versamento del credito previdenziale ed
assicurativo a favore di Inps e Inail). Assicurare
l'effettivo rispetto delle norme di tutela dei lavoratori è,
invero, un'esigenza di interesse pubblico.
La particolare tutela accordata dalla summenzionata
disposizione appare del resto conforme ai principi
fondamentali del nostro ordinamento, in tema di diritti del
lavoratore, quali si desumono dagli articoli 4, 35 e 36
della Costituzione.
Per quanto concerne, invece, la procedura concorsuale, si
precisa che, in essa, devono confluire tutte le posizioni
attive e passive afferenti al fallito. In considerazione
della regola generale di diritto e logica giuridica
ricavabile dal disposto degli articoli 51 e 52 della legge
fallimentare, nel procedimento concorsuale devono confluire
tutte le obbligazioni ed i crediti che incidono
sull'accertamento del passivo e dell'attivo, poiché è grazie
a tale confluenza che si realizza concretamente l'unità
dell'esecuzione sul patrimonio del fallito ed è, così,
soddisfatta in concreto l'esigenza della
par
condicio creditorum.
Con la dichiarazione di fallimento inizia, dunque, una
procedura concorsuale liquidatoria [5]
che coinvolge l'imprenditore con l'intero patrimonio ed i
suoi creditori [6].
La procedura è diretta all'accertamento dello stato di
insolvenza dell'imprenditore medesimo, all'accertamento dei
crediti vantati nei suoi confronti e alla loro successiva
liquidazione, secondo il criterio della par condicio
creditorum.
Da un lato, sussiste, quindi, la previsione per cui deve
essere ricompreso nel compendio fallimentare qualsiasi
credito vantato dal fallito/appaltatore nei confronti del
debitore/committente, somma per la quale si apre il concorso
dei creditori sul patrimonio del fallito stesso. Dall'altro
lato, la specifica previsione di cui all'articolo 4, comma
2, pare sovrapporsi alla regola concorsuale della par
condicio creditorum, in considerazione della sua
finalità garantistica.
Al riguardo, vi è chi ha sottolineato che quella concorsuale
è una procedura speciale che determina l'interruzione delle
procedure legate all'esistenza dell'impresa e, quindi, anche
quelle relative ai contratti di appalto; in particolare la
procedura fallimentare prevale sulle disposizioni di cui
all'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 207/2010, in quanto le disposizioni in materia di
appalti presuppongono l'esistenza dell'impresa. La parte non
fallita -ovvero la stazione appaltante- deve adempiere al
sinallagma contrattuale per le prestazioni antecedenti alla
dichiarazione di fallimento e l'adempimento corretto è
sicuramente quello reso nei confronti del curatore
fallimentare. Il pagamento del credito dovrà, pertanto,
essere effettuato dal Comune alla curatela fallimentare
[7].
Si evidenzia, inoltre, che, per l'Inail - Direzione Centrale
Rischi - Ufficio Entrate (circolare/nota di istruzioni
emanata in data 21.03.2012), eventuali interventi
contributivi sostitutivi, riguardanti soggetti per i quali
risultino procedure concorsuali, esulano dalle modalità di
pagamento indicate nella summenzionata circolare e 'devono
essere gestiti alla luce della rispettiva normativa di
riferimento, in relazione alla specificità del caso concreto'.
Vi è, tuttavia, chi rimarca che, nell'ipotesi di intervento
sostitutivo, i Comuni agiscono in forza di una disposizione
di legge -l'articolo 4, comma 2- emanata proprio per
consentire, agli enti previdenziali, il diretto recupero
delle somme contributive e che, in ogni caso, il 'fallimento
non subisce alcun danno, evitando l'insinuazione dell'Inps e
degli altri enti previdenziali, che essendo stati
soddisfatti, mancherà. Sottolineandosi inoltre come non si
evinca alcuna disposizione che nel conflitto tra le
disposizioni in esame dia favore all'applicazione delle
prescrizioni di cui alla legge fallimentare'.
[8]
Dando uno sguardo alla prassi, si sottolinea come, in
relazione a casi simili a quelli delineati dal soggetto
instante, siano state reperite sia determinazioni comunali
che dispongono direttamente il pagamento dell'intera somma
dovuta a favore della curatela fallimentare
[9] che
determinazioni comunali che, al contrario, danno
applicazione alla disposizione sull'intervento sostituivo
anche in caso di fallimento, prevedendo, pertanto, il
pagamento del debito contributivo a favore dell'ente
previdenziale e soltanto la corresponsione della differenza
a beneficio della curatela [10].
In conclusione, premesso che, trattandosi di normativa
nazionale, la soluzione della problematica esaminata può
essere indicata soltanto dai competenti uffici statali, nel
quadro di incertezza applicativa sopra delineato ed in
attesa di conoscere la presa di posizione dell'Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici, si ritiene di poter
propendere, in via meramente collaborativa, per la soluzione
sub b), riconoscendosi, pertanto, nel raffigurato contrasto,
prevalenza all'applicazione delle regole sottese alla
procedura fallimentare ed al principio della par condicio
creditorum.
---------------
[1] Si rammenta che, in base al tenore letterale
dell'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 207/2010, l'intervento sostitutivo contributivo è
un obbligo per la stazione appaltante. In tal senso, i
pareri Anci datati 26.07.2013 e 18.06.2013.
[2] Il regolamento è entrato in vigore l'08.06.2011.
[3] In tal senso, la circolare n. 3/2012 del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per
l'Attività Ispettiva.
[4] In tal senso, i pareri Anci datati 26.07.2013,
18.06.2013 e 22.01.2013, reperibili all'indirizzo internet
www.ancitel.it
[5] Il fallimento è disciplinato dal regio decreto
16.03.1942, n. 267 (Legge fallimentare) e successive
modificazioni, tra cui si richiama il decreto legislativo
09.01.2006, n. 5 ed il decreto legislativo 12.09.2007, n.
169.
[6] L'articolo 42 del regio decreto 267/1942 è la prima
norma concernente gli effetti del fallimento per
l'imprenditore: 'La sentenza che dichiara il fallimento
priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della
disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di
dichiarazione del fallimento'. Questi effetti rientrano nel
concetto di spossessamento e decorrono dalla data di
pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento: il
fallito perde, così, la disponibilità dei propri diritti
patrimoniali. Gli effetti del fallimento, oltre che in capo
all'imprenditore, si producono anche nei confronti dei
creditori. Tali effetti sono regolati dal regio decreto
267/1942, negli articoli da 52 a 63.
[7] Si legga, in questo senso, il parere espresso dalla
Regione Toscana - Direzione Generale Organizzazione e
Risorse -Settore Contratti- datato 21.02.2012, reperibile
sul sito ufficiale dell'ente.
[8] Motivazioni tratte da un forum di diritto fallimentare.
[9] In tal senso, si veda la determinazione del Comune di
Cavagnolo, Provincia di Torino, n. 58 del 17.04.2013,
reperibile sul sito internet dell'ente.
[10] Così, la determinazione del Comune di Lecco n. 507
dell'08.08.2013, reperibile sul sito internet dell'ente
(29.11.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI -
EDILIZIA PRIVATA: 1)–
Non può escludersi la generale ammissibilità di mezzi di
adempimento diversi dal pagamento nel caso di transazioni
commerciali tra ente locale e privati, originate da
contratti di servizi e forniture, ai sensi dell’art. 2,
comma 4, del “Codice degli appalti pubblici” (D.Lgs.vo n.
163/2006). (In questo senso, è stato ritenuto che la
disposizione ex art. 35, comma 3-bis, del D.L. n. 1/2012,
sia applicabile anche agli EE.LL.).
La compensazione dei crediti commerciali non prescritti,
certi, liquidi ed esigibili, con debiti tributari, trova le
limitazioni contenute nelle specifiche norme in materia, non
derogabili, che la ammettono su istanza del creditore o su
sua specifica richiesta.
---------------
2)- Nel caso della procedura di riequilibrio pluriennale non
si rinvengono indicazioni specifiche, quali quelle
prescritte per la procedura di dissesto, che impongano una
particolare procedura di pagamento dei debiti, che possano
essere ricondotte al principio della “par condicio
creditorum”. (Nel parere si segnala, comunque, la
disposizione contenuta all’art. 6 del D.L. n. 35/2013, che
può fornire indicazioni di carattere generale e, dunque, non
circoscritto alle sola ipotesi del riequilibrio pluriennale,
sul corretto criterio di pagamento dei debiti delle
pubbliche amministrazioni).
---------------
3)- Allo stato attuale della legislazione e fino a tutto il
2014, l’utilizzo delle risorse rivenienti dalle concessioni
edilizie e dalle sanzioni previste dal DPR n. 380/2001,
fermo il presupposto che le spese non siano consolidate e
ripetitive e che l’entrata sia accertata sulla base degli
introiti effettivi, nel rispetto dei principi di sana
gestione, continua a essere disciplinato nel modo previsto
dalla legge n. 244/2007, ancora non trovando applicazione il
nuovo vincolo di destinazione impresso dall’art. 4 comma 3,
della legge n. 228 del 24/12/2012.
Permane pertanto la possibilità di utilizzare, per la quota
del 50%, le entrate rivenienti nei contributi per permesso
di costruzione per la pulizia delle strade e per
fronteggiare il debito fuori bilancio dell’Ente nei
confronti di creditori che abbiano effettuato interventi per
l’emergenza neve e per la manutenzione delle strade
comunali.
---------------
Con la nota in epigrafe il Commissario Straordinario del
Comune di San Fele, dopo aver premesso che l’Ente ha
adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale,
pone i seguenti quesiti:
I-
con riferimento alle norme in materia di compensazione di
crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili,
maturati al 31.12.2012 nei confronti dei Comuni, si chiede
se anche l’Ente possa legittimamente avvalersi di tale
facoltà nei rapporti con i privati, anche allo scopo di
prevenire danni da ritardo nei pagamenti ai propri creditori;
I.1-
se, nel caso di risposta affermativa, sia corretto
approvare preventivamente un atto di indirizzo/direttiva di
Giunta per i responsabili dei settori e degli uffici;
II-
se vi sono, e quali sono, le corrette azioni da
intraprendere per non violare il principio della par
condicio creditorum nell’attuazione della procedura di
riequilibrio finanziario pluriennale;
III-
se le entrate derivanti dai contributi per permesso di
costruzione possano legittimamente essere destinate a
fronteggiare il debito dell’Ente nei confronti di creditori
che abbiano effettuato interventi per l’emergenza neve e per
la manutenzione delle strade comunali (prestazioni di
servizi).
...
(... segue) (Corte dei Conti, Sez. controllo Basilicata,
deliberazione 27.11.2013 n. 123). |
APPALTI: Appalti, l'Antitrust stringe sui cartelli.
Vigilanza su eventuali distorsioni da subappalti e
associazioni temporanee.
Lavori pubblici. Le ricadute sulle
imprese del vademecum diffuso dell'Autorità per contrastare
i comportamenti sospetti.
Nel settore degli appalti pubblici si innalza il livello dei
controlli sui "cartelli". L'Autorità garante della
concorrenza e del mercato ha recentemente pubblicato un
vademecum in cui sono indicati alcuni comportamenti
sospetti, che potrebbero essere rivelatori di condotte
illecite e restrittive della concorrenza.
Le pratiche nel mirino
Per le stazioni appaltanti il vademecum è uno strumento per
individuare i comportamenti da segnalare all'Autorità,
mentre alle imprese fornisce chiare indicazioni sui
comportamenti da evitare, per non venire sanzionate. In
realtà, la maggior parte dei comportamenti elencati nel
vademecum ha una chiara valenza anticoncorrenziale. Appare
ovvio che il boicottaggio della gara, le offerte di comodo,
la rotazione congiunta delle offerte o la ripartizione del
mercato e le anomalie delle offerte segnalate dall'Autorità
siano conseguenza di una strategia comune e segreta per
alterare il regolare svolgimento della gara e siano la prova
dell'esistenza di un cartello tra due o più operatori del
mercato degli appalti pubblici.
Ma altre prassi appaiono a prima vista del tutto lecite.
L'Associazione temporanea di imprese (Ati) e il subappalto,
ad esempio, sono strumenti disciplinati dal Codice degli
appalti pubblici, che nella finalità del legislatore, anche
comunitario, sono portatori di benefici pro concorrenziali
in quanto consentono a un numero più elevato di imprese,
soprattutto a quelle piccole e medie, di partecipare alle
gare. Ma l'Antitrust teme che questi strumenti vengano
utilizzati illegittimamente per suggellare alleanze tra
imprese che, invece di competere, si accordano per la
spartizione del mercato o della singola commessa. In altra
parole, si vuole evitare che un'Ati o un accordo di
subappalto altro non siano che la facciata di un'intesa
illecita.
In questo contesto la valutazione della legittimità dell'Ati
o del subappalto è particolarmente complessa. Gli indizi che
l'Autorità indica come sintomatici di una possibile
violazione del diritto della concorrenza, come essa stesse
ammette, potrebbero essere anche letti come comportamenti
genuinamente concorrenziali. La stessa giurisprudenza
amministrativa ha, ad esempio, ritenuto lecito il
raggruppamento di imprese già qualificatesi in modo
separato. Infine le Ati tra i maggiori operatori –che
l'Autorità vede con sospetto in quanto possibile strumento
di una strategia escludente, cioè tesa a impedire a imprese
minori di aggiudicarsi l'appalto– potrebbero invece
consentire di offrire alla Pa la migliore combinazione di
prodotti o servizi disponibile.
L'intervento dell'Antitrust si giustifica con l'importanza
che hanno gli appalti pubblici per l'economia nazionale,
essendo per l'appunto utilizzate risorse pubbliche. Infatti,
collusioni illecite tra gli offerenti non fanno altro che
aumentare il prezzo che l'amministrazione si ritroverà a
pagare per la fornitura, senza che ciò sia accompagnato da
un miglioramento qualitativo dell'offerta.
Ora l'Antitrust si attende un elevato numero di
segnalazioni: sia dalle stazioni appaltanti, sia da soggetti
terzi, ad esempio un'impresa che non si è aggiudicata la
fornitura. È ammessa anche la segnalazione anonima. Per
questo, l'Autorità ha deciso in un primo momento di limitare
i controlli agli appalti il cui valore superi la soglia
comunitaria e che presentino determinati profili di rischio.
I fenomeni che dovranno essere segnalati non sono, infatti,
ipotesi remote, ma si verificano frequentemente nel settore
degli appalti pubblici, specialmente quando il mercato
interessato è caratterizzato da pochi concorrenti con
analoghe efficienze e dimensioni, i prodotti sono omogenei,
le imprese che partecipano alle gare sono sempre le stesse,
l'appalto è ripartito in più lotti dal valore economico
simile.
L'esame delle segnalazioni
Spetterà all'Antitrust esaminare scrupolosamente le
segnalazioni che riceverà e che comunque non
giustificheranno l'interruzione della gara né la rinuncia ad
assegnare l'appalto all'impresa risultata aggiudicataria.
È prevedibile allora che le imprese siano destinatarie di
richieste di informazioni, siano cioè chiamate a fornire
spiegazioni convincenti delle strategie adottate nelle gare.
Se poi l'Antitrust dovesse accertare un'infrazione, nel caso
in cui l'appalto fosse stato già aggiudicato la stazione
appaltante potrà chiedere di essere risarcita dei danni
subiti dalle imprese che hanno attuato una condotta
anticoncorrenziale.
Il vademecum deve essere accolto con favore: già la sola
pubblicazione ha un forte valore di deterrenza nei confronti
dei partecipanti alle gare, che saranno ora coscienti che
comportamenti anomali saranno segnalati all'Antitrust.
---------------
Gli indizi
rivelatori
I casi analizzati dal Garante nel vademecum
BOICOTTAGGIO DELLA GARA
Sono vietati comportamenti e accordi volti a vanificare la
gara e a prolungare il contratto con il vecchio fornitore o
per ripartire pro-quota il lavoro o la fornitura tra tutte
le imprese interessate.
Campanelli d'allarme di un tentativo di boicottaggio sono:
- mancata presentazione di offerte;
- presentazione di una sola offerta o di un numero di
offerte insufficiente per aggiudicare;
- presentazione di offerte dello stesso importo
OFFERTE DI COMODO
Sono offerte che celano un innalzamento artificiale dei
prezzi
in presenza di un'apparente regolarità concorrenziale della
gara. Possono essere indizi di questa pratica:
- una sequenza di gare aggiudicate alla stessa impresa;
- presenza di offerte per importi palesemente troppo
elevati;
- offerte caratterizzate da condizioni che ne rendono certa
l'esclusione;
- offerte più elevate rispetto ai prezzi di listino
SUBAPPALTI O ATI
Subappalto e associazione temporanea di impresa possono,
secondo l'Antitrust, essere utilizzati in modo distorto per
spartirsi il mercato.
Sono indizi del meccanismo spartitorio:
- imprese in grado di partecipare singolarmente alla gara ma
che optano per la partecipazione in Ati o per il subappalto;
- imprese che svolgono la stessa attività prevalente;
- impresa che si ritira dalla gara e diventa poi
subappaltatrice;
- nelle aggiudicazioni all'offerta economicamente più
vantaggiosa,
presenza di Ati costituita dai maggiori operatori per
impedire alle imprese minori di raggiungere il necessario
punteggio qualitativo
SPARTIZIONE DEL MERCATO
Indicano una potenziale spartizione del mercato le seguenti
situazioni:
- negli accordi di rotazione delle offerte, le imprese
continuano a partecipare alle gare ma decidono di presentare
a turno l'offerta vincente. Gli accordi possono essere
attuati in modi diversi;
- un'attenta analisi può far emergere una "regolarità"
sospetta nella successione delle aggiudicatarie così come
nella ripartizione in lotti;
- le regolarità sospette possono riguardare tanto il numero
delle aggiudicazioni quanto la somma dei relativi importi
MODALITÀ SOSPETTE
L'illecita concertazione tra concorrenti nel formulare
un'offerta può essere tradita da banali disattenzioni che
emergono fin dalla lettura del bando, come ad esempio:
- medesimi errori di battitura o di calcolo;
- stessa grafia;
- riferimento a domande di altri partecipanti alla gara;
- consegna contemporanea di più offerte
(articolo Il Sole 24 Ore del
25.11.2013). |
APPALTI: La
ricorrente richiama impropriamente la decisione n. 36/2012
dell’Adunanza Plenaria, la quale, in realtà, non ha ritenuto
che il RUP abbia competenza esclusiva in ordine alla
verifica di congruità delle offerte, ma solo che, nelle gare
d'appalto da aggiudicare col criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, egli ha la facoltà di
scegliere, secondo quanto previsto dall’art. 121 del d.P.R.
nr. 207 del 2010, a seconda delle specifiche esigenze di
approfondimento richieste dalla verifica, se procedere
personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla
commissione aggiudicatrice.
Nel caso di specie il RUP ha preferito delegare la verifica
di congruità delle offerte alla commissione tecnica, e ciò
non solo non configura alcun profilo di illegittimità della
procedura, ma semmai conferisce a tale adempimento le
garanzie di approfondimento e di (maggiore) ponderazione
proprie delle valutazioni collegiali.
Con un terzo
profilo di censura, infine, la ricorrente ha lamentato che
la verifica di anomalia sia stata svolta dalla commissione
tecnica anziché dal R.U.P.
Anche tale doglianza è infondata.
La ricorrente richiama impropriamente la decisione n.
36/2012 dell’Adunanza Plenaria, la quale, in realtà, non ha
ritenuto che il RUP abbia competenza esclusiva in ordine
alla verifica di congruità delle offerte, ma solo che, nelle
gare d'appalto da aggiudicare col criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, egli ha la facoltà di
scegliere, secondo quanto previsto dall’art. 121 del d.P.R.
nr. 207 del 2010, a seconda delle specifiche esigenze di
approfondimento richieste dalla verifica, se procedere
personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla
commissione aggiudicatrice.
Nel caso di specie il RUP ha preferito delegare la verifica
di congruità delle offerte alla commissione tecnica, e ciò
non solo non configura alcun profilo di illegittimità della
procedura, ma semmai conferisce a tale adempimento le
garanzie di approfondimento e di (maggiore) ponderazione
proprie delle valutazioni collegiali
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Le
norme del Codice dei Contratti Pubblici che prevedono
l’obbligo per le stazioni appaltanti di specificare i c.d.
“oneri da interferenza” nei bandi di gara e l’obbligo per i
concorrenti di specificare i c.d. “oneri da rischio
specifico” nelle proprie offerte economiche sono sanciti
dall’art. 86, commi 3-bis e 3-ter, e dall’art. 87, comma 4,
del Codice dei Contratti.
Tali norme, per la loro stretta specificità di dettaglio,
sono inidonee ad integrare principi generali, salvo che non
si voglia ravvisarne uno in ogni frammento del reticolato
normativo del Codice, secondo un ordine di idee che sarebbe,
però, incompatibile con la ben diversa logica selettiva
sottesa ai suoi articoli 20 e 27.
Non integrando principi generali, le predette norme non sono
applicabili -neppure in via di eterointegrazione degli atti
di gara- alle procedure che abbiano ad oggetto, come nel
caso di specie, servizi di cui all’allegato II B, se non
nell’ipotesi in cui la stazione appaltante si sia
auto-vincolata ad osservarle richiamandole espressamente
nella legge di gara.
---------------
Nella gara in esame non era sancito l’obbligo per le imprese
concorrenti di indicare già in sede di offerta economica
l’importo degli oneri della sicurezza.
Ne consegue ulteriormente che la mancata indicazione degli
oneri della sicurezza nell’offerta economica non avrebbe
potuto comportare l’esclusione del concorrente, in base al
principio di tassatività delle cause di esclusione di cui
all’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei Contratti.
Tale conclusione, peraltro, non comporta che nelle gare
aventi ad oggetto servizi esclusi dall’applicazione del
Codice dei Contratti i concorrenti, in mancanza di una
previsione specifica della legge di gara, siano esentati dal
dovere di indicare gli oneri della sicurezza e
dall’osservare le norme in materia di sicurezza sul lavoro:
comporta soltanto che, ove la stazione appaltante non si sia
auto-vincolata nella legge di gara ad osservare la
disciplina di dettaglio dettata dagli art. 86, commi 3-bis e
3-ter, e 87, comma 4, del Codice dei Contratti, il
concorrente che non abbia indicato gli oneri della sicurezza
nella propria offerta, dovrà essere chiamato a specificarli
successivamente nell’ambito della fase, eventuale, di
verifica della congruità dell’offerta.
Ai predetti rilievi va aggiunto che, nella fattispecie in
esame, neppure il modulo di offerta economica allegato alla
lettera di invito contemplava uno spazio per l’indicazione
degli oneri di sicurezza, con ciò rafforzando il legittimo
affidamento dei concorrenti sulla correttezza di una
formulazione dell’offerta economica che non contemplasse
anche l’indicazione degli oneri della sicurezza.
Recentemente, il Consiglio di Stato -con affermazione che
travalica il ristretto ambito degli appalti esclusi di cui
all’allegato II B per estendersi, invece, a qualsivoglia
procedura di gara– afferma che “l’Amministrazione che
ricorre a moduli per la stipula di contratti pubblici,
allorché vi siano contrasti tra prescrizioni predisposte per
la gara, è tenuta al rispetto dei principi di buona fede e
affidamento delle imprese nella lex specialis al fine di
negare che ciò possa risolversi in un danno per le stesse,
attraverso la loro espulsione dalla procedura, ed
all’adempimento dell’obbligo di comunicare le cause di
invalidità di cui abbia conoscenza, la cui violazione non
può essere addossata alla parte privata”.
Se tale principio vale nel caso in cui il modulo di offerta
sia difforme dalla legge di gara, come nel caso esaminato
dalla sentenza da ultimo citata, a maggior ragione esso deve
valere nel caso in cui esso sia invece conforme alla lex
specialis, come nel caso in esame.
L’appalto di cui si discute rientra, per
concorde ammissione delle parti, tra quelli di cui
all’allegato II B del Codice dei Contratti, ed in
particolare nella categoria n. 23: “Servizi di
investigazione e di sicurezza, eccettuati i servizi con
furgoni blindati”.
E’ noto che gli appalti di cui all’allegato II B del
Codice dei Contratti sono esclusi dall’applicazione delle
norme di dettaglio dello stesso Codice, fatta eccezione per
quelle specificamente richiamate dall’art. 20 ma non
conferenti al caso in esame (art. 68, specifiche tecniche;
art. 65, avviso sui risultati della procedura di
affidamento; art. 225, avvisi relativi agli appalti
aggiudicati). Gli stessi appalti, secondo la previsione
dell’art. 27 del Codice, sono assoggettati soltanto al
rispetto del principi generali di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e
proporzionalità.
Le norme del Codice dei Contratti Pubblici che
prevedono l’obbligo per le stazioni appaltanti di
specificare i c.d. “oneri da interferenza” nei bandi di gara
e l’obbligo per i concorrenti di specificare i c.d. “oneri
da rischio specifico” nelle proprie offerte economiche sono
sanciti dall’art. 86, commi 3-bis e 3-ter, e dall’art. 87,
comma 4, del Codice dei Contratti.
Tali norme, per la loro stretta specificità di dettaglio,
sono inidonee ad integrare principi generali, salvo che non
si voglia ravvisarne uno in ogni frammento del reticolato
normativo del Codice, secondo un ordine di idee che sarebbe,
però, incompatibile con la ben diversa logica selettiva
sottesa ai suoi articoli 20 e 27.
Non integrando principi generali, le predette norme non sono
applicabili -neppure in via di eterointegrazione degli atti
di gara- alle procedure che abbiano ad oggetto, come nel
caso di specie, servizi di cui all’allegato II B, se non
nell’ipotesi in cui la stazione appaltante si sia
auto-vincolata ad osservarle richiamandole espressamente
nella legge di gara.
Non è questo il caso, però.
Nel caso di specie, infatti, la legge di gara (art. 1.26 del
bando) richiamava esclusivamente l’art. 86, comma 1, in
relazione ai casi in cui si sarebbe proceduto alla verifica
di anomalia, e l’art. 87, comma 2, in relazione agli elementi
che avrebbero potuto costituire oggetto di giustificazione
in sede di verifica di congruità.
La legge di gara non richiamava, invece, né l’art. 86 ,commi
3-bis e 3-ter, né l’art. 87, comma 4, ossia gli unici
articoli del Codice dei Contratti conferenti al caso di
specie.
Ne consegue che nella gara in esame non era sancito
l’obbligo per le imprese concorrenti di indicare già in sede
di offerta economica l’importo degli oneri della sicurezza.
Ne consegue ulteriormente che la mancata indicazione degli
oneri della sicurezza nell’offerta economica non avrebbe
potuto comportare l’esclusione del concorrente, in base al
principio di tassatività delle cause di esclusione di cui
all’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei Contratti.
Tale conclusione, peraltro, non comporta che nelle gare
aventi ad oggetto servizi esclusi dall’applicazione del
Codice dei Contratti i concorrenti, in mancanza di una
previsione specifica della legge di gara, siano esentati dal
dovere di indicare gli oneri della sicurezza e
dall’osservare le norme in materia di sicurezza sul lavoro:
comporta soltanto che, ove la stazione appaltante non si sia
auto-vincolata nella legge di gara ad osservare la
disciplina di dettaglio dettata dagli art. 86, commi 3-bis e
3-ter, e 87, comma 4, del Codice dei Contratti, il concorrente
che non abbia indicato gli oneri della sicurezza nella
propria offerta, dovrà essere chiamato a specificarli
successivamente nell’ambito della fase, eventuale, di
verifica della congruità dell’offerta.
In questi termini la Sezione si è già pronunciata con
sentenza n. 1376 del 21.12.2012, alle cui più ampie
considerazioni si rinvia e dalle quali non v’è motivo per
discostarsi (in senso analogo, anche Consiglio di Stato,
sez. V, 06.08.2012, n. 4510).
Ai predetti rilievi va aggiunto che, nella fattispecie
in esame, neppure il modulo di offerta economica allegato
alla lettera di invito contemplava uno spazio per
l’indicazione degli oneri di sicurezza, con ciò rafforzando
il legittimo affidamento dei concorrenti sulla correttezza
di una formulazione dell’offerta economica che non
contemplasse anche l’indicazione degli oneri della
sicurezza.
Anche su questo punto la Sezione ha già avuto modo di
pronunciarsi, oltre che nel precedente già citato, con
sentenza n. 5 del 09.01.2012.
In senso conforme: Consiglio di Stato, sez. V, 06.08.2012
n. 4510, in cui si richiama il principio di prevalenza, in
tali fattispecie, del favor partecipationis, e, soprattutto,
la recentissima pronuncia della stessa Sezione del Consiglio
di Stato 24.10.2013 n. 5155, in cui -con affermazione
che travalica il ristretto ambito degli appalti esclusi di
cui all’allegato II B per estendersi, invece, a qualsivoglia
procedura di gara– si afferma che “l’Amministrazione che
ricorre a moduli per la stipula di contratti pubblici,
allorché vi siano contrasti tra prescrizioni predisposte per
la gara, è tenuta al rispetto dei principi di buona fede e
affidamento delle imprese nella lex specialis al fine di
negare che ciò possa risolversi in un danno per le stesse,
attraverso la loro espulsione dalla procedura, ed
all’adempimento dell’obbligo di comunicare le cause di
invalidità di cui abbia conoscenza, la cui violazione non
può essere addossata alla parte privata”.
Se tale principio vale nel caso in cui il modulo di offerta
sia difforme dalla legge di gara, come nel caso esaminato
dalla sentenza da ultimo citata, a maggior ragione esso deve
valere nel caso in cui esso sia invece conforme alla lex
specialis, come nel caso in esame (in termini analoghi, e
con specifico riferimento all’indicazione degli oneri
aziendali per la sicurezza, cfr. Consiglio di Stato, sez.
III, 14.01.2013 n. 145)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Nelle
procedure aventi ad oggetto gli appalti di cui all’allegato
II B, l’obbligo di specificare gli oneri della sicurezza
nella offerta economica a pena di esclusione dalla gara non
può farsi discendere automaticamente dall’art. 26, comma 6,
del D. L.vo 81/2008, il quale si limita a prescrivere che
gli enti aggiudicatori, “nella predisposizione delle gare di
appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte”
valutino l’adeguatezza del valore economico al costo del
lavoro e della sicurezza: é ben vero che quest’ultimo deve
essere “indicato e risultare congruo rispetto all’entità ed
alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle
forniture”, ma la norma non prescrive affatto che questa
indicazione debba essere effettuata, dai partecipanti alla
gara, a pena di esclusione nella offerta economica.
Tale conclusione non equivale ad esentare le imprese
concorrenti dall’onere di indicare in gara gli oneri da
rischio specifico, ma solo a rimandare l’esposizione di tali
oneri nella sede, eventuale, del controllo di anomalia
dell’offerta, sede nella quale il concorrente dovrà
giustificare la sostenibilità e l’attendibilità della
propria offerta economica anche alla luce dell’incidenza sul
prezzo offerto degli oneri per la sicurezza, che in tale
occasione -ma solo in questa- dovranno essere specificamente
indicati.
---------------
Ancora di recente, alcune condivisibili decisioni del
giudice amministrativo hanno evidenziato che “nell’ipotesi
in cui la lex specialis nulla abbia specificato in ordine
all’onere d’indicare -a pena di esclusione- i costi di
sicurezza aziendale, l’esclusione della ditta che abbia
omesso tale indicazione verrebbe a colpire (in contrasto con
i principi di certezza del diritto, di tutela
dell’affidamento e del favor partecipationis) i concorrenti
che hanno presentato un’offerta perfettamente conforme alle
prescrizioni stabilite dal bando e dall’allegato modulo
d’offerta; legittimamente, pertanto, la stazione appaltante,
in osservanza del suddetto principio del favor
partecipationis, ammette a partecipare alla procedura di
evidenza pubblica la medesima ditta".
La Sezione è consapevole che il tema degli oneri della
sicurezza nella gare d’appalto è tuttora oggetto di
orientamenti non univoci nella giurisprudenza
amministrativa, sia di primo che di secondo grado (e talora
anche all’interno della stessa Sezione del giudice
d’appello), con effetti che possono talora produrre
disorientamento negli operatori e disfunzionalità nel
sistema.
Tuttavia, al di là del fatto che, ad un esame più
approfondito, talune apparenti divergenze giurisprudenziali
sembrano trovare fondamento e giustificazione nelle
peculiarità delle singole fattispecie esaminate nelle varie
decisioni -e in attesa, in ogni caso, di un opportuno
intervento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria- vi è da
osservare che l’orientamento più recente del giudice di
appello, che il collegio reputa più ragionevole e
decisamente più convincente, è quello efficacemente
riassunto da Consiglio di Stato, sez, III, 10.07.2013, n.
3706, il quale, anche in riferimento ad appalti di servizi
di cui all’allegato II A del Codice dei Contratti, sembra
ormai orientato ad escludere che la mancata indicazione
degli oneri di sicurezza nell’offerta economica possa
comportare ex se l’esclusione del concorrente, potendo
l’esclusione conseguire “soltanto all’esito –s’intende, ove
negativo, di una verifica più ampia sulla serietà e sulla
sostenibilità dell’offerta economica del suo insieme”.
Osserva il
collegio che nelle procedure aventi ad oggetto gli appalti
di cui all’allegato II B, l’obbligo di specificare gli oneri
della sicurezza nella offerta economica a pena di esclusione
dalla gara non può farsi discendere automaticamente
dall’art. 26, comma 6, del D. L.vo 81/2008, il quale si limita a
prescrivere che gli enti aggiudicatori, “nella
predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione
dell’anomalia delle offerte” valutino l’adeguatezza del
valore economico al costo del lavoro e della sicurezza: é
ben vero che quest’ultimo deve essere “indicato e risultare
congruo rispetto all’entità ed alle caratteristiche dei
lavori, dei servizi e delle forniture”, ma la norma non
prescrive affatto che questa indicazione debba essere
effettuata, dai partecipanti alla gara, a pena di esclusione
nella offerta economica (TAR Piemonte, sez. I, 21.12.2012 n. 1376).
Naturalmente, va ribadito che tale conclusione non equivale
ad esentare le imprese concorrenti dall’onere di indicare in
gara gli oneri da rischio specifico, ma solo a rimandare
l’esposizione di tali oneri nella sede, eventuale, del
controllo di anomalia dell’offerta, sede nella quale il
concorrente dovrà giustificare la sostenibilità e
l’attendibilità della propria offerta economica anche alla
luce dell’incidenza sul prezzo offerto degli oneri per la
sicurezza, che in tale occasione -ma solo in questa-
dovranno essere specificamente indicati.
---------------
Ancora di
recente, alcune condivisibili decisioni del giudice
amministrativo hanno evidenziato che “nell’ipotesi in cui la lex specialis nulla abbia specificato in ordine all’onere
d’indicare -a pena di esclusione- i costi di sicurezza
aziendale, l’esclusione della ditta che abbia omesso tale
indicazione verrebbe a colpire (in contrasto con i principi
di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento e del favor partecipationis) i concorrenti che hanno presentato
un’offerta perfettamente conforme alle prescrizioni
stabilite dal bando e dall’allegato modulo d’offerta;
legittimamente, pertanto, la stazione appaltante, in
osservanza del suddetto principio del favor partecipationis,
ammette a partecipare alla procedura di evidenza pubblica la
medesima ditta" (TAR Bari, sez. II, 22.10.2013 n. 1429).
La Sezione è consapevole che il tema degli oneri della
sicurezza nella gare d’appalto è tuttora oggetto di
orientamenti non univoci nella giurisprudenza
amministrativa, sia di primo che di secondo grado (e talora
anche all’interno della stessa Sezione del giudice
d’appello), con effetti che possono talora produrre
disorientamento negli operatori e disfunzionalità nel
sistema.
Tuttavia, al di là del fatto che, ad un esame più
approfondito, talune apparenti divergenze giurisprudenziali
sembrano trovare fondamento e giustificazione nelle
peculiarità delle singole fattispecie esaminate nelle varie
decisioni -e in attesa, in ogni caso, di un opportuno
intervento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria- vi è da
osservare che l’orientamento più recente del giudice di
appello, che il collegio reputa più ragionevole e
decisamente più convincente, è quello efficacemente
riassunto da Consiglio di Stato, sez, III, 10.07.2013,
n. 3706, il quale, anche in riferimento ad appalti di
servizi di cui all’allegato II A del Codice dei Contratti,
sembra ormai orientato ad escludere che la mancata
indicazione degli oneri di sicurezza nell’offerta economica
possa comportare ex se l’esclusione del concorrente, potendo
l’esclusione conseguire “soltanto all’esito –s’intende, ove
negativo, di una verifica più ampia sulla serietà e sulla
sostenibilità dell’offerta economica del suo insieme” (in
senso analogo, ancora più di recente, Cons. Stato, sez. III,
18.10.2013, n. 5070).
Sotto quest’ultimo profilo, va rilevato che, nel caso di
specie, tale verifica a posteriori è stata effettuata dalla
commissione di gara in sede di verifica di congruità e si è
conclusa positivamente per entrambi i raggruppamenti
aggiudicatari (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: I
valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle
ministeriali non costituiscono un limite inderogabile, ma
semplicemente un parametro di valutazione della congruità
dell'offerta sotto tale profilo, ai sensi dell'art. 86 del
decreto legislativo 12.04.2006, nr. 163: di modo che
l'eventuale scostamento da tali parametri delle relative
voci di costo non legittima ex se un giudizio di anomalia,
potendo essere accettato quando risulti puntualmente
giustificato.
-----------------
La verifica di anomalia dell'offerta deve avere a oggetto la
congruità dell'offerta economica non con riferimento a
ciascuna singola voce di essa, ma nella sua interezza e
globalità, servendo le giustificazioni dell'impresa, e il
contraddittorio che su di esse s'instaura ai sensi del
citato art. 86, ad accertare l'effettiva sostenibilità e
affidabilità dell'offerta nel suo complesso.
Al riguardo, giova
preliminarmente richiamare l'indirizzo giurisprudenziale
-che questa Sezione condivide- secondo cui i valori del
costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali non
costituiscono un limite inderogabile, ma semplicemente un
parametro di valutazione della congruità dell'offerta sotto
tale profilo, ai sensi dell'art. 86 del decreto legislativo
12.04.2006, nr. 163: di modo che l'eventuale scostamento da
tali parametri delle relative voci di costo non legittima
ex se un giudizio di anomalia, potendo essere accettato
quando risulti puntualmente giustificato.
Del pari consolidato è l'indirizzo secondo cui la verifica
di anomalia dell'offerta deve avere a oggetto la congruità
dell'offerta economica non con riferimento a ciascuna
singola voce di essa, ma nella sua interezza e globalità,
servendo le giustificazioni dell'impresa, e il
contraddittorio che su di esse s'instaura ai sensi del
citato art. 86, ad accertare l'effettiva sostenibilità e
affidabilità dell'offerta nel suo complesso
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’art.
84 del Codice dei Contratti dispone che la commissione
valutatrice “è presieduta di norma da un dirigente della
stazione appaltante e, in caso di mancanza in organico, da
un funzionario della stazione appaltante incaricato di
funzioni apicali, nominato dall’organo competente” (comma
3); inoltre, (comma 8) “I commissari diversi dal presidente
sono selezionati tra i funzionari della stazione appaltante.
In caso di accertata carenza in organico di adeguate
professionalità, nonché negli altri casi previsti dal
regolamento in cui ricorrono esigenze oggettive e
comprovate, i commissari diversi dal presidente sono scelti
tra funzionari di amministrazione aggiudicatrici di cui
all’art. 3, comma 25, ovvero con un criterio di rotazione
tra gli appartenenti alle seguenti categorie:….”
(professionisti e professori universitari di ruolo con
determinati requisiti).
Il complessivo meccanismo dettato dall'art. 84, d.lgs.
12.04.2006 n. 163 impone dunque, innanzitutto, di
individuare i commissari all'interno della stazione
appaltante, ritenendo il legislatore tale soluzione
evidentemente non solo la più efficiente in termini di
economicità e di semplificazione procedimentale, ma anche di
imparzialità, e solo ove vi siano obiettive carenze di
organico o professionalità tali da poter inficiare la bontà
delle valutazioni dell'offerta tecnica, è ammesso rivolgersi
all'esterno, rispettando per altro precisi requisiti di
professionalità dei prescelti, oltre che meccanismi
selettivi trasparenti.
Per quanto riguarda il requisito relativo alla competenza
tecnica dei singoli commissari, è principio consolidato in
giurisprudenza quello per cui il requisito richiesto
dall’art. 84, comma 2, del Codice dei Contratti (essere
“esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto
del contratto”) debba essere valutato compatibilmente con la
struttura degli enti appaltanti, senza esigere,
necessariamente, che l’esperienza professionale copra tutti
gli aspetti oggetto di gara.
Sotto un primo
profilo, la ricorrente ha lamentato che la delibera di
nomina della commissione tecnica non avrebbe evidenziato
alcuna specifica competenza in capo ai soggetti chiamati a
far parte dell’organo; secondo la ricorrente, non si
comprenderebbe di quale competenza possano essere dotati il
direttore dell’ufficio S.C. I.C.T. (presidente) e il
direttore dell’Ufficio Provveditorato negli specifici
settori della vigilanza armata, del telecontrollo e del
portierato.
La censura è infondata.
L’art. 84 del Codice dei Contratti dispone che la
commissione valutatrice “è presieduta di norma da un
dirigente della stazione appaltante e, in caso di mancanza
in organico, da un funzionario della stazione appaltante
incaricato di funzioni apicali, nominato dall’organo
competente” (comma 3); inoltre, (comma 8) “I commissari
diversi dal presidente sono selezionati tra i funzionari
della stazione appaltante. In caso di accertata carenza in
organico di adeguate professionalità, nonché negli altri
casi previsti dal regolamento in cui ricorrono esigenze
oggettive e comprovate, i commissari diversi dal presidente
sono scelti tra funzionari di amministrazione aggiudicatrici
di cui all’art. 3, comma 25, ovvero con un criterio di
rotazione tra gli appartenenti alle seguenti categorie:….”
(professionisti e professori universitari di ruolo con
determinati requisiti).
Il complessivo meccanismo dettato dall'art. 84, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 impone dunque, innanzitutto, di
individuare i commissari all'interno della stazione
appaltante, ritenendo il legislatore tale soluzione
evidentemente non solo la più efficiente in termini di
economicità e di semplificazione procedimentale, ma anche di
imparzialità, e solo ove vi siano obiettive carenze di
organico o professionalità tali da poter inficiare la bontà
delle valutazioni dell'offerta tecnica, è ammesso rivolgersi
all'esterno, rispettando per altro precisi requisiti di
professionalità dei prescelti, oltre che meccanismi
selettivi trasparenti.
Per quanto riguarda il requisito relativo alla competenza
tecnica dei singoli commissari, è principio consolidato in
giurisprudenza quello per cui il requisito richiesto
dall’art. 84, comma 2, del Codice dei Contratti (essere
“esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto
del contratto”) debba essere valutato compatibilmente con la
struttura degli enti appaltanti, senza esigere,
necessariamente, che l’esperienza professionale copra tutti
gli aspetti oggetto di gara (Cons. Stato, sez. III, 12.09.2012, n. 4836; Cons. Stato, sez. V, 28.05.2012, n. 3124; TAR Piemonte, sez. I, n.
88/2010) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E’
noto che nelle gare pubbliche spettano in via esclusiva alla
commissione giudicatrice le sole attività di valutazione che
implicano un giudizio connotato da discrezionalità, mentre
qualora si tratti di espletare attività che non implicano
valutazione o scelta non sussiste alcuna riserva di
esclusività in capo alla commissione giudicatrice, potendo
le stesse essere svolte da organi ordinari
dell'Amministrazione.
L'attività valutativa demandata alla commissione tecnica
dall’art. 84 del Codice dei Contratti non comprende le
attività amministrative afferenti alla verifica della
tempestività delle offerte e della regolarità della
documentazione a corredo, compiti che, non presupponendo il
possesso di alcuna competenza tecnica relativa allo
specifico oggetto dell’appalto, possono essere senz’altro
affidati agli organi ordinari della stazione appaltante.
Sotto un
diverso profilo, la ricorrente ha lamentato la violazione
del principio di unicità della commissione, sul presupposto
che una prima commissione avrebbe proceduto all’apertura
delle buste contenenti la documentazione amministrativa e le
offerte economiche e all’attribuzione del punteggio a queste
ultime, mentre una diversa commissione avrebbe proceduto
all’esame delle offerte tecniche e alla valutazione di non
anomalia
Anche tale profilo di censura è infondato.
E’ noto che nelle gare pubbliche spettano in via esclusiva
alla commissione giudicatrice le sole attività di
valutazione che implicano un giudizio connotato da
discrezionalità, mentre qualora si tratti di espletare
attività che non implicano valutazione o scelta non sussiste
alcuna riserva di esclusività in capo alla commissione
giudicatrice, potendo le stesse essere svolte da organi
ordinari dell'Amministrazione (Cons. Stato, sez. III, 12.09.2012, n. 4836).
Questa stessa Sezione ha avuto modo di affermare che
l’attività valutativa demandata alla commissione tecnica
dall’art. 84 del Codice dei Contratti non comprende le
attività amministrative afferenti alla verifica della
tempestività delle offerte e della regolarità della
documentazione a corredo, compiti che, non presupponendo il
possesso di alcuna competenza tecnica relativa allo
specifico oggetto dell’appalto, possono essere senz’altro
affidati agli organi ordinari della stazione appaltante
(TAR Piemonte, sez. I, 30.06.2011, n. 711; TAR
Piemonte, sez. I, 16.07.2010, n. 3132).
Alla stregua di tali principi, la procedura di gara in esame
non appare affetta dal vizio denunciato dalla ricorrente, in
quanto la commissione tecnica ha proceduto correttamente
alla valutazione delle offerte tecniche, mentre il seggio di
gara (composto da altri dipendenti della stessa ASL: dr.
C.A., direttore struttura complessa economato, in
qualità di presidente; dr.ssa S.S., collaboratore
amministrativo con funzioni di assistenza alle operazioni di
gara; e dr.ssa C.C., assistente amministrativo
con funzioni di segretario verbalizzante) si è occupato solo
di adempimenti privi di aspetti valutativi, quali la
verifica della regolarità della documentazione
amministrativa e all’attribuzione dei punteggi alle offerte
economiche.
Il tutto in perfetto ossequio ai principi giurisprudenziali
sopra menzionati
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.11.2013 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Costo orario dei dipendenti da imprese e società
esercenti servizi ambientali per il settore pubblico, con
riferimento ai CCNL aventi come parte datoriale
FEDERAMBIENTE, e per il settore privato, con riferimento ai
CCNL aventi come parte datoriale ASSOAMBIENTE- Sezione
Rifiuti Urbani, a valere dai mesi di luglio e di ottobre
2013 (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali,
decreto 22.11.2013). |
APPALTI:
Oggetto: Definizione di “socio di maggioranza”
rilevante per le dichiarazioni prescritte ai fini della
partecipazione alle procedure di gara d’appalto pubblico
(ANCE Bergamo,
circolare 22.11.2013 n. 250). |
APPALTI:
Deve essere esclusa dalla
gara pubblica l'impresa che non ha prodotto l'attestazione
del R.U.P. di presa visione dei luoghi dove devono eseguirsi
i lavori, imposta a pena di esclusione dal disciplinare di
gara; ciò in quanto, con il richiedere l'attestazione della
presa di conoscenza delle condizioni locali e di tutte le
circostanze che possono influire sull'esecuzione dell'opera,
e prima ancora sulla formulazione dell'offerta, la stazione
appaltante pone a carico dell'appaltatore un preciso dovere
cognitivo, cui corrisponde una altrettanto precisa
responsabilità contrattuale di quest'ultimo.
La provenienza di detto documento dall'Amministrazione
aggiudicatrice assicura a quest'ultima maggiore tutela, a
presidio dell'interesse, di ordine imperativo,
all'individuazione del contraente più idoneo nonché alla
correttezza e regolarità della gara, e, dunque, in coerenza
con l'interesse pubblico sotteso a tale norma di azione.
Infatti, l'attestazione è qualcosa in più della semplice
dichiarazione da parte della stessa ditta partecipante ad
una gara, dovendosi trattare di una dichiarazione
proveniente da un terzo ritenuto (per la particolare
posizione rivestita) abilitato a renderla, in tal modo
garantendosi (fino a prova contraria) la veridicità del suo
contenuto.
---------------
Non è applicabile la norma contenuta nell’art. 46, comma
1-bis, d.lgs. n. 163/2006 che ha codificato il principio
della tassatività delle cause di esclusione dalla gare
pubbliche, la quale è circoscritta al solo ambito della
disposizioni di cui al Codice dei contratti pubblici e non
costituisce norma di principio estensibile al di fuori di
tale ambito.
Infatti, le disposizioni ed i principi contenuti nella
normativa regolante le procedure ad evidenza pubblica non
possono trovare piana applicazione (se non quando siano
espressamente richiamati negli atti generali che
costituiscono la lex specialis, autovincolante per
l’Amministrazione) nelle procedure di dismissione e vendita
di beni immobili da parte dello Stato e delle altre
Amministrazioni pubbliche.
Né è applicabile, altresì, la norma, espressiva invece di un
principio generale, ex art. 6, l. 241/1990, di cui all’art.
46, comma 1, d.lgs. n. 163/2006, che prevede il cd. “potere
di soccorso”, atteso che, una volta constatata la
sostanziale assenza di un requisito essenziale per la
partecipazione in corso di gara, la conseguente
regolarizzazione postuma si tradurrebbe, essenzialmente, in
un'integrazione della domanda proposta, configurandosi
perciò come una violazione del principio della "par
condicio" nei riguardi di altri concorrenti.
Peraltro, come si evince da pag. 12 del predetto avviso, con
inciso riportato con caratteri in grassetto ed
opportunamente sottolineato, la lex specialis ha
disposto che “La mancata presentazione di uno solo dei
documenti, dichiarazioni o della cauzione costituisce
automatica esclusione dalla partecipazione alla gara”.
Inoltre, l’art. 4 della lex specialis prescrive
chiaramente che il concorrente doveva presentare, per ogni
singolo lotto cui intendeva partecipare, a pena di
esclusione, un plico contenente un’elencazione di documenti,
tra cui, per la busta relativa alla documentazione
amministrativa, l’attestazione per cui è causa; l’art. 9,
relativo alle disposizioni di carattere generale, ribadiva
che “L’assenza dei requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara e la violazione delle prescrizioni
previste dal presente avviso determineranno l’esclusione
dalla gara”.
Né tale omissione è surrogabile da un’autocertificazione ex
d.P.R. 28.12.2000, n. 445 poiché l’efficacia probatoria
equivalente di quest’ultima è stata espressamente esclusa,
nella specie, dalla lex specialis, che ha prescritto
un mezzo di prova più rigoroso.
Come d’altra parte ha già statuito la Sezione in caso
analogo (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 03.07.2012, n.
3881, attinente agli appalti pubblici di lavori), deve
essere esclusa dalla gara pubblica l'impresa che non ha
prodotto l'attestazione del R.U.P. di presa visione dei
luoghi dove devono eseguirsi i lavori, imposta a pena di
esclusione dal disciplinare di gara; ciò in quanto, con il
richiedere l'attestazione della presa di conoscenza delle
condizioni locali e di tutte le circostanze che possono
influire sull'esecuzione dell'opera, e prima ancora sulla
formulazione dell'offerta, la stazione appaltante pone a
carico dell'appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui
corrisponde una altrettanto precisa responsabilità
contrattuale di quest'ultimo. La provenienza di detto
documento dall'Amministrazione aggiudicatrice assicura a
quest'ultima maggiore tutela, a presidio dell'interesse, di
ordine imperativo, all'individuazione del contraente più
idoneo nonché alla correttezza e regolarità della gara, e,
dunque, in coerenza con l'interesse pubblico sotteso a tale
norma di azione.
Infatti, l'attestazione è qualcosa in più della semplice
dichiarazione da parte della stessa ditta partecipante ad
una gara, dovendosi trattare di una dichiarazione
proveniente da un terzo ritenuto (per la particolare
posizione rivestita) abilitato a renderla, in tal modo
garantendosi (fino a prova contraria) la veridicità del suo
contenuto.
Non è, invece, applicabile la norma contenuta nell’art. 46,
comma 1-bis, d.lgs. n. 163/2006 che ha codificato il
principio della tassatività delle cause di esclusione dalla
gare pubbliche, la quale è circoscritta al solo ambito della
disposizioni di cui al Codice dei contratti pubblici e non
costituisce norma di principio estensibile al di fuori di
tale ambito.
Infatti, le disposizioni ed i principi contenuti nella
normativa regolante le procedure ad evidenza pubblica non
possono trovare piana applicazione (se non quando siano
espressamente richiamati negli atti generali che
costituiscono la lex specialis, autovincolante per
l’Amministrazione) nelle procedure di dismissione e vendita
di beni immobili da parte dello Stato e delle altre
Amministrazioni pubbliche.
Né è applicabile, invece, la norma, espressiva invece di un
principio generale, ex art. 6, l. 241/1990, di cui all’art.
46, comma 1, d.lgs. n. 163/2006, che prevede il cd. “potere
di soccorso”, atteso che, una volta constatata la
sostanziale assenza di un requisito essenziale per la
partecipazione in corso di gara, la conseguente
regolarizzazione postuma si tradurrebbe, essenzialmente, in
un'integrazione della domanda proposta, configurandosi
perciò come una violazione del principio della "par
condicio" nei riguardi di altri concorrenti.
Non rilevanti sono le questioni relativa alla numerosità
delle prescrizioni a pena di esclusione e non sono fondate
quelle in ordine alla violazione del cd. favor
partecipationis (come appena detto, non applicabile nel
caso di violazione del principio della par condicio dei
concorrenti) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.11.2013 n. 5470 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI: Pur
rivestendo, “in subiecta materia”, un rilievo determinante
l’attività preparatoria dell’U.T.C., circa il sito ritenuto
più idoneo per la realizzazione dell’isola ecologica– pur
tuttavia, la concreta adozione della conseguente
determinazione esuli dalle competenze immediatamente
riferibili ai dirigenti, ai sensi delle richiamate
disposizioni del d. l.vo 267/2000, essendo il Tribunale, in
tale decisione, confortato dalla massima, in termini, che
segue: “L’approvazione del progetto e la localizzazione di
un impianto di smaltimento di rifiuti esulano dal mero
esercizio della funzione tecnico-amministrativa spettante al
dirigente per ricadere nell’ambito più ampio della funzione
di indirizzo e di programmazione, affidata all’organo
elettivo, quantomeno in relazione alla scelta discrezionale
del sito”.
Tanto stabilito, va respinta la prima
censura dei motivi aggiunti de quibus, con la quale s’è
denunziata l’incompetenza della G.M. a licenziare la
deliberazione gravata, ai sensi degli artt. 48 e 107 del T.U.E.L. (atto che rientrerebbe, ad avviso dei ricorrenti,
nelle dirette competenze dell’ufficio tecnico comunale); al
riguardo, ritiene il Tribunale che –pur rivestendo, “in subiecta materia”, un rilievo determinante l’attività
preparatoria dell’U.T.C., circa il sito ritenuto più
idoneo per la realizzazione dell’isola ecologica– pur
tuttavia, la concreta adozione della conseguente
determinazione esuli dalle competenze immediatamente
riferibili ai dirigenti, ai sensi delle richiamate
disposizioni del d. l.vo 267/2000, essendo il Tribunale, in
tale decisione, confortato dalla massima, in termini, che
segue: “L’approvazione del progetto e la localizzazione di
un impianto di smaltimento di rifiuti esulano dal mero
esercizio della funzione tecnico-amministrativa spettante al
dirigente per ricadere nell’ambito più ampio della funzione
di indirizzo e di programmazione, affidata all’organo
elettivo, quantomeno in relazione alla scelta discrezionale
del sito” (TAR Lazio – Sez. I, 22/05/2000, n. 4176)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 20.11.2013 n. 2290 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Oggetto: Dall’01.01.2014 in vigore il sistema denominato
“AVCpass” per la verifica dei requisiti per la
partecipazione alle gare d’appalto (ANCE Bergamo,
circolare 19.11.2013 n. 249). |
APPALTI: Il
giudizio di anomalia postula una motivazione rigorosa ed
analitica ove si concluda in senso sfavorevole
all’offerente, mentre non si richiede, di contro, una
motivazione analitica nell’ipotesi di esito positivo della
verifica di anomalia, nel qual caso è sufficiente motivare
per relationem con riferimento alle giustificazioni
presentate dal concorrente (sempre che a loro volta
adeguate).
Il quarto motivo di ricorso è infondato in
quanto la giurisprudenza ha chiarito che il giudizio di
anomalia postula una motivazione rigorosa ed analitica ove
si concluda in senso sfavorevole all’offerente, mentre non
si richiede, di contro, una motivazione analitica
nell’ipotesi di esito positivo della verifica di anomalia,
nel qual caso è sufficiente motivare per relationem con
riferimento alle giustificazioni presentate dal concorrente
(sempre che a loro volta adeguate) (C.d.S, V, 29/02/2012 n.
1183) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 18.11.2013 n. 991 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 47 del 18.11.2013, "Approvazione
criteri per l’assegnazione di contributi per la
riqualificazione di impianti sportivi scolastici di uso
pubblico" (deliberazione
G.R. 08.11.2013 n. 902). |
APPALTI: Il credito certo con la Pa ora «sblocca» il Durc.
Rilascio possibile anche se c'è un debito previdenziale.
Regolarità contributiva. Resta il potere
di riscossione coattiva degli enti coinvolti.
Le aziende che hanno crediti nei confronti della Pubblica
amministrazione non perdono il diritto a ottenere dagli
uffici il documento unico di regolarità contributiva (Durc).
È il chiarimento principale contenuto nella
circolare
21.10.2013 n. 40/2013, emanata dal ministero del Lavoro.
In realtà, le specifiche ministeriali seguono le
disposizioni normative introdotte su questa materia dal Dm
del 13.03.2013 (pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» 165
del 16.07.2013), che ha dato attuazione al comma 5
dell'articolo 13-bis, del decreto legge 52/2012 (convertito
dalla legge 94/2012): questa norma stabilisce, infatti, che
il Durc «positivo» possa essere rilasciato in presenza di
una certificazione che attesti la sussistenza e l'importo di
crediti certi, liquidi ed esigibili nei confronti delle
pubbliche amministrazioni, di importo almeno pari agli oneri
contributivi accertati e non ancora versati da uno stesso
soggetto.
In sostanza, con questo intervento, è stata finalmente
superata la criticità di ottenere il Durc, per le imprese
che –pur avendo posizioni debitorie nei confronti di Inps,
Inail e/o Casse edili– a loro volta sono creditrici nei
confronti della Pubblica amministrazione.
Il principio generale
Il principio che regola il rilascio del Durc in queste
situazioni, però, è strettamente correlato al regime che
disciplina l'intervento sostitutivo delle stazioni
appaltanti, in caso di irregolarità contributiva
dell'operatore economico. Nell'alveo dei contratti pubblici,
questo principio (articolo 3, comma 1, lettera b), del Dpr
207/2010) comporta che il pagamento dell'importo oggetto di
liquidazione da parte della stazione appaltante in relazione
alla fase del contratto, sia effettuato a favore degli
istituti creditori dei contributi omessi dall'operatore
economico.
Lo stesso meccanismo scatta altresì quando il Durc è stato
richiesto per l'erogazione di sovvenzioni, benefici
normativi e contributivi e altri sussidi. Anche questo
aspetto, infatti, è stato toccato dal Dl 69/2013. Il
ministero del Lavoro, con la circolare 36/2013, ha chiarito
che la Pa deve acquisire il Durc prima di erogare alle
imprese sovvenzioni, sussidi, ausili finanziari e vantaggi
economici.
La circolare 40/2013 dello stesso ministero sottolinea,
dunque, che: «data la sostanziale posizione debitoria nei
confronti degli Istituti e/o delle Casse edili, gli stessi
conservano tutte le facoltà inerenti il potere sanzionatorio
e di riscossione coattiva previste in caso di inadempimento
dei versamenti contributivi», tra cui, appunto, l'intervento
sostitutivo.
I crediti vanno certificati
Passando invece ai dettagli operativi per ottenere il Durc
in presenza delle situazioni descritte, gli enti
previdenziali e le Casse edili sono tenuti a rilasciare il
documento alle imprese che hanno ottenuto la certificazione
di uno o più crediti nei confronti della Pa. Il presupposto
per poter operare in questo ambito è dunque che i crediti
siano stati certificati, secondo quanto previsto in materia
dalle indicazioni di prassi del ministero dell'Economia e,
in particolare, dalle circolari 35/2012, e 17, 19, 30 del
2013.
La richiesta
Sulle modalità di rilascio, se ci si trova in una delle
ipotesi in cui a richiedere il Durc è un ufficio della Pa,
sarà l'azienda interessata –nella fase di avvio del
procedimento– a dover dichiarare l'esistenza del credito,
indicando la data della certificazione, il numero di
protocollo, l'importo del credito stesso e l'amministrazione
che ha rilasciato la relativa certificazione.
Sarà necessario, inoltre, fornire il codice tramite il quale
potrà essere verificata la certificazione, nella piattaforma
informatica costituita ad hoc: in pratica, si tratta di un
archivio a cui accedono gli Istituti previdenziali e le
Casse edili per verificare l'esistenza del credito.
A livello operativo, senza passare attraverso
l'amministrazione richiedente, la certificazione potrà
essere presentata direttamente agli enti previdenziali e/o
alle Casse edili dall'azienda, nel momento in cui riceve il
preavviso dell'irregolarità (ed entro la scadenza assegnata
per sanarla).
Quando il canale informatico avrà raggiunto la sua piena
funzionalità (la piattaforma deve essere ancora
implementata), l'interessato non dovrà più comunicare agli
enti tutti i dati sulla certificazione, ma saranno
direttamente questi a poterli visualizzare (lo ha precisato
anche l'Inail con la circolare 53/2013 dell'11 novembre).
Gli enti coinvolti nel rilascio del Durc, verificata la
certificazione del credito tramite il sistema della
piattaforma, potranno quindi emettere il documento, che
dovrà riportare la dicitura «Durc ex art. 13-bis, comma 5,
Dl n. 52/2012».
Anche nel caso in cui il Durc sia richiesto direttamente
dall'interessato (usando il portale
www.sportellounicoprevidenziale.it) si possono inviare i
dati tramite posta elettronica certificata (Pec), o con
esibizione agli Istituti e alle Casse.
--------------
Per il saldo lavori il documento va sempre chiesto.
Le regole sul Durc sono in continua evoluzione: l'ultimo
intervento sulla materia è avvenuto con il Dl 69/2013
(convertito dalla legge 98/2013).
Sulla validità, è stato previsto che il Durc acquisito ai
fini dei contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture
abbia una durata di 120 giorni dalla data del rilascio.
Questa disciplina, essendo stata introdotta in sede di
conversione del Dl, è entrata in vigore il 21 agosto scorso
ed è applicabile esclusivamente ai documenti rilasciati a
partire da quella data: quelli emessi prima godono invece di
una validità di 90 giorni, così come previsto dal regime
precedente.
Le modifiche introdotte riguardano poi la previsione in base
alla quale –dopo il primo Durc (richiesto dalla Pa ai
vincitori di gare d'appalto a conferma
dell'autocertificazione del concorrente)– gli enti non
devono richiedere un altro documento di regolarità
contributiva, dopo la stipula del contratto, ma solo al
verificarsi, concretamente, delle ipotesi di pagamento degli
stati di avanzamento lavori e per il certificato di
collaudo, di regolare esecuzione, di verifica di conformità.
In sostanza, viene così meno l'obbligo per le stazioni
appaltanti di acquisire diversi Durc in occasione di ogni
stato di avanzamento lavori ma si realizzano tre distinte
fattispecie, in relazione alle fasi del contratto pubblico.
In base alla prima, il Durc per la verifica della
dichiarazione sostitutiva sulla regolarità contributiva
previsto dall'articolo 38 del Codice dei contratti (Dlgs
163/2006) e quello previsto per l'aggiudicazione e la
stipula del contratto, ha validità di 120 giorni, con
decorrenza dalla data di verifica della dichiarazione
sostitutiva, indicata nel documento.
La seconda casistica si riferisce invece alle fasi
successive alla stipula del contratto: pagamento di fatture
o stati di avanzamento lavori (Sal), certificato di
collaudo, certificato di regolare esecuzione o verifica di
conformità, attestazione di regolare esecuzione.
In questi casi, il Durc è richiesto solo per lo stato di
avanzamento lavori e il certificato di collaudo o di
regolare esecuzione, ferma restando la validità per ogni
documento, confermata a 120 giorni.
Nell'ultima fase, quella del pagamento del saldo finale,
bisogna sempre acquisire un nuovo Durc, poiché non è
prevista l'estensione di validità dei documenti richiesti
nelle fasi precedenti, anche se non ancora scaduti.
L'articolo 31, comma 3, del Dl 69/2013 ha ribadito quanto
già previsto dal regolamento di esecuzione e attuazione del
codice dei contratti pubblici: nell'ipotesi in cui il Durc
segnali un'inadempienza contributiva relativa a uno o più
soggetti impiegati nell'esecuzione del contratto, le
amministrazioni sono tenute a trattenere dal certificato di
pagamento l'importo corrispondente all'inottemperanza,
versando quanto dovuto dall'appaltatore o dal subappaltatore
direttamente all'Inps, all'Inail o alla Cassa edile
(articolo Il Sole 24 Ore del
18.11.2013). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Appalti pagati dopo la verifica.
L'appaltatore non potrà emettere la fattura fino al
controllo della sua attività.
Pubblica amministrazione. Diffuse le
linee guida dell'Autorità di vigilanza sul regolamento
attuativo del Codice dei contratti.
Le stazioni
appaltanti devono effettuare controlli accurati
sull'esecuzione degli appalti di servizi e forniture,
facendo leva sulla figura del direttore dell'esecuzione,
anche per gestire correttamente le eventuali varianti.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha
definito nella
determinazione
06.11.2013 n. 5, pubblicata ieri, le
Linee guida per l'applicazione del Dpr 207/2010 (regolamento
attuativo del Codice appalti) relative alla programmazione,
alla progettazione, all'esecuzione, alle verifiche e alla
gestione delle variazioni negli appalti di beni e servizi.
L'Autorità evidenzia anzitutto che la programmazione degli
acquisti, pur essendo facoltativa (articolo 271 del
regolamento) è essenziale per la gestione delle risorse e un
efficace sviluppo delle procedure selettive.
La linea di maggior attenzione è dedicata al flusso di
gestione degli appalti, definito in sede di progettazione e
modulato nei suoi effetti concreti attraverso le verifiche
di esecuzione.
Il progetto di ogni appalto di beni e servizi (obbligatorio
in base all'articolo 279 del Dpr 207/2010) deve essere
predisposto dai dipendenti della stazione appaltante, anche
ampliando i contenuti essenziali con elementi quali la stima
analitica delle prestazioni, il cronoprogramma, la
specificazione dei livelli di servizio mediante indicatori
numerici o quantitativi e le modalità di esercizio del
controllo.
Nell'analisi dell'Authority, proprio il controllo delle
prestazioni rese dagli appaltatori costituisce
l'elemento-chiave dell'intero processo di gestione
dell'appalto di fornitura o di servizi.
In questo quadro, l'attore principale diviene la nuova
figura del direttore dell'esecuzione, che deve essere
distinto dal responsabile del procedimento quando l'appalto
presenti rilevanti profili di complessità, come nel caso
degli affidamenti di servizi sanitari o informatici.
L'Autorità evidenzia che i contratti di appalto devono
prevedere clausole specifiche e dettagliate in ordine alle
verifiche di conformità dell'esecuzione (disciplinate dagli
articoli 312-325 del regolamento attuativo). I controlli,
infatti, sono finalizzati a garantire la stazione appaltante
dai comportamenti degli appaltatori riconducibili al "moral
hazard", determinando una maggiore responsabilizzazione
degli stessi, a fronte del rischio di risoluzione del
contratto e della conseguente impossibilità di partecipare,
per un certo periodo, a gare indette dalla stessa
amministrazione.
Le verifiche, inoltre, sono indicate dall'Authority come
passaggio propedeutico necessario per i pagamenti delle
prestazioni (articolo 307, comma 2, del regolamento), per cui
l'appaltatore non potrà emettere fattura sino
all'intervenuto controllo della sua attività.
L'equilibrio nel rapporto deve essere garantito da penali
specifiche, correlate ai possibili inadempimenti e definite
in relazione ai livelli qualitativi delle prestazioni.
La determinazione 5/2013 focalizza l'attenzione sulle
varianti in corso di esecuzione (regolate dagli articoli 310
e 311 del Dpr 207/2010), evidenziando come la stazione
appaltante non possa richiedere alcuna variazione ai
contratti stipulati, se non nei casi previsti dalle
disposizioni del regolamento attuativo del Codice. La deroga
al principio di immodificabilità del contratto è dunque di
stretta interpretazione ed agisce in presenza di specifici
presupposti.
Secondo l'Autorità, infatti, è nel quadro della rigorosa
disciplina delle varianti (sia necessitate che migliorative)
che si colloca, tra l'altro, il divieto delle proroghe e dei
rinnovi taciti o espressi per gli appalti di servizi e
forniture, poiché in tali casi l'uso di questi strumenti
modifica la prestazione e il suo valore economico, fatta
salva la disciplina prevista dall'articolo 57, comma 5,
lettere a) e b), del Codice per i servizi analoghi e
complementari (articolo Il Sole 24 Ore
del 16.11.2013). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Appalti, il costo del lavoro rileva solo per l'anomalia.
In appalto pubblico è vietato prevedere l'esclusione
dell'offerente in caso di mancata dichiarazione del rispetto
dei contratti collettivi di lavoro e delle norme
previdenziali; il rispetto delle norme sul costo del lavoro
rileva invece ai soli fini della verifica di anomalia
dell'offerta.
È quanto afferma il TAR Campania-Napoli,
Sez. IV, con
la
sentenza 15.11.2013 n. 5143 rispetto a una
clausola di un bando di gara che imponeva ai concorrenti, a
pena di esclusione dalla gara, di rendere una dichiarazione
sul rispetto dell'art. 86 del codice dei contratti pubblici.
In particolare la stazione appaltante aveva previsto
l'obbligo di dichiarare che l'offerta fosse formulata
«considerando il costo del lavoro calcolato sulla base dei
valori economici previsti dalla contrattazione collettiva e
dalle norme in materia previdenziale e assistenziale
applicabili».
La stazione appaltante aveva disposto
l'esclusione ma il Tar annulla il provvedimento: l'omissione
della dichiarazione, si legge nella sentenza, non integra
alcuna delle cause di esclusione tassativamente previste dal
comma 1-bis dell'articolo 46 del codice dei contratti
pubblici, non essendo espressamente prevista
dall'ordinamento vigente.
La dichiarazione relativa al costo
del lavoro attiene solo alla valutazione di possibile
anomalia dell'offerta ex art. 86 codice di contratti
pubblici, da effettuare, se del caso, in un momento
successivo della procedura, cioè in sede di verifica
dell'anomalia. Semmai la stazione appaltante potrebbe
comunque chiedere al concorrente di sanare l'omissione
mediante richiesta di integrazione ex art. 46, comma 1 del
codice dei contratti pubblici. Per i giudici, quindi, dal
punto di vista sostanziale, l'aspetto del costo del lavoro
ai fini dell'anomalia dell'offerta non assume significato
determinante tale da comportare l'esclusione.
Infatti,
secondo giurisprudenza, il mancato rispetto dei limiti
tabellari afferenti il costo del lavoro o, in mancanza, dei
valori indicati dalla contrattazione collettiva, non
determina l'automatica esclusione dalla gara pubblica
dell'impresa alla quale si imputa tale trasgressione, ma
costituisce un importante indice di anomalia dell'offerta,
che dovrà essere verificata mediante un giudizio complessivo
di remuneratività, in contraddittorio con l'offerente
(articolo ItaliaOggi del
20.11.2013). |
APPALTI: Appalti, ribassi selvaggi verso il tramonto.
Il decreto con i nuovi criteri alla
firma del ministro.
È finita (forse) l'era delle liberalizzazioni selvagge nei
bandi per la pubblica amministrazione. L'era in cui cioè,
con l'eliminazione delle tariffe, le gare per i servizi di
ingegneria e architettura venivano aggiudicate a prezzi
stracciati con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo
iniziale.
Dopo la recente firma del ministero delle infrastrutture
Maurizio Lupi (che ha seguito quello della giustizia),
infatti, il decreto ministeriale che determina «i
corrispettivi a base di gare per gli affidamenti di
contratti di servizi attinenti all'architettura e
all'ingegneria», sia avvia a saltare l'ultimo ostacolo:
il visto di legittimità della Corte dei conti, alla cui
attenzione è attualmente.
Si tratta di un testo dall'elaborazione complessa (prima le
consultazioni con le categorie tecniche, poi le bocciature
del Consiglio e dell'Autorità superiore dei lavori pubblici)
ma indispensabile per il settore degli appalti pubblici per
superare, come rileva il Consiglio di stato nel suo recente
parere (n. 3626/2013), «la situazione di indeterminatezza
venutasi a creare a seguito dell'elaborazione di tutta la
disciplina in materia di tariffe professionali». Ma
soprattutto, un testo fondamentale dopo che il decreto legge
sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto cancellato ogni
riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di
regole per calcolare gli importi e per determinare, di
conseguenza, le corrette procedure per l'affidamento.
Un'assenza di regole denunciata a gran voce dai periti
industriali e dalle categorie tecniche tutte, che ha
alimentato tra le altre cose un'eccessiva discrezionalità
delle stazioni appaltanti. Queste ultime, infatti, in caso
di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi
all'ingegneria e all'architettura, non disponevano più di
riferimenti certi per la definizione dell'importo da porre a
base di gara. Ecco perché, per sanare tale criticità il
governo era intervenuto con il decreto sviluppo stabilendo
che per la determinazione dei corrispettivi da porre a base
di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici
dei servizi tecnici, si sarebbero applicati i parametri
individuati appunto con un decreto interministeriale che
avrebbe anche definito «le classificazioni delle
prestazioni professionali relative ai predetti servizi».
Nel frattempo per disciplinare la fase transitoria, il
legislatore aveva previsto che nelle more dell'emanazione di
tale decreto si sarebbero potute applicare le tariffe
professionali stabilite nel dm 4/4/01(Aggiornamento degli
onorari spettanti agli ingegneri e architetti).
Il punto è che tale opzione è stata disattesa dalla grande
maggioranza delle stazioni appaltanti. Secondo i numeri
forniti dal Centro studi del Consiglio nazionale degli
ingegneri infatti, il 61% dei bandi non dà alcun chiarimento
sul criterio utilizzato per la determinazione dell'importo a
base d'asta, un ulteriore 4,6% segue i dettami della legge
143/1949, il 4,5% quelli del decreto 207/10, mentre nel 14%
vengono menzionati altri riferimenti normativi. Insomma
l'offerta economica calcolata su basi fittizie, è diventata
tristemente negli ultimi anni l'unica variabile nelle
aggiudicazioni e le corse al ribasso per firmare contratti
un po' usa e getta sono state la maggioranza. Ma non solo,
perché nonostante l'evidente abnormità dei ribassi, le
stazioni appaltanti, forse perseguendo un miope criterio di
risparmio, non hanno quasi mai dato applicazione al concetto
di offerta anomala.
Uno scenario quasi da Far West che sull'onda delle selvagge
liberalizzazioni ha assimilato le attività professionali a
quelle dell'impresa dove prevale il minor costo anche a
scapito della qualità dei servizi. Ecco perché questo
decreto è fondamentale ed è urgente sia approvato al più
presto. Solo così, per i periti industriali si potrà
risollevare l'alto livello qualitativo che, da sempre, ha
caratterizzato gli studi di progettazione in Italia
(articolo ItaliaOggi
del 15.11.2013). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Programmi triennali per gli appalti pubblici.
L'Autorità di vigilanza detta le
linee guida alle p.a..
Obbligo di programmazione triennale anche per gli appalti
pubblici di servizi e di forniture; verifica annuale sulla
fattibilità tecnica, economica e amministrativa di ogni
intervento; affidamenti a terzi solo per complessità
dell'intervento.
Sono queste alcune delle indicazioni
fornite dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici con la
determinazione
06.11.2013 n. 5 che detta
le linee guida su programmazione, progettazione ed
esecuzione del contratto nei servizi e nelle forniture, alla
luce delle diffuse criticità rilevate dall'organismo di
vigilanza.
L'intervento dell'Autorità presieduta da Sergio Santoro,
deriva dall'aver rilevato problemi in termini sia di
«debolezza» dei contratti (mancanza di chiarezza o
incompletezza nell'articolato) sia in termini di scarsa
attenzione prestata alla fase postaggiudicazione, che
invece, dice l'Autorità, «appare di preminente rilievo ai
fini della corretta esecuzione della prestazione».
La
materia, regolata dal dpr 207/2010 (il regolamento del
codice dei contratti pubblici), secondo una disciplina in
larga parte modellata su quella dei contratti di lavori
viene affrontata dalla determina partendo dalla fase di
programmazione (facoltativa per questi contratti), in
relazione alla quale l'Autorità auspica l'introduzione
dell'obbligo di programmazione triennale anche negli appalti
di servizi e forniture, per garantire una visione di insieme
dell'intero ciclo di realizzazione dell'appalto.
La determina afferma inoltre che le amministrazioni
aggiudicatrici dovrebbero, in ogni caso, provvedere
all'adozione del programma annuale per l'acquisizione di
beni e servizi e, successivamente, effettuare una verifica
della fattibilità tecnica, economica e amministrativa di
ogni singolo intervento.
Per quel che riguarda la fase di progettazione, la determina
mette in evidenza che la predisposizione di un progetto
preciso e di dettaglio, atto a descrivere in modo puntuale
le prestazioni necessarie a soddisfare specifici fabbisogni
della stazione appaltante, appare come uno strumento
indispensabile per ovviare al fenomeno di porre in gara non
specifici servizi, ma categorie di servizi; ciò avviene in
particolare nel settore informatico ove spesso accade che il
cui contenuto sia oggetto di specificazione successiva
all'atto della richiesta di esecuzione.
Sull'affidamento a terzi di questa fase, la determina
ricorda che soltanto in casi di particolare complessità si
può appaltare a soggetti privati e che al progettista si
applica il divieto di esecuzione, «posto a tutela della
concorrenza, altrimenti alterata da situazioni di evidente
asimmetria informativa».
Per l'esecuzione del contratti la determina chiarisce che il
direttore dell'esecuzione è figura che coincide con quella
del Responsabile unico del procedimento (Rup), salvo diversa
indicazione della stazione appaltante, mentre il direttore
dell'esecuzione deve essere sempre distinto dal Rup se il
contratto vale più di 500.000 euro, o se si tratta di
prestazioni complesse. In fase di esecuzione del contratto
l'Autorità afferma l'opportunità di prevedere penali
strettamente correlate ai livelli di servizio stabiliti nel
capitolato prestazionale
(articolo ItaliaOggi
del 15.11.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Parere - debiti fuori bilancio.
Il verificarsi di una mancata entrata,
che era stata precedentemente accertata, con conseguente
impegno della relativa spesa in conto capitale ed
aggiudicazione dei lavori, non costituisce un debito fuori
bilancio, ma determina la necessità di ripristinare
l’equilibrio finanziario del bilancio, adottando i
provvedimenti previsti dall’art. 193 Tuel.
---------------
Con nota n. 8416 in data 26.09.2013, trasmessa per
il tramite del Consiglio delle Autonomie (nota n.
30261/2013) e pervenuta in data 03.10.2013, il sindaco del
comune di Nole pone un quesito in materia di debiti fuori
bilancio.
Premesso che in data 18/12/2009 è stata stipulata una
convenzione con l’ASL T04 di Chivasso (TO) per la locazione
di un fabbricato di proprietà comunale con obbligo da parte
del comune di eseguire i lavori di ristrutturazione, il cui
costo, pari a complessivi € 1.400.000,00, sarebbe stato
parzialmente anticipato dall’ASL per € 933.000,00,
scomputandolo dal canone, e che dopo l’aggiudicazione dei
lavori l’ASL ha chiesto, a modifica della convenzione, la
riduzione degli spazi locati e la conseguente riduzione
proporzionale della quota del costo dei lavori di propria
competenza, riducendola a complessivi € 513.000,00,
l’amministrazione comunale chiede se il rifinanziamento dei
lavori, applicando l'avanzo di amministrazione per €
336.000,00, sia da considerarsi debito fuori bilancio ai
sensi dell’art. 194 del TUEL.
...
Com’è noto con il termine di “debito fuori bilancio”
si intende un’obbligazione verso terzi per il pagamento di
una determinata somma di denaro, assunta in violazione delle
norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa
degli enti locali (Principio contabile n. 2, paragrafo
91). Si tratta di un fenomeno riconducibile al concetto di “sopravvenienza
passiva”, trattandosi di debiti sorti al di fuori
dell’impegno di spesa costituito secondo le prescrizioni
dell’art. 191 Tuel e in assenza di una specifica previsione
nel bilancio di esercizio in cui i debiti si manifestano.
L’art. 194 del individua le tipologie di debiti fuori
bilancio che è possibile riconoscere, imputando l’obbligo
insorto in capo all’ente, con l’adozione di apposita
deliberazione del Consiglio.
Il primo comma della suddetta norma così testualmente
dispone: "1. Con deliberazione consiliare di cui
all'articolo 193, comma 2, o con diversa periodicità
stabilita dai regolamenti di contabilità, gli enti locali
riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio
derivanti da:
a) sentenze esecutive;
b) copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e
di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da
statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato
rispettato l'obbligo di pareggio del bilancio di cui
all'articolo 114 ed il disavanzo derivi da fatti di
gestione;
c) ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal
codice civile o da norme speciali, di società di capitali
costituite per l'esercizio di servizi pubblici locali;
d) procedure espropriative o di occupazione d'urgenza per
opere di pubblica utilità;
e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli
obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191, nei
limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento
per l'ente, nell'àmbito dell'espletamento di pubbliche
funzioni e servizi di competenza.".
Secondo la costante giurisprudenza l’elencazione
contenuta nella predetta norma ha carattere tassativo,
sicché non è possibile riconoscere debiti fuori bilancio che
non rientrano nelle tipologie individuate (ex multis
delibera 314/2012 di questa sezione e precedenti ivi
richiamati).
Con riferimento al caso di specie, fermo restando che
questa Sezione non può che limitarsi all’esame degli aspetti
contabili e ad indicazioni di carattere generale, rimanendo
riservate alla esclusiva competenza dell’Amministrazione le
valutazioni e le decisioni del caso concreto, si osserva
che, secondo quanto riferito, al momento dell’aggiudicazione
i lavori erano stati regolarmente finanziati ed era stato
previsto in bilancio il relativo stanziamento.
Pertanto, la Sezione ritiene che non si tratti di un
debito fuori bilancio, ma del verificarsi di una mancata
entrata, che era stata precedentemente accertata, con la
conseguente necessità di ripristinare l’equilibrio
finanziario del bilancio, adottando i provvedimenti previsti
dall’art. 193 Tuel (Corte dei
Conti, Sez. controllo Piemonte,
parere
12.11.2013 n. 383). |
APPALTI: Patente a punti per gli appalti.
Requisiti di onorabilità e sicurezza certificata in azienda.
In arrivo il regolamento che istituisce la sezione speciale
edilizia in camera di commercio.
Serve un «responsabile tecnico in possesso di adeguate
competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro». E
la dimostrazione da parte delle imprese del possesso del
«requisito di onorabilità» (assenza di procedimenti in corso
a carico degli operatori) e della capacità
tecnico-finanziaria.
Queste alcune delle novità contenute nel regolamento per la
qualificazione delle imprese (che ha ottenuto il via libera
dal consiglio di stato e deliberato preliminarmente dal
consiglio dei ministri) previsto dall'articolo 6, comma 8,
lettera g), del dlgs 09.04.2008, n. 81.
Vengono dunque
stabilisce i requisiti inderogabili richiesti alle imprese
per il rilascio da parte della camera di commercio (sezione
speciale per l'edilizia) della «patente a punti» per
partecipare agli appalti. Il regolamento individua le
caratteristiche, attinenti alla salute e sicurezza sul
lavoro, delle quali le imprese devono essere in possesso per
avere titolo preferenziale alla partecipazione di gare
relative ad appalti e subappalti pubblici e per l'accesso ad
agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della
finanza pubblica.
La patente a punti sarà rilasciata dalla
sezione speciale per l'edilizia, istituita presso la camera
di commercio ove ha sede e domicilio l'operatore economico.
La sezione speciale dell'edilizia, entro dieci giorni dal
ricevimento della domanda, rilascia la patente oppure
rifiuta adducendone il motivo. L'impresa può comunque
iniziare provvisoriamente la sua attività nel caso in cui la
sezione speciale ritardi nel rispondere alla richiesta. Le
sezioni saranno interconnesse con le Asl, le direzioni
territoriali del lavoro e l'inail attraverso un rete
predisposta da unioncamere. La patente a punti verrà
rilasciata automaticamente alle imprese già iscritte alla
Camera di commercio, in possesso dell'attestazione soa e in
regola con il documento unico di regolarità contributiva.
Potranno ottenere la patente a punti anche quanti, in
possesso del Durc regolare e dei requisiti per la
qualificazione, non abbiano l'attestazione soa. Il punteggio
della patente professionale, comprensivo del valore
attribuito inizialmente, verrà segnato in un apposito
riquadro del documento unico di regolarità contributiva, il
quale assume la funzione di attestato per la patente
professionale. I requisiti che daranno diritto al rilascio
della patente sono la designazione di un responsabile
tecnico in possesso di adeguate competenze in materia di
salute e sicurezza sul lavoro e l'assenza di misure di
prevenzione per reati come riciclaggio, insolvenza
fraudolenta o usura.
L'impresa deve inoltre dimostrare di possedere un'idonea
attrezzatura tecnica, ma anche lo svolgimento di un
addestramento specifico per il suo utilizzo. Il valore
minimo dell'attrezzatura dovrà essere di 30 mila euro. Un
successivo decreto attuativo del Ministero del lavoro
definirà infine il punteggio iniziale, le procedure di
verifica periodica e il meccanismo di decurtazione dei punti
(articolo ItaliaOggi
del 12.11.2013). |
LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: G.U.
11.11.2013 n. 264 "Testo
del decreto-legge 12.09.2013, n. 104, coordinato con la
legge di conversione 08.11.2013, n. 128, recante:
«Misure urgenti in materia di istruzione, università e
ricerca»".
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Di interesse si leggano:
● Art. 10 - Mutui
per l’edilizia scolastica e per l’edilizia residenziale
universitaria e detrazioni fiscali
● Art. 10-bis - Disposizioni in materia di prevenzione degli
incendi negli edifici scolastici
● Art. 10-ter - Interventi di edilizia scolastica |
APPALTI: CONSIGLIO DEI MINISTRI/
Appalti, sconti alle ditte verdi.
Cauzioni e garanzie giù del 20% a chi è eco-certificato.
Nel Collegato ambiente criteri
ecologici minimi nei bandi.
Arriva un incentivo per gli operatori economici che
partecipano ad appalti pubblici e sono muniti di
registrazione Emas o Ecolabel: sarà ridotta del 20% la
cauzione a corredo dell'offerta. Il bonus sarà esteso anche
alla garanzia di esecuzione, prestata dall'aggiudicatario. E
negli appalti pubblici di forniture e negli affidamenti di
servizi diventeranno obbligatori anche i cosiddetti criteri
ambientali minimi (Cam, definiti ai sensi del decreto
interministeriale 11.04.2008): il costo di prodotti e
dei servizi non sarà più riferito al mero prezzo di
acquisto, ma al costo che il bene ha nel suo ciclo di vita.
I nuovi criteri saranno vincolanti nei bandi e nei documenti
di gara relativi agli acquisti della p.a., a partire dalla
ristorazione collettiva e dalle derrate alimentari.
Sono due
delle principali novità contenute in un disegno di legge
collegato alla legge di stabilità, esaminato ieri in via
preliminare dal consiglio dei ministri. Il testo reca
disposizioni per promuovere misure di green economy e di
contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali.
Ma
andiamo per punti, dicendo subito che il Collegato estende
anche il ventaglio applicativo del principio di
responsabilità in capo al produttore di rifiuti. Che ricadrà
anche sui proprietari di navi che trasportano carichi
inquinanti. Petrolieri in primis.
Appalti verdi. Verrà introdotto un incentivo per le imprese
munite di registrazione Emas (che certifica la qualità
ambientale dell'organizzazione aziendale) e marchio Ecolabel
(che certifica la qualità ecologica dei prodotti,
comprensivi di beni e servizi). Come detto, partecipando ad
appalti pubblici questi operatori beneficeranno di un taglio
del 20% della cauzione a corredo dell'offerta. Beneficio che
si estenderà anche alla garanzia di esecuzione, prestata
dall'aggiudicatario. L'obiettivo è introdurre tra i criteri
ambientali di valutazione dell'offerta economicamente più
vantaggiosa anche quello per cui le prestazioni oggetto del
contratto siano dotate di marchio Ecolabel. In più, tra i
criteri, il collegato ambientale introduce anche il costo
del ciclo di vita dell'opera, del prodotto o del servizio.
Sul fronte certificazioni ambientali, invece, basterà la
mera Valutazione di impatto ambientale (Via) per autorizzare
le attività di scarico in mare di acque derivanti da
attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi. Stessa
cosa per le attività di movimentazione fondali per la posa
di cavi e condotte. Verranno, quindi, unificate in una sola
le commissioni tecniche per il rilascio di Via (Valutazione
di impatto ambientale), Vas (Valutazione ambientale
strategica) e Aia (Autorizzazione integrata ambientale). La
misura, che punta a contenere i costi a carico dello stato,
detta anche un taglio dei componenti le rispettive
commissioni. La cui attività, però, sarà svolta da
sottocommissioni facenti capo alla commissione unificata.
Sul versante emissioni inquinanti, invece, il ddl esenta
tutta una serie di impianti a scarso inquinamento dagli
obblighi di incassare l'autorizzazione alle emissioni in
atmosfera. Avranno meno vincoli le linee di trattamento
fanghi, gli essiccatoi agricoli, gli allevamenti in ambienti
confinati a basso numero di capi e le cantine. Siano esse di
vino, aceto e altre bevande fermentate. In più, i vincoli
relativi al controllo delle emissioni a effetto serra
decadranno anche per i velivoli di stato e per quelli legati
alla sicurezza nazionale.
I cambi di governance.
La prima rivoluzione di poteri riguarda i Parchi nazionali:
il ddl punta a sottrarre la nomina dei direttori di Parco al
ministro dell'ambiente, per affidarla ai rispettivi consigli
direttivi. In più, viene disposta la cancellazione dell'albo
direttori di Parco nazionale. Sul fronte rifiuti, invece,
archiviato l'Osservatorio nazionale, tornerà al ministro
dell'ambiente il compito di attuare le norme nel settore
imballaggi e rifiuti di imballaggio. Al dicastero spetterà
anche il controllo sui consorzi, la gestione del gettito del
contributo ambientale e il riconoscimento dei sistemi
autonomi di gestione imballaggi
(articolo ItaliaOggi del 09.11.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Al Tar Campania fattispecie normativamente prevista
solo in raggruppamenti.
L'avvalimento non è ingessato.
Se fallita può essere sostituita l'impresa che dà i
requisiti.
Se in un appalto pubblico una impresa si è avvalsa dei
requisiti di qualificazione di un'altra impresa, poi
fallita, è legittimo consentire la sostituzione dell'impresa
fallita con altra impresa; è invece illegittima la
risoluzione del contratto da parte della stazione
appaltante.
È quanto afferma il TAR
Campania-Napoli, Sez. III, con la
sentenza 11.11.2013 n. 5042
che affronta una fattispecie normativamente prevista
soltanto nel caso di raggruppamenti temporanei di imprese e
non in caso di utilizzo dell'«avvalimento», l'istituto che
consente a un concorrente sprovvisto di requisiti di farseli
«prestare» da un'altra impresa (la cosiddetta ausiliaria).
La vicenda riguardava un'impresa mandante di un
raggruppamento temporaneo che si era avvalsa, per il
fatturato, dei requisiti di un'altra impresa poi fallita. La
stazione appaltante non aveva accettato la sostituzione
dell'impresa ausiliaria con altra impresa (come proposto
dall'appaltatore) e aveva proceduto alla risoluzione del
contratto. Da qui il ricorso contro la risoluzione del
contratto che il Tar accoglie integralmente partendo dal
profilo del diniego di sostituzione, affrontato dal collegio
partenopee rispetto alla possibilità di un'interpretazione
analogica del comma 19 dell'articolo 37 del codice dei
contratti pubblici.
La norma del codice, infatti, stabilisce che in caso di
fallimento di uno dei mandanti, l'impresa mandataria possa
sostituirlo con altro operatore economico subentrante che
sia in possesso dei prescritti requisiti e ciò, ovviamente,
al fine di portare a termine il contratto. Non esiste però
una disciplina relativa all'istituto dell'avvalimento, ma la
sentenza afferma che si può senz'altro procedere
all'applicazione analogica: se infatti il legislatore ha
previsto la sostituzione del mandante di un raggruppamento,
che è parte diretta del contratto, non si vede per quale
ragione la si debba negare, nel silenzio della legge, per
un'impresa ausiliaria di una mandante, che resta estranea al
contratto e limita il proprio ruolo al prestito di un
requisito, con annessa obbligazione di garanzia.
Per i
giudici «non sussiste nessuna ragione giuridico-formale o
pratico-operativa per impedire la sostituzione in un
rapporto «minore» e meno intenso (quello di avvalimento tra
ausiliata e ausiliaria) quando la legge ammette la
sostituzione nel caso «maggiore» e più intenso (quello del
raggruppamento temporaneo tra imprese, tutte pro quota
direttamente obbligate alla prestazione principale)». I
giudici non ritengono che la sostituzione possa violare il
principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti
alle gare pubbliche, dal momento che in questo caso il
fallimento dell'ausiliaria è intervenuto dopo
l'aggiudicazione e non può in alcun modo alterare la par
condicio tra i concorrenti.
Se quindi è legittima la sostituzione dell'impresa
ausiliaria, negata dalla stazione appaltante, è senz'altro
illegittima la risoluzione del contratto che, pertanto,
viene annullata dalla sentenza del collegio campano (articolo ItaliaOggi
del 07.12.2013 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
APPALTI:
Diritto all’indennizzo – Bando di gara –
Previsione di modalità limitative della responsabilità per
fatti illeciti della P.A. – Illegittimità.
Il diritto all’indennizzo, previsto dalla legge, può essere
escluso legittimamente dall’Amministrazione con un proprio
atto –come ad es. il bando di gara– in tutti i casi in cui
la pretesa patrimoniale non si ricolleghi a un fatto
illecito dell’Amministrazione, come accade nelle ipotesi di
revoca (ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990) e di
annullamento di ufficio (ex art. 1, co. 136, l. n.
311/2004).
Allorquando invece siffatto diritto si ricolleghi a un fatto
illecito, come accade nelle ipotesi di responsabilità
precontrattuale ex art. 1337 c.c., l’Amministrazione non può
legittimamente imporre ai privati di formalizzare una
preventiva rinuncia a siffatto diritto patrimoniale; è, del
pari, illegittima la clausola del bando con la quale la
stazione appaltante introduca in via preventiva, una
modalità limitativa della responsabilità per fatti illeciti
dalla stessa, posti in essere nello svolgimento del
procedimento (Cons. Stato, Sez. IV, 14.01.2013, n. 156) (TAR
Molise,
sentenza 08.11.2013 n. 641 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Gare pubbliche trasparenti.
Diritto penale. Per la sanzione basta l'inquinamento della
procedura.
Massima severità a presidio della trasparenza dei bandi
della pubblica amministrazione. Anche se la bozza di bando
frutto di collusione non si è poi tradotta nella versione
definitiva, la pena prevista dall'articolo 353 del Codice
penale scatta egualmente.
Lo sottolinea la Corte di
Cassazione con la
sentenza
07.11.2013 n. 44896 della VI Sez.
penale depositata ieri. La pronuncia sposa un concetto
esteso di turbativa in coerenza con la classificazione come
«di pericolo» del reato stesso.
L'obiettivo della norma penale è infatti quello di mettere
in sicurezza la fase dei pubblici incanti antecedente alla
pubblicazione del bando. L'azione illecita consiste allora
nel turbare attraverso atti predeterminati (violenza,
minaccia, doni, promesse, collusione o altri mezzi
fraudolenti) il procedimento amministrativo di formazione
del bando per condizionare la scelta del contraente. E
allora il reato si consuma indipendentemente dal
raggiungimento dell'obiettivo. «Per integrare il delitto,
dunque, non è necessario che il contenuto del bando venga
effettivamente modificato in modo tale da condizionare la
scelta del contraente, né, a maggior ragione, che la scelta
del contraente venga effettivamente condizionata». È
sufficiente invece un inquinamento del procedimento
amministrativo.
Cosa che, nel caso approdato in Cassazione, si è appunto
verificata quando un sindaco ha consegnato al funzionario
responsabile dell'ufficio appalti pubblici la bozza del
bando frutto di un accordo collusivo. E nulla conta il fatto
che poi il funzionario ha rifiutato l'imposizione e
proceduto alla redazione di una diversa versione del bando (articolo Il Sole 24 Ore
dell'08.11.2013). |
APPALTI: Pagamenti veloci negli appalti.
I termini di 30 e 60 giorni si applicano anche ai lavori.
Nel ddl europea-bis per il 2013 una norma che cristallizza
l'interpretazione del Mise.
Pagamenti sprint negli appalti pubblici. Anche i contratti
aventi ad oggetto la prestazione di servizi o forniture e la
realizzazione di opere per la p.a. saranno soggetti alla
tempistica accelerata (30 giorni prorogabili fino a 60, ma
solo in casi eccezionali) prevista dal decreto legislativo
n. 192/2012 che ha recepito in Italia la direttiva sui
ritardati pagamenti.
A sancire l'applicabilità delle nuove norme ai lavori
pubblici è lo schema di disegno di legge europea per il
secondo semestre 2013 che è stato esaminato ieri dal
preconsiglio dei ministri.
Si tratta di una norma di interpretazione autentica che fuga
ogni dubbio sull'estensione dei nuovi termini di pagamento
agli appalti. In realtà, che i contratti di cui al dlgs
163/2006 non potessero sfuggire al decreto di recepimento
della direttiva voluta dal vicepresidente della Commissione
europea Antonio Tajani, era già stato sancito dal ministero
dello sviluppo economico con una circolare del 23.01.2013 (si veda ItaliaOggi Sette del 28/01/2013).
Il Mise aveva riconosciuto le lacune del dlgs 192 che non
aveva accolto le indicazioni della direttiva 2011/7/Ue la
quale invece nei «considerando» includeva nella nozione di
«fornitura di merci e prestazione di servizi», rilevante ai
fini della direttiva, anche «la progettazione e l'esecuzione
di opere e di edifici pubblici, nonché i lavori di
ingegneria civile».
Ma niente di tutto questo era stato trasposto nel testo del
decreto legislativo che per di più si era limitato a
modificare il dlgs 231/2002 senza sostituirlo integralmente.
Di qui le incertezze sull'estensione dei pagamenti sprint
agli appalti. Su sollecitazione dei costruttori edili e
dello stesso Tajani (che aveva minacciato l'allora governo
Monti di avviare un procedura di infrazione contro l'Italia
qualora l'esecutivo non fosse intervenuto con una presa di
posizione ufficiale), il dicastero ai tempi guidato da
Corrado Passera era intervenuto a chiarire la necessità di
«assoggettare anche i lavori pubblici a un'uniforme
regolamentazione per i pagamenti derivanti dai relativi
contratti» in modo da evitare distorsioni delle concorrenza.
Ma, pur trattandosi di una presa di posizione ufficiale,
tale lettura non avrebbe potuto sanare i vizi del dlgs 192
che non ha applicato come avrebbe dovuto i princìpi
contenuti nella direttiva comunitaria. Di qui la necessità
di una norma di interpretazione autentica che è stata
inserita nello schema di ddl.
L'art. 22 del provvedimento, oltre a far rientrare gli
appalti pubblici nell'alveo della direttiva sui ritardati
pagamenti, introduce una norma di favore per le imprese
creditrici. Si prevede la possibilità di applicare termini
di pagamento e tassi diversi rispetto a quelli dei dlgs
231/2002 e 192/2012 ma solo se più favorevoli per i
creditori. Diversamente si applicheranno le regole generali
che prevedono nelle transazioni commerciali tra p.a. e
imprese, ma anche tra impresa e impresa (B2B), pagamenti
entro 30 giorni con pochissime eccezioni.
Le parti, infatti, non possono decidere di allungare o meno
i termini a proprio piacimento a meno che non vi siano
circostanze eccezionali che legittimino lo slittamento del
termine a 60 giorni (aziende pubbliche, sanità, particolari
procedure di appalto come il dialogo competitivo). Al di
fuori di questi casi, il periodo massimo per saldare le
fatture resta di 30 giorni. Dopo scatteranno gli interessi
di mora fissati dal 01.01.2013 all'8% più il tasso Bce
(articolo ItaliaOggi del 07.11.2013). |
APPALTI:
Il principio di
segretezza comporta che, fino a quando non si sia conclusa
la valutazione delle offerte tecniche, è interdetta al
seggio di gara la conoscenza delle percentuali di ribasso
offerte per evitare ogni possibile influenza sulla
valutazione dell’offerta tecnica, atteso che il principio
della segretezza dell’offerta economica è presidio
dell’attuazione dei principi di imparzialità e buon
andamento dell’azione amministrativa, predicati dall’art. 97
Cost., sub specie della trasparenza e della par condicio dei
concorrenti, intendendosi così garantire il corretto, libero
ed indipendente svolgimento del processo
intellettivo-volitivo che si conclude con il giudizio
sull’offerta tecnica e, in particolare, con l’attribuzione
dei punteggi ai singoli criteri con i quali quest’ultima
viene valutata.
La consolidata giurisprudenza di questo
Consiglio afferma, infatti, che il principio di segretezza
comporta che, fino a quando non si sia conclusa la
valutazione delle offerte tecniche, è interdetta al seggio
di gara la conoscenza delle percentuali di ribasso offerte
per evitare ogni possibile influenza sulla valutazione
dell’offerta tecnica, atteso che il principio della
segretezza dell’offerta economica è presidio dell’attuazione
dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione
amministrativa, predicati dall’art. 97 Cost., sub specie
della trasparenza e della par condicio dei concorrenti,
intendendosi così garantire il corretto, libero ed
indipendente svolgimento del processo intellettivo-volitivo
che si conclude con il giudizio sull’offerta tecnica e, in
particolare, con l’attribuzione dei punteggi ai singoli
criteri con i quali quest’ultima viene valutata (v., da
ultimo, in questo senso Cons. St., sez. V, 19.04.2013, n.
2214)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 06.11.2013 n. 5309 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare pubbliche. Ordinanza Tar Milano
Bando alle cauzioni pari all'importo posto in garanzia. Una
cauzione non può avere lo stesso importo del contratto che
intende garantire.
Questo è il principio –valido negli appalti pubblici di
lavori, servizi e forniture– adottato dal TAR
Lombardia-Milano, Sez. III, con l'ordinanza
06.11.2013 n. 1181.
La questione riguarda la futura autostrada Pedemontana
lombarda, che aveva posto in gara il servizio di esazione
dei pedaggi della propria viabilità (160 km di autostrade e
tangenziali). Per la progettazione, realizzazione e
manutenzione del servizio, la società autostradale
richiedeva all'aggiudicatario una specifica cauzione, a
copertura dell'eventuale mancato funzionamento dei sistemi
di pedaggio. Il problema è sorto in quanto questa sola
garanzia, volta a coprire eventuali mancati introiti della
concessionaria, ammontava a 60 milioni di euro.
Questo importo sbilanciava la gara, introducendo una
selezione sulla base di parametri diversi da quelli
strettamente tecnici di progettazione, realizzazione e
manutenzione del complesso sistema viario. Il Tar ha quindi
sospeso la gara, ritenendo violato il principio di massima
partecipazione. Un principio che impone un rapporto logico
tra valore dell'appalto ed importo della cauzione.
Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto illogico porre
a carico del progettista e gestore del servizio di esazione
anche il rischio del mancato pagamento dell'utenza. In altri
termini, attraverso una gara finalizzata a selezionare il
miglior sistema tecnico di esazione dei pedaggi e la
relativa manutenzione, è sembrato eccessivo pretendere la
copertura anche un diverso settore, cioè quello più
strettamente finanziario del rischio di mancato pagamento da
parte dell'utenza.
Nelle opere pubbliche realizzate con finanza di progetto
(articolo 153 del Dlgs. 163/2006), il piano economico
finanziario assume particolare rilievo, tant'è vero che è
previsto il coinvolgimento, fin dalla fase di progettazione,
di uno o più istituti finanziatori. Ma per la singola gara,
volta ad individuare il soggetto idoneo a progettare e
gestire un settore specifico come l'esazione dei pedaggi, il
Tar non ritiene possibile chiedere una fideiussione volta a
coprire i mancati introiti.
Questo orientamento del Tar applica il principio di massima
partecipazione, che impone una ragionevole proporzione tra
il valore dell'appalto e le garanzie richieste. I principi
di proporzionalità e di non aggravamento impediscono quindi
alle amministrazioni di chiedere oneri inutili o
eccessivamente gravosi, che diventerebbero elementi di
selezione incongrui rispetto all'oggetto del lavoro,
servizio o fornitura posti in gara.
Inoltre, inciderebbero sulla stessa partecipazione delle
imprese, perché una garanzia di importo rilevante (nel caso
specifico, 60 milioni di euro) presuppone una particolare
solidità economica
(articolo Il Sole 24 Ore
del 10.11.2013). |
APPALTI:
L’espressione “socio di maggioranza” di cui alle
lettere b) e c) dell’art. 38, comma 1, del d.lgs n. 163 del
2006, e alla lettera m-ter) del medesimo comma, si intende
riferita, oltre che al socio titolare di più del 50% del
capitale sociale, anche ai due soci titolari ciascuno del
50% del capitale o, se i soci sono tre, al socio titolare
del 50%.
Riguardo ai quesiti posti con l’ordinanza di rimessione si
afferma quindi il seguente principio di diritto: “L’espressione
“socio di maggioranza” di cui alle lettere b) e c) dell’art.
38, comma 1, del d.lgs n. 163 del 2006, e alla lettera m-ter)
del medesimo comma, si intende riferita, oltre che al socio
titolare di più del 50% del capitale sociale, anche ai due
soci titolari ciascuno del 50% del capitale o, se i soci
sono tre, al socio titolare del 50%”
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 06.11.2013 n. 24 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Composizione/modificazione del Raggruppamento
temporaneo di imprese, ex art. 97, co. 9, Codice appalti.
Con la nota che si riscontra, codesto Ministero chiede di
conoscere il parere di questo G.U. in ordine alla
applicabilità del disposto di cui al comma 9 dell’art. 37
del d.lgs. 163/2006 rispetto alle sopravvenute modificazioni
della composizione dell’ATI promotore finanziario,
successivamente all’esperimento della procedura negoziata ai
fini della aggiudicazione della concessione di cui
all’oggetto, fase questa conclusasi senza l’individuazione
di alcuna offerta concorrente con l’ATI promotore, e senza
che sia intervenuta l’aggiudicazione provvisoria “per
motivazioni non note a questa struttura di vigilanza”.
Riferisce ancora codesto Ministero che all’esito della
procedura di selezione del promotore venne dichiarata di
pubblico interesse “la proposta formulata dalla Prima ATI
Si.”, proposta delibata positivamente dal Cipe, e,
successivamente, il promotore “per poter prendere parte alla
successiva fase di procedura negoziata” ha “costituito,
nel rispetto delle disposizioni normative il Raggruppamento
Temporaneo con l’aggiunta della M. s.p.a (di seguito Seconda
ATI Si.)”.
Peraltro, nel corso della fase istruttoria posteriore
all’espletamento della procedura negoziata comportante il
diritto del promotore ad ottenere l’aggiudicazione della
concessione di che trattasi in relazione alla già
rappresentata carenza di partecipanti alla procedura stessa,
il promotore (Seconda Ati Si.) “ha rappresentato la
necessità di procedere ad un’ulteriore modifica della
compagine del Raggruppamento Temporaneo”, in relazione
alla procedura ex art. 160 e ss. della legge fallimentare
che ha colpito l’Impresa S. ausiliaria di Si. s.pa.: in
particolare, l’impresa Costruzioni G.M. s.p.a. non sarebbe
più componente dell’ATI promotrice ma acquisirebbe il ruolo
di ausiliaria di Seconda Ati Si. s.pa. in sostituzione di
Impresa S., e, con nota del 01.10.2013, codesto Ministero ha
trasmesso il relativo contratto di avvalimento.
In subordine, poi, rispetto al quesito dell’applicabilità al
contesto del disposto dell’art. 37, comma 9, del d.lgs.
163/2006, codesta Amministrazione richiede l’avviso di
questo G.U. circa “l’opportunità di procedere
all’annullamento del bando relativo all’affidamento in
oggetto, dato il notevole tempo trascorso e le conseguenti
modifiche normative intervenute”.
Ritiene al riguardo questa Avvocatura Generale di dover
rappresentare quanto segue. (... continua) (Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 4/2013,
parere 05.11.2013 n. 439812 di prot.). |
APPALTI: Trasparenza nelle gare da 40.000.
Dal 29 ottobre regole più stringenti per le comunicazioni
all'osservatorio dei contratti pubblici. È stata infatti
allineata a 40 mila euro la soglia minima per le
comunicazioni riguardanti gli appalti pubblici. In
precedenza la soglia a partire dalla quale le stazioni
appaltanti e gli enti aggiudicatori dovevano ottemperare ali
obblighi di comunicazione previsti dall'articolo 7 comma 8
del codice degli appalti (dlgs n. 163 del 2006) era di 150
mila euro.
Questo è quanto prevede il comunicato
dell'autorità di vigilanza sui contratti pubblici pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale del 29.10.2013 n. 254. Per gli
appalti successivi al 29.10.2013, data di pubblicazione
in Gazzetta Ufficiale del comunicato dell'Authority, passa
da 150 mila a 40 mila euro la soglia a partire dalla quale
le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori devono
ottemperare ali obblighi previsti dall'articolo 7, comma 8,
del codice degli appalti.
Le comunicazioni dei dati, da
inoltrare all'osservatorio dei contratti pubblici,
riguardano il contenuto dei bandi, i verbali di gara, i
soggetti invitati, l'importo di aggiudicazione, il
nominativo dell'affidatario, il nome del progettista,
l'inizio e lo stato di avanzamento dei lavori,
l'effettuazione del collaudo e l'importo finale. Per i
contratti di lavori, servizi e forniture, di importo pari o
superiore a 40 mila, dovranno essere inviati per i settori
ordinari, i dati relativi all'intero ciclo di vita
dell'appalto. Al di sotto dei 40 mila euro, invece, sarà
necessaria solo l'acquisizione della smartcig.
Il comunicato del 22.10.2013 pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 29 ottobre posticipa di circa sette mesi
l'operatività dei nuovi obblighi di comunicazione. Infatti
con il comunicato del 29 aprile scorso, infatti, era stato
stabilito che le nuove regole delle comunicazioni
riguardavano gli appalti pubblicati dal primo gennaio 2013
(articolo ItaliaOggi del 05.11.2013). |
APPALTI:
Oggetto: Provvedimenti antimafia – Operativa la procedura
per l’iscrizione nelle cosiddette white list presso
la Prefettura di Bergamo (ANCE Bergamo,
circolare 04.11.2013 n. 236). |
APPALTI:
Gare, verifica dei requisiti a carico di appaltante via
Bdncp. Le novità della legge sulla
razionalizzazione delle p.a..
La verifica dei requisiti dichiarati in una gara di appalto
dovrà essere effettuata dalle stazioni appaltanti
obbligatoriamente e in via esclusiva attraverso la Banca
dati nazionale sui contratti pubblici (Bdncp). Vietata la
verifica attraverso la richiesta di documenti ai
concorrenti.
È quanto stabilisce la legge 30.10.2013,
n. 125 di conversione in legge del decreto-legge n. 101
sulla razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni
(pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 255 del 30.10.2013).
Il provvedimento all'articolo 2, comma 13-sexies,
modifica l'articolo 6-bis, comma 1, del codice dei contratti
pubblici (dlgs 163/2006) rafforzando l'obbligo di acquisizione
dei documenti necessari alla verifica dei requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi dichiarati in
sede di gara (oggi la norma recita «acquisita presso» e la
disposizione della legge 125 la modifica in «acquisita
esclusivamente attraverso la Banca dati nazionale sui
contratti pubblici»).
In sostanza si ribadisce l'operatività
di quanto stabilito dall'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici con l'obbligo di iscrizione al sistema
dell'AVCPass, lo strumento operativo a disposizione di
stazioni appaltanti e operatori privati per la verifica dei
requisiti. La norma del codice in realtà prevedeva l'obbligo
di verifica dal primo gennaio 2013, ma l'organismo di
vigilanza ha modulato l'obbligo in funzione del valore dei
contratti e comunque lo rende applicabile da inizio 2014 a
tutti i contratti oltre i 40 mila euro. Dal 1° gennaio
prossimo sarà vietata la verifica dei requisiti tramite
richiesta dei documenti ai concorrenti. Dovranno essere le
stazioni appaltanti a passare attraverso l'Autorità per
accertare la regolarità di quanto dichiarato, con una
notevole semplificazione per gli operatori privati.
La legge
125 ribadisce questo percorso vincolato e abroga, per
maggiore chiarezza, l'articolo 49-ter del decreto-legge del
fare (69/2013 convertito nella legge n. 90/2013) che, come
già segnalato (si veda Italia Oggi del 31.07.2013), non
risultava coerente con il sistema delineato dal Codice dei
contratti. La norma abrogata, infatti, prevedeva l'obbligo
di acquisizione della documentazione a comprova dei
requisiti tramite la Bdncp per i contratti di appalto «sottoscritti»
dalle amministrazioni a partire dai tre mesi successivi alla
data di conversione del decreto. La norma non era affatto
chiara visto che la verifica dei requisiti si effettua ben
prima della sottoscrizione del contratto (anche per
sorteggio, durante la gara).
Inoltre così facendo si sarebbe anticipata la scadenza
dell'obbligo a metà novembre, rispetto al termine del primo
gennaio 2014 fissato inderogabilmente dall'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici. Da ciò la necessità di
eliminare la norma (articolo ItaliaOggi
dell'01.11.2013). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: A.
Meale,
Accordo procedimentale e atto
negoziale paritetico: un problema di giurisdizione
(tratto da www.ipsoa.it - Urbanistica e appalti n.
11/2013). |
ottobre 2013 |
|
APPALTI:
F. Manganaro,
Esclusione dalle gare di
appalto per violazioni tributarie definitivamente accertate
(Urbanistica e appalti n. 10/2013 - tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI:
E. Occhipinti,
L’arbitrato amministrato nelle opere pubbliche (Il
Tecnico Legale n. 10/2013). |
APPALTI SERVIZI:
Opere e servizi pubblici o di pubblico interesse - Contratti
di partenariato pubblico privato - Spesa di indebitamento e
spesa di investimento - Criteri Eurostat - Rischi
concretamente assunti dalle parti - Sussistenza e
contabilizzazione.
Nel contratto di partenariato pubblico privato almeno due
dei tre rischi indicati dall’Eurostat devono essere
“effettivamente” assunti dal privato.
Con la decisione in rassegna un sindaco pugliese ha chiesto
alla Corte dei conti un parere avente a oggetto la
possibilità di affidare, previa una regolare gara, l’intero
servizio d’illuminazione pubblica e la relativa manutenzione
della rete a un soggetto privato a fronte del pagamento di
un canone annuale che il comune dovrebbe versare per dieci
anni all’aggiudicatario e come debba essere contabilizzata
tale operazione.
In base a quanto prospettato dall’amministrazione locale,
risulterebbero a carico del vincitore della gara i costi
immediati di ammodernamento degli impianti e tutte le spese
per la manutenzione e l’erogazione del servizio di energia
elettrica.
Il progetto esposto dall’ente locale potrebbe configurare a
parere della Corte un’ipotesi di partenariato pubblico
privato (“publicprivate partnership” od anche “Ppp”)
riconducibile all’art. 3, comma 15-ter, del Dlgs n.
163/2006. In base a tale norma, alle operazioni di
partenariato pubblico privato si applicano i contenuti delle
decisioni Eurostat.
L’art. 14, comma 1, lett. c), del Dpr n. 207/2010
(Regolamento di esecuzione e attuazione del codice dei
contratti pubblici) in ordine al ricorso ai Ppp prevede un
apposito studio di fattibilità composto da una relazione
illustrativa del progetto.
Il legislatore è intervenuto più volte nel corso degli
ultimi anni sulle fattispecie contrattuali ascrivibili ai
Ppp, sia per la possibilità di integrare le competenze del
settore pubblico con quello privato, sia in considerazione
delle ridotte risorse finanziarie a disposizione delle
stazioni appaltanti.
Ai fini della riconduzione di una determinata operazione
nell’alveo dei Ppp risulta necessario strutturare il
contratto in modo tale che i rischi vengano allocati alla
parte che sia meglio in grado di controllarli (cfr. Autorità
di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, determinazione n. 4, del 22.05.2013).
Ai fini di tale esame occorre fare riferimento ai criteri
contenuti nelle decisioni Eurostat e in particolare alla
decisione “Treatment of publicprivate partnership”
dell’11.02.2004, con la quale sono state fornite indicazioni
specifiche per il trattamento nei conti economici nazionali
per i Ppp.
Secondo la decisione dell’Eurostat tali
tipologie di partenariato devono essere caratterizzate da un
rapporto contrattuale di lungo periodo tra pubblico e
privato, avente a oggetto la costruzione di una nuova
infrastruttura o la ristrutturazione di una già esistente.
L’opera deve riguardare i settori in cui la pubblica
amministrazione possiede un forte interesse pubblico, ovvero
deve essere l’acquirente principale dei servizi. I beni
oggetto di tali operazioni non devono essere registrati nei
conti delle pubbliche amministrazioni ai fini del calcolo
dell’indebitamento netto e del debito soltanto se vi è un
sostanziale trasferimento di rischio dalla parte pubblica a
quella privata, ovvero circostanza che si ha nel caso in cui
il soggetto privato assuma il rischio di costruzione e
almeno uno dei due rischi di disponibilità o di domanda.
Il rischio di disponibilità attiene alla fase
operativa ed è connesso a una scadente o insufficiente
gestione dell’opera pubblica a seguito della quale la
qualità e/o quantità del servizio reso risultano inferiori
ai livelli previsti nell’accordo contrattuale. Pertanto,
affinché il rischio sia effettivamente trasferito sul
privato è necessario che i pagamenti pubblici siano
correlati all’effettivo ottenimento del servizio reso e la
possibilità per il soggetto pubblico di ridurre i propri
pagamenti nel caso in cui i parametri stabiliti ex ante
non siano effettivamente raggiunti. La previsione di
pagamenti costanti indipendentemente dal volume e dalla
qualità dei servizi erogati implica, viceversa,
un’assunzione di rischio di disponibilità da parte del
soggetto pubblico.
Il rischio di domanda invece deve essere considerato
come quello connesso alla variabilità della stessa, non
dipendente dalla qualità del servizio prestato. Il rischio
si considera assunto dal privato qualora i pagamenti
pubblici siano correlati all’effettiva quantità domandata
dall’utenza per un dato servizio, mentre è assunto dal
soggetto pubblico nel caso di pagamenti garantiti anche per
prestazioni non erogate. Tale è peraltro il rischio tipico
delle “opere calde”, ovvero le opere o i servizi
pubblici capaci di produrre flussi di cassa derivanti dal
pagamento da parte di altri utenti di un canone o di una
tariffa legati alla gestione economica della stessa opera.
La nuova versione del SEC ’95, pubblicata dall’Eurostat
nell’ottobre del 2012, individua le differenti forme di
finanziamento pubblico. Fra le stesse, qualora il costo del
capitale è prevalentemente coperto dalla pubblica
amministrazione (in misura superiore al 50 per cento) la
maggioranza dei rischi è assunto dalla pubblica
amministrazione e l’asset deve essere contabilizzato “on
balance”.
Anche le garanzie, ove assicurino l’integrale copertura del
debito o un rendimento certo del capitale investito dal
privato e unitamente al contributo pubblico superino il 50
per cento del costo dell’opera, determinano la
contabilizzazione dell’asset “on balance”, così come
anche qualora si concordi un prezzo che l’amministrazione
dovrà pagare alla scadenza del contratto superiore al valore
di mercato, o inferiore perché la stessa ha già pagato ex
ante per l’acquisizione.
Il trattamento contabile delle forme pure di Ppp consente
quindi di non considerarle (almeno astrattamente) quali
forme di indebitamento, anche se l’ampio margine lasciato
all’autonomia negoziale può rendere difficoltoso profilare
una ripartizione di rischi coerente con lo schema delineato
nella decisione Eurostat e, pertanto, il corretto
inquadramento di ciascuna di tali operazioni deve scaturire
da una valutazione delle singole fattispecie (cfr. Corte dei
conti, sez. riunite, deliberazione n. 6/2013 del 23 maggio,
con cui è stato approvato il Rapporto 2013 sul coordinamento
della finanza pubblica).
Tra le diverse forme di Ppp deve essere ricompreso anche
l’appalto di servizi con finanziamento tramite terzi (Ftt)
definito dall’art. 2, comma 1, lett. m), del Dlgs n.
115/2008, recante l’attuazione della direttiva 2006/32/Ce
relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i
servizi energetici. La nozione di indebitamento può essere
ricavata dalla legislazione vigente all’art. 3, comma 17,
della legge n. 350/2003. La nozione di investimento è invece
data dal successivo diciottesimo comma.
La Corte costituzionale ha precisato altresì che la nozione
di spesa di investimento non può essere determinata a
priori, e in modo assolutamente univoco, sulla base della
sola disposizione costituzionale ma essa va desunta dai
principi della scienza economica e dalle regole di
contabilità.
Le definizioni di spesa di investimento e di indebitamento
offerte dal legislatore derivano da scelte di politica
economica e finanziaria effettuate in stretta correlazione
con i vincoli di carattere sovrannazionale, cui anche
l’Italia è assoggettata in forza dei Trattati europei e dei
criteri politico-economici e tecnici adottati dall’Unione
europea.
Poiché la normativa in materia di Ppp non prevede uno schema
rigido e ben definito, secondo anche l’orientamento già
espresso dalla stessa sezione della Corte dei conti con la
delibera n. 66 del 31 maggio 2012, il corretto
inquadramento dell’operazione di Ppp, anche ai fini
contabili di ciascuna operazione, non può che scaturire da
un’attenta valutazione, caso per caso, delle singole
fattispecie.
Gli enti pertanto nella redazione del capitolato
prestazionale del bando di gara e delle conseguenti clausole
contrattuali dovranno ben valutare le categorie di rischio
onde fissare in maniera certa, trasparente e conforme ai
criteri elaborati in sede europea la distribuzione dei
rischi e dei rendimenti sottostanti il contratto di
partenariato pubblico privato.
Secondo la decisione Eurostat, affinché l’operazione possa
essere considerata “off balance” rispetto ai tre
rischi di costruzione, di domanda e di disponibilità, almeno
due (normalmente quelli di costruzione e di domanda negli
interventi relativi alla realizzazione di opere pubbliche)
devono pienamente sussistere a carico del privato in senso
sostanziale e non solo formale.
Diversamente, l’operazione non ha realmente la natura di
partenariato con utilizzo di risorse private ma, di fatto,
rientra nella piena disponibilità e rischio dell’ente
pubblico.
In assenza di tali condizioni quindi, l’operazione
contrattuale non può essere considerata un Ppp e, dovendo
essere inserita nel calcolo del disavanzo e del debito
nazionale, analogamente deve essere qualificata come
operazione di indebitamento dell’ente territoriale.
Ove non sussistano i requisiti sopra indicati, l’assunzione
dell’obbligo del pagamento di un canone rientra quindi, a
pieno titolo, nella nozione di indebitamento (cfr., sez.
riunite, delib. n. 49/CONTR/2011 del 16.09.2011).
Qualora pertanto lo schema contrattuale possegga solo il
nomen o gli aspetti meramente formali di un Ppp ma
integri di fatto una vera e propria forma di finanziamento,
il canone versato dall’ente locale dovrà essere allocato al
titolo III, tra le spese per rimborso prestiti, per la quota
afferente le opere di manutenzione straordinaria, mentre
dovranno essere allocate al titolo I, tra la spesa corrente,
le restanti quote del canone inerenti alla spesa per i
consumi di energia elettrica e per manutenzione ordinaria.
L’ente dovrà altresì tenere conto del fatto che i contratti
di servizi o gli altri aspetti posti in essere dalle regioni
e dagli altri enti locali che si configurano elusivi del
Patto di stabilità interno sono nulli (Corte dei Conti, Sez.
controllo Puglia,
parere 31.10.2013 n. 161 - commento tratto da
Diritto e Pratica Amministrativa n. 1/2014). |
APPALTI:
Chiarimenti sulle modifiche all’art. 6-bis del d.lgs. n.
163/2006, introdotte dalla legge di conversione del D.L. n.
101/2013 (comunicato
del Presidente 30.10.2013 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
L'Antitrust alle appaltanti: segnalate le violazioni.
L'Antitrust lancia un vademecum sui fenomeni
anticoncorrenziali negli appalti e chiede alle stazioni
appaltanti di segnalarli; una volta accertata la violazione
delle regole antitrust la stazione appaltante potrà ottenere
il risarcimento dei danni arrecati dal concorrente; offerte
di comodo, boicottaggi delle gare, associazioni temporanee
«sovrabbondanti» fra i fenomeni di maggiore indice
anticoncorrenziale.
È quanto si desume nel vademecum
dell'Antitrust (deliberazione 18.09.2013) che
segnala alle stazioni appaltanti alcune criticità.
L'Antitrust, lambendo le competenze dell'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, esemplifica -a uso delle
amministrazioni- alcuni indici rivelatori di fenomeni
discorsivi della concorrenza: pochi concorrenti o
concorrenti caratterizzati da analoga efficienza e
dimensione; prodotti omogenei; perdurante partecipazione
alle gare delle stesse imprese; appalto ripartito in più
lotti dal valore economico simile.
Nello specifico, si
sottolinea come il boicottaggio della gara venga individuato
come sistema per prolungare il contratto con il fornitore
abituale o per far ripartire pro quota il lavoro o la
fornitura tra tutte le imprese interessate al contratto e si
sostanzia in:
1) nessuna offerta presentata;
2)
presentazione di un'unica offerta o di un numero di offerte
comunque insufficiente per procedere all'assegnazione
dell'appalto (quando la stazione appaltante stabilisce un
numero minimo per la regolarità della gara);
3)
presentazione di offerte tutte caratterizzate dal medesimo
importo (soprattutto quando le procedure di gara fissate
dalla stazione appaltante prevedono in queste circostanze
l'annullamento della gara o la ripartizione dell'appalto pro
quota).
Vi è poi il fenomeno delle offerte di comodo (o «di
cortesia» o «fasulle»), vera e propria fattispecie di
turbativa d'asta. Anche i subappalti e le Associazioni
temporanee di imprese (Ati) sono visti dall'Antitrust come
strumenti che, in un uso distorto, favoriscono la
spartizione del mercato, o addirittura della singola
commessa. Un indizio di tali fenomeni viene individuato nel
fatto che una impresa si astiene dal partecipare ad una gara
in vista di un successivo subappalto, o opta per la
costituzione di un'Ati (con requisiti spesso sovrabbondanti)
invece di partecipare singolarmente.
Anche nella fase di
aggiudicazione l'Antitrust rileva che l'Ati tra i maggiori
operatori può essere anche il frutto di una strategia
escludente, tesa a impedire a imprese minori di raggiungere
il necessario punteggio qualitativo. Anche dal punto di
vista della rotazione delle offerte e della ripartizione del
mercato si possono individuare cartelli anticoncorrenziali
dal punto di vista non solo del numero di aggiudicazioni ma
anche della somma dei relativi importi affidati ad uno
stesso soggetto.
Nella delibera si chiede quindi alle stazioni appaltanti di
segnalare i fenomeni anomali come esemplificati nel
vademecum; laddove poi si dovesse pervenire all'accertamento
di un'infrazione, la stazione appaltante potrà procedere
alla richiesta degli eventuali danni (conseguenti la pratica
anticoncorrenziale) laddove l'appalto fosse già stato
assegnato (articolo ItaliaOggi del
29.10.2013). |
APPALTI: La banca dati sugli appalti debutterà solo a gennaio.
GLI STRUMENTI/
Certificato antimafia, Durc e casellario giudiziale saranno
i documenti che l'Autorità dovrà acquisire
Ora che la banca dati delle opere incompiute ha preso il
via, il prossimo appuntamento per imprese e amministrazioni
del settore degli appalti pubblici è il primo gennaio. Data
in cui, se non ci saranno sorprese dell'ultima ora,
diventerà operativa la Banca dati nazionale dei contratti
pubblici, gestita dall'omonima Autorità.
Pensata per snellire il carico di documenti che imprese e
professionisti devono presentare a ogni gara, la Banca dati
sarà obbligatoria non solo per gli appalti di lavori
pubblici, ma anche per quelli di servizi e di forniture, a
partire da una soglia unica di 40mila euro.
Questo strumento, ribattezzato «Avcpass», eliminerà l'onere
di presentare negli appalti all'amministrazione i
certificati che comprovano i requisiti: dal casellario
giudiziale al Durc, dalla regolarità dei versamenti alle
Casse professionali al certificato antimafia.
Tutto sarà gestito attraverso un dialogo diretto tra
Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ed enti
competenti per il singolo certificato.
In questo modo la Banca dati dei contratti -prevista dal
primo decreto legge sulla spending review (il Dl 5/2012)-
dovrebbe garantire, a regime, un risparmio per le imprese di
circa 140 milioni di euro l'anno, tra dematerializzazione e
minori oneri burocratici.
Ma la macchina da mettere in moto è molto complessa. Basti
pensare che ogni anno, secondo i dati forniti dalla stessa
Autorità, vanno in gara oltre 125mila contratti, tra opere
pubbliche, servizi e forniture di beni, per un valore che
nel 2012 ha superato i 95 miliardi di euro. E infatti la
prima partenza avrebbe dovuto, per legge, essere a gennaio
di quest'anno ma è stata fatta slittare per dare modo a
imprese e Pa di abituarsi. Quindi, anche se il Dl sulla
spending review fissa ancora il termine del primo gennaio
2013, in realtà l'Avcpass diventerà l'unica via di comprova
dei requisiti di gara (sempre salvo proroghe) soltanto dal
prossimo primo gennaio, non più a scaglioni ma in modo unico
per tutte le gare sopra i 40mila euro.
Come funzionerà? Per le imprese e i professionisti cambia
poco: continueranno a partecipare alle gare dimostrando i
requisiti morali, tecnici ed economici con
autocertificazioni. Al momento delle verifiche -obbligatorie sui vincitori e su un campione di concorrenti-
sarà la stazione appaltante a collegarsi all'Avcpass per
richiedere il documento di comprova. Al momento saranno
acquisiti in via telematica il Durc e il certificato del
casellario giudiziale. Mentre, in assenza della Banca dati
antimafia del Viminale, sarà l'Authority a farsi carico di
richiedere -in via cartacea- le verifiche sull'antimafia.
La vera scommessa quindi sarà nella tenuta e nei tempi di
risposta di tutto il sistema, che fa dell'Authority l'unico
punto di snodo. «Noi siamo pronti - dichiara il consigliere
dell'Autorità che segue la banca dati, Luciano Berarducci -
ora bisogna vedere quanto anche il mercato vorrà aderire» (articolo Il Sole 24 Ore del 28.10.2013). |
APPALTI:
Indicazioni operative per la comunicazione del soggetto
Responsabile dell’Anagrafe per la Stazione Appaltante (RASA)
incaricato della compilazione ed aggiornamento dell’Anagrafe
Unica delle Stazioni Appaltanti (AUSA) (comunicato
del Presidente 28.10.2013
- link a www.autoritalavoripubblici.it).
---------------
Il Comunicato del Presidente del 28.10.2013 fornisce
indicazioni operative per la comunicazione del soggetto
Responsabile dell’Anagrafe per la Stazione Appaltante (RASA)
incaricato della compilazione ed aggiornamento dell’Anagrafe
Unica delle Stazioni Appaltanti (AUSA). Il comunicato fa
anche riferimento al Manuale utente che descrive le modalità
operative con le quali il Responsabile deve richiedere
l’associazione delle proprie credenziali al profilo di RASA. |
APPALTI: Gli appalti dicono addio alla banca dati unica.
Abolita la norma di semplificazione della gestione dei
contratti pubblici che consente di utilizzare una banca dati
informatizzata unica, ai fini del controllo del possesso, da
parte degli appaltatori, dei requisiti di carattere
generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario.
Il colpo a un importante strumento di velocizzazione della
gestione degli appalti pubblici è inferto dalla legge di
conversione del decreto di riordino della pubblica
amministrazione, il dl 101/2013 (noto come decreto sulle
stabilizzazioni), frutto degli emendamenti in commissione
alla camera.
Si tratta di un colpo duro inferto al «decreto del fare»,
propagandato come legge di semplificazione dell'azione
amministrativa. Dietro il «fare» rimane sempre in agguato un
«disfare», che lascia davvero perplessi.
La norma che la legge di conversione del dl 101 intende
abolire è rubricata espressamente come «semplificazioni per
i contratti pubblici». Ed è davvero curioso che una
maggioranza intenta a mostrarsi come innovatrice e tesa
verso la «sburocratizzazione» cancelli proprio una delle
norme di semplificazione realmente efficaci e non di
facciata del dl 69/2013.
L'istituzione della banca dati on-line per le verifiche sui
requisiti è stata prevista ormai da molto tempo,
precisamente dal dl 5/2012, convertito in legge 35/2012 e
avrebbe dovuto vedere la luce già lo scorso 31.01.2013.
Si tratta di una banca dati di estrema utilità, soprattutto
per gli appalti di servizi e forniture, che mancano del
sistema di certificazione Soa e, dunque, spesso scontano
difficoltà nella verifica del possesso dei requisiti.
Inoltre, la banca dati potrebbe risolvere definitivamente il
problema dell'acquisizione del Durc: infatti, il rispetto
degli oneri previdenziali è parte integrante dei requisiti
di ordine generale e la banca dati potrebbe consentire una
facile ricognizione.
È evidente, comunque, che una banca dati integrata favorisce
la semplificazione. Il «decreto del fare» l'aveva ripescata,
spostando la sua messa a regime al 21.11.2013. Ma col
decreto di «riordino» della pubblica amministrazione la
norma di rispolvero della banca dati viene destinata
nuovamente a un incerto oblio
(articolo ItaliaOggi del 26.10.2013). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Forniture, niente automatismi per l'ok ai debiti fuori
bilancio. Tar Marche. Il
riconoscimento da parte della Pa è discrezionale.
Non c'è l'obbligo incondizionato per gli enti locali di
riconoscere, con la procedura fissata dall'articolo 194,
comma 1 del Tuel, i debiti fuori bilancio per acquisizione
di beni e servizi avvenuta in violazione delle norme
giuscontabili.
Per il TAR Marche (sentenza
25.10.2013
n. 749), a differenza di
quanto previsto dalla lettera a) dello stesso articolo 194,
che configura come atto dovuto il riconoscimento di debiti
fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive, la lettera
e) consente la valutazione discrezionale dell'opportunità e
della coerenza con l'interesse pubblico del riconoscimento
del debiti di fornitura.
Nel caso, una società ha chiesto la declaratoria
d'illegittimità dell'inerzia della Pa sull'istanza di
riconoscimento di un debito relativo a lavori urgenti di
sistemazione idrica.
Sul punto il Tar è stato chiaro: il potere di riconoscimento
del debito fuori bilancio da acquisizione di beni e servizi
in violazione delle regole d'impegno della spesa (articolo
191 del Tuel) non può ritenersi vincolato.
Nella delibera di riconoscimento l'ente deve chiarire:
- le ragioni della conformità dell'accollo del debito
all'interesse pubblico;
- la riconducibilità dell'acquisizione dei beni e servizi
all'espletamento delle funzioni e dei servizi di competenza;
- l'utilità e l'arricchimento derivanti dal riconoscimento.
Per la parte non riconoscibile, infatti, l'articolo 191,
comma 4, del Tuel prevede che l'obbligazione sussista tra il
privato e l'amministratore o funzionario che hanno
consentito la fornitura. In questo caso, dunque, il
creditore non ha la garanzia patrimoniale della Pubblica
amministrazione, ma solo del soggetto che ha indebitamente
ordinato la spesa.
In tempi di risorse scarse e di cronici ritardi di pagamento
della Pa, la posizione del Tar riveste grande interesse sia
per l'amministrazione sia per i fornitori.
La decisione, infatti, da un lato richiama gli enti locali a
motivare compiutamente circa l'utilità e l'arricchimento
conseguenti al riconoscimento del debito fuori bilancio,
dall'altro invece rappresenta per i privati un monito al
rispetto delle regole che disciplinano i rapporti finanziari
con gli enti. In base all'articolo 194, comma 1, del Tuel,
gli enti possono infatti eseguire spese solo a fronte
dell'impegno sul capitolo e dell'attestazione di copertura
finanziaria ex articolo 153, comma 5, dello stesso Tuel.
Questi vanno comunicati al fornitore contestualmente
all'ordinazione della prestazione e la successiva fattura
deve essere completata con gli estremi della comunicazione.
In caso contrario, sino alla comunicazione, il privato ha
facoltà di non eseguire la prestazione
(articolo Il Sole 24 Ore del
18.11.2013). |
APPALTI:
Con riferimento al
procedimento di verifica dell'anomalia delle offerte, il
giudice amministrativo può sindacare le valutazioni compiute
dalla stazione appaltante solo sotto lo stretto profilo
della logicità e della congruità dell'istruttoria, senza
poter operare autonomamente alcuna verifica della congruità
dell'offerta presentata e delle singole voci atteso che,
così facendo, invaderebbe una sfera propria della Pubblica
amministrazione, connotata dall'esercizio di discrezionalità
tecnica.
---------------
In casi come quello in esame, ci si trova di fronte a due
diverse prospettazioni della “realtà” dell’offerta, ove la
Stazione Appaltante dipinge un quadro che presenta
un’offerta lacunosa e inattendibile e dove, al contrario, la
concorrente, attraverso le controdeduzioni e il presente
ricorso dipinge un’offerta perfettamente congrua e
attendibile, che sarebbe semplicemente oggetto di una sorta
di “caccia all’errore” da parte della Stazione appaltante.
In casi come questi, va ricordato qual è il compito del
giudice amministrativo. Infatti, va verificato se sono
presenti profili sintomatici di eccesso di potere per
illogicità o travisamento delle risultanze istruttorie del
procedimento, o se si rimanga sulla soglia di una
contrapposta versione dell'interessata, opinabile al pari
del giudizio tecnico-discrezionale formulato dalla
Commissione, tale dunque da non consentire il sindacato del
giudice amministrativo, secondo il costante insegnamento
espresso al riguardo.
---------------
In materia di giudizio dell'anomalia dell'offerta si ritiene
necessaria una motivazione approfondita quando la stazione
appaltante considera l’offerta nel complesso inaffidabile.
L’onere motivazionale nel provvedimento negativo è stato
tuttavia inteso con una certa flessibilità permettendo
all’amministrazione di effettuare una valutazione di tutti
gli elementi dell’offerta ritenendola nel complesso
inaffidabile oppure di soffermarsi anche solo su singole, ma
essenziali, componenti dell’offerta; se tali elementi
essenziali non risultano congrui, in ossequio ad una
concezione ‘sostanziale’ dell’agire amministrativo, non si
reputa necessario esaminare le giustificazioni riguardanti
le altre componenti, meno rilevanti, dell’offerta stessa, in
quanto è da presumere che quelle voci incidano sulla serietà
ed affidabilità dell'intera offerta, di modo che, accertata
l'incongruità degli elementi giustificativi presentati e di
conseguenza delle sottostanti voci di prezzo, non occorre
che quel giudizio di incongruità sia anche suffragato da un
ulteriore, separato, giudizio di incongruità della globalità
dell'offerta.
Ancora, sul tema, non si può non richiamare l’intervento del
Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, che richiama il
consolidato indirizzo che circoscrive il sindacato
giurisdizionale sulle valutazioni compiute in sede di
verifica di anomalia delle offerte ai soli casi di manifesta
e macroscopica erroneità o irragionevolezza, in
considerazione della discrezionalità che connota dette
valutazioni, come tali riservate alla stazione appaltante
cui compete il più ampio margine di apprezzamento, nonché,
l'altrettanto pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo
cui la valutazione di congruità deve essere globale e
sintetica, e non concentrarsi esclusivamente e in modo
"parcellizzato" sulle singole voci di prezzo, dal momento
che l'obiettivo dell'indagine è accertare l'affidabilità
dell'offerta nel suo complesso, e non delle sue singole
componenti.
---------------
L’obbligo dell'Amministrazione di assicurare il
contraddittorio nel sub-procedimento di verifica
dell'anomalia non implica la confutazione puntuale di tutte
le osservazioni svolte dagli interessati, essendo
sufficiente che il provvedimento amministrativo sia
corredato da una motivazione che renda nella sostanza
comunque percepibile la ragione del mancato accoglimento
delle deduzioni difensive del privato.
---------------
Le ulteriori censure di disparità di trattamento dedotte da
parte ricorrente con riguardo a materiali, mancata
considerazione della pulizia delle strade, e altri profili
minori si possono ricondurre ad una sorta di “richiesta alla
Stazione Appaltante di verificare un’offerta non anomala ai
sensi dell’art. 86 d.lgs 163/2006. Come è noto, il sospetto
di anomalia concerne le «offerte in relazione alle quali sia
i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi
agli altri elementi di valutazione, sono entrambi pari o
superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi
previsti dal bando di gara” (art. 86, c. 2, d.lgs 163/2006).
Tale criterio impone la verifica delle offerte che
presentano una notevole qualità tecnica a fronte di un
prezzo particolarmente vantaggioso.
E’ del tutto evidente che il potere residuale per cui per
cui la Stazione Appaltante può sempre sottoporre a verifica
le offerte che risultino sospette in base ad “elementi
specifici” è altamente discrezionale e sottoposto a precisi
limiti, essendo sufficiente che non sia manifestamente
irragionevole la determinazione dell’Amministrazione di non
sottoporre a verifica “facoltativa” di anomalia, l’offerta
risultata vincitrice della gara.
E’ la scelta di effettuare la verifica facoltativa di
anomalia che esige una espressa ed adeguata motivazione ( in
ordine alle ragioni ed agli elementi di fatto sulla base dei
quali essa si sia risolta nel senso di attendere alla
verifica di anomalia ai sensi del comma 3 dell’art. 86),
mentre una motivazione non è (normalmente) necessaria quando
l’amministrazione ritiene di non dover far uso di tale
facoltà, il cui mancato esercizio non è pertanto
censurabile.
Innanzitutto va detto che, come è noto,
con riferimento al procedimento di verifica dell'anomalia
delle offerte, il giudice amministrativo può sindacare le
valutazioni compiute dalla stazione appaltante solo sotto lo
stretto profilo della logicità e della congruità
dell'istruttoria, senza poter operare autonomamente alcuna
verifica della congruità dell'offerta presentata e delle
singole voci atteso che, così facendo, invaderebbe una sfera
propria della Pubblica amministrazione, connotata
dall'esercizio di discrezionalità tecnica (CdS sez. V
18.02.2013 n. 974).
---------------
Essenzialmente,
in casi come quello in esame, ci si trova di fronte a due
diverse prospettazioni della “realtà” dell’offerta, ove la
Stazione Appaltante dipinge un quadro che presenta
un’offerta lacunosa e inattendibile e dove, al contrario, la
concorrente, attraverso le controdeduzioni e il presente
ricorso dipinge un’offerta perfettamente congrua e
attendibile, che sarebbe semplicemente oggetto di una sorta
di “caccia all’errore” da parte della Stazione appaltante.
In casi come questi, va ricordato qual è il compito del
giudice amministrativo. Infatti, va verificato se sono
presenti profili sintomatici di eccesso di potere per
illogicità o travisamento delle risultanze istruttorie del
procedimento, o se si rimanga sulla soglia di una
contrapposta versione dell'interessata, opinabile al pari
del giudizio tecnico-discrezionale formulato dalla
Commissione, tale dunque da non consentire il sindacato del
giudice amministrativo, secondo il costante insegnamento
espresso al riguardo (CdS sez. III 14.02.2012, n. 710, CdS
sez. V 02.2012 n. 3850).
---------------
Alla luce dei
principi sopra ricordati, ritiene il Collegio che, a fronte
de citati rilievi effettuati dalla Stazione Appaltante, i
quali sono contestati ma non smentiti dalla ricorrente, il
giudizio di anomalia sia immune dai vizi dedotti.
Come è
noto, in materia si ritiene necessaria una motivazione
approfondita (CdS V, 23.10.2006, n. 4949) quando la stazione
appaltante considera l’offerta nel complesso inaffidabile.
L’onere motivazionale nel provvedimento negativo è stato
tuttavia inteso con una certa flessibilità permettendo
all’amministrazione di effettuare una valutazione di tutti
gli elementi dell’offerta ritenendola nel complesso
inaffidabile oppure di soffermarsi anche solo su singole, ma
essenziali, componenti dell’offerta; se tali elementi
essenziali non risultano congrui, in ossequio ad una
concezione ‘sostanziale’ dell’agire amministrativo, non si
reputa necessario esaminare le giustificazioni riguardanti
le altre componenti, meno rilevanti, dell’offerta stessa, in
quanto è da presumere che quelle voci incidano sulla serietà
ed affidabilità dell'intera offerta, di modo che, accertata
l'incongruità degli elementi giustificativi presentati e di
conseguenza delle sottostanti voci di prezzo, non occorre
che quel giudizio di incongruità sia anche suffragato da un
ulteriore, separato, giudizio di incongruità della globalità
dell'offerta (CdS. Sez. III, V, 18.09.2008, n. 4493, CdS Sez.
III 16.03.2012 n.1467).
Ancora, sul tema, non si può non richiamare l’intervento
del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria (sentenza
29.12.2012, n. 39), che richiama il consolidato indirizzo
che circoscrive il sindacato giurisdizionale sulle
valutazioni compiute in sede di verifica di anomalia delle
offerte ai soli casi di manifesta e macroscopica erroneità o
irragionevolezza, in considerazione della discrezionalità
che connota dette valutazioni, come tali riservate alla
stazione appaltante cui compete il più ampio margine di
apprezzamento, nonché, l'altrettanto pacifico indirizzo
giurisprudenziale secondo cui la valutazione di congruità
deve essere globale e sintetica, e non concentrarsi
esclusivamente e in modo "parcellizzato" sulle singole voci
di prezzo, dal momento che l'obiettivo dell'indagine è
accertare l'affidabilità dell'offerta nel suo complesso, e
non delle sue singole componenti (sul punto Tar Cagliari 08.05.2013 n. 355).
---------------
Con riguardo
all’affermato difetto di contradditorio (secondo motivo di
ricorso) è noto che l’obbligo dell'Amministrazione di
assicurare il contraddittorio nel sub-procedimento di
verifica dell'anomalia non implica la confutazione puntuale
di tutte le osservazioni svolte dagli interessati, essendo
sufficiente che il provvedimento amministrativo sia
corredato da una motivazione che renda nella sostanza
comunque percepibile la ragione del mancato accoglimento
delle deduzioni difensive del privato (Cds sez. V 02.07.2012
n. 3850).
---------------
Ancora, in
tutta evidenza, le ulteriori censure di disparità di
trattamento dedotte da parte ricorrente con riguardo a
materiali, mancata considerazione della pulizia delle
strade, e altri profili minori si possono ricondurre ad una
sorta di “richiesta alla Stazione Appaltante di verificare
un’offerta non anomala ai sensi dell’art. 86 d.lgs 163/2006.
Come è noto, il sospetto di anomalia concerne le «offerte in
relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo, sia la
somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione,
sono entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei
corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara”
(art. 86, c. 2, d.lgs 163/2006). Tale criterio impone la
verifica delle offerte che presentano una notevole qualità
tecnica a fronte di un prezzo particolarmente vantaggioso (CdS
sez. VI 26.11.2009, n. 7441).
E’ del tutto evidente che il
potere residuale per cui per cui la Stazione Appaltante può
sempre sottoporre a verifica le offerte che risultino
sospette in base ad “elementi specifici” è altamente
discrezionale e sottoposto a precisi limiti, essendo
sufficiente che non sia manifestamente irragionevole la
determinazione dell’Amministrazione di non sottoporre a
verifica “facoltativa” di anomalia, l’offerta risultata
vincitrice della gara (tra la tante decisioni Cds sez. IV,
27.06.2011, n. 3862).
E’ la scelta di effettuare la verifica
facoltativa di anomalia che esige una espressa ed adeguata
motivazione ( in ordine alle ragioni ed agli elementi di
fatto sulla base dei quali essa si sia risolta nel senso di
attendere alla verifica di anomalia ai sensi del comma 3
dell’art. 86), mentre una motivazione non è (normalmente)
necessaria quando l’amministrazione ritiene di non dover far
uso di tale facoltà (CdS sez. VI, 27.07.2011, n. 4489), il
cui mancato esercizio non è pertanto censurabile (Cds Sez.
III 10.05.2013 n. 2533).
Nel caso in esame, di fronte a due
offerte caratterizzate da notevoli differenze nella
formulazione tecnica ed economica, in tutta evidenza non
sono configurabili i vizi dedotti da parte ricorrente, in
considerazione della differenza di mezzi e risorse previsti
nelle offerte, che hanno visto, per la controinteressata
un’offerta economica ben al di sotto della soglia di
anomalia.
Ciò in quanto la disparità di trattamento e
l’eccesso di potere denunciato dalla ricorrente riguarda, in
buona parte, vizi emersi durante la verifica di anomalia,
non prevista per l’offerta della controinteressata (TAR Marche,
sentenza
25.10.2013 n. 727 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: LEGGE DI STABILITA'/
Imprese e p.a., appalti verdi.
Criteri ambientali minimi. Cauzioni scontate del 20%.
In preconsiglio il collegato che si
occupa anche di rifiuti.
Forniture verdi alla p.a., recupero semplificato dei
rifiuti, sconti Tares per favorire il compostaggio,
semplificazioni per le imprese che accedono alle procedure
di valutazione e autorizzazione ambientale, maggiore libertà
agli enti parco (anche per velocizzare i rapporti con le
imprese), responsabilità allargate che per chi affida
carichi da trasportare in nave, sanzioni rafforzate per i
comuni che non attueranno gli obiettivi di raccolta
differenziata imposti dall'Ue e obbligo per la p.a. di
rifornirsi con beni e servizi ambientalmente sostenibili.
Misure per l'ambiente, ma anche per la semplificazione degli
oneri delle imprese, a 360 gradi nel ddl ambientale
collegato alla «Legge di Stabilità» esaminato ieri in preconsiglio dei ministri. Un ddl che sembra voler dare una
volta per tutte piena attuazione al principio comunitario
«dalla culla alla tomba», riferito al ciclo di vita dei
beni.
Forniture verdi alla p.a. La spinta sugli appalti pubblici
verdi (cd. «green public procurement») avviene in una
duplice direzione. Da un lato trasformando in vero e proprio
obbligo per le p.a. quello di fondare gli appalti per il
soddisfacimento del proprio fabbisogno di beni e servizi sui
criteri ambientali. Dall'altro attirando verso le gare
pubbliche imprese ambientalmente già certificate.
Superando
l'originaria impostazione della legge istituiva del «Gpp»
(Legge 296/2006) che chiedeva alla p.a. di tenere conto
degli eco-criteri solo «ogniqualvolta sia possibile», lo
schema di ddl in discussione prevede ora il secco obbligo di
inserire nei bandi di gara i «criteri ambientali minimi»
elaborati (ed elaborandi) dal Minambiente per specifiche
categorie di prodotti in attuazione del dm 11.04.2008 (Ndr:
come recentemente aggiornato dm 25.07.2011), prodotti
tra cui attualmente figurano: servizi energetici per
edifici; attrezzature elettriche ed elettroniche d'ufficio;
carta per copia; ristorazione collettiva; servizi di igiene
e pulizia; prodotti tessili e arredi d'ufficio.
Ad attirare
verso le gare pubbliche verdi i fornitori eco-certificati
sarà invece lo sconto fino al 20% sulle cauzioni da fornire
a corredo delle relative previsto a favore delle imprese
griffate Emas (il marchio comunitario che garantisce la
qualità ambientale dell'azienda) ed Ecolabel (il marchio che
garantisce i prodotti offerti).
Recupero semplificato rifiuti. La spinta sul recupero
passerà innanzitutto dal coordinamento tra le norme tecniche
Ue di ultima generazione sul trattamento dei rifiuti e
quelle burocratiche nazionali sul regime autorizzatorio dei
relativi impianti. In base al ddl il trattamento dei rifiuti
individuati dai regolamenti Ue su cd. «end of waste»
(attualmente: rame, vetro, ferro, acciaio ed alluminio)
potrà infatti avvenire secondo le procedure semplificate
previste dal dlgs 152/2006 (avvio tramite mera comunicazione
in luogo di vera e propria autorizzazione).
Più compostaggio. Arriva lo sconto fino al 50% dell'attuale
«Tares» (proprio dalla legge di Stabilità destinata a
confluire nella «Trise») a favore di coloro che procederanno
(nei termini previsti dal «Codice Ambientale») all'autocompostaggio
dei propri rifiuti organici, e ciò sia a titolo individuale
che collettivo (tramite la nuova figura del cd.
«compostaggio di comunità»).
Stop incenerimento rifiuti. Ancora, a dirottare le condotte
verso il recupero sarà il previsto blocco di tutte le
istanze di autorizzazione per l'avvio di nuovi impianti di
incenerimento e coincenerimento di rifiuti, tranne che nelle
Regioni in emergenza ambientale. E questo fino all'adozione
del futuro dm con il quale il Minambiente individuerà
l'effettivo fabbisogno nazionale di ulteriori strutture a
ciò deputate.
Discariche in controtendenza. In controtendenza rispetto
alle descritte azioni appare invece essere la cancellazione,
prevista dallo stesso ddl, del divieto di conferire in
discarica rifiuti con «Pci» superiore a 13 mila kJ/kg.
Divieto che secondo lo storico dlgs 36/2003 dovrebbe
scattare dal prossimo 31.12.2013 in base all'ultima
delle proroghe che si protraggono dal 2010.
Mari e parchi. Estesa la responsabilità solidale in caso di
incidenti che coinvolgono navi: oltre all'armatore e al
proprietario della nave, risponderà anche il proprietario
del carico trasportato. Due le ragioni dell'ampliamento
delle norme di cui alla legge 979/1982: spingere i proprietari
di carichi inquinanti a scegliere vettori più sicuri e
avvalersi di idonei equipaggi; favorire la possibilità
dell'Erario di recuperare le spese antinquinamento sostenute
(il recupero spese è infatti attualmente particolarmente
oneroso, vista l'appartenenza dei mezzi utilizzati ai paesi
più disparati, il che significa per il minambiente grossa
difficoltà nel rintracciare i soggetti responsabili e
riscuotere coattivamente il credito).
Valutazioni e autorizzazioni ambientali. Semplificate le
procedure autorizzative in materia di scarichi in mare di
acque derivanti da attività di ricerca, prospezione,
coltivazione di idrocarburi in mare movimentazione di
fondali marini. In particolare viene eliminata la specifica
autorizzazione ministeriale alla posa di cavi e condotte
facenti parte di reti energetiche di interesse nazionale: la
valutazione d'impatto viene assorbita nella «Via» nazionale
e, in casi residuali, viene mantenuta la competenza
regionale. Istituita infine una Commissione tecnica
unificata per Via (valutazione d'impatto ambientale), Vas
(valutazione ambientale strategica) e Aia (autorizzazione
d'impatto ambientale)
(articolo ItaliaOggi del 23.10.2013). |
APPALTI:
Trasmissione dei dati dei contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture - settori ordinari e speciali –
allineamento a 40.000 € della soglia minima per le
comunicazioni ex art. 7, co. 8, d.lgs. n. 163/2006 –
rettifica (comunicato
22.10.2013 - link a www.autoritalavoripubblici.it).
---------------
Il Comunicato dell’Avcp del 29.04.2013 sugli obblighi
comunicativi ex art. 7, co. 8, del dlgs 163/2006 e s.m.i. è
stato rettificato. Il nuovo Comunicato del 22.10.2013
precisa che per importi pari a 40.000 euro esatti non è più
prevista l’acquisizione dello ‘smartCIG’, ma del ‘CIG’
tradizionale e il successivo invio delle schede informative,
analogamente a quanto avviene per gli importi superiori a
40.000 euro. |
APPALTI:
G.U. 22.10.2013 n. 196 "Testo
del decreto-legge 28.06.2013, n. 76, coordinato con la legge
di conversione 09.08.2013, n. 99, recante: «Primi
interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in
particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in
materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure
finanziarie urgenti»". |
APPALTI:
Esclusione da una gara d’appalto per l’esistenza di
precedenti penali.
In presenza di precedenti penali, il
Codice dei contratti pubblici impone alla stazione
appaltante di eseguire una specifica valutazione del
precedente penale oggetto di dichiarazione, in relazione
alla sussistenza di due autonomi e concorrenti elementi: la
gravità del reato e la sua incidenza sulla moralità
professionale.
I due elementi, per avere effetto ostativo sulla
partecipazione alla gara, debbono coesistere ed entrambi
necessitano, ai fini dell’esclusione dell’impresa, di una
puntuale ed adeguata valutazione da parte della stazione
appaltante.
La decisione in esame riguarda l’esclusione da una gara
d’appalto per assenza del requisito di moralità
professionale ex art. 38 del Codice dei contratti pubblici
per l’esistenza di un precedente penale a carico di un
direttore tecnico per un reato di gestione illecita dei
rifiuti, contestata per difetto di motivazione dalla ditta
esclusa.
Il Consiglio di Stato accoglie la doglianza di difetto di
motivazione del provvedimento di esclusione, puntualizzando
il contenuto delle valutazioni che la stazione appaltante
deve effettuare in caso di esistenza di precedenti penali.
In particolare, motiva la sentenza, l’art. 38, comma 1,
lett. c) del Codice dei contratti pubblici impone alla
stazione appaltante di eseguire una specifica valutazione
del precedente penale oggetto di dichiarazione, in relazione
alla sussistenza di due autonomi e concorrenti elementi: la
gravità del reato e la sua incidenza sulla moralità
professionale.
I due elementi, per avere effetto ostativo sulla
partecipazione alla gara, debbono coesistere ed entrambi
necessitano, ai fini dell’esclusione dell’impresa, di una
puntuale ed adeguata valutazione da parte della stazione
appaltante.
In sostanza, la sola gravità non è di per sé sufficiente ad
integrare la causa di esclusione, laddove il reato commesso
sia insuscettibile di incidere sulla moralità professionale
del concorrente e, di converso, l’astratta incidenza sulla
moralità professionale non integra la suddetta causa, quando
il reato medesimo non risponda al requisito della oggettiva
gravità.
La stazione appaltante, quindi, pur non potendo prescindere
dalla vincolatività della sentenza quanto ai fatti accertati
dal giudice penale, deve accertare in via autonoma la
sussistenza della gravità e della incidenza del reato
commesso, tenendo conto anche degli spazi non coperti dal
giudicato che pure emergano in maniera obiettiva ed
inequivoca.
Il giudice penale accerta i fatti per sussumerli in una
fattispecie astratta di reato ai fini dell’applicazione
della pena, mentre la stazione appaltante deve valutare il
precedente penale ai fini di salvaguardare l’esigenza di non
avere rapporti contrattuali con appaltatori inaffidabili,
che non garantiscano, cioè, una adeguata moralità
professionale.
Nel caso di specie l’amministrazione ha omesso di effettuare
in modo autonomo ed esaustivo una specifica e circostanziata
valutazione in ordine alla sussistenza della gravità e della
incidenza del reato commesso dal direttore tecnico e,
pertanto, il provvedimento risulta illegittimo.
Né a tal fine è sufficiente una semplice valutazione di
inerenza del reato commesso all’oggetto dell’appalto, né
l’esistenza della recidiva, qualora ciò non sia accompagnato
da una puntuale e esaustiva valutazione sulla effettiva
gravità del reato e sulla sua reale incidenza sulla moralità
professionale del soggetto interessato.
---------------
Esito
Riforma TAR Campania Napoli, Sezione I, n. 4323/2012
Precedenti giurisprudenziali
TAR Valle d'Aosta Aosta Sez. I, 20.06.2012, n. 59; Cons.
Stato Sez. III, 07.05.2012, n. 2607; Cons. Stato Sez. III,
07.05.2012, n. 2611
Riferimenti normativi
Art. 38 del Codice dei contratti pubblici (commento
tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.10.2013 n. 5122 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Debiti
sui contributi e crediti verso la Pa: Durc rilasciabile.
Le aziende che
hanno dei debiti nei confronti degli Istituti previdenziali
e assicurativi nonché verso le Casse edili ma,
contemporaneamente, vantano crediti nei riguardi delle
pubbliche amministrazioni, possono ottenere il Durc.
Lo
chiarisce il ministero del Lavoro con la
circolare 21.10.2013 n. 40/2013
diffusa ieri. Nel documento vengono forniti i primi
chiarimenti in merito alla disciplina contenuta nel decreto
ministeriale del 13 marzo scorso. Si tratta delle
disposizioni attuative delle previsioni contenute nel comma
5 dell'articolo 13-bis del Dl 52/2012 (convertito dalla
legge 94/2012).
La norma regolamenta il rilascio del Durc (Documento unico
di regolarità contributiva) in presenza di crediti
certificati certi, liquidi ed esigibili vantati nei
confronti delle pubbliche amministrazioni, di importo almeno
pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati
da parte di una stessa impresa.
La chiave
Dunque la certificazione dell'esistenza del credito verso la
pubblica amministrazione è la chiave che apre la porta al
Durc. Quella regolamentata dal Dm del 13.03.2013 (oggetto
della circolare in commento) è una procedura speciale
secondo cui le aziende possono ottenere la regolarità
contributiva anche se, in realtà, presentano una posizione
debitoria aperta, non avendo provveduto regolarmente al
versamento dei contributi e/o dei premi assicurativi.
Va da sé che il particolare "salvacondotto" può operare solo
qualora i crediti dell'impresa certificati verso la pubblica
amministrazione siano di importo almeno pari alle somme non
versate dalla stessa impresa agli Istituti e/o alle Casse.
Le due procedure
Il meccanismo è semplice se a chiedere il Durc è lo stesso
soggetto che, poi, potrà avvalersene. Quando –al contrario– la regolarità contributiva viene richiesta d'ufficio,
l'azienda dovrà dichiarare l'esistenza del credito,
indicando la data di rilascio della certificazione, il
numero di protocollo, l'importo del credito stesso e
l'amministrazione che ha rilasciato la relativa
certificazione. Dovrà, inoltre, fornire un codice che
permetta, a tutti coloro che ne hanno interesse, di
verificare l'esistenza della certificazione, attraverso la
cosiddetta piattaforma informatica.
Quest'ultima è un archivio a cui accedono gli Istituti
previdenziali e le Casse edili per verificare l'esistenza
del credito. Dalla piattaforma si può stampare un documento
con gli estremi del credito certificato con possibilità di
verificare la sua effettiva disponibilità al momento della
richiesta e dell'emissione del Durc.
Il regime transitorio
In attesa che tutto il procedimento vada a regime, il
ministero ricorda che la verifica verrà effettuata sulla
base delle certificazioni rilasciate dalla piattaforma
informatica trasmesse via Pec o direttamente esibite; in tal
caso, il tutto soggiace alla responsabilità anche penale del
soggetto titolare del credito certificato.
Pur trattandosi di una procedura speciale di rilascio del
Durc, il ministero afferma che il suo termine di validità
resta fissato in 120 giorni dalla data del rilascio. Il
documento di regolarità che verrà emesso riporterà la
dicitura «ex art. 13-bis, comma 5, D.L. n. 52/2012»,
unitamente alle altre informazioni identificative del
credito.
Nel documento, i tecnici ministeriali ricordano –tra
l'altro– che il credito certificato può essere ceduto o se
ne può richiedere un'anticipazione ma solo se è stato
estinto il debito indicato sul Durc. In tal caso, dovrà
essere prodotto un ulteriore documento di regolarità
contributiva aggiornato, alla banca o all'intermediario
finanziario (articolo Il Sole 24 Ore del 22.10.2013). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
LEGGE DI STABILITÀ/
Debiti p.a., pagherà il dirigente. L'inosservanza nell'invio
di fatture costa 25 al giorno. Lo
prevede la bozza di decreto collegato, che è atteso in Cdm.
Per le p.a. lumaca sui debiti commerciali scaduti paga il
dirigente: entro il 30.04.2014 le amministrazioni
dovranno comunicare telematicamente le fatture per
forniture, servizi o appalti non ancora saldate che danno
luogo a interessi moratori. Responsabile dell'adempimento
sarà la figura apicale dell'ente (o un suo delegato). E in
caso di inosservanza questo pagherà alle casse pubbliche una
sanzione di 25 euro per ogni giorno di ritardo, ferma
restando la responsabilità disciplinare.
Il rafforzamento
del monitoraggio dei debiti delle p.a. è previsto dalla
bozza di decreto legge collegato alla manovra di stabilità
2014, che sarà esaminato nei prossimi giorni dal consiglio
dei ministri.
Il dl dispone alcuni stanziamenti per fare fronte a esigenze
immediate. A cominciare dal rifinanziamento della cassa
integrazione in deroga (330 milioni di euro fino a fine
anno) e della social card (35 milioni di euro). Ma in via
sperimentale arriva anche un meccanismo di indennizzo per le
imprese impegnate nella realizzazione dell'alta velocità
sulla Torino-Lione che subiscono manomissioni e vandalismi a
macchinari e materiali: per la quota di danni non coperta
dalle polizze assicurative sarà possibile rivolgersi allo
stato. Il Fondo di solidarietà civile istituito dal dl n.
187/2010 mette a disposizione fino a 5 milioni di euro. Le
modalità attuative saranno stabilite con dpcm entro 30
giorni dall'entrata in vigore del dl.
Nel collegato alla legge di stabilità trovano spazio pure
alcuni interventi fiscali. Uno va in soccorso del comune di
Roma, alle prese con una difficile situazione di bilancio.
La norma attribuisce al municipio capitolino la facoltà di
incrementare l'addizionale Irpef di ulteriori 0,3 punti
percentuali, rispetto all'attuale misura dello 0,9%.
L'intervento legislativo si rende necessario in quanto il
dlgs n. 360/1998 fissa l'aliquota massima del prelievo allo
0,8%. E il dl n. 78/2010, sul quale il collegato interviene,
autorizza già una deroga a favore del Campidoglio che ha
consentito di arrivare allo 0,9%.
Il dl reca poi un'altra mini-stangata tributaria sul
mattone. Viene stabilita l'applicazione di un'imposta di
registro minima di 1.000 euro per tutti gli atti,
provvedimenti e trasferimenti in materia immobiliare.
Inclusi, quindi, quelli soggetti a tassazione proporzionale
che darebbero una somma inferiore a tale soglia. La novità
avrà effetto a far data dall'entrata in vigore del
provvedimento. La misura farà incassare all'erario 140
milioni di euro in più ogni anno (29 milioni nel 2013).
Non dovrebbe comportare aggravi, invece, la possibile
manutenzione di aliquote che il governo si appresta a
compiere sui prodotti da fumo. Sia le accise sui tabacchi
sia l'imposta di consumo sulle sigarette elettroniche
potranno essere rimodulate dal Mef, entro un range dello
0,7%, con l'obiettivo di «incidere in modo positivo sulle
dinamiche dei prezzi, comunque nell'ottica di frenarne la
possibile crescita e, specularmente, di evitare contrazione
ulteriori sul lato della domanda». In questo caso, quindi,
l'obiettivo di palazzo Chigi è mantenere il gettito del
comparto e non incrementarlo. Il recente aumento dell'Iva ha
fatto schizzare in alto i prezzi in maniera più che
proporzionale. Con il risultato, specie in un periodo di
crisi, di un'ulteriore frenata dei consumi in un mercato già
in calo dall'inizio del 2013.
Il dl accelera anche sulle dismissioni pubbliche, sia in
materia di partecipazioni sia di immobili. Con riguardo al
primo tema, è messo a regime il comitato di esperti che deve
supportare il Mef nell'elaborare la strategia di cessione
delle quote statali. Con riferimento al secondo, viene
snellito ulteriormente il procedimento di alienazione in
blocco di fabbricati pubblici al fine di consentirne la
conclusione in tempi brevi. L'elenco degli esoneri
documentali già previsti viene integrato con l'attestato di
prestazione energetica (la cui assenza minaccerebbe di
nullità i contratti eventualmente stipulati). Peraltro,
nella relazione tecnica è lo stesso governo a definire l'Ape
un adempimento oneroso «sia in relazione ai costi che
avrebbero dovuto essere sostenuti per l'ottenimento della
certificazione energetica sia per quelli indiretti
costituiti dalle risorse da impiegare per gli allineamenti
catastali»
(articolo ItaliaOgggi del 18.10.2013). |
APPALTI: Idoneità da verificare anche per i procuratori.
Consiglio di Stato. Il bando può chiedere controlli sulle
condizioni generali.
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la
sentenza 16.10.2013 n. 23 è intervenuta su uno dei punti più
controversi del Dlgs n. 163/2006 (Codice degli appalti
pubblici) sul quale per anni ha regnato l'incertezza degli
orientamenti giurisprudenziali che hanno alimentato una
enorme litigiosità: il dubbio se anche i procuratori
dell'impresa concorrente siano tenuti a possedere i
requisiti morali e professionali di idoneità alle gare
previsti dall'articolo 38 lettere b) e c) del Codice.
La norma prescrive che l'accertamento sui requisiti (in
particolare l'assenza di misure di prevenzione o di condanne
per reati che incidono sulla moralità professionale) è
svolto nei confronti «degli amministratori muniti del potere
di rappresentanza o del direttore tecnico». Su di essa si
sono formati due orientamenti giurisprudenziali
contrapposti. Quello formale predilige un'interpretazione
restrittiva e letterale della norma e limita l'obbligo del
possesso dei requisiti di moralità ai soli amministratori
muniti di potere di rappresentanza a cui fa riferimento
l'articolo 2380-bis del Codice civile, con l'esclusione dei
procuratori.
La tesi estensiva invece –in linea con
l'articolo 45 della direttiva 2004/18/CE– valorizza quei
soggetti che, pur non rivestendo le qualifiche formali
previste dall'articolo 38, sono dotati di poteri così ampi e
incisivi da coincidere sotto il profilo sostanziale con
quelli dei veri e propri amministratori. In questo
caso, l'esigenza da salvaguardare è di evitare che
l'amministrazione possa firmare un contratto con una società
governata in sostanza da persone prive dei necessari
requisiti di onorabilità e affidabilità morale e
professionale, che si giovino dello schermo di chi riveste
la qualifica formale di amministratore con potere di
rappresentanza. In base a questa seconda tesi anche i
procuratori/amministratori sono quindi tenuti a soddisfare i
requisiti di moralità prescritti dall'articolo 38.
Il Consiglio di Stato giunge però questa volta a una
soluzione di compromesso, sollecitato da una «prassi che
mostra figure di procuratori muniti di poteri decisionali di
particolare ampiezza di spessore superiore a quelli che lo
statuto assegna agli amministratori»: i requisiti di
moralità vanno accertati anche nei confronti dei
procuratori/amministratori, ma l'obbligo da parte loro di
prestare la dichiarazione sussiste solo se nel bando vi sia
un'espressa previsione in questo senso. In caso contrario,
l'omessa dichiarazione da parte dei
procuratori/amministratori non potrà essere causa di
esclusione dalla gara. L'esclusione potrà invece essere
disposta nel caso in cui venisse in concreto effettivamente
riscontrata l'assenza del requisito.
Con questa scelta il giudice rimette alle singole
amministrazioni il non agevole compito di verificare i
poteri di cui sono titolari tutti i procuratori della
singola impresa concorrente, di analizzarli per poi
identificare i soggetti che sono stati investiti di poteri
assimilabili a quelli degli amministratori. Il rischio è che
le amministrazioni, spesso prive di strutture adeguate e
chiamate ora a svolgere un "lavoro" che fuoriesce dalle loro
normali competenze, si trovino a rallentare i tempi delle
procedure. Senza contare che le diverse e disomogenee
interpretazioni che verranno adottate dalle amministrazioni
sull'ampiezza dei poteri dei procuratori potrebbero essere
ancora fonte di contenzioso, a scapito della certezza del
diritto
(articolo Il Sole 24 Ore del
25.11.2013). |
APPALTI: Appalti, serve la moralità.
Verifica obbligatoria anche per i procuratori.
Il Consiglio di stato sui requisiti necessari per
accedere ai bandi di gara.
Negli appalti pubblici sono necessari i controlli sulla
moralità professionale anche per i procuratori e non
soltanto per il direttore tecnico e gli amministratori con
poteri di rappresentanza. È possibile l'esclusione dalla
gara solo quando si dimostri che manca in concreto il
requisito morale o professionale. E' illegittimo, se non è
previsto nel bando di gara, escludere per la mera assenza
della dichiarazione di insussistenza della causa di
esclusione (auto certificazione) da parte del procuratore.
È
quanto afferma il Consiglio di Stato con la
sentenza 16.10.2013 n. 23 dell'Adunanza plenaria rispetto ad
una controversia relativa alla fase di verifica dei
requisiti che i partecipanti alle gare di appalto pubblico
sono tenuti ad auto dichiarare ai fini della partecipazione.
Nel caso specifico era stata esclusa una impresa di
costruzioni che non aveva prodotto la dichiarazione del
procuratore, nonostante negli atti di gara non fosse stato
richiesto anche al procuratore la dichiarazione sui
requisiti morali e professionali di norma prodotta dal
direttore tecnico e dagli amministratori. Il tema delle
dichiarazioni da rendere in sede di gara e, in particolare,
dei requisiti morali e professionali è disciplinato
dall'art. 38, lettere b) e c), del dlgs 163/2006 (Codice dei
contratti pubblici).
La norma prevede l'obbligo dichiarativo
per gli «amministratori muniti del potere di rappresentanza»
o per i direttori tecnici, se si tratta di società o di
consorzi organizzati nelle forme diverse dall'impresa
individuale, in accomandita, o in nome collettivo (o del
socio unico persona fisica, o del socio di maggioranza per
le società con meno di quattro soci). Si tratta di un
profilo particolarmente delicato che si collega alla
possibilità di escludere il partecipante alla gara in
relazione al fatto che abbia riportato condanne per reati
nominativamente individuati e che si incardina all'interno
di una fase (verifica dei requisiti) molto complessa e fonte
principale del contenzioso che si registra in sede di
amministrativa.
La sentenza arriva a dirimere una spaccatura
nell'orientamento della giurisprudenza dello stesso
Consiglio di stato che, da una parte, ha in alcuni casi
affermato la valenza limitativa della norma del Codice dei
contratti pubblici (che richiede la compresenza della
qualità di amministratore e dell'esistenza di un potere di
rappresentanza) e, dall'altra, ha, invece, esteso l'obbligo
anche per quei procuratori che, per avere consistenti poteri
di rappresentanza dell'impresa, «siano in grado di
trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione
dell'ordinamento nei riguardi della propria condotta al
soggetto rappresentato».
L'Adunanza plenaria aderisce al
secondo orientamento, di maggiore garanzia per le stazioni
appaltanti, verificata «l'emersione di figure di procuratori
muniti di poteri decisionali di particolare ampiezza e
riferiti ad una pluralità di oggetti così che, per
sommatoria, possano configurarsi omologhi, se non di
spessore superiore, a quelli che lo statuto assegna agli
amministratori».
In sostanza accade che il procuratore
spesso sia come un amministratore di fatto e, in forza della
procura rilasciatagli, racchiuda in se anche il ruolo di
rappresentante della società, sia pure per alcuni atti. La
pronuncia apre, quindi, all'obbligo di verifica anche per i
procuratori, ma stabilisce che se negli atti di gara non è
prevista la pena dell'esclusione per il procuratore che non
ha reso la dichiarazione, si potrà procedere all'esclusione
dell'impresa non già per la semplice omessa dichiarazione ex
art. 38 del Codice, ma soltanto dove sia effettivamente
riscontrabile l'assenza del requisito in questione. La
stazione appaltante, quindi, avrebbe dovuto, nel caso
specifico, chiedere la prova del requisito al procuratore e
soltanto in caso di verificata assenza del requisito,
procedere all'esclusione.
Uno degli effetti della sentenza
sarà quindi quello di aggravare gli oneri burocratici per le
imprese, anche se l'auspicio è che con l'avvio, da gennaio
2014, dell' Avcp tutto ciò possa essere reso meno complicato
da un sistema automatico di verifica dei requisiti gestiti
dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici
(articolo ItaliaOggi del 22.10.2013). |
APPALTI:
IL REGIME DI SOLIDARIETA’ NEGLI APPALTI (Fondazione
Studi Consulenti del Lavoro,
circolare 16.10.2013 n. 13). |
ACQUISTO FORNITURE:
Acquisto arredi urbani alla luce della normativa vigente.
La disposizione di cui all'art. 1, comma
141, L. n. 228/2012, sancente limiti di spesa, negli anni
2013 e 2014, per l'acquisto di mobili e arredi, non sembra
da ritenersi riferibile, secondo la Ragioneria Generale
dello Stato, al cosiddetto arredo urbano, nel presupposto
che tale arredo sia destinato esclusivamente a strade
pubbliche.
Ciò, ad avviso dell'Ufficio ministeriale, in quanto, in
ragione di un'interpretazione logica, il limite di spesa si
ritiene rivolto esclusivamente agli immobili intesi come
'unità immobiliari', giusta la definizione contenuta
nell'art. 2 del decreto del Ministero delle Finanze
02.01.1998, n. 28, 'Regolamento recante norme in tema di
costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di
produzione ed adeguamento della nuova cartografia
catastale', e cioè, sostanzialmente, porzioni di fabbricato,
fabbricati, un insieme di fabbricati o aree, che presentano
potenzialità di autonomia funzionale e reddituale.
Il Comune chiede di sapere se la disposizione di cui
all'art. 1, comma 141, L. n. 228/2012 [1]
(Legge di stabilità 2013) sancente limiti di spesa, negli
anni 2013 e 2014, per l'acquisto di mobili e arredi, si
applichi anche alle forniture del così detto 'arredo
urbano'. L'Ente specifica come, in genere, trattasi di
attrezzature (panchine, cestini, paletti dissuasori di
traffico, etc.).
Sentito il Servizio finanza locale di questa Direzione
centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
Il comma 141 dell'art. 1 della legge di stabilità 2013, come
da ultimo novellata dall'art. 18, comma 8-septies, D.L. n.
69/2013 [2],
convertito con modificazioni dalla L. n. 98/2013
[3],
stabilisce che 'ferme restando le misure di contenimento
della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, negli
anni 2013 e 2014 le amministrazioni pubbliche inserite nel
conto economico consolidato della pubblica amministrazione,
come individuate dall'Istituto nazionale di statistica
(ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge
31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, [ ... ] non
possono effettuare spese di ammontare superiore al 20 per
cento della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011
per l'acquisto di mobili e arredi, se non destinati all'uso
scolastico e dei servizi all'infanzia, salvo che l'acquisto
sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla
conduzione degli immobili. In tal caso il collegio dei
revisori di conti verifica preventivamente i risparmi
realizzabili, che devono essere superiori alla minore spesa
derivante dall'attuazione del presente comma. [...]".
Si osserva che il tenore letterale della norma, come da
ultimo novellata, esclude espressamente dalla limitazione di
acquisto i mobili e gli arredi destinati all'uso scolastico
e dei servizi all'infanzia; viene, inoltre, indicata come
eccezione alla misura di contenimento della spesa pubblica
ivi prevista l'ipotesi in cui gli acquisti siano funzionali
alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli
immobili.
Premesso che, trattandosi di una norma statale,
l'individuazione specifica del significato della locuzione 'mobili
e arredi' può provenire unicamente dai competenti organi
statali, in via collaborativa, al fine di definire quali
siano i beni interessati dalla misura finanziaria, si è
ritenuto di contattare, per le vie brevi, la Ragioneria
Generale dello Stato, Ispettorato Generale di Finanza.
Detto Ufficio, premesso che il comma 141 in argomento si
presenta di non semplice applicazione, ha affermato in primo
luogo che per la puntuale identificazione dei mobili e degli
arredi da sottoporre al limite di spesa di cui al comma 141,
si può fare utile riferimento al CPV (vocabolario comune per
gli acquisti) [4],
predisposto dalla Commissione europea con la finalità di
standardizzare, avvalendosi di un unico sistema di
classificazione per gli appalti pubblici, la descrizione
dell'oggetto dei contratti.
La Ragioneria Generale ha ritenuto, pur tuttavia, opportuno
evidenziare che non esiste un legame inscindibile tra l'art.
1, comma 141, L. n. 228/2012, e il CPV. Infatti, nell'ambito
del CPV, i beni sono identificati -attraverso un codice- con
un livello di dettaglio molto elevato, per cui si rende
necessaria, ogni volta che ricorra un acquisto, un'analisi
approfondita dei codici e quindi dei corrispondenti beni cui
applicare o meno il limite introdotto dalla legge.
Secondo l'Ufficio ministeriale, nel caso di specie, il
limite disposto dal comma 141 non sembra da ritenersi
riferibile al cosiddetto arredo urbano (panchine, cestini,
paletti dissuasori di traffico), nel presupposto che tale
arredo sia destinato esclusivamente a strade pubbliche, ciò
in quanto, in ragione di un'interpretazione logica, il
limite di spesa si ritiene rivolto esclusivamente agli
immobili intesi come 'unità immobiliari', giusta la
definizione contenuta nell'art. 2 del decreto del Ministero
delle Finanze 02.01.1998, n. 28, 'Regolamento recante
norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e
modalità di produzione ed adeguamento della nuova
cartografia catastale', e cioè, sostanzialmente,
porzioni di fabbricato, fabbricati, un insieme di fabbricati
o aree, che presentano potenzialità di autonomia funzionale
e reddituale.
---------------
[1] L. 24.12.2012, n. 228, recante: 'Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(Legge di stabilità 2013)'.
[2] D.L. 21.06.2013, n. 69, recante: 'Disposizioni urgenti
per il rilancio dell'economia'.
[3] L. 09.08.2013, n. 98, recante 'Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69, recante
disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (la legge
è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 20.08.2013, n.
194, S.O.).
[4] Trattasi del CPV, sistema di classificazione unico per
gli apparati pubblici volto a unificare i riferimenti
utilizzati dalle amministrazioni e dagli enti appaltanti per
la descrizione dell'oggetto degli appalti (16.10.2013
-
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI:
Nelle gare d’appalto, l’istituto dell’avvalimento
risponde all’esigenza della massima partecipazione
consentendo ai concorrenti, che siano privi dei requisiti
richiesti dal bando, di concorrere ricorrendo ai requisiti
di altri soggetti.
Il Collegio condivide l’orientamento secondo cui tutti i
requisiti di capacità tecnica, economica e professionale
devono essere sussunti nella categoria dei requisiti che
possono essere oggetto di avvalimento e, quand’anche la
certificazione di qualità riguardasse una qualità soggettiva
dell’impresa, ugualmente potrebbe essere oggetto di
avvalimento, rientrando tra i requisiti soggettivi che
possono essere comprovati mediante tale strumento, attesa la
sua portata generale.
Una volta ammessa l’astratta operatività dell’avvalimento
per le attestazioni e le certificazioni, effettivamente non
può essere trascurata l’evidente difficoltà “pratica” di
dimostrare, in concreto, l’effettiva disponibilità di un
requisito che, per le sue caratteristiche, è collegato
all’intera organizzazione dell'impresa, alle sue procedure
interne, al bagaglio delle conoscenze utilizzate nello
svolgimento delle attività.
In primo luogo, nelle gare d’appalto,
l’istituto dell’avvalimento risponde all’esigenza della
massima partecipazione consentendo ai concorrenti, che siano
privi dei requisiti richiesti dal bando, di concorrere
ricorrendo ai requisiti di altri soggetti. Il Collegio
condivide l’orientamento secondo cui tutti i requisiti di
capacità tecnica, economica e professionale devono essere
sussunti nella categoria dei requisiti che possono essere
oggetto di avvalimento e, quand’anche la certificazione di
qualità riguardasse una qualità soggettiva dell’impresa,
ugualmente potrebbe essere oggetto di avvalimento,
rientrando tra i requisiti soggettivi che possono essere
comprovati mediante tale strumento, attesa la sua portata
generale (Consiglio di Stato, sez. V, 23.10.2012, n.
5408).
Una volta ammessa l’astratta operatività dell’avvalimento
per le attestazioni e le certificazioni, effettivamente non
può essere trascurata l’evidente difficoltà “pratica”
di dimostrare, in concreto, l’effettiva disponibilità di un
requisito che, per le sue caratteristiche, è collegato
all’intera organizzazione dell'impresa, alle sue procedure
interne, al bagaglio delle conoscenze utilizzate nello
svolgimento delle attività (cfr. Cons. Stato 18.04.2011, n.
23446) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
15.10.2013 n. 2306 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Guida alle semplificazioni del decreto legge del Fare
(Dipartimento Funzione Pubblica, 15.10.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Opere pubbliche, il programma arriva al rush finale.
Lavori. Approvazione entro domani.
IL DEBUTTO/ Dall'esercizio 2013 la pianificazione
facoltativa si estende anche ai servizi e alle forniture su
base annuale.
Entro domani, 15 ottobre le amministrazioni aggiudicatrici
devono adottare lo schema di programma triennale degli
aggiornamenti e dell'elenco annuale delle opere pubbliche.
La scadenza è stabilita dal decreto del ministero delle
Infrastrutture 09.06.2005, con cui sono stati approvati
anche gli schemi tipo che dovranno essere affissi per almeno
sessanta giorni consecutivi nella sede dell'amministrazione.
Il successivo Dm 11.11.2011, che si applica a partire
dall'esercizio 2013, ha dettato nuove regole sulla
programmazione, estesa anche all'acquisto di beni e servizi.
Per questi ultimi, però, il programma è facoltativo e ha
cadenza soltanto annuale.
Nel programma triennale dei lavori, che costituisce momento
attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e
quantificazione dei bisogni della collettività, devono
trovare distinta indicazione anche eventuali immobili
pubblici da cedere a titolo di corrispettivo del contratto
di appalto (articolo 53, comma 6, Dlgs 163/2006).
L'elenco annuale deve poi essere approvato unitamente al
bilancio di previsione, di cui costituisce parte integrante,
e deve contenere l'indicazione dei mezzi finanziari
stanziati, ovvero disponibili in base a contributi o risorse
di soggetti pubblici o privati.
Le esigenze di coerenza del sistema programmatorio degli
enti locali impongono la verifica della corrispondenza fra
le previsioni di bilancio e quelle di realizzazione delle
opere pubbliche.
Il bilancio annuale e pluriennale, nonché la relazione
previsionale e programmatica, devono trovare piena
corrispondenza nelle previsioni del programma triennale dei
lavori pubblici e negli altri documenti di pianificazione
strategica che l'ente è tenuto ad approvare, tra i quali il
piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari.
Per gli enti sperimentatori che adottano un bilancio
armonizzato ai sensi del Dlgs 118/2011 la programmazione delle
opere pubbliche deve andare oltre. È necessaria anche la
formulazione del cronoprogramma (previsione degli importi
degli stati avanzamento lavori) per ogni intervento
programmato.
Ai fini della programmazione nel bilancio armonizzato,
infatti, il principio della competenza finanziaria
potenziato richiede che le spese di investimento siano
impegnate negli esercizi in cui scadono le singole
obbligazioni passive sulla base del relativo cronoprogramma.
Sempre sulla base del piano di realizzazione dei lavori
l'ente sperimentatore prevede il fondo pluriennale
vincolato, definito come il saldo finanziario costituito da
risorse già accertate destinate al finanziamento di
obbligazioni passive dell'ente già impegnate, ma esigibili
in esercizi successivi a quello in cui è accertata
l'entrata.
Con il fondo pluriennale vincolato in sostanza sono
rappresentati in bilancio i tempi di impiego (ultrannuale)
delle risorse già acquisite.
La stessa fotografia dovrà essere recepita anche dal
programma delle opere pubbliche, che dovrà essere
"armonizzato" con i nuovi principi e le nuove regole
contabili.
---------------
In sintesi
01|LA SCADENZA
Il 15 ottobre è il termine ultimo per tutti gli enti
pubblici per approvare il programma triennale delle opere
pubbliche, l'aggiornamento e l'elenco annuale delle opere
pubbliche
02|IL PROGRAMMA
Il programma triennale valuta i fabbisogni infrastrutturali
della collettività e individua i finanziamenti
03|I SERVIZI
Da quest'anno l'ente potrà adottare un modello di
programmazione, solo annuale, anche per servizi e forniture
(articolo Il Sole 24 Ore del 14.10.2013). |
APPALTI: Appalti,
pagamento subfornitori: cosa cambia con il Decreto Fare
(12.10.2013 - link a www.giurdanella.it). |
APPALTI:
In sede di verifica
dell’anomalia dell’offerta, la stazione appaltante ha
effettuato una approfondita disamina di tutte le componenti
di costo indicate nelle giustificazioni riportate
dall’impresa aggiudicatrice, specificando, in particolare,
le ragioni per le quali ciascuna di esse risulti congrua con
l’offerta presentata e, pertanto, idonea ad assicurare
prestazioni conformi al servizio richiesto.
Altresì, nelle procedure di evidenza pubblica un’offerta non
può ritenersi senz’altro anomala e comportante l’automatica
esclusione dalla gara per il solo fatto che il costo del
lavoro sia stato calcolato secondo valori non perfettamente
corrispondenti a quelli risultanti dalle tabelle
ministeriali; invero tali valori rappresentano non parametri
inderogabili, ma indici del giudizio di congruità,
conseguentemente affinché possa propendersi per l’anomalia
dell’offerta, occorre (ma non è il caso di specie) che la
discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata.
Osserva, invero, il Collegio, che in sede
di verifica dell’anomalia dell’offerta, la stazione
appaltante ha effettuato una approfondita disamina di tutte
le componenti di costo indicate nelle giustificazioni
riportate dall’impresa aggiudicatrice, specificando, in
particolare, le ragioni per le quali ciascuna di esse
risulti congrua con l’offerta presentata e, pertanto, idonea
ad assicurare prestazioni conformi al servizio richiesto.
Sotto altro profilo, si deve, nondimeno, rilevare che nelle
procedure di evidenza pubblica un’offerta non può ritenersi
senz’altro anomala e comportante l’automatica esclusione
dalla gara per il solo fatto che il costo del lavoro sia
stato calcolato secondo valori non perfettamente
corrispondenti a quelli risultanti dalle tabelle
ministeriali; invero tali valori rappresentano non parametri
inderogabili, ma indici del giudizio di congruità,
conseguentemente affinché possa propendersi per l’anomalia
dell’offerta, occorre (ma non è il caso di specie) che la
discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata
(cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 23.07.2012, n.
4206)
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 11.10.2013 n. 1162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Crediti vantati da subappaltatore non autorizzato per
lavori/forniture effettuati nell'ambito dell'esecuzione dei
lavori.
L'art. 21, L. n. 646/1982, vieta
all'appaltatore di opere affidate dalla p.a. di concedere in
subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse
senza l'autorizzazione dell'amministrazione committente.
Il D.Lgs. n. 163/2006 reca la disciplina del subappalto
all'art. 118 che, al comma 8, prevede che la stazione
appaltante provvede al rilascio dell'autorizzazione
all'affidamento in subappalto entro 30 giorni dalla relativa
richiesta, la cui decorrenza senza che si sia provveduto fa
sì che l'autorizzazione si intenda concessa.
Secondo la giurisprudenza, il subappalto stipulato in
assenza di autorizzazione, è nullo, per violazione di norma
imperativa di legge (art. 21, L. n. 646/1982), ai sensi
dell'art. 1418, c.c., e non può costituire un valido titolo
sulla cui base fondare istanze creditorie nei confronti
della p.a. committente.
L'Ente, in relazione ad un contratto di appalto di lavori
pubblici in corso di conclusione, riferisce di aver
pubblicato l'avviso di cui all'art. 218, D.P.R. n. 207/2010,
per quanti vantassero crediti nei confronti dell'esecutore
per indebite occupazioni di aree o stabili o per danni
arrecati nell'esecuzione dei lavori. A seguito di detto
avviso una ditta esterna, non rientrante tra i subappalti
autorizzati, ha chiesto al Comune di provvedere al pagamento
del credito da essa vantato nei confronti della ditta
appaltatrice per lavori/forniture effettuati nell'ambito
dell'esecuzione dei lavori, ma non autorizzati né conosciuti
dall'amministrazione. Il Comune chiede, dunque, come sia
corretto procedere rispetto alla pretesa creditoria avanzata
dalla ditta esterna [1].
Il subappalto è disciplinato dall'art. 118 del D.Lgs. n.
163/2006: in particolare, il comma 8 prevede che la stazione
appaltante provvede al rilascio dell'autorizzazione
all'affidamento in subappalto entro 30 giorni
[2] dalla
relativa richiesta, la cui decorrenza senza che si sia
provveduto fa sì che l'autorizzazione si intenda concessa.
L'autorizzazione al subappalto di cui all'art. 118, comma 8,
è istituto manifestamente preordinato al perseguimento di
interessi pubblici: le condizioni per l'ammissibilità del
subappalto [3],
infatti, secondo la giurisprudenza, non appaiono intese
(unicamente) a tutelare l'interesse dell'amministrazione
committente all'immutabilità dell'affidatario, ma tendono ad
evitare che nella fase esecutiva del contratto si pervenga,
attraverso modifiche sostanziali dell'assetto di interessi
scaturito dalla gara pubblica, a vanificare quell'interesse
pubblico che ha imposto lo svolgimento di una procedura
selettiva e legittimato l'individuazione di una determinata
offerta come la più idonea a soddisfare le esigenze della
collettività cui l'appalto è finalizzato
[4].
La ratio della prescritta preventiva autorizzazione
è, altresì, sottolineata dall'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP)
[5], la
quale evidenzia il fine di preservare l'intuitus personae
che connota i contratti pubblici, nonché lo scopo di
prevenire il rischio che l'esecuzione delle prestazioni
contrattuali sia svolta da soggetti (i subappaltatori
appunto) privi dei requisiti di ordine generale e speciale
necessari per contrarre con la pubblica amministrazione.
E ancora, l'AVCP osserva che l'esigenza di scongiurare tale
rischio è sentita in modo talmente forte dall'ordinamento
che il subappalto non autorizzato è penalmente sanzionato
come reato contravvenzionale dall'art. 21, della legge
13.09.1982, n. 646 [6], che riconosce alla stazione
appaltante 'la facoltà di chiedere la risoluzione del
contratto'.
L'art. 21 richiamato vieta all'appaltatore di opere affidate
dalla p.a. di concedere in subappalto o a cottimo, in tutto
o in parte, le opere stesse senza l'autorizzazione
dell'Amministrazione committente; per cui, afferma la
giurisprudenza [7],
il subappalto stipulato in violazione di tale norma
imperativa è nullo ai sensi dell'art. 1418, c.c., perché in
contrasto con una norma imperativa, e costituisce nel
contempo grave inadempimento dell'appaltatore, che legittima
la stazione appaltante a chiedere la risoluzione del
contratto.
Per quanto concerne le pretese creditorie avanzate nei
confronti della p.a. committente da parte del subappaltatore
non autorizzato per crediti maturati verso l'appaltatore,
risulta utile richiamare una pronuncia della Corte di
Cassazione [8],
che, sia pure nel diverso caso della richiesta di pagamento
alla p.a. proveniente da un appaltatore per le prestazioni
fatte eseguire da un terzo non autorizzato, ha affermato il
principio secondo cui l'istanza non può essere fondata sulla
base di un subappalto non autorizzato.
Con riferimento alla fattispecie prospettata dal Comune, si
può, pertanto, ritenere che nemmeno la ditta subappaltatrice
non autorizzata possa vantare pretese creditorie verso la
p.a., per prestazioni eseguite per la ditta esecutrice,
sulla base di un contratto la cui stipulazione costituisce
un fatto illecito dell'appaltatore nei confronti
dell'amministrazione committente.
---------------
[1] È il caso di osservare che la ditta esterna ha
chiesto alla stazione appaltante di essere soddisfatta del
proprio credito nei confronti della ditta appaltatrice per
l'esecuzione di forniture/lavori, nell'ambito della
procedura di avviso ai creditori di cui all'art. 218, D.P.R.
n. 207/2010, norma, invero, relativa a crediti di altra
natura e di cui si ritiene utile riportare il testo: 'All'atto
della redazione del certificato di ultimazione dei lavori il
responsabile del procedimento dà avviso al Sindaco o ai
Sindaci del comune nel cui territorio si eseguono i lavori,
i quali curano la pubblicazione, nei comuni in cui
l'intervento è stato eseguito, di un avviso contenente
l'invito per coloro i quali vantino crediti verso
l'esecutore per indebite occupazioni di aree o stabili e
danni arrecati nell'esecuzione dei lavori, a presentare
entro un termine non superiore a sessanta giorni le ragioni
dei loro crediti e la relativa documentazione'.
[2] Tale termine può essere prorogato una sola volta ove
ricorrano giustificati motivi.
[3] Le condizioni per l'ammissibilità del subappalto sono
indicate dal comma 2 dell'art. 118 in argomento:
l'indicazione da parte del concorrente, all'atto della
presentazione dell'offerta, o da parte dell'aggiudicatario,
all'atto dell'affidamento, nel caso di varianti in corso di
esecuzione, dei lavori, o delle parti di opere, ovvero dei
servizi e delle forniture, o parti di servizi e forniture,
che intende subappaltare; il deposito del contratto di
subappalto nel termine previsto; il possesso da parte del
subappaltatore dei requisiti di qualificazione;
l'insussistenza nei confronti del subappaltatore di alcuno
dei divieti previsti dall'art. 10 della legge 31.05.1965, n.
575 ('Disposizioni contro le organizzazioni criminali di
tipo mafioso, anche straniere').
[4] Cfr. Cons. St., Sez. V, 23.01.2012, n. 262; Cons. St.,
Sez. IV, 24.03.2010, n. 1721.
[5] Cfr. Parere n. 16 del 27.09.2012.
[6] Recante: 'Disposizioni in materia di misure di
prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alla
L. 27.12.1956, n. 1423, alla L. 10.02.1962, n. 57 e alla L.
31.05.1965, n. 575. Istituzione di una commissione
parlamentare sul fenomeno della mafia'.
[7] C. Cass., sez. I, sentenza 16.07.2003, n. 11131; C.
Cass., sez. II, sentenza 18.11.1997, n. 11450.
[8] Cfr. C. Cass., n. 11131/2003, cit. (11.10.2013
-
link a
www.regione.fvg.it). |
LAVORI PUBBLICI: Fondi ai mini-enti, si parte.
I 100 milioni stanziati saranno disponibili dal 24/10.
Pubblicati in G.U. la convenzione tra ministero e Anci e il
successivo atto aggiuntivo.
I 100 milioni di euro del Programma «6000 campanili» saranno
ufficialmente in gioco a partire dal 24.10.2013, giorno
di apertura dello sportello per presentare domanda. Sono
stati infatti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 9
ottobre scorso la Convenzione sottoscritta il 29.08.2013
tra il ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Anci
e il successivo Atto Aggiuntivo del 25.09.2013.
La pubblicazione fa quindi scattare i 15 giorni previsti per
l'avvio dello sportello di presentazione. Sui siti internet
del ministero di riferimento www.mit.gov.it e di Anci
www.anci.it sono state inoltre pubblicate le prime Faq
relative al programma.
Beneficiari i comuni fino a 5 mila abitanti. Possono
presentare domanda di contributo finanziario i comuni che,
sulla base dei dati anagrafici risultanti dal censimento
della popolazione 2011, avevano una popolazione inferiore ai
5 mila abitanti, anche in associazione tra di loro.
Finanziati interventi infrastrutturali e messa in sicurezza.
Sono finanziabili interventi infrastrutturali di
adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici
pubblici ivi compresi gli interventi relativi all'adozione
di misure antisismiche. Inoltre, sono finanziabili
interventi per la realizzazione e manutenzione di reti
viarie e infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse
o reti telematiche di Ngn e Wi-fi, nonché interventi sulle
reti viarie di competenza comunale ivi compresi gli
eventuali lavori connessi a sottostanti sottoservizi.
Infine, rientrano interventi per la salvaguardia e messa in
sicurezza del territorio.
Finanziamento fino a un milione di euro. Ogni comune
interessato potrà presentare un solo progetto anche
comprendente più opere connesse funzionalmente. L'importo
del finanziamento richiesto non potrà essere inferiore a 500
mila e superiore a 1 milione di euro.
Istanza via Pec. L'istanza di finanziamento, firmata
digitalmente, dovrà essere inoltrata esclusivamente per
Posta elettronica certificata (Pec), all'indirizzo
pec@6000campanili.anci.it a partire dalle ore 9,00 del
giorno 24.10.2013. Lo sportello rimarrà aperto per 60
giorni. È prevista una riserva di progetti finalizzata a
finanziare almeno un progetto per regione/provincia autonoma
tenendo sempre conto dell'ordine cronologico di ricezione
delle richieste.
Necessaria una delibera di giunta successiva al 9 ottobre.
All'istanza dovrà essere allegata una delibera di giunta di
approvazione della richiesta di contributo finanziario,
nomina del responsabile del procedimento, approvazione della
relazione illustrativa dell'intervento e del approvazione
del disciplinare. Oltre alla delibera di giunta, dovrà
essere inviata una relazione illustrativa del Rup, apposita
per la richiesta di finanziamento, nella quale saranno
indicati la natura e le caratteristiche principali
dell'intervento, lo stato di avanzamento delle attività
procedurali, l'elenco dei pareri e permessi, la delibera, il
cronoprogramma dei lavori e il Quadro economico
dell'intervento.
Il richiedente dovrà inoltre produrre gli
elaborati grafici idonei a consentire l'inquadramento
generale dell'intervento. Infine, dovranno essere allegati
una dichiarazione con indicazione del codice Iban e lo
«Schema di disciplinare» compilato
(articolo ItaliaOggi dell'11.10.2013). |
APPALTI:
Ai sensi dell’art. 120,
comma 5, cod. proc. amm., il termine decadenziale di
impugnazione, pari a 30 giorni, decorre “dalla ricezione
della comunicazione di cui all’art. 79” del d.lgs. n.
163/2006 (ndr: Art. 79 - Informazioni circa i mancati
inviti, le esclusioni e le aggiudicazioni), “ovvero, in ogni
altro caso, dalla conoscenza dell’atto”.
Invero, come osservato da Cons. Stato, sez. VI, n.
6531/2011:
-- l’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006 è stato novellato dal
d.lgs. n. 53/2010, al fine di garantire, attraverso forme
puntuali di comunicazione, piena conoscenza e certezza della
data di conoscenza in relazione agli atti di gara
(segnatamente, esclusioni e aggiudicazioni);
-- la norma, tuttavia, da un lato, non prevede le elencate
forme di comunicazione come ‘esclusive’ e ‘tassative’ e,
d’altro lato, non incide sulle regole generali del processo
amministrativo, in tema di decorrenza dei termini di
impugnazione dalla data di notificazione, comunicazione o
comunque piena conoscenza dell’atto; sicché lascia in vita
la possibilità che la piena conoscenza dell’atto, al fine
del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita con
altre forme, ovviamente con onere della prova a carico di
chi la eccepisce;
-- essa neppure ha inteso incidere sulla consolidata
giurisprudenza in tema di decorrenza del termine di
impugnazione dalla data della seduta pubblica in cui vengono
adottati i provvedimenti di esclusione, se alla seduta è
presente il rappresentante del concorrente e purché la
conoscenza abbia i requisiti di ‘pienezza’;
-- a sua volta, l’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. si
riferisce all’impugnazione di tutti gli atti delle procedure
di affidamento, e fissa plurime decorrenze dei termini, o
dalla ricezione della comunicazione ex art. 79, o, per i
bandi, dalla pubblicazione ex art. 66, comma 8, del d.lgs.
n. 163/2006, ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza
dell’atto;
-- l’espressione “in ogni altro caso”, non va riferita ad
‘atti diversi’ da quelli delle procedure di affidamento, e
specificamente da quelli di cui all’art. 79 del d.lgs. n.
163/2006, ma va riferita a ‘diverse forme’ di conoscenza
dell’atto, diverse, cioè, da quelle dell’art. 79 e dell’art.
66, comma 8;
-- così interpretato, l’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. è
coerente con la regola generale dettata dal precedente art.
41, comma 2, secondo cui il termine di impugnazione del
provvedimento amministrativo decorre dalla notificazione,
comunicazione o piena conoscenza dell’atto;
-- pertanto, esso non ha inteso fissare forme tassative di
comunicazione degli atti di gara al fine della decorrenza
del termine di impugnazione, ma ha inteso ribadire la regola
generale secondo cui il termine decadenziale di impugnazione
decorre o dalla comunicazione nelle forme di legge, o
comunque dalla piena conoscenza dell’atto;
-- così, a prescindere dalla comunicazione nelle forme
dell’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006, detto termine decorre,
comunque, dalla piena conoscenza altrimenti acquisita.
---------------
Se l’impresa assiste, tramite proprio rappresentante, alla
seduta in cui vengono adottate le determinazioni sulle
offerte anomale, è in detta seduta che essa acquisisce la
piena conoscenza del provvedimento, ed è dalla data di detta
seduta che decorre il termine per impugnare il provvedimento
medesimo: la presenza di un rappresentante della ditta
concorrente nella riunione nella quale la commissione
giudicatrice ha escluso la ditta stessa dalla competizione
non comporta, infatti, ex se, piena conoscenza dell’atto di
esclusione ai fini della decorrenza del termine per
l’impugnazione, solo qualora non risulti che il
rappresentante stesso era all’uopo incaricato oppure
rivestiva una specifica carica sociale, onde potersi
riferire la conoscenza avuta dal medesimo all’impresa
concorrente.
Considerato, in rito, che:
- il ricorso introduttivo del presente giudizio risulta
notificato (in data 22.08.2013) oltre il termine
perentorio di 30 giorni ex art. 120, comma 5, cod. proc. amm.,
decorrente dalla piena conoscenza –perfezionatasi non oltre
la seduta pubblica del 29.06.2013– dell’atto impugnato
nei suoi contenuti essenziali e nella sua portata lesiva;
- in questo senso, giova rammentare che, già nella seduta
pubblica del 28.06.2013, alla quale aveva assistito
assistito il soggetto (Votino Giuseppe) all’uopo delegato
dalla Irpinia Global Service, il presidente del seggio di
gara aveva comunicato la motivata esclusione della
ricorrente (“il presidente dà lettura delle motivazioni per
le quali la ditta Irpinia Global Service va esclusa
(allegato A)”: “la società Irpinia Global Service –recita
l’allegato A al verbale di gara n. 2 del 28.06.2013– si
è avvalsa di una ditta ausiliaria per il requisito di ordine
economico-finanziario del fatturato globale, cumulando a
quello proprio parte di quello posseduto dall’impresa
ausiliaria (avvalimento parziale) … tale possibilità è
esclusa dall’art. 49, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006”; “il
contratto di avvalimento non rispetta le prescrizioni del
disciplinare di gara di cui al paragrafo 16, punto 9, ove
prevede che il contratto deve riportare in modo compiuto,
esplicito ed esauriente le risorse e i mezzi prestati in
modo determinato e specifico nonché la durata del
contratto”);
- inoltre, nella successiva seduta pubblica del 29.06.2013, alla quale pure aveva assistito il soggetto (Iazzetta
Ferdinando) all’uopo delegato dalla Irpinia Global Service,
il presidente del seggio di gara aveva comunicato che,
“anche in presenza delle osservazioni formulate nella seduta
del 28.06.2013, si conferma l’esclusione dalla gara
della ditta Irpinia Global Service per le motivazioni di cui
all’allegato A al verbale del 28.06.2013”;
- ciò posto, occorre, a questo punto, rimarcare che, ai
sensi dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm., il termine
decadenziale di impugnazione, pari a 30 giorni, decorre
“dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79” del
d.lgs. n. 163/2006, “ovvero, in ogni altro caso, dalla
conoscenza dell’atto”;
- ora, non è ipotizzabile che tale disposizione ancori la
decorrenza del termine decadenziale di impugnazione degli
atti contemplati dal comma 5 dell’art. 79 del d.lgs. n.
163/2006 (tra cui l’esclusione, sub lett. b) alle sole forme
di comunicazione scritta previste dal successivo comma 5-bis
(raccomandata con avviso di ricevimento, fax, posta
elettronica certificata, notificazione) –come quella
impiegata con la nota del 02.07.2013, prot. n. 3059– e
non anche a modalità diverse di conoscenza –quale, appunto,
quella attuata nella seduta pubblica del 29.06.2013–;
- ed invero, come osservato da Cons. Stato, sez. VI, n.
6531/2011:
-- l’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006 è stato
novellato dal d.lgs. n. 53/2010, al fine di garantire,
attraverso forme puntuali di comunicazione, piena conoscenza
e certezza della data di conoscenza in relazione agli atti
di gara (segnatamente, esclusioni e aggiudicazioni);
-- la
norma, tuttavia, da un lato, non prevede le elencate forme
di comunicazione come ‘esclusive’ e ‘tassative’ e, d’altro
lato, non incide sulle regole generali del processo
amministrativo, in tema di decorrenza dei termini di
impugnazione dalla data di notificazione, comunicazione o
comunque piena conoscenza dell’atto; sicché lascia in vita
la possibilità che la piena conoscenza dell’atto, al fine
del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita con
altre forme, ovviamente con onere della prova a carico di
chi la eccepisce;
-- essa neppure ha inteso incidere sulla
consolidata giurisprudenza in tema di decorrenza del termine
di impugnazione dalla data della seduta pubblica in cui
vengono adottati i provvedimenti di esclusione, se alla
seduta è presente il rappresentante del concorrente e purché
la conoscenza abbia i requisiti di ‘pienezza’;
-- a sua
volta, l’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. si riferisce
all’impugnazione di tutti gli atti delle procedure di
affidamento, e fissa plurime decorrenze dei termini, o dalla
ricezione della comunicazione ex art. 79, o, per i bandi,
dalla pubblicazione ex art. 66, comma 8, del d.lgs. n.
163/2006, ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza
dell’atto;
-- l’espressione “in ogni altro caso”, non va
riferita ad ‘atti diversi’ da quelli delle procedure di
affidamento, e specificamente da quelli di cui all’art. 79
del d.lgs. n. 163/2006, ma va riferita a ‘diverse forme’ di
conoscenza dell’atto, diverse, cioè, da quelle dell’art. 79
e dell’art. 66, comma 8;
-- così interpretato, l’art. 120,
comma 5, cod. proc. amm. è coerente con la regola generale
dettata dal precedente art. 41, comma 2, secondo cui il
termine di impugnazione del provvedimento amministrativo
decorre dalla notificazione, comunicazione o piena
conoscenza dell’atto;
-- pertanto, esso non ha inteso
fissare forme tassative di comunicazione degli atti di gara
al fine della decorrenza del termine di impugnazione, ma ha
inteso ribadire la regola generale secondo cui il termine
decadenziale di impugnazione decorre o dalla comunicazione
nelle forme di legge, o comunque dalla piena conoscenza
dell’atto;
-- così, a prescindere dalla comunicazione nelle
forme dell’art. 79 del d.lgs. n. 163/2006, detto termine
decorre, comunque, dalla piena conoscenza altrimenti
acquisita;
- nella specie, sussistono –come accennato– gli estremi
della piena conoscenza dell’atto da impugnare sia nei suoi
contenuti essenziali sia nella sua portata lesiva;
- in particolare, già nelle sedute pubbliche del 28.06.2013 e del 29.06.2013, sono stati comunicati e
confermati sia il provvedimento di esclusione sia i motivi a
suo fondamento ed era presente il soggetto all’uopo delegato
dall’impresa esclusa, identificato nominativamente nel
verbale di gara;
- a tale ultimo riguardo, la giurisprudenza afferma che, se
l’impresa assiste, tramite proprio rappresentante, alla
seduta in cui vengono adottate le determinazioni sulle
offerte anomale, è in detta seduta che essa acquisisce la
piena conoscenza del provvedimento, ed è dalla data di detta
seduta che decorre il termine per impugnare il provvedimento
medesimo: la presenza di un rappresentante della ditta
concorrente nella riunione nella quale la commissione
giudicatrice ha escluso la ditta stessa dalla competizione
non comporta, infatti, ex se, piena conoscenza dell’atto di
esclusione ai fini della decorrenza del termine per
l’impugnazione, solo qualora non risulti che il
rappresentante stesso era all’uopo incaricato oppure
rivestiva una specifica carica sociale, onde potersi
riferire la conoscenza avuta dal medesimo all’impresa
concorrente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1217/1999; sez.
V, n. 6319/2004; n. 5728/2006; n. 2883/2008) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 10.10.2013 n. 4556 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' la valutazione di
incongruità, ovvero di anomalia dell’offerta a soggiacere ad
un serrato e stingente onere di motivazione, che deve
possedere i caratteri della analiticità e completezza,
laddove il giudizio positivo di congruità non richiede, di
regola, l’espressione di una motivazione parimenti
dettagliata, potendo essere formulato per relationem con
riferimento alle giustificazioni e agli elementi integrativi
di giudizio forniti dall’impresa in sede di espletamento del
sub procedimento di valutazione dell’offerta anomala.
Invero, “nelle gare di appalto, mentre il provvedimento
amministrativo che ritiene l’offerta anomala deve essere
puntualmente motivato, quello che ritiene l’offerta non
anomala non abbisogna di una motivazione analitica, essendo
sufficiente anche un rinvio alle argomentazioni e
giustificazioni della parte che ha formulato l’offerta
sottoposta a verifica con esito positivo”.
Più specificamente si è più di recente chiarito affermato
che “Nelle gare pubbliche d'appalto il giudizio positivo di
congruità dell' offerta anomala non richiede un'articolata
motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni
ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una
motivazione espressa per relationem alle giustificazioni
stesse, purché a loro volta queste siano state congrue ed
adeguate” e che “In materia di gare di appalto nel caso in
cui la valutazione sull' offerta sospetta di anomalia si
traduca in un giudizio di congruità , non è necessario che
il provvedimento finale sia sorretto da una motivazione
articolata che descriva le singole giustificazioni
corredandole con apprezzamenti ulteriori, essendo
sufficiente anche una motivazione espressa per relationem
alle giustificazioni”.
Su tale scia si era già precisato che “il giudizio di
positiva attendibilità sull'offerta non richiede una
analitica motivazione e può essere anche avvalorato per
relationem con riferimento alle giustificazioni presentate
dall'interessato che, si ripete, rilevano nel loro
complesso, poiché l'attendibilità è questione complessiva e
l'inattendibilità non discende ex se dall'errore in una
singola argomentazione”.
Rimarca peraltro il Collegio che il naturale limite
consustanziale al delineato indirizzo ermeneutico va
ravvisato nell’adeguatezza e congruità, che si traduce poi
nell’attendibilità, delle giustificazioni fornite
dall’impresa scrutinata, carattere che solo può conferire
alle stesse l’attitudine a fungere da elemento di
riferimento su cui misurare per relationem il giudizio di
congruità.
E’ infatti evidente che ove le giustificazioni prodotte
dall’impresa a suffragio della pretesa congruità
dell’offerta non siano munite del pregio della persuasività
ed analiticità, le stesse non possono assurgere ad elemento
sul quale la stazione appaltante può motivare per relationem
la bontà della proposta contrattuale.
Invero il Consiglio di Stato ha efficacemente puntualizzato
l’assunto in parola avendo precisato “in termini generali,
che il giudizio positivo di congruità dell'offerta non
richiede un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime
giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente
anche una motivazione espressa per relationem alle
giustificazioni stesse, purché a loro volta queste siano
state congrue ed adeguate”.
Non sfugge alla Sezione l’approdo cui è pervenuta la
giurisprudenza amministrativa in subiecta materia, avendo
attinto e più volte ribadito il principio di diritto in
ossequio al quale è la valutazione di incongruità, ovvero di
anomalia dell’offerta a soggiacere ad un serrato e stingente
onere di motivazione, che deve possedere i caratteri della
analiticità e completezza, laddove il giudizio positivo di
congruità non richiede, di regola, l’espressione di una
motivazione parimenti dettagliata, potendo essere formulato
per relationem con riferimento alle giustificazioni e agli
elementi integrativi di giudizio forniti dall’impresa in
sede di espletamento del sub procedimento di valutazione
dell’offerta anomala.
Si rammenta che si è precisato che “nelle gare di appalto,
mentre il provvedimento amministrativo che ritiene l’offerta
anomala deve essere puntualmente motivato, quello che
ritiene l’offerta non anomala non abbisogna di una
motivazione analitica, essendo sufficiente anche un rinvio
alle argomentazioni e giustificazioni della parte che ha
formulato l’offerta sottoposta a verifica con esito
positivo” (Cons. Stato, Sez. VI, 03.04.2002 n. 1853;
Cons. Stato, Sez. VI, 08.03.2004 n. 1080, C.G.A., 29.01.2007 n. 5).
Più specificamente si è più di recente chiarito affermato
che “Nelle gare pubbliche d'appalto il giudizio positivo di
congruità dell' offerta anomala non richiede un'articolata
motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni
ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una
motivazione espressa per relationem alle giustificazioni
stesse, purché a loro volta queste siano state congrue ed
adeguate” (TAR Toscana Firenze Sez. I, 28.01.2013, n.
141) e che “In materia di gare di appalto nel caso in cui
la valutazione sull' offerta sospetta di anomalia si traduca
in un giudizio di congruità , non è necessario che il
provvedimento finale sia sorretto da una motivazione
articolata che descriva le singole giustificazioni
corredandole con apprezzamenti ulteriori, essendo
sufficiente anche una motivazione espressa per relationem
alle giustificazioni” (TAR Lombardia Milano Sez. I,
23.02.2012, n. 593).
Su tale scia si era già precisato che “il giudizio di
positiva attendibilità sull'offerta non richiede una
analitica motivazione e può essere anche avvalorato per relationem con riferimento alle giustificazioni presentate
dall'interessato che, si ripete, rilevano nel loro
complesso, poiché l'attendibilità è questione complessiva e
l'inattendibilità non discende ex se dall'errore in una
singola argomentazione” (TAR Piemonte Torino Sez. I,
27.01.2011, n. 115).
Rimarca peraltro il Collegio che il naturale limite
consustanziale al delineato indirizzo ermeneutico va
ravvisato nell’adeguatezza e congruità, che si traduce poi
nell’attendibilità, delle giustificazioni fornite
dall’impresa scrutinata, carattere che solo può conferire
alle stesse l’attitudine a fungere da elemento di
riferimento su cui misurare per relationem il giudizio di
congruità.
E’ infatti evidente che ove le giustificazioni prodotte
dall’impresa a suffragio della pretesa congruità
dell’offerta non siano munite del pregio della persuasività
ed analiticità, le stesse non possono assurgere ad elemento
sul quale la stazione appaltante può motivare per relationem
la bontà della proposta contrattuale.
Invero il Consiglio di Stato ha efficacemente puntualizzato
l’assunto in parola avendo precisato “in termini generali,
che il giudizio positivo di congruità dell'offerta non
richiede un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime
giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente
anche una motivazione espressa per relationem alle
giustificazioni stesse, purché a loro volta queste siano
state congrue ed adeguate (cfr. per tutte Cons. Stato, sez.
V, 10.09.2012, n. 4785)” (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 10.10.2013 n. 4532 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In caso di gare requisiti «in prestito» da più imprese.
Corte europea. Sì all'avvalimento plurimo.
Non più una sola impresa in soccorso per prestare a un'altra
i requisiti necessari a partecipare a una gara d'appalto di
lavori. Da quando la Corte di giustizia europea ha bocciato
il divieto italiano di avvalimento plurimo (ovvero di
prestito dei requisiti tecnici) ora è possibile presentarsi
in gara con più imprese ausiliarie.
Dopo la
sentenza 10.10.2013 n. C-94/12 della Corte di giustizia è caduta la previsione contenuta
al l'articolo 49, comma 6, del Dlgs 163/2006 (Codice degli
Appalti), secondo cui il concorrente che partecipa a una
gara di appalto di lavori per soddisfare i requisiti si può
avvalere di una sola impresa ausiliaria per ciascuna
categoria di qualificazione indicata nel bando. La norma è
stata ritenuta in contrasto con la direttiva 2004/18/CE.
L'attuale formulazione del l'articolo 49, comma 6, era
peraltro già il frutto di un adeguamento dell'originaria
previsione che limitava l'avvalimento plurimo anche agli
appalti di servizi e di forniture. All'esito di una
procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea
con il Dlgs 152/2008 il legislatore aveva modificato la
previsione nel senso oggi vigente.
Il contrasto tra le due legislazioni, quella comunitaria e
quella nazionale, riflette due diverse esigenze. Infatti il
legislatore italiano si preoccupa di tutelare la stazione
appaltante che deve poter selezionare un operatore privato
in grado di eseguire correttamente il contratto di appalto:
questa esigenza sarebbe messa a rischio nel caso in cui il
concorrente né direttamente né tramite l'ausiliaria sia in
grado di possedere integralmente i requisiti di
qualificazione richiesti.
L'obiettivo principale della direttiva comunitaria è,
invece, «l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza
nella misura più ampia possibile» in modo da «facilitare
l'accesso delle piccole e medie imprese». Imporre invece
un'impresa ausiliaria unica significherebbe non solo
introdurre un vincolo che non trova corrispondenza in alcuna
previsione della direttiva, ma significherebbe anche
frustrare questo obiettivo.
Secondo la Corte quindi l'avvalimento deve essere utilizzato
in modo coerente con la finalità di favorire la più ampia
apertura del mercato, il che significa che di regola gli
operatori potranno dimostrare il possesso dei requisiti di
qualificazione richiesti, avvalendosi di due o più imprese e
quindi sommando le loro attestazioni Soa al fine di
raggiungere la categoria e la classifica richieste. Allo
stesso modo, sarà possibile per il concorrente cumulare i
propri requisiti a quelli della o delle imprese ausiliarie.
Indipendentemente dal numero delle ausiliarie, a dover
essere sempre verificata sarà invece l'effettiva messa a
disposizione delle risorse, in modo da evitare che i
contratti di avvalimento si traducano in mere previsioni di
stile.
Certo, la Corte non nega che si possano manifestare
situazioni in cui, in considerazione del l'importo dei
lavori o della peculiarità degli stessi, sia necessario –prevedendolo prima nel bando– che i requisiti debbano
essere posseduti da un unico soggetto (o da un numero
limitato di soggetti). Ma si tratta comunque di ipotesi
eccezionali lasciate alla discrezionalità della stazione
appaltante che andranno motivate (articolo Il Sole 24 Ore del
25.11.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Corte
europea.
Avvalimento plurimo ammesso.
Va ammesso l'avvalimento plurimo per qualificarsi negli
appalti di lavori; è quindi illegittimo l'articolo 49, comma
6 del Codice dei contratti pubblici.
È quanto afferma la
sentenza 10.10.2013 n. C-94/12
della Corte di giustizia
europea, che si è
espresso sulla pregiudiziale del Tar Marche per una gara
bandita dalla provincia di Fermo.
In particolare una
impresa, violando il divieto di avvalimento plurimo previsto
per i lavori dall'art. 49, comma 6 del Codice dei contratti,
aveva dimostrato i requisiti di qualificazione in una
categoria avvalendosi di più imprese, per dimostrare i
requisiti di una specifica categoria. I giudici europei
bocciano la norma italiana preliminarmente ricordando che la
direttiva europea autorizza i raggruppamenti di operatori
economici a partecipare a procedure di appalti pubblici
senza limitazioni relative al cumulo di capacità e a
subappaltatori.
Inoltre la precedente la giurisprudenza
della stessa Corte aveva già ammesso la facoltà, per un
operatore economico, di avvalersi, per eseguire un appalto,
di mezzi appartenenti ad uno o a svariati altri soggetti,
eventualmente in aggiunta ai propri mezzi. Così facendo
infatti si persegue l'obiettivo dell'apertura degli appalti
pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile,
obiettivo perseguito dalle direttive a vantaggio non
soltanto degli operatori economici, ma anche delle
amministrazioni aggiudicatrici, facilitando l'accesso delle
piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
In relazione
a tali presupposti la Corte afferma che la norma del Codice,
prevedendo un divieto di carattere generale, non risulta
conforme alla direttiva 2004/18 e quindi implicitamente
costringerà il legislatore italiano ad una dovuta modifica
per evitare una procedura di infrazione.
La pronuncia, in
realtà ammette che, per lavori che presentino peculiarità
tali da richiedere una determinata capacità che non si
ottiene associando capacità inferiori di più operatori, si
possa limitare l'avvalimento ma ciò deve rappresentare una
eccezione, connessa e proporzionata all'oggetto dell'appalto
singolo e non una regola generale
(articolo ItaliaOggi dell'11.10.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Lavori pubblici. Le imprese potranno qualificarsi con le
caratteristiche di aziende nella stessa categoria di opere.
In gara con più requisiti in prestito.
La Corte Ue cancella il divieto di «avvalimento plurimo» dal
Codice dei contratti.
IL VANTAGGIO/
Sono soprattutto le Pmi ad «appoggiarsi» ad altre società
per conquistare l'ammissione agli appalti.
Via libera all'avvalimento «plurimo» nel settore dei lavori
pubblici. In nome dei principi di concorrenza, libertà di
organizzazione dell'impresa e massima apertura del mercato
degli appalti alle Pmi,
la Corte di Giustizia
dell’Ue, con
sentenza 10.10.2013 n. C-94/12,
cancella la norma che impone a chi partecipa a una gara
pubblica di avvalersi dei requisiti posseduti da una sola
impresa per ciascuna categoria di lavori.
Il paletto imposto dal codice dei contratti pubblici (Dlgs
163/2006, articolo 49, comma 6) contrasta con la direttiva
europea sugli appalti (2004/18/Ce). D'ora in avanti, dunque,
un costruttore potrà partecipare a una gara di lavori
dimostrando di poter contare sui requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi facendo leva su
più imprese per la stessa tipologia di lavoro.
In sintesi è questo il principio stabilito dalla Corte di
Giustizia europea, arrivata rapidamente a sentenza sul caso
sottoposto la settimana scorsa dal Tar Marche in relazione
al ricorso di una società esclusa da una gara d'appalto
perché "accompagnata" in gara da più di un impresa
ausiliaria.
Cade dunque il paletto secondo cui «un solo avvalimento deve
essere sufficiente ad integrare i requisiti che il
concorrente non possiede», come ricordava anche l'Autorità
nella determinazione numero 2/2012, dedicata proprio a
fornire le linee guida a stazioni appaltanti e imprese
sull'utilizzo dell'avvalimento nelle procedure di gara.
Si tratta di una questione molto dibattuta in Italia, che ha
dato adito anche a orientamenti ondivaghi della
giurisprudenza. Rispetto alle indicazioni molto rigorose
previste dal codice dei contratti che vietano esplicitamente
di ricorrere ai mezzi di più di un'impresa "garante" per
eseguire le lavorazioni previste da un appalto, le norme
europee (articoli 47 e 48 della direttiva 2004/18/Ce),
mantengono un'impostazione molto più "aperta". E infatti,
ricorda ora la Corte Ue, «la direttiva non vieta ai
candidati di fare riferimento alle capacità di più soggetti
terzi per comprovare che soddisfano un livello minimo di
capacità o i criteri fissati da un'amministrazione
aggiudicatrice». Anzi, la giurisprudenza europea, ricorda la
Corte, «ha indicato la facoltà, per un operatore economico,
di avvalersi, per eseguire un appalto, di mezzi appartenenti
ad uno o a svariati altri soggetti, eventualmente in
aggiunta ai propri mezzi».
Secondo i giudici Ue,
«un'interpretazione del genere è conforme all'obiettivo
dell'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella
misura più ampia possibile, obiettivo perseguito dalle
direttive a vantaggio non soltanto degli operatori
economici, ma anche delle amministrazioni aggiudicatrici,
facilitando l'accesso delle piccole e medie imprese agli
appalti pubblici».
La Corte non esclude «l'esistenza di lavori che presentino
peculiarità tali da richiedere una determinata capacità che
non si ottiene associando capacità inferiori di più
operatori». In un'ipotesi del genere, continua la Corte
«l'amministrazione aggiudicatrice potrebbe legittimamente
esigere che il livello minimo della capacità in questione
sia raggiunto da un operatore economico unico o da un numero
limitato di operatori economici». Il punto è che deve
trattarsi di «una situazione eccezionale» è non di «una
regola generale».
Conclusione: il no all'avvalimento plurimo imposto dal
codice contrasta con le norme europee e da ora in poi va
disapplicato. Restano invece ancora in piedi gli altri due
paletti previsti dal codice: quello che impone all'impresa
ausiliaria (la società che presta i requisiti) di
partecipare alla medesima gara in proprio e il divieto per
la stessa impresa ausiliaria di prestare i requisiti a più
di un concorrente in gara (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.10.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Appalti, illegittime le norme italiane che vietano
attestazioni di più soggetti per lavori della stessa
categoria.
Ancora una volta la Corte di Giustizia bacchetta l'Italia,
stavolta in materia di appalti pubblici. Secondo gli
eurogiudici, infatti, è contrario al
diritto dell'Unione il divieto generale di avvalimento
plurimo all'interno della medesima categoria di
qualificazione previsto dal nostro ordinamento. Si tratta,
più precisamente, del divieto imposto ad una impresa di
avvalersi di mezzi appartenenti ad uno o a più soggetti,
nell'eventualità in aggiunta ai propri, secondo quanto
disposto dal Codice dei Contratti pubblici.
Il caso
Davanti al TAR per le Marche pende una controversia che vede
contrapposti, da un lato, la Swm Costruzioni 2 SpA e la
Mannocchi Luigino DI, che hanno costituito un Raggruppamento
Temporaneo di Imprese (RTI), e, dall’altro, la Provincia di
Fermo, a seguito della decisione di quest’ultima di
escludere il citato RTI dalla procedura di aggiudicazione di
un appalto pubblico di lavori.
In pratica, le due imprese di costruzioni sono state escluse
dall’appalto dalla Provincia di Fermo per aver costituito un
raggruppamento temporaneo d’impresa.
L’atto impugnato dinanzi al TAR è, per l’appunto, la
decisione della Provincia di Fermo.
Il giudice amministrativo italiano, a sua volta, ha ritenuto
opportuno proporre alla Corte di Giustizia dell’Ue una
domanda di pronuncia pregiudiziale vertente
sull’interpretazione dell’art. 47, paragrafo 2, della
direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi.
In particolare, il giudice del rinvio chiede se gli articoli
47, paragrafo 2, e 48, paragrafo 3, della direttiva 2004/18
debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una
disposizione nazionale che vieta agli operatori economici
partecipanti ad una procedura di aggiudicazione di un
appalto pubblico di lavori di fare valere, per una medesima
categoria di qualificazione, le capacità di più imprese.
La decisione della Corte
La Corte di Giustizia dell’Ue, con
sentenza 10.10.2013 n. C-94/12,
ha ribadito che alla luce del combinato disposto degli
articoli 47, par. 2, 48, par. 3 e 44, par. 2 della direttiva
2004/18 sugli appalti pubblici, una normativa nazionale non
può vietare agli operatori economici che partecipano ad una
procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori
di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione,
delle capacità di più imprese.
L’articolo 47, al paragrafo 1, lettera c), della direttiva
sugli appalti pubblici prevede che l’amministrazione
aggiudicatrice possa chiedere ai candidati o agli offerenti
di provare la loro capacità economica e finanziaria mediante
una dichiarazione concernente il fatturato globale nonché il
fatturato del settore di attività oggetto dell’appalto, così
come la prova delle loro capacità tecniche attraverso la
presentazione dell’elenco dei lavori eseguiti negli ultimi
cinque anni (art. 48, direttiva 2004/18).
Ciò posto –come rilevato anche dall’Avvocato generale al
paragrafo 18 delle sue conclusioni– tali disposizioni non
vietano, in via di principio, ai candidati o agli offerenti
di fare riferimento alle capacità di più soggetti terzi per
comprovare che soddisfano un livello minimo di capacità
richiesta da un’amministrazione aggiudicatrice.
Tra l’altro, la Corte richiamando la giurisprudenza, afferma
che un operatore economico può avvalersi, per eseguire un
appalto, di mezzi appartenenti ad uno o a svariati altri
soggetti, eventualmente in aggiunta ai propri mezzi.
Pertanto, deve considerarsi ammesso il cumulo delle capacità
di più operatori economici per soddisfare i requisiti minimi
di capacità imposti dall’amministrazione aggiudicatrice,
purché alla stessa si dimostri che il candidato o
l’offerente che si avvale delle capacità di uno o di
svariati altri soggetti disporrà effettivamente dei mezzi di
questi ultimi che sono necessari all’esecuzione
dell’appalto.
In definitiva, la Corte, con la sentenza in commento, ha
dichiarato che la normativa europea in materia di appalti
(in particolare, gli articoli 47, paragrafo 2, e 48,
paragrafo 3, della direttiva 2004/18/CE, letti in combinato
disposto con l’art. 44, paragrafo 2) non ammette che una
disposizione di uno Stato Membro –nella specie, l’Italia con
l’art. 49, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei
Contratti pubblici)– vieti, in via generale, agli operatori
economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione
di un appalto pubblico di lavori, di avvalersi delle
capacità di più imprese, per una stessa categoria di
qualificazione.
I possibili impatti pratico-operativi
Ancora una volta, dunque, la Corte di Giustizia ha
bacchettato l’Italia, stavolta in materia di appalti
pubblici.
A livello comunitario, la direttiva 2004/18/CE, che ha
provveduto ad unificare tutte le norme comunitarie in
materia di appalti pubblici (a parte i c.d. “settore
speciali”, cioè quelli relativi agli enti erogatori di
acqua e di energia e agli enti che forniscono servizi di
trasporto e servizi postali, per i quali è stata
contestualmente emanata la direttiva 2004/17/CE), ha come
scopo l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza
nella misura più ampia possibile, al fine di avvantaggiare
non soltanto gli operatori economici, ma anche le
amministrazioni aggiudicatrici.
Come rilevato dall’avvocato generale, la direttiva sugli
appalti tende anche a facilitare l’accesso delle piccole e
medie imprese agli appalti pubblici.
Pertanto, una disposizione nazionale –come quella italiana–
non può vietare agli operatori economici partecipanti ad una
procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di fare
valere le capacità di più imprese.
Gli eurogiudici hanno dimostrato di non gradire
l’interpretazione restrittiva che il nostro legislatore –con
la norma del Codice dei contratti– ha fornito sugli RTI e
sull’avvalimento nelle attestazioni SOA, ritenendola perciò
contraria al diritto dell’Unione.
Nella normativa europea, piuttosto, si rinviene chiaramente,
un atteggiamento di “favore” volto a “favorire
l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti
pubblici”, che ben possono, pertanto, mettersi insieme
(in una RTI) per poter soddisfare i requisiti minimi di
partecipazione contemplati dalle procedure di gara (CGUE, V
Sez.,
sentenza 10.10.2013 n. C-94/12 - commento tratto
da www.ipsoa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Istruzioni per la Valutazione Affidabilistica della
Sicurezza Sismica di Edifici Esistenti (Consiglio
Nazionale delle Ricerche, Commissione di studio per la
predisposizione e l'analisi di norme tecniche relative alle
costruzioni, 10.10.2013). |
APPALTI:
E. Gregoraci,
La (ir)rilevanza di precedenti esperienze analoghe
nell’aggiudicazione di contratti pubblici di lavori, servizi
e forniture - Nota a sentenza del Consiglio di Stato, n.
4405 del 04.09.2013 (10.10.2013 - link a
www.filodiritto.com). |
APPALTI:
Segnalazione ai sensi dell’art. 6, comma 7, lettera f),
del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 - Efficacia della
sanzione di cui al comma 1-ter dell’art. 38 del Codice dei
contratti (atto
di segnalazione
09.10.2013 n. 5
- link a
www.autoritalavoripubblici.it).
---------------
Avcp segnala l'esigenza di cambiare il Codice.
La lieve sanzione non mini il contratto.
Garantire la stipula del contratto in caso di lieve sanzione
irrogata a seguito di false dichiarazioni rese in gara dal
concorrente.
È quanto chiede, proponendo una apposita
modifica al Codice dei contratti pubblici, l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici presieduta da Sergio
Santoro con la
segnalazione
09.10.2013 n. 5 a
Governo e Parlamento per intervenire sull'attuale
formulazione dell'art. 38, comma 1, lett. h), del Codice dei
contratti pubblici.
La norma impone alle stazioni appaltanti
di escludere i soggetti (imprese, professionisti e ogni
altro aspirante all'aggiudicazione di contratti pubblici)
che risultino iscritti, a seguito di una apposita procedura
in contraddittorio gestita dall'Autorità, nel casellario
informatico dell'Osservatorio per presentazione in gara di
documentazione falsa o di dichiarazioni false relativamente
a requisiti o a condizioni rilevanti per la partecipazione
alla procedura di affidamento.
L'organismo di vigilanza
segnala un aspetto di particolare rigidità della norma che
andrebbe rettificato; fa presente che un operatore
economico, a cui sia stata inibita la partecipazione alle
gare per un breve periodo di tempo (ad esempio 15 giorni) in
ragione della lievità dei fatti, possa in concreto venire
espulso dalle fasi di gara successive alla presentazione
dell'offerta/domanda, con l'effetto di dilatare, nella
pratica, l'efficacia della sanzione fino ad abbracciare un
periodo molto più lungo di quello indicato nel
provvedimento. Ciò determina, afferma l'Autorità, un'ultrattività
della sanzione che arriva a coprire l'intero arco temporale
dello svolgimento delle operazioni di gara.
La proposta
dell'Authority è quindi quella di prevedere che la sanzione
non impedisca al concorrente la stipulazione del contratto
quando l'annotazione nel casellario sia intervenuta
successivamente alla scadenza fissata per la presentazione
della domanda di partecipazione o dell'offerta (data in cui,
pertanto, l'operatore era in possesso del requisito in
parola) e l'interdizione comminata abbia esaurito i suoi
effetti prima dello svolgimento dei controlli sui requisiti,
eventualmente espletati in corso di procedura, ivi compreso
il controllo a seguito dell'aggiudicazione definitiva.
Infine l'Autorità chiede che sia anche fissato un minimo
della sanzione (un mese) ed elabora quindi una proposta di
modifica dell'articolo 38, comma 1, lettera h), conseguente
a quanto segnalato
(articolo ItaliaOggi del 25.10.2013). |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
09.10.2013 n. 237 "Approvazione dell’Atto aggiuntivo alla
Convenzione 29.08.2013 disciplinante i criteri per l’accesso
all’utilizzo delle risorse degli interventi che fanno parte
del primo Programma «6000 Campanili»" (Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti,
decreto 26.09.2013).
---------------
Sulla materia, si legga tutta la normativa aggiornata ad
oggi -e relativa modulistica- reperibile
cliccando qui circa la pagina web opportunamente
dedicata da parte del Ministero. |
LAVORI PUBBLICI: Avvalimento plurimo, divieto a rischio.
Sul tavolo della Corte di giustizia europea la previsione
del Codice dei contratti. Il
tribunale amministrativo regionale delle marche solleva la
questione.
È a rischio di illegittimità comunitaria il divieto di
avvalimento plurimo previsto dall'art. 49 del Codice dei
contratti pubblici. Sarà infatti la Corte di giustizia
europea, alla quale il Tar Marche ha posto la questione, a
dovere verificare se il limite imposto dal decreto
legislativo 163/2006 all'articolo 49, comma 6, sia conforme
al diritto comunitario.
Nel nostro ordinamento, infatti, la possibilità, per il
concorrente, di dimostrare il possesso dei requisiti
richiesti dalla lex specialis di gara facendo riferimento a
quelli posseduti da altre imprese, dette ausiliarie, viene
limitato nel settore dei lavori all'«utilizzo» di «una sola
impresa ausiliaria per ciascuna categoria di
qualificazione». Nel caso posto all'attenzione dei giudici
marchigiani invece una impresa aveva utilizzato lo strumento
dell'avvalimento rispetto a più imprese, risultando prima
ammessa e successivamente esclusa dalla gara. Da ciò il
ricorso al Tar e la trasmissione della questione
pregiudiziale alla Corte di giustizia sulla compatibilità
della norma nazionale con le direttive europee.
Nella
direttiva 2004/18 e nella 2004/17 per i settori speciali,
infatti, si prevede che «un operatore economico può, se del
caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle
capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami con questi ultimi». Nessun limite
viene quindi previsto nella normativa comunitaria
all'istituto dell'avvalimento, considerato dal legislatore
europeo, anche nelle proposte di nuove direttive che
dovrebbero essere approvate definitivamente all'inizio del
prossimo anno, come strumento essenziale a tutela delle
piccole e medie imprese.
La giurisprudenza italiana non
aveva ancora approfondito l'argomento specifico, essendosi
limitato il Consiglio di stato a escludere l'utilizzo di più
imprese ausiliarie per ciascuna categoria di qualificazione,
ma non già il cumulo tra avvalimento e associazione di una
mandante per la medesima categoria, situazione che non
genera cumulo tra requisiti ma si configura quale modalità
partecipativa alla gara (sezione V, 15.11.2010, n. 8043). La
Corte europea si dovrà pronunciare nei prossimi mesi
(articolo ItaliaOggi del 09.10.2013). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: Il diritto di accesso agli atti apre anche ai subappaltatori.
Tar Lazio. A garanzia dei pagamenti.
L'INDICAZIONE/
Per i giudici amministrativi l'opportunità si estende a
catena per poter «valutare» la situazione dei fornitori.
Non è necessario avere un rapporto diretto con un ente di
natura pubblicistica per poter esercitare il diritto di
accesso agli atti necessario a passare sotto esame la
capacità dell'ente di effettuare i pagamenti nei confronti
dei fornitori. Questo diritto si estende a catena, e
riguarda anche chi ha stipulato un contratto con una società
privata che, a sua volta, si è vista affidare un appalto
dall'ente pubblico in questione: in particolare, se il
privato appaltatore non onora i contratti con la società "a
valle", quest'ultima può bussare direttamente alle porte
dell'ente pubblico, e mettere gli occhi sul contratto di
appalto, sugli stati di avanzamento lavori, sui certificati
e sui mandati di pagamento emessi in favore
dell'appaltatore.
Lo ha stabilito il TAR Lazio-Roma, Sez. III, nella
sentenza 07.10.2013 n. 8639, che
sulla base di questo ragionamento ha dato ragione a una Srl
impegnata senza successo nella richiesta degli atti a
un'università.
La Srl, infatti, aveva firmato un contratto
con un'altra società privata, titolare di un appalto bandito
dall'ateneo per una serie di interventi sulle strutture. Il
lavoro era stato eseguito, ma i pagamenti previsti dal
contratto (500mila euro) non erano mai arrivati.
Il Codice degli appalti (Dlgs 163/2006, articolo 118) tutela
il subappaltatore, imponendo fra l'altro all'ente pubblico
di bloccare i versamenti se l'affidatario non certifica
puntualmente i pagamenti effettuati nei confronti dei
privati che lavorano per lui; per esercitare questo diritto,
dal momento che l'affidatario era finito nella procedura di
concordato preventivo, la Srl ha chiesto all'ateneo di
accedere ai documenti, ma non ha ricevuto risposta (in
questi casi, in base all'articolo 25, comma 4, della legge
241/1990, il silenzio equivale a un rifiuto).
Da qui la lite, a cui il Tar Lazio ha offerto la prima
soluzione.
Per i giudici amministrativi, la condizione di
subappaltatore determina un «interesse concreto e attuale»
all'accesso agli atti, perché con la documentazione in mano
può chiedere il blocco dei pagamenti all'ente pubblico e
decidere come agire in via giurisdizionale. Contratti e
mandati di pagamento, specifica il Tar, hanno natura
privatistica, ma rientrano nel novero dei «documenti
amministrativi» se adottati da un ente pubblico (articolo Il Sole 24 Ore del 09.10.2013). |
ATTI
AMMINISTRATIVI -
APPALTI: P.a. aperta ai subappaltatori. Crediti verso appaltatori?
Stato dei lavori senza segreti.
Sancito dal Tar del Lazio il diritto di accesso a tutela
degli interessi delle imprese.
Il subappaltatore che vanta un credito verso l'impresa
subappaltante può esercitare il diritto di accesso nei
confronti dell'ente pubblico che ha commissionato i lavori.
Quest'ultimo, quindi, è tenuto a rendere disponibile tutta
la documentazione relativa al contratto di appalto e alla
sua esecuzione.
L'importante chiarimento arriva dal TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 07.10.2013 n. 8639, che ha
ordinato a una persona giuridica di diritto pubblico
(rientrante nella categoria degli enti pubblici non
economici) di esibire al subappaltatore, oltre al contratto
di appalto, anche tutti gli stati avanzamento lavori (Sal),
i certificati e i mandati di pagamento da essa emessi in
favore dell'impresa appaltatrice.
Secondo i giudici laziali, la conoscenza di tale
documentazione, dando riscontro sullo stato dei pagamenti
effettuati dall'ente pubblico, consente al creditore di
decidere sulle iniziative più adeguate al recupero delle
somme che formano oggetto del suo credito.
La rilevanza pronuncia, peraltro, va al di là del caso
specifico, in quanto essa afferma che i predetti documenti,
sebbene abbiano natura privatistica, rientrano comunque
nella nozione di «documento amministrativo» ai sensi
dell'art. 22, comma 1, lett. d), della l 241/1990, in quanto
sono stati adottati da un ente pubblico che persegue le
proprie finalità pubblicistiche anche attraverso strumenti
di diritto privato. Essi, pertanto, sono soggetti
all'accesso e, quindi, ostensibili al privato (cfr,
Consiglio di Stato IV sezione, sentenza 04.02.1997, n. 82).
Non solo, ma la sussistenza del diritto di accesso non è
subordinato alla sussistenza di un subappalto ai sensi
dell'art. 118 del Codice dei contratti: ciò che conta,
infatti, è che vi sia un rapporto, seppure indiretto, tra il
soggetto pubblico e una delle due imprese e che l'altra
possa vantare un interesse concreto e attuale alla
conoscenza del relativo fascicolo. In tal caso, l'ente
pubblico non può negare l'accesso
(articolo ItaliaOggi del 09.10.2013). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
La controversia si incentra nel chiarire se
l’emissione di una sentenza secondo il rito del
patteggiamento, in cui manca un giudizio formale di
accertamento del fatto di reato, possa costituire o meno
presupposto per l’irrogazione, da parte della P.A., del
divieto all’esercizio dell’attività commerciale.
Osserva al riguardo il Collegio che, ai sensi dell’art. 445
c.p.p., “la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2,
anche quando è pronunciata dopo la chiusura del
dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o
amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la
sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”.
Dal tenore letterale della citata disposizione, quindi,
emerge chiaramente la volontà del legislatore di escludere
l’efficacia della sentenza patteggiata solo nell’ambito dei
giudizi civili ed amministrativi, restando, per converso,
ferma la sua equiparazione alla pronuncia di condanna ad
ogni altro fine.
In altri termini, la sentenza di applicazione della pena su
richiesta delle parti non può essere posta dal giudice
civile o amministrativo a fondamento di pronunce che
postulino l’accertamento del fatto, né può spiegare effetti
penali che siano subordinati a detto accertamento, in quanto
priva dell’autorità propria del giudicato sostanziale, ma è
“del tutto equivalente alla condanna ordinaria, in mancanza
di una disposizione che lo escluda espressamente, rispetto a
quegli effetti extrapenali che l’ordinamento automaticamente
ricollega al fatto giuridico della condanna,
indipendentemente dai presupposti e dalle modalità
procedimentali con cui sia stata adottata”.
Ed una siffatta espressa esclusione non è rinvenibile
nell’art. 5 del D.Lgs. 114/1998.
Il Collegio, pertanto, non ha, motivo di discostarsi
dall’insegnamento giurisprudenziale ormai consolidato e
coerente al citato dato normativo, secondo cui “quando una
norma assume l’esistenza di una condanna penale come
presupposto (più o meno vincolante) per l’adozione di un
provvedimento amministrativo, ovvero quale preclusione
all’esercizio di determinate facoltà o diritti, a questi
fini vale come sentenza di condanna anche quella emessa a
seguito di patteggiamento”.
È pacifico in causa che l’originario legale rappresentante della R.
abbia subito una condanna, con sentenza passata in
giudicato, per il reato di bancarotta fraudolenta.
La controversia si incentra, quindi, nel chiarire se
l’emissione di una sentenza secondo il rito del
patteggiamento, in cui manca un giudizio formale di
accertamento del fatto di reato, possa costituire o meno
presupposto per l’irrogazione, da parte della P.A., del
divieto all’esercizio dell’attività commerciale.
Osserva al riguardo il Collegio che, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., “la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2,
anche quando è pronunciata dopo la chiusura del
dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o
amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la
sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”.
Dal tenore letterale della citata disposizione, quindi,
emerge chiaramente la volontà del legislatore di escludere
l’efficacia della sentenza patteggiata solo nell’ambito dei
giudizi civili ed amministrativi, restando, per converso,
ferma la sua equiparazione alla pronuncia di condanna ad
ogni altro fine.
In altri termini, la sentenza di applicazione della pena su
richiesta delle parti non può essere posta dal giudice
civile o amministrativo a fondamento di pronunce che
postulino l’accertamento del fatto (cfr. Corte Cost., 11.12.1995, n. 499), né può spiegare effetti penali che
siano subordinati a detto accertamento, in quanto priva
dell’autorità propria del giudicato sostanziale, ma è “del
tutto equivalente alla condanna ordinaria, in mancanza di
una disposizione che lo escluda espressamente, rispetto a
quegli effetti extrapenali che l’ordinamento automaticamente
ricollega al fatto giuridico della condanna,
indipendentemente dai presupposti e dalle modalità
procedimentali con cui sia stata adottata” (Cons. Stato, Sez. IV, 18.06.2009, n. 4006).
Ed una siffatta espressa esclusione non è rinvenibile
nell’art. 5 del D.Lgs. 114/1998.
Il Collegio, pertanto, non ha, motivo di discostarsi
dall’insegnamento giurisprudenziale ormai consolidato e
coerente al citato dato normativo , secondo cui “quando una
norma assume l’esistenza di una condanna penale come
presupposto (più o meno vincolante) per l’adozione di un
provvedimento amministrativo, ovvero quale preclusione
all’esercizio di determinate facoltà o diritti, a questi
fini vale come sentenza di condanna anche quella emessa a
seguito di patteggiamento” (cfr. da ultimo e per tutte:
Cons. Stato, Sez. III, 27.03.2012, n. 1781).
Ne consegue la fondatezza dell’appello principale interposto
dal Comune di Padova,atteso che erroneamente il Tar, per
l’applicazione dell’art. 5 del D.Lgs. 114/1998, non ha
ritenuto la piena equiparabilità tra la sentenza di condanna
e quella emessa su richiesta delle parti (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.10.2013 n. 4921 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In materia di gare di
appalto (D.Lgs. n. 163/2006 - Codice degli appalti) in una
situazione di obiettiva incertezza (quando cioè le clausole
della lex specialis risultino imprecisamente formulate o si
prestino comunque ad incertezze interpretative) la risposta
dell'amministrazione appaltante ad una richiesta di
chiarimenti avanzata da un concorrente non costituisce
un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di
gara, ma una sorta di interpretazione autentica, con cui
l'amministrazione chiarisce la propria volontà
provvedimentale in un primo momento poco intelligibile,
precisando e meglio delucidando le previsioni della lex
specialis.
Si rammenta in proposito che, per
consolidata giurisprudenza "in materia di gare di appalto (D.Lgs.
n. 163/2006 - Codice degli appalti) in una situazione di
obiettiva incertezza (quando cioè le clausole della lex
specialis risultino imprecisamente formulate o si prestino
comunque ad incertezze interpretative) la risposta
dell'amministrazione appaltante ad una richiesta di
chiarimenti avanzata da un concorrente non costituisce
un'indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di
gara, ma una sorta di interpretazione autentica, con cui
l'amministrazione chiarisce la propria volontà
provvedimentale in un primo momento poco intelligibile,
precisando e meglio delucidando le previsioni della lex
specialis" (Cons. Stato Sez. V, 17/10/2012, n. 5296) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 07.10.2013 n. 2236 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'obbligo di predisporre
adeguate cautele a tutela dell'integrità delle buste
contenenti le offerte delle imprese partecipanti a gare
pubbliche, in mancanza di apposita previsione da parte del
legislatore, discende necessariamente dalla ratio che
sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per
l'individuazione del contraente, in quanto l'integrità dei
plichi contenenti le offerte dei partecipanti è uno degli
elementi sintomatici della segretezza delle offerte e della
par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto
dei principi di buon andamento ed imparzialità, consacrati
dall'articolo 97 della Costituzione, ai quali deve
uniformarsi l'azione amministrativa.
Sicché la mera circostanza che il plico sia pervenuto aperto
alla commissione di gara implica l'esclusione della
partecipante, indipendentemente dal soggetto cui sia
addebitabile l'erronea apertura, stante l'esigenza di
assicurare la garanzia dei principi di par condicio e di
segretezza delle offerte.
... per l'annullamento della determinazione dirigenziale
n. d19/53 del 02/10/2012, con la quale si è disposto "di non
ammettere l'istanza presentata da polo per l'innovazione -
cooperazione- sostenibilità soc.cons.coop. al pos fasr
abruzzo 2007-20013 -attività di sostegno alla creazione dei
polo di innovazione".
...
-
Considerato che essendo il ricorso manifestamente infondato
può essere emanata nella specie sentenza in forma
semplificata ex art. 74 C.P.A..
-
Che invero in primo luogo va precisato che l'avviso pubblico
de quo all'articolo 2 ha previsto espressamente che
avrebbero trovato applicazione le norme sugli appalti
pubblici di cui al decreto legislativo 12.04.2006 numero
163;
-
Che della normativa sugli appalti non si è fatta, pertanto,
nella specie, applicazione analogica, bensì diretta, in
quanto richiamata dalla legge speciale di gara;
-
Che ciò stante, nella specie, non può non trovare
applicazione l'articolo 46, comma 1-bis, (come aggiunto
dall'articolo 4 del decreto-legge 13.05.2011 numero 70
convertito in legge 12.07.2011 numero 106) del decreto
legislativo numero 163 del 2006, il quale, nel prevedere in
via generale l'esclusione del concorrente per mancato
adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice,
dal regolamento ed da altre disposizioni di legge vigenti,
precisa che l'esclusione va comunque disposta "in caso di
non integrità del plico contenente l'offerta";
-
Che la giurisprudenza amministrativa ha affermato il
principio secondo cui "l'obbligo di predisporre adeguate
cautele a tutela dell'integrità delle buste contenenti le
offerte delle imprese partecipanti a gare pubbliche, in
mancanza di apposita previsione da parte del legislatore,
discende necessariamente dalla ratio che sorregge e
giustifica il ricorso alla gara pubblica per
l'individuazione del contraente, in quanto l'integrità dei
plichi contenenti le offerte dei partecipanti è uno degli
elementi sintomatici della segretezza delle offerte e della
par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto
dei principi di buon andamento ed imparzialità, consacrati
dall'articolo 97 della Costituzione, ai quali deve
uniformarsi l'azione amministrativa" (confronta Consiglio di
Stato, sezione quinta, 28.03.2012, numero 1862);
-
Che nella specie il principio della segretezza delle offerte
risulta palesemente violato, posto che, è pacifico il fatto
che nella specie il plico spedito dalla ricorrente è
arrivato aperto presso la Direzione Sviluppo Economico e
Turismo (l'accertamento è stato effettuato e dichiarato dal
dipendente addetto al protocollo);
- Che ciò stante, nella specie, deve trovare necessariamente
applicazione il principio giurisprudenziale secondo cui "la
mera circostanza che il plico sia pervenuto aperto alla
commissione di gara implica l'esclusione della partecipante,
indipendentemente dal soggetto cui sia addebitabile
l'erronea apertura, stante l'esigenza di assicurare la
garanzia dei principi di par condicio e di segretezza delle
offerte” (confronta Tar Veneto, prima sezione,
19.07.2005, numero 2867)
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 05.10.2013 n. 830 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
ASSENZA DI FORMA SCRITTA NEI CONTRATTI DELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE.
Il riconoscimento di debiti fuori
bilancio se da un lato consente di far salvi gli impegni di
spesa in precedenza assunti senza copertura contabile, per
altro verso non innova la disciplina che regolamenta la
conclusione dei contratti da parte della p.a., né introduce
una sanatoria per i contratti eventualmente nulli o comunque
invalidi, come quelli conclusi in assenza di forma scritta
ad substantiam per i contratti conclusi iure privatorum
dalla p.a..
Sorge questione tra un ente locale e un appaltatore per il
pagamento di un importo dovuto per forniture di merce,
oggetto di riconoscimento in debito fuori bilancio.
Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettarono la domanda
dell’appaltatore sul rilievo che i contratti di fornitura
erano nulli perché privi di forma scritta, necessaria per
ogni contratto della p.a. ed ancora osservando che le
delibere ricognitive del debito fuori bilancio non potessero
considerarsi ricognitive del debito, in quanto non portate a
conoscenza del creditore.
La questione approda in Cassazione, che conferma le
statuizioni di merito, seppur integrando la motivazione
della pronuncia d’appello.
In particolare, merita di essere segnalato come la
Cassazione abbia affermato che il riconoscimento, da parte
degli enti locali di debiti fuori bilancio (ex art. 24 del
D.L. 02.03.1989 n. 66, convertito con modificazioni in L.
24.04.1989 n. 144, nonché dell’art. 12-bis del D.L.
12.01.1991 n. 6, convertito con modificazioni in L.
15.03.1991 n. 80) se da un lato consente di far salvi gli
impegni di spesa in precedenza assunti senza copertura
contabile, per altro verso non innova la disciplina che
regolamenta la conclusione dei contratti da parte della
p.a., né introduce una sanatoria per i contratti
eventualmente nulli o comunque invalidi, come quelli
conclusi in assenza di forma scritta ad substantiam
per i contratti conclusi iure privatorum dalla p.a.
Tale riconoscimento di debito fuori bilancio, quindi,
presuppone l’esistenza di un’obbligazione validamente
assunta dall’ente locale, pur se in assenza di copertura
finanziaria, ma non può costituire fonte di obbligazione
(cfr. Cass. n. 9412/2011; id. n. 2489/2007; id. n.
11021/2005; id. n. 26826/2006).
In altri termini, la procedura di riconoscimento dei debiti
fuori bilancio sana la nullità conseguente alla mancata
indicazione della copertura finanziaria ed ha cioè l’effetto
contabile di rendere possibile il pagamento, ma non vale a
sanare altre cause di nullità, né in particolare quella
derivante dalla mancata attribuzione dell’incarico in forma
scritta (Cass. civ. n. 7966/2008, id., n. 27406/2008) (Corte
di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 04.10.2013 n.
22754 - tratto
da Urbanistica e appalti n. 12/2013). |
APPALTI:
Appalti, solidarietà caso per caso. Se c'è avvalimento conta
quanto scritto nel contratto. Sul rapporto tra i due
istituti continua a esserci incertezza in giurisprudenza e
tra gli operatori.
Le incertezze della giurisprudenza e i dubbi degli operatori
di settore sono lo spunto per tornare a occuparsi brevemente
di un tema ampiamente dibattuto nel settore dei contratti
pubblici: l'istituto dell'avvalimento.
Sulla scorta delle
indicazioni comunitarie e delle poche disposizioni di legge
che riguardano l'argomento, la giurisprudenza ha nel tempo
maturato il convincimento circa una massima possibilità di
utilizzo dell'istituto. Da iniziali posizioni di maggiore
rigidità si è, infatti, passati a una estensione e più
corretta definizione dei limiti operativi dell'istituto,
ammettendo che questo possa oggi riguardare anche requisiti
all'inizio ritenuti incedibili, quale, ad esempio,
l'iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali.
In tale
opera di sempre migliore definizione dei contorni
dell'istituto rimane esclusa, invece, la possibilità dell'avvalimento
per i requisiti totalmente soggettivi (es. dichiarazioni ex
art. 38 del dlgs n. 163/2006), mentre ancora dibattuta
appare la possibilità di avvalersi di sistemi di qualità Iso
riconosciuti ad altri soggetti (Tar Lazio – Roma, n.
4130/2013; Avcp, delibera n. 2/2012; in senso contrario
Consiglio di stato, n. 2344/2011). Rispetto a tali profili,
comunque fonte di ampio dibattito, appare viceversa non
sufficientemente esplorato lo specifico ruolo che
l'ausiliario va ad assumere nell'ambito della procedura di
gara, nel rapporto plurilaterale che si viene a instaurare
con aggiudicatario e stazione appaltante.
Al riguardo è,
infatti, facile osservare che l'ausiliario non è un semplice
soggetto terzo rispetto alla gara poiché in seno a essa
assume un puntuale impegno, non solo verso l'impresa
concorrente ausiliata ma anche verso la stazione appaltante,
a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui
questi è carente, diventando così titolare passivo di
un'obbligazione accessoria a quella principale (del
concorrente) e che si perfeziona con l'aggiudicazione a
favore del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti (Tar
Lazio - Roma, n. 10990/2007). Ed ancora non va dimenticato
che, ai sensi di quanto disposto all'art. 49, comma 4, del dlgs n. 163/2006, concorrente e impresa ausiliaria sono
responsabili in solido, nei confronti della stazione
appaltante, in relazione alle prestazioni oggetto del
contratto.
Ma proprio alla luce di tale ultimo profilo sorge
spontaneo domandarsi se esistano o meno dei limiti entro i
quali l'ausiliario è responsabile in solido con il soggetto ausiliato e ciò soprattutto allorché il requisito oggetto di
avvalimento non attenga alla vera e propria prestazione
dell'appalto ma -si supponga- sia funzionale alla mera
ammissione alla gara (ad esempio, avvalimento di un
requisito di fatturato, generale o specifico, ovvero
avvalimento di un requisito di esperienza per lo svolgimento
di determinati servizi/attività analoghi).
Quanto detto anche perché in ipotesi di avvalimento
«immateriale», ovvero in un caso in cui l'ausiliario aveva
«prestato» al concorrente la propria solidità economica e
finanziaria, in modo del tutto disancorato dalla messa a
disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali,
è stato ritenuto che l'avvalimento, di fatto, ampliando lo
spettro della responsabilità per la corretta esecuzione
dell'appalto, estendesse la base patrimoniale della
responsabilità da esecuzione dell'appalto.
Con la conseguenza di poter ritenere che, con riferimento
all'avvalimento dei requisiti economici e finanziari (volume
di affari o del fatturato) ovvero il c.d. avvalimento di
garanzia (ammesso in taluni casi addirittura con riguardo
alle referenze bancarie), l'istituto dispiegherebbe la sua
funzione di assicurare alla stazione appaltante un partner
commerciale che goda di una (complessiva) solidità
patrimoniale proporzionata ai rischi dell'inadempimento o
inesatto adempimento della prestazione dedotta nel contratto
di appalto.
Peraltro, solo per tali motivi, e, dunque, solo
per la possibilità di avere a disposizione risorse o
capacità economiche maggiori e quindi un assoluto grado di
responsabilità solidale delle imprese coinvolte in relazione
all'intera prestazione dedotta nel contratto da aggiudicare,
sarebbe ammissibile una deroga al principio di personalità
dei requisiti di partecipazione alla gara. Infatti, al di
fuori di tale ipotesi, la messa a disposizione di requisiti
(soggettivi e) astratti, cioè svincolati da qualsivoglia
collegamento con risorse materiali o immateriali,
snaturerebbe e stravolgerebbe l'istituto dell'avvalimento
per piegarlo a una logica di elusione dei requisiti
stabiliti nel bando di gara (cfr. Tar Campania, Napoli, n.
644 del 02/02/2011).
La pur pregevole ricostruzione, tuttavia, non sembra
cogliere nel segno o quantomeno non pare applicabile alla
complessiva categoria di contratti di avvalimento aventi ad
oggetto requisiti (immateriali) di «esperienza» che non
esplicano alcun effetto con riferimento specifico alla
prestazione oggetto del contratto pubblico e che, invece,
riguardano i requisiti di ammissione del soggetto alla gara.
In altre parole occorrerà tenere ben separati i casi di
avvalimento che attestino una reale solidità
economico/finanziaria del soggetto, dai casi in cui il
fatturato (specifico), oggetto di avvalimento, è indice
esclusivo di aver maturato una puntuale esperienza in un
dato settore di mercato. Infatti, mentre nel primo caso
potrebbero venire in rilievo le osservazioni anzidette in
merito ad una assoluta solidarietà tra avvalente e ausiliato,
nel secondo caso non potrà che rilevare, solo ed
esclusivamente, quanto dedotto nel contratto di avvalimento.
I dubbi maggiori attengono alla necessità di dover
contemperare all'interno del medesimo contratto: (I) da un
lato, il prestito di un requisito immateriale di
«esperienza» con la necessità (e diremo anche l'evidente
difficoltà) di far corrispondere tale prestito immateriale
ad una corretta definizione delle risorse e dei mezzi
prestati in modo che l'assetto contrattuale risulti coerente
alle previsioni del Regolamento e alle indicazioni
giurisprudenziali relative ai contenuti minimi del contratto
di avvalimento; (II) dall'altro, una corretta perimetrazione
delle risorse messe a disposizione allo scopo di non far
assumere all'ausiliario responsabilità eccessive
(articolo ItaliaOggi del
04.10.2013). |
APPALTI: Decreto
Fare e costo del lavoro negli appalti
(04.10.2013 - link a www.giurdanella.it). |
APPALTI: La
responsabilità solidale appalti dopo la conversione dei
decreti Fare e Lavoro
(04.10.2013 - link a www.giurdanella.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il corpo di disposizioni
dettate dal d.lgs. n. 157 del 1995 in tema di appalti
pubblici di servizi, vigente nel periodo di svolgimento
della gara, non reca specifiche previsioni sulla fissazione
di termini perentori per la conclusione delle gare.
Lo stesso r.d. n. 827 del 1924, di approvazione del
regolamento di esecuzione della legge di contabilità di
Stato, codifica all’art. 71 la regola di conclusione della
gara in un sol giorno con riguardo al solo metodo di scelta
del contraente con asta pubblica.
Diverse esigenze presiedono, invece, l’andamento del
procedimento nel caso in cui la selezione del contraente
avvenga -come nella fattispecie di cui è causa- secondo il
criterio dell’offerta più vantaggiosa, trattandosi di metodo
che impone più articolate cadenze procedimentali ed una più
complessa valutazione del merito delle offerte tecniche in
più sedute del collegio giudicante.
Ed invero -quanto ai profili di violazione di legge- il
corpo di disposizioni dettate dal d.lgs. n. 157 del 1995 in
tema di appalti pubblici di servizi, vigente nel periodo di
svolgimento della gara, non reca specifiche previsioni sulla
fissazione di termini perentori per la conclusione delle
gare.
Lo stesso r.d. n. 827 del 1924, di approvazione del
regolamento di esecuzione della legge di contabilità di
Stato, codifica all’art. 71 la regola di conclusione della
gara in un sol giorno con riguardo al solo metodo di scelta
del contraente con asta pubblica.
Diverse esigenze presiedono, invece, l’andamento del
procedimento nel caso in cui la selezione del contraente
avvenga -come nella fattispecie di cui è causa- secondo il
criterio dell’offerta più vantaggiosa, trattandosi di metodo
che impone più articolate cadenze procedimentali ed una più
complessa valutazione del merito delle offerte tecniche in
più sedute del collegio giudicante.
Non può, inoltre, ricondursi effetto viziante al superamento
del termine di 180 giorni per la validità dell’offerte,
stabilito al punto 14, lett. b), del capitolato di appalto.
Detto termine, fissato nell’interesse dell’ Amministrazione,
è infatti disponibile da parte di quest’ultima. L’ente
aggiudicatore, una volta scaduto, si è attivato, con scelta
discrezionale non sindacabile nel merito, per ottenere la
dichiarazione delle ditte partecipanti di mantenere ferma
l’offerta come originariamente articolata
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 03.10.2013 n. 4884 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’art. 21, comma 5, della legge n. 109 del 1994
fissa la regola del numero dispari dei compenti della
commissione con specifico riferimento agli appalti di opere
pubbliche. Analoga disposizione non si rinviene nel d.lgs.
n. 157 del 1995 in materia di appalti pubblici. L’organica e
specifica regolamentazione di detto settore dei appalti
pubblici, successiva alla legge n. 109 del 1994, preclude
quindi ogni applicazione in via analogico/estensiva della
norma invocata.
E’ stato del resto affermato in giurisprudenza con
riferimento all'art. 84, comma 2, del codice dei contratti
pubblici, che la regola ivi detta sulla composizione della
commissione di gara con un numero dispari di componenti non
superiore a cinque, non è espressione di un principio
generale, immanente nell'ordinamento, tale da determinare
l'illegittimità della costituzione di un collegio avente un
numero pari di componenti, essendo numerose le ipotesi di
collegi, sia giurisdizionali che amministrativi, che operano
(o che occasionalmente possono operare) in composizione
paritaria.
Quanto
al primo profilo di doglianza, l’art. 21, comma 5, della
legge n. 109 del 1994 fissa la regola del numero dispari dei
compenti della commissione con specifico riferimento agli
appalti di opere pubbliche. Analoga disposizione non si
rinviene nel d.lgs. n. 157 del 1995 in materia di appalti
pubblici. L’organica e specifica regolamentazione di detto
settore dei appalti pubblici, successiva alla legge n. 109
del 1994, preclude quindi ogni applicazione in via
analogico/estensiva della norma invocata.
E’ stato del resto affermato in giurisprudenza con
riferimento all'art. 84, comma 2, del codice dei contratti
pubblici, che la regola ivi detta sulla composizione della
commissione di gara con un numero dispari di componenti non
superiore a cinque, non è espressione di un principio
generale, immanente nell'ordinamento, tale da determinare
l'illegittimità della costituzione di un collegio avente un
numero pari di componenti, essendo numerose le ipotesi di
collegi, sia giurisdizionali che amministrativi, che operano
(o che occasionalmente possono operare) in composizione
paritaria (cfr. Cons. St. Sez. III, n. 3730 dell’11.07.2013)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 03.10.2013 n. 4884 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il mutamento in prosieguo
di gara del legale rappresentante della società che ha
sottoscritto l’offerta non incide sulla regolarità delle
precedente fase di qualificazione ed ammissione delle
imprese che, in base al principio tempus regit actum, ha
necessariamente assunto a riferimento, ai fini della
verifica dei requisiti di moralità, l’assetto societario in
atto alla data di scadenza del termine per la proposizione
dell’offerta e, tantomeno, sulla capacità del nuovo
rappresentante p.t. a confermare l’offerta.
Ogni successiva verifica in ordine alla permanenza dei
requisiti morali rifluisce al momento dell’aggiudicazione e
della stessa esecuzione del contratto, che presuppongono la
permanenza dei requisiti di moralità e di affidabilità delle
imprese affidatarie del servizio.
Ed invero:
- il mutamento in prosieguo di gara del legale
rappresentante della società che ha sottoscritto l’offerta
non incide sulla regolarità delle precedente fase di
qualificazione ed ammissione delle imprese che, in base al
principio tempus regit actum, ha necessariamente
assunto a riferimento, ai fini della verifica dei requisiti
di moralità, l’assetto societario in atto alla data di
scadenza del termine per la proposizione dell’offerta e,
tantomeno, sulla capacità del nuovo rappresentante p.t. a
confermare l’offerta.
Ogni successiva verifica in ordine alla permanenza dei
requisiti morali rifluisce al momento dell’aggiudicazione e
della stessa esecuzione del contratto, che presuppongono la
permanenza dei requisiti di moralità e di affidabilità delle
imprese affidatarie del servizio.
Né, sul piano sostanziale, sono state sollevate mende in
capo al nuovo rappresentante legale idonee a inficiare la
capacità di confermare l’offerta (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 03.10.2013 n. 4884 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Consip,
Spending review: AGGIORNATA la tabella obblighi/facoltà per
gli acquisti di beni e servizi.
E' stata pubblicata sul Portale degli acquisti
(www.acquistinretepa.it) la
tabella aggiornata a ottobre 2013 che riassume il
quadro relativo all'obbligo/facoltà di utilizzo degli
strumenti d'acquisto di Consip e delle centrali regionali di
committenza.
La tabella, elaborata da Consip con il Ministero
dell'Economia e delle Finanze, intende orientare e
facilitare le pubbliche amministrazioni nell'acquisto di
beni e servizi, ponendosi come agile strumento di
consultazione.
Le amministrazioni, attraverso la tabella, avranno rapido
accesso alla normativa applicabile in base alla propria
categoria di appartenenza (amministrazione centrale,
regionale, territoriale, ente del servizio sanitario
nazionale, scuola/università, organismo di diritto
pubblico), alla tipologia di acquisto (sopra la soglia
comunitaria o sotto la soglia comunitaria) e alla categoria
merceologica a cui appartengono i beni o servizi oggetto di
acquisto
(03.10.2013). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
Durc: semplificazione su regole e tempi dopo il decreto Fare
(03.10.2013 - link a www.giurdanella.it). |
APPALTI: Nelle
gare d’appalto l’obbligo di motivare in modo completo e
approfondito sussiste solo nel caso in cui la stazione
appaltante esprime un giudizio di non congruità sull’offerta
anomala, mentre non sussiste uguale obbligo in caso di esito
positivo della verifica di anomalia, risultando esaustiva la
motivazione per relationem con le giustificazioni presentate
dal concorrente aggiudicatario, se ritenute congrue ed
adeguate.
Perciò, incombe su chi contesta l’aggiudicazione l’onere di
individuare gli specifici elementi da cui il Giudice
Amministrativo possa evincere che la valutazione
tecnico-discrezionale dell’Amministrazione sia stata
irragionevole o basata su fatti erronei o travisati.
Anche il terzo motivo di impugnazione non merita
di essere accolto, atteso che, secondo un condivisibile e
prevalente orientamento giurisprudenziale (cfr. da ultimo
C.d.S. Sez. V Sent. n. 6061 del 29.11.2012; idem n. 5703 del
12.11.2012; idem n. 4785 del 10.09.2012; idem n. 3934 del
05.07.2012; idem n. 2552 del 03.05.2012; idem n. 1183 del
29.02.2012; C.d.S. Sez. III Sent. n. 4322 del 15.07.2011;
C.d.S. Sez. IV Sent. n. 2055 dell’01.04.2011; C.d.S. Sez. V
Sent. n. 1925 del 29.03.2011) nelle gare d’appalto l’obbligo
di motivare in modo completo e approfondito sussiste solo
nel caso in cui la stazione appaltante esprime un giudizio
di non congruità sull’offerta anomala, mentre non sussiste
uguale obbligo in caso di esito positivo della verifica di
anomalia, risultando esaustiva la motivazione per relationem
con le giustificazioni presentate dal concorrente
aggiudicatario, se ritenute congrue ed adeguate.
Perciò, incombe su chi contesta l’aggiudicazione l’onere di
individuare gli specifici elementi da cui il Giudice
Amministrativo possa evincere che la valutazione
tecnico-discrezionale dell’Amministrazione sia stata
irragionevole o basata su fatti erronei o travisati
(TAR Basilicata,
sentenza 02.10.2013 n. 575 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
PA condannata a pagare una somma di denaro: astreinte da
parte del giudice dell’ottemperanza?
Non è possibile disporre, in sede di
giudizio di ottemperanza, una astreinte nel caso in cui la
mancata esecuzione del giudicato da parte
dell’amministrazione riguardi la condanna al pagamento di
una somma di denaro.
Anche nel giudizio di ottemperanza dinanzi al g.a., come in
quello di esecuzione dinanzi al g.o., la misura dell’astreinte
è ammissibile solo per l’inottemperanza a sentenze di
condanna relative a obblighi di non fare o fare infungibili.
L’art. 114, co. 4, lett. e, del c.p.a. prevede che in sede
di giudizio di ottemperanza la parte possa chiedere, oltre
alla nomina del commissario ad acta, anche la fissazione di
una “somma di denaro dovuta dal resistente per ogni
violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni
ritardo nell'esecuzione del giudicato”.
La suddetta norma ha comportato una rilevante innovazione,
introducendo anche nel processo amministrativo l’istituto
della cd. astreinte, già disciplinato nel processo civile
dall’art. 614-bis c.p.c..
Sull’applicazione di questa norma al giudizio di
ottemperanza delle sentenze di condanna pecuniaria si è
verificato un contrasto di giurisprudenza, non ancora
sopito, tra alcuni TAR e il Consiglio di Stato.
Il TAR Napoli, conformandosi a un suo orientamento
giurisprudenziale, si esprime negativamente sulla
controversa questione della possibilità di disporre una
astreinte nel caso in cui la mancata esecuzione della p.a.
riguardi la condanna al pagamento di una somma di denaro.
In ciò si conforma, nel silenzio del c.p.a., alla disciplina
del processo civile che consente l’astreinte solo per
l’inottemperanza di obblighi di non fare o fare infungibili.
La pronuncia si pone in contrasto con il diverso
orientamento del Consiglio di Stato che, considerando l’astreinte
un rimedio di carattere generale, la differenzia da quella
prevista dal c.p.a., ammettendola anche per gli obblighi di
dare o fare fungibili e, in particolare, anche per le
condanne al pagamento di somme di denaro
Il TAR Campano motiva la sua conclusione in base a diverse
considerazioni:
a) L’astreinte costituisce un mezzo di coazione indiretta
sul debitore, configurabile quando si è in presenza di
obblighi di facere infungibili. Non sembra possibile
né equo condannare l’Amministrazione al pagamento di
ulteriori somme di denaro, quando l’obbligo di cui si chiede
l’adempimento consiste, esso stesso, nell’adempimento di
un’obbligazione pecuniaria. Occorre considerare che, in tal
caso, per il ritardo nell’adempimento sono già previsti
dalla legge gli interessi legali, ai quali la somma dovuta a
titolo di astreinte andrebbe ad aggiungersi, con effetti
iniqui di indebito arricchimento per il creditore.
b) Una puntuale disanima dei lavori preparatori dei lavori
preparatori della disposizione del c.p.a. in questione,
nonché l’osservazione che il testo dell’art. 114, co. 4,
lett. e, del c.p.a è simile a quello del corrispondente
articolo del c.p.c. e per il processo civile il riferimento
agli obblighi di fare infungibili è contenuto nella rubrica
e non nel testo del 614-bis c.p.c., portano a conclude che
l’intento del legislatore sia stato proprio quello di
riprodurre la norma del c.p.c. nel c.p.a. e che si sia
semplicemente “dimenticato” di esplicitare la
limitazione agli obblighi di facere infungibile.
c) La stessa conclusione verrebbe ricavata anche dalla
disamina della legge delega per la riforma del processo
amministrativo (n. 69/2009), relativamente al giudizio di
ottemperanza, in quanto ove si ritenesse la norma di portata
difforme da quella del c.p.c., si potrebbe configurare un
profilo di eccesso di delega, non facilmente superabile
attraverso argomenti extratestuali.
d) Infine depongono nel senso indicato anche esigenze di
omogeneità dell’ordinamento e il principio di eguaglianza. A
fronte di una condanna pecuniaria del giudice ordinario la
parte può scegliere se agire con il processo di esecuzione
dinanzi al g.o. o adire il g.a. in sede di ottemperanza. Ora
se si ammettesse l’astreinte per l’esecuzione di condanne
pecuniarie nel giudizio di ottemperanza si finirebbe per
consentire una tutela diversificata dello stesso credito a
seconda del giudice dinanzi al quale si agisca. Il creditore
pecuniario della p.a. potrebbe ottenere infatti maggiori
utilità nel giudizio di ottemperanza rispetto a quelle
conseguibili nel giudizio di esecuzione civile, e ciò
semplicemente in base ad una opzione puramente potestativa.
Tale tutela differenziata offerta al cittadino non sembra
ragionevole all’interno di un sistema che svolge la stessa
funzione esecutiva, ancorché dinanzi a giudici diversi.
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Esiti del ricorso
Accoglie il ricorso ma rigetta la domanda sul punto
Precedenti giurisprudenziali conformi
TAR Campania Napoli Sez. IV, 22.05.2013, n. 2644; TAR
Campania Napoli Sez. IV, 22.05.2013, n. 2671; TAR Campania
Napoli, Sez. IV, 03/12/2012, n. 4887; TAR Campania Napoli,
Sez. IV, 19/03/2013, n. 1537; TAR Campania, Napoli, sez. IV,
19/03/2013, n. 1538; TAR Campania, Napoli, sez. IV,
15.04.2011, n. 2162; TAR Puglia Lecce Sez. I,
21.06.2013, n. 1504; TAR Puglia Lecce Sez. I, 21.06.2013, n.
1506; TAR Puglia Lecce Sez. I, 07.06.2013, n. 1356; TAR
Puglia Lecce Sez. I, 07.06.2013, n. 1357; TAR Puglia Lecce
Sez. I, 07.06.2013, n. 1358; TAR Puglia Lecce Sez. I,
05.06.2013, n. 1336; TAR Lazio Roma Sez. II, 15.05.2013, n.
4885; TAR Lazio Roma Sez. II, 15.05.2013, n. 4886; TAR
Lazio, Roma, sez. II-quater 31.01.2012, n. 1080
Precedenti giurisprudenziali difformi
Cons. Stato Sez. V, 19.06.2013, n. 3339; Cons. Stato Sez. V,
19.06.2013, n. 3340; Cons. Stato Sez. V, 19.06.2013, n.
3341; Cons. Stato Sez. V, 19.06.2013, n. 3342; TAR
Basilicata Potenza Sez. I, 06.06.2013, n. 335; Cons. Stato
Sez. III, 30.05.2013, n. 2933; Cons. Stato Sez. V, Sent.,
14.05.2012, n. 2744
Riferimenti normativi
Art. 114, co. 4, lett. e, del c.p.a (TAR Campania-Napoli,
Sez. IV,
sentenza 01.10.2013 n. 4500 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Bandi di gara: anche per i servizi socio-educativi-culturali
le stesse regole di pubblicità.
Per importi sia inferiori che superiori alla soglia
comunitaria.
Domanda
Quali sono le
modalità di pubblicazione dei bandi di gara e degli avvisi
di aggiudicazione inerenti i servizi
socio-educativi-culturali elencati nell'allegato II B del
D.Lgs. 12-04-2006, n. 163, per importi sia inferiori che
superiori alla soglia comunitaria?
Risposta
L'art. 2 comma 1,
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 stabilisce che "1.
L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici,
servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve
garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel
rispetto dei principi di economicità, efficacia,
tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì
rispettare i principi di libera concorrenza, parità di
trattamento, non discriminazione, trasparenza,
proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità
indicate nel presente codice".
Si ritiene che, sebbene l'art. 20 D.Lgs. cit. stabilisca
l'applicabilità agli appalti nei servizi di cui all'allegato
II B di alcune norme soltanto del codice, debba comunque
trovare applicazione il principio generale di adeguata
pubblicità della gara in relazione al suo valore.
Infatti, l'AVCP con Deliberazione n. 108 del 19.12.2012 ha
stabilito che "I servizi elencati nell'allegato II B
restano soggetti, oltre che all'art. 20 del D.lgs. n.
163/2006, anche all'art. 27 del medesimo decreto in base al
quale l'affidamento di contratti pubblici, sottratti in
tutto o in parte all'applicazione del codice, deve avvenire
nel rispetto di principi di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità".
Con Deliberazione n. 25 del 08.03.2012 ha stabilito che "La
riconducibilità del servizio appaltato all'All. II B del
Codice non esonera le amministrazioni aggiudicatrici
dall'applicazione dei principi generali in materia di
affidamenti pubblici desumibili dalla normativa comunitaria
e nazionale, con particolare riferimento al principio di
pubblicità, espressione dei principi di imparzialità e buon
andamento dell'azione amministrativa di cui all'art. 97
Cost. (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 03.12.2008, n. 5943;
22.04.2008, n. 1856; 08.10.2007, n. 5217; 22.03.2007, n.
1369; TAR Lazio, Sez. III-ter, 05.02.2008, n. 951). Nella
deliberazione n. 102 del 05.11.2009 l'Autorità ha, inoltre,
sottolineato che sebbene i servizi rientranti nell'allegato
II B siano soggetti, a stretto rigore, solo alle norme
richiamate dall'art. 20 del D.Lgs. 163/2006, oltre a quelle
espressamente indicate negli atti di gara (in virtù del c.d.
principio di autovincolo), quando il valore dell'appalto è
decisamente superiore alla soglia comunitaria è opportuna
anche una pubblicazione a livello comunitario, in ossequio
al principio di trasparenza (cui è correlato il principio di
pubblicità), richiamato dall'art. 27 D.Lgs. 163/2006 a
tenore del quale l'affidamento deve essere preceduto da
invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con
l'oggetto del contratto".
La codificazione di tali principi conferma dunque la
contrarietà per l'affidamento fiduciario. Pertanto, in
ossequio ai principi del Trattato, la stazione appaltante
dovrà opportunamente nell'ambito della propria
discrezionalità scegliere il modulo procedimentale più
consono, favorendo la procedura ristretta quando il criterio
di aggiudicazione è quello dell'offerta economicamente più
vantaggiosa.
Conseguentemente, occorre rispettare le regole di pubblicità
dei bandi relativi alle gare di importo sopra e sotto soglia
anche per le gare inerenti ai servizi di cui all'allegato II
B (01.10.2013 - tratto da www.ipsoa.it). |
settembre 2013 |
|
APPALTI: Acquisizioni
di lavori, servizi e forniture in economia (Regione
Piemonte, settembre 2013).
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Il suddetto volume, realizzato dalla Regione Piemonte e
aggiornato al settembre 2013, contribuisce a risolvere i
dubbi interpretativi ed applicativi dovuti alla continua
evoluzione della normativa in materia. |
APPALTI:
R. Cippitani,
Formalismi e verifica
delle offerte anomale (Urbanistica e appalti n.
8-9/2013 -
tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI SERVIZI:
F. Dello Sbarba,
Illegittimo l’affidamento diretto mediante convenzione a
cooperative sociali (Urbanistica e appalti n. 8-9/2013). |
APPALTI:
Riammissione alla gara in seguito al successivo rinvenimento
di documenti.
E’ illegittimo il provvedimento
dell’amministrazione che, dopo aver escluso una ditta
partecipante ad una gara per l’assenza di un documento
necessario, riammetta la medesima concorrente in seguito al
rinvenimento della documentazione originariamente ritenuta
mancante, qualora tale ritrovamento sia avvenuto in seduta
riservata anziché pubblica e a seguito di operazioni di
verifica effettuate senza preventiva comunicazione ai
partecipanti alla gara.
E’ stata portata all’esame del Consiglio di Stato su una
fattispecie particolare dove un concorrente di una gara di
appalto, inizialmente escluso per l’assenza di un documento
necessario, è stato successivamente riammesso in seguito al
rinvenimento della documentazione originariamente mancante.
Tale ritrovamento però è avvenuto in seduta riservata
anziché pubblica e a seguito di operazioni di verifica
effettuate senza preventiva comunicazione ai partecipanti
alla gara e, pertanto, ne è stata contestata la legittimità.
Il medesimo Coniglio si è espresso per l’illegittimità del
provvedimento di riammissione, ritenendo dirimente
l’incertezza che circonda le modalità di “riemersione”
della dichiarazione risultata alla Commissione di gara in un
primo tempo mancante.
In particolare, la lettera di invito aveva prescritto, con
riferimento alla procedura di aggiudicazione, che la
verifica della regolarità formale delle buste contenenti la
documentazione amministrativa, come pure quella della
regolarità della documentazione medesima, dovessero avvenire
in “seduta pubblica aperta a tutti”, così imponendo
la pubblicità delle operazioni di acquisizione della
documentazione presentata dai concorrenti, al fine di
acclararne senza equivoci la correttezza.
Di fatto l’iniziale apertura delle buste era effettivamente
avvenuta in seduta pubblica, comportando l’immediata
esclusione della ditta concorrente, ma successivamente, dopo
che anche le offerte economiche erano state esaminate, la
medesima ditta è stata riammessa in forza di un autonomo
rinvenimento del documento prima ritenuto mancante.
Tale ritrovamento è però avvenuto in seduta non pubblica, e
a seguito di operazioni di verifica effettuate senza
preventiva comunicazione ai concorrenti.
La pronuncia in esame ha puntualizzato in proposito che, se
è vero che la Pubblica Amministrazione, in applicazione del
principio di autotutela, può attivare procedimenti di
riesame, questi devono però svolgersi con cautele atte ad
assicurare garanzie equipollenti a quelle prescritte per gli
atti e le operazioni che formano oggetto di rivalutazione.
Il rispetto del canone del contrarius actus è difatti
necessario ad impedire l’elusione delle suddette garanzie.
Nella specie tale canone è stato violato, non essendo stata
rispettata la regola della pubblicità della seduta, la quale
era stata dettata dalla lex specialis per la verifica
della regolarità della documentazione amministrativa e da
tale “anomalia” deriva l’illegittimità del
provvedimento di esclusione.
Ciò a maggior ragione se di consideri che dai verbali della
gara non è affatto desumibile, in connessione con le
modalità di riemersione del documento in questione, il
rispetto delle garanzie di custodia e segretezza proprie
delle procedure di evidenza pubblica.
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Esito
Conferma TAR Puglia Lecce, Sez. III, n. 743/2009
(commento tratto da www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 30.09.2013 n. 4842 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E'
noto quanto consolidato
l’insegnamento giurisprudenziale relativo all’istituto del
c.d. dovere di soccorso codificato dall’art. 46 d.lgs. n.
163/2006, per cui l'omessa allegazione di un documento o di
una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può
essere considerata alla stregua di un'irregolarità sanabile,
e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la
regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a
vizi puramente formali.
E ciò tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze
generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara.
In particolare, è noto quanto consolidato
l’insegnamento giurisprudenziale relativo all’istituto del
c.d. dovere di soccorso codificato dall’art. 46 d.lgs. n.
163/2006, per cui l'omessa allegazione di un documento o di
una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può
essere considerata alla stregua di un'irregolarità sanabile,
e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la
regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a
vizi puramente formali.
E ciò tanto più quando non
sussistano equivoci o incertezze generati dall'ambiguità di
clausole della legge di gara (cfr., tra le tante: C.d.S., V,
02.08.2010, n. 5084; 02.02.2010, n. 428; 15.01.2008, n. 36)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.09.2013 n. 4842 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Revoca della gara per mancanza fondi: nessun limite per la
PA.
Nelle procedure ad evidenza pubblica
l'intervenuta aggiudicazione provvisoria (o definitiva) non
osta alla revoca in autotutela dell'intera gara per
sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria, dovendo
sempre prevalere il potere/dovere dell'amministrazione di
rivedere i suoi impegni di spesa, e ciò senza che possano
prospettarsi profili di responsabilità precontrattuali volte
ad avanzare pretese risarcitorie da parte dei partecipanti
alla gara revocata.
Lo ha stabilito la III Sez. del Consiglio di Stato con la
sentenza 26.09.2013 n. 4809.
Nel caso di specie una Azienda sanitaria locale ha indetto
un appalto concorso per la realizzazione di un parcheggio
con sistemazione del verde e della viabilità presso un polo
ospedaliero. La gara ha registrato il suo corso fino
all'aggiudicazione provvisoria. Dopodiché, rilevata
l'anomalia dell'offerta presentata dall'aggiudicataria in
sede di controllo, la stazione appaltante ha bruscamente
interrotto la selezione.
Avverso il provvedimento con cui si dichiarava
l'inaffidabilità dell'offerta della provvisoria
aggiudicataria è stato proposto ricorso al Tribunale
amministrativo regionale; e tuttavia, nelle more del
giudizio, l'intera gara è stata revocata per mancanza di
adeguata copertura finanziaria come anche della rispondenza
dell'appalto alle effettive esigenze dell’amministrazione.
All'esito del sindacato di prime cure il giudice
amministrativo ha rigettato tutte le richieste dell'impresa
ricorrente, ritenendo il provvedimento congruamente motivato
e la richiesta di risarcimento danno per responsabilità
precontrattuale parimenti infondata sul presupposto
dell'impossibilità di individuare l'asserita lezione della
posizione soggettiva dell'impresa in presenza di
un'aggiudicazione, allo stato, solamente provvisoria.
La lite è stata sottoposta all'attenzione dei giudici romani
di Palazzo Spada, innanzi ai quali l'aggiudicataria ha
reiterato le proprie censure nei confronti del comportamento
serbato dall'amministrazione nei suoi confronti, giudicato
lesivo del legittimo affidamento riposto sull'esito della
procedura. Più precisamente, l'impresa appellante ha
rimarcato l'erroneità della decisione del Tar nella parte in
cui quest'ultimo ha negato che la posizione dell'impresa si
fosse consolidata per effetto dell'intervenuta
aggiudicazione provvisoria, per l'effetto negando
qualsivoglia risarcimento a titolo di responsabilità
precontrattuale dell'amministrazione connessa alla decisione
di revocare l'intera procedura di gara.
Ebbene, nel pronunciarsi sulla questione, il Consiglio di
Stato ha sposato l'orientamento secondo cui nelle gare di
appalto, l'aggiudicazione provvisoria rappresenta un mero “atto
endoprocedimentale” inidoneo ad assumere valenza di
decisione definitiva in ordine al soggetto aggiudicatario
della gara: i giudici capitolini hanno, invero, spiegato
come la possibilità che ad un'aggiudicazione provvisoria non
segua quella definitiva sia un “evento del tutto
fisiologico”, la cui disciplina è rinvenibile agli artt.
11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del d.lgs. 163/2006 (Codice
dei contratti pubblici). Si esclude, dunque, che
l'aggiudicazione provvisoria possa, di per sé, essere in
grado di ingenerare qualunque affidamento tutelabile e
obbligo risarcitorio, sempre che non sussista nessuna
illegittimità nell'operato dell’Amministrazione.
Si è poi rimarcato come detta conclusione debba essere
accolta a prescindere dall’inserimento, nel bando, di
apposita clausola volta a prevedere l’eventualità di non dar
luogo alla gara o di revocarla. Ed in ogni caso, ha
soggiunto il Supremo Consesso di giustizia amministrativa,
la revoca della gara in autotutela per il venir meno delle
risorse finanziarie deve assumersi legittima, purché una
tale decisione sia accompagnata da una adeguata motivazione,
come peraltro accaduto nel caso di specie.
Infine, quanto ai profili di responsabilità precontrattuale
dell'amministrazione, è stato precisato come la correttezza
o meno del comportamento della stazione appaltante debba
essere valutata complessivamente, tenuto conto dell'intero
corso dello svolgimento della gara che sia pervenuta alla
conclusione ed alla individuazione del contraente, nonché
nella fase della formazione del contratto, alla luce
dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede,
ai sensi dell'art. 1337 del codice civile. Ciò premesso, è
un principio generale quello per cui, anche laddove sia
intervenuta l’aggiudicazione definitiva, non è precluso alla
stazione appaltante di revocare l’aggiudicazione stessa, in
presenza di un interesse pubblico individuato in concreto,
che ben può consistere nella mancanza di risorse economiche
idonee a sostenere la realizzazione dell’opera, posto che,
anche in questo caso, “rimane integro il potere/dovere
dell'amministrazione di rivedere i suoi impegni di spesa in
ragione delle mutate condizioni delle risorse finanziarie
disponibili” (commento tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'aggiudicazione
provvisoria è atto endoprocedimentale che determina una
scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario
della gara; la possibilità che ad un'aggiudicazione
provvisoria non segua quella definitiva è un evento del
tutto fisiologico, disciplinato dagli artt. 11, comma 11, 12
e 48, comma 2, del d.lgs. 163/2006, inidoneo di per sé a
ingenerare qualunque affidamento tutelabile e obbligo
risarcitorio, qualora non sussista nessuna illegittimità
nell'operato dell’Amministrazione, a prescindere
dall’inserimento nel bando di apposita clausola che preveda
l’eventualità di non dare luogo alla gara o di revocarla.
---------------
Nei contratti pubblici, anche dopo l’intervento
dell’aggiudicazione definitiva, non è precluso
all’amministrazione appaltante di revocare l’aggiudicazione
stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in
concreto, che ben può consistere nella mancanza di risorse
economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera.
E ciò senza che vi sia contraddittorietà con gli atti di
indizione della gara nei quali la stazione appaltante ha
indicato la copertura finanziaria, perché, comunque, rimane
integro il potere/dovere dell'amministrazione di rivedere i
suoi impegni di spesa in ragione delle mutate condizioni
delle risorse finanziarie disponibili.
---------------
L’aggiudicazione provvisoria non determina l’insorgere di
affidamento nella conclusione del contratto, e che,
pertanto, non è configurabile la responsabilità
precontrattuale anteriormente alla scelta del contraente,
fase in cui gli interessati sono solo meri partecipanti alla
gara.
Ai fini della configurabilità della responsabilità
precontrattuale della P.A., difatti, rileva la correttezza
del comportamento complessivamente tenuto
dall'Amministrazione durante il corso dello svolgimento
della gara che sia pervenuta alla conclusione ed alla
individuazione del contraente, nonché nella fase della
formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti
di comportarsi secondo buona fede, ai sensi dell'art. 1337
c.c..
Nelle gare di appalto, l'aggiudicazione provvisoria è atto
endoprocedimentale che determina una scelta non ancora
definitiva del soggetto aggiudicatario della gara; la
possibilità che ad un'aggiudicazione provvisoria non segua
quella definitiva è un evento del tutto fisiologico,
disciplinato dagli artt. 11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del
d.lgs. 163/2006, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque
affidamento tutelabile e obbligo risarcitorio, qualora non
sussista nessuna illegittimità nell'operato
dell’Amministrazione, a prescindere dall’inserimento nel
bando di apposita clausola che preveda l’eventualità di non
dare luogo alla gara o di revocarla (questione pure
sollevata dall’appellante) (Consiglio di Stato Sez. III -
sentenza 24.05.2013, n. 2838).
---------------
Deve essere
ribadito, inoltre, il consolidato indirizzo giurisprudenziale per il quale nei contratti pubblici, anche
dopo l’intervento dell’aggiudicazione definitiva, non è
precluso all’amministrazione appaltante di revocare
l’aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse
pubblico individuato in concreto, che ben può consistere
nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la
realizzazione dell’opera (C.d.S., Sez. III, 11.07.2012,
n. 4116; Adunanza Plenaria, 05.09.2005, n. 6; C.d.S.,
sez. IV, 19.03.2003, n. 1457).
E ciò senza che vi sia contraddittorietà con gli atti di
indizione della gara nei quali la stazione appaltante ha
indicato la copertura finanziaria, perché, comunque, rimane
integro il potere/dovere dell'amministrazione di rivedere i
suoi impegni di spesa in ragione delle mutate condizioni
delle risorse finanziarie disponibili (C.G.A., Sez.
giurisdizionale, 25.01.2013, n. 47).
---------------
Quanto al
terzo motivo di appello, secondo cui a fronte della revoca
legittima il primo giudice avrebbe però erroneamente
ritenuto insussistente la responsabilità precontrattuale, si
ribadisce che l’aggiudicazione provvisoria non determina
l’insorgere di affidamento nella conclusione del contratto,
e che, pertanto, non è configurabile la responsabilità
precontrattuale anteriormente alla scelta del contraente,
fase in cui gli interessati sono solo meri partecipanti alla
gara.
Ai fini della configurabilità della responsabilità
precontrattuale della P.A., difatti, rileva la correttezza
del comportamento complessivamente tenuto
dall'Amministrazione durante il corso dello svolgimento
della gara che sia pervenuta alla conclusione ed alla
individuazione del contraente, nonché nella fase della
formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti
di comportarsi secondo buona fede, ai sensi dell'art. 1337
c.c. (C.d.S., Sez. IV, 07.02.2012, n. 662; Cons.
Stato, Ad. Plen., 05.09.2005, n. 6) (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 26.09.2013 n. 4809 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Appalti, meno carte per le ditte. Documenti sui requisiti
acquisiti direttamente dalle p.a..
Per il Consiglio di stato norma sull'acquisizione d'ufficio
prevalente sul Codice contratti.
Meno scartoffie e adempimenti burocratici per chi partecipa
agli appalti. I documenti a comprova dei requisiti devono
infatti essere acquisiti direttamente dalle stazioni
appaltanti e non richiesti ai concorrenti. E ciò perché
prevale la disciplina generale sulla cosiddetta
«acquisizione d'ufficio» rispetto al Codice dei contratti.
È
quanto afferma il Consiglio di Stato, con la
sentenza
26.09.2013 n. 4785 della
III Sez., che affronta
il tema dei rapporti fra il dpr 445/2000 e l'art. 48 del
Codice dei contratti pubblici, dopo l'entrata in vigore (01.01.2012) delle modifiche apportate dalla legge di
stabilità per il 2012 (legge 183/2011).
In particolare la
legge 183, nel rafforzare il principio della
inutilizzabilità dei certificati nei rapporti con la
pubblica amministrazione, ha affermato l'obbligo, per
quest'ultima, di acquisire d'ufficio le informazioni oggetto
delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47
del dpr n. 445/2000.
La sentenza del Consiglio di stato
precisa che gli accertamenti d'ufficio riguardano tutte le
ipotesi di informazioni oggetto delle dichiarazioni
sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 dello stesso dpr 445,
dichiarazioni sostitutive che, per le gare di appalto
pubblico, attengono ai requisiti di partecipazione alle gare
disciplinati dagli artt. 41 e 42 del codice dei contratti.
Lo stesso codice dei contratti stabilisce però (art. 48) che
la richiesta della documentazione probatoria sia rivolta
direttamente all'interessato anziché acquisita d'ufficio
dall'amministrazione o dall'ente pubblico certificante. Al
riguardo l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici,
con la determina 4/2012 (sul cosiddetto «bando tipo»), ha
precisato che la norma del Codice ha natura di «norma
speciale» rispetto alla disciplina generale del dpr n.
445/2000 e soddisfa «l'esigenza di assicurare la serietà
dell'offerta, unitamente alla celerità della conclusione del
procedimento di verifica». Secondo l'Autorità, quindi,
rimangono in vigore le modalità di comprova del possesso dei
requisiti previste dall'art. 48, con richiesta ai
concorrenti.
Di tutt'altro avviso è invece il Consiglio di
stato, il quale afferma che nelle gare di appalto non rileva
la «specialità» della disciplina dei contratti pubblici. Il
principio affermato viene dedotto anche dalla norma
transitoria introdotta dalla legge di stabilità per il 2012
per la quale, fino alla data di avvio della Banca dati
nazionale sui contratti pubblici, le stazioni appaltanti e
gli enti aggiudicatori verificano il possesso dei requisiti
secondo le modalità previste dalla «normativa vigente» che
non può che comprendere anche gli artt. 43 e 47 del dpr
445/2000, in vigore dal 01.01.2012.
Per i giudici,
quindi, fino all'attivazione della banca dati, le stazioni
appaltanti dovranno procedere d'ufficio tramite contatti con
le amministrazioni interessate alla verifica dei requisiti
auto dichiarati dai concorrenti. Dopo tale data i controlli
d'ufficio diventeranno centralizzati attraverso il
riferimento diretto alla Bdncp, «strumento pubblicistico di
coordinamento e raccolta dati.» Implementato dal cosiddetto Avcpass,
che costituisce un ausilio informatico per l'esercizio dei
poteri-doveri di accertamento d'ufficio
(articolo ItaliaOggi del
02.10.2013). |
APPALTI:
Le pubbliche amministrazioni sono tenute ad acquisire
d’ufficio anche i documenti che comprovano i requisiti dei
partecipanti ad una gara d’appalto, risultando irrilevante la presenza di una diversa
disciplina speciale all’interno del codice dei contratti
pubblici.
Il DPR n. 445/2000, in materia di
documentazione amministrativa, pacificamente trova
applicazione nella materia degli appalti pubblici, essendo
lo stesso codice a legittimarne l’uso.
Sicché non può che trovare applicazione anche l’innovazione
introdotta con l’art. 15 della legge 183/2011, che, per
quanto qui interessa, ha introdotto il seguente comma
all’art. 40: <<01. Le certificazioni rilasciate dalla
pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità
personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei
rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della
pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i
certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti
dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47>> ed
all'articolo 43 ha sostituito il comma 1 col seguente: <<1.
Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi
sono tenuti ad acquisire d'ufficio le informazioni oggetto
delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e
47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso
delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da
parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il
reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero
ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta
dall'interessato>>.
E’ evidente, ad una lettura unitaria delle norme in
questione, che gli accertamenti d’ufficio disciplinati
dall’art. 43, comma 1, D.P.R. 445/2000, come novellato dal
citato art. 15 della l. 183/2011, riguardano tutte le
ipotesi di informazioni oggetto delle dichiarazioni
sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 dello stesso D.P.R.,
dichiarazioni sostitutive che gli artt. 41 e 42 del codice
dei contratti pubblici consentono ai concorrenti di
utilizzare per comprovare i requisiti tecnico-organizzativi
ed economico-professionale, salvo verifica successiva da
parte della stazione appaltante, ai sensi dell’art. 48 commi
1 e 3, senza che possa in alcun modo rilevare la
“specialità” della disciplina dei contratti pubblici.
---------------
Neppure l’art. 6-bis del codice degli
appalti, introdotto dal d.l. 09.02.2012, n. 5, consente di
rinviare, a partire dal 01.01.2013, l’applicazione della
nuova disciplina alla istituzione di una banca dati
nazionale dei contratti pubblici, cui le stazioni appaltanti
dovranno attingere per verificare il possesso dei requisiti
di partecipazione dichiarati in gara dai concorrenti.
La norma contiene una disciplina transitoria secondo cui,
fino alla data di avvio della Banca dati, le stazioni
appaltanti e gli enti aggiudicatori verificano il possesso
dei requisiti secondo le modalità previste dalla normativa
vigente (comma 5).
Il riferimento alla “normativa vigente” include anche la
novella disciplina degli artt. 43 e 47 del D.P.R. 445/2000,
in vigore dal 01.01.2012.
La banca dati è uno strumento di semplificazione e di
accelerazione dei procedimenti di accertamento, che
costituisce un ausilio informatico per l’esercizio dei
poteri-doveri di accertamento d’ufficio; ne consegue che il
coordinamento tra le norme appare logicamente condurre alla
conclusione che:
1) fino all’attivazione della Banca Dati, le stazioni
appaltanti dovranno procedere d’ufficio tramite contatti con
le amministrazioni interessate alla verifica dei requisiti
auto dichiarati dai concorrenti, secondo quanto dispongono
gli artt. 43 e 47 DPR 445/2000;
2) dopo l’attivazione della Banca Dati, i controlli
d’ufficio diventano centralizzati attraverso il riferimento
diretto a tale strumento pubblicistico di coordinamento e
raccolta dati.
Quanto all’obiezione
che solleva Lombardia Informatica, ovvero al carattere di
specialità della disciplina dei contratti pubblici che
impedirebbe l’applicazione della norma di carattere generale
dettata dall’art. 15 della l. 183/2011 (in particolare,
l’art. 41, comma 1, lett. “b” e “c”, in relazione al comma
4, del D.lgs. n. 163/2006, il quale prescrive che i servizi
prestati ad amministrazioni pubbliche siano comprovati
dall’aggiudicataria con certificazioni delle stesse, e
l’art. 42, comma 1, lett. “a”, il quale prevede che i
servizi e le prestazioni in favore di amministrazioni ed
enti pubblici siano provati da certificati rilasciati o
vistati delle amministrazioni o enti destinatari), il
Collegio osserva che il DPR n. 445/2000, in materia di
documentazione amministrativa, pacificamente trova
applicazione nella materia degli appalti pubblici, essendo
lo stesso codice a legittimarne l’uso.
Sicché non può che trovare applicazione anche l’innovazione
introdotta con l’art. 15 della legge 183/2011, che, per
quanto qui interessa, ha introdotto il seguente comma
all’art. 40: <<01. Le certificazioni rilasciate dalla
pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità
personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei
rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della
pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i
certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti
dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47>> ed
all'articolo 43 ha sostituito il comma 1 col seguente: <<1.
Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi
sono tenuti ad acquisire d'ufficio le informazioni oggetto
delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e
47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso
delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da
parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il
reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero
ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta
dall'interessato>>.
E’ evidente, ad una lettura unitaria delle norme in
questione, che gli accertamenti d’ufficio disciplinati
dall’art. 43, comma 1, D.P.R. 445/2000, come novellato dal
citato art. 15 della l. 183/2011, riguardano tutte le
ipotesi di informazioni oggetto delle dichiarazioni
sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 dello stesso D.P.R.,
dichiarazioni sostitutive che gli artt. 41 e 42 del codice
dei contratti pubblici consentono ai concorrenti di
utilizzare per comprovare i requisiti tecnico-organizzativi
ed economico-professionale, salvo verifica successiva da
parte della stazione appaltante, ai sensi dell’art. 48 commi
1 e 3, senza che possa in alcun modo rilevare la “specialità”
della disciplina dei contratti pubblici.
Inoltre, ad avviso di questo Collegio, neppure l’art. 6-bis
del codice degli appalti, introdotto dal d.l. 09.02.2012, n.
5, consente di rinviare, a partire dal 01.01.2013,
l’applicazione della nuova disciplina alla istituzione di
una banca dati nazionale dei contratti pubblici, cui le
stazioni appaltanti dovranno attingere per verificare il
possesso dei requisiti di partecipazione dichiarati in gara
dai concorrenti.
La norma contiene una disciplina transitoria secondo cui,
fino alla data di avvio della Banca dati, le stazioni
appaltanti e gli enti aggiudicatori verificano il possesso
dei requisiti secondo le modalità previste dalla normativa
vigente (comma 5).
Il riferimento alla “normativa vigente” include anche
la novella disciplina degli artt. 43 e 47 del D.P.R.
445/2000, in vigore dal 01.01.2012.
La banca dati è uno strumento di semplificazione e di
accelerazione dei procedimenti di accertamento, che
costituisce un ausilio informatico per l’esercizio dei
poteri-doveri di accertamento d’ufficio; ne consegue che il
coordinamento tra le norme appare logicamente condurre alla
conclusione che:
1) fino all’attivazione della Banca Dati, le stazioni
appaltanti dovranno procedere d’ufficio tramite contatti con
le amministrazioni interessate alla verifica dei requisiti
auto dichiarati dai concorrenti, secondo quanto dispongono
gli artt. 43 e 47 DPR 445/2000;
2) dopo l’attivazione della Banca Dati, i controlli
d’ufficio diventano centralizzati attraverso il riferimento
diretto a tale strumento pubblicistico di coordinamento e
raccolta dati (Consiglio di Stato, Sez.
III,
sentenza 26.09.2013 n. 4785 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Correttamente
l’approvazione del progetto definitivo e di quello esecutivo
del primo lotto dei lavori è avvenuta con deliberazione
dell’organo giuntale, non potendo detta approvazione
considerarsi un atto di programmazione ed indirizzo come
tale appartenente alla competenza dell’organo consiliare, a
nulla rilevando la circostanza che le spese per la
realizzazione dell’opera impegni più esercizi finanziari.
-----------------
Non è vietato ad un ente locale il ricorso per la
realizzazione di opere e lavori pubblici alla contrazione di
mutui o di altre forme di finanziamento, nei limiti e nei
modi stabiliti dalla legge, così che è legittima la
deliberazione, con la quale venga approvato il progetto
esecutivo di un’opera pubblica che comporti la necessità
della copertura finanziaria, purché sia effettivamente
indicata l’esistenza della copertura con la relativa
attestazione da parte del responsabile del servizio
finanziario, attestazione che può fare anche riferimento al
ricorso all’indebitamento ma previa inclusione della
relativa previsione o di apposita variazione nel bilancio
dell’esercizio.
Del resto è stato precisato che la prescrizione (contenuta
nell’art. 55 della legge 08.06.1990, n. 142) secondo la
quale è nulla la deliberazione comunale di spesa priva di
attestazioni della copertura finanziaria, deve essere
interpretata nel senso che la nullità consegue alla sola
carenza della previa attestazione della copertura e non è
esclusa dal fatto che, in concreto, tale copertura sussista,
ancorché non previamente attestata; peraltro, qualora sia
stata effettivamente ed espressamente manifestata
l’intenzione di contrarre un mutuo, deve ritenersi che
l’obbligo della relativa copertura finanziaria sia stato
effettivamente adempiuto.
---------------
E' legittimamente omessa la comunicazione dell’avvio del
procedimento per l’emanazione del decreto di occupazione di
urgenza, trattandosi di atto di mera attuazione del
provvedimento dichiarativo della pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza dei lavori, con la conseguenza
che le garanzie procedimentali relative alla partecipazione
sono proprie solo di quest’ultimo.
A ciò consegue, sotto altro
concorrente profilo, che correttamente l’approvazione del
progetto definitivo e di quello esecutivo del primo lotto
dei lavori sia avvenuta con deliberazione dell’organo
giuntale, non potendo detta approvazione considerarsi un
atto di programmazione ed indirizzo come tale appartenente
alla competenza dell’organo consiliare (C.d.S., sez. IV, 05.02.1999, n. 110; 27.03.2002, n. 1742; 19.10.2004, n. 6714; 16.04.2006, n. 2992; sez. V, 16.06.2009, n. 3853), a nulla rilevando la circostanza che le
spese per la realizzazione dell’opera impegni più esercizi
finanziari.
---------------
E’ sufficiente
rilevare al riguardo che non è vietato ad un ente locale il
ricorso per la realizzazione di opere e lavori pubblici alla
contrazione di mutui o di altre forme di finanziamento, nei
limiti e nei modi stabiliti dalla legge, così che è
legittima la deliberazione, con la quale venga approvato il
progetto esecutivo di un’opera pubblica che comporti la
necessità della copertura finanziaria, purché sia
effettivamente indicata l’esistenza della copertura con la
relativa attestazione da parte del responsabile del servizio
finanziario, attestazione che può fare anche riferimento al
ricorso all’indebitamento ma previa inclusione della
relativa previsione o di apposita variazione nel bilancio
dell’esercizio (C.d.S., sez. V, 16.01.2002, n. 216);
del resto è stato precisato che la prescrizione (contenuta
nell’art. 55 della legge 08.06.1990, n. 142) secondo la
quale è nulla la deliberazione comunale di spesa priva di
attestazioni della copertura finanziaria, deve essere
interpretata nel senso che la nullità consegue alla sola
carenza della previa attestazione della copertura e non è
esclusa dal fatto che, in concreto, tale copertura sussista,
ancorché non previamente attestata; peraltro, qualora sia
stata effettivamente ed espressamente manifestata
l’intenzione di contrarre un mutuo, deve ritenersi che
l’obbligo della relativa copertura finanziaria sia stato
effettivamente adempiuto (C.d.S., sez. sez. IV, 23.03.2000, n. 1561).
----------------
Quanto alle
censure sollevate nei confronti della determinazione
dirigenziale 02.04.1999, n. 19, e dell’avviso di
occupazione 07.04.1999, n. 3244, anche a voler
prescindere dalla loro inammissibilità per sopravvenuta
carenza di interesse, atteso che per effetto della nuova
delibera n. 539 del 20.05.1999 detti provvedimenti
devono considerarsi caducati, esse sono infondate:
- quella di
illegittimità derivata, stante l’acclarata legittimità della
citata delibera n. 1815 del 19.11.1998;
- quelle
concernenti la pretesa violazione delle garanzie
partecipative ed il presunto difetto di motivazione, in
quanto, secondo un consolidato e condivisibile indirizzo
giurisprudenziale, è legittimamente omessa la comunicazione
dell’avvio del procedimento per l’emanazione del decreto di
occupazione di urgenza, trattandosi di atto di mera
attuazione del provvedimento dichiarativo della pubblica
utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, con la
conseguenza che le garanzie procedimentali relative alla
partecipazione sono proprie solo di quest’ultimo (C.d. S.,
sez. IV, 08.06.2007, n. 2999; 31.05.2007, n. 2874).
Né all’avviso di occupazione si sarebbe dovuto allegare, a
pena di illegittimità dello stesso, il provvedimento di
occupazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.09.2013 n. 4766 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
tema di verifica dell’anomalia dell’offerta costituisce jus
receptum che:
a) il giudizio della stazione appaltante costituisce
esplicazione paradigmatica di discrezionalità tecnica,
sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di
erroneità fattuale che rendano palese l’inattendibilità
complessiva dell’offerta;
b) il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni
della pubblica amministrazione sotto il profilo della
logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria,
senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica
della congruità dell’offerta e delle singole voci, cosa che
rappresenterebbe invece un’inammissibile invasione della
sfera propria della pubblica amministrazione;
c) anche l’esame delle giustificazioni prodotte dai
concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria
offerta rientra nella discrezionalità tecnica
dell’amministrazione, con la conseguenza che soltanto in
caso di macroscopiche illegittimità, quali errori di
valutazione gravi ed evidenti oppure valutazioni abnormi o
inficiate da errori di fatto, il giudice di legittimità può
intervenire, fermo restando l’impossibilità di sostituire il
proprio giudizio a quello dell’amministrazione;
d) sebbene, poi, la valutazione di congruità debba essere
globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in
modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento
che l’obiettivo dell’indagine è l’accertamento
dell’affidabilità dell’offerta nel suo complesso e non già
delle singole voci che lo compongono, non può considerarsi
viziato il procedimento di verifica per il fatto che
l’amministrazione appaltante ovvero la commissione di gara
si sia limitata a chiedere le giustificazioni per le sole
voci sospette di anomalia e non per le altre, giacché il
concorrente, per illustrare la propria offerta e dimostrane
la congruità, può fornire, ex art. 87, comma 1, D.Lgs. n.
163 del 2006, spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi
elemento dell’offerta e quindi anche su voci non
direttamente indicate dall’amministrazione come incongrue,
così che se un concorrente non è in grado di dimostrare
l’equilibrio complessivo della propria offerta attraverso il
richiamo di voci ed elementi diversi da quelli individuati
nella richiesta di giustificazioni, in via di principio ciò
non può essere ascritto a responsabilità della stazione
appaltante per erronea o inadeguata formulazione della
richiesta di giustificazioni.
In tema di verifica dell’anomalia dell’offerta
costituisce jus receptum che:
a) il giudizio della stazione appaltante costituisce
esplicazione paradigmatica di discrezionalità tecnica,
sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di
erroneità fattuale che rendano palese l’inattendibilità
complessiva dell’offerta (C.d.S., sez. V, 26.06.2012, n.
3737; 22.02.2011, n. 1090; 08.07.2008, n. 3406; 29.01.2009, n. 497);
b) il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni
della pubblica amministrazione sotto il profilo della
logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria,
senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica
della congruità dell’offerta e delle singole voci, cosa che
rappresenterebbe invece un’inammissibile invasione della
sfera propria della pubblica amministrazione (C.d.S., sez.
V, 18.02.2013, n. 974; 19.11.2012, n. 5846; 23.07.2012, n. 4206; 11.05.2012, n. 2732);
c) anche l’esame delle giustificazioni prodotte dai
concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria
offerta rientra nella discrezionalità tecnica
dell’amministrazione, con la conseguenza che soltanto in
caso di macroscopiche illegittimità, quali errori di
valutazione gravi ed evidenti oppure valutazioni abnormi o
inficiate da errori di fatto, il giudice di legittimità può
intervenire, fermo restando l’impossibilità di sostituire il
proprio giudizio a quello dell’amministrazione (C.d.S., sez.
V, 06.06.2012, n. 3340; 29.02.2012, n. 1183);
d) sebbene, poi, la valutazione di congruità debba essere
globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in
modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento
che l’obiettivo dell’indagine è l’accertamento
dell’affidabilità dell’offerta nel suo complesso e non già
delle singole voci che lo compongono (C.d.S., sez. V, 27.08.2012, n. 4600; sez. V, 16.08.2011, n. 4785; sez. IV, 14.04.2010, n. 2070; sez. VI,
02.04.2010, n.
1893; sez. V, 18.03.2010, n. 1589; 12.06.2009, n.
3762), non può considerarsi viziato il procedimento di
verifica per il fatto che l’amministrazione appaltante
ovvero la commissione di gara si sia limitata a chiedere le
giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia e non
per le altre, giacché il concorrente, per illustrare la
propria offerta e dimostrane la congruità, può fornire, ex
art. 87, comma 1, D.Lgs. n. 163 del 2006, spiegazioni e
giustificazioni su qualsiasi elemento dell’offerta e quindi
anche su voci non direttamente indicate dall’amministrazione
come incongrue, così che se un concorrente non è in grado di
dimostrare l’equilibrio complessivo della propria offerta
attraverso il richiamo di voci ed elementi diversi da quelli
individuati nella richiesta di giustificazioni, in via di
principio ciò non può essere ascritto a responsabilità della
stazione appaltante per erronea o inadeguata formulazione
della richiesta di giustificazioni (C.d.S., A.P., 29.11.2012, n. 36)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.09.2013 n. 4761 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sebbene
non possa negarsi in generale che nell’ambito dei
fondamentali principi costituzionali di imparzialità e buon
andamento, cui deve ispirarsi l’azione amministrativa anche
nei procedimenti di scelta del contraente dei contratti
pubblici (sub specie di correttezza, affidamento,
trasparenza e parità di trasparenza, ex art. 2 del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163) rientrino anche quelli di buona fede e
collaborazione, principi che, per un verso, impongono
innanzitutto alle stazioni appaltanti di privilegiare, nei
limiti del possibile, una lettura ed una interpretazione non
rigida e formalistica delle regole della lex specialis, onde
assicurare la più ampia partecipazione alle procedure ad
evidenza pubblica e, per altro verso, si
concretizzano in un vero e proprio obbligo per
l’amministrazione di cooperare con i concorrenti,
invitandoli specialmente a completare la documentazione
ovvero a fornire chiarimenti in ordine a certificati,
documenti e dichiarazioni presentati, è altrettanto
indiscutibile che il ricordato c.d. dovere di soccorso deve
in ogni caso intendersi limitato a consentire la “sanatoria”
di difformità e carenze di carattere meramente formale e
facilmente riconoscibili, come tali inidonee a violare gli
altrettanto fondamentali principi di parità di trattamento
dei concorrenti e di non discriminazione, non potendo
pertanto con esso supplirsi a sostanziali carenze
dell’offerta presentata, integrandola o rielaborandola, così
superando decadenze o situazioni di inammissibilità già
verificatesi.
Sebbene, infatti, non possa negarsi in
generale che nell’ambito dei fondamentali principi
costituzionali di imparzialità e buon andamento, cui deve
ispirarsi l’azione amministrativa anche nei procedimenti di
scelta del contraente dei contratti pubblici (sub specie di
correttezza, affidamento, trasparenza e parità di
trasparenza, ex art. 2 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163)
rientrino anche quelli di buona fede e collaborazione,
principi che, per un verso, impongono innanzitutto alle
stazioni appaltanti di privilegiare, nei limiti del
possibile, una lettura ed una interpretazione non rigida e
formalistica delle regole della lex specialis, onde
assicurare la più ampia partecipazione alle procedure ad
evidenza pubblica e, per altro verso, si concretizzano in un
vero e proprio obbligo per l’amministrazione di cooperare
con i concorrenti, invitandoli specialmente a completare la
documentazione ovvero a fornire chiarimenti in ordine a
certificati, documenti e dichiarazioni presentati, è
altrettanto indiscutibile che il ricordato c.d. dovere di
soccorso deve in ogni caso intendersi limitato a consentire
la “sanatoria” di difformità e carenze di carattere
meramente formale e facilmente riconoscibili, come tali
inidonee a violare gli altrettanto fondamentali principi di
parità di trattamento dei concorrenti e di non
discriminazione (C.d.S., sez. VI, 13.02.2013, n. 889;
sez. V, 23.10.2012, n. 5408; 30.08.2012, n. 4654;
31.03.2012, n. 1896), non potendo pertanto con esso
supplirsi a sostanziali carenze dell’offerta presentata,
integrandola o rielaborandola, così superando decadenze o
situazioni di inammissibilità già verificatesi
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.09.2013 n. 4760 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Annullamento dell’atto presupposto: inefficacia del
contratto dichiarabile in autotutela?
L’amministrazione vincolata da un
rapporto negoziale non può dichiarare in autotutela
l’inefficacia del contratto, incidendo unilateralmente sul
rapporto contrattuale stipulato con la controparte, essendo
tale misura rimessa solo al giudice.La domanda di
declaratoria di inefficacia del contratto può essere
proposta per la prima volta anche nel giudizio di
ottemperanza, a patto però che sussistano i presupposti di
fatto e di diritto e l’interesse della parte.
Il Consiglio di Stato si pronuncia, in sede di giudizio di
ottemperanza, ancora una volta sulla vexata questio
della caducazione del contratto come conseguenza della
sentenza di annullamento dell’atto presupposto e, in
particolare, sul potere di autotutela della p.a..
Nello specifico, in accoglimento di un ricorso straordinario
al Capo dello Stato era stata annullata la deliberazione di
un Comune di approvazione di un progetto di realizzazione di
un parcheggio interrato (per la precisione dell’ampliamento
del parcheggio) e di concessione del diritto di superficie
sull’area, cui aveva fatto seguito la stipula del relativo
contratto.
Il Comune, con apposita delibera, prendeva atto della
decisione di annullamento, indicando però nel contempo che
il relativo contrato “rimane efficace tra le parti”.
La parte che ha ottenuto l’annullamento proponeva un
giudizio di ottemperanza, lamentando che l’Amministrazione,
nel mantenere l’efficacia del contratto, non avesse dato
corretta esecuzione alla pronuncia resa in accoglimento del
ricorso straordinario.
La sentenza in esame dichiara infondata la domanda di
ottemperanza per due ordini di motivi.
In primo luogo, la pronuncia del Capo dello Stato di cui si
chiede l’esecuzione, nell’annullare la delibera comunale che
ha approvato il progetto di ampliamento dei parcheggi nulla
ha statuito in ordine al relativo contratto.
Nell’ordinamento vigente, la caducazione del contratto non è
una conseguenza automatica ed ineluttabile della sentenza di
annullamento dell’atto presupposto, essendo rimessi al
giudice l’accertamento e la relativa dichiarazione (art.
245-bis del codice dei contratti pubblici, introdotto dal
d.lgs. n. 53/2010, e art. 121 del codice del processo
amministrativo).
In assenza di una statuizione sul punto, l’amministrazione
non avrebbe potuto dichiarare autonomamente il contratto
inefficace.
Non è ipotizzabile, infatti, che la p.a. decida la sorte del
contratto in assenza di una decisione giurisdizionale.
L’amministrazione vincolata da un rapporto negoziale non può
dichiarare in autotutela l’inefficacia del contratto,
incidendo unilateralmente sul rapporto contrattuale
stipulato con la controparte, essendo tale misura rimessa
solo al giudice (Cass. sezioni unite, 18.01.2012, n. 17842).
In secondo luogo, è vero che la domanda di declaratoria di
inefficacia del contratto può essere proposta anche nel
giudizio di ottemperanza, in quanto deve essere intesa quale
una delle possibili modalità di attuazione del giudicato,
anche se non vi sia stata alcuna domanda in tal senso nel
giudizio di cognizione.
Tuttavia tale domanda presuppone pur sempre la sussistenza
dei presupposti di fatto e di diritto e l’interesse della
parte, essendo la declaratoria di inefficacia sempre
strumentale all’interesse del ricorrente di poter subentrare
nel contratto o partecipare ad una nuova procedura di
affidamento.
Questa situazione non ricorre nel caso in esame, atteso che
il contratto è stato integralmente eseguito ed eventuali
residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo
dall’esecutore originario, così che l’impresa ricorrente non
ha nessuna possibilità di subentrare nel contratto o di
vedersi affidare i lavori, avendo il contratto esaurito ogni
effetto.
---------------
Esito
Rigetta il ricorso
Precedenti giurisprudenziali sul potere di
dichiarare in autotutela l’inefficacia del contratto
in senso conforme Cass. sezioni unite, 18.01.2012, n. 17842;
in senso difforme: Cons. Stato Sez. V, 04.01.2011, n. 11; in
senso sostanzialmente difforme, ancorché su diverso oggetto,
anche Cons. Stato Sez. III, 23.05.2013, n. 2802, secondo cui
l'annullamento in via di autotutela dell'aggiudicazione da
parte dell'Amministrazione comporta l'automatica inefficacia
del contratto medio tempore stipulato, tenendo presente che
ciò che rileva è il collegamento sostanziale tra i due atti,
l'aggiudicazione e il contratto, i quali simul stabunt,
simul cadent, qualunque sia la sede dell'annullamento.
Precedenti giurisprudenziali
sull’ammissibilità della domanda di declaratoria di
inefficacia del contratto ottemperanza
Cons. Stato Sez. III, 19.12.2011, n. 6638
Riferimenti normativi
Art. 245-bis del D.Lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti
pubblici); art. 121 del codice del processo amministrativo
(commento tratto da www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 26.09.2013 n. 4752 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: Edifici
scolastici sicuri, sostenibili ed adeguati alle nuove
esigenze didattiche, ecco quanto proposto nelle nuove Linee
Guida.
Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato le nuove “Linee
guida per le architetture interne delle scuole”, per la
corretta progettazione dell’edilizia scolastica.
La ridefinizione delle Linee guida, strettamente collegata
al piano di innovazione digitale delle scuole, fornisce
nuove soluzioni: non più solo aule, ma spazi modulari e
polifunzionali, facilmente configurabili ed in grado di
rispondere a contesti educativi sempre in evoluzione.
Tradizionalmente l’aula è sempre stata lo spazio unico della
didattica quotidiana, un luogo in cui il docente, posto di
fronte ai ragazzi disposti in file di banchi, trasmetteva
agli studenti le conoscenze da acquisire. L’aula moderna è
ancora uno spazio pensato per interventi frontali ma è ora
uno dei tanti momenti di un percorso di apprendimento
articolato e centrato sullo studente. Quindi cambiano
radicalmente i principi alla base della progettazione
funzionale.
La guida, in particolare, fornisce i criteri generali per la
progettazione di edifici scolastici, con indicazioni
operative su:
►
configurazione e articolazione interna degli edifici
►
ottimizzazione del sistema edificio/ambiente
►
scelta dei materiali da utilizzare
►
materiali da evitare
Particolare attenzione è dedicata nel testo agli impianti
tecnologici, per i quali è necessario puntare sulla
flessibilità.
Il documento è certamente interessante per tutti i tecnici
che operano nel settore della progettazione di edifici ad
uso collettivo
(26.09.2013 - link a www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI: Appalti, la referenza resta.
Validi i certificati esecuzione lavori pre 2006.
L'Autorità lavori pubblici cambia rotta e salva tre anni di
qualificazione.
Nelle gare pubbliche di appalto è possibile qualificarsi
come imprese di costruzioni, anche presentando certificati
di esecuzione dei lavori emessi in forma cartacea prima del
luglio 2006. Ma la stazione appaltante dovrà garantire
l'autenticità dei certificati stessi.
È quanto stabilisce
l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la
deliberazione
25.09.2013 n. 35 depositata il 29
ottobre (relatore Luciano Berarducci) che rettifica
parzialmente e integra la precedente delibera n. 24 del 23.05.2013 relativa alle indicazioni fornite a Soa e
stazioni appaltanti in materia di emissione dei cosiddetti
Cel (Certificati esecuzione lavori).
Il problema si era posto rispetto all'articolo 83, comma 7,
del dpr 207/2010 (il regolamento del codice dei contratti
pubblici) che impone alle Soa di accertare la presenza dei
certificati nel Casellario gestito dall'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici ai fini del rilascio
dell'attestazione e, in caso accertino che non siano
presenti, impone loro di darne comunicazione all'Autorità
per i conseguenti provvedimenti sanzionatori.
La norma
prevede che i Cel non siano utilizzabili fino al loro
inserimento nel casellario informatico e quindi non pone
difficoltà, nel caso in cui i certificati siano stati emessi
in forma digitale e inseriti nel Casellario. Ma per alcuni
casi, precedenti il 2006 quando non era ancora in vigore
l'obbligo di emettere i Cel in forma telematica, l'impresa
disponeva soltanto di copie cartacee. Rispetto a questi
certificati cartacei nel maggio scorso l'Autorità aveva
stabilito la regola dell'inutilizzabilità, per cui le
imprese avrebbero dovuto chiedere alle stazioni appaltanti,
a distanza di molti anni, la emissione ex novo in forma
telematica e la trasmissione al Casellario.
Dal momento che
i requisiti di qualificazione prendono in considerazione
anche dieci anni, per i certificati non inseriti nel
Casellario e riguardanti gli anni dal 2003 al 2006,
l'impresa si sarebbe trovata nell'impossibilità di
utilizzare le referenze dei lavori eseguiti, ancorché fosse
in possesso del regolare certificato emesso in forma
cartacea. La delibera n. 24 (resa nota a luglio) prevedeva
come ulteriore possibilità quella di considerare validi
anche i certificati trasmessi, in via telematica,
direttamente al casellario dalle stazioni appaltanti secondo
i format previsti dall'organismo di vigilanza.
Con la
delibera dei giorni scorsi l'Authority, per esigenze di
semplificazione ammette la possibilità di utilizzazione, in
sede di attestazione presso la Soa, dei Cel cartacei che
però non dovranno più essere emessi nuovamente dalla
stazione appaltante (attività che avrebbe potuto creare
molte difficoltà operative); sarà infatti sufficiente la
«previa conferma scritta circa la veridicità degli stessi da
parte della stazione appaltante» per poterli utilizzare.
In
ogni caso, dice l'Autorità, la mancanza di questa conferma
scritta impedisce l'utilizzabilità del Cel e l'inerzia della
stazione appaltante, a fronte della richiesta dell'impresa,
costituisce elemento passibile di sanzione (fino a circa 26
mila euro)
(articolo ItaliaOggi del 05.11.2013). |
APPALTI: In
tema di gara d’appalto per l’aggiudicazione dei contratti,
va escluso che debbano essere immediatamente impugnate le
clausole del bando o della lettera di invito che non
incidano direttamente ed immediatamente sull’interesse del
soggetto a partecipare alla gara, e, dunque, non
determinino, per lo stesso, un immediato arresto
procedimentale; pertanto, non sono suscettibili di
impugnazione immediata le clausole relative alle modalità di
valutazione delle offerte ed attribuzione dei punteggi e, in
generale, alle modalità di svolgimento della gara, nonché
alla composizione della commissione giudicatrice.
---------------
Qualora la sottocommissione preposta alla valutazione delle
offerte si sia limitata a svolgere attività strumentale,
ossia di supporto alla valutazione della commissione di
gara, mentre la fissazione dei criteri di assegnazione dei
punteggi e la valutazione finale delle offerte sono state
effettuate dalla commissione al completo, il principio di
collegialità non può dirsi violato.
---------------
Allorché la concorrente che si duole delle modalità di
svolgimento della gara semplicemente alleghi il pericolo
che, nella fattispecie concreta, si siano determinate
conoscenze indebite delle valutazioni tecniche –pur
riservate– già compiute dalla commissione giudicatrice,
spetta alle controparti provare in giudizio che quel
pericolo di inquinamento non si è, nei fatti, tradotto in
realtà. Solo in tal modo –ossia, solo con l’assoluta
certezza che il principio della segretezza degli atti di
gara non sia stato intaccato– potrà essere salvato il
segmento procedurale fino a quel momento compiuto, in base
alla regola generale “utile per inutile non vitiatur”.
Quando invece non venga neanche allegato un pericolo
concreto di inquinamento della gara, limitandosi la
ricorrente a mere asserzioni teoriche in punto di violazione
del principio di segretezza (come nel caso oggetto
dell’odierno giudizio), non potrebbe evidentemente ritenersi
che quella violazione, nei fatti, sia avvenuta.
In tal caso, allora, non può che riespandersi la
contrapposta istanza che riposa nell’economicità dell’azione
amministrativa, con necessità di riconoscere prevalenza alla
salvezza del segmento di gara già compiuto. Detto
altrimenti: qualora possa con certezza escludersi che il
principio della segretezza non sia stato violato –o perché
la ricorrente non ha nemmeno allegato l’esistenza di un
concreto pericolo per esso, o perché le controparti sono
riuscite a provare che nessun pericolo si era, nella specie,
verificato– troverà applicazione la regola generale “utile
per inutile non vitiatur” e potrà essere salvato il segmento
procedurale già compiuto.
---------------
L’obbligo di comunicare al partecipante ad una gara di
appalto l’avvenuta esclusione dalla procedura selettiva
entro un termine non superiore a cinque giorni, ai sensi
dell'art. 79, comma 5, lett. b, d.lgs. n. 163 del 2006, non
contiene alcuna espressa sanzione: pertanto, da un’omissione
che non abbia arrecato alcun nocumento alla parte
interessata non può dedursi l’esistenza di un vizio tale da
rendere annullabile il provvedimento recante l’esclusione,
con la precisazione che la tardività di tale comunicazione
non incide sulla legittimità dell’aggiudicazione ma
solamente sulla decorrenza del termine per l’impugnazione
anche in ragione della natura ordinatoria del termine
previsto dalla detta norma.
Deve, quindi, richiamarsi il costante insegnamento della
giurisprudenza amministrativa secondo il quale, in tema di
gara d’appalto per l’aggiudicazione dei contratti, va
escluso che debbano essere immediatamente impugnate le
clausole del bando o della lettera di invito che non
incidano direttamente ed immediatamente sull’interesse del
soggetto a partecipare alla gara, e, dunque, non
determinino, per lo stesso, un immediato arresto
procedimentale; pertanto, non sono suscettibili di
impugnazione immediata le clausole relative alle modalità di
valutazione delle offerte ed attribuzione dei punteggi e, in
generale, alle modalità di svolgimento della gara, nonché
alla composizione della commissione giudicatrice (ex
multis, Cons. Stato, Sez. VI, n. 4699 del 2008).
---------------
Come statuito in
giurisprudenza, qualora la sottocommissione preposta alla
valutazione delle offerte si sia limitata a svolgere
attività strumentale, ossia di supporto alla valutazione
della commissione di gara, mentre la fissazione dei criteri
di assegnazione dei punteggi e la valutazione finale delle
offerte sono state effettuate dalla commissione al completo,
il principio di collegialità non può dirsi violato (cfr.
Cons. Stato, sez. V, n. 1902 del 2005; TAR Toscana, sez. I,
n. 269 del 2009; TAR Campania, Napoli, sez. I, n. 4735 del
2007; TAR Marche, n. 1146 del 2006).
---------------
Come già statuito da questo TAR (sez. II, sent. n. 2363 del
2010, peraltro invocata dalla stessa ricorrente), allorché
la concorrente che si duole delle modalità di svolgimento
della gara semplicemente alleghi il pericolo che, nella
fattispecie concreta, si siano determinate conoscenze
indebite delle valutazioni tecniche –pur riservate– già
compiute dalla commissione giudicatrice, spetta alle
controparti provare in giudizio che quel pericolo di
inquinamento non si è, nei fatti, tradotto in realtà. Solo
in tal modo –ossia, solo con l’assoluta certezza che il
principio della segretezza degli atti di gara non sia stato
intaccato– potrà essere salvato il segmento procedurale fino
a quel momento compiuto, in base alla regola generale “utile
per inutile non vitiatur”.
Quando invece non venga neanche allegato un pericolo
concreto di inquinamento della gara, limitandosi la
ricorrente a mere asserzioni teoriche in punto di violazione
del principio di segretezza (come nel caso oggetto
dell’odierno giudizio), non potrebbe evidentemente ritenersi
che quella violazione, nei fatti, sia avvenuta. In tal caso,
allora, non può che riespandersi la contrapposta istanza che
riposa nell’economicità dell’azione amministrativa, con
necessità di riconoscere prevalenza alla salvezza del
segmento di gara già compiuto. Detto altrimenti: qualora
possa con certezza escludersi che il principio della
segretezza non sia stato violato –o perché la ricorrente non
ha nemmeno allegato l’esistenza di un concreto pericolo per
esso, o perché le controparti sono riuscite a provare che
nessun pericolo si era, nella specie, verificato– troverà
applicazione la regola generale “utile per inutile non
vitiatur” e potrà essere salvato il segmento procedurale
già compiuto.
---------------
In ordine al ritardo con cui la stazione appaltante ha
comunicato alla ricorrente l’avvenuta esclusione dalla gara
(ottavo dei motivi aggiunti), si deve rilevare –in aderenza
al costante orientamento della giurisprudenza– che l’obbligo
di comunicare al partecipante ad una gara di appalto
l’avvenuta esclusione dalla procedura selettiva entro un
termine non superiore a cinque giorni, ai sensi dell'art.
79, comma 5, lett. b, d.lgs. n. 163 del 2006, non contiene
alcuna espressa sanzione: pertanto, da un’omissione che non
abbia arrecato alcun nocumento alla parte interessata non
può dedursi l’esistenza di un vizio tale da rendere
annullabile il provvedimento recante l’esclusione, con la
precisazione che la tardività di tale comunicazione non
incide sulla legittimità dell’aggiudicazione ma solamente
sulla decorrenza del termine per l’impugnazione anche in
ragione della natura ordinatoria del termine previsto dalla
detta norma (cfr., di recente, ex multis: TAR Puglia,
Lecce, sez. III, n. 706 del 2012; TAR Campania, Salerno,
sez. II, n. 2204 del 2012) (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 24.09.2013 n. 1036 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Appalti: i lavori su beni dati in concessione vanno affidati
a terzi.
Domanda
Un Comune, a seguito di procedura ad evidenza pubblica, ha
dato in concessione ad un privato la gestione del centro
sportivo comunale. Ora, di comune accordo, il concessionario
ed il Comune vorrebbero potenziare gli impianti e gli
immobili oggetto della concessione iniziale, prevedendo un
maggior corrispettivo o una maggiore durata della iniziale
concessione. Nulla dicendo in tema di ampliamenti e/o
migliorie né il bando iniziale né l'atto di concessione in
merito, si chiede se ciò sia possibile ed in quale misura
questo sia legittimo nel rispetto delle norme e Direttive
europee. Il valore della concessione vigente ha un valore di
520.000 IVA per la durata di 13 anni.
Risposta
L'art. 3 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 stabilisce che "29.
Gli «enti aggiudicatori» al fine dell'applicazione delle
disposizioni delle parti I, III, IV e V comprendono le
amministrazioni aggiudicatrici, le imprese pubbliche, e i
soggetti che, non essendo amministrazioni aggiudicatrici o
imprese pubbliche, operano in virtù di diritti speciali o
esclusivi concessi loro dall'autorità competente secondo le
norme vigenti".
Ne deriva che i lavori che devono essere svolti su beni dati
in concessione (tra cui il potenziamento degli impianti e
degli immobili oggetto della concessione iniziale) dovranno
essere affidati dal concessionario o dal concedente a terzi
secondo la procedura di evidenza pubblica, non potendo il
concessionario realizzarli direttamente pena la violazione
del superiore principio di libera concorrenza. Il Comune,
per contro, può assumerli direttamente solo nei limiti di
cui all'art. 125 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 (24.09.2013
- tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI SERVIZI: Passaggio di personale anche tra privati.
Trasferimenti tra gestori del
servizio integrato dei rifiuti.
L'art. 202, comma 6, del dlgs 152/2006, il quale stabilisce
che vi sia un passaggio diretto e immediato al nuovo gestore
del servizio integrato dei rifiuti del personale impiegato
presso il gestore uscente, si applica anche nel caso in cui
quest'ultimo sia un'impresa privata.
Questo è quanto ha precisato il TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II con la
sentenza 23.09.2013 n. 780.
Nel caso in esame il comune di Calcinato, dopo aver
praticato negli ultimi anni l'esternalizzazione della
gestione del servizio di igiene urbana, aveva deciso di
affidare il servizio mediante affidamento in house.
Il gestore prescelto era stata la società Garda Uno spa, di
cui il Comune era divenuto socio mediante l'acquisto dello
0,1% del capitale per un importo pari a 10.000.
La controversia verte, oltre che sulla mancanza del
requisito del controllo analogo, essendovi una minima
partecipazione al capitale sociale, sulla presunta
violazione dell'art. 202, comma 6, del dlgs 03.04.2006 n.
152, che prevede il passaggio diretto al nuovo gestore dei
dipendenti presso il gestore uscente, otto mesi prima
dell'affidamento del servizio.
Il Tar non rileva alcuna illegittimità.
I giudici amministrativi, dopo aver confermato come sussista
il requisito del controllo analogo anche nel caso di
partecipazione minoritaria, se dallo statuto della società
risulti che il socio ultraminoritario eserciti il proprio
controllo non solo in forma congiunta con gli altri enti
pubblici, ma anche in modo effettivo, analizzano l'art. 202,
comma 6, del dlgs152/2006: questa disciplina, che prevede il
passaggio diretto del personale, si applica espressamente
anche nel caso in cui il gestore uscente sia un'impresa
privata.
Tale previsione, osserva il Collegio, pur avendo di mira un
obiettivo di sicura utilità sociale come la tutela
dell'occupazione, si espone a dubbi di costituzionalità, in
quanto fa gravare sul nuovo gestore un costo aggiuntivo che
può poi tradursi in incrementi tariffari per gli utenti o in
minore qualità del servizio, oppure può costituire ex
ante un disincentivo alla partecipazione a eventuali
gare.
La disposizione, tuttavia, va applicata in base alla
disciplina sopravvenuta, e in particolare alla stregua
dell'art. 3-bis comma 2 del dl n. 138/2011, convertito dalla
legge 14.09.2011, n. 148, secondo cui, nelle procedure a
evidenza pubblica, «l'adozione di strumenti di tutela
dell'occupazione costituisce elemento di valutazione
dell'offerta e non condizione per il subentro nel servizio»
(articolo ItaliaOggi Sette
dell'11.11.2013). |
APPALTI: Appalti, responsabilità limitata.
Resta la parte relativa alle ritenute fiscali sui redditi.
Cosa cambia per le imprese nella
stipulazione dei contratti dopo i decreti Fare e Lavoro.
Nei contratti di appalto non opera più la responsabilità
solidale ai fini Iva. Ma viene estesa quella ai fini
contributivi e assicurativi anche ai lavoratori autonomi,
con particolare riguardo ai co.co.pro. e ai lavoratori
occasionali.
Sono queste le principali novità introdotte dal
decreto Fare (dl 21.06.2013, n. 69, convertito dalla
legge 98/2013) e dal decreto Lavoro (28.06.2013, n. 76
convertito dalla legge 99/2013), che hanno modificato il
precedente assetto normativo in materia di responsabilità
solidale tra committente e appaltatore.
Applicabilità ed esclusioni. La responsabilità solidale
emerge in presenza di un rapporto contrattuale tra due
imprese che abbiano le caratteristiche di cui all'art. 1655
c.c. Non rientrano, invece, in tale ambito i contratti
aventi quale oggetto prevalente un'obbligazione di dare,
come i rapporti di somministrazione, subfornitura, vendita o
nolo, anche nell'ipotesi in cui prevedano un obbligo di
«fare» accessorio rispetto a quello principale.
L'ambito soggettivo di applicazione della norma è esteso
all'impresa committente e all'impresa appaltatrice: la prima
risponderà dei debiti maturati anche dalle imprese
subappaltatrici che abbiano collaborato alla realizzazione
dell'opera o del servizio da essa affidato. All'interno
della «filiera» di appalti, l'art. 29 secondo la Cassazione
(sent. n. 6208 del 07.03.2008), prevede anche una
responsabilità solidale dell'impresa subappaltante per i
debiti maturati dall'impresa a cui abbia eventualmente
affidato, in tutto o in parte, l'opera o il servizio.
Limitazione alla responsabilità fiscale. La responsabilità
fiscale, in solido tra committente e appaltatore, introdotta
dall'art. 35 del dl 223/2006 e da ultimo modificata dal dl
83/2012, con il decreto Fare, è stata dunque «limitata» alla
sola parte relativa alle ritenute dei lavoratori impiegati
nell'ambito dell'appalto o del subappalto. Viene dunque meno
la responsabilità Iva, in un sistema economico in cui i
contratti di appalto e subappalto, vengono principalmente
impiegati nel settore edile.
---------------
Obblighi allargati alle prestazioni di natura autonoma.
In seguito alle novità introdotte dal decreto legge n.
76/2013, la responsabilità solidale negli appalti riguarda
non solo contratti di lavoro di tipo subordinato, ma anche
le prestazioni di tipo autonomo. Sulla questione era già
intervenuto l'Inps con la circolare n. 106/2012, precisando
che l'art. 29 comprendeva anche le obbligazioni maturate a
seguito di contratti di associazione in partecipazione e di
co.co.pro. I contratti di lavoro autonomo indicati nel
decreto lavoro (art. 9, comma 1), pertanto, vanno ad
aggiungersi a tutti gli effetti all'elenco dei soggetti
interessati dalla norma. Diversa sembra essere tuttavia la
posizione dei prestatori d'opera professionale (di cui
all'art. 2222 c.c.), che presentano un regime contributivo e
assicurativo particolare.
Innanzitutto va precisato che le prestazioni autonome, se
rese occasionalmente e quindi non professionalmente, da
soggetti privi di partita Iva, non generano un'obbligazione
contributiva sino alla soglia dei 5.000 euro di compenso
lordo annuo.
Se, invece, tali prestazioni sono rese da soggetti titolari
di una posizione Iva (indipendentemente dal fatto che
possano essere artigiani, commercianti, liberi
professionisti provvisti o meno di cassa previdenziale), non
generano un obbligo contributivo in capo alla committenza.
In tali casi l'unico soggetto dei contributi è il lavoratore
autonomo e non il committente, il quale sarà destinatario
(come nell'ipotesi di contribuzione alla gestione separata)
di un obbligo di rivalsa nei rapporti interni col
professionista. Pertanto, non risultando l'impresa
appaltatrice o subappaltatrice (in qualità di committente di
una prestazione autonoma) debitrice nei confronti
dell'istituto previdenziale, sembrerebbe mancare il
presupposto fondamentale della responsabilità solidale
dell'impresa appaltante. Le stesse conclusioni possono
essere tratte anche sul fronte dei premi Inail, dove
l'obbligo assicurativo scatterà sempre e solo nei confronti
del lavoratore autonomo artigiano che, anche in questi casi,
sarà l'unico soggetto obbligato al pagamento del premio
assicurativo.
Nel caso dell'esclusione della responsabilità solidale delle
pubbliche amministrazioni, qualora siano committenti di un
appalto pubblico, anche per questa tipologia di appalti
erano in passato intervenuti chiarimenti. Al riguardo, il
ministero del lavoro aveva chiarito l'esclusione della p.a.
dal cono d'ombra dell'art. 29, sulla scorta dell'art. 1,
dlgs n. 276/2003 che esclude dall'ambito di applicazione
dell'intero decreto Biagi proprio le pubbliche
amministrazioni. In ogni caso, non va dimenticato che la
p.a., in qualità di stazione appaltante, risponderà,
comunque, dei debiti retributivi delle ditte appaltatrici in
virtù dell'art. 1676 c.c.
Deroga dei contratti collettivi. Un'altra novità introdotta
dal decreto lavoro riguarda la derogabilità al regime
solidaristico ex art. 29 da parte della contrattazione
collettiva, ma solo sotto il profilo retributivo. Con la
riforma Fornero, intervenuta direttamente sull'art. 29, era
stata conferita alla contrattazione collettiva il potere di
derogare al regime solidaristico, anche se già l'art. 8,
comma 2, lett. a), della legge 148/2011 aveva previsto la
possibilità di deroga a opera della contrattazione
collettiva di prossimità.
Al riguardo la circolare n. 7258/2013 del ministero del
lavoro aveva espresso una certa riserva a che la fonte
contrattuale potesse derogare al regime previdenziale e
assistenziale contenuto nell'art. 29, muovendo dall'assunto
secondo cui le disposizioni collettive non potessero
incidere direttamente sui saldi di finanza pubblica.
Nonostante l'intervento del legislatore abbia precluso alla
contrattazione collettiva di cui all'art. 29 di derogare al
regime solidaristico, sotto il profilo contributivo e
assicurativo, non può non osservarsi come la questione
rimanga aperta in relazione alla contrattazione collettiva
di prossimità di cui all'art. 8, che nelle materie
«delegate» dal legislatore, subisce solo i limiti dei
principi costituzionali e di diritto comunitario
(articolo ItaliaOggi Sette del
23.09.2013). |
APPALTI: Gare, pmi a rischio paralisi.
Attesi chiarimenti sulla nozione di costo del lavoro.
Operatori bloccati dalla norma
sull'aggiudicazione al netto delle spese di personale.
Rischio paralisi per il settore degli appalti con la nuova
norma del decreto del Fare sull'aggiudicazione al netto del
costo del personale; particolarmente coinvolte le piccole e
medie imprese e le amministrazioni che, dal 21 agosto, data
di entrata in vigore della disposizione, stanno rallentando
le procedure in attesa di chiarimenti che non arrivano; da
più parti si chiede un intervento di semplificazione, o
l'abrogazione della disposizione.
Il problema che sta tormentando commentatori, interpreti del
complesso mondo normativo dei contratti pubblici e,
soprattutto, operatori pubblici e privati chiamati a gestire
le gare o a parteciparvi, ha la sua origine nell'articolo
82, comma 3-bis, del dlgs 163/2006 (Codice dei contratti
pubblici) come introdotto dal decreto legge del Fare n.
69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013 che recita: «Il
prezzo più basso è determinato al netto delle spese relative
al costo del personale, valutato sulla base dei minimi
salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale
di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e
le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più
rappresentative e significative sul piano nazionale, delle
voci retributive previste dalla contrattazione integrativa
di secondo livello e delle misure di adempimento delle
disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro».
La norma non è nuova per il Codice dei contratti pubblici
(vedi box) e ha l'apprezzabilissima finalità di scongiurare
comportamenti delle imprese che, proprio sul costo del
lavoro potrebbero agire per compensare eccessivi ribassi in
sede di offerta, violando quindi i minimi della
contrattazione collettiva o, peggio, utilizzando manodopera
«in nero».
Bisogna però ricordare che già nel 2011 quando, con
l'emendamento Damiano, fu introdotta una norma analoga, per
diversi mesi il settore finì in una sorta di paralisi
operativa dettata dalle difficoltà di applicare la nuova
norma.
Una situazione molto simile si sta verificando anche oggi,
con la piccola differenza che in due anni i bandi di gara
hanno subito un drammatico tracollo in termini di numero e
di valore e che ulteriori problemi «sistemici» potrebbero
causare ritardi e difficoltà probabilmente esiziali per
l'intero settore. Il rischio maggiore è per gli appalti di
minori dimensioni ove il criterio del prezzo più basso è di
usuale applicazione e, quindi per quelle piccole e medie
imprese che gli ultimi interventi normativi, nazionali e
comunitari, vorrebbero agevolare e rilanciare sul mercato.
L'analisi della disposizione evidenzia alcuni problemi
oggettivi che al momento non paiono facilmente superabili e
che stanno determinando molte amministrazioni a chiedere al
più presto l'abolizione della norma.
Un primo problema riguarda l'oggetto del contendere, cioè la
nozione di «costo del lavoro», nozione che sostituisce
quella vigente prima del 21 agosto concernente il costo
della «manodopera»; ciò significa, tanto per fare un
esempio, che non dovrà tenersi conto soltanto della
manodopera operativa in cantiere, ma anche delle prestazioni
intellettuali (progettazione, project management).
Un secondo profilo delicato è che non esiste una sola
nozione di costo del personale, che, appunto, non è uno, ma
plurimo nella sua definizione in ragione delle diverse
tipologie di contratti, ferma poi restando la libertà
dell'impresa di applicare Ccnl di altri settori, o di
applicare soltanto contratti aziendali e individuali. A ciò
si aggiunga il fatto che la norma del decreto del Fare ha
anche previsto, come elemento del costo del lavoro, anche il
riferimento alle «voci retributive previste dalla
contrattazione integrativa di secondo livello».
C'è infine il problema dei problemi: chi deve stimare questi
costi? Le stazioni appaltanti o le imprese in gara?. Anche
in questo caso non c'è molta chiarezza: per alcuni spetta
alle amministrazioni scorporare il costo del personale e
individuare il prezzo soggetto a ribasso, ma non mancano
posizioni particolarmente critiche rispetto alla valutazione
della contrattazione integrativa aziendale o territoriale.
Per molte amministrazioni si tratta di una vera «mission
impossible». Per altri, invece, dovrà essere l'impresa in
sede di offerta a rendere palese il costo che verrà
sostenuto per il personale, definendo anche quanto pesa la
contrattazione di secondo livello e quanto i costi per la
sicurezza interna. In fase di verifica della congruità
dell'offerta nuovamente la stazione appaltante dovrà poi
entrare nel merito dell'applicazione della contrattazione
integrativa.
Certo è che usualmente l'elemento dell'organizzazione
aziendale dell'impresa, le caratteristiche soggettive del
personale impiegato (si pensi per esempio agli affidamenti
di direzioni lavori in cui la qualità professionale
dell'ufficio di dl è fondamentale), sono elementi centrali
nelle offerte che si presentano in gara; l'impressione è che
la novella del decreto del Fare finisca per ingessare il
tutto, disincentivando le imprese sul piano dell'efficientamento
della propria organizzazione aziendale.
---------------
Tutto parte dall'emendamento Damiano.
La storia della norma sul costo del personale
nell'aggiudicazione degli appalti pubblici al prezzo più
basso è breve, ma intensa. Quasi al termine del governo
Berlusconi durante l'esame del decreto legge 70/2011 (uno
dei tanti decreti legge Sviluppo), convertito dalla legge
106/2011, fu approvato un emendamento di iniziativa dell'ex
ministro del lavoro Cesare Damiano che aggiungeva la lettera
i-bis all'articolo 4, comma 2, del decreto, modificando
l'articolo 81 del codice dei contratti pubblici con
l'aggiunta del comma 3-bis: «L'offerta migliore è altresì
determinata al netto delle spese relative al costo del
personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti
dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le
organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni
dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale, e delle misure di adempimento delle
disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro».
Immediatamente la norma creò il panico fra gli operatori del
settore tanto che si misero in atto tentativi per dare un
senso all'applicazione concreta della disposizione. Così fu
in primis Itaca a predisporre le linee guida del 18.07.2011 in materia di «Costo del personale e sicurezza nella
selezione delle offerte negli appalti» operando una
pregevole distinzione fra i diversi elementi che compongono
il costo del lavoro: il costo del personale, quello per la
sicurezza e gli altri costi.
Si cimentò con il tentativo di dare coerenza applicativa al
novello comma 3-bis anche l'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici con le «Prime indicazioni sui bandi tipo:
tassatività delle cause di esclusione e costo del lavoro»
raccolte in un documento base per una consultazione pubblica
svolta a fine settembre del 2011 che, per questi profili,
non portò mai all'emanazione di una determina (visto che poi
la norma fu abrogata). Il dl 201/2011, preso atto delle
innumerevoli difficoltà applicative, analoghe a quelle che
oggi vengono evidenziate, abroga le norme introdotte dal
decreto sviluppo concernenti la valutazione dei costi del
personale nei bandi di gara.
Nel frattempo la giurisprudenza del Consiglio di stato e di
numerosi Tar, nel corso del 2012, sancisce che sia il «costo
del personale» sia il «costo per la sicurezza aziendale»
sono liberamente valutabili dal concorrente e ribassabili
(nel rispetto dei minimi salariali e del documento di
valutazione dei rischi), e devono risultare congrui nonché
passare positivamente il giudizio di congruità al momento
della verifica delle offerte anomale; per gli «oneri per la
sicurezza» la questione invece è più semplice in quanto non
sono soggetti al ribasso e non possono essere oggetto di
valutazione da parte del concorrente. Adesso, però, la
questione si ripropone, in una disposizione valida solo per
l'affidamento al prezzo più basso, diversamente dalla
precedente valida anche per l'offerta economicamente più
vantaggiosa, e si vedrà come sarà risolta
(articolo ItaliaOggi Sette del
23.09.2013). |
APPALTI SERVIZI - ENTI LOCALI: Auto e consulenze, altra stretta. Congelati gli acquisti.
Ridotta la spesa per studi e ricerche.
Il giro di vite del dl 101 si applica a tutte le
p.a. comprese le regioni e gli enti locali.
Ulteriori strette agli acquisti delle auto e alla spesa per
le consulenze sono contenute nell'articolo 1 del dl n.
101/2013. Queste strette si applicano a tutte le pubbliche
amministrazioni, ivi compresi gli enti locali e le regioni.
Si deve arrivare a questa conclusione sulla base della
formulazione utilizzata dal legislatore e della esplicita
indicazione contenuta nell'ultimo comma dello stesso
articolo: queste sono disposizioni, nel contempo, di
attuazione di principi costituzionali e di coordinamento
della finanza pubblica, per cui sono materie riservate alla
competenza legislativa dello stato.
In primo luogo la disposizione prevede l'allungamento a
tutto il 2015 (in precedenza il termine era fissato per la
fine del 2014) del divieto per le p.a. di acquistare
autovetture. Questo divieto non si applica solamente nei
casi espressamente previsti dalla normativa, tra cui
ricordiamo gli automezzi utilizzati dai vigili urbani,
quelli necessari ai servizi sociali e, nelle interpretazioni
prevalenti, quelli utilizzati dalla protezione civile.
Occorre ricordare che questo divieto non si estende agli
automezzi diversi dalle autovetture, quali per esempio gli
scuolabus, i motocarri ecc.
La disposizione chiarisce che per determinare il tetto alla
spesa per l'esercizio delle autovetture (tetto che viene
calcolato nella percentuale del 50% di quelle sostenute nel
2010 allo stesso titolo) non devono essere conteggiate le
somme utilizzate per il loro acquisto. Il che determina di
fatto un'ulteriore contrazione delle risorse utilizzabili a
questo fine e obbliga le amministrazioni pubbliche a
realizzare un'effettiva riduzione del numero delle proprie
automobili. Ancora una volta si deve sottolineare che questa
scelta non tiene conto né della condizione dei piccoli
comuni, in cui spesso vi è una sola autovettura, né della
virtuosità della gestione precedente: infatti le modalità di
calcolo del taglio sono indifferenziate, per cui gli
spreconi sono equiparati ai virtuosi.
Inoltre tutte le
amministrazioni devono partecipare al censimento delle
autovetture della funzione pubblica: le inadempienze sono
sanzionate sia in capo agli enti (taglio ulteriore delle
spese per questa finalità) sia in capo ai responsabili
(maturazione di responsabilità dirigenziale). Le norme sulle
autovetture, come quelle sulle consulenze e sulle assunzioni
flessibili, si concludono stabilendo la nullità degli atti
adottati in violazione del dettato legislativo, nonché
irrogando specifiche sanzioni e stabilendo il maturare di
responsabilità amministrativa e dirigenziale: come si vede
un insieme di sanzioni assai rigide.
Viene disposta la riduzione del 10% del tetto per la spesa
che poteva essere sostenuta nell'anno 2013 per le consulenze
e gli studi, nonché implicitamente per le ricerche: da
evidenziare che il tetto non viene calcolato sulla spesa
effettiva, ma su quella teorica.
Ricordiamo che il tetto della spesa 2013 è pari al 20% della
spesa sostenuta allo stesso titolo nell'anno 2009 e che,
sulla base delle indicazioni dettate dalla Corte
costituzionale, gli enti locali e le regioni possono
superare tale tetto a condizione che complessivamente
garantiscano il rispetto dei tetti di spesa previsti
dall'articolo 7 del citato dl n. 78/2010 (tagli alla
formazione, alla pubblicità, alla rappresentanza, alle
missioni ecc).
Si deve ritenere che questa indicazioni continui a essere
applicabile in quanto elemento intrinsecamente collegato
alla autonomia garantita dalla Costituzione a questi livelli
istituzionali. Una novità assai rilevante è al riguardo
costituita dalla non applicazione di tale tetto agli «incarichi
di studio e consulenza connessi ai processi di
privatizzazione e alla regolamentazione del settore
finanziario»
(articolo ItaliaOggi del 20.09.2013). |
APPALTI:
PRIME INDICAZIONI PER L’APPLICAZIONE DELLE MODIFICAZIONI
INTRODOTTE ALL’ART. 82 DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
DALLA LEGGE 09.08.2013 N. 98 DI CONVERSIONE DEL DL 69/2013
(ITACA, 19.09.2013).
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L’art. 32, comma 7-bis della legge 09.08.2013, n.98 di
conversione del decreto legge 21.06.2013, n. 69
(Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia),
entrato in vigore lo scorso 21 agosto, ha introdotto il
nuovo comma 3-bis all’art. 82 del D.Lgs. 163/2006.
Tale nuova disposizione normativa inerente al criterio del
prezzo più basso valutato anche sulla base del costo del
personale e degli adempimenti in materia di salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro, sta producendo delle
importanti ripercussioni nel settore degli appalti pubblici.
La norma, volta a migliorare le condizioni di lavoro nel
mercato dei contratti pubblici, non prevedendo un periodo
transitorio, è in vigore dal giorno successivo alla sua
pubblicazione in gazzetta ufficiale (21/08/2013).
Il Gruppo di lavoro interregionale “Contratti pubblici”
presso ITACA, ha realizzato un primo contributo operativo a
supporto dell’attività delle stazioni appaltanti nella
delicata applicazione della nuova disciplina normativa,
soprattutto per quanto riguarda le modifiche e integrazioni
da apportare ai documenti costituenti i bandi e la gestione
delle gare. |
APPALTI:
Sull'istituto dell'avvalimento.
Appare preferibile, alla stregua di un criterio sistematico
e funzionale rispetto alle finalità perseguite, di massima
partecipazione alle gare pubbliche alla stregua dei principi
di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost. e
di piena concorrenza secondo il Trattato europeo, una
interpretazione dell'art. 49, comma 1, del D.Lgs 163/2006
più favorevole alla massima partecipazione alla gara, in
base alla quale ciascuna impresa associata (mandataria e
mandanti) ha diritto ad utilizzare uti singula
l'istituto dell'avvalimento al fine di integrare i requisiti
richiesti dal bando di gara dei quali risulti sprovvista.
La tesi secondo cui l'affitto di azienda può essere
utilizzato soltanto ai fini della qualificazione SOA e non
anche per acquisire in sede di gara il requisito del
fatturato dell'azienda presa in affitto, sembra apertamente
contrastare la disposizione generale dell'art. 2558, 3°
comma, cod. civ., secondo cui il locatario dell'azienda
subentra nelle identiche posizioni e situazioni giuridiche
del locatore, e quindi anche nella sua pregressa attività ed
esperienza.
Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sezione
III, 18.04.2011, n. 2344), l'articolo 49 del Codice dei
contratti pubblici, nel disciplinare l'istituto dell'avvalimento,
non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti
soggettivi che possono essere comprovati mediante tale
strumento, che assume una portata generale. D'altra parte, è
fuori discussione che, nell'ottica dell'ordinamento
comunitario, l'avvalimento miri ad incentivare la
concorrenza, nell'interesse delle imprese, agevolando
l'ingresso nel mercato di nuovi soggetti. Pertanto tale
giurisprudenza ha escluso l'esistenza di un divieto assoluto
e inderogabile di ricorrere all'avvalimento, per dimostrare
la disponibilità dei requisiti soggettivi di "qualità"
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 18.09.2013 n. 8322 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Vademecum per le stazioni appaltanti, volto
all’Individuazione di criticità concorrenziali nel settore
degli appalti pubblici (Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato,
deliberazione 18.09.2013). |
APPALTI:
Sulla illegittimità della richiesta documentale
alle micro, piccole e medie imprese anche in sede di
verifica ex art. 48 d.lgs 163/2006.
L'art. 13, III comma, della l. 11.11.2011, n. 180, stabilisce che "La pubblica amministrazione e le autorità
competenti, nel caso di micro, piccole e medie imprese,
chiedono solo all'impresa aggiudicataria la documentazione
probatoria dei requisiti di idoneità previsti dal codice di
cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163".
La previsione vieta, quindi, alle stazioni appaltanti di
controllare se il concorrente, rientrante nell'ambito
soggettivo di applicazione della norma, possegga
effettivamente i requisiti dichiarati con la domanda di
partecipazione alla gara, e ciò fino all'esito della stessa,
se a quegli favorevole.
Orbene, non si vede perché tale norma speciale,
evidentemente destinata a esonerare le imprese minori
dall'onere economico che la dimostrazione dei requisiti
comporta, non dovrebbe applicarsi anche nella fase di
verifica, di cui all'art. 48 d.lgs. 163/2006, e non dovrebbe
riguardare anche le imprese di progettazione ex art. 53
cit., accumunate alle altre dall'onere economico suddetto
(TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 17.09.2013 n. 8314 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gare. Esclusi dai ribassi anche i costi per la sicurezza.
Appalti, l'offerta garantisce i salari minimi da contratto.
LE CONSEGUENZE/ Se l'amministrazione allinea la base d'asta
alle retribuzioni di base impedisce ai concorrenti di
formulare l'offerta.
Gli operatori economici devono presentare le offerte nelle
gare di appalto con il prezzo più basso nel rispetto dei
minimi salariali previsti dal contratto nazionale per i
propri dipendenti.
Il Dl 69/2013 ha introdotto nell'articolo 82 del codice dei
contratti pubblici una disposizione che individua un limite
ben preciso nel processo di valutazione delle offerte al
massimo ribasso.
Lo prevede il Dl 69/2013, che ha introdotto all'articolo 82
del Codice contratti una norma che replica in molti elementi
quella definita dalla legge 106/2011 e poi abrogata, ed è
sempre finalizzata a impedire la presentazione di offerte
economiche non coerenti con gli standard retributivi per i
lavoratori impiegati nell'appalto.
L'articolo 82, comma 3-bis, stabilisce che il prezzo più
basso è determinato al netto delle spese relative al costo
del personale, valutato sulla base dei minimi salariali
definiti sia dalla contrattazione nazionale sia da quella di
di secondo livello. Si prevede poi che la determinazione del
prezzo migliore sia effettuata anche al netto dei costi
degli adempimenti per le norme su salute e sicurezza sul
lavoro, individuabili come gli oneri della sicurezza
aziendali (da esplicitare secondo l'articolo 87, comma 4, del
Codice).
Si determina quindi per i concorrenti la possibilità di
formulare l'offerta solo sulla parte "eccedente" i minimi
salariali e i costi della sicurezza aziendali (calcolati per
quota parte), ossia sui costi amministrativi e sul margine
dell'utile di impresa; questo comporta che le stazioni
appaltanti valutino accuratamente il quadro dei valori
retributivi dei contratti riferibili ai potenziali
partecipanti alla gara per la formazione della base d'asta,
poiché un valore dell'appalto corrispondente ai minimi
renderebbe impossibile la formulazione dell'offerta.
Considerando le valutazioni espresse a suo tempo dall'Avcp
sulla norma "gemella" contenuta nella legge 106/2011,
l'attuale previsione sul rispetto dei minimi salariali nelle
offerte potrebbe sancire l'obbligo di verificare la
congruità del costo del lavoro su più piani: la produttività
presentata dal concorrente, il livello e il numero del
personale necessario per garantirla e il controllo dei
corrispondenti minimi salariali previsti nella
giustificazione (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.09.2013). |
APPALTI SERVIZI - RIFIUTI:
I rifiuti provenienti da
esumazione e da estumulazione sono classificati per legge
come urbani ex art. 184, c. 2, lett. f), del D.lgs.
152/2006.
Sicché, il trasporto di tali rifiuti può essere effettuato
solo da chi è in possesso della relativa autorizzazione al
trasporto di rifiuti “per conto terzi".
... per l'annullamento della determinazione del Responsabile
del Servizio 30/10/2012 n. 342 che ha provveduto a revocare
la gara d'appalto espletata in data 28/06/2012 e 12/07/2012
relativa all'affidamento del servizio alla ricorrente in
quanto la stessa non risulterebbe in possesso dei requisiti
tecnico-organizzativi previsti all'art. 42 del D.Lgs. n.
163/2006 e ss.mm.ii. e del provvedimento 08/11/2012 prot. n.
19695, con il quale è stata comunicata la medesima
determinazione del Responsabile del Servizio 30/10/2012 n.
342.
...
Ritenuto che:
- i rifiuti provenienti da esumazione e da estumulazione
sono classificati per legge come urbani ex art. 184, c. 2,
lett. f), del D.lgs. 152/2006; né d’altra parte appare
fondatamente sostenibile che i medesimi residui mortali
derivino dall’attività di esumazione anziché essere
preesistenti ad essa;
- il trasporto di tali rifiuti può essere effettuato solo da
chi è in possesso della relativa autorizzazione al trasporto
di rifiuti “per conto terzi”, non essendo rifiuti prodotti
dall’attività di esumazione;
- pertanto, il provvedimento di revoca dell’affidamento
della gara d’appalto è legittimo, avendo l’amministrazione
correttamente rilevato, da parte della ditta affidataria del
servizio di esumazione, la carenza di un requisito di legge
di capacità tecnica e professionale, ovvero l’iscrizione
all’albo nazionale per il trasporto di rifiuti per conto
terzi
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 13.09.2013 n. 1107 - link a www.giustizia-amministrativa). |
APPALTI:
Oggetto: D.L. n. 76/2013 (cd. “Decreto lavoro”) –
Circolare Ministero del Lavoro n. 35/2013 (ANCE di
Bergamo,
circolare 13.09.2013 n. 210). |
APPALTI: La
informativa antimafia c.d. atipica
(o supplementare), elaborata dalla prassi, rinviene il suo
fondamento normativo nel combinato disposto dell’art. 10,
comma 9, del d.P.R. 252/1998 e dell’art. 1-septies, del d.l.
629/1982, conv. in legge 726/1982, nonché nell’art. 10,
comma 7, lett. c), del d.P.R. 252/1998, che consente al
Prefetto autonomi accertamenti.
Deve dunque ritenersi sempre consentito al Prefetto di
fornire alle stazioni appaltanti un’informativa atipica.
Tuttavia, essa, a differenza di quella c.d. tipica, non ha
carattere (direttamente) interdittivo, ma consente alla
stazione appaltante l’attivazione di una valutazione
discrezionale in ordine all’avvio o al prosieguo dei
rapporti contrattuali, alla luce dell’idoneità morale del
partecipante alla gara di assumere la posizione di
contraente con la P.A., sicché la sua efficacia interdittiva
può eventualmente scaturire soltanto da una valutazione
autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria.
In altri termini, l’informativa antimafia atipica,
ancorché non sia priva di effetti nei confronti delle
Amministrazioni, non ne comprime integralmente le capacità
di apprezzamento, con la conseguenza che i provvedimenti di
mantenimento o di risoluzione del rapporto debbono essere
comunque il frutto di una scelta motivata della stazione
appaltante (sulla attribuzione, alla stazione appaltante
destinataria di una informativa atipica, di spazi valutativi
sulla incidenza effettiva degli elementi di apprezzamento
forniti dalla Prefettura nella procedura di riferimento.
La informativa atipica è pur sempre assoggettabile a
sindacato giurisdizionale di legittimità sotto i profili
della sufficienza della motivazione e della logicità,
coerenza o attendibilità del giudizio, con riferimento al
significato attribuito agli elementi di fatto e all’iter
seguito per pervenire a determinate conclusioni.
Secondo la giurisprudenza (cfr., da ultimo, il
quadro ricostruttivo fornito da CGA, 08.05.2013, n. 456),
nel nostro ordinamento la informativa antimafia c.d. atipica
(o supplementare), elaborata dalla prassi, rinviene il suo
fondamento normativo nel combinato disposto dell’art. 10,
comma 9, del d.P.R. 252/1998 e dell’art. 1-septies, del d.l.
629/1982, conv. in legge 726/1982, nonché nell’art. 10,
comma 7, lett. c), del d.P.R. 252/1998, che consente al
Prefetto autonomi accertamenti.
Deve dunque ritenersi sempre consentito al Prefetto di
fornire alle stazioni appaltanti un’informativa atipica.
Tuttavia, essa, a differenza di quella c.d. tipica, non ha
carattere (direttamente) interdittivo, ma consente alla
stazione appaltante l’attivazione di una valutazione
discrezionale in ordine all’avvio o al prosieguo dei
rapporti contrattuali, alla luce dell’idoneità morale del
partecipante alla gara di assumere la posizione di
contraente con la P.A., sicché la sua efficacia interdittiva
può eventualmente scaturire soltanto da una valutazione
autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria
(cfr. Cons. Stato, III, 14.09.2011, n. 5130; VI, 28.04.2010, n. 2441; I, 25.02.2012, n. 4774).
In altri termini, l’informativa antimafia atipica, ancorché
non sia priva di effetti nei confronti delle
Amministrazioni, non ne comprime integralmente le capacità
di apprezzamento, con la conseguenza che i provvedimenti di
mantenimento o di risoluzione del rapporto debbono essere
comunque il frutto di una scelta motivata della stazione
appaltante (sulla attribuzione, alla stazione appaltante
destinataria di una informativa atipica, di spazi valutativi
sulla incidenza effettiva degli elementi di apprezzamento
forniti dalla Prefettura nella procedura di riferimento,
cfr. Cons. Stato, VI, 11.12.2009, n. 7777; 03.05.2007, n. 1948; V, 28.03.2008, n. 1310).
La informativa atipica è pur sempre assoggettabile a
sindacato giurisdizionale di legittimità sotto i profili
della sufficienza della motivazione e della logicità,
coerenza o attendibilità del giudizio, con riferimento al
significato attribuito agli elementi di fatto e all’iter
seguito per pervenire a determinate conclusioni
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 12.09.2013 n. 4511 - link a www.giustizia-amministrativa). |
APPALTI:
Si tratta di stabilire se
le dichiarazioni ex art. 38, nella loro completezza, debbano
essere espressamente riferite anche al legale
rappresentante/amministratore dell’impresa dalla quale la
concorrente (nel caso di specie, mandante dell’ATI
concorrente) si sia resa affittuaria di un ramo di azienda.
Al quesito il Collegio ritiene di poter dare risposta
affermativa.
Vero è che nel codice degli appalti manca una norma, con
effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o fitto
d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai
requisiti soggettivi degli amministratori e direttori
tecnici della cedente -atteso che l’art. 51 del codice si
occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda
successiva all’aggiudicazione della gara- tuttavia non è
neppure dubitabile che la norma di cui al citato art. 38,
comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma
pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della
sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si
riferiscono.
Peraltro, l’esigenza di riferire le dichiarazioni anche agli
amministratori dell’impresa dalla quale la concorrente ha
ottenuto la disponibilità dell’azienda è ancora più evidente
nel caso in cui si tratti di affitto e non di cessione
dell’azienda, dal momento che l’influenza dell’impresa
locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo
svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un
agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice
degli appalti.
La questione giuridica da risolvere con
riguardo alla presente censura è dunque quella di stabilire
se le dichiarazioni ex art. 38, nella loro completezza,
debbano essere espressamente riferite anche al legale
rappresentante/amministratore dell’impresa dalla quale la
concorrente (nel caso di specie, mandante dell’ATI
concorrente) si sia resa affittuaria di un ramo di azienda.
Al quesito il Collegio ritiene di poter dare risposta
affermativa.
Vero è che nel codice degli appalti manca una norma, con
effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o fitto
d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai
requisiti soggettivi degli amministratori e direttori
tecnici della cedente -atteso che l’art. 51 del codice si
occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda
successiva all’aggiudicazione della gara- tuttavia non è
neppure dubitabile che la norma di cui al citato art. 38,
comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma
pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della
sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si
riferiscono (così TAR Napoli, Sez. I, 03.06.2013, n.
2868, nonché A.P. n. 10 del 2012 per la fattispecie
specifica della cessione d’azienda).
Peraltro, l’esigenza di riferire le dichiarazioni anche
agli amministratori dell’impresa dalla quale la concorrente
ha ottenuto la disponibilità dell’azienda è ancora più
evidente nel caso in cui si tratti di affitto e non di
cessione dell’azienda, dal momento che l’influenza
dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per
tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire
un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal
codice degli appalti (cfr., in termini, Consiglio di Stato,
Sezione III, 18.07.2011, n. 4354; C.G.A., 05.01.2011, n. 8 e
26.10.2010, n. 1314; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 16.03.2011, n. 488)
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 11.09.2013 n. 1090 - link a www.giustizia-amministrativa). |
APPALTI SERVIZI:
Revoca dell'aggiudicazione per chi non rispetti
la clausola sociale.
Nel caso in cui il bando di gara preveda espressamente
l'obbligo per l'aggiudicataria di assunzione del personale
già dipendente dell'impresa uscente, garantendo le medesime
condizioni giuridico-economiche, è legittimo il
provvedimento con cui la stazione appaltante abbia revocato
in autotutela l'aggiudicazione per il venir meno del
rapporto fiduciario con il contraente, in considerazione del
fatto che l'impresa esecutrice dell'appalto aveva applicato
nei confronti dei suddetti lavoratori condizioni economiche
deteriori rispetto a quelle in godimento alle dipendenze
della precedente ditta.
Il TAR Campania-Napoli, Sez. I, con la
sentenza 10.09.2013 n. 4216,
posto che l’art. 21-quinquies, L. n. 241/1990 non indica
ipotesi tipizzate per l’esercizio del potere di autotutela
che, anzi, trova fondamento negli stessi principi
costituzionali di cui all’art. 97 Cost., ha ravvisato la
legittimità di un provvedimento di revoca di una
aggiudicazione in favore di una società che non ha garantito
ai dipendenti della ditta uscente l’assorbimento in servizio
alle medesime condizioni contrattuali in corso –obbligo
espressamente previsto dal bando: in tale evenienza,
infatti, il provvedimento si giustifica con la grave
compromissione del rapporto fiduciario tra la P.A. e
l’aggiudicataria dovuta al mancato rispetto delle
fondamentali garanzie poste a tutela dei lavoratori.
Analisi del caso
La ricorrente, aggiudicataria del servizio di pulizia di
alcuni locali e impianti di proprietà di un Comune, avendo
iniziato l’esecuzione in via d’urgenza del medesimo
servizio, in assenza della previa stipulazione del
contratto, era stata diffidata dalla civica P.A. ad assumere
tutto il personale della ditta uscente, alle stesse
condizioni già praticate, nel rispetto delle disposizione
del capitolato speciale d’appalto.
In assenza di riscontro positivo alla specifica richiesta
–imposta, in ogni caso, dalla lex specialis di gara–
l’Amministrazione aveva provveduto alla revoca e
annullamento in autotutela dell’aggiudicazione definitiva,
con risoluzione del rapporto in essere, liquidato ogni
compenso per l’attività comunque svolta, e aveva disposto il
conseguente affidamento del servizio in favore dell’impresa
seguente in graduatoria.
L’originaria aggiudicataria ha, così, adito il Collegio di
Napoli per l’annullamento del provvedimento di revoca, per
la declaratoria d’inefficacia del contratto stipulato con
l’attuale ditta esecutrice del servizio e per la condanna
della stazione appaltante al risarcimento del danno,
censurando l’operato della P.A. per la violazione dell’art.
7, L. n. 241/1990, per mancata comunicazione dell’avvio del
procedimento, per eccesso di potere per travisamento dei
fatti posti a fondamento della revoca, nonché difetto di
istruttorie e motivazione, atteso che tutti i dipendenti
della precedente ditta sarebbero stati assunti e che la
disparità di condizioni rispetto a quelle in godimento non
sarebbe dipesa dalla volontà della stessa aggiudicataria, e
comunque risulterebbe consentita dall’art. 4, lett. b), del
C.C.N.L. del settore, trattandosi di appalto affidato a
condizioni diverse dalle precedenti.
Si è costituito il Comune resistente che ha ribadito come
l’aggiudicataria non avesse rispettato la c.d. “clausola
sociale” in quanto aveva assunto i dipendenti
dell’impresa uscente solo con orario di lavoro a tempo
settimanale ridotto e che, per tale ragione, si era tenuto
un incontro presso la Direzione territoriale del lavoro e
risultava pendente un ricorso, con esito interinale
cautelare favorevole, avverso la medesima aggiudicazione,
poi revocata, presentato dalla concorrente seconda in
graduatoria, esecutrice del servizio: in relazione a
quest’ultima circostanza, la P.A. sollevava eccezione di
inammissibilità del ricorso.
La soluzione
Il giudicante, prima di ogni altra considerazione, ha
disatteso l’eccezione di inammissibilità del gravame
sollevata dalla civica P.A., evidenziando come quel giudizio
si fosse ormai concluso con una decisione in rito di
improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse e che,
in ogni caso, la sola pendenza di un processo impugnatorio
non sarebbe di per sé idonea a scalfire l’interesse
dell’attuale ricorrente a conseguire l’annullamento del
provvedimento di revoca, l’aggiudicazione e il risarcimento
del danno.
Nel merito, il TAR ha confutato il primo motivo di ricorso,
precisando che la partecipazione dell’interessata al
procedimento è stata comunque garantita avendo la ricorrente
partecipato all’incontro presso la locale D.T.L. e
presentato le proprie giustificazioni a seguito del
ricevimento della nota di diffida ad assumere tutto il
personale già dipendente della impresa uscente – nota
prodromica all’adozione della revoca dell’aggiudicazione: ha
fatto, così, applicazione del principio del “raggiungimento
dello scopo” recepito dall’art. 21-octies, L. n.
241/1990 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 02.11.2011, n. 7732).
Con riferimento agli ulteriori due motivi di gravame, poi,
ha osservato come la norma dell’art. 4 del C.C.N.L. relativo
ai servizi di pulizia integrati e multi servizi, non
consentisse affatto la possibilità di derogare all’obbligo
imposto dal capitolato speciale d’appalto di rispettare la
c.d. “clausola sociale”, ma, al contrario, ordinava
la convocazione dell’impresa aggiudicataria al fine di
armonizzare le mutate condizioni dell’appalto con le
esigenze di tutela dei lavoratori: a questo precipuo scopo,
ha confermato il G.A., era stato indetto l’incontro presso
la D.T.L. da cui era, però, emerso l’inadempimento da parte
della ricorrente alle prescrizioni del bando, tale da
giustificare l’esercizio del diritto di autotutela da parte
della P.A..
Al riguardo, ha osservato la Sezione, in materia di appalti
pubblici, anche dopo l’intervento dell’aggiudicazione
definitiva, non è precluso alla stazione appaltante di
revocare l’aggiudicazione stessa, in presenza di un
interesse pubblico, individuato in concreto, qual è, nel
caso di specie, quello della tutela dei lavoratori (Cfr.
Cons. Stato, Sez. III, 11.07.2012, n. 4116), il cui mancato
rispetto ha determinato un giudizio negativo della P.A.
sulla capacità di gestione del servizio e sull’affidabilità
dell’impresa, con il venir meno di quel necessario rapporto
fiduciario, a base della normativa sui contratti pubblici e
che deve esistere e persistere per tutta la durata
dell’appalto.
Il Collegio ha, così, ritenuto idonee le motivazioni addotte
dall’Amministrazione resistente a sostegno del provvedimento
di revoca, rigettando il ricorso, anche nella parte della
domanda risarcitoria.
I precedenti e i possibili impatti
pratico-operativi
In riferimento ad analoghe questioni, la giurisprudenza si è
sempre orientata nel senso di realizzare il principio
costituzionale della “funzione sociale” dell’impresa,
riconoscendo alla clausola sociale nei contratti pubblici la
funzione di preservare il livello occupazionale in atto,
costituendo essa una vera e propria “modalità di esecuzione
del servizio”, non già un requisito di partecipazione
richiesto ai concorrenti (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen.
06.08.2013, n. 19; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 05.12.2011, n.
9570; Trib. Salerno, Sez. I, 05.10.2007).
La decisione segnalata, dunque, si pone in termini di
assoluta continuità con l’indirizzo unanimemente seguito
dalla giurisprudenza e indica alle stazioni appaltanti la “via
maestra” per un adeguato contemperamento degli interessi
imprenditoriali e sociali; ove l’Amministrazione rilevi
situazioni in cui l’esecuzione del servizio in violazione
della clausola sociale -nella ridetta accezione delineata
dall’Adunanza plenaria– potrà sempre adottare le proprie
determinazioni a seguito della valutazione, altamente
discrezionale e sindacabile solo in sede di legittimità per
manifesta illogicità, della persistenza, o meno, dei
requisiti di moralità professionale in capo alla ditta
risultata aggiudicataria (cfr. Cons. Stato, Sez. VI,
30.12.2005, n. 7580), scongiurando, però, ed è questo
l’auspicio, il rischio di rimettere alla P.A. il potere di
scelta del contraente in elusione delle procedure di gara,
facendo leva proprio sulla natura “fiduciaria”,
indefinita, se non per tratti soffusi, del rapporto
d’appalto (tratto da www.ispoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
sottoscrizione dell’offerta tecnica assolve la funzione di
assicurare provenienza, serietà, affidabilità e
insostituibilità dell'offerta medesima e ne costituisce
elemento essenziale di ammissibilità sia sotto il profilo
formale che sotto quello sostanziale, con la conseguenza che
la sua mancanza inficia la validità e la ricevibilità della
manifestazione di volontà contenuta nell'offerta senza che
sia necessaria, ai fini dell'esclusione delle offerte non
sottoscritte, una espressa previsione della legge di gara.
Considerato:
- che, ai fini del regolamento delle spese processuali, deve
essere ribadita la delibazione di manifesta fondatezza del
ricorso, già anticipata in sede cautelare, con particolare
riferimento alle censure che investono la mancata
sottoscrizione dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria: al
riguardo è appena il caso di precisare che, per
giurisprudenza costante, la sottoscrizione dell’offerta
tecnica assolve la funzione di assicurare provenienza,
serietà, affidabilità e insostituibilità dell'offerta
medesima e ne costituisce elemento essenziale di
ammissibilità sia sotto il profilo formale che sotto quello
sostanziale, con la conseguenza che la sua mancanza inficia
la validità e la ricevibilità della manifestazione di
volontà contenuta nell'offerta senza che sia necessaria, ai
fini dell'esclusione delle offerte non sottoscritte, una
espressa previsione della legge di gara (fra le altre, cfr.
Cons. Stato, sez. V, 20.04.2012, n. 2317; id., 25.01.2011 n.
528)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 10.09.2013 n. 1260 - link a www.giustizia-amministrativa). |
APPALTI: Dopo
alcune oscillazioni, e all’indomani dell’introduzione per
mano del legislatore del principio di tassatività delle
cause di esclusione dagli appalti pubblici (con il comma
1-bis aggiunto dal D.L. n. 70/2011 all’art. 46 del D.Lgs. n.
163/2006), questa Sezione ha aderito all’indirizzo che
–sulla scorta di una lettura doverosamente rigorosa delle
previsioni normative– limita gli obblighi dichiarativi ai
soli amministratori muniti di poteri di rappresentanza, in
conformità alla lettera dell’art. 38, che richiede la
coesistenza di due requisiti (la carica formale di
amministratore e la titolarità del potere rappresentativo) e
non può, pertanto, trovare applicazione nei confronti di
coloro che, pur muniti di potere di rappresentanza, non
siano amministratori.
Intorno alla questione
dell’applicabilità ai procuratori delle imprese concorrenti
in una gara di appalto degli obblighi dichiarativi sanciti
dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 si è sviluppato, com’è
noto, un ampio dibattito giurisprudenziale, che ha condotto
alla formazione di due indirizzi contrapposti: l’uno, in
forza del quale sarebbe da assimilarsi alla posizione degli
amministratori quella dei soggetti titolari di un
significativo ruolo decisionale e gestionale all’interno
dell’impresa, nonché dei procuratori cui siano stati
conferiti poteri rappresentativi rilevanti al punto da
giustificare l’assoggettamento all’obbligo di dichiarazione
(per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29.09.2012, n.
5150); l’altro, secondo cui l’obbligo di dichiarazione
sarebbe di contro circoscritto ai soli amministratori muniti
di poteri di rappresentanza e ai direttori tecnici, con
esclusione dei procuratori, posto che l’art. 38 cit.
costituirebbe disposizione eccezionale insuscettibile di
essere applicata a soggetti diversi da quelli espressamente
contemplati (da ultimo, cfr. Cons. Stato, sez. III, 06.05.2013, n. 2449).
Deve darsi conto, altresì, dell’esistenza di
un orientamento “intermedio”, che, privilegiando una
verifica casistica e in concreto, comprende nel novero dei
soggetti tenuti a rendere le dichiarazioni ex art. 38 tutti
coloro che, al di là della qualifica e dei poteri
formalmente rivestiti, svolgano o abbiano svolto anche in
via di mero fatto un’attività di amministrazione (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 20.10.2010, n. 7578).
Dopo alcune oscillazioni, e all’indomani
dell’introduzione per mano del legislatore del principio di
tassatività delle cause di esclusione dagli appalti pubblici
(con il comma 1-bis aggiunto dal D.L. n. 70/2011 all’art. 46
del D.Lgs. n. 163/2006), questa Sezione ha infine aderito
all’indirizzo che –sulla scorta di una lettura
doverosamente rigorosa delle previsioni normative– limita
gli obblighi dichiarativi ai soli amministratori muniti di
poteri di rappresentanza, in conformità alla lettera
dell’art. 38, che richiede la coesistenza di due requisiti
(la carica formale di amministratore e la titolarità del
potere rappresentativo) e non può, pertanto, trovare
applicazione nei confronti di coloro che, pur muniti di
potere di rappresentanza, non siano amministratori (cfr.
TAR Toscana, sez. I, 07.02.2013, n. 187; id., 20.12.2012, n. 2074).
In attesa di un intervento che
contribuisca a dirimere l’irrisolto contrasto interpretativo
(la questione è stata rimessa all’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato con ordinanza della V Sezione, 09.04.2013, n. 1943), il collegio intende mantenere ferma la
propria giurisprudenza, di talché, come anticipato in sede
cautelare, deve escludersi che la posizione di procuratori
ricoperta all’interno delle imprese Rampasi Costruzioni e
Poggiolini Restauri, rispettivamente, dai signori Cadile e
Dalla Fior comportasse alcun obbligo dichiarativo a norma
dell’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006 e della stessa lex specialis,
la quale individua i soggetti tenuti ad attestare il
possesso dei requisiti di moralità limitandosi a un
pedissequo, quanto inequivocabile, richiamo alle
disposizioni di legge
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 10.09.2013 n. 1258 - link a www.giustizia-amministrativa). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
IL DECRETO DEL FARE PUNTO PER PUNTO (Fondazione
Studi Consulenti del Lavoro,
circolare
10.09.2013 n. 11). |
LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 37 del 10.09.2013, "Approvazione
dei criteri per la redazione della graduatoria regionale dei
progetti presentati dalle Province e dai Comuni per la
realizzazione degli interventi in materia di
riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni
scolastiche statali, in attuazione della l. 98/2013 (art.
18, commi 8-ter e 8-quater)" (deliberazione
G.R. 06.09.2013 n. 615). |
LAVORI PUBBLICI:
Rilancio delle infrastrutture. Coinvolgendo i privati.
Il "dl del fare" modifica la disciplina in materia di
concessioni di costruzione e gestione di opere.
Nuovi impulsi da parte del governo per il rilancio del
settore delle infrastrutture da realizzarsi con il
coinvolgimento dei partner privati. Il «decreto del Fare»
modifica la disciplina in materia di concessioni di
costruzione e gestione di opere pubbliche.
L'articolo 19, infatti, del comma del dl 69/2013, convertito
con modificazioni dalla legge 09/08/2013 n. 98, tra i diversi
aspetti trattati, va, in particolare, ad introdurre alcune
specificazioni agli articoli 143 e 144 del Codice degli
appalti (dlgs 163/2006) relativi alle concessioni di lavori
pubblici e alle procedure di affidamento delle stesse.
La prima integrazione vede interessato il comma 5
dell'articolo 143 che disciplina la fattispecie del
contributo immobiliare riconosciuto dal concedente a titolo
di prezzo per la realizzazione delle opere, in aggiunta allo
sfruttamento economico delle stesse, consistente nel
trasferimento al concessionario della proprietà o del
diritto di godimento di beni immobili di propria
disponibilità, la cui utilizzazione o valorizzazione, con
modalità da definire al momento di approvazione del
progetto, è necessaria per il perseguimento dell'equilibrio
economico-finanziario della concessione.
Considerato,
quindi, che tale contributo costituisce un presupposto
essenziale per l'equilibrio economico-finanziario della
concessione, il nuovo decreto va ad aggiungere in tale comma
un nuovo periodo in cui è precisato, a garanzia del
concessionario stesso, che, in relazione al progetto di
utilizzazione e valorizzazione degli immobili in questione,
il soggetto concedente dichiari all'atto di consegna dei
lavori «di disporre di tutte le autorizzazioni, licenze,
abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di consenso
comunque denominati previsti dalla normativa vigente e che
detti atti sono legittimi, efficaci e validi».
Un'ulteriore modifica all'articolo 143 riguarda i casi di
revisione della concessione per effetto di modifiche
normative e regolamentari che comportino variazioni alle
condizioni base e ai presupposti dell'equilibrio
economico-finanziario, laddove al comma 8 è prevista la
sostituzione della sola formulazione che faceva riferimento
a modifiche implicanti «nuove condizioni per l'esercizio
delle attività previste nella concessione», con il
riferimento generale a norme legislative e regolamentari
«che comunque incidono sull'equilibrio del piano economico
finanziario, previa verifica del Cipe sentito il Nucleo di
consulenza per l'attuazione delle linee guida per la
regolazione dei servizi di pubblica utilità (Nars)».
Sempre sul tema dell'alterazione dell'equilibrio
economico-finanziario della concessione e dell'attivazione
delle procedure di revisione, il nuovo provvedimento
legislativo introduce a completamento del citato comma 8, il
nuovo comma 8-bis che dispone che le convenzioni devono
definire «i presupposti e le condizioni di base del piano
economico-finanziario le cui variazioni non imputabili al
concessionario, qualora determinino una modifica
dell'equilibrio del piano, comportano la sua revisione».
In
aggiunta, sempre nel nuovo comma, si prevede che le
convenzioni definiscano espressamente l'equilibrio
economico-finanziario della concessione facendo riferimento
agli indicatori di redditività del progetto e di
sostenibilità finanziaria intesa come capacità di rimborso
del debito accesso per la realizzazione degli investimenti.
Altresì, dovranno contenere le modalità e i termini con cui
procedere alla verifica dell'equilibrio
economico-finanziario e avviare, se necessario, la revisione
della stesse.
Tra le nuove disposizioni il decreto in esame va ad
integrare anche l'articolo 144 al comma 3-bis delineando,
nell'ottica di attivare progetti infrastrutturali
«bancabili», cioè che possano essere finanziati dagli
istituti di credito, la possibilità, per le concessioni da
affidarsi con procedura ristretta, di attivare, se
appositamente previsto nel bando di gara, una consultazione
preliminare con i concorrenti invitati a presentare offerte,
mirata a verificare l'eventuale sussistenza di criticità del
progetto posto a base di gara tali da incidere sulla finanziabilità dello stesso e a procedere a una conseguente
modifica della documentazione di gara con differimento del
termine originario di presentazione delle offerte. È
precisato, tuttavia, che non potrà essere oggetto di
consultazione preliminare l'importo delle misure di
defiscalizzazione e dei contributi pubblici da riconoscere
al concessionario.
Il tema del finanziamento dei progetti è poi anche alla base
dei nuovi commi 3-ter e 3-quater aggiunti sempre
nell'articolo 144. Nel comma 3-ter si prevede la facoltà per
le amministrazioni aggiudicatrici di richiedere nel bando di
gara che l'offerta possa essere anche corredata da una
manifestazione di interesse di uno o più istituti
finanziatori disposti a finanziare l'operazione, anche in
considerazione dei contenuti dello schema di contratto e del
piano economico-finanziario.
Il nuovo comma 4-ter dispone, inoltre, che il bando di gara
indichi un congruo termine, non superiore a 24 mesi,
decorrenti dalla data di approvazione del progetto
definitivo, entro i quali il concessionario dovrà reperire
le risorse finanziarie per la realizzazione degli interventi
attraverso la sottoscrizione del contratto di finanziamento
con gli istituti di credito o la sottoscrizione e il
collocamento dei project bond ex art. 157 del dlgs 163/2006.
Il mancato reperimento delle risorse finanziarie di cui
sopra entro il termine prestabilito dal bando costituisce
caso di risoluzione, da prevedere espressamente nel
contratto, della concessione senza diritto a rimborso delle
spese sostenute inclusi anche i costi per la progettazione
definitiva.
Il concessionario potrà liberamente reperire
risorse finanziarie secondo altre forme di finanziamento
previste dall'ordinamento vigente purché nello stesso
termine previsto dal bando. Il bando di gara potrà, inoltre,
prevedere che in caso di parziale finanziamento del progetto
e, comunque, per uno stralcio tecnicamente ed economicamente
funzionale, che il contratto di concessione possa rimanere
valido limitatamente alla parte che regola la realizzazione
e gestione di tale stralcio del progetto.
Infine, è precisato che le disposizioni di cui sopra non si
applicano alle procedure di finanza di progetto con bando
già pubblicato alla data di entrata in vigore del decreto o
alle procedure per le quali sia già intervenuta, alla stessa
data, la dichiarazione di pubblico interesse delle proposte
presentate
(articolo ItaliaOggi del 06.09.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Corte
Ue. Le indicazioni dell'avvocato generale.
Tariffe minime più salde per le «Soa» negli appalti.
IL PROBLEMA/ Non convince la possibilità di moltiplicare
l'importo in caso di più gare in assenza di oneri aggiuntivi
per la valutazione
Le tariffe minime obbligatorie previste per le società
organismi di certificazione (Soa) che si occupano
dell'idoneità delle imprese che partecipano alle procedure
di appalti pubblici sono compatibili con il diritto Ue.
Questo perché servono a salvaguardare la qualità del
servizio e l'indipendenza degli organismi di certificazione.
A patto, però, che la formula di calcolo delle tariffe non
produca un aumento automatico degli importi per il solo
fatto che un'impresa partecipi a più gare di appalto.
È la
posizione dell'avvocato generale Cruz Villalón che, nelle
conclusioni depositate oggi (causa C-327/12), ha salvato il
sistema delle tariffe per l'attività di attestazione delle
Soa previsto in Italia, aprendo la strada, però, ad alcuni
cambiamenti rilevanti nella quantificazione degli importi.
Adesso la parola passa alla Corte di giustizia, non
vincolata dalle conclusioni.
È la prima volta che la questione del regime legale italiano
dei minimi tariffari viene affrontato dalla Corte di
giustizia nel contesto delle Soa, ossia in rapporto a
organismi che hanno una funzione giuridica ed economica di
rilievo pubblico. La vicenda approdata a Lussemburgo ha
preso il via dal ricorso al Tar Lazio dalla Soa nazionale
costruttori secondo la quale il decreto Bersani, nella parte
relativa all'abrogazione dei minimi tariffari obbligatori,
doveva essere applicato anche alle Soa. Di diverso avviso
sia l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici dei
lavori sia il ministero dello Sviluppo economico secondo i
quali l'abolizione delle tariffe minime non riguardava le
Soa.
Il Tar aveva dato ragione all'organismo di
certificazione costruttori, ma il Consiglio di Stato, prima
di decidere, si è rivolto agli eurogiudici. In base alla
legge 34/2000, modificata dal Dpr 207/2010, le Soa, società
per azioni di diritto privato che operano sul mercato con
autorizzazione dell'Autorità di vigilanza dei contratti
pubblici, previa verifica dei requisiti di autonomia e di
indipendenza, con competenza esclusiva nella certificazione
delle imprese che partecipano a procedure di aggiudicazione
di lavori pubblici, devono ricevere un corrispettivo secondo
criteri fissi stabiliti dalla legge.
La previsione di queste
tariffe minime, per l'avvocato generale, è compatibile con
il diritto Ue e, in particolare con la libertà di
stabilimento (articolo 49 del Trattato) perché serve a
salvaguardare un motivo imperativo di interesse generale
ossia la qualità del servizio. Senza dimenticare la
necessità di assicurare l'indipendenza delle Soa
nell'esercizio delle funzioni. Le tariffe obbligatorie,
quindi, svolgono una «funzione di garanzia dell'integrità
finanziaria delle Soa».
Detto questo, però, non convince
l'avvocato generale e la Commissione il metodo di calcolo
stabilito dalla legge italiana perché una Soa può
moltiplicare automaticamente l'importo della tariffa se
un'impresa partecipa a più appalti e questo malgrado la
valutazione sulla stessa impresa non comporti oneri
aggiuntivi. Di qui, la necessità di una modifica per lo meno
con l'introduzione di un criterio moderatore (articolo Il Sole 24 Ore del 06.09.2013). |
APPALTI: Le
informazioni prefettizie antimafia possono essere ricondotte
alle seguenti tre tipologie:
a) quelle ricognitive di cause di per sé interdittive, di
cui all'art. 4, comma 4, D.L.vo 08.08.1994 n. 490;
b) quelle relative ad eventuali tentativi di infiltrazione
mafiosa, la cui efficacia interdittiva discende da una
valutazione del Prefetto ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n.
252/1998;
c) quelle supplementari (o atipiche), la cui efficacia
interdittiva scaturisce da una valutazione autonoma e
discrezionale dell'Amministrazione destinataria
dell'informativa, prevista dall'art. 1-septies D.L.
06.09.1982 n. 629.
Come è noto, l’informativa atipica non ha carattere
interdittivo ma –atteggiandosi quale atto
endoprocedimentale- consente l'attivazione da parte
dell'Amministrazione che ne è destinataria degli ordinari
strumenti di discrezionalità, al fine di valutare l'avvio o
il prosieguo dei rapporti contrattuali in atto in relazione
all'idoneità morale del privato, con il quale ha
intrattenuto o intende intrattenere rapporti che introducano
oneri a carico delle risorse pubbliche.
Diversamente, l’informativa tipica -una volta accertati da
parte del Prefetto i presupposti previsti dall'art. 4, comma
4, D.L.vo 08.08.1994 n. 490 ed in particolare la sussistenza
di tentativi di infiltrazioni criminali tendenti a
condizionare le scelte della società o dell'impresa– ha un
effetto sostanzialmente preclusivo di ulteriori rapporti
negoziali con le Amministrazioni appaltanti ed in pratica
determina in capo all’impresa una situazione generale di
incapacità a contrarre nei confronti di qualsivoglia
stazione appaltante.
Dal momento che l’informativa tipica induce dunque a carico
dell’impresa prevenuta una sorta di status negativo, non è
ragionevolmente ipotizzabile che il Prefetto possa formulare
una informativa positiva nei confronti di un soggetto
imprenditoriale tuttora gravato aliunde da una informativa
negativa valida ed efficace.
In sostanza, non è giuridicamente ipotizzabile che il
Prefetto possa consentire ad una impresa, già gravata da
informativa tipica in relazione ad un appalto, di conseguire
nel prosieguo un diverso appalto.
Quindi, dal punto di vista ordinamentale, l’adozione di una
informativa favorevole nei confronti di una impresa assorbe
ogni precedente valutazione prefettizia tipica di stampo
negativo riferita allo stesso soggetto.
Come ha da tempo chiarito la giurisprudenza anche di questo
Consiglio le informazioni prefettizie antimafia possono
essere ricondotte alle seguenti tre tipologie:
a) quelle
ricognitive di cause di per sé interdittive, di cui all'art.
4, comma 4, D.L.vo 08.08.1994 n. 490;
b) quelle relative ad
eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, la cui
efficacia interdittiva discende da una valutazione del
Prefetto ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998;
c)
quelle supplementari (o atipiche), la cui efficacia interdittiva scaturisce da una valutazione autonoma e
discrezionale dell'Amministrazione destinataria
dell'informativa, prevista dall'art. 1-septies D.L. 06.09.1982 n. 629 (cfr.
ex multis CGA n. 227 del
2012).
Come è noto, l’informativa atipica non ha carattere
interdittivo ma –atteggiandosi quale atto endoprocedimentale- consente l'attivazione da parte
dell'Amministrazione che ne è destinataria degli ordinari
strumenti di discrezionalità, al fine di valutare l'avvio o
il prosieguo dei rapporti contrattuali in atto in relazione
all'idoneità morale del privato, con il quale ha
intrattenuto o intende intrattenere rapporti che introducano
oneri a carico delle risorse pubbliche.
Diversamente, l’informativa tipica -una volta accertati da
parte del Prefetto i presupposti previsti dall'art. 4, comma
4, D.L.vo 08.08.1994 n. 490 ed in particolare la
sussistenza di tentativi di infiltrazioni criminali tendenti
a condizionare le scelte della società o dell'impresa– ha
un effetto sostanzialmente preclusivo di ulteriori rapporti
negoziali con le Amministrazioni appaltanti ed in pratica
determina in capo all’impresa una situazione generale di
incapacità a contrarre nei confronti di qualsivoglia
stazione appaltante.
Dal momento che l’informativa tipica induce dunque a carico
dell’impresa prevenuta una sorta di status negativo, non è
ragionevolmente ipotizzabile che il Prefetto possa formulare
una informativa positiva nei confronti di un soggetto
imprenditoriale tuttora gravato aliunde da una informativa
negativa valida ed efficace.
In sostanza, come efficacemente nota l’Azienda, non è
giuridicamente ipotizzabile che il Prefetto possa consentire
ad una impresa, già gravata da informativa tipica in
relazione ad un appalto, di conseguire nel prosieguo un
diverso appalto.
Quindi, dal punto di vista ordinamentale, l’adozione di una
informativa favorevole nei confronti di una impresa assorbe
ogni precedente valutazione prefettizia tipica di stampo
negativo riferita allo stesso soggetto.
Di talché, venendo al caso all’esame, non è rilevante la
circostanza che il Prefetto nel rendere l’informativa finale
favorevole abbia fatto riferimento soltanto all’informativa
negativa del 2009, in quanto in chiave sistematica il
rilascio della informativa favorevole non può che assorbire
e superare, come si è detto, ogni precedente valutazione
pregiudizievole formulata nei confronti dello stesso
soggetto imprenditoriale.
Tanto chiarito sul punto nodale dell’odierna controversia,
non sembra poi a questo Collegio che la nuova (e
favorevole) determinazione prefettizia esibisca quei profili
disfunzionali che l’impresa appellante tenta di lumeggiare.
In sostanza, secondo la Difesa dell’appellante, il
provvedimento sarebbe intrinsecamente contraddittorio in
quanto l’Autorità prefettizia avrebbe modificato il proprio
precedente orientamento senza che medio tempore fossero
intervenuti fatti nuovi o risultanze investigative ulteriori
rispetto a quelle che avevano fondato il precedente negativo
giudizio nei confronti dell’impresa appellata.
In proposito conviene innanzi tutto ricordare che, come
posto in luce dalla univoca giurisprudenza anche di questo
Consiglio, la discrezionalità delle valutazioni attribuita
al Prefetto in sede di emissione dell'informativa antimafia
è particolarmente ampia ed è sindacabile in sede di
legittimità soltanto sotto il profilo della illogicità,
incoerenza o inattendibilità, con riferimento al significato
attribuito agli elementi di fatto e all'iter seguito per
pervenire a certe conclusioni (cfr. CGA n. 130 del 2012)
(CGARS,
sentenza 05.09.2013 n. 740 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'obbligo del partecipante alla gara di
dichiarare le condanne penali per "reati gravi".
L'obbligo del
partecipante alla gara di dichiarare le condanne penali per
"reati gravi" non ricomprende le condanne per reati
estinti o depenalizzati, non già per il fatto che quei
fenomeni estintivi siano ex se sintomatici della "non
gravità" dei reati, quanto piuttosto in ragione
dell'effetto privativo che l'abrogatio criminis
(ovvero il provvedimento giudiziale dichiarativo della
estinzione del reato) opera sul potere della stazione
appaltante di apprezzare la incidenza, ai fini
partecipativi, delle sentenze di condanna cui si riferiscono
quei fatti di reato (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.09.2013 n. 4392 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L'art.
57, comma 7, d.lgs. n. 163 del 2006 […] contiene il divieto
espresso di rinnovo tacito dei contratti della p.a. aventi a
oggetto servizi, lavori e forniture, finalizzato ad evitare
che l’affidamento di un dato contratto sia sottratto al
confronto concorrenziale tra gli operatori del relativo
settore economico; esso rappresenta un principio di
carattere generale, attuativo di un vincolo comunitario
discendente dal trattato CE che, in quanto tale, opera per
la generalità dei contratti pubblici ed è estensibile anche
alle concessioni di servizi pubblici.
Detto principio prevale sulle altre e contrarie disposizioni
dell’Ordinamento e della lex specialis e [ne] è consentita
una deroga limitata solo con riguardo alla possibilità di
prevedere una proroga del contratto e sempre che, con
puntuale motivazione, l’Amministrazione dia conto degli
elementi che conducono a disattendere il principio generale.
In altri termini, se l’Amministrazione opta per l’indizione
della gara, nessuna particolare motivazione è necessaria;
non così invece se ci si avvale della possibilità di proroga
prevista dal bando. Detta ultima opzione dovrà essere
analiticamente motivata, dovendo essere chiarite le ragioni
per le quali si sia stabilito di discostarsi dal principio
generale.
---------------
Il principio generale, da ultimo sancito dall’art. 57, comma
7, del codice dei contratti pubblici […] vieta il rinnovo
tacito delle stipulazioni contrattuali.
Il rinnovo tacito altro non è che una forma di trattativa
privata che esula dalle ipotesi ammesse dal diritto
comunitario.
L’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo
dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 6
della legge n. 537/1993 e poi con l’art. 23 legge 62/2005 al
fine di adeguare l’ordinamento interno ai precetti
comunitari, ha quindi valenza generale e portata preclusiva
di opzioni ermeneutiche e applicative di altre disposizioni
dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione
del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici. Solo
rispettando il canone interpretativo appena indicato,
infatti, si assicura l’effettiva conformazione
dell’ordinamento interno a quello comunitario che considera
il rinnovo e la proroga come un contratto originario
necessitante della sottoposizione ai canoni di evidenza
pubblica, mentre, accedendo a letture sistematiche che
limitino la portata precettiva del divieto di rinnovazione
dei contratti pubblici scaduti e che introducano indebite
eccezioni, si finisce per vanificare la palese intenzione
del legislatore di adeguare la disciplina nazionale in
materia a quella europea.
In definitiva la legislazione vigente, partendo dal
presupposto che la procrastinazione meccanica del termine
originario di durata di un contratto sottrarrebbe in modo
intollerabilmente lungo un bene economicamente contendibile
alle dinamiche fisiologiche del mercato, non consente di
procedere al rinnovo o alla proroga automatica dei contratti
in corso, ma solo alla loro proroga espressa per il tempo
strettamente necessario alla stipula dei nuovi contratti a
seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica.
[…] il divieto in esame, pure se fissato dal legislatore in
modo espresso […] con riguardo agli appalti di sevizi, opere
e forniture, esprime un principio generale attuativo di un
vincolo comunitario discendente dal Trattato e, come tale,
operante per la generalità dei contratti pubblici ed
estensibile anche alle concessioni di beni pubblici.
L’obbligo di dare corpo a procedure di evidenza pubblica
deriva, infatti, in via diretta dai principi del Trattato
dell’Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere
dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne,
in guisa da tenere in non cale disposizioni interne di segno
opposto.
Esaminando, infine, il merito del ricorso, e
ricordato che la Pellegrino deduce, in definitiva, la
violazione dei principi generali in tema di concorrenza e
delle norme che, in applicazione degli stessi, circoscrivono
rigidamente per la p.a. la possibilità del rinnovo dei
contratti in corso, va osservato che <<l’art. 57, comma 7,
d.lgs. n. 163 del 2006 […] contiene il divieto espresso di
rinnovo tacito dei contratti della p.a. aventi a oggetto
servizi, lavori e forniture, finalizzato ad evitare che
l’affidamento di un dato contratto sia sottratto al
confronto concorrenziale tra gli operatori del relativo
settore economico; esso rappresenta un principio di
carattere generale, attuativo di un vincolo comunitario
discendente dal trattato CE che, in quanto tale, opera per
la generalità dei contratti pubblici ed è estensibile anche
alle concessioni di servizi pubblici (Tar Liguria, II, 28.03.2012, n. 430).
Detto principio prevale sulle altre e contrarie disposizioni
dell’Ordinamento e della lex specialis e [ne] è consentita
una deroga limitata solo con riguardo alla possibilità di
prevedere una proroga del contratto e sempre che, con
puntuale motivazione, l’Amministrazione dia conto degli
elementi che conducono a disattendere il principio generale.
In altri termini, se l’Amministrazione opta per l’indizione
della gara, nessuna particolare motivazione è necessaria;
non così invece se ci si avvale della possibilità di proroga
prevista dal bando. Detta ultima opzione dovrà essere
analiticamente motivata, dovendo essere chiarite le ragioni
per le quali si sia stabilito di discostarsi dal principio
generale (Consiglio di Stato, sez. VI, 24.11.2011, n.
6194)>> (Tar Lecce, II, 03.01.2013, n. 8).
E ancora: <<il principio generale, da ultimo sancito
dall’art. 57, comma 7, del codice dei contratti pubblici […]
vieta il rinnovo tacito delle stipulazioni contrattuali.
Il rinnovo tacito altro non è che una forma di trattativa
privata che esula dalle ipotesi ammesse dal diritto
comunitario (Cons. di Stato, VI, n. 6458 del 31.10.2006).
L’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo
dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 6
della legge n. 537/1993 e poi con l’art. 23 legge 62/2005 al
fine di adeguare l’ordinamento interno ai precetti
comunitari, ha quindi valenza generale e portata preclusiva
di opzioni ermeneutiche e applicative di altre disposizioni
dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione
del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici. Solo
rispettando il canone interpretativo appena indicato,
infatti, si assicura l’effettiva conformazione
dell’ordinamento interno a quello comunitario che considera
il rinnovo e la proroga come un contratto originario
necessitante della sottoposizione ai canoni di evidenza
pubblica, mentre, accedendo a letture sistematiche che
limitino la portata precettiva del divieto di rinnovazione
dei contratti pubblici scaduti e che introducano indebite
eccezioni, si finisce per vanificare la palese intenzione
del legislatore di adeguare la disciplina nazionale in
materia a quella europea.
In definitiva la legislazione vigente, partendo dal
presupposto che la procrastinazione meccanica del termine
originario di durata di un contratto sottrarrebbe in modo
intollerabilmente lungo un bene economicamente contendibile
alle dinamiche fisiologiche del mercato, non consente di
procedere al rinnovo o alla proroga automatica dei contratti
in corso, ma solo alla loro proroga espressa per il tempo
strettamente necessario alla stipula dei nuovi contratti a
seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica.
[…] il divieto in esame, pure se fissato dal legislatore in
modo espresso […] con riguardo agli appalti di sevizi, opere
e forniture, esprime un principio generale attuativo di un
vincolo comunitario discendente dal Trattato e, come tale,
operante per la generalità dei contratti pubblici ed
estensibile anche alle concessioni di beni pubblici (così
Cons. Stato, VI, 21.05.2009, n. 3145; n. 3642/2008; V,
n. 2825/2007; VI, n. 168/2005). L’obbligo di dare corpo a
procedure di evidenza pubblica deriva, infatti, in via
diretta dai principi del Trattato dell’Unione Europea,
direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di
specifiche norme comunitarie o interne, in guisa da tenere
in non cale disposizioni interne di segno opposto>>
(Consiglio di Stato, V, 07.04.2011, n. 2151; v. anche
Consiglio di Stato, V, 03.05.2012, n. 2552, secondo cui
l’art. 30, d.lgs. 12.04.2006 n. 163, conformemente al
diritto comunitario, esclude dall’ambito applicativo del
codice dei contratti pubblici gli affidamenti dei servizi
pubblici, imponendo però che la scelta del gestore del
servizio avvenga nel rispetto dei principi comunitari in
materia di tutela della concorrenza nonché di quelli
nazionali generali relativi ai contratti pubblici -di
trasparenza e d’imparzialità dell’azione amministrativa).
Sulla base di quanto fin qui esposto, e così ritenuto che il
rinnovo delle convenzioni violasse la previsione dell’art.
57, comma 7, citato, per quanto scritto principio generale
applicabile anche alle concessioni di servizi ai sensi
dell’art. 30, comma 3, d.lgs. n. 163, il ricorso deve in
definitiva essere accolto, sussistendo tuttavia giusti
motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 03.09.2013 n. 1807 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - APPALTI: Consiglio di Stato. Progetto respinto per vizi procedurali e
poi bocciato perché arrivato troppo tardi.
Uffici lenti, arrivano i danni.
Riconosciuto a un'impresa, dopo 13 anni, il risarcimento per
inerzia della Pa.
Un'impresa ha diritto di vedersi riconosciuto il danno
causato dai ritardi dalla Pubblica amministrazione, anche se
i fatti precedono il recente diluvio normativo scatenato nel
tentativo di garantire «tempi certi» all'attività degli
uffici pubblici. Anche i tempi per ottenere giustizia, però,
possono essere biblici, e trovano una consolazione molto
parziale nel riconoscimento degli interessi legali che
aumentano un po' l'indennizzo per il danno.
Sono queste le conclusioni a cui si giunge nella lettura
della
sentenza
02.09.2013 n. 4344, con cui il Consiglio di Stato,
Sez. VI, ha
chiuso una vicenda che oppone un'impresa al comune di
Camerino e alla regione Marche dal 1997.
A causa del «lucro
cessante» e del «danno emergente» determinati
dall'impossibilità di utilizzare una cava per il mancato
arrivo di un'autorizzazione ambientale, i giudici
amministrativi riconoscono all'impresa un rimborso da
100mila euro, che con gli interessi aumentano di circa un
terzo, condannando in solido al pagamento il Comune e la
Regione. Lo stop forzato dall'assenza delle carte risale
però al periodo 1997-2000, mentre la sentenza definitiva è
di questi giorni.
La vicenda trascende il caso specifico, perché è esemplare
dei cortocircuiti amministrativi che complicano la vita
delle imprese e riconosce il diritto degli operatori
economici che vi incorrono a ottenere i risarcimenti, anche
in base a norme presenti nel nostro ordinamento da decenni.
L'impresa in questione, che utilizzava la cava fin dal 1983,
aveva inviato al Comune, che l'aveva girato alla Regione, un
primo progetto per il recupero ambientale della cava:
nell'attesa, aveva elaborato una variante, che riduceva il
volume estraibile, e l'aveva inviato direttamente alla
Regione per saltare un passaggio e accorciare i tempi.
Mal gliene incolse, perché il comitato regionale del
territorio, bocciando il primo progetto, giudicava
"irricevibile" la variante perché arrivata direttamente
dall'impresa, e non tramite il Comune. La variante venne
allora instradata sull'iter normale, ma giunta al comitato
fu bocciata perché arrivata dopo l'esame negativo del
progetto originario. Per questa ragione, venne anche
respinta l'ipotesi, avanzata dal Comune di Camerino, che
sulla variante si potesse formare il silenzio assenso. Il
punto, paradossale, è evidente: la variante è arrivata in
ritardo per un vizio procedurale contestato dalla Regione,
ed è stata respinta dalla stessa Regione perché è arrivata
in ritardo.
Su questa base è fiorita una folla di atti
dilatori e di rimpalli fra Comune e Regione, che hanno
rappresentato gli argomenti della battaglia legale
ingaggiata dall'azienda. Battaglia legale che, a sua volta,
è durata parecchio di più rispetto ai ritardi amministrativi
che l'hanno generata. Il primo ricorso è stato presentato
nel 2000 al Tar Marche, che si è preso sei anni per
decidere, nella sentenza 560 del settembre 2006, di non
accogliere la domanda di risarcimento. Di qui il nuovo
ricorso, arrivato nei giorni scorsi al giudizio definitivo
del Consiglio di Stato dopo 13 anni di pena (articolo Il Sole 24 Ore del
18.09.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Decreto Ministeriale per la compensazione dei
prezzi dei materiali da costruzione negli appalti pubblici -
anno 2012 limitato al bitume (ANCE Bergamo,
circolare 02.09.2013 n. 194). |
APPALTI: Appalti, così si disinnesca la solidarietà.
Anche dopo l'esclusione dell'Iva resta invariato l'iter dei
controlli per evitare la responsabilità.
Le
ultime modifiche confermano il regime sulle ritenute e lo
estendono agli autonomi, limitando i margini riservati alla
negoziazione.
Novità in chiaroscuro per le regole sulla responsabilità
solidale negli appalti, il vincolo che obbliga l'appaltatore
e il subappaltatore (e sul piano degli obblighi lavoristici
anche il committente imprenditore), negli appalti di opere o
di servizi, a rispondere in solido dei versamenti dovuti sul
piano fiscale e contributivo: è l'effetto delle novità
introdotte dai recenti provvedimenti legislativi, i decreti
legge 69/2013 del 22 giugno (convertito dalla legge 98/2013)
e 76/2013 (convertito dalla legge 99/2013).
Da un lato, infatti, l'articolo 50 del Dl 69 (il decreto del
fare), ha modificato il Dl 223/2006 (articolo 35, comma 28), semplificando il regime della responsabilità solidale in
campo fiscale, con la cancellazione parziale della
solidarietà per quanto riguarda l'Iva a carico del
subappaltatore e dell'appaltatore.
Dall'altro, invece, il Dl 76/2013 ha incluso nel vincolo
solidaristico i lavoratori autonomi e ha limitato il potere
regolatorio affidato dalla legge 92/2012 ai contratti
collettivi nazionali di lavoro.
Restando in campo fiscale, dal 22.06.2013 è previsto
che, in caso di appalto di opere o di servizi, l'appaltatore
risponda in solido con il subappaltatore –nei limiti
dell'ammontare del corrispettivo– del versamento all'erario
delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente
dovute, ma non più del versamento dell'Iva.
La "facilitazione", sebbene abbia in parte ristretto i
confini della responsabilità, non ha però cambiato il
sistema dei controlli disposto dal Dl 83/2012 (convertito
dalla legge 134/2012), con le misure previste dall'articolo
35, commi 28, 28-bis e 28-ter, del Dl 223/2006. I soggetti
coinvolti nella filiera degli appalti devono quindi
continuare ad attenersi al sistema di verifica già in
vigore, mettendo in piedi tutti i rimedi a loro
disposizione.
La normativa sulla solidarietà passiva tributaria negli
appalti e subappalti è entrata in vigore il 12.08.2012,
coinvolgendo i soggetti che avevano sottoscritto o rinnovato
un contratto di appalto a partire da quella data, in
aggiunta alla solidarietà retributiva e contributiva
prevista dall'articolo 29 della legge Biagi.
Il Dl 223/2006 prevede un diverso grado di responsabilità e
di rischio economico rispettivamente per committente e
appaltatore nei confronti del subappaltatore. Nel quadro
attuale, l'appaltatore si trova nella posizione di
coobbligato in solido con il subappaltatore –che è il
debitore principale– per le ritenute sui redditi da lavoro
dipendente dovute da quest'ultimo, in relazione alle
prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di
subappalto e nel limite del corrispettivo dovuto, che non
può quindi eccedere l'importo che l'appaltatore deve
corrispondere al subappaltatore.
Il committente, dal canto suo, pur non essendo chiamato a
rispondere per il debito erariale, deve pagare il
corrispettivo all'appaltatore solo dopo aver verificato che
gli adempimenti degli obblighi tributari già scaduti,
relativi al versamento delle ritenute fiscali sui redditi da
lavoro dipendente a carico dall'intera filiera dell'appalto,
sono stati eseguiti correttamente. Nel caso in cui questi
paghi il compenso senza aver prima controllato la regolarità
dei versamenti, è soggetto a una sanzione amministrativa da
5mila a 200mila euro.
Ma come devono procedere appaltatore e committente per
verificare il puntuale pagamento degli obblighi tributari?
Senza dimenticare i risvolti nell'alveo lavoristico,
entrambi devono farsi rilasciare un'asseverazione
predisposta dai soggetti abilitati, che attesti il corretto
versamento delle ritenute fiscali inerenti il lavoro
dipendente. In alternativa, l'agenzia delle Entrate ritiene
valida anche una dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà (circolare 40/E/2012), resa in base al Dpr
445/2000, con cui l'appaltatore-subappaltatore attesta
l'effettivo adempimento dei versamenti.
La circolare 2/E/2013 ha precisato che –in caso di più
contratti tra le stesse parti– la certificazione può essere
rilasciata in modo unitario e può essere fornita anche con
cadenza periodica, purché, al momento del pagamento, si
attesti la regolarità dei versamenti delle ritenute.
---------------
La tutela si estende ai collaboratori.
Sul fronte lavoristico, la responsabilità solidale negli
appalti è stata ritoccata dal decreto sull'occupazione, il
Dl 76/2013. L'articolo 9 estende la solidarietà prevista
dall'articolo 29 del Dlgs 276/2003 anche ai compensi e agli
obblighi di natura contributiva e assicurativa in favore di
lavoratori con contratti di natura autonoma, fatta eccezione
per gli appalti stipulati dalla pubblica amministrazione.
È un intervento che va –di fatto– a dare una veste
normativa a quanto già affermato dalla prassi. La circolare
5/2011 del ministero del Lavoro, infatti, facendo
riferimento allo stesso articolo 29 della legge Biagi (che
usava genericamente il termine «lavoratori») aveva indicato
come beneficiari delle tutele poste dal regime della
responsabilità solidale non soltanto i lavoratori
subordinati ma anche gli altri soggetti impiegati
nell'appalto con diverse tipologie contrattuali, come i
collaboratori a progetto e gli associati in partecipazione.
Anche l'Inps, nella circolare 106/2012, aveva ribadito lo
stesso principio.
Questo consiste nell'obbligazione in solido che il
committente imprenditore o datore di lavoro ha con
l'appaltatore, e con gli eventuali subappaltatori, a
corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e
contributivi dovuti in relazione al periodo di esecuzione
del lavoro, entro due anni dalla cessazione dell'appalto.
Il decreto 76/2013, dal 28 giugno scorso, fa scattare la
solidarietà anche in relazione ai compensi e agli obblighi
di natura previdenziale e assicurativa nei confronti dei
lavoratori autonomi. Con la circolare 35/2013, il ministero
del Lavoro ha chiarito che il riferimento della norma si
limita ai collaboratori coordinati e continuativi e ai
collaboratori a progetto impiegati nell'appalto, e non anche
ai lavoratori autonomi che sono tenuti in via esclusiva ad
assolvere i relativi oneri.
Anche questi soggetti godono dunque delle tutele già
previste per i lavoratori dipendenti: la prima riguarda il
compenso, l'altra è di natura contributiva. Quest'ultima,
nell'ipotesi dei lavoratori cosiddetti parasubordinati, si
traduce nell'obbligo di versare la contribuzione alla
gestione separata, laddove sia dovuta.
Chi appalta deve quindi rispettare i presupposti di legge,
anche per evitare rivendicazioni dai lavoratori impiegati
nell'appalto: questi, infatti, possono proporre azione
diretta nei confronti del committente perché risponda in
solido con l'appaltatore, e con gli eventuali
subappaltatori, dei trattamenti retributivi e previdenziali
dovuti (sia contributivi e assistenziali, sia assicurativi).
Il limite temporale di due anni per far valere la
responsabilità solidale per il pagamento dei debiti è un
termine di decadenza per l'esercizio dei relativi diritti,
sia per i lavoratori, sia per gli enti previdenziali. Sulle
somme per le quali il committente è chiamato a rispondere in
solido, il ministero del Lavoro (circolare 2/2012) ha
precisato che, in seguito alla modifica apportata dal Dl
5/2012, il regime di solidarietà non si applica alle
sanzioni civili.
Per cercare di evitare la corresponsabilità, bisogna
adottare tutte le verifiche possibili sulla regolarità dei
soggetti coinvolti nella filiera: ad esempio, richiedendo il
Durc ma anche attraverso altre verifiche formali
(l'iscrizione al registro imprese, il modello di
comunicazione preventiva obbligatoria, e così via).
---------------
Spazio ai Ccnl solo sul fronte retributivo.
Il decreto 76/2013 (articolo 9) opera una vera e propria
compressione dell'autonomia negoziale sugli appalti, in
virtù della quale la legge 92/2012 aveva affidato ai
contratti collettivi nazionali di lavoro la possibilità di
individuare metodi e procedure di controllo e di verifica
della regolarità complessiva degli appalti.
Il Dl 76/2013, infatti, ha limitato il raggio d'azione dei
Ccnl, rispetto a quanto disciplinato dalla riforma del
lavoro, che era intervenuta sull'articolo 29 del Dlgs
276/2003 introducendo una «clausola di riserva»: seguendo un
orientamento già espresso dal ministero del Lavoro con la
lettera circolare del 22.04.2013, le eventuali
disposizioni contrattuali potranno disporre la propria
efficacia esclusivamente in relazione ai trattamenti
retributivi dovuti ai lavoratori impiegati nell'appalto (o
nel subappalto), con l'esclusione di qualsiasi conseguenza
sul regime di solidarietà sui contributi previdenziali e
assicurativi.
In pratica, dall'entrata in vigore del decreto Lavoro,
l'obbligazione solidale tra committente, appaltatore ed
eventuali subappaltatori può essere inibita (esclusivamente
in relazione ai trattamenti retributivi dovuti ai lavoratori
impiegati nell'appalto/subappalto) se i contratti collettivi
nazionali di lavoro -sottoscritti da associazioni dei
datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più
rappresentative del settore- dispongano diversamente,
individuando metodi e procedure di controllo della
regolarità degli appalti, senza poter però incidere sul
regime della contribuzione dovuta per il periodo di
esecuzione del contratto.
Peraltro, tenendo conto che spesso le imprese della filiera
non applicano lo stesso contratto collettivo, non è chiaro
se il Ccnl che preveda regole ad hoc debba essere quello
applicato dall'appaltante o dall'appaltatore.
Nell'attribuzione ai Ccnl del compito di individuare
procedure specifiche di verifica della regolarità rientra
anche la disciplina del coinvolgimento dei soggetti della
filiera per incapienza dei beni di chi esegue l'opera, in
caso di contenzioso nella materia.
In base a quest'ultima disposizione, il debitore solidale
(committente imprenditore o datore di lavoro), chiamato a
rispondere in sede giudiziale del pagamento insieme con
l'appaltatore e con gli eventuali subappaltatori, può
proporre un'eccezione con la quale chiede che sia
preventivamente escusso il patrimonio di questi ultimi. In
queste ipotesi, sebbene il giudice accerti la responsabilità
solidale, l'azione esecutiva può essere promossa nei
confronti del committente solo dopo che l'esecuzione verso
il patrimonio del responsabile abbia dato esito infruttuoso.
Inoltre, la norma conferma una procedura già esperibile nei
casi di responsabilità solidale, che consiste nella
possibilità da parte del committente, chiamato a rispondere
al posto del responsabile, di richiedere la restituzione di
quanto pagato attraverso l'azione di regresso
(articolo Il Sole 24 Ore del 02.09.2013). |
agosto 2013 |
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APPALTI: L’art.
38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, è quindi applicabile ogni
volta in cui l’organigramma di un’impresa, partecipante a
pubbliche gare d’appalto, preveda una figura dirigenziale,
comunque denominata, assimilabile al direttore tecnico.
Invero, “con la decisione n. 1790 del 24.03.2011, dalle cui
ragionevoli conclusioni non vi è ragione di discostarsi,
questa stessa Sezione, richiamando peraltro anche un proprio
recente arresto, ha rilevato che nelle imprese che
effettuano la gestione dei rifiuti è obbligatoria (ai sensi
dell’art. 10, comma 4, del D.M. 28.04.1998) la figura del
responsabile tecnico, che costituisce elemento
indispensabile per la qualifica dell’impresa, evidentemente
deputato allo svolgimento dei compiti tecnico–organizzativi
relativi anche all’esecuzione del servizio commesso da parte
dell’impresa, di cui assume, per stessa definizione, la
responsabilità sotto altri aspetti, non diversamente dal
direttore tecnico previsto dall’art. 26 del D.P.R.
25.01.2000, n. 34, in materia di imprese di lavori pubblici
(cui competono, notoriamente, gli adempimenti di carattere
tecnico organizzativo necessari per l’esecuzione dei
lavori).
E’ stato aggiunto che non sono pertanto ravvisabili
significative differenze tra il responsabile tecnico
dell’impresa di gestione dei rifiuti ed il direttore
tecnico, anche quest’ultimo potendo (ex art. 26 del D.P.R.
25.01.2000, n. 34) essere un soggetto esterno.
Di conseguenza quando la norma di cui all’art. 38 del D. Lgs.
12.04.2006, n. 163 (e quindi anche la lex specialis di gara)
richiede che lo specifico requisito sia posseduto dal
direttore tecnico ha riguardo, quanto alle imprese di
servizi, alle figure tipiche di tale categoria, pur
nominalmente diverse ma a quella sostanzialmente analoghe
perché investite di compiti parimenti analoghi, rilevanti ai
fini dell’esecuzione dell’appalto”
L’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n.
163, è quindi applicabile ogni volta in cui l’organigramma
di un’impresa, partecipante a pubbliche gare d’appalto,
preveda una figura dirigenziale, comunque denominata,
assimilabile al direttore tecnico.
Tale conclusione è conforme ad orientamento già espresso in
giurisprudenza.
C. di S., V, 11.01.2012, n. 83 ha infatti affermato che
“con la decisione n. 1790 del 24.03.2011, dalle cui
ragionevoli conclusioni non vi è ragione di discostarsi,
questa stessa Sezione, richiamando peraltro anche un proprio
recente arresto (26.05.2010, n. 3364), ha rilevato che
nelle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti è
obbligatoria (ai sensi dell’art. 10, comma 4, del D.M. 28.04.1998) la figura del responsabile tecnico, che
costituisce elemento indispensabile per la qualifica
dell’impresa, evidentemente deputato allo svolgimento dei
compiti tecnico–organizzativi relativi anche
all’esecuzione del servizio commesso da parte dell’impresa,
di cui assume, per stessa definizione, la responsabilità
sotto altri aspetti, non diversamente dal direttore tecnico
previsto dall’art. 26 del D.P.R. 25.01.2000, n. 34, in
materia di imprese di lavori pubblici (cui competono,
notoriamente, gli adempimenti di carattere tecnico
organizzativo necessari per l’esecuzione dei lavori).
E’ stato aggiunto che non sono pertanto ravvisabili
significative differenze tra il responsabile tecnico
dell’impresa di gestione dei rifiuti ed il direttore
tecnico, anche quest’ultimo potendo (ex art. 26 del D.P.R.
25.01.2000, n. 34) essere un soggetto esterno.
Di conseguenza quando la norma di cui all’art. 38 del D. Lgs.
12.04.2006, n. 163 (e quindi anche la lex specialis di gara)
richiede che lo specifico requisito sia posseduto dal
direttore tecnico ha riguardo, quanto alle imprese di
servizi, alle figure tipiche di tale categoria, pur
nominalmente diverse ma a quella sostanzialmente analoghe
perché investite di compiti parimenti analoghi, rilevanti ai
fini dell’esecuzione dell’appalto”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.08.2013 n. 4328 - link a www.giustizia-amministrativa). |
APPALTI - SICUREZZA LAVORO:
Oggetto: D.L. n. 76/2013 (conv. da L. n. 99/2013) recante
“Primi interventi urgenti per la promozione
dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione
sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto
(IVA) e altre misure finanziarie urgenti” – indicazioni
operative per il personale ispettivo (Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali,
circolare
29.08.2013 n. 35/2013).
---------------
Di interesse, si leggano i seguenti paragrafi:
● Solidarietà negli appalti
(art. 9, comma 1) (a pag. 16);
● Rivalutazione sanzioni in materia salute e sicurezza
sul lavoro (art. 9, comma 2) (a pag. 17). |
APPALTI:
Aste elettroniche, ricorso in Europa.
L'Autorità va in Corte di giustizia Ue.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti impugna davanti
alla Corte di giustizia la disciplina nazionale sulle aste
elettroniche per contrasto delle norme in materia di
trasparenza e parità di trattamento della direttiva appalti
pubblici; sarebbe illegittimo l'articolo 292 del dpr
207/2010 che consente, negli appalti dei «settori speciali»,
di impedire durante la fase dell'ultimo rilancio che i
concorrenti conoscano la propria posizione in classifica.
La richiesta «pregiudiziale» viene posta dall'Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici nell'ambito di una
procedura di «precontenzioso» presentata all'organismo di
vigilanza da un concorrente che aveva partecipato a una
procedura ristretta per un appalto di forniture di
macchinari, esperita mediante asta elettronica. In
particolare oggetto della contestazione era la clausola
della lettera di invito in cui si prevedeva che, in caso di
offerte migliorative durante la fase dell'ultimo rilancio, i
concorrenti non sarebbero stati in grado, per cinque minuti
prima del termine dell'asta, di visualizzare la propria
posizione in classifica e le offerte degli altri operatori
economici.
Rispetto a questa clausola veniva posta sia
un'eccezione di contrasto con il principio generale di
trasparenza e pubblicità del diritto comunitario, sia di
violazione dell' articolo 56, sesto comma, della direttiva
2004/17/Ce che stabilisce che «nel corso di ogni fase
dell'asta elettronica, gli enti aggiudicatori comunicano in
tempo reale a tutti gli offerenti almeno le informazioni che
consentono loro di conoscere in ogni momento la rispettiva
classificazione».
Un primo profilo di interesse consiste nel fatto che
l'Autorità, per la prima volta, rinvia una questione alla
Corte di giustizia qualificandosi come «organo
giurisdizionale» in virtù della sua indipendenza e terzietà,
dell'obbligatorietà della sua giurisdizione, della natura
contraddittoria del procedimento, e del fatto che l'organo
applichi norme giuridiche per la risoluzione di
controversie.
Il secondo profilo di interesse riguarda l'eccepita
illegittimità comunitaria, da parte dell'organismo di
vigilanza, di una norma del regolamento del Codice dei
contratti pubblici, l'art. 292, quarto comma, del dpr 207
/2010 che, integrando la norma primaria dell'art. 85 del
Codice, consente alle stazioni appaltanti operanti nei
«settori speciali» (acqua, trasporti e telecomunicazioni),
di impedire «durante la fase dell'ultimo rilancio» che i
concorrenti conoscano la propria posizione in classifica.
Per l'Autorità, infatti, la previsione di un black-out
di cinque minuti nella fase finale dell'asta elettronica,
ossia nella fase solitamente decisiva per l'aggiudicazione
dell'appalto al migliore offerente, «sembra porsi altresì in
contrasto con i principi di trasparenza e parità di
trattamento, dai quali discende l'esigenza che vi sia
un'effettiva competizione tra i concorrenti, i quali tutti
dovrebbero essere messi a conoscenza dell'effettivo valore
del contratto attraverso l'osservazione dei comportamenti
degli altri concorrenti, e in particolare degli ultimi
rilanci, fino alla conclusione dell'asta elettronica»
(articolo ItaliaOggi del 29.08.2013). |
APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROGETTUALI:
Le ricorrenti chiedono
congiuntamente il ristoro economico per la mancata (e
dovuta) aggiudicazione e il rimborso delle spese sostenute
per la partecipazione alla gara.
La prima voce fatta valere è funzionale alla reintegrazione
dell’interesse positivo, il quale consiste nel mancato
conseguimento delle utilità economiche che gli aspiranti
progettisti avrebbero ricavato dall’esecuzione del contratto
posto a gara. Viceversa le spese sostenute per partecipare a
quest’ultima costituiscono poste risarcibili nell’ambito del
c.d. interesse negativo, azionabile in ipotesi di
responsabilità precontrattuale dell’amministrazione
aggiudicatrice (ad es. in caso di illegittima revoca
dell’aggiudicazione o di ingiustificato rifiuto di stipulare
il contratto).
Le predette poste sono tra loro alternative, poiché qualora
sia riconosciuto un danno da mancata aggiudicazione, la
misura corrisponde al risultato netto patrimoniale che il
soggetto danneggiato avrebbe conseguito per effetto
dell’affidamento illegittimamente negato, con detrazione
delle spese sostenute dal concorrente per accedere alla
selezione, poiché queste sarebbero state definitivamente a
carico dello stesso anche in caso di aggiudicazione.
La partecipazione alle gare di appalto comporta per le
imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico
delle imprese medesime, sia in caso di vittoria, sia in caso
di mancata aggiudicazione: il costo in questione sarebbe
comunque stato sostenuto dall’impresa anche in caso di
affidamento, per cui lo stesso deve ritenersi incorporato
nella differenza tra ricavi e costi all’esito della quale si
ottiene l’utile ritraibile dal servizio medesimo.
La medesima incompatibilità con il risarcimento del mancato
utile ritraibile dall’esecuzione dell’appalto va registrata
anche rispetto alla perdita di chance potenzialmente
correlabile al risarcimento della lesione dell’interesse
contrattuale negativo, in quanto dette chances riguardano le
favorevoli occasioni contrattuali di segno alternativo alla
partecipazione alla procedura di appalto della quale si
tratti: il soggetto che domanda il ristoro per il mancato
conseguimento dell’utile connesso ad una determinata
procedura selettiva non può agire per cumulare un ulteriore
risarcimento inteso a tenerlo indenne dalla contestuale
perdita di occasioni alternative alla procedura stessa.
Le ricorrenti avanzano la pretesa
risarcitoria per la mancata aggiudicazione dell’appalto di
progettazione dell’intervento di riqualificazione di Piazza
della Libertà, affidato ad altro raggruppamento di
professionisti illegittimamente collocato al primo posto
della graduatoria.
Sotto un primo versante, va sottolineato che le
ricorrenti chiedono congiuntamente il ristoro economico per
la mancata (e dovuta) aggiudicazione e il rimborso delle
spese sostenute per la partecipazione alla gara. La prima
voce fatta valere è funzionale alla reintegrazione
dell’interesse positivo, il quale consiste nel mancato
conseguimento delle utilità economiche che gli aspiranti
progettisti avrebbero ricavato dall’esecuzione del contratto
posto a gara. Viceversa le spese sostenute per partecipare a
quest’ultima costituiscono poste risarcibili nell’ambito del
c.d. interesse negativo, azionabile in ipotesi di
responsabilità precontrattuale dell’amministrazione
aggiudicatrice (ad es. in caso di illegittima revoca
dell’aggiudicazione o di ingiustificato rifiuto di stipulare
il contratto). Le predette poste sono tra loro alternative,
poiché qualora sia riconosciuto un danno da mancata
aggiudicazione, la misura corrisponde al risultato netto
patrimoniale che il soggetto danneggiato avrebbe conseguito
per effetto dell’affidamento illegittimamente negato, con
detrazione delle spese sostenute dal concorrente per
accedere alla selezione, poiché queste sarebbero state
definitivamente a carico dello stesso anche in caso di
aggiudicazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 12/02/2013
n. 799).
La partecipazione alle gare di appalto comporta per
le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico
delle imprese medesime, sia in caso di vittoria, sia in caso
di mancata aggiudicazione: il costo in questione sarebbe
comunque stato sostenuto dall’impresa anche in caso di
affidamento, per cui lo stesso deve ritenersi incorporato
nella differenza tra ricavi e costi all’esito della quale si
ottiene l’utile ritraibile dal servizio medesimo (Consiglio
di Stato, sez. V – 18/04/2012 n. 2258).
La medesima
incompatibilità con il risarcimento del mancato utile
ritraibile dall’esecuzione dell’appalto va registrata anche
rispetto alla perdita di chance potenzialmente correlabile
al risarcimento della lesione dell’interesse contrattuale
negativo, in quanto dette chances riguardano le favorevoli
occasioni contrattuali di segno alternativo alla
partecipazione alla procedura di appalto della quale si
tratti: il soggetto che domanda il ristoro per il mancato
conseguimento dell’utile connesso ad una determinata
procedura selettiva non può agire per cumulare un ulteriore
risarcimento inteso a tenerlo indenne dalla contestuale
perdita di occasioni alternative alla procedura stessa
(Consiglio di Stato, sez. V – 06/07/2012 n. 3966)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 28.08.2013 n. 738 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Può essere richiamato il
consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di jus
poenitendi dell’amministrazione che –dopo l’avvio della
procedura di scelta del contraente– mantiene il potere di
revoca per documentate e motivate esigenze di interesse
pubblico, anche consistenti in un diverso apprezzamento dei
medesimi presupposti già considerati, in ragione delle quali
sia evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della
prosecuzione della gara stessa: è sufficiente al riguardo
che non risulti illogica né illegittima per manifesta
abnormità o travisamento dei presupposti di fatto la
decisione di perseguire una strada diversa.
---------------
Nel caso di pur legittima revoca di una procedura di gara,
può residuare una responsabilità per violazione degli
obblighi di buona fede prima della stipulazione del
contratto, quando il comportamento tenuto
dall’amministrazione risulti contrastante con le regole di
lealtà e diligenza di cui all’art. 1337 del c.c. (ove abbia
generato un danno).
Con il provvedimento di rimozione degli atti di gara
l’amministrazione si orienta al miglior perseguimento
dell’interesse pubblico, e tuttavia sussiste una
responsabilità per culpa in contrahendo per la lesione
dell’affidamento in capo all’impresa suscitato dagli atti
della procedura di evidenza pubblica e perdurato fino alla
comunicazione dell’avvenuto ripensamento. In sostanza,
l’orientamento descritto ha operato una scissione fra la
legittima determinazione di revocare l'aggiudicazione della
gara e il complessivo tenore del comportamento tenuto dalla
medesima amministrazione nella sua veste di controparte
negoziale, non informato alle generali regole di correttezza
e buona fede che devono essere osservate
dall'amministrazione anche nella fase precontrattuale.
In concreto, il Collegio ravvisa un danno ingiusto
determinato dalla violazione delle regole di correttezza
amministrativa (evidenziate nella sentenza passata in
giudicato), che ha provocato l’annullamento parziale della
procedura di gara, con lesione dell’interesse giuridicamente
rilevante del titolare dell’aspirante all’affidamento
dell’appalto. Le censure accolte nella sentenza 1692/2002
–che hanno evidenziato un comportamento della Commissione di
gara contrario ad elementari regole di svolgimento delle
operazioni di valutazione delle offerte– integrano la “culpa
in contraendo” dell’amministrazione, essendo mancato un
corretto svolgimento delle operazioni valutative che
avrebbero condotto all’individuazione del contraente, in
contrasto con gli ordinari canoni di correttezza. L'obbligo
appena evocato di buona fede nella conduzione degli affari
negoziali va inteso infatti in senso "oggettivo", nel senso
che non si richiede un particolare comportamento soggettivo
di malafede, ma è sufficiente anche la condotta non
intenzionale o meramente colposa della parte che, senza
giustificato motivo, ha eluso le aspettative della
controparte.
Quanto al danno che ne consegue, esso in astratto è
risarcibile relativamente alle spese inutilmente sopportate
nel corso delle trattative in vista della conclusione del
contratto, nonché alla perdita, a causa della trattativa
inutilmente intercorsa, di ulteriori occasioni per la
stipulazione con altri di un contratto altrettanto o
maggiormente vantaggioso, con onere della prova
dell’ammontare del danno in capo al danneggiato in base ai
principi generali.
E’ evidente,
peraltro, che il giudicato formatosi sulla gara incisa dalla
sentenza di questo TAR ha contemplato semplicemente
l’annullamento dell’aggiudicazione alla controinteressata,
mentre la stazione appaltante ha esercitato la facoltà di
esplorare soluzioni alternative che risultassero
maggiormente convenienti.
In quest’ottica può essere
richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in
materia di jus poenitendi dell’amministrazione che –dopo
l’avvio della procedura di scelta del contraente– mantiene
il potere di revoca per documentate e motivate esigenze di
interesse pubblico, anche consistenti in un diverso
apprezzamento dei medesimi presupposti già considerati, in
ragione delle quali sia evidente l’inopportunità o comunque
l’inutilità della prosecuzione della gara stessa: è
sufficiente al riguardo che non risulti illogica né
illegittima per manifesta abnormità o travisamento dei
presupposti di fatto la decisione di perseguire una strada
diversa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 05/09/2011 n.
5002; TAR Puglia Lecce, sez. III – 25/01/2012 n. 139;
sentenza Sezione 05/03/2013 n. 214, che risulta appellata).
Ebbene, le ragioni di opportunità (ossia le sopravvenienze
giurisprudenziali e normative evocate nella motivazione del
provvedimento di revoca) hanno indotto il Comune a non
proseguire nella riedizione del confronto comparativo
(consistente nel riprendere la gara dal segmento non
intaccato dalla pronuncia di questo Tribunale), senza che
sia stata censurata in sede giurisdizionale la coerenza e la
ragionevolezza di tale condotta.
---------------
A questo
punto, si può ulteriormente dedurre che –nel caso di pur
legittima revoca di una procedura di gara– può residuare
una responsabilità per violazione degli obblighi di buona
fede prima della stipulazione del contratto, quando il
comportamento tenuto dall’amministrazione risulti
contrastante con le regole di lealtà e diligenza di cui
all’art. 1337 del c.c. (ove abbia generato un danno).
Con il
provvedimento di rimozione degli atti di gara
l’amministrazione si orienta al miglior perseguimento
dell’interesse pubblico, e tuttavia sussiste una
responsabilità per culpa in contrahendo per la lesione
dell’affidamento in capo all’impresa suscitato dagli atti
della procedura di evidenza pubblica e perdurato fino alla
comunicazione dell’avvenuto ripensamento (cfr. Consiglio di
Stato, ad. plen. – 05/09/2005 n. 6). In sostanza,
l’orientamento descritto ha operato una scissione fra la
legittima determinazione di revocare l'aggiudicazione della
gara e il complessivo tenore del comportamento tenuto dalla
medesima amministrazione nella sua veste di controparte
negoziale, non informato alle generali regole di correttezza
e buona fede che devono essere osservate
dall'amministrazione anche nella fase precontrattuale (in
tal senso: Cons. Stato, Ad. Plen., n. 6 cit.; Cons. Stato
Sez. V, 30.11.2007, n. 6137; id., Sez. V, 14.03.2007, n. 1248).
In concreto, il Collegio ravvisa un danno ingiusto
determinato dalla violazione delle regole di correttezza
amministrativa (evidenziate nella sentenza passata in
giudicato), che ha provocato l’annullamento parziale della
procedura di gara, con lesione dell’interesse giuridicamente
rilevante del titolare dell’aspirante all’affidamento
dell’appalto. Le censure accolte nella sentenza 1692/2002 –che hanno evidenziato un comportamento della Commissione di
gara contrario ad elementari regole di svolgimento delle
operazioni di valutazione delle offerte– integrano la
“culpa in contraendo” dell’amministrazione, essendo mancato
un corretto svolgimento delle operazioni valutative che
avrebbero condotto all’individuazione del contraente, in
contrasto con gli ordinari canoni di correttezza. L'obbligo
appena evocato di buona fede nella conduzione degli affari
negoziali va inteso infatti in senso "oggettivo", nel senso
che non si richiede un particolare comportamento soggettivo
di malafede, ma è sufficiente anche la condotta non
intenzionale o meramente colposa della parte che, senza
giustificato motivo, ha eluso le aspettative della
controparte (Consiglio di Stato, sez. III – 18/01/2013 n.
279).
Quanto al danno che ne consegue, esso in astratto è
risarcibile relativamente alle spese inutilmente sopportate
nel corso delle trattative in vista della conclusione del
contratto, nonché alla perdita, a causa della trattativa
inutilmente intercorsa, di ulteriori occasioni per la
stipulazione con altri di un contratto altrettanto o
maggiormente vantaggioso, con onere della prova
dell’ammontare del danno in capo al danneggiato in base ai
principi generali (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV –
14/01/2013 n. 156; TAR Campania Napoli, sez. II – 04/02/2013
n. 704)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 28.08.2013 n. 738 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Requisiti di moralità professionale, con meno di
quattro soci maggioranza a chi ha il 50+1 economico.
L'obbligo di rendere la dichiarazione circa il ossesso del
requisito della moralità professionale da parte del socio di
maggioranza in ipotesi di società con meno di quattro soci,
da Codice dei contratti pubblici, incombe in via esclusiva
su quel socio che detenga la maggioranza del capitale
sociale inteso come valore economico assoluto (ossia 50% +
1).
Il TAR di Puglia-Bari, Sez. I, con la
sentenza 27.08.2013 n. 1256, ha
chiarito che è illegittima l'esclusione di una ditta da una
gara d'appalto, motivata con riferimento all'omessa
presentazione della dichiarazione del possesso del requisito
della moralità professionale relativamente al socio di
maggioranza (peraltro erroneamente indicato), nel caso in
cui il capitale sociale sia suddiviso rispettivamente in due
partecipazioni al 40% e una al 20%: in ipotesi, infatti, non
si profila alcuna possibilità di condizionamento in concreto
delle determinazioni societarie da parte di nessuno dei
soci.
Analisi del caso
La ricorrente, partecipante a una gara mediante procedura
aperta per la fornitura di materiale chirurgico a un'A.s.l.,
era stata esclusa dalla medesima selezione pubblica sul
presupposto che non fosse stata presentata la dichiarazione
ex art. 38, comma I, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006, in
relazione all'indicato socio di maggioranza.
A seguito di richiesta di riammissione, con cui l'istante
aveva precisato di aver indicato un socio di maggioranza per
mero errore materiale –avendo compilato un modello
prestampato fornito dall'Amministrazione aggiudicatrice–
atteso che il capitale sociale era, invece, ripartito
effettivamente tra due soci al 40% e un terzo, legale
rappresentante e amministratore unico, al 20%, la
Commissione giudicatrice aveva confermato l'esclusione,
considerando mancante la prescritta dichiarazione con
riferimento a entrambi i soci di maggioranza “relativa”.
La società esclusa ha così compulsato il G.A. di Bari per
l'annullamento, previa disposizione della sospensione
cautelare, del provvedimento escludente, oltre che di ogni
altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale, in
quanto viziato da violazione di legge per errata
applicazione degli artt. 38, comma i, lett. b) e 46, D.Lgs.
n. 163/2006, poiché, come rilevato da parte ricorrente,
nessuno dei soci avrebbe potuto realmente qualificarsi come
socio “di maggioranza” e perché, in ogni caso,
l'Amministrazione non avrebbe esercitato il c.d. “potere
di soccorso” mettendo la concorrente in condizione di
integrare la documentazione asseritamente incompleta; in
subordine ha avanzato richiesta di risarcimento, per
equivalente, del danno da illegittima esclusione.
La soluzione
Il Collegio, dopo aver accolto la domanda cautelare, ha
esaminato le censure sollevate, ritenendole meritevoli di
accoglimento.
Ha infatti precisato che la disposizione di cui all'ultimo
periodo del citato art. 38, comma I, lett. b) debba
riferirsi in via esclusiva a quel socio che detenga la
maggioranza del capitale sociale inteso come valore
assoluto: in favore del proprio orientamento, ha ricordato,
sussistono ragioni di ordine testuale, nonché
logico-sistematico. In primo luogo, ha evidenziato la
Sezione, la stessa espressione “socio di maggioranza”
usata dal legislatore, in assenza di alcuna specifica
previsione che fissi di una soglia minima di valore da cui
potersi desumere una “maggioranza”, esclude che possa
aversi riguardo a una possibile ripartizione del capitale
sociale diversa da quella in cui vi sia un unico soggetto
titolare del 50%+1 della società; ogni diversa accezione che
si allontani dal dato testuale, ha proseguito, estenderebbe
oltremodo l'ambito di operatività della norma inibitoria
della partecipazione, in aperto contrasto con il principio
della tassatività delle cause di esclusione, positivizzato
nell'art. 46, D.Lgs. n. 163/2006, come novellato dal D.L. n.
70/2011.
Inoltre, ha ricordato il Giudice barese, la ratio
della disposizione in questione sottende la presunzione –iuris
et de iure– di identità, in compagini sociali con meno
di quattro soci, tra il socio di maggioranza e quel soggetto
che di fatto eserciti il controllo sulle determinazioni
societarie, avendo, attraverso la concreta possibilità di
condizionarle, la sostanziale capacità di gestione della
società (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 04.04.2012,
n. 1624).
Nella fattispecie al medesimo sottoposta, il TAR ha
evidenziato come non sussistesse alcuna possibilità di
diretto condizionamento delle decisioni societarie da parte
di uno dei soci, non soltanto perché nessuno possedeva una
quota di maggioranza in termini assoluti, ma anche in
considerazione della specifica regolamentazione statutaria
societaria che imponeva, all'art 17 dello Statuto, la
maggioranza qualificata dei due terzi del capitale sociale
per l'approvazione di ogni decisione e ha, pertanto, escluso
l'obbligo di dichiarazione ai sensi del ridetto art. 38,
comma I, lett. b), dichiarando l'illegittimità
dell'impugnata esclusione.
Nell'accogliere il ricorso nella parte impugnatoria, stante
anche la tutela diretta e specifica accordata in sede
cautelare, il G.A. non ha delibato sulla domanda
risarcitoria per equivalente avanzata in via subordinata
dalla ricorrente.
I precedenti e i possibili impatti
pratico-operativi
La giurisprudenza sul punto è ampia e controversa:
recentemente il principio recepito in massima dal TAR di
Bari era stato ribadito dalla Sez. III del TAR Lecce con la
sentenza 01.08.2012, n. 1449; sul tema è poi intervenuto il
Consiglio di Stato, Sez. VI che, con la decisione
28.01.2013, n. 513 ha, in termini contrari, specificato come
la disposizione non vada intesa nel senso che si riferisca
al solo socio detentore di una partecipazione superiore alla
metà del capitale sociale e ha dato applicazione alla norma
con riferimento a entrambi i soci “paritari” di una
società partecipante a una gara pubblica.
Invero, la pronuncia di Palazzo Spada testé citata
riguardava un caso diverso –società con due soli soci al
50%- e, comunque, non ha dimenticato di far riferimento alla
ratio autentica della disposizione di cui all'art.
38, comma I, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006, ossia quella di
portare a conoscenza della stazione appaltante la moralità
professionale di tutti –e soltanto- quei soggetti
suscettibili, in ragione della loro quota sociale, di
esercitare un'influenza determinante sulle scelte
strategiche del concorrente cui eventualmente affidare
lavori, servizi o forniture e con il quale stipulare il
relativo contratto d'appalto: d’altra parte, l’impostazione
così stringente della sentenza segnalata rischia di
evolversi sino al punto da non imporre l’onere della
relativa dichiarazione ad alcuno dei soci –neppure a quello
di maggioranza “assoluta”, ove previsioni statutarie
richiedano quorum decisionali superiori alla partecipazione
detenuta– potendo compromettere il principio di trasparenza
che ispira l’intera disciplina dei contratti pubblici
(commento tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Imprese trasparenti con la p.a..
Tutte le vicende modificative devono essere comunicate.
Il Tar Sicilia è intervenuto a proposito dei
soggetti concorrenti negli appalti pubblici.
Le esigenze sottese al procedimento a evidenza pubblica,
quali l'affidabilità, oggettiva e soggettiva, nonché i
necessari requisiti di moralità dei soggetti che concorrono
per l'affidamento di appalti pubblici possono conciliarsi
con il carattere dinamico della vita delle imprese soltanto
imponendo a tali soggetti di comunicare le avvenute
trasformazioni alla pubblica amministrazione, onde
consentire proprio l'esercizio dei necessari poteri di
controllo e verifica.
Lo ha stabilito il TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, con
sentenza
26.08.2013 n. 2200.
La verifica dell'idoneità, proprio per non alterare
oltremisura il sistema procedimentale che presiede alle gare
per le selezioni a evidenza pubblica, presuppone inoltre,
secondo i giudici siciliani, che nel caso di impresa
subentrante, questa al momento della comunicazione del
subingresso, fornisca, così come ogni partecipante alla
gara, tutti gli elementi utili per la verifica della
sussistenza del possesso dei requisiti soggettivi.
Nel caso trova applicazione l'art. 51 del codice dei
contratti che stabilisce, infatti, che «qualora i candidati
o i concorrenti, singoli, associati o consorziati, cedano,
affittino l'azienda o un ramo d'azienda, ovvero procedano
alla trasformazione, fusione o scissione della società, il
cessionario, l'affittuario, ovvero il soggetto risultante
dall'avvenuta trasformazione, fusione o scissione, sono
ammessi alla gara, all'aggiudicazione, alla stipulazione,
previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale,
sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in
base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla
stazione appaltante ai sensi dell'articolo 62, anche in
ragione della cessione, della locazione, della fusione,
della scissione e della trasformazione previsti dal presente
codice».
Tutto ciò in accordo anche con la recentissima
giurisprudenza secondo la quale «la ratio dell'art. 51 è
quella di impedire che vicende modificative, che possano in
qualche modo interessare soggetti partecipanti a una gara e
che si verifichino nel corso del procedimento, possano
tradursi in automatiche cause di esclusione, a ciò ostando
il principio, di derivazione comunitaria, di massima libertà
di organizzazione delle imprese.
L'ampiezza di tale facoltà trova un limite nella necessità,
posta dal diritto interno, di tutelare l'esigenza delle
stazioni appaltanti di ammettere o mantenere all'interno dei
procedimenti di selezione dei propri contraenti solo chi, a
seguito delle richiamate vicende modificative, si trovi
comunque in possesso delle necessarie condizioni soggettive
generali e speciali di partecipazione» (cfr. Tar Reggio
Calabria, 18.06.2013, n. 427).
In caso di trasferimento di azienda, poi, l'ammissione del
subentrante è subordinata a due condizioni, ossia che gli
atti di cessione siano comunicati alla stazione appaltante e
che questa abbia verificato l'idoneità soggettiva e
oggettiva del subentrante.
Il Tar catanese ha, quindi, affermato che l'onere della
tempestiva comunicazione alla stazione appaltante delle
modificazioni soggettive dei concorrenti risponda altresì al
principio di buona fede che deve permeare anche i rapporti
tra amministrazione e privati.
L'applicazione di tale principio all'ambito delle commesse
pubbliche impone, secondo l'orientamento dei giudici etnei,
che l'impresa partecipante, pur libera di scegliere le
operazioni contrattuali e di riorganizzazione ritenute più
idonee per la propria «sopravvivenza imprenditoriale»,
informi tempestivamente la stazione appaltante, in modo da
non aggravare un procedimento che il legislatore europeo e
nazionale vogliono improntato alla massima concentrazione e
celerità (addirittura anche nella fase contenziosa),
costituendo un settore strategico della concorrenza e del
mercato (articolo
ItaliaOggi Sette del 16.09.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Lavori pubblici. Il decreto del fare aumenta le garanzie
finanziarie per realizzare le infrastrutture con la
partecipazione dei soggetti privati.
Appalti, rafforzato il ruolo delle banche.
Istituti coinvolti fin da subito per verificare la
fattibilità dei piani economici nelle concessioni.
L'ANTICIPAZIONE/
Dal 21 agosto tutti i bandi devono prevedere di versare
all'impresa il 10% del contratto all'apertura del cantiere.
Banche e istituti finanziatori devono essere coinvolti in
anticipo nelle scelte sulle opere pubbliche da realizzare
con capitali privati. Anche il Dl 69 –convertito nella
legge 98/2013 dal Parlamento– con alcune modifiche agli
articoli 143 e 144 del Codice degli appalti pubblici
introduce una serie di importanti novità volte a creare le
condizioni concrete per favorire la "bancabilità" e quindi
il closing finanziario (ovvero il contratto di
finanziamento) delle iniziative realizzate in concessione di
lavori pubblici.
La principale novità consiste nel richiedere un costruttivo
coinvolgimento degli istituti di credito, già dall'avvio
della procedura di gara lanciata per affidare la
concessione: lo scopo è quello di arrivare –diversamente da
quanto è avvenuto sino a oggi– al closing finanziario a
breve distanza dalla sottoscrizione del contratto di
concessione con la stazione appaltante, in linea con le best practice europee.
Per la prima volta l'istituto finanziatore diventa anche
formalmente uno degli attori con cui le amministrazioni
pubbliche dovranno dialogare per poter impostare da subito
l'operazione in modo che essa sia bancabile. Infatti il
decreto "del fare" prevede che, se la concessione viene
affidata con la procedura ristretta, la stazione appaltante
può indire –prima della scadenza del termine di
presentazione delle offerte– una consultazione preliminare
con gli operatori economici invitati a presentare offerte al
fine di verificare le eventuali criticità del progetto sotto
il profilo della finanziabilità. In questo modo
l'amministrazione può adeguare già gli atti di gara in
funzione delle indicazioni ricevute e garantire l'effettiva
coerenza dell'iniziativa con gli attuali parametri di
bancabilità.
Anche in caso di procedura aperta, il bando di gara può
prevedere che l'offerta sia corredata da una dichiarazione
sottoscritta da uno o più istituti finanziatori con cui essi
manifestano l'interesse a finanziare l'operazione. Non si
tratta a rigore di un impegno vincolante da parte della
banca, ma in ogni caso si creano anche concrete aspettative
che poi quell'istituto di credito finanzierà l'iniziativa,
dal momento che la manifestazione di interesse deve essere
prestata tenendo conto dei contenuti dello schema di
contratto e del piano economico-finanziario, e quindi
all'esito –si suppone– di una approfondita valutazione
della disciplina di concessione e della relativa matrice dei
rischi.
Sempre nella prospettiva di agevolare il reperimento di
capitale di debito, il Dl 69 ritorna sul tema cruciale
dell'equilibrio economico-finanziario e chiarisce in modo
fermo che quando per qualsiasi motivo indipendente dal
concessionario, dovuto principalmente a un evento di
cambiamento nella normativa, la sostenibilità
dell'iniziativa è alterata, sorge sempre il diritto del
privato a rivedere la concessione al fine di ristabilirne
l'equilibrio. A ciò si lega la necessità, introdotta con il
decreto, di:
- definire nella convenzione i presupposti e le condizioni
su cui si basa l'equilibrio economico-finanziario
dell'operazione;
- ancorare la definizione di equilibrio
economico-finanziario a puntuali indicatori di redditività e
di sostenibilità del debito;
- disciplinare in modo puntuale modalità e tempistiche di
verifica dell'equilibrio.
Le banche, chiamate a intervenire in sede di consultazione
preliminare e a manifestare il proprio interesse a
finanziare l'operazione, avranno per l'appunto un ruolo
decisivo nel dare alla stazione appaltante da subito
indicazioni su come scrivere proprio queste previsioni della
convenzione, che sono cruciali per la bancabilità
dell'iniziativa.
Da adesso in poi la palla passa alle stazioni appaltanti
chiamate a implementare le novità del decreto nel contesto
concreto della gara e delle sue regole di trasparenza,
imparzialità e par condicio. Anche se il legislatore è stato
chiaro sul fronte del rischio finanziario: esso rimane a
carico del concessionario e se entro un congruo termine
fissato dal bando di gara –e comunque non superiore a 24
mesi dall'approvazione del progetto definitivo– il
contratto di finanziamento non viene sottoscritto, la
concessione va risolta e al privato non è dovuto alcun
rimborso per le spese sostenute, neppure per quelle di
progettazione.
Altra novità di rilievo per i lavori pubblici destinata a
trovare l'ampio consenso delle imprese colpite dalla crisi
economica riguarda la reintroduzione dell'anticipazione del
prezzo d'appalto nella misura del 10%, in deroga al divieto
già previsto dai tempi della legge Merloni.
Con la versione finale del decreto legge, l'anticipazione
del prezzo prima prevista come una facoltà della stazione
appaltante, è diventata obbligatoria per la Pa che la dovrà
pubblicizzare nel bando. È questa una misura concreta che
potrà dare ossigeno alle imprese di costruzione fino al 31.12.2014 e varrà per i lavori oggetto di bandi
pubblicati dopo mercoledì 21 agosto, data di entrata in
vigore della legge di conversione del decreto. La norma
(articolo 26-ter) specifica che nel caso di contratti di
appalto relativi a lavori di durata pluriennale
l'anticipazione andrà compensata fino alla concorrenza
dell'importo sui pagamenti effettuati nel corso del primo
anno contabile.
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Le misure
LE AUTORIZZAZIONI -
La dichiarazione
A rafforzamento del principio di bancabilità dell'opera
pubblica il Dl 69 specifica che all'atto della consegna dei
lavori il concedente deve dichiarare di disporre di tutte le
autorizzazioni previste dalla normativa e che esse sono
legittime, efficaci e valide.
Tra le cause più frequenti di ritardo e di incertezza nella
realizzazione di questi interventi c'è proprio
l'indisponibilità di tutte le autorizzazioni. In
particolare, quando il prezzo è rappresentato dalla cessione
di beni immobili il beneficio per il concessionario dipende
dalla loro adeguata valorizzazione che però presuppone un
quadro autorizzatorio completo, certo e coerente con le
destinazioni dal punto di vista urbanistico.
LE BANCHE -
La consultazione preliminare
Viene promosso un più tempestivo e concreto coinvolgimento
degli istituti finanziatori già a partire dalla procedura di
affidamento della concessione di lavori pubblici. In un
mercato del credito che ha serie difficoltà ad erogare
prestiti alle imprese, la bancabilità delle iniziative in
finanza di progetto per essere migliorata richiede che i
soggetti finanziatori vengano coinvolti dall'inizio: questo
avviene attraverso il meccanismo della consultazione
preliminare prima della presentazione delle offerte e
attraverso la manifestazione di interesse a finanziare
l'operazione, acquisita anche questa prima della conclusione
della gara con cui si individua il partner privato.
LE CONSULTAZIONI -
La procedura a inviti
Nelle concessioni affidate con la procedura ristretta (a
inviti) la stazione appaltante può indire, prima della
scadenza del termine di presentazione delle offerte, una
consultazione preliminare con gli operatori economici
invitati a presentare offerta al fine di verificare le
eventuali criticità del progetto sotto il profilo della
finanziabilità. Alla fine della consultazione
l'amministrazione adeguerà gli atti di gara in funzione
delle indicazioni ricevute in modo da garantire l'effettiva
coerenza dell'iniziativa con i correnti parametri di
bancabilità. Il nuovo termine di presentazione delle offerte
non può essere inferiore a 30 giorni decorrenti dalla
comunicazione agli interessati.
L'INTERESSE -
L'impegno della banca
Nelle procedure aperte il bando di gara può prevedere che
l'offerta sia corredata da una dichiarazione sottoscritta da
uno o più istituti finanziatori che manifestano l'interesse
a finanziare l'operazione. Per rendere la manifestazione di
interesse il più possibile effettiva –e comunque più
incisiva del mero «preliminare coinvolgimento» delle banche
previsto dalla normativa precedente– viene richiesto che la
manifestazione di interesse venga prestata in considerazione
anche dei contenuti dello schema di contratto e del piano
economico-finanziario e quindi sulla base di una
approfondita valutazione della disciplina di concessione e
della matrice dei rischi dell'iniziativa.
LA RISOLUZIONE -
La mancata sottoscrizione
I contratti di concessione prevedono la risoluzione del
rapporto nel caso in cui entro un congruo termine fissato
dal bando di gara e comunque non superiore a 24 mesi
dall'approvazione del progetto definitivo non dovesse venire
sottoscritto il contratto di finanziamento o sottoscritti o
collocati i project bond previsti dall'articolo 157 del
Codice degli appalti. Dato che il finanziamento è un rischio
che rimane comunque a carico del concessionario, in caso di
risoluzione per mancato raggiungimento del financial closing
dell'iniziativa, al privato non è dovuto alcun rimborso per
le spese sostenute, comprese quelle di progettazione.
I LOTTI -
Il finanziamento parziale
Nel caso in cui l'opera oggetto del contratto di concessione
riesca a ottenere sul mercato un finanziamento solo parziale
–corrispondente però a uno stralcio tecnicamente ed
economicamente funzionale– la risoluzione del contratto è
solo parziale. In un'ottica di conservazione del contratto,
la concessione prosegue infatti per la parte coperta dal
finanziamento. Questo consente di salvaguardare l'obiettivo
di realizzazione anche parziale ma comunque utilizzabile
dell'opera pubblica, ma al tempo stesso, è in linea con la
novità introdotta dal decreto del fare a favore delle
piccole e medie imprese, per cui gli appalti vanno di regola
suddivisi e affidati per lotti funzionali.
L'ANTICIPAZIONE -
Subito il 10%
Il Dl 69 ha ripristinato in via temporanea fino al 31.12.2014 l'anticipazione finanziaria sui lavori
pubblici, abolita dall'epoca della legge Merloni.
Per bandi pubblicati dopo la data di entrata in vigore della
legge di conversione –21 agosto– la stazione appaltante
deve prevedere di erogare all' inizio dei lavori una somma
pari al 10% dell'importo contrattuale. Ma all'impresa di
costruzioni è richiesta una fideiussione bancaria o
assicurativa progressivamente svincolata di pari importo.
Nel caso di lavori pluriennali l'anticipazione va compensata
in modo progressivo con i pagamenti effettuati nel corso del
primo anno contabile (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.08.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Qualificazione da rifare per i lavori specialistici.
Sui lavori specialistici rischia di avere effetti a catena
il ricorso straordinario dell'Agi (associazione grandi
imprese di costruzione) al Presidente della Repubblica per
ottenere l'annullamento di un ampio ventaglio di previsioni
contenute nel Regolamento di attuazione del Codice dei
contratti pubblici (Dpr 207/2010) considerate fortemente
penalizzanti per queste imprese.
Il Consiglio di Stato, il 26 luglio scorso, attraverso una
commissione speciale ha dato ragione alle obiezioni dell'Agi
in tema di accesso delle imprese alle gare di lavori e ha
espresso così parere positivo all'annullamento degli
articoli 109, comma 2 e 107, comma 2, del Regolamento.
Queste norme infatti hanno trasformato in eccezione la
regola generale per cui l'impresa generale in possesso della
qualificazione nella categoria prevalente di lavori da
appaltare indicata nel bando, e cioè quella di importo più
elevato, può qualificarsi ed eseguire anche tutti i restanti
lavori di cui si compone l'opera (i cosiddetti lavori
scorporabili), anche se non ha le qualificazioni
specialistiche.
Di fatto questa regola è rimasta di marginale applicazione:
se infatti i lavori scorporabili rientrano in una delle 46
categorie a qualificazione obbligatoria (su 52 totali)
l'impresa generalista che intende partecipare alla gara deve
subappaltare i lavori ad altri soggetti qualificati nelle
categorie specialistiche. Oppure nel caso di opere
«super-specialistiche» (in 24 categorie) di importo
superiore al 15% dell'importo totale dei lavori, solo il 30%
potrà essere subappaltato, mentre per la restante parte va
costituita un'associazione tra impresa generale e
specialistica.
Ora il Consiglio di Stato ha detto che la regola deve
ritornare ad essere tale: la qualificazione in una categoria
generale già comprende nella normalità dei casi l'idoneità a
eseguire una serie di opere specialistiche accessorie.
Ma quali saranno le conseguenze? Da quando la nuova
disciplina dovrà essere applicata? L'annullamento effettivo
delle disposizioni del Regolamento dovrà attendere il
decreto del Presidente della Repubblica, a cui è stato
indirizzato il ricorso da parte dell'Agi e che recepirà il
parere del Consiglio di Stato. Fino a quel momento il
Regolamento rimarrà in vita e quindi le stazioni appaltanti
dovrebbero continuare ad applicarlo integralmente. Non si
possono tuttavia escludere contenziosi da parte di singoli
operatori che non vorranno perdere l'occasione di giocarsi
questa carta. Il parere rilasciato dal Consiglio di Stato
infatti riconosce che il Regolamento ben potrebbe essere
oggetto comunque di contestazione da parte dell'impresa al
momento della pubblicazione del bando di gara e cioè quando
la lesione si concretizza con l'atto applicativo: le
disposizioni regolamentari in questione, se in violazione di
norme di livello superiore potranno essere disapplicate dal
giudice amministrativo.
Inoltre l'annullamento delle previsioni del Regolamento
aprirà un vuoto da colmare al più presto: senza
un'integrazione e un coordinamento delle norme si rischia un
caos normativo che, mettendo a rischio la stessa esistenza
delle categorie a qualificazione obbligatoria, porterebbe a
una situazione di eccesso opposta a quella lamentata
dall'Agi. Infatti le imprese generali qualificate nella
categoria prevalente sarebbero sempre ammesse a partecipare
alle gare di lavori anche in presenza di lavorazioni
scorporabili riconducibili alle categorie a qualificazione
«ex obbligatoria». All'opposto, le imprese qualificate nelle
categorie a qualificazione «ex obbligatoria» entrerebbero in
gara solo nella misura in cui l'impresa generale per propria
strategia commerciale intenda subappaltare una parte dei
lavori o comunque allargare l'iniziativa costituendo
un'associazione temporanea.
Una volta che verranno annullate le previsioni censurate del
Regolamento dovrà quindi intervenire il legislatore a
ridefinire, in funzione del livello di complessità tecnica e
del contenuto tecnologico, l'ambito delle categorie a
qualificazione obbligatoria e di quelle super-specialistiche
«al fine di realizzare un più equilibrato contemperamento»
tra le opposte esigenze delle imprese generali e di quelle
specialistiche, così come suggerito dal Consiglio di Stato.
Certo questo è un iter lungo ed articolato. Nel frattempo le
stazioni appaltanti nei loro bandi di gara potranno indicare
solo categorie di lavori scorporabili che, seppure
specialistiche o anche super-specialistiche, saranno a
qualificazione non obbligatoria ai fini della gara e della
successiva esecuzione dei lavori. Con la conseguenza
ulteriore che solo nel caso in cui il concorrente decidesse
di subappaltare questi lavori, le relative qualificazioni
andranno richieste alle imprese subappaltatrici.
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In sintesi
01| IL PARERE
Il 26 luglio il Consiglio di Stato ha espresso parere
positivo su un ricorso dell'Agi che chiedeva l'annullamento
delle norme del Regolamento appalti che impongono alle
imprese generali di subappaltare gran parte dei lavori
specialistici alle imprese qualificate nella singola
specializzazione oppure di costituire un'associazione
temporanea di impresa
02|IL PRINCIPIO
Per i giudici di Palazzo Spada la qualificazione generale è
talmente ampia da ricomprendere anche i lavori specializzati
03|LA DECORRENZA
L'annullamento dell'obbligo scatterà solo quando arriverà in
«Gazzetta» il decreto con cui il Presidente della Repubblica
accoglierà il parere del Consiglio di Stato. Ma intanto non
sono esclusi contenziosi
04|LE CONSEGUENZE
In attesa di un intervento normativo le amministrazioni
dovranno indicare nei bandi le categorie specialistiche
senza obbligo di subappalto o di associazione temporanea e
sarà l'impresa generale a decidere se eseguirle direttamente
o subappaltarle (articolo Il
Sole 24 Ore del 26.08.2013). |
APPALTI: Appalti, la solidarietà resta senza l'Iva.
La responsabilità fiscale e sanzionatoria rimane per le
ritenute operate sulle buste paga. Decreto del fare. Nella legge 98 eliminata qualunque
verifica della controparte contrattuale rispetto al
pagamento dell'imposta sul valore aggiunto.
PER IL LAVORO DIPENDENTE/
L'appaltatore risponde in solido verso l'erario nei limiti
del corrispettivo. Al committente sanzioni fino a 200mila
euro.
Molto rumore per nulla. Così potrebbe essere definita
sinteticamente la vicenda della conversione del Decreto del
fare (Dl 69/13), approdata in Gazzetta il 20 agosto scorso
(legge 98/2013).
Scampato il pericolo di dover ricorrere alla richiesta del
Durt per effettuare qualunque pagamento "smarcandosi" da
possibili responsabilità e sanzioni (con l'aggravio di dover
comunicare mensilmente all'Agenzia i dati per il rilascio
del documento), committenti, appaltatori e subappaltatori
devono continuare con i precedenti adempimenti almeno sinché
non arriverà l'abrogazione integrale auspicata dall'ordine
del giorno approvato dalla Camera lo scorso 8 agosto.
Altrimenti, dal 2015, chi vorrà potrà comunicare
quotidianamente alle Entrate i dati delle fatture d'acquisto
e di vendita (articolo 50-bis del Decreto), "guadagnandosi"
così, tra l'altro, l'integrale disapplicazione della
disciplina in esame.
La situazione attuale, pertanto, è
quella dell'originaria versione del Dl 69/2013, che già
conteneva l'eliminazione di qualunque verifica della
controparte contrattuale con riferimento ai versamenti Iva,
ma manteneva intatta la disciplina per le ritenute di lavoro
dipendente. Resta fermo, pertanto che, prima di effettuare
qualunque pagamento con riferimento a contratti di
appalto/subappalto stipulati o rinnovati dal 12.08.2012:
a) l'appaltatore deve richiedere al subappaltatore
l'asseverazione di un soggetto qualificato (o, in
alternativa, l'autocertificazione) attestante che i
versamenti delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro
dipendente inerenti il subappalto, già scaduti a tale data,
siano stati «correttamente eseguiti»;
b) il committente deve comportarsi allo stesso modo nei
confronti dell'appaltatore, il quale deve fornire anche la
documentazione rilasciata da tutti i subappaltatori.
In assenza dell'attestazione cartacea (e in caso
d'irregolarità nel versamento delle ritenute riferite alle
prestazioni effettuate nell'ambito dell'appalto o dei vari
subappalti), l'appaltatore risponde in solido verso l'erario
con il subappaltatore "infedele" nei limiti dell'ammontare
del corrispettivo dovuto, mentre il committente è passibile
della sanzione da 5mila a 200mila euro. Guai, pertanto, a
dimenticarsi, all'atto del pagamento dei corrispettivi, di
richiedere l'ormai ben nota certificazione (che, emendata
della parte riguardante gli adempimenti Iva, può essere
redatta come da facsimile a lato). Nel caso in cui
l'appaltatore (o il subappaltatore) non abbia dipendenti o
assimilati, ovvero nessuno di questi abbia partecipato alle
prestazioni connesse allo specifico rapporto contrattuale
(e, quindi, non sia sorto alcun obbligo di ritenuta), si
ritiene che debba essere rilasciata un'attestazione in tal
senso. Onde evitare guai peggiori è comunque più che
opportuno conservare ampia prova dell'effettività dei lavori
svolti, delle modalità di pagamento e dell'esistenza
"fiscale" del prestatore.
È altresì confermato che committente e appaltatore possono,
fino a quando non ricevono una documentazione idonea,
sospendere i pagamenti. Pur con la limitazione alle sole
ritenute, restano ferme le limitazioni di legge, tra cui
l'esclusione della sanzione quando il committente (persona
fisica, condominio o società semplice) non opera in ambito
Iva o applica il codice dei contratti pubblici (Dlgs
163/2006), e restano attuali tutti i chiarimenti forniti
dall'Agenzia (Circolari 40/E/2012 e 2/E/2013).
Naturalmente, nulla cambia per quanto riguarda il vincolo di
solidarietà, negli appalti di opere o servizi, con
riferimento agli obblighi previdenziali ed assicurativi dei
lavoratori e per le loro retribuzioni (articolo 29, comma 2,
Dlgs 276/2003, modificato dal Dl 76/2013).
L'Amministrazione deve chiarire le conseguenze
dell'eliminazione dei riferimenti ai versamenti Iva operata
dall'articolo 50 del Dl 69/2013. In virtù del principio del
"favor rei", la sanzione non potrà più essere comminata,
nella specifica ipotesi, al committente (anche per
inadempimenti precedenti al 22 giugno scorso), mentre è da
definire se vige ancora la solidarietà Iva per gli
inadempimenti anteriori ai pagamenti di corrispettivi
effettuati in assenza di attestazione/autocertificazione nel
periodo dall'11.10.2012 al 22.06.2013 (articolo Il Sole 24 Ore del 22.08.2013). |
APPALTI:
Niente appalti ai morosi. È fuori gara chi non ha il placet
del fisco. L'adunanza plenaria del Cds sulla rateizzazione delle
imposte.
Resta fuori dalla gara d'appalto l'azienda che al momento in
cui scade il termine per partecipare alla procedura non ha
ancora ottenuto il placet dell'amministrazione finanziaria
per saldare a rate il suo debito tributario.
Lo ribadisce
l'adunanza plenaria del Consiglio di stato con la
sentenza 20.08.2013 n. 20, che torna a occuparsi del requisito di regolarità
fiscale di cui all'articolo 38, comma 1, lett. g), del
codice dei contratti pubblici.
Non c'è verso: l'impresa che vuole candidarsi nella
procedura a evidenza pubblica deve aver conseguito da
Equitalia il provvedimento di accoglimento dell'istanza di
rateizzazione al momento in cui spira termine di
presentazione della domanda di partecipazione.
Novazione oggettiva. Il beneficio di poter pagare un tanto
al mese il debito con il Fisco costituisce una novazione
dell'obbligazione originaria, che risulta sostituita con una
nuova e diversa, secondo un meccanismo che Palazzo Spada
definisce «di stampo estintivo-costitutivo». Le conseguenze
sono tutt'altro che trascurabili: con il via libera
dell'agente della riscossione al pagamento dilazionato da
parte della società contribuente la scadenza dei debiti
tributari risulta rimodulata e l'esigibilità differita,
configurando così la novazione oggettiva disciplinata dagli
articoli 1230 cc e seguenti.
Il risultato è la nascita di una nuova obbligazione
tributaria, caratterizzata da un preciso piano di
ammortamento e soggetta a una specifica disciplina per il
caso di mancato pagamento delle varie tranche.
Rischio-autodenuncia.
Il punto è che prima del provvedimento di accoglimento,
allora, resta in piedi il vecchio debito ed è lo stesso
contribuente ad ammetterlo quando fa la domanda di pagamento
rateale, istanza che dunque costituisce «un'autodenuncia».
L'obbligazione tributaria risulta scaduta ed esigibile in
base al comma 2 dell'articolo 38 del codice dei contratti
pubblici e l'impresa non può dirsi in regola con il fisco.
La rateizzazione del debito verso il fisco, ragionano i
giudici, è l'espressione del favore legislativo verso i
contribuenti che si trovano in temporanea difficoltà
economica, ai quali è offerta la possibilità di
regolarizzare la propria posizione tributaria senza
incorrere nel rischio di insolvenza.
La condizione per la concessione del beneficio è la
dimostrazione dell'obiettiva situazione di crisi in cui
versa il debitore impossibilitato a pagare in un'unica
soluzione il debito iscritto a ruolo e, tuttavia, in grado
di sopportare l'onere finanziario derivante dalla
ripartizione dello stesso debito in un numero di rate
congruo rispetto alle sue condizioni patrimoniali. Insomma:
chi non ha chiuso la partita col Fisco non può partecipare
alla procedura pubblica. Appello rigettato e spese di
giudizio compensate
(articolo ItaliaOggi del 07.09.2013). |
APPALTI:
Appalti, l'istanza di rateizzazione del debito
fiscale in '"stand-by"' vale per partecipare alla gara?
Il Consiglio di Stato si è occupato della finalità del
requisito della regolarità fiscale nelle gare di appalto e
della sussistenza, o meno, del requisito stesso nel caso in
cui, all'atto dell'offerta, l'impresa abbia presentato ai
competenti uffici fiscali istanza di rateizzazione del
debito tributario, ma essa non sia stata ancora accolta.
Il consolidato e condivisibile principio giurisprudenziale
che richiede la permanenza del possesso del requisito della
regolarità fiscale nelle gare di appalto nel corso di tutta
la procedura di gara, dimostra l’infondatezza degli
argomenti difensivi della SRL ricorrente;
non è ammissibile la partecipazione alla procedura di gara,
ex art. 38, comma 1, lett. g, del D.Lgs. 163/2006, del
soggetto che, al momento della scadenza del termine di
presentazione della domanda di partecipazione, non abbia
conseguito il provvedimento di accoglimento dell’istanza di
rateizzazione dei debiti fiscali.
La vicenda
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è stata chiamata
a pronunciarsi su un caso che riguardava una SRL che aveva
partecipato alla procedura ristretta bandita da una stazione
appaltante per l’affidamento quinquennale dei servizi di
raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani e assimilati,
di raccolta differenziata e nettezza urbana, procedura da
aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa.
La SRL nella propria domanda di partecipazione, dichiarava
di avvalersi dei requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-professionale di un'altra società; quest’ultima
società rendeva, quale impresa ausiliaria, la dichiarazione
circa la sussistenza dei requisiti generali di cui all’art.
38 del D.Lgs. 163/2006 (cd. Codice degli Appalti Pubblici)
dichiarando, tra l’altro, di non aver commesso violazioni,
definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento di imposte e tasse.
All’esito della procedura di gara, la stazione appaltante
adottava il provvedimento che disponeva l’aggiudicazione
provvisoria in favore della SRL.
Dopo un paio di settimane, tuttavia, la stazione appaltante
comunicava all’aggiudicataria l’avvio del procedimento di
revoca dell’aggiudicazione provvisoria a seguito della
verifica dei requisiti dichiarati dall’impresa ausiliaria.
Segnatamente, da informazioni assunte presso l’Agenzia delle
Entrate, era risultata l’esistenza a carico della predetta
società di debiti tributari definitivamente accertati e non
ancora pagati.
Secondo la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate del
giugno 2011, risultavano a quella data insolute alcune
cartelle esattoriali.
La difesa della SRL
La SRL, nell’ambito del procedimento di revoca da parte
della stazione appaltante dell’aggiudicazione, affermava che
le prime due cartelle esattoriali erano già state oggetto di
un accordo di rateazione con l’Amministrazione finanziaria,
intervenuto prima della pubblicazione del bando di gara e
prima della dichiarazione ex art. 38 del Codice degli
Appalti Pubblici resa dall’impresa ausiliaria, la quale,
allo stato, era in regola con il pagamento dei ratei.
Un'altra cartella era stata notificata all’impresa
ausiliaria in corso di gara, dopo che l’impresa aveva
presentato la dichiarazione ex art. 38 (la quale, pertanto,
non poteva essere ritenuta non veritiera); la stessa
cartella, inoltre, aveva formato oggetto di una richiesta di
rateazione formulata dall’interessata nel marzo 2011 e
accolta da Equitalia in data 04.07.2011, con accordo di
rateazione perfezionatosi prima dell’aggiudicazione
definitiva.
La stazione appaltante, tuttavia, disponeva la revoca
dell’aggiudicazione provvisoria in favore della SRL e
aggiudicava definitivamente la gara ad una società
concorrente.
Il TAR ha respinto il ricorso e la SRL si è appellata al
Consiglio di Stato; ai fini della soluzione della questione
di diritto relativa alla portata dell’art. 38, comma 1,
lett. g), del Codice degli Appalti Pubblici il Consiglio di
Stato ha deferito, con apposita ordinanza, la soluzione
della controversia al vaglio dell’ Adunanza Plenaria, ai
sensi dell’art. 99 del codice del processo amministrativo.
La pronuncia dell’Adunanza Plenaria
La questione rimessa all’Adunanza Plenaria riguarda
l’individuazione dell’esatta portata del concetto di
definitività dell’accertamento della violazione tributaria,
ex art. 38, comma 1, lett. g, del Codice degli Appalti
Pubblici, laddove vengano in rilievo meccanismi di
rateizzazione o dilazione del debito tributario ai sensi
dell’art. 19 del DPR 602/1973 e di norme analoghe.
L’articolo 38, comma 1, lettera g, del Codice degli Appalti
Pubblici stabilisce che “sono esclusi dalla
partecipazione alle procedure di affidamento delle
concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi,
né possono essere affidatari di subappalti, e non possono
stipulare i relativi contratti i soggetti (…..) che hanno
commesso violazioni gravi, definitivamente accertate,
rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e
tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato
in cui sono stabiliti”.
Il D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni,
dalla legge 12.07.2011, n. 106, ha dettato un parametro
quantitativo cui ancorare l’elemento della gravità della
violazione (“si intendono gravi le violazioni che
comportano un omesso pagamento di imposte e tasse per un
importo superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis,
commi 1 e 2-bis, del decreto del Presidente della Repubblica
29.09.1973, n. 602”).
Su altro fronte, il D.L. 02.03.2012, n. 16, convertito in
legge 26.04.2012, n. 44, è intervenuto fornendo una
definizione normativa di “definitività” dell’accertamento
(art. 1, comma 5, modificativo del comma 2 dell’art. 38
cit.: “costituiscono violazioni definitivamente accertate
quelle relative all’obbligo di pagamento di debiti per
imposte e tasse certi, scaduti ed esigibili”), e, al
contempo, regolando le situazioni poste in essere
precedentemente all’entrata in vigore dello stesso decreto
(art. 1, comma 6 : “Sono fatti salvi i comportamenti già
adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto
dalle stazioni appaltanti in coerenza con la previsione
contenuta nel comma 5”).
La giurisprudenza comunitaria e quella nazionale, al pari
dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (cfr.
determinazione 16.05.2012, n. 1; determinazione 12.01.2010,
n. 1; parere 12.02.2009, n. 23; deliberazione 18.04.2007, n.
120), hanno anche di recente ribadito, sulla scorta di
argomentazioni suscettibili di condivisione, l’adesione alla
tesi più rigorosa secondo cui il requisito della regolarità
fiscale può dirsi sussistente solo qualora, prima del
decorso del termine per la presentazione della domanda di
partecipazione alla gara di appalto, l’istanza di
rateizzazione sia stata accolta con l’adozione del relativo
provvedimento costitutivo.
Per i giudici di Palazzo Spada si è a tale misura
subordinata l’ammissione alla procedura alla condizione che
“l'istanza di rateizzazione sia stata accolta prima della
scadenza del termine di presentazione della domanda di
partecipazione alla gara e preceda l'autodichiarazione circa
il possesso della regolarità, essendo inammissibile una
dichiarazione che attesti il possesso di un requisito in
data futura”.
La correttezza della tesi sposata dalla giurisprudenza
pressoché univoca di questo Consiglio trova riscontro nella
conformazione nella disciplina dell’istituto della
rateizzazione fiscale ex art. 19, del DPR n. 602/1973.
L’ammissione alla rateizzazione, rimodulando la scadenza dei
debiti tributari e differendone l’esigibilità, implica
quindi la sostituzione dell’originaria obbligazione a
seguito dell’insorgenza di un nuovo rapporto obbligatorio
secondo i canoni della novazione oggettiva di cui agli artt.
1230 e seguenti del codice civile.
Il risultato è la nascita di una nuova obbligazione
tributaria, caratterizzata da un preciso piano di
ammortamento e soggetta a una specifica disciplina per il
caso di mancato pagamento delle rate.
La configurazione del meccanismo novativo fa sì che,
nell’arco di tempo che precede l’accoglimento della domanda,
resta in vita il debito originario, la cui esistenza è
ammessa dallo stesso contribuente con la presentazione della
domanda di dilazione del pagamento delle somme iscritte a
ruolo.
Il debito che grava sul contribuente prima dell’accoglimento
dell’istanza, in caso di istanza di rateizzazione non ancora
accolta all’atto della scadenza dei termini di presentazione
delle domande di partecipazione, è quindi unicamente quello
originario, in quanto tale certo (tanto nella sua esistenza
quanto nel suo ammontare), scaduto ed esigibile nei sensi
richiesti dal comma 2, dell’art. 38 del Codice degli Appalti
Pubblici.
Va, inoltre, affermato che l’inidoneità della semplice
presentazione dell’istanza di dilazione a soddisfare il
requisito della regolarità contributiva è rinforzata dalla
considerazione che l’ammissione alla rateazione non
costituisce, di norma, atto dovuto, in quanto l’art. 19 del
DPR n. 602/1973 conferisce all’Amministrazione il potere
discrezionale di valutare quell’"obiettiva difficoltà
economica" che si è in precedenza visto essere
presupposto per la concessione del beneficio.
Ne deriva che l’ammissione alla procedura del concorrente
che non abbia ancora ottenuto il provvedimento favorevole,
oltre a stabilire una deroga atipica al principio secondo
cui i requisiti di partecipazione alle gare vanno verificati
al momento della scadenza dei termini fissati per la
presentazione delle domande, innesterebbe nello svolgimento
della procedura di evidenza pubblica il fattore di
incertezza legato all’accertamento di un requisito,
collegato alla variabile della valutazione discrezionale
dell’amministrazione tributaria.
Le conclusioni dell’Adunanza Plenaria
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ritiene che debba
trovare conferma l’indirizzo ermeneutico secondo cui non è
ammissibile la partecipazione alla procedura di gara, ex
art. 38, comma 1, lett. g, del Codice degli Appalti
Pubblici, del soggetto che, al momento della scadenza del
termine di presentazione della domanda di partecipazione,
non abbia conseguito il provvedimento di accoglimento
dell’istanza di rateizzazione.
Per i giudici amministrativi del Consiglio di Stato,
pertanto, l’appello deve essere, in definitiva, respinto
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria,
sentenza 20.08.2013 n. 20 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: ...
si tratta di stabilire se, ai fini dell’integrazione del
requisito della regolarità fiscale di cui all'art. 38 cit.,
sia sufficiente che, entro il termine di presentazione
dell'offerta, sia stata presentata da parte del concorrente
istanza di rateazione del debito tributario oppure occorra
che il relativo procedimento si sia concluso con un
provvedimento favorevole.
Il Collegio ritiene che la quaestio iuris debba essere
risolta in conformità al prevalente indirizzo interpretativo
affermatosi in subiecta materia, da ultimo confermato da
questa Adunanza Plenaria con la sentenza 05.06.2013, n. 15.
La giurisprudenza comunitaria e quella nazionale, al pari
dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, hanno
anche di recente ribadito, sulla scorta di argomentazioni
suscettibili di condivisione, l’adesione alla tesi più
rigorosa secondo cui il requisito della regolarità fiscale
può dirsi sussistente solo qualora, prima del decorso del
termine per la presentazione della domanda di partecipazione
alla gara di appalto, l’istanza di rateizzazione sia stata
accolta con l’adozione del relativo provvedimento
costitutivo.
Si è a tale stregua subordinata l’ammissione alla procedura
alla condizione che “l'istanza di rateizzazione sia stata
accolta prima della scadenza del termine di presentazione
della domanda di partecipazione alla gara e preceda
l'autodichiarazione circa il possesso della regolarità,
essendo inammissibile una dichiarazione che attesti il
possesso di un requisito in data futura”.
1. La questione rimessa all’Adunanza Plenaria riguarda
l’individuazione dell’esatta portata del concetto di
definitività dell’accertamento della violazione tributaria,
ex art. 38, comma 1, lett. g, del codice dei contratti
pubblici, laddove vengano in rilievo meccanismi di
rateizzazione o dilazione del debito tributario ai sensi
dell’art. 19 del d.P.R. 29.09.1973, n. 602 e di norme
analoghe (cfr. la sospensione amministrativa della
riscossione di cui all'art. 39 del medesimo DPR n.
602/1973).
2. Deve essere, in via preliminare, riepilogato il quadro
normativo che regola la fattispecie sottoposta all’esame
dell’Adunanza Plenaria.
L’articolo 38, comma 1, lettera g, del codice dei contratti
pubblici stabilisce che “sono esclusi dalla partecipazione
alle procedure di affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere
affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi
contratti i soggetti…. che hanno commesso violazioni gravi,
definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione
italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”.
Il d.l. 13.05.2011, n. 70, convertito, con
modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106, ha
dettato un parametro quantitativo cui ancorare l’elemento
della gravità della violazione (“si intendono gravi le
violazioni che comportano un omesso pagamento di imposte e
tasse per un importo superiore all’importo di cui
all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del decreto del
Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602”).
Su altro fronte, il d.l. 02.03.2012, n. 16, convertito in
legge 26.04.2012, n. 44, è intervenuto fornendo una
definizione normativa di “definitività” dell’accertamento
(art. 1, comma 5, modificativo del comma 2 dell’art. 38
cit.: “costituiscono violazioni definitivamente accertate
quelle relative all’obbligo di pagamento di debiti per
imposte e tasse certi, scaduti ed esigibili”), e, al
contempo, regolando le situazioni poste in essere
precedentemente all’entrata in vigore dello stesso decreto
(art. 1, comma 6 : “Sono fatti salvi i comportamenti già
adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto
dalle stazioni appaltanti in coerenza con la previsione
contenuta nel comma 5”).
La ratio della normativa fin qui passata in rassegna
risponde all'esigenza di garantire l'amministrazione
pubblica in ordine alla solvibilità e alla solidità
finanziaria del soggetto con il quale essa contrae.
Concentrando l'esame sul concetto di "violazione
definitivamente accertata", occorre poi rammentare che
l'art. 38 citato è direttamente attuativo dell'articolo 45
della direttiva n. 2004/18, norma volta ad accertare la
sussistenza dei presupposti di generale solvibilità
dell'eventuale futuro contraente della pubblica
amministrazione (Cons. Stato, sez. III, 05.03.2013, n.
1332).
L’attribuzione di un effetto rigidamente preclusivo
all’inadempimento fiscale legislativamente qualificato
risponde all’ esigenza di contemperare la tendenza
dell’ordinamento ad ampliare la platea dei soggetti ammessi
alle procedure di gara alla stregua del canone del favor partecipationis con la necessaria tutela dell’interesse del
contraente pubblico ad evitare la stipulazione con soggetti
gravati da debiti tributari che incidono in modo
significativo sull'affidabilità e sulla solidità finanziaria
degli stessi.
3. Tanto premesso in merito alla coordinate normative di
riferimento e alla ratio che le ispira, si tratta di
stabilire se, ai fini dell’integrazione del requisito della
regolarità fiscale di cui all'art. 38 cit., sia sufficiente
che, entro il termine di presentazione dell'offerta, sia
stata presentata da parte del concorrente istanza di
rateazione del debito tributario oppure occorra che il
relativo procedimento si sia concluso con un provvedimento
favorevole.
4. E’ da rilevarsi che, con riguardo alla questione di
diritto rimessa all’Adunanza Plenaria, l’ordinanza di
rimessione ha così riassunto le opzioni ermeneutiche
astrattamente percorribili:
- una tesi più rigorosa ritiene che, ai fini della
regolarizzazione della posizione fiscale, sia necessaria la
positiva definizione del procedimento di rateazione con l’
accoglimento dell'istanza del contribuente prima del decorso
del termine fissato dalla lex specialis per la presentazione
della domanda di partecipazione;
- una tesi più elastica annette rilievo già alla
presentazione dell’istanza di rateazione entro il suddetto
confine temporale;
- una linea interpretativa mediana ammette alla
partecipazione l’impresa che abbia presentato istanza di
rateizzazione, sub condicione della positiva definizione
della procedura prima dell’aggiudicazione della gara e della
conseguente stipulazione del contratto.
5. Il Collegio ritiene che la quaestio iuris debba essere
risolta in conformità al prevalente indirizzo interpretativo
affermatosi in subiecta materia, da ultimo confermato da
questa Adunanza Plenaria con la sentenza 05.06.2013, n.
15.
5.1. La giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte giust. CE,
Sez. I, 09.02.2007, n. 228/04 e 226/04) e quella
nazionale (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 22.03.2013, n. 1633; sez. III,
05.03.2013, n. 1332; sez. VI, 29.01.2013, n. 531; sez. V, 18.11.2011, n. 6084), al
pari dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (cfr.
determinazione 16.05.2012, n. 1; determinazione 12.01.2010, n. 1; parere 12.02.2009, n. 23;
deliberazione 18.04.2007, n. 120), hanno anche di
recente ribadito, sulla scorta di argomentazioni
suscettibili di condivisione, l’adesione alla tesi più
rigorosa secondo cui il requisito della regolarità fiscale
può dirsi sussistente solo qualora, prima del decorso del
termine per la presentazione della domanda di partecipazione
alla gara di appalto, l’istanza di rateizzazione sia stata
accolta con l’adozione del relativo provvedimento
costitutivo.
Si è a tale stregua subordinata l’ammissione alla procedura
alla condizione che “l'istanza di rateizzazione sia stata
accolta prima della scadenza del termine di presentazione
della domanda di partecipazione alla gara e preceda
l'autodichiarazione circa il possesso della regolarità,
essendo inammissibile una dichiarazione che attesti il
possesso di un requisito in data futura” (Cons. Stato sez. VI n. 531/2013 cit.; vedi anche,
ex plurimis, Cons. St.,
sez. V, 18.11.2011, n. 6084, che mette l’accento sulle
condizioni di ammissione date dall’“ottenimento della
rateizzazione” o dalla “dimostrazione di aver beneficiato di
un concordato al fine di una rateizzazione o di una
riduzione dei debiti”).
5.2. La bontà della tesi sposata dalla giurisprudenza
pressoché univoca di questo Consiglio trova riscontro nella
conformazione nella disciplina dell’istituto della
rateizzazione fiscale ex art. 19 del d.P.R. n. 602/1973.
5.2.1. Sul piano teleologico la rateizzazione del debito
tributario è espressione del favore legislativo verso i
contribuenti in temporanea difficoltà economica, ai quali
viene offerta la possibilità di regolarizzare la propria
posizione tributaria senza incorrere nel rischio di
insolvenza. Pertanto, condizione per la concessione del
beneficio è la dimostrazione dell’obiettiva situazione di
temporanea difficoltà in cui versa il debitore
impossibilitato a pagare in un’ unica soluzione il debito
iscritto a ruolo e, tuttavia, in grado di sopportare l’onere
finanziario derivante dalla ripartizione dello stesso debito
in un numero di rate congruo rispetto alle sue condizioni
patrimoniali.
5.2.2. Sul versante tecnico la rateizzazione si traduce in un
beneficio che, una volta accordato, comporta la sostituzione
del debito originario con uno diverso, secondo un meccanismo
di stampo estintivo-costitutivo che dà la stura a una
novazione dell’obbligazione originaria (cfr. Cons. St., Sez.
IV, 22.03.2013, n. 1633).
L’ammissione alla rateizzazione, rimodulando la scadenza dei
debiti tributari e differendone l’esigibilità, implica
quindi la sostituzione dell’originaria obbligazione a
seguito dell’insorgenza di un nuovo rapporto obbligatorio
secondo i canoni della novazione oggettiva di cui agli artt.
1230 e seguenti del codice civile.
Il risultato è la nascita di una nuova obbligazione
tributaria, caratterizzata da un preciso piano di
ammortamento e soggetta a una specifica disciplina per il
caso di mancato pagamento delle rate.
5.2.3. La configurazione del meccanismo novativo fa sì che,
nell’arco di tempo che precede l’accoglimento della domanda,
resta in vita il debito originario, la cui esistenza è
ammessa dallo stesso contribuente con la presentazione della
domanda di dilazione del pagamento delle somme iscritte a
ruolo.
Il debito che grava sul contribuente prima dell’accoglimento
dell’istanza, in caso di istanza di rateizzazione non ancora
accolta all’atto della scadenza dei termini di presentazione
delle domande di partecipazione, è quindi unicamente quello
originario, in quanto tale certo (tanto nella sua esistenza
quanto nel suo ammontare), scaduto ed esigibile nei sensi
richiesti dal comma 2 dell’art. 38 del codice dei contratti
pubblici.
A sostegno dell’assunto depone viepiù la considerazione che
l’art. 19 del d.P.R. 29.09.1973, n. 602, nel
regolamentare l’istituto della dilazione del pagamento, al
comma 1-quater, pone quale unico limite all’attività forzosa
dell’agente della riscossione, una volta ricevuta la
richiesta di rateazione, l’inibizione all’iscrizione di
ipoteca ex art. 77. Ne deriva che, salva questa specifica
prescrizione di favore a tutela del debitore richiedente, la
presentazione dell’istanza non incide ex se sull’esigibilità
del credito originario e sulla conseguente possibilità per
il creditore pubblico di dare impulso alle procedure
finalizzate alla relativa riscossione in executivis.
Va soggiunto che l’inidoneità della mera presentazione
dell’istanza di dilazione a soddisfare il requisito della
regolarità contributiva è corroborata dalla considerazione
che l’ammissione alla rateazione non costituisce, di norma
(fa eccezione l'art. 38 del d.lgs. 31.10.1990, n. 346,
relativo all’imposta di successione), atto dovuto, in quanto
l’art. 19 del d.P.R. n. 602/1973 conferisce
all’Amministrazione il potere discrezionale di valutare
quell’"obiettiva difficoltà economica" che si è in
precedenza visto essere presupposto per la concessione del
beneficio. Ne deriva che l’ammissione alla procedura del
concorrente che non abbia ancora ottenuto il provvedimento
favorevole, oltre a sancire una deroga atipica al principio
secondo cui i requisiti di partecipazione alle gare vanno
verificati al momento della scadenza dei termini fissati per
la presentazione delle domande, innesterebbe nello
svolgimento della procedura di evidenza pubblica il fattore
di incertezza legato all’accertamento di un requisito in
fieri, collegato alla variabile della valutazione
discrezionale dell’amministrazione tributaria.
5.3. Le considerazioni da ultimo esposte ostano alla
praticabilità anche della tesi mediana secondo cui l’istante
che abbia presentato richiesta di rateazione dovrebbe essere
ammesso a condizione del conseguimento del beneficio nel
corso della procedura di gara.
A sostegno della soluzione in esame non può, infatti,
militare in modo decisivo la valorizzazione del principio
del favor partecipationis, in quanto la preferenza per un
ampliamento del novero dei partecipanti non è un valore
assoluto ma deve essere ricondotta nel suo alveo naturale,
dato dalla sua funzione di strumento volto al conseguimento
dell’ obiettivo di assicurare la scelta del miglior
contraente in una gara celere e trasparente alla stregua del
codice dei contratti pubblici.
Il favor admissionis non può pertanto giustificare
l’ammissione di un contraente, sprovvisto al momento della
domanda del requisito della regolarità tributaria, in forza
di una riserva il cui scioglimento sarebbe caratterizzato da
profili di aleatorietà sia sul piano dell’an che sul
versante del quando.
Il principio della certezza del quadro delle regole e dei
tempi della procedura di evidenza pubblica impone, infatti,
che i requisiti di partecipazione siano verificati in modo
compiuto al momento della scadenza dei termini di
presentazione delle domande e impedisce un’ammissione
condizionata che si rifletterebbe negativamente sui valori
dell’efficienza e della tempestività dell’azione
amministrativa, subordinando l’aggiudicazione e la
successiva stipulazione a fattori caratterizzati dagli
esposti profili di imponderabilità.
5.4. L’adesione all’orientamento più rigoroso non è
scalfito, ai fini che in questa sede rilevano, dalla citata
novella normativa secondo cui “costituiscono violazioni
definitivamente accertate quelle relative all’obbligo di
pagamento di debiti per imposte e tasse certi, scaduti ed
esigibili” (art. 1, comma 5, del decreto legge n. 16/2012
cit.).
Si è già osservato in precedenza che la presentazione di
un’istanza di ripartizione del debito in rate, dando la
stura ad un meccanismo volto alla produzione di un fenomeno
novativo, non incide, alla luce della disciplina tributaria
e della normativa civilistica, sulla sussistenza dei
suddetti requisiti del credito nelle more della definizione
della procedura.
Detto assunto è confermato dal tenore dei lavori
preparatori.
In particolare, dall’esame della relazione tecnica (A.S.
3184) di accompagnamento al d.l. sulle semplificazioni
fiscali si ricava come l’ intenzione del legislatore fosse
quella di intendere non scaduti ed esigibili i debiti per i
quali sia stato “concordato un piano di rateazione” rispetto
al quale il contribuente è in regola con i pagamenti. Di
tenore ancor più inequivocabile è la scheda di lettura (n.
625/4) redatta dall’Ufficio Studi della Camera dei Deputati
in data 15.06.2012 in cui si afferma che i commi 5 e 6
sono volti a non escludere dalle gare pubbliche il
contribuente “ammesso alla rateizzazione” del proprio debito
tributario.
È pertanto chiara la volontà di considerare in regola con il
fisco unicamente il contribuente cui sia stata accordata la
rateizzazione e la conferma del principio secondo cui la
mera presentazione dell’istanza di rateazione o dilazione
non rileva ai fini della dimostrazione del requisito della
regolarità fiscale.
5.5. Non può infine essere valorizzato, in senso contrario
alla tesi rigorosa fin qui esposta, l’argomento secondo cui
sarebbe iniquo che la tardiva definizione della procedura
finalizzata alla concessione della rateazione o della
dilazione si riflettesse negativamente sulla sfera giuridica
dell’istante, sub specie di esclusione dalla procedura di
evidenza pubblica regolate dal codice dei contratti
pubblici. Si deve infatti osservare, in direzione opposta,
che l’inibizione legale trova fondamento nella condizione di
illiceità fiscale imputabile al concorrente e che il
beneficio della rateazione è previsto da una normativa
eccezionale i cui effetti favorevoli non possono superare i
confini delle espresse previsioni legislative, riflettendosi
nell’ammissione alla gara di un soggetto gravato da un
debito tributario liquido, scaduto ed esigibile.
6. Questa Adunanza reputa in definitiva che, alla stregua
delle considerazioni che precedono, debba trovare conferma
l’indirizzo ermeneutico secondo cui non è ammissibile la
partecipazione alla procedura di gara, ex art. 38, comma 1,
lett. g, del codice dei contratti pubblici, del soggetto
che, al momento della scadenza del termine di presentazione
della domanda di partecipazione, non abbia conseguito il
provvedimento di accoglimento dell’istanza di rateizzazione.
7. L’applicazione di tali coordinate conduce alla reiezione
dell’appello, ricavandosi dagli atti di causa che per una
delle cartelle esattoriali prese in considerazione dalla
stazione appaltante con riferimento alla posizione
dell’impresa ausiliaria la rateazione si è perfezionata in
data 04.07.2011, con accordo di rateazione intervenuto
solo nel corso della procedura di gara.
Il consolidato e condivisibile principio giurisprudenziale
che richiede la permanenza del possesso del requisito in
parola nel corso di tutta la procedura di gara, dimostra
l’infondatezza degli argomenti difensivi volti a mettere
l’accento sulla duplice peculiarità cronologia che connota
la vicenda, in ragione, per un verso, della sopravvenienza
della notifica della cartella esattoriale in parola rispetto
alla data di scadenza dei termini fissati dalla lex
specialis per la presentazione delle offerte e, per altro
verso, della definizione della procedura di rateazione in un
torno di tempo anteriore alla revoca dell’aggiudicazione
provvisoria.
Alla favorevole valutazione della doglianza tesa a
stigmatizzare la mancanza valutazione dell’ effettiva
gravità della gravità della violazione fiscale si oppone la
considerazione che il requisito della gravità è stato
innovativamente introdotto, in epoca posteriore alla
pubblicazione della lex specialis, dal citato d.l. 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.1011, n. 107, in una con il rilievo che, nella
specie, l’ammontare del debito fiscale oggetto di
accertamento, pari a 57.378,00 euro, consente ictu oculi la
qualificazione del relativo inadempimento in termini di
effettiva gravità.
9. L’appello deve essere, in definitiva, respinto
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 20.08.2013 n. 20 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA: G.U.
20.08.2013 n. 194, suppl. ord. n. 63/L, "Testo
del decreto-legge 21.06.2013, n. 69, coordinato con la legge
di conversione 09.08.2013, n. 98, recante: «Disposizioni
urgenti per il rilancio dell’economia»". |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U.
20.08.2013 n. 194 "Disposizioni per l’adempimento degli
obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione
europea - Legge europea 2013" (Legge
06.08.2013 n. 97). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA:
Guida alle semplificazioni del decreto legge del Fare (20.08.2013
- Dipartimento della funzione pubblica, Ufficio per la
semplificazione amministrativa). |
APPALTI: P.a.,
appalti senza solidarietà. L'amministrazione non paga i
dipendenti degli appaltatori. Il decreto lavoro (dl 76/2013)
esclude l'applicazione della legge Biagi al settore
pubblico.
La legge Biagi non
si applica alle pubbliche amministrazioni. Il decreto
76/2013, convertito in legge dalla camera (atto C-1458),
esclude per i contratti pubblici la solidarietà delle
stazioni appaltanti per il pagamento di salari ai dipendenti
degli appaltatori, previsto dall'articolo 29 del dlgs
276/2003.
La norma è retroattiva e si applica a tutti i rapporti
pendenti. Il decreto-legge invece, estende la tutela ai
lavoratori autonomi negli appalti privati e detta la
prevalenza delle forme di tutela dei lavoratori previste
nella contrattazione collettiva. Ma vediamo il contenuto
dell'articolo 9 del decreto 76/2013 e i suoi possibili
effetti.
Contratti pubblici.
Il decreto 76/2013, all'articolo 9, comma 1, come spiegano i
lavori parlamentari, esclude dall'ambito dell'intero regime
di solidarietà disciplinato dall'articolo 29 del dlgs
276/2003 i contratti di appalto stipulati dalle pubbliche
amministrazioni (di cui all'art. 1, comma 2, del dlgs n.
165/2001).
In particolare non trova applicazione per le pubbliche
amministrazioni quanto disposto dal comma 2 del dlgs
276/2003. Questa norma stabilisce che in caso di appalto di
opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di
lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, e anche con
ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di
due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai
lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di
trattamento di fine rapporto, nonché i contributi
previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al
periodo di esecuzione del contratto di appalto.
L'articolo 29 del dlgs 276/2003 è oggetto di diverse
interpretazioni, proprio con riferimento agli appalti
pubblici: alcune sentenze ritengono che la norma si applichi
anche alle pubbliche amministrazioni. Chi propende per
questa impostazione (e i tribunali in maggior parte vanno in
questa direzione) fa leva sulla prevalente finalità di
tutela del lavoratore: uno scopo che bisogna raggiungere
anche quando il committente è un ente pubblico, per evitare
discriminazione tra i lavoratori.
A favore della tesi contraria, che esclude le p.a.
dall'articolo 29 della legge Biagi, ci sono considerazioni
che riguardano la portata letterale della norma: l'articolo
29 non fa riferimento agli appalti pubblici; l'articolo 29
fa riferimento a committenti-imprese e tali non sono le
pubbliche amministrazioni; poi l'articolo 2 della legge
Biagi sembra escludere le p.a. dall'ambito di applicazione.
Si sostiene, ancora, che l'articolo 29 è incompatibile con
la disciplina degli enti pubblici nella parte in cui prevede
l'assunzione dei lavoratori danneggiati presso il
committente: nessun giudice, per il vero, ritiene che, a
seguito della azione per far valere la responsabilità
solidale, il lavoratore dell'appaltatore debba essere
assunto dalla p.a. appaltante.
Se l'articolo 29 non si applica in una parte significativa
(obbligo di assunzione) allora, si dice, vuol dire che non
si applica alla p.a. nella sua interezza.
Il decreto legge 76/2013 ha fatto, ora, una scelta nel senso
dell'esclusione della solidarietà ex articolo 29 dlgs
276/2003.
Va aggiunto che rimangono vigenti il codice civile e il
regolamento del codice dei contratti pubblici (dpr
207/2010), che contiene norme specifiche per l'ipotesi di
mancato pagamento dei salari: l'ente pubblico può pagare
direttamente i lavoratori, ma solo nel limite di quanto
eventualmente dovuto all'impresa appaltatrice.
Quanto all'ambito di applicazione va sottolineato che il
decreto legge 76/2013 si autodefinisce, nella relazione di
accompagnamento, quale norma di interpretazione autentica:
questo significa, quindi, che si applica a tutti i rapporti
pendenti, comprese le controversie in corso.
Lavoro autonomo.
Il comma 1 dell'articolo 9 del decreto legge 76/2013
riguarda la responsabilità solidale del committente
imprenditore o datore di lavoro e dell'appaltatore, nonché
degli eventuali subappaltatori, con riferimento ai
trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di
fine rapporto, ai contributi previdenziali ed ai premi
assicurativi, dovuti in relazione al periodo di esecuzione
del contratto di appalto di opere o di servizi.
Il regime di responsabilità solidale dell'articolo 29 della
legge Biagi viene esteso ai compensi e agli obblighi di
natura previdenziale ed assicurativa nei confronti dei
lavoratori con contratto di lavoro autonomo.
Contratti collettivi.
Il decreto 76/2013, articolo 9, specifica che le eventuali
clausole dei contratti collettivi hanno effetto
esclusivamente in relazione ai trattamenti retributivi
dovuti ai lavoratori impiegati nell'appalto (o nel
subappalto), con esclusione di qualsiasi effetto sul regime
di responsabilità solidale relativo ai contributi
previdenziali ed assicurativi; tale norma limita, dunque,
l'ambito di applicazione della norma che fa salve le diverse
disposizioni dei contratti collettivi nazionali, che
individuino metodi e procedure di controllo e di verifica
della regolarità complessiva degli appalti
(tratto da ItaliaOggi del
20.08.2013). |
APPALTI: Appalti, anticipo con garanzia. Serve fideiussione bancaria
svincolabile gradualmente. Gli
effetti delle novità introdotte dal dl fare: sul prezzo
conta il costo del personale.
Reintrodotta l'anticipazione del 10% per gli appalti di
lavori, anche se facoltativa e fino a fine 2014; più
difficile fare grandi appalti e non suddividere in lotti; il
prezzo più basso va valutato al netto del costo per il
personale; rafforzato l'obbligo di verifica dei requisiti di
gara attraverso la banca dati dei contratti pubblici;
rinviato il performance bond a giugno 2014; agevolata la
qualificazione delle imprese di costruzioni e la
partecipazione alle gare dei progettisti.
Sono queste alcune delle novità approvate con la definitiva
conversione in legge, il 9 agosto scorso, del dl 69/2013
(cosiddetto del fare), che contiene anche alcune importanti
disposizioni in materia di sblocco dei cantieri, avvio di
piccole e medie opere sul territorio («programma dei 6.000
campanili») e stanziamenti per la ristrutturazione delle
scuole
Il decreto legge contiene quindi l'ennesimo intervento sul
Codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006), in una
generale e complessiva ottica di agevolazione dell'operato
delle imprese che ogni giorno si confrontano con il sistema
delle procedure di appalto pubblico.
Rappresenta una effettiva novità, di cui però si dovrà
verificare la reale applicazione sul campo, la
reintroduzione della anticipazione contrattuale per gli
appaltatori di lavori.
La norma approvata prevede infatti non un obbligo, bensì una
mera facoltà per le amministrazioni, in deroga ai vigenti
divieti di anticipazione del prezzo, di procedere al
riconoscimento all'appaltatore di una anticipazione pari al
10% dell'importo contrattuale.
Quindi niente obbligo ma facoltà, peraltro ammessa per le
gare bandite dopo l'entrata in vigore della legge di
conversione del decreto 69 e fino a fine dicembre 2014.
Dipenderà ovviamente dalle disponibilità di cassa delle
stazioni appaltanti che comunque, dovranno indicare nel
bando di gara che provvederanno a corrispondere
l'anticipazione. La disposizione richiama anche gli articoli
124, commi 1 e 2, e l'articolo 140, commi 2 e 3 del dpr
207/2010 (Regolamento del codice) in base ai quali si
prevede che l'anticipazione sia subordinata alla
costituzione di una garanzia fideiussoria bancaria o
assicurativa gradualmente svincolata nel corso dei lavori.
Il decreto interviene anche sulla disciplina del performance
bond differendo ancora una volta l'entrata in vigore della
garanzia globale di esecuzione di quasi un anno, a fine
giugno 2014.
Sugli obblighi di verifica dei requisiti dichiarati in sede
di gara viene rafforzata la validità del sistema fondato
sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici (Bdncp)
costituita presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici che ha messo a punto un articolato meccanismo
informatico (Avcpass) che dovrebbe diventare obbligatorio a
inizio 2014. Il decreto rafforza tale obbligo di verifica
prevedendo che l'utilizzo di tale sistema sia l'unico
meccanismo, decorsi tre mesi dalla pubblicazione della legge
di conversione del decreto legge n. 69. Importante anche la
norma sulla suddivisione in lotti degli appalti, strumento a
tutela delle piccole e medie imprese spesso emarginate dalla
pratica spesso utilizzata negli ultimi anni, dei maxilotti.
Il principio oggi in vigore è che la stazione appaltante, al
fine di favorire l'accesso delle piccole e medie imprese,
deve ove possibile ed economicamente conveniente suddividere
gli appalti in lotti funzionali, il decreto aggiunge
l'obbligo per le stazioni appaltanti di motivare, nella
determina a contrarre, l'eventuale mancata suddivisione in
lotti e impone di tenere conto di tale profilo anche
nell'ambito delle comunicazioni che ciclicamente devono
essere inviate all'Osservatorio presso l'Autorità. Sul
fronte della qualificazione delle imprese di costruzioni si
stabilisce che, fino a fine 2015, sarà possibile documentare
i requisiti sulla cifra d'affari globale in lavori, sulle
attrezzature e sull'organico con riguardo al decennio e non
più al quinquennio né ai migliori cinque anni del decennio.
Viene inoltre prorogata l'applicazione della norma che
consente, nelle gare per servizi di ingegneria e
architettura di importo superiore ai 100.000 euro, di
documentare i requisiti di partecipazione alle gare con
riferimento (per il fatturato) ai migliori cinque anni del
decennio e (per l'organico medio annuo) rispetto ai tre
migliori anni dell'ultimo quinquennio. Infine di rilievo la
norma che dispone che il prezzo più basso venga determinato
al netto delle spese relative al costo del personale; così
facendo il costo del personale non figurerà più
nell'elemento prezzo e quindi non deve essere più sottoposto
a verifica di congruità
(tratto da ItaliaOggi Sette del
19.08.2013). |
APPALTI: Contratti
pubblici. La scelta di mantenere l'accorpamento va motivata
nella determinazione.
Appalti frazionati per tutelare le Pmi.
Gli appalti devono essere suddivisi in lotti e, in caso
contrario, le amministrazioni aggiudicatrici devono indicare
nel bando le ragioni che hanno determinato la gestione
unitaria.
La legge di conversione del Dl 69/2013 (decreto del fare)
potenzia le misure previste nell'articolo 2 del Codice dei
contratti pubblici per favorire la partecipazione delle
piccole e medie imprese alle gare di appalto, rafforzando
l'obbligo di suddivisione funzionale delle prestazioni
(lavori, servizi e forniture), ove possibile ed
economicamente conveniente, stabilendo (articolo 26-bis) che
nella determinazione a contrarre le stazioni appaltanti
debbano indicare la motivazione circa la mancata
suddivisione dell'appalto in lotti.
La connessione
Per gli appalti di lavori, questo elemento sarà facilmente
desumibile dall'unitarietà del progetto in rapporto
all'opera da aggiudicare (fatta eccezione per gli appalti a
stralci), mentre per le forniture di beni e servizi
l'analisi giustificativa dovrà evidenziare
l'interconnessione tra le varie prestazioni e
l'impossibilità di renderle in maniera distinta.
La partizione in lotti funzionali di un appalto deve
peraltro essere vagliata sulla capacità del singolo lotto di
assolvere autonomamente all'esigenza dell'amministrazione.
La suddivisione (o la scelta della gestione unitaria) devono
essere anche comunicate all'autorità di vigilanza sui
contratti pubblici (Avcp), nell'ambito delle informazioni
relative alle procedure di aggiudicazione previste
dall'articolo 7 del Codice dei contratti.
L'anticipazione
Un ulteriore elemento di grande interesse (anche se si
tratta di una sorta di ritorno al passato) è previsto
dall'articolo 26-ter della legge di conversione del decreto
fare, il quale reintroduce l'anticipazione del prezzo per i
soli appalti di lavori pubblici.
La scelta deve essere pubblicizzata nel bando
dall'amministrazione aggiudicatrice, che dovrà corrispondere
all'appaltatore all'avvio delle prestazioni il 10%
dell'importo contrattuale. Nel caso di contratti di appalto
relativi a lavori di durata pluriennale, l'anticipazione va
compensata fino alla concorrenza dell'importo sui pagamenti
effettuati nel corso del primo anno contabile.
L'utilizzo di questa possibilità favorisce le imprese nella
gestione dei lavori, ma implica contestualmente per le
stazioni appaltanti una maggiore attenzione nella fase di
avvio dei lavori (peraltro dettagliatamente disciplinata dal
Dpr 207/2010).
Il Durc
La semplificazione dei rapporti tra le amministrazioni e gli
appaltatori è sostenuta anche dalle disposizioni sul Durc
(articolo 31), che rafforzano l'obbligo di acquisizione
d'ufficio del documento, introducendo tuttavia due grandi
novità.
Le disposizioni della legge di conversione del Dl 69/2013
stabiliscono infatti che il certificato di regolarità
contributiva ha validità per centoventi giorni dalla data
del rilascio (riducendo il termine di 180 inizialmente
previsto dal decreto) e che può essere utilizzato entro
questo arco temporale per i pagamenti degli stati di
avanzamento.
Qualora l'amministrazione aggiudichi un altro appalto a
un'impresa e disponga di un Durc validito riferito alla
stessa impresa in relazione a un rapporto contrattuale già
in essere, può utilizzare questo documento per i controlli
di regolarità contributiva riferiti all'aggiudicazione e
alla stipula del contratto per il nuovo appalto
(tratto da Il Sole 24 Ore del
19.08.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Concessioni, garanzie sui piani economici.
Credito e coperture. Rafforzare la
bancabilità.
Le concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche
devono essere impostate con una disciplina dettagliata del
piano economico-finanziario e in modo tale da consentire in
modo accurato la verifica di bancabilità.
L'articolo 19 del decreto del fare (Dl 69/2013 convertito in
legge dal Parlamento) è stato integrato da numerose
disposizioni introdotte in fase di conversione, tutte
finalizzate a garantire la piena realizzabilità dell'opera.
Per rendere chiaro il quadro di risorse e le condizioni di
gestione, la convenzione deve definire i presupposti e le
condizioni di base del piano economico-finanziario le cui
variazioni non imputabili al concessionario, se determinano
una modifica dell'equilibrio del piano, comportano la sua
revisione.
La convenzione deve contenere inoltre una
definizione di equilibrio economico finanziario che faccia
riferimento a indicatori di redditività e di capacità di
rimborso del debito, nonché la procedura di verifica e la
cadenza temporale degli adempimenti connessi.
Per assicurare adeguati livelli di bancabilità, le nuove
disposizioni richiedono una più ampia esplicitazione degli
strumenti di reperimento delle risorse, prevedendo anche la
risoluzione del contratto qualora, entro un termine massimo
di 24 mesi, il concessionario non sia pervenuto alla
sottoscrizione di un contratto di finanziamento o
all'emissione delle obbligazioni di progetto necessarie
sempre per la provvista finanziaria.
Peraltro, proprio per rafforzare le dinamiche economiche
dell'opera, il bando può prevedere che l'offerta sia
corredata dalla dichiarazione sottoscritta da uno o più
istituti finanziatori di manifestazione di interesse a
finanziare l'operazione, anche in considerazione dei
contenuti dello schema di contratto e del piano
economico-finanziario
(tratto da Il Sole 24 Ore del
19.08.2013). |
APPALTI:
OGGETTO: Modello di versamento F24 enti pubblici – codice
identificativo “51” denominato “Intervento sostitutivo –
art. 4 del D.P.R. n. 207/2010” (INPS,
messaggio 14.08.2013 n. 13154).
---------------
Versamenti diretti all'Inps.
Irregolarità senza F24.
Sì al versamento diretto all'Inps, senza F24, per gli
interventi sostitutivi delle stazioni appaltanti.
Lo spiega
l'Inps nel
messaggio 14.08.2013 n. 13154.
La novità riguarda i Durc irregolari, concernenti cioè
irregolarità contributive, per cui le stazioni appaltanti
sono tenute a fare l'intervento sostitutivo per
regolarizzare le inadempienze contributive dell'appaltatore
o subappaltatore. Infatti con l'intervento sostitutivo la
stazione appaltante trattiene dalla liquidazione del
corrispettivo dell'appalto l'importo pari alle scoperture
contributive indicate nel Durc, per riversarle agli istituti
previdenziali e delle casse edili. La stazione appaltante
effettua il pagamento non in proprio, ma sostituendosi
all'adempimento del contribuente.
Conseguentemente è stato
previsto che il pagamento della somma oggetto
dell'intervento sostitutivo avvenga utilizzando stesse
modalità e stesse specifiche previste per l'adempimento
contributivo da parte dell'esecutore o del subappaltatore
nei confronti dell'Inps. I pagamenti, in altre parole,
vengono effettuati tramite il modello F24, che consente
l'immediata canalizzazione dei versamenti sulle posizioni a
debito dei contribuenti rendendo individuabili sia il
versante (stazione appaltante) sia il beneficiario
(debitore).
Tuttavia, alcune stazioni appaltanti in virtù della
specifica regolamentazione contabile sono escluse dalla
possibilità di effettuare i pagamenti con modello F24,
operazione che, in base alla risoluzione del 09.10.2012, prot. n. 2012/140335 dell'agenzia delle entrate, avviene
l'F24 enti pubblici (EP) per consentire di utilizzare tale
modello per il versamento dei contributi assistenziali e
previdenziali agli enti.
L'Inps precisa che sono ammesse ad utilizzare modalità di
pagamento diverse da quelle tramite F24 EP esclusivamente le
amministrazioni non tenute a eseguire i pagamenti tramite
F24. E che la possibilità di effettuare il pagamento, in via
residuale, con modalità da concordare con la sede Inps che
ha emesso il Durc al fine di consentire in modo immediato la
corretta contabilizzazione degli importi versati a titolo di
intervento sostitutivo
(tratto da ItaliaOggi del
15.08.2013). |
APPALTI:
Da dichiarare la risoluzione contrattuale con
altra P.A., pena l'esclusione dalla gara.
Qualora, in sede di presentazione della domanda di
partecipazione alla gara, un concorrente ometta di
dichiarare una precedente risoluzione contrattuale disposta
nei suoi confronti da diversa stazione appaltante per
inadempimento accertato giudizialmente, è legittimo il
provvedimento di revoca in autotutela dell'aggiudicazione
definitiva in favore della medesima ditta, in quanto tenuta
a indicare la suindicata circostanza e, rilevata l'omissione
doverosamente esclusa dalla gara.
La Sez. I del TAR Basilicata, con la
sentenza 14.08.2013 n. 501, ha chiarito che l'omessa
dichiarazione, nella domanda di partecipazione a una
procedura competitiva per la scelta del contraente, di una
precedente risoluzione contrattuale “subita” dal concorrente
è causa di esclusione dalla gara medesima e comporta
l'adozione di un provvedimento di revoca dell'eventuale
aggiudicazione definitiva illegittimamente adottata in suo
favore.
- Analisi del caso
Un'Azienda ospedaliera aveva indetto una procedura aperta
per l'affidamento del servizio di manutenzione degli
impianti elettrici e speciali a cui aveva partecipato, tra
gli altri, una costituenda a.t.i., poi risultata
aggiudicataria definitiva; in sede di verifica dei
requisiti, la stazione appaltante aveva riscontrato sul
casellario informatico delle imprese tenuto dall'A.v.c.p. la
notizia di una risoluzione contrattuale disposta da un'altra
P.A. in suo danno e, a seguito di procedimento in
autotutela, aveva disposto la revoca dell'aggiudicazione
stessa e l'esclusione dalla gara della ditta medesima, per
violazione dell'art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. n.
163/2006.
Avverso tale atto, la ricorrente ha mosso le proprie
censure, eccependo la violazione e falsa applicazione degli
artt. 38, comma 1, lett. f) e 46, comma 1-bis, D.Lgs.
n.163/2006, nonché del D.P.R. n. 445/2000 e della lex
specialis di gara; violazione dei principi di
tassatività delle cause di esclusione e dell'affidamento dei
concorrenti nonché carenza di istruttoria e difetto di
motivazione alla luce della scusabilità dell'errore.
In particolare, la ricorrente ha sottolineato come
l’intervenuta risoluzione contrattuale non avesse impedito
alla stazione appaltante di affidare in precedenza altri
servizi alla stessa ditta; ha, inoltre aggiunto come tanto
il tenore letterale dell'iscrizione nel casellario quanto il
successivo chiarimento reso dall’A.v.c.p. che ne cura la
redazione e la tenuta, escludessero che tale risoluzione
configurasse un “grave errore professionale”.
Ha così chiesto al G.A. lucano l’annullamento del gravato
provvedimento, anche in considerazione della equivocabile
formulazione della lex specialis di gara che faceva
riferimento alla sola dichiarazione di “non aver commesso
un errore già accertato dalla stessa stazione appaltante”.
- La soluzione
Il Collegio, accogliendo i rilievi mossi
dall’Amministrazione resistente, ha ricordato come la
questione non attenesse esclusivamente al possesso di un
requisito di ordine generale ovvero all'interpretazione
dell'art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 163/2006, ma
interessasse anche l'operatività del comma 2, primo periodo
del medesimo art. 38 che impone ai concorrenti di
autodichiarare il possesso dei requisiti: nel caso in esame,
ha precisato, rileva proprio la omessa dichiarazione da
parte della a.t.i. ricorrente che ha, così, impedito alla
stazione appaltante di compiere la propria valutazione in
merito a una risoluzione contrattuale a suo tempo disposta
da altra P.A. in danno della concorrente.
Ha, poi, sottolineato come fosse privo di pregio il richiamo
di parte ricorrente al c.d. “falso innocuo” sulla
considerazione per cui la stazione appaltante avesse già
ritenuto, in altra precedente occasione, irrilevante la
circostanza non dichiarata: la disposizione del citato art.
38, ha chiarito, riconosce alla stazione appaltante –e solo
a questa– un potere di valutazione delle pregresse condotte
dei concorrenti, finalizzato a reprimere ogni elemento che
possa minare la legittima aspettativa della medesima P.A.,
non solo alla esecuzione a regola d'arte del servizio, ma
anche all'assunzione di un contegno ispirato a correttezza e
probità contrattuale, sulla necessità di garantire
l'elemento fiduciario nei rapporti con l'Amministrazione sin
dal momento genetico (cfr. TAR Puglia, Lecce, Sez. I,
02.03.2010, n. 659).
Sicché, il TAR ha evidenziato come la ricorrente fosse
incorsa nella violazione di un obbligo imposto dalla legge
quello di dichiarare, includere e/o specificare, eventuali
situazioni legate a errori nell'esercizio dell'attività
professionale, indipendentemente dalla formulazione della
lex specialis da intendersi, peraltro, integrata dalla
legge in applicazione del noto principio di
eterointegrazione del bando e dalla autonoma - epperò non
decisiva in quanto il potere valutativo è riservato, come
detto, unicamente alla stazione appaltante - valutazione
della A.v.c.p. (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 02.07.2013, n.
3550; idem, Sez. V, 24.02.2011, n. 1193; TAR Sicilia,
Catania, Sez. I, 30.05.2013, n. 1606); in ragione di tanto,
ad avviso del G.A. non risulta violato neppure l'art. 46,
comma 1-bis, D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui la sanzione
dell'esclusione consegue anche in caso di mancato
adempimento alle prescrizioni previste dal Codice, tra cui
quella del ridetto art. 38, comma 2.
In considerazione di tanto, la Sezione I, accertata la
legittimità dell’azione amministrativa in autotutela,
rifacendosi ad un proprio precedente orientamento (cfr. TAR
Basilicata, Sez. I, 26.11.2012, n. 518), ha respinto il
ricorso, confermando l'esclusione dalla gara dell'a.t.i.
ricorrente.
I precedenti e i possibili impatti pratico-operativi In
merito all'interpretazione dell'art. 38, comma 1, lett. f),
D.Lgs. n. 163/2006, la giurisprudenza è controversa: accanto
a decisioni che privilegiano la salvaguardia dell'elemento
fiduciario come base indefettibile dei rapporti contrattuali
tra privati e l'Amministrazione, che deve essere sempre
messa in condizione di compiere le proprie valutazioni, ve
ne sono altre che valorizzano il principio della massima
partecipazione alle gare pubbliche e, restringendo il novero
delle tassative cause di esclusione, propendono per una
lettura sostanzialistica della disposizione, accedendo alla
teoria dell'errore scusabile, del falso innocuo ovvero,
anche, ricorrendo al c.d. soccorso istruttorio, ex art. 46,
comma 1, D.Lgs. n. 163/2006, in tutti i casi di omissione di
dichiarazioni di “scarsa rilevanza” (a fortiori
quando le circostanze sono già note alla stazione
appaltante) o contraddittorietà nella formulazione degli
atti di gara (ex multis, TAR Sicilia, Catania, Sez.
IV, 25.06.2013, n. 1837; contra TAR Lombardia, Milano, Sez.
III, 16.10.2012, n. 2535).
La decisione segnalata aderisce quindi, a quella
impostazione più rigorosa e formalistica compendiata dai
principi del clare loqui dei concorrenti alle gare
pubbliche e della parità di trattamento tra gli stessi; da
questo angolo visuale, ogni impresa che intenda partecipare
a procedure per l'affidamento di contratti pubblici è
obbligata ad assumere un atteggiamento di totale trasparenza
nei confronti della P.A. al fine di riservare solo a
quest’ultima ogni legittima ed esclusiva valutazione
(discrezionale) circa l’affidabilità del concorrente, in
vista della salvaguardia dell’interesse pubblico
all’esecuzione a regolare arte del contratto (commento
tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa). |
APPALTI:
Cassazione penale. La rilevanza dell'intesa tra imprese.
Turbativa d'appalto con collegamento di fatto.
Basta un collegamento sostanziale tra imprese per fare
scattare la turbativa della gara pubblica. Senza alcun
profilo di contrasto con la giurisprudenza comunitaria e
anche se il risultato non è stato raggiunto.
Lo puntualizza
la Corte di Cassazione, Sez. II penale, con la
sentenza
13.08.2013 n. 34917.
La pronuncia ha così
respinto il ricorso presentato dalla difesa di un uomo
condannato per alcuni episodi di turbata libertà nel
procedimento di scelta del contraente.
La Cassazione sottolinea innanzitutto che, per la
configurazione del reato, la prova della collusione e,
quindi, del dolo dei concorrenti, può anche essere tratta
dal collegamento sostanziale tra le imprese partecipanti
alla gara.
Da questa circostanza, infatti, si può accertare l'esistenza
di un unico centro di interessi che punta, attraverso la
parcellizzazione delle offerte, ad aumentare le possibilità
di aggiudicarsi l'appalto alterando il normale gioco della
concorrenza.
A questo riguardo, la Cassazione avalla, tra l'altro, il
ragionamento della Corte di appello (che aveva proceduto
alla condanna dell'uomo pur cancellando il capo
d'imputazione dell'associazione per delinquere), per la
quale, nel dare rilevanza al collegamento di fatto tra
imprese, non esistono profili di contrasto con il principio
enunciato dalla Corte di giustizia europea del 2009. Allora
i giudici Ue stabilirono che la pubblica amministrazione non
può escludere automaticamente dalla gara le imprese che
risultano collegate da un rapporto formale di controllo; va
invece effettuato, sempre secondo la Corte europea, una
verifica concreta dell'impatto del legame all'interno della
procedura.
Di più, la Cassazione si concentra poi sulla fisionomia del
reato e sulla rilevanza penale delle condotte che lo
concretizzano. Ha così modo di precisare che il delitto di
turbata libertà degli incanti, se realizzato con la condotta
di collusione, si consuma nel momento in cui è stata
presentata l'ultima delle offerte illecitamente concordate,
mentre nessuna importanza deve essere assegnata al
successivo atto di aggiudicazione perché l'illecita
influenza sulla procedura si verifica per il solo fatto
della presentazione delle offerte.
Inoltre, osserva ancora la sentenza, il reato in questione è
un reato di pericolo che si configura non solo nel caso di
un danno effettivo, ma anche nel caso di danno mediato e
potenziale, «non occorrendo l'effettivo conseguimento del
risultato perseguito dagli autori dell'illecito, ma la
semplice idoneità degli atti a influenzare l'andamento della
gara».
Per questo, già nei precedenti della Corte, è
possibile trovare esempi di attribuzione di responsabilità
penale allo scambio di informazioni tra più imprese prima
dello svolgimento della gara, avvenuto con l'obiettivo di
determinarne l'esito, malgrado poi, alla prova dei fatti,
avesse inciso in maniera modesta sulla determinazione degli
indici per l'individuazione dell'aggiudicatario e non fosse
in assoluto idoneo a raggiungere l'obiettivo (tratto da Il Sole 24 Ore del
14.08.2013). |
APPALTI:
Contributo per la partecipazione alle gare.
L'obbligo del versamento del contributo,
a favore dell'Avcp, da parte degli operatori economici
operanti nel relativo mercato, costituisce, per espressa
previsione dell'art. 1, c. 67, della L. 266/2005,
'condizione di ammissibilità dell'offerta'.
Al riguardo, tanto l'Avcp, quanto la giurisprudenza, hanno
affermato che:
1) la norma opera ex lege, a nulla rilevando l'assenza del
suo richiamo nel bando di gara o nella lettera d'invito;
2) la mancata dimostrazione, all'atto della presentazione
dell'offerta, dell'avvenuto versamento del contributo
costituisce causa di esclusione dalla procedura di gara;
3) tale omissione non può essere sanata dopo la scadenza del
termine perentorio di presentazione delle offerte.
Il Comune, premesso che l'art. 1, comma 67
[1], della legge
23.12.2005, n. 266, prevede che l'obbligo del versamento del
contributo, a favore dell'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp), da
parte degli operatori economici operanti nel relativo
mercato, costituisce 'condizione di ammissibilità
dell'offerta' e ritenendo che la norma operi ex lege,
a nulla rilevando l'assenza del suo richiamo nel bando di
gara, chiede di conoscere se l'adempimento possa essere
assolto successivamente al termine indicato per la
presentazione dell'offerta.
Anzitutto, si rileva che, come correttamente sostenuto
dall'Ente, la norma in questione trova applicazione
indipendentemente dal suo richiamo nel bando di gara o nella
lettera d'invito, «atteso che, in forza di un principio
unanimemente riconosciuto, le disposizioni della lex
specialis devono ritenersi integrate dalle norme di legge
cd. autoesecutive (cioè quelle norme legislative che non
abbisognano per la loro applicazione dell'emanazione di
altre disposizioni normative di dettaglio), per cui il
predetto obbligo, previsto dall'art. 1, comma 67, l. n. 266
del 2005 deve considerarsi inserito nella lex specialis,
anche se dalla stessa non sia espressamente previsto»
[2].
Quanto alla possibilità che il versamento del contributo di
cui trattasi possa essere utilmente eseguito oltre il
termine indicato per la presentazione della offerta, si deve
fornire risposta negativa.
La qualificazione del contributo in parola come condizione
legale di ammissibilità dell'offerta, cui consegue l'onere
di dimostrare l'avvenuto versamento al momento della
presentazione dell'offerta medesima, in difetto del quale
opera l'esclusione dalla procedura di gara, è stata
costantemente sostenuta dall'Autorità competente
[3].
In adesione alla predetta impostazione, la giurisprudenza ha
affermato che l'obbligo, gravante sugli operatori economici
che intendono partecipare a gare pubbliche, di provvedere al
pagamento del contributo previsto dall'art. 1, comma 67,
della L. 266/2005 «assume la configurazione di una
condizione di ammissibilità dell'offerta; cioè la mancata
dimostrazione, al momento della presentazione dell'offerta,
dell'avvenuto versamento del predetto contributo costituisce
causa di esclusione dalla procedura di gara e tale omissione
non può essere sanata dopo la scadenza del termine
perentorio di presentazione delle offerte»
[4].[5]
La giurisprudenza ha anche chiarito che «La sanatoria ex
post attraverso la regolarizzazione ex art. 46, d.lgs. n. 163
del 2006, che consentisse ad un concorrente che ha omesso di
adempiere un obbligo costituente condicio iuris
indispensabile per essere ammesso ad una gara inciderebbe
sulla par condicio dei concorrenti in gara che hanno
regolarmente adempiuto all'onere di versamento del
contributo ed inoltre introdurrebbe un elemento di
instabilità e di incertezza nelle procedure di
aggiudicazione collidente con il principio di buon andamento
tutelato a livello costituzionale con l'art. 97 Cost.»
[6].
---------------
[1] «L'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, cui
è riconosciuta autonomia organizzativa e finanziaria, ai
fini della copertura dei costi relativi al proprio
funzionamento di cui al comma 65 determina annualmente
l'ammontare delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti,
pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza, nonché le
relative modalità di riscossione, ivi compreso l'obbligo di
versamento del contributo da parte degli operatori economici
quale condizione di ammissibilità dell'offerta nell'ambito
delle procedure finalizzate alla realizzazione di opere
pubbliche. [...]».
L'obbligo di versamento del contributo in questione,
originariamente previsto per i soli appalti di opere
pubbliche, trova applicazione anche agli appalti di servizi
e forniture, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs.
163/2006, che ha esteso le funzioni di vigilanza dell'Avcp a
tali settori (v. TAR Sardegna-Cagliari, Sez. I, 22.12.2008,
n. 2202; TAR Campania-Salerno, Sez. I, 01.10.2010, n. 11285
e TAR Sicilia-Catania, Sez. II, 01.02.2013, n. 377).
[2] Così TAR Sicilia-Catania, Sez. II, n. 377/2013, cit.. In
precedenza, TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, 01.12.2006, n.
3888, aveva rilevato che l'art. 1, comma 67, della L.
266/2005 «integra norma eterointegrativa dei bandi di gara,
attesa la totale assenza di discrezionalità
dell'amministrazione in ordine alla sua applicabilità ed
efficacia».
[3] V., in particolare, Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici, deliberazione 26.01.2006 (art. 3, comma 2); Avcp deliberazioni 10.01.2007 (art. 3, comma 3), 24.01.2008
(art. 3, comma 2), 01.03.2009 (art. 3, comma 2), 15.02.2010
(art. 4, comma 2), 03.11.2010 (art. 5, comma 2) e 21.12.2011
(art. 3, comma 2); pareri 16.12.2010, n. 225 e 23.03.2011,
n. 58.
[4] Così TAR Sicilia-Catania, Sez. II, n. 377/2013, cit..
[5] Il principio era già stato affermato, tra gli altri, da
TAR Basilicata-Potenza, Sez. I, 14.01.2011, n. 32; TAR
Sardegna-Cagliari, Sez. I, n. 2202/2008, cit..
[6] Così TAR Sicilia-Catania, Sez. II, n. 377/2013, cit.
(13.08.2013 -
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ACQUISTO FORNITURE:
L. n. 228/2012, art. 1, comma 141. Limiti di spesa per
l'acquisto di mobili e arredi.
L'art. 1, comma 141, L. n. 228/2012,
prevede che, ferme restando le misure di contenimento della
spesa già previste dalle vigenti disposizioni, negli anni
2013 e 2014, le amministrazioni pubbliche ivi indicate, tra
cui le amministrazioni locali, non possono effettuare spese
di ammontare superiore al 20% della spesa sostenuta in media
negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi,
salvo che l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle
spese connesse alla conduzione degli immobili.
Il Comune chiede di sapere se trova applicazione nella
Regione Friuli Venezia Giulia la disposizione di cui
all'art. 1, comma 141, L. n. 228/2012 [1]
(Legge di stabilità 2013) e, in caso positivo, se sia da
applicarsi anche nel caso di acquisto di mobili funzionali
al completamento di un'opera pubblica la cui spesa sia
prevista all'interno del quadro economico dell'opera stessa
(l'Ente indica esemplificativamente l'acquisto di banchi e
armadietti nell'ambito di lavori di ampliamento di una
scuola materna).
Sentito il Servizio finanza locale di questa Direzione
centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
Il comma 141 dell'art. 1 della legge di stabilità 2013
stabilisce che «ferme
restando le misure di contenimento della spesa già previste
dalle vigenti disposizioni, negli anni 2013 e 2014 le
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi
dell'articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e
successive modificazioni, [...] non possono effettuare spese
di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta
in media negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e
arredi, salvo che l'acquisto sia funzionale alla riduzione
delle spese connesse alla conduzione degli immobili. In tal
caso il collegio dei revisori di conti verifica
preventivamente i risparmi realizzabili, che devono essere
superiori alla minore spesa derivante dall'attuazione del
presente comma. [...]».
La misura di contenimento della spesa prevista dal comma 141
richiamato riguarda specificamente le amministrazioni
pubbliche inserite nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione come individuate dall'Istituto
nazionale di statistica ai sensi dell'art. 1, comma 3, della
legge 31.12.2009, n. 196.
Ai sensi dell'art. 1, comma 3, richiamato, la ricognizione
delle amministrazioni pubbliche ai fini della applicazione
delle disposizioni in materia di finanza pubblica è operata
annualmente dall'ISTAT con proprio provvedimento pubblicato
annualmente in Gazzetta Ufficiale.
Al riguardo, viene, da ultimo, in considerazione l'elenco di
cui al Comunicato 28.09.2012
[2],
comprendente, per quanto qui di interesse, le
Amministrazioni locali (tra cui, le Regioni e province
autonome, le Province, i Comuni, le Comunità montante e le
Unioni di Comuni).
Si può dunque, affermare l'applicabilità della misura
finanziaria di cui all'art. 1, comma 141, L. n. 228/2012,
anche agli acquisti di mobili e arredi degli enti locali
[3].
Per quanto concerne la possibilità di procedere ad acquisti
di mobili e arredi qualora gli stessi siano funzionali al
completamento di un'opera pubblica e la cui spesa sia stata
prevista all'interno del quadro economico dell'opera stessa,
si osserva che il tenore letterale dell'art. 1, comma 141,
indica un'unica eccezione alla misura di contenimento della
spesa pubblica ivi prevista: l'ipotesi in cui gli acquisti
siano funzionali alla riduzione delle spese connesse alla
conduzione degli immobili [4].
Un'eventuale interpretazione della norma nel senso di
individuare ulteriori ipotesi di salvezza non pertiene a
questo Servizio, dovendo al riguardo intervenire i
competenti organi statali.
Per completezza di esposizione, si segnala che ai sensi
dell'art. 1, comma 165, L. n. 228/2012, 'I limiti di cui
al precedente comma 141 non si applicano agli investimenti
connessi agli interventi speciali realizzati al fine di
promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e
territoriale, di rimuovere gli squilibri economici, sociali,
istituzionali e amministrativi del Paese e di favorire
l'effettivo esercizio dei diritti della persona in
conformità al quinto comma dell'articolo 119 della
Costituzione e finanziati con risorse aggiuntive ai sensi
del decreto legislativo 31.05.2011, n. 88', nell'ambito
dei quali non sembra riconducibile la fattispecie
prospettata dal Comune [5].
---------------
[1] L. 24.12.2012, n. 228, recante: 'Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(Legge di stabilità 2013)'.
[2] ISTAT, Comunicato 28.09.2012, recante: 'Elenco delle
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 3,
della legge 31.12.2009, n. 196 (Legge di contabilità e di
finanza pubblica)'.
[3] Si segnala, comunque, che la Regione FVG ha promosso
ricorso di legittimità costituzionale avverso alcune norme
della L. n. 228/2012, tra cui, per quanto qui di interesse,
l'art. 1, comma 141, in relazione al quale è stata rilevata
la violazione della competenza primaria regionale in materia
di finanza locale, risultante dall'art. 4, n. 1-bis, dello
Statuto FVG, e dall'art. 9, D.Lgs. n. 9/1997, secondo cui
'spetta alla regione disciplinare la finanza locale,
l'ordinamento finanziario e contabile, l'amministrazione del
patrimonio e i contratti degli enti locali', nonché 'la
regione finanzia gli enti locali con oneri a carico del
proprio bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3'.
[4] In tal caso è attribuito al collegio dei revisori di
conti il compito di verificare preventivamente i risparmi
realizzabili, che devono essere superiori alla minore spesa
derivante dall'attuazione del comma in argomento (cfr.
Ministero dell'economia e delle finanze, circolare n. 2 del
05.02.2013).
[5] Cfr. nota di questo Servizio n. 7679 del 07.02.2013,
consultabile all'indirizzo web: http://autonomielocali.regione.fvg.it
(13.08.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI: Database contratti pubblici, il governo ci riprova.
Banca dati dei contratti pubblici, si riprova. La legge di
conversione del «decreto del Fare» ha introdotto un nuovo
articolo, 49-ter, che cerca di rilanciare un'idea di
semplificazione estremamente utile per accorciare le
procedure contrattuali: facilitare la verifica del possesso,
da parte delle ditte aggiudicatarie, dei requisiti necessari
per la stipulazione dei contratti, previsti dagli articoli
38, 41 e 42, del dlgs 163/2006.
L'idea è semplice: invece di chiedere, ad esempio, ai
tribunali la sussistenza di cause di fallimento, invece che
alle province il rispetto della normativa per l'assunzione
dei disabili, che, in assenza della connessione tra le
banche dati pubbliche, sempre evocata ma mai realizzata, si
consente alle amministrazioni di accedere ad un'unica banca
dati.
L'articolo 49-ter, a questo scopo, dispone che «per i
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni a partire da
tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto, la documentazione
comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale,
tecnico-organizzativo ed economico-finanziario è acquisita
esclusivamente attraverso la banca dati di cui all'articolo
6-bis del codice di cui al decreto legislativo 12.04.2006,
n. 163».
In effetti, ai sensi del citato articolo 6-bis, l'Autorità
di vigilanza per i contratti pubblici deve stabilire con
propria deliberazione i dati concernenti la partecipazione
alle gare e la valutazione delle offerte in relazione che
debbono essere inseriti nella banca dati, ma, soprattutto i
termini e le regole tecniche per l'acquisizione,
l'aggiornamento e la consultazione dei predetti dati
contenuti nella Banca dati. Ciò consentirà alle stazioni
appaltanti e agli enti aggiudicatori di verificare il
possesso dei requisiti appunto esclusivamente tramite la
banca dati nazionale dei contratti pubblici. Unico neo
dell'impianto normativo rivitalizzato dal governo Letta è la
circostanza che la banca dati, ai sensi del comma 1
dell'articolo 6-bis del codice dei contratti avrebbe dovuto
entrare in funzione già dal 01.01.2013.
E c'era stato quasi un anno di tempo per organizzare tutto:
l'impianto informatico e le delibere dell'Authority, visto
che l'articolo 6-bis era stato introdotto dall'articolo 20,
comma 1, lettera a), della legge 35/2012, entrata in vigore
nell'aprile dello scorso anno. Se oltre un anno non è stato
sufficiente per attivare uno strumento di semplificazione
vera e non solo teorica, i tre mesi previsti dal «decreto
del Fare» non lasciano oggettivamente ben sperare
(tratto da ItaliaOggi del
13.08.2013). |
APPALTI: Può
essere sanzionata con l’esclusione dalla gara l’offerta che
presenti un margine di incertezza significativo, sia per il
contenuto intrinseco della stessa, sia in relazione
all’oggetto dell’appalto: analogamente, sono da ritenere
essenziali quegli elementi dell’offerta atti ad incidere in
maniera significativa sul contenuto della stessa, tanto che
la loro mancanza renda l’offerta non soddisfacente rispetto
alle richieste della stazione appaltante.
---------------
Il Collegio è consapevole dell’indirizzo che afferma la
necessità dell’esclusione del concorrente il quale abbia
omesso la sottoscrizione dell’offerta tecnica –la quale non
è negozialmente imputabile ad alcuno– mentre la mancata
esplicita previsione di tale carenza tra le cause di
esclusione è irrilevante “trattandosi di mancanza di un
elemento essenziale dell’offerta che anche nell’attuale
assetto normativo disegnato dall’attuale art. 46, comma
1-bis, del Codice appalti, in cui è stato codificato il
principio di tassatività delle cause di esclusione, rileva
quale causa di estromissione del concorrente dalla gara
d’appalto”.
In altri termini, “la mancata sottoscrizione dell’offerta
tecnica, che costituisce uno dei documenti integranti la
domanda di partecipazione alla gara, non può essere
considerata, in via di principio, un'irregolarità solo
formale sanabile nel corso del procedimento, atteso che essa
fa venire meno la certezza della provenienza e della piena
assunzione di responsabilità in ordine ai contenuti della
dichiarazione nel suo complesso: …la sottoscrizione di un
documento è lo strumento mediante il quale l'autore fa
propria la dichiarazione anteposta contenuta nello stesso,
consentendo così non solo di risalire alla paternità
dell'atto, ma anche di rendere l'atto vincolante verso i
terzi destinatari della manifestazione di volontà”.
E’ stato, altresì, rimarcato che la sottoscrizione
dell'offerta di gara “si configura come lo strumento
mediante il quale l'autore fa propria la dichiarazione
contenuta nel documento, serve a rendere nota la paternità
ed a vincolare l'autore alla manifestazione di volontà in
esso contenuta. Essa assolve la funzione di assicurare
provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità
dell'offerta e costituisce elemento essenziale per la sua
ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello
sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti
dell'offerta come dichiarazione di volontà volta alla
costituzione di un rapporto giuridico. La sua mancanza
inficia, pertanto, la validità e la ricevibilità della
manifestazione di volontà contenuta nell'offerta senza che
sia necessaria, ai fini dell'esclusione, una espressa
previsione della legge di gara” (Consiglio di Stato ha
ritenuto che “per “sottoscrizione” debba intendersi la firma
in calce, e che questa nemmeno può essere sostituita dalla
sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti quella
conclusiva della dichiarazione stessa”).
---------------
I principi del favor partecipationis e della tutela
dell’affidamento vietano l'esclusione di un’impresa che
abbia fatto affidamento sul bando di gara e sui relativi
allegati, compilando l’offerta in conformità al facsimile
all’uopo approntato dalla stazione appaltante: è stato
precisato che il concorrente il quale abbia puntualmente
seguito le indicazioni fornite dall’Ente aggiudicatore nella
legge di gara e nella modulistica ufficiale non può subire
per questo un danno, dovendo prevalere, a fonte di
un'oggettiva incertezza ingenerata dagli atti predisposti
dall’amministrazione e della buona fede che va riconosciuta
al concorrente, il principio del favor partecipationis.
In buona sostanza, nessuna esclusione può essere disposta
sulla scorta di una lacuna formale indotta
dall’amministrazione nella predisposizione degli atti di
gara e che, qualora fosse accompagnata da un’applicazione
formalistica della normativa, avrebbe l'unico risultato,
contrario alla ratio prima ancora che alla lettera della
disciplina degli appalti, di un fattivo quanto inammissibile
restringimento della concorrenza in assenza di qualsivoglia
lesione sostanziale.
In linea generale, con riferimento all’evocato art. 46,
comma 1-bis, del dlgs 163/2206 sull’incertezza assoluta sul
contenuto o sulla provenienza dell’offerta, occorre
sottolineare che la citata disposizione va letta nel senso
che può essere sanzionata con l’esclusione dalla gara
l’offerta che presenti un margine di incertezza
significativo, sia per il contenuto intrinseco della stessa,
sia in relazione all’oggetto dell’appalto: analogamente,
sono da ritenere essenziali quegli elementi dell’offerta
atti ad incidere in maniera significativa sul contenuto
della stessa, tanto che la loro mancanza renda l’offerta non
soddisfacente rispetto alle richieste della stazione
appaltante (TAR Puglia Lecce, sez. II – 06/03/2013 n. 472).
Sul punto specifico oggetto di ricorso, il Collegio è
consapevole dell’indirizzo che afferma la necessità
dell’esclusione del concorrente il quale abbia omesso la
sottoscrizione dell’offerta tecnica –la quale non è
negozialmente imputabile ad alcuno– mentre la mancata
esplicita previsione di tale carenza tra le cause di
esclusione è irrilevante “trattandosi di mancanza di un
elemento essenziale dell’offerta che anche nell’attuale
assetto normativo disegnato dall’attuale art. 46, comma
1-bis, del Codice appalti, in cui è stato codificato il
principio di tassatività delle cause di esclusione, rileva
quale causa di estromissione del concorrente dalla gara
d’appalto” (Consiglio di Stato, sez. V – 21/06/2012 n.
3669).
In altri termini, “la mancata sottoscrizione dell’offerta
tecnica, che costituisce uno dei documenti integranti la
domanda di partecipazione alla gara, non può essere
considerata, in via di principio, un'irregolarità solo
formale sanabile nel corso del procedimento, atteso che essa
fa venire meno la certezza della provenienza e della piena
assunzione di responsabilità in ordine ai contenuti della
dichiarazione nel suo complesso: …la sottoscrizione di un
documento è lo strumento mediante il quale l'autore fa
propria la dichiarazione anteposta contenuta nello stesso,
consentendo così non solo di risalire alla paternità
dell'atto, ma anche di rendere l'atto vincolante verso i
terzi destinatari della manifestazione di volontà” (TAR
Puglia Lecce, sez. III – 30/04/2013 n. 990).
E’ stato, altresì, rimarcato che la sottoscrizione
dell'offerta di gara “si configura come lo strumento
mediante il quale l'autore fa propria la dichiarazione
contenuta nel documento, serve a rendere nota la paternità
ed a vincolare l'autore alla manifestazione di volontà in
esso contenuta. Essa assolve la funzione di assicurare
provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità
dell'offerta e costituisce elemento essenziale per la sua
ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello
sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti
dell'offerta come dichiarazione di volontà volta alla
costituzione di un rapporto giuridico. La sua mancanza
inficia, pertanto, la validità e la ricevibilità della
manifestazione di volontà contenuta nell'offerta senza che
sia necessaria, ai fini dell'esclusione, una espressa
previsione della legge di gara” (Consiglio di Stato,
sez. V – 20/04/2012 n. 2317, che ha richiamato sez. V –
25/01/2011 n. 528 e sez. V – 07/11/2008 n. 5547, e ha
ritenuto che “per “sottoscrizione” debba intendersi la
firma in calce, e che questa nemmeno può essere sostituita
dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti
quella conclusiva della dichiarazione stessa”).
---------------
La recente
giurisprudenza (cfr. TAR Abruzzo Pescara – 24/02/2012 n. 86,
richiamata da questa Sezione nella sentenza 10/05/2012 n.
814; TAR Piemonte, sez. I – 08/05/2013 n. 576; TAR Campania
Napoli, sez. VIII – 11/04/2013 n. 1911; TAR Puglia Lecce,
sez. II – 01/02/2013 n. 274) è dell’avviso che i principi
del favor partecipationis e della tutela
dell’affidamento vietano l'esclusione di un’impresa che
abbia fatto affidamento sul bando di gara e sui relativi
allegati, compilando l’offerta in conformità al facsimile
all’uopo approntato dalla stazione appaltante: è stato
precisato che il concorrente il quale abbia puntualmente
seguito le indicazioni fornite dall’Ente aggiudicatore nella
legge di gara e nella modulistica ufficiale non può subire
per questo un danno, dovendo prevalere, a fonte di
un'oggettiva incertezza ingenerata dagli atti predisposti
dall’amministrazione e della buona fede che va riconosciuta
al concorrente, il principio del favor partecipationis.
In buona sostanza, nessuna esclusione può essere disposta
sulla scorta di una lacuna formale indotta
dall’amministrazione nella predisposizione degli atti di
gara e che, qualora fosse accompagnata da un’applicazione
formalistica della normativa, avrebbe l'unico risultato,
contrario alla ratio prima ancora che alla lettera
della disciplina degli appalti, di un fattivo quanto
inammissibile restringimento della concorrenza in assenza di
qualsivoglia lesione sostanziale (cfr. TAR Piemonte, sez. I
– 09/01/2012 n. 5) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 08.08.2013 n. 727 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
08.08.2013 n. 185
"Modifiche agli articoli 3 e 6 del decreto 26.02. 2013,
in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di
attuazione delle opere pubbliche" (Ministero
dell'Economia e delle Finanze,
decreto 01.08.2013). |
APPALTI SERVIZI: Il Codice dei contratti non si applica a tappeto.
Concessione di servizio pubblico, la
tesi dell'adunanza plenaria del consiglio di stato.
In una concessione di servizio pubblico non tutte le norme
del Codice dei contratti pubblici sono applicabili, ma solo
quelle in materia di scelta del contraente, oltre ai
principi generali di trasparenza, adeguata pubblicità, non
discriminazione, parità di trattamento; legittimo applicare
una disciplina unitaria quando l'affidamento riguarda sia
servizi oggetto di concessione, sia servizi affidabili con
un appalto, evitando di differenziare le clausole del bando
di gara.
Lo afferma l'Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato con la
sentenza 06.08.2013 n. 19.
La questione riguarda la
legittimità della definizione della cauzione provvisoria
determinata, ex art. 75 del Codice dei contratti, con
riguardo al valore totale del concessione (e non invece
nella somma dei valori percentuali spettanti al
concessionario a titolo di aggio per il servizio di
biglietteria e per gli altri servizi) e della richiesta
nella lettera di offerta della dichiarazione con la quale i
concorrenti si impegnano «a garantire la continuità dei
rapporti di lavoro in essere al momento del subentro (c.d.
clausola sociale). Ad avviso dell'adunanza plenaria nulla
osta «a che un determinato rapporto sia considerato, a
determinati fini, in modo unitario, se è la legge a indicare
la forma giuridica, e quindi il regime, cui il rapporto deve
soggiacere».
Pertanto se l'amministrazione sceglie il
sistema della gestione indiretta tramite concessione (ex
art. 115, comma del dlgs 42/2004), non risulta irragionevole
che le garanzie, richieste al concessionario, siano
commisurate, a norma dell'art. 75 del codice dei contratti
pubblici, sull'intero valore del rapporto.
Però non tutte le
norme del codice sono applicabili alle concessioni di
servizi. Ne consegue che l'applicabilità di disposizioni
legislative specifiche, come la clausola sociale, si può
affermare nei limiti in cui esse trovino la propria ratio
immediata nei suddetti principi, sia pure modulati al
servizio di esigenze più particolari
(articolo ItaliaOggi del 13.09.2013).
---------------
massima
►
In relazione alla procedura di affidamento della concessione
del servizio di gestione di scavi archeologici, ai sensi
dell’art. 75 del Codice dei contratti pubblici, per il quale
l’importo della garanzia a corredo dell’offerta deve essere
‘pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o
nell’invito’, è legittima la clausola della ‘lettera di
richiesta di offerta vincolante’ –pur se non indicata nella
precedente sollecitazione a presentare le offerte– che
commisura tale percentuale all’intero valore economico della
concessione e non soltanto agli introiti ricavati dalla
vendita dei biglietti.
►
In relazione alla procedura di affidamento della concessione
del servizio di gestione di scavi archeologici, ai sensi
dell’art. 30, comma 1, e dell’art. 69 del Codice dei
contratti pubblici è legittima la clausola della ‘lettera di
richiesta di offerta vincolante’ che, a pena di esclusione,
impone ai concorrenti di rendere una dichiarazione con la
quale essi si impegnano ‘a garantire la continuità dei
rapporti di lavoro in essere al momento del subentro, con
esclusione di ulteriori periodi di prova, di tutto il
personale già impiegato nei servizi oggetto della presente
concessione in esecuzione di precedenti convenzioni e
riportato nell’apposito Allegato 1’ (cosi detta ‘clausola
sociale’). |
LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO:
Oggetto: Istruzioni e linee guida per la fornitura e posa
in opera di segnaletica stradale (Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti,
nota
05.08.2013 n. 4867 di prot.).
---------------
Un
freno dai Trasporti alla segnaletica creativa.
La segnaletica stradale deve essere uniforme e adeguata alle
direttive ministeriali. Sono quindi fuori legge tutte le
iniziative locali finalizzate a valorizzare un
attraversamento pedonale o un incrocio senza il rispetto
delle specifiche tecniche richieste dalla normativa.
Lo ha chiarito il Ministero dei trasporti con la
circolare 05.08.2013 n. 4867 di prot. avente per oggetto «istruzioni
e linee guida per la fornitura e posa in opera di
segnaletica stradale».
Nonostante l'art. 38/6° del codice
stradale richiami chiaramente la necessaria uniformità della
segnaletica stradale sono tanti gli enti proprietari delle
strade che in questi anni hanno intrapreso scelte originali
spesso molto censurabili.
Nonostante le continue e ripetute
diffide e due direttive ad hoc del 24.10.2000 e del 27.04.2006 la questione è ancora molto combattuta per cui
il ministero ha ritenuto opportuno riepilogare tutta la
disciplina in materia alla luce del regolamento 305/2011/Ue
che dal 1° luglio ha definitivamente sostituito la direttiva
89/106/Ce. In particolare ai sensi di questa dettagliata
disposizione normativa ora tutta la segnaletica verticale
deve essere marcata Ce e deve rispondere a specifiche
tecniche ad hoc richiamate anche dall'art. 63 del codice
degli appalti.
Per quanto non coperto da norme armonizzate,
prosegue la nota centrale, restano valide le norme nazionali
per esempio circa i vincoli e le modalità di impiego dei
segnali e dei dispositivi contemplati nell'art. 45/6° del
codice stradale per i quali è obbligatorio ricorrere a
prodotti omologati o approvati. È il caso per esempio della
segnaletica temporanea di cantiere, dei segnali
complementari previsti dall'art. 42 Cds (tra cui i
dispositivi destinati ad impedire la sosta o limitare la
velocità) e tutti gli altri dispositivi analoghi previsti
dal regolamento stradale.
La questione sulla corretta e uniforme applicazione delle
norme in materia di segnaletica però è già stata
adeguatamente approfondita in particolare dalla direttiva
del 27.04.2006 che per la prima volta viene ufficializzata
dopo un periodo di grande incertezza sull'ufficialità della
stessa
(articolo ItaliaOggi del 22.08.2013). |
APPALTI:
Nella materia del
risarcimento per il mancato affidamento delle gare d'appalto
non è necessario provare la colpa dell'Amministrazione
aggiudicatrice. La domanda va anzitutto riferita al mancato
guadagno derivato a carico della ricorrente dalla mancata
effettuazione dei lavori e servizi dedotti nel cottimo
fiduciario (ed eseguiti dalla controinteressata) dal momento
in cui gli stessi sono stati conferiti alla seconda
classificata.
Poiché nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti
pubblici il risarcimento del danno conseguente a lucro
cessante (cioè al mancato profitto che l'impresa avrebbe
ricavato dall'esecuzione dell'appalto) non va calcolato
utilizzando il criterio forfetario del 10% del prezzo a base
d'asta (cfr. Cons. St. cit.) il collegio ritiene che la
percentuale di utile su cui detto risarcimento dovrà essere
calcolato deve essere quella che l’impresa ricorrente ha
indicato nelle proprie giustificazioni, presentate ai fini
della verifica di non anomalia, a sostegno dell’offerta
economica presentata in sede di procedura aperta (attesa la
riconducibilità dei lavori dati a cottimo all’oggetto
dell’appalto principale); ove tale dato fosse assente negli
atti di gara, si indica come criterio da osservare da parte
dell’amministrazione quello della prova rigorosa che
l'impresa deve dare dell'utile che effettivamente avrebbe
conseguito ove fosse risultata aggiudicataria.
---------------
Il mancato svolgimento dei lavori eseguiti dalla
controinteressata a titolo di cottimo fiduciario e quelli,
viceversa rimasti ineseguiti, dell’appalto principale,
determinano anche danni cd. curriculari.
In tema di gara d'appalto, l'esistenza del danno curriculare
può essere pragmaticamente ritenuta in re ipsa, in una certa
contenuta misura, in quanto insita nel fatto stesso
dell'impossibilità di utilizzare le referenze derivanti
dall'esecuzione dell'appalto in controversia nell'ambito di
futuri procedimenti simili cui la stessa ricorrente potrebbe
partecipare, con la precisazione che il soggetto economico
non può dirsi gravato, a questo proposito, da alcun
particolare onere probatorio, che condizionerebbe soltanto
l'accesso per la stessa voce ad un risarcimento più elevato.
Detti danni, ad avviso del collegio, ciascuno in relazione
al rispettivo titolo giustificativo, possono essere
determinati, in via equitativa, nella misura del 3% di
ciascun lucro cessante che verrà liquidato dall’Azienda.
Anche in questo caso, la sorte capitale dovrà essere ridotta
del 40% avuto riguardo al concorso colposo del ricorrente
nella determinazione dei danni per effetto della richiamata
omessa contestazione della revoca della SOA per le categorie
di lavori necessarie per l’esecuzione dell’appalto. Gli
importi così determinati dovranno comunque essere liquidati
solo previo calcolo di interessi e rivalutazione monetaria.
Come è noto,
nella materia del risarcimento per il mancato affidamento
delle gare d'appalto non è necessario provare la colpa
dell'Amministrazione aggiudicatrice (cfr. fra le recenti
Cons. St., V, 21/06/2013 n. 3397). La domanda va anzitutto
riferita al mancato guadagno derivato a carico della
ricorrente dalla mancata effettuazione dei lavori e servizi
dedotti nel cottimo fiduciario (ed eseguiti dalla controinteressata) dal momento in cui gli stessi sono stati
conferiti alla seconda classificata.
Poiché nelle procedure
per l'aggiudicazione di appalti pubblici il risarcimento del
danno conseguente a lucro cessante (cioè al mancato profitto
che l'impresa avrebbe ricavato dall'esecuzione dell'appalto)
non va calcolato utilizzando il criterio forfetario del 10%
del prezzo a base d'asta (cfr. Cons. St. cit.) il collegio
ritiene che la percentuale di utile su cui detto
risarcimento dovrà essere calcolato deve essere quella che
l’impresa ricorrente ha indicato nelle proprie
giustificazioni, presentate ai fini della verifica di non
anomalia, a sostegno dell’offerta economica presentata in
sede di procedura aperta (attesa la riconducibilità dei
lavori dati a cottimo all’oggetto dell’appalto principale);
ove tale dato fosse assente negli atti di gara, si indica
come criterio da osservare da parte dell’amministrazione
quello della prova rigorosa che l'impresa deve dare
dell'utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse
risultata aggiudicataria.
Tale prova, nell’eventualità di
cui sopra, dovrà essere resa dalla ricorrente all’ATER su
richiesta di quest’ultima. L’importo, una volta determinato,
in applicazione dei principi di cui agli artt. 30, co. 3,
c.p.a. e 1227 c.c., va poi tuttavia ridotto del 40% atteso
che la ricorrente ha omesso di promuovere qualsiasi azione
giurisdizionale avverso la disposta statuizione di revoca
della SOA benché fin dal maggio 2012 fosse intervenuta la
tutela cautelare da parte del Consiglio di Stato. In ogni
caso la somma da risarcire dovrà essere aumentata di
interessi e rivalutazione.
I criteri fin qui esposti vanno applicati -a fortiori- anche
per il computo del risarcimento del mancato guadagno con
riferimento all’appalto principale di cui la ricorrente era
risultata aggiudicataria e che per effetto dell’illegittimo
atto di autotutela adottato dall’ATER non le è più possibile
eseguire.
---------------
Il mancato svolgimento dei lavori eseguiti dalla
controinteressata a titolo di cottimo fiduciario e quelli,
viceversa rimasti ineseguiti, dell’appalto principale,
determinano anche danni cd. curriculari. In tema di gara
d'appalto, l'esistenza del danno curriculare può essere
pragmaticamente ritenuta in re ipsa, in una certa contenuta
misura, in quanto insita nel fatto stesso dell'impossibilità
di utilizzare le referenze derivanti dall'esecuzione
dell'appalto in controversia nell'ambito di futuri
procedimenti simili cui la stessa ricorrente potrebbe
partecipare, con la precisazione che il soggetto economico
non può dirsi gravato, a questo proposito, da alcun
particolare onere probatorio, che condizionerebbe soltanto
l'accesso per la stessa voce ad un risarcimento più elevato
(cfr. Cons. St., V, 5846 - 19.11.2012).
Detti danni,
ad avviso del collegio, ciascuno in relazione al rispettivo
titolo giustificativo, possono essere determinati, in via
equitativa, nella misura del 3% di ciascun lucro cessante
che verrà liquidato dall’Azienda. Anche in questo caso, la
sorte capitale dovrà essere ridotta del 40% avuto riguardo
al concorso colposo del ricorrente nella determinazione dei
danni per effetto della richiamata omessa contestazione
della revoca della SOA per le categorie di lavori necessarie
per l’esecuzione dell’appalto. Gli importi così determinati
dovranno comunque essere liquidati solo previo calcolo di
interessi e rivalutazione monetaria (TAR
Basilicata,
sentenza 03.08.2013 n. 486 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Dl fare, Durt verso la cancellazione. Manager, tetto agli
stipendi a due vie.
Si va verso la cancellazione al senato del Durt, il
documento unico di regolarità tributaria introdotto nel dl
fare alla camera.
La conferma è arrivata da uno dei relatori
al decreto, il senatore Paolo Guerrieri Paleotti (Pd). «Il
governo», ha affermato, «dovrà prendere atto che l'intero
arco di forze politiche ritiene che questo emendamento, non
per gli obiettivi ma per il modo in cui li persegue, vada
cancellato. Non si può, per un provvedimento che si prefigge
di semplificare la vita degli imprenditori, complicargliela
ulteriormente».
Per il tetto ai compensi dei manager pubblici arriva un
sistema differenziato per le società non quotate controllate
da società con titoli quotati rispetto a quelle controllate
da società emittenti altri strumenti finanziari.
Lo prevede un emendamento del governo depositato nelle
commissioni affari costituzionali e bilancio di palazzo
Madama, che corregge una disposizione introdotta dalla
camera. La norma prevede che il tetto ai compensi dei
manager non si applica soltanto alle società controllate da
capogruppo con titoli azionari quotati. Il relatore ha
spiegato che si sta lavorando anche sul tema della base
degli operatori che hanno accesso alle garanzie per il
credito.
In particolare sulla possibilità che la base sia
ulteriormente allargata ad altri comparti, come per esempio
quelli dell'agricoltura, della pesca e piccole imprese.
Altro tema importante riguarda le agevolazioni per chi
acquista beni strumentali tra cui potrebbero rientrare anche
beni non tangibili come il software
(articolo ItaliaOggi del 03.08.2013). |
APPALTI:
Appalti, diventa obbligatoria l'anticipazione del 10%.
FONDI UE AL PIANO CITTÀ/ Sarà la Conferenza delle Regioni a
definire una lista di progetti urbani cui si potranno
destinare i fondi comunitari a rischio spesa.
Torna nella notte al Senato, in commissione Bilancio, la
discussione sull'anticipazione del 10% per gli appalti di
lavori pubblici. La Camera l'aveva reintrodotta, eliminando
il divieto imposto fin dalla legge Merloni ma lasciando al
tempo stesso alle amministrazioni appaltanti la scelta
discrezionale di applicarla o meno. Ora a Palazzo Madama si
affaccia un emendamento, concordato dai relatori con i
gruppi di maggioranza e il Governo, che esclude la
facoltatività per passare invece a un regime obbligatorio.
Nel testo le parole «è possibile» vengono sostituite con le
parole «è prevista» e, quel che è più rilevante, viene
soppressa la condizione introdotta dalla Camera che
l'anticipazione si sarebbe pagata «purché la stessa sia già
prevista e pubblicizzata nella gara di appalto».
L'amministrazione non potrebbe più aggirare ora l'istituto
reintrodotto limitandosi a non segnalarlo nel bando di gara.
L'emendamento possiede anche il timbro esplicito della
Ragioneria generale che aveva una perplessità specifica per
gli appalti di durata pluriennale. In passato,
l'anticipazione data dall'amministrazione pubblica
all'impresa per avviare il cantiere veniva poi riassorbita
nell'arco dei pagamenti dei primi due anni. La Ragioneria
generale temeva che l'anticipazione potesse comportare anche
una maggiore erogazione di cassa nell'anno in corso rispetto
alle previsioni di spesa. Per questo ha preteso
l'inserimento nel testo di un paletto che mette al riparo da
questo rischio. «Nel caso di contratti di appalto relativi a
lavori di durata pluriennale -afferma l'emendamento-
l'anticipazione va compensata fino alla concorrenza
dell'importo sui pagamenti effettuati nel corso del primo
anno contabile».
Il problema sollevato potrebbe riproporsi qualora il
contratto di appalto fosse sottoscritto nell'ultimo
trimestre dell'anno. In questo caso -afferma un comma
ulteriormente aggiunto alla disposizione- «l'anticipazione
è effettuata nel primo mese dell'anno successivo ed è
compensata nel corso del medesimo anno contabile». Una
posizione più rigida di quella presente in tutti gli
emendamenti di origine parlamentare che ammettevano il
pagamento nell'ultimo trimestre dell'anno ma solo fino a un
importo di 90,8 milioni. La cifra corrisponde alle risorse
previste nella legge di stabilità 2013 per l'allentamento
del patto di stabilità interno, ma non utilizzate dalle
Regioni entro la data del 30.06.2013.
Su un altro emendamento in materia di infrastrutture si
registra una larga convergenza tra forze politiche di
maggioranza, relatori e Governo. È la modifica all'articolo
9 che prevede la destinazione ai progetti del «piano città»
non ancora finanziati dei fondi Ue a rischio di spesa nella
fase finale della programmazione 2007-2013.
Nel testo della
Camera si prevedevano «accordi diretti» fra le «autorità di
gestione dei programmi operativi» e i singoli comuni,
scavalcando di fatto le Regioni e senza una priorità chiara
fra i progetti. Ora verrebbe reintrodotto il livello
regionale: sarà la Conferenza delle regioni a stilare, entro
90 giorni, una lista di possibili interventi dotati delle
caratteristiche tecnico-finanziarie di ammissibilità (articolo Il Sole 24 Ore del 03.08.2013). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Cosa si intende per legittimo affidamento nel rapporto con
la P.A.?
Domanda
Nel nostro ordinamento vige il principio comunitario di
tutela del legittimo affidamento che presuppone
l'affidamento ragionevole generato da un precedente
comportamento dell'amministrazione pubblica, e la
correlativa tutela è funzionale alla protezione di
situazioni consolidate contro revoche di atti amministrativi
ampliativi o attributivi di benefici economici, i cui
effetti siano stati acquisiti dal privato in buona fede.
Risposta
Una particolare disciplina di tale istituto è stata
introdotta nella L. 27.07.2000, n. 212 "Disposizioni in
materia di statuto dei diritti del contribuente" il cui
articolo 10 è dedicato alla "Tutela dell'affidamento e
della buona fede. Errori del contribuente".
La norma prevede che i rapporti tra contribuente e
amministrazione finanziaria siano improntati al principio
della collaborazione e della buona fede.
Ne consegue che non sono irrogate sanzioni né richiesti
interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia
conformato a indicazioni contenute in atti
dell'Amministrazione finanziaria, ancorché successivamente
modificate dall'Amministrazione medesima, o qualora il suo
comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti
direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori
dell'amministrazione stessa.
Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione
dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata
e sull'ambito di applicazione della norma tributaria o
quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun
debito di imposta.
La giurisprudenza (Cass. civ. Sez. V, 03.07.2013, n. 16692)
ha già dato attuazione a tale principio in vari ambiti, ad
esempio con riferimento alle circolari ministeriali in
materia tributaria che non costituiscono fonte di diritti ed
obblighi, per cui, qualora il contribuente si sia conformato
ad un'interpretazione erronea fornita dall'Amministrazione
in una circolare, è esclusa l'irrogazione delle relative
sanzioni, in base al principio di tutela dell'affidamento.
In senso opposto (Cons. Stato Sez. III, 24.05.2013, n. 2838)
si è ritenuto che nelle gare pubbliche d'appalto
l'aggiudicazione provvisoria, quale atto endoprocedimentale,
è inidonea ad ingenerare il legittimo affidamento che impone
l'instaurazione del contraddittorio procedimentale prima
della revoca in autotutela (01.08.2013 - tratto da
www.ipsoa.it). |
luglio 2013 |
|
APPALTI:
L'obbligo di seduta pubblica, per la fase di
apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche, va
ritenuto operativo solo per le gare indette dopo l'entrata
in vigore dell'art. 12 del d.l. 07.05.2012 n. 52.
Sulla questione riguardante l'applicazione, anche alle
procedure che si erano svolte prima della decisione
dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 13 del
28/07/2011 (e dell'emanazione dell'art. 12 del d.l.
07/07/2012 n. 52), del principio secondo il quale (anche)
l'apertura delle buste contenenti le offerte tecniche deve
avvenire in seduta pubblica, si è recentemente espressa di
nuovo l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con le
decisioni n. 8 del 22/04/2013 e n. 16 del 27/06/2013, ha
affermato l'ulteriore principio secondo cui l'obbligo di
seduta pubblica, per la fase di apertura dei plichi
contenenti le offerte tecniche, va ritenuto operativo solo
per le gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art. 12
del d.l. 07/05/2012 n. 52, conv., con modif., dalla l.
06/07/2012 n. 94, non potendo ritenersi applicabile anche
alle gare indette prima di tale data.
Infatti il citato art. 12 non ha portata ricognitiva del
principio affermato con la pronuncia dell'Adunanza Plenaria
n. 13 del 2011, ma ha la specifica funzione transitoria di
salvaguardare gli effetti delle procedure concluse o
pendenti alla data del 09/05/2012, nelle quali si sia
proceduto all'apertura dei plichi in seduta riservata,
recando in sostanza, per questo aspetto, una sanatoria di
tali procedure.
Del resto, come affermato dall'Adunanza Plenaria, il
riconoscimento della natura sanante del suddetto art. 12 "è
diretto a contenere gli oneri amministrativi ed economici
che deriverebbero della caducazione, altrimenti inevitabile,
di centinaia di gare che, diversamente, sarebbero di fatto
travolte per il mero mancato rispetto dei canoni di
pubblicità dell'apertura dei plichi contenenti le offerte
tecniche, in assenza di qualsivoglia indizio circa la
manomissione o l'occultamento degli stessi da parte
dell'amministrazione" (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 31.07.2013 n. 4037 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
La qualità di associazione di protezione
ambientale non legittima il Codacons al ricorso proposto in
ordine alla sponsorizzazione del restauro sull'Anfiteatro
Flavio di Roma, più comunemente noto come "Colosseo".
Secondo un indirizzo giurisprudenziale le associazioni
ambientaliste sarebbero legittimate a ricorrere in sede
giurisdizionale, anche con riferimento ai beni culturali ed
agli strumenti urbanistici, tenuto conto della nozione
allargata di "ambiente" come complesso dei valori che
caratterizzano il territorio. Tuttavia, il sistema normativo
vigente, è fondato su una distinta scansione concettuale tra
patrimonio culturale e ambiente.
La Costituzione accomuna nella tutela di cui all'art. 9
paesaggio e patrimonio storico e artistico (vale a dire il
patrimonio culturale come definito nel codice di cui al
d.lgs. n. 42/2004) e invece designa separatamente, tra le
materie di competenza esclusiva dello Stato, le funzioni di
tutela dell'ambiente e dei beni culturali (art. 117, c. 2,
lett. s) e, tra le materie di competenza concorrente (art.
117, c. 3), le funzioni di valorizzazione dei beni
ambientali e culturali. In sintesi, quindi, l'ambiente è un
bene immateriale unitario ma vi sono sue componenti che sono
oggetto di disciplina, cura e tutela isolatamente e
separatamente: tra queste, i beni culturali.
Ciò che occorre distinguere, al fine di valutare l'ambito
della legittimazione a ricorrere delle associazioni di
protezione ambientale, è se l'interesse fatto valere attenga
all'ambiente inteso unitariamente ovvero al singolo bene
culturale considerato isolatamente e separatamente.
Nel caso di specie, non viene in considerazione il possibile
impatto che piani, programmi o progetti possono avere sul
patrimonio culturale, né qualsiasi altro fatto che rientri
nella funzione di tutela dell'ambiente. Viene invece in
considerazione un intervento su beni culturali pubblici, che
l'Amministrazione dei beni culturali governa con lo
strumento dell'autorizzazione ai sensi degli artt. 21 e 24
del d.lgs. n. 42/2004; in particolare, un intervento di
restauro, ossia di "intervento diretto sul bene
attraverso un complesso di operazioni finalizzate
all'integrità materiale ed al recupero del bene medesimo,
alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori
culturali" (art. 29, c. 4, d.lgs. n. 42/2004), anzi, un
contratto di sponsorizzazione stipulato in vista del
restauro di un bene culturale: un fatto, dunque, che rientra
nella funzione di tutela non dell'ambiente, ma dei beni
culturali.
La qualità di associazione di protezione ambientale non
legittimava, quindi, il Codacons al ricorso proposto in
ordine alla sponsorizzazione del restauro sull'Anfiteatro
Flavio di Roma, più comunemente noto come "Colosseo"
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 31.07.2013 n. 4034 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Durt, il senato corre ai ripari.
L'obiettivo è quello di tornare alle origini della norma. Il
presidente della VI Commissione di Palazzo Madama spiega i
lavori sul decreto del fare.
Revisione del Durt. Dilazione del debito tributario in 10
anni anche per i soggetti che aderiscono agli istituti
deflattivi del contenzioso. Reinserimento del tetto ai
compensi dei manager che gestiscono aziende che forniscono
servizi pubblici. Abolizione della norma che blocca i
rimborsi Iva per i tour operator extra Ue.
Queste le principali modifiche che la Commissione finanze
del senato, intende apportare al cosiddetto decreto del
fare, il dl 69/2013, approvato la scorsa settimana dalla
camera e trasmesso a Palazzo Madama.
Il problema Durt (Documento unico di regolarità tributaria).
Il senato deve correre ai ripari. Questo il grido di allarme
che Palazzo Madama è stato, chiamato a raccogliere nel più
breve tempo possibile. E così è stato. A tale richiesta,
infatti, non ha tardato ad arrivare la risposta da parte del
presidente della Commissione finanze del senato, Mauro Maria
Marino: «ridimensionare il Durt è il nostro obiettivo
principale. Non è, infatti, possibile che una norma nata con
il preciso scopo di agevolare le imprese che già versano in
situazione di difficoltà sia diventata una sorta di tranello
del diavolo, utile solo a complicare gli adempimenti
burocratici».
Una precisa dichiarazione di intenti, quindi,
che lascia capire la volontà di voler porre rimedio il prima
possibile a una situazione che, altrimenti, sarebbe
insostenibile per le imprese della filiera degli appalti. Il
mancato possesso del Durt da parte del subappaltatore
impedisce, infatti, all'appaltatore di effettuare i
pagamenti dovuti. Requisito di base per ottenere il Durt da
parte dell'Agenzia delle entrate è l'essere in regola con i
pagamenti fiscali.
Rateizzazione del debito. Possibilità in vista anche per i
contribuenti che decideranno di usufruire di un istituto
deflattivo del contenzioso. A oggi, l'art. 52 del decreto
del fare, prevede che i contribuenti che versano in
difficoltà economiche, possano chiedere la dilazione del
pagamento dei propri debiti tributari fino a 120 rate
mensili, ovvero fino a 10 anni. La stessa possibilità però
non è prevista per chi decide di usufruire dell'accertamento
con adesione. Obiettivo della Commissione finanze del
senato, quindi, quello di estendere la possibilità di
usufruire delle 120 rate mensili anche a quei contribuenti
che abbiano optato per l'istituto deflattivo del
contenzioso. «Siamo estremamente soddisfatti del lavoro che
la camera ha fatto su questa norma», ha dichiarato a ItaliaOggi il presidente Marino, «ma riteniamo che il lavoro
potrà dirsi completo solo con questo ampliamento».
Gli stipendi dei manager. Se durante i lavori alla camera
era saltata, o meglio, era stata sbagliata la trascrizione
della norma relativa al tetto sugli stipendi d'oro dei
manager pubblici, è intenzione del senato farla tornare alle
origini. Durante il passaggio del testo dalle Commissioni
all'aula di Montecitorio, all'interno della disposizione
contenente la norma sul tetto agli stipendi dei manager era,
infatti, stato inserito un «non» di troppo che vanifica
l'intento della disposizione. «Riteniamo importante», ha
sottolineato Marino, «che tutti i manager, anche quelli
delle società non quotate che erogano servizi pubblici,
debbano avere un tetto ai loro compensi, così come avviene
per gli altri amministratori delle società non quotate che
possono arrivare al massimo a 300 mila euro».
Iva. Tra gli obiettivi del senato, infine, anche quello di
abolire la norma che impedisce ai tour operator extra Ue di
poter usufruire dei rimborsi Iva in caso di acquisto in
Italia di beni e servizi per i lori clienti. «La
disposizione, così come strutturata, è controproducente
perché limita il settore turistico che per il nostro paese è
vitale, ragion per cui» ha concluso il presidente della
Commissione finanze del senato, «è necessario che la
questione sia regolata livello comunitario per evitare
discriminazioni tra i vari paesi europei»
(articolo ItaliaOggi del 31.07.2013). |
APPALTI: Appalti,
accelerata sulla verifica con Avcpass.
Entro metà novembre la banca dati dell'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici sarà l'unico strumento di
verifica dei requisiti degli appaltatori, nonostante il
sistema Avcpass sia obbligatorio soltanto da gennaio 2014.
È
questo uno degli effetti della modifica introdotta al testo
del cosiddetto decreto legge del fare, approvato alla camera
la scorsa settimana e adesso al vaglio del senato (si veda
articolo principale in pagina).
La semplificazione delle
procedure di affidamento di contratti pubblici è materia
sulla quale è intervenuto già l'articolo 6-bis del codice
dei contratti pubblici, al fine di ridurre gli oneri
amministrativi, prevedendo che la verifica dei requisiti
dichiarati in gara, a partire dal 01.01.2013, avvenga
attraverso la banca dati, istituita presso l'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici.
L'Autorità sui contratti
pubblici, con la delibera 111/2012, ha quindi introdotto l'Avcpass
(Authority virtual company passport), sistema al quale gli
operatori economici devono registrarsi dal 01.07.2013. A
metà giugno, però la stessa Autorità ha differito il termine
al primo gennaio 2014. Adesso con l'articolo 49-ter del
decreto 69 si rafforza la vigenza della Banca dati nazionale
dei contratti pubblici come unico strumento idoneo alla
verifica dei requisiti. In particolare si stabilisce che per
i contratti «sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni a
partire da tre mesi successivi alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del decreto, la
documentazione comprovante il possesso dei requisiti di
carattere generale, tecnico-organizzativo ed
economico-finanziario è acquisita esclusivamente attraverso
la banca dati di cui all'articolo 6-bis del codice». In
teoria dalla prima metà di novembre scatterebbe quindi un
obbligo che però l'Autorità ha differito a gennaio 2014.
In
realtà la norma non brilla per chiarezza, perché il
riferimento alla «sottoscrizione» dei contratti sembra
volere dire che i documenti concernenti i requisiti relativi
ai contratti che verranno stipulati a decorrere da tre mesi
dalla conversione del decreto 69, dovrà essere acquisita
esclusivamente, per le gare future, soltanto attraverso la Bdncp (Banca dati nazionale contratti pubblici).
È evidente,
infatti, che la verifica dei requisiti non avviene mai dopo
la sottoscrizione dei contratti, ma prima. Sarebbe bastato
fare riferimento, invece che ai «contratti», alle «procedure
affidate nei tre-quattro mesi successivi»
(articolo ItaliaOggi del 31.07.2013). |
APPALTI:
Sulla legittimità del provvedimento con il quale
la stazione appaltante procede, in autotutela, alla revoca
dell'intera procedura di gara.
L'amministrazione è titolare del potere, riconosciuto
dall'art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990, di revocare
per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, ovvero nel
caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova
valutazione dell'interesse pubblico originario, un proprio
precedente provvedimento amministrativo e che, con riguardo
ad una procedura di evidenza pubblica, deve ritenersi
legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto,
disposta prima del consolidarsi delle posizioni delle parti
e quando il contratto non è stato ancora concluso, motivato
anche con riferimento al risparmio economico che deriverebbe
dalla revoca stessa, ciò in quanto la ricordata disposizione
ammette un ripensamento da parte della amministrazione a
seguito di una nuova valutazione dell'interesse pubblico
originario.
Anche di recente è stato affermato che, ai sensi del citato
art. 21-quinquies, è legittimo il provvedimento con il quale
la stazione appaltante procede, in autotutela, alla revoca
dell'intera procedura di gara dopo averne individuato i
presupposti nei sopravvenuti motivi di pubblico interesse di
natura economica, derivanti da una forte riduzione dei
trasferimenti finanziari, nonché da una nuova valutazione
delle esigenze nell'ambito dei bisogni da soddisfare, a
seguito di una ponderata valutazione che ha evidenziato la
non convenienza di procedere all'aggiudicazione sulla base
del capitolato predisposto precedentemente ed al fine di
ottenere un risparmio economico.
Pertanto, nel caso di specie, sussistevano le ragioni di
pubblico interesse all'esercizio del potere di autotutela
dell'Amministrazione e che tali ragioni erano state
chiaramente indicate dall'amministrazione negli atti
impugnati (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 30.07.2013 n. 4026 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
DECRETO DEL FARE/
Maggiori oneri e burocrazia nel settore appalti dal
documento approvato dalla camera.
Durt, corsa al credito a ostacoli. Nuovi adempimenti per
l'impresa. O niente pagamenti.
Il decreto del Fare partorisce un nuovo meccanismo
infernale: il Durt. Il Documento di regolarità tributaria
lascia subito intendere che ci sono guai in arrivo per le
imprese che appartengono alla filiera dell'appalto: maggiori
oneri, maggiore burocrazia, maggiore difficoltà a incassare
i crediti.
Ma anche notevoli contraddizioni nella norma che appare, su
diversi passaggi, a dir poco controversa. Anche se il Durt è
rubricato nel capo II del decreto del Fare denominato
«semplificazioni in materia fiscale», nel caso in cui il
testo approvato dalla camera non venisse modificato durante
l'esame del senato (ma il governo, viste le polemiche
suscitate, ha annunciato una pesante revisione, se non
addirittura la cancellazione del provvedimento), sarebbe ben
lungi da apportare un alleggerimento ai pesanti oneri che
gravano sulle imprese già interessate dalle problematiche
sulla responsabilità solidale negli appalti. Al contrario.
Scimmiottando l'architettura dell'ormai tristemente noto
Durc (documento di regolarità contributiva), il Durt,
sostanzialmente, impedisce al committente di effettuare i
pagamenti dovuti all'appaltatore se quest'ultimo non è in
regola con determinati adempimenti fiscali, per i quali
l'impresa deve effettuare un ulteriore sforzo organizzativo
e sopportare ulteriori costi amministrativi e non solo.
Per esempio, per poter ottenere in tempo reale il Durt
(rilasciato dall'Agenzia delle entrate), le imprese dovranno
impegnarsi a liquidare l'Iva con periodicità mensile, a
prescindere dal volume d'affari realizzato, con una forte
penalizzazione per le piccole imprese che dovranno sostenere
maggiori costi per l'assistenza fiscale.
Particolarmente gravoso sarebbe, sotto questo aspetto, la
posizione del soggetto in regime dei minimi che anziché
adempiere alle formalità una volta l'anno, sarebbe costretto
a farlo ogni mese, con un non indifferente aggravio di
oneri.
Cosa cambia con il Durt. Pur lasciando inalterata
l'impalcatura generale delle diverse responsabilità tra i
soggetti partecipanti all'appalto o al sub-appalto,
l'attestazione che veniva rilasciata da ciascuna impresa per
ottenere il pagamento dal proprio cliente, verrà sostituita
dal Durt (il cui rilascio avviene da parte dell'Agenzia
delle entrate).
Dopo il voto alla camera, l'Iva è stata esclusa dal decreto
del Fare dal meccanismo della responsabilità solidale, ma
solo apparentemente. Da un esame del testo licenziato con il
voto di fiducia, appare evidente che le trasmissioni
telematiche da effettuare con cadenza mensile non riguardino
solo le ritenute dei dipendenti utilizzati per la
realizzazione del subappalto, ma anche la liquidazione
dell'Iva.
Viene pure confermato che il committente principale ha una
responsabilità amministrativa al versamento di una sanzione
da 5 mila a 200 mila euro, per il committente che non riceve
la documentazione comprovante il corretto versamento delle
ritenute da parte dell'appaltatore e degli eventuali
subappaltatori.
Attualmente la documentazione che il subappaltatore deve
rilasciare al proprio appaltatore e lo stesso appaltatore al
proprio committente, consiste alternativamente:
1) nella documentazione comprovante il versamento delle
ritenute dei dipendenti;
2) in un'asseverazione del corretto versamento delle
ritenute dei dipendenti da parte di un professionista o Caf
imprese;
3) in una autocertificazione sostitutiva dell'impresa
subappaltatrice del corretto versamento delle ritenute.
Con le nuove regole del decreto del Fare, il subappaltatore
e l'appaltatore devono chiedere all'Agenzia delle entrate il
rilascio del Durt, che dovrà essere rilasciato
all'appaltatore ovvero al committente.
Con tale documento l'Agenzia delle entrate dichiara che
l'impresa è in regola con il versamento di debiti tributari
per imposte, sanzioni o interessi, scaduti e non estinti dal
subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo.
La trasmissione dei dati contabili. La nuova norma prevede
inoltre la nascita di un portale dell'Agenzia delle entrate
nel quale si può ricevere in tempo reale il Durt. Si tratta
di un cassetto fiscale costantemente aggiornato sulla
propria posizione tributaria. Per accedere a questo portale,
occorre tuttavia impegnarsi alla trasmissione telematica
periodica dei «dati contabili e i documenti primari relativi
alle retribuzioni erogate; ai contributi versati e alle
imposte dovute». Appare evidente che da tali adempimenti
scattino nuovi costi amministrativi (consulenza, assistenza,
personale amministrativo ecc.) a carico delle imprese già
pericolosamente in debito di ossigeno.
È evidente che l'Agenzia delle Entrate può certificare
solamente che l'impresa ha versato le ritenute, ma non che
l'impresa è in regola con il pagamento delle ritenute
relative alla prestazioni di appalto. L'unica certificazione
che può rilasciare l'Agenzia si riferisce ai versamenti
riferiti all'anno solare per cui è già stato presentato il
modello 770, alla data della richiesta da parte dell'impresa
appaltatrice o subappaltatrice. Pertanto, attualmente, può
essere certificato solamente il corretto versamento delle
ritenute operate sull'anno 2011 in quanto il modello 770
relativo ai compensi erogati nel 2012 deve essere presentato
entro il 20.09.2013.
La comunicazione periodica dei dati prevista dalla norma,
pertanto, avendo lo scopo di controllare la regolarità dei
versamenti delle ritenute con una probabilità elevata, sarà
a carattere mensile, anche se non è specificato dalla norma.
Se questo sarà confermato in sede di approvazione al senato,
la norma si pone in contraddizione con l'art. 51 dello
stesso decreto del Fare, laddove si abroga a scopo di
semplificazione, l'obbligo di comunicare mensilmente i dati
contenuti nelle buste paga dei dipendenti, ossia di
presentare mensilmente il modello 770 (articolo
ItaliaOggi Sette del 29.07.2013). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi socio-educativi-culturali, quali le modalità di
pubblicazione dei bandi?
Domanda
Quali sono le
modalità di pubblicazione dei bandi di gara e degli avvisi
di aggiudicazione inerenti i servizi
socio-educativi-culturali elencati nell'allegato II B del
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, per importi sia inferiori che
superiori alla soglia comunitaria?
Risposta
L'art. 2 comma 1,
D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 stabilisce che "1.
L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici,
servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve
garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel
rispetto dei principi di economicità, efficacia,
tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì
rispettare i principi di libera concorrenza, parità di
trattamento, non discriminazione, trasparenza,
proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità
indicate nel presente codice".
Si ritiene che, sebbene l'art. 20 D.Lgs. cit. stabilisca
l'applicabilità agli appalti nei servizi di cui all'allegato
II B di alcune norme soltanto del codice, debba comunque
trovare applicazione il principio generale di adeguata
pubblicità della gara in relazione al suo valore.
Infatti, l'AVCP con Deliberazione n. 108 del 19.12.2012 ha
stabilito che "I servizi elencati nell'allegato II B
restano soggetti, oltre che all'art. 20 del D.lgs. n.
163/2006, anche all'art. 27 del medesimo decreto in base al
quale l'affidamento di contratti pubblici, sottratti in
tutto o in parte all'applicazione del codice, deve avvenire
nel rispetto di principi di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità".
Con Deliberazione n. 25 del 08.03.2012 ha stabilito che "La
riconducibilità del servizio appaltato all'All. II B del
Codice non esonera le amministrazioni aggiudicatrici
dall'applicazione dei principi generali in materia di
affidamenti pubblici desumibili dalla normativa comunitaria
e nazionale, con particolare riferimento al principio di
pubblicità, espressione dei principi di imparzialità e buon
andamento dell'azione amministrativa di cui all'art. 97
Cost. (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 03.12.2008, n. 5943;
22.04.2008, n. 1856; 08.10.2007, n. 5217; 22.03.2007, n.
1369; TAR Lazio, Sez. III-ter, 05.02.2008, n. 951).
Nella deliberazione n. 102 del 05.11.2009 l'Autorità ha,
inoltre, sottolineato che sebbene i servizi rientranti
nell'allegato II B siano soggetti, a stretto rigore, solo
alle norme richiamate dall'art. 20 del D.Lgs. 163/2006,
oltre a quelle espressamente indicate negli atti di gara (in
virtù del c.d. principio di autovincolo), quando il valore
dell'appalto è decisamente superiore alla soglia comunitaria
è opportuna anche una pubblicazione a livello comunitario,
in ossequio al principio di trasparenza (cui è correlato il
principio di pubblicità), richiamato dall'art. 27 D.Lgs.
163/2006 a tenore del quale l'affidamento deve essere
preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se
compatibile con l'oggetto del contratto".
La codificazione di tali principi conferma dunque la
contrarietà per l'affidamento fiduciario. Pertanto, in
ossequio ai principi del Trattato, la stazione appaltante
dovrà opportunamente nell'ambito della propria
discrezionalità scegliere il modulo procedimentale più
consono, favorendo la procedura ristretta quando il criterio
di aggiudicazione è quello dell'offerta economicamente più
vantaggiosa.
Conseguentemente, occorre rispettare le regole di pubblicità
dei bandi relativi alle gare di importo sopra e sotto soglia
anche per le gare inerenti ai servizi di cui all'allegato II
B (26.07.2013 - tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Le domande di partecipazione alle procedure di
gara possono essere presentate anche per telefono o per via
elettronica.
Dall'esame delle disposizioni contenute negli artt. 73 e 77
del d.lvo n. 163 del 2006 non è dato scorgere, nella fase di
presentazione delle domande di partecipazione alla procedura
di gara, alcuna formalità da rispettare, atteso che la
domanda può essere presentata anche per telefono o per via
elettronica.
Va, anche, osservato che in sede di valutazione delle
domande di partecipazione oggetto di esame è soltanto la
documentazione atta a dimostrare la capacità tecnica,
economica ed i requisiti morali dei partecipanti, i quali
possono essere semplicemente dichiarati, per cui vengono
valutati dalla stazione appaltante, ai fini dell'eventuale
ammissione alle offerte, in modalità non pubblica (TAR
Lazio-Roma, Sez. I-bis,
sentenza 25.07.2013 n. 7636 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La regola posta dal disciplinare di gara per la
valutazione delle offerte anomale deve essere letta
complessivamente alla luce dei principi che governano la
materia, così come posti dal codice dei contratti pubblici.
L'art. 1363 cod. civ. valido per l'interpretazione anche
degli atti amministrativi prevede che le singole
disposizioni di un provvedimento devono essere interpretate
le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il
senso che deriva dal complesso dell'intero provvedimento; a
ciò va aggiunto il principio di conservazione degli atti
giuridici, art. 1367, le disposizioni devono essere
interpretate rinvenendone un effetto, e l'art. 1369, vale a
dire che le singole disposizioni devono essere inteso in
senso più appropriato alla natura dell'articolato.
Pertanto, nel caso di specie, non si può prescindere dalla
regola primaria posta dal disciplinare di gara, cioè che la
valutazione della congruità della non congruità delle
offerte deve essere svolta sulla base delle relative norme
di legge, a partire dall'art. 86 e ss. D. Lgs 163/2006
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2013 n. 3964 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Non è necessario l'indicazione del subappaltatore
allorché l'entità delle opere scorporabili trova capienza in
un surplus di qualificazione nella categoria principale.
L'art. 92 del d.p.r. n. 207 del 2010, in materia di
partecipazione alla gara stabilisce che "il concorrente
singolo può partecipare alla gara qualora sia in possesso
dei requisiti economico-finanziari e tecnico organizzativi
relativi alla categoria prevalente per l'importo totale dei
lavori ovvero sia in possesso dei requisiti relativi alla
categoria prevalente ed alle categorie scorporabili per
singoli importi".
E', dunque, l'esistenza della totale copertura della
categoria prevalente a legittimare la partecipazione alla
gara, pur in carenza dei requisiti nelle categorie
scorporabili, purché accompagnata dalla dichiarazione di
voler subappaltare le scorporabili. In sintesi, la
qualificazione mancante deve essere posseduta in relazione
alla categoria prevalente, dal momento che ciò tutela la
stazione appaltante circa la sussistenza della capacità
economico-finanziaria da parte dell'impresa.
Quanto alla identificazione del subappaltatore ed alla
verifica del possesso da parte di questi di tutti i
requisiti richiesti dalla legge e dal bando, essa attiene
solo al momento dell'esecuzione. In tal senso, da ultimo, è
anche la determinazione dell'AVCP n. 4 del 10/10/2012 che
nello stilare le norme che le stazioni appaltanti devono
tenere in fase di stesura dei bandi di gara, rammenta che,
come voluto dall'art. 92 del d.p.r. n. 207/2010, "i
requisiti relativi alle categorie scorporabili non posseduti
dall'impresa devono da questa essere posseduti con
riferimento alla categoria prevalente". La stessa
determinazione precisa che la normativa "non comporta
l'obbligo di indicare i nominativi dei subappaltatori in
sede di offerta, ma solamente di indicare le quote che il
concorrente intende subappaltare, qualora non in possesso
della qualificazione per le categorie scorporabili".
Tale scelta è stata voluta dal legislatore, infatti, la
prima stesura del d.lgs. n. 163/2006 prevedeva
esplicitamente che le opere specializzate eccedenti il 15%
potessero essere eseguite solo da a.t.i. nel caso in cui il
partecipante alla gara non avesse avuto i requisiti
tecnico-organizzativi ed economico-finanziari relativi alla
categoria scorporabile; successivamente, con la modifica
operata dal d.lgs. n. 152 dell'11/09/2008 è stata prevista
la possibilità del subappalto anche per le opere
specialistiche, senza alcuna specificazione, rinviando il
tutto a quanto disposto dall'art. 118, c. 2, terzo periodo
del d.lgs. n. 163/2006, non ritenendo di delineare in modo
diverso le condizioni di partecipazione alla gara neppure
nel caso in cui l'opera specialistica superi il 15%
dell'importo complessivo.
Non può, quindi, nel caso di specie, che trovare
applicazione la regola generale dettata dall'art. 118 del d.
lgs. n. 163/2006 e dall'art. 109 del d.p.r. n. 207/2010, che
non impongono di indicare già in sede di qualificazione
l'appaltatore, rimandando anche il controllo dei requisiti
al momento in cui verrà depositato il contratto di
subappalto (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2013 n. 3963 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: Arriva
la Legge di conversione del Decreto del Fare?
La Camera ha votato la fiducia al
disegno di Legge di conversione del “Decreto del fare”.
Assicurazione professionale obbligatoria dal 15.08.2013,
possibilità per i professionisti di accedere al fondo unico
di garanzia e ristrutturazioni con modifica della sagoma
tranne che in alcune zone dei centri storici sono alcune
delle novità contenute nel provvedimento.
Tra le novità più interessanti che riguardano il settore
segnaliamo:
Polizza professionale
L’obbligo di stipulare un’assicurazione professionale, che
copra eventuali danni arrecati a terzi nell’esercizio della
propria attività è confermato al 15.08.2013.
Solo i professionisti del settore sanitario beneficeranno
della proroga di un anno. Quindi, ingegneri, architetti,
geometri dovranno stipulare la polizza; al riguardo,
rinviamo alla precedente notizia di BibLus-net con il
Vademecum del CNI su come scegliere la polizza.
Fondo centrale di garanzia per i
professionisti
Gli interventi del Fondo centrale di garanzia per le piccole
e medie imprese sono estesi ai professionisti iscritti agli
ordini professionali e a quelli aderenti alle associazioni
professionali iscritte nell’elenco tenuto dal Ministero
dello Sviluppo Economico.
I professionisti, quindi, dovrebbero avere un accesso
facilitato al credito.
Cambio di sagoma con Scia
Le demolizioni e ricostruzioni potranno avvenire senza il
rispetto della sagoma originaria e gli interventi potranno
essere realizzati con SCIA (Segnalazione Certificata di
Inizio Attività). I Comuni, comunque, individueranno le zone
dei centri storici da escludere da questa semplificazione.
Fisco
Equitalia non potrà sequestrare il macchinario o il bene
mobile se l’azienda o il professionista dimostra che esso è
“strumentale” alla propria attività.
L’unica casa di abitazione non può essere pignorata.
Previste anche comunicazioni telematiche semplificate per le
Partite Iva.
Disoccupati ed esodati che non hanno più il datore di lavoro
a fare da sostituto di imposta, avranno comunque i crediti
fiscali entro l’anno rivolgendosi al Caf.
Appalti
Per le gare d’appalto bandite dopo l’entrata in vigore della
Legge di conversione e fino al 21.12.2014, l'ente pubblico
potrà anticipare all’appaltatore il 10% dell’importo
contrattuale a patto che ciò sia previsto dal disciplinare
di gara
(25.07.2013 - link a www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI: Variazioni
percentuali dei materiali da costruzioni: in aumento di
oltre il 10% solo il bitume.
Il Codice degli Appalti, all’art. 133, stabilisce che entro
il 30 giugno di ogni anno il Ministero rilevi con proprio
Decreto le variazioni percentuali dei singoli prezzi dei
materiali da costruzione più significativi.
Qualora il prezzo dei singoli materiali da costruzione
subisca variazioni superiori al 10 % rispetto al prezzo
rilevato dal Ministero nell'anno di presentazione di
un'offerta, si applicano compensazioni per la percentuale
eccedente il 10 % e nel limite delle risorse previste tra
imprevisti e le somme relative al ribasso d'asta.
Sulla Gazzetta Ufficiale del 19.07.2013, n. 168 è stato
pubblicato il D.M. 03.07.2013 del Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti, contenente la rilevazione
dei prezzi medi per l’anno 2012 e delle variazioni
percentuali annue (superiori al 10 %) relative all’anno
2011.
L’unico materiale ad aver subito tra il 2012 ed il 2011 una
variazione superiore al 10% è il bitume (+12,87%).
Ricordiamo che l’istanza di compensazione può essere
presentata dall’appaltatore alla stazione appaltante non
oltre i 60 giorni dalla pubblicazione del Decreto.
Per determinare le compensazioni relative ai materiali da
costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate
nell'anno 2012 si può utilizzare la tabella allegata a
questo articolo
(25.07.2013 - link a www.acca.it). |
APPALTI:
Ritenuta dello 0,5% ex art. 4, comma 3, D.P.R. 207/2010.
L'art. 4, comma 3, del D.P.R.
05.10.2010, n. 207 stabilisce l'obbligo, per le stazioni
appaltanti, di trattenere la percentuale dello 0,50%
sull'importo netto progressivo delle prestazioni al fine di
accantonare una somma da utilizzare nel caso in cui, nel
corso del contratto, venga ravvisata un'inadempienza
contributiva da parte dei soggetti affidatari del servizio.
Lo svincolo delle somme così accantonate, secondo
l'interpretazione letterale delle disposizioni e secondo
quanto ribadito nelle circolari del Ministero del lavoro e
della politiche sociali e dell'Inps, non può avvenire in un
momento anticipato a quello della fine del contratto, ma
unicamente in sede di liquidazione finale e previa
approvazione, da parte della stazione appaltante, del
certificato di collaudo o di verifica di conformità e
rilascio del documento unico di regolarità contributiva.
L'Ente instante riferisce che il Comune ha appaltato i
servizi di una Casa anziani a più ditte e che alcune di
queste intendono fatturare solamente al termine del
contratto, mentre altre stanno emettendo, accanto alla
fattura mensile per il servizio, una pari allo 0,5%,
specificando nella stessa che essa andrà liquidata a fine
appalto.
L'Ente chiede di sapere se, in vista di un aumento
dell'I.V.A. che potrebbe comportare un incremento dello 0,5%
sugli importi, il secondo modus operandi risulta essere
corretto. Viene, inoltre, domandato se, nel caso in cui si
abbia un immediato riscontro sulla corretta esecuzione del
servizio, come quello di mensa o quello assistenziale,
l'Ente possa liquidare annualmente lo 0,5% o se debba farlo
comunque alla fine dell'appalto.
In via preliminare, si osserva che non compete a questo
Ufficio fornire suggerimenti in merito alle modalità o alle
tempistiche di fatturazione dei servizi appaltati dagli enti
locali. Verranno in questa sede, invece, espresse alcune
considerazioni generali sulla normativa richiamata dall'Ente
instante.
L'art. 4, comma 3, del D.P.R. 05.10.2010, n. 207, stabilisce
che: 'In ogni caso sull'importo netto progressivo delle
prestazioni è operata una ritenuta dello 0,50 per cento; le
ritenute possono essere svincolate soltanto in sede di
liquidazione finale, dopo l'approvazione da parte della
stazione appaltante del certificato di collaudo o di
verifica di conformità, previo rilascio del documento unico
di regolarità contributiva'.
Tali disposizioni attuano quanto previsto dall'art. 5, comma
5, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice dei
contratti pubblici), laddove si stabilisce che la disciplina
esecutiva del Codice debba contenere disposizioni volte a
regolare l'intervento sostitutivo della stazione appaltante
in caso di inadempienza retributiva e contributiva.
Come osservato in precedenti pareri rilasciati da questo
Ufficio [1],
l'art. 4, comma 3, del Regolamento, stabilisce l'obbligo,
per le stazioni appaltanti, di trattenere la percentuale
dello 0,5% sull'importo netto progressivo delle prestazioni
al fine di accantonare una somma da utilizzare nel caso in
cui, nel corso del contratto, il responsabile del
procedimento ravvisi un'inadempienza contributiva da parte
dei soggetti affidatari del servizio.
Seguendo l'interpretazione letterale della norma, la
ritenuta va effettuata sempre ed 'in ogni caso' dalla
stazione appaltante e non solo a fronte di una irregolarità
contributiva certificata da un DURC negativo
[2].
E' pertanto compatibile con tali previsioni operare la
ritenuta dello 0,50% nei contratti di servizi, come paiono
essere quelli menzionati dall'Ente instante, in sede di
liquidazione delle singole fatture periodiche emesse secondo
le scadenze preventivamente stabilite nel contratto.
Lo svincolo delle somme così accantonate, secondo
l'interpretazione letterale delle disposizioni e secondo
quanto ribadito nelle circolari n. 3/2012 del Ministero del
lavoro e della politiche sociali e n. 54/2012 dell'Inps
[3], non
può avvenire in un momento anticipato a quello della fine
del contratto, ma unicamente in sede di liquidazione finale
e previa approvazione, da parte della stazione appaltante,
del certificato di collaudo o di verifica di conformità e
rilascio del documento unico di regolarità contributiva.
---------------
[1] V. pareri prot. n. 11525 dd. 28.03.2012, n. 22950 del
03.07.2012 e n. 27828 del 30.08.2012.
[2] In senso concorde anche l'ANCI con il parere dd.
15.01.2013.
[3] Circolare n. 3 del 16.02.2012 del Ministero e circolare
n. 54 del 13.04.2012 dell'INPS (24.07.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: Dl del Fare, percorso in salita.
Non convince lo stop ai tetti sugli stipendi ai manager.
Il provvedimento ottiene la fiducia della camera
ma è inondato da odg. Oggi seduta fiume.
Subissato di ordini del giorno (oltre 250, che hanno imposto
ieri la seduta notturna) e «lievitato» di oltre il 30%,
passando da 86 a 114 articoli, il cosiddetto decreto del
fare (69/2013) ottiene la fiducia dell'aula di Montecitorio.
Ma i nodi restano: contestati gli emendamenti sulle borse di
studio agli universitari meritevoli per introdurre un doppio
canale di finanziamento («ministeriale» e «regionale»),
sull'eliminazione del tetto di circa 300 mila euro ai
manager delle società pubbliche e sulla nomina di un
commissario per la spending review che, per tagliare la
spesa pubblica, percepirà un compenso di 950 mila euro.
Norme che, probabilmente, vista la contrarietà di parte
della maggioranza (oltre che di M5s, Sel e Lega), saranno
riviste dai senatori, così come, annuncia il viceministro
allo sviluppo economico Antonio Catricalà, i 20 milioni
«scippati» alla dotazione per la banda larga, e posti nel
finanziamento di radio e tv locali, saranno recuperati dal
governo nella prossima legge di stabilità.
Il testo, che a
causa dell'ostruzionismo delle opposizioni si avvia a una
votazione «a oltranza» nelle prossime ore (deputati
allertati in vista di una «seduta fiume»), interviene in
materia fiscale, facendo slittare il versamento della tassa
sulle transazioni finanziarie (Tobin tax) al 16 ottobre, e
rendendo poi lo spesometro facoltativo: dal 1° gennaio 2015,
infatti, i soggetti titolari di partita Iva potranno, per
scelta, inviare telematicamente e giornalmente alle Entrate
i «dati analitici delle fatture di acquisto e cessione di
beni e servizi», comprese le note di accredito ricevute o
emesse, oltre che l'ammontare dei «corrispettivi delle
operazioni effettuate e non soggette a fatturazione».
Novità rilevante per tutti i professionisti (iscritti, o
meno ad un ordine) l'ampliamento delle maglie del Fondo
centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, grazie
al quale godranno delle medesime opportunità delle aziende
nell'ottenere i finanziamenti necessari; per le imprese,
inoltre, sì a 2,5 miliardi per il rinnovo dei macchinari
(fino a 2 milioni a società), nonché alla sperimentazione di
«zone a burocrazia zero», mentre in edilizia gli interventi
di ristrutturazione con modifiche della sagoma non saranno
più soggetti a permesso, bensì basterà la procedura
semplificata (Scia, Segnalazione certificata di inizio delle
attività).
Il wi-fi pubblico sarà realmente «free»: gli
esercizi commerciali che lo offrono gratis, non dovranno
identificare il cliente che si connette. Converrà pagare le
multe entro 5 giorni, perché si usufruirà di uno sconto del
30%, mentre il decreto concederà ad alcune regioni, Puglia e
Piemonte, Emilia e Lazio altri 280 milioni per saldare i
propri debiti sanitari. E i sindaci-deputati manterranno
(anche) lo scranno, giacché i primi cittadini di comuni fino
a 15 mila abitanti eletti in Parlamento potranno non essere
ritenuti incompatibili fino alle consultazioni
amministrative del 2015.
Contestazioni anche dal mondo produttivo: Ivan Malavasi,
presidente di Rete Imprese Italia s'aspettava «un
provvedimento che alleggerisse la burocrazia, i risultati
sono purtroppo antitetici. Chiedevamo l'abolizione della
responsabilità solidale negli appalti, e troviamo, invece»
chiude, altri adempimenti come il Durt, «un nuovo mostro»
(articolo ItaliaOggi del 24.07.2013). |
APPALTI: Solidarietà fiscale, ko parziale.
Benefici condizionati dal possesso
del durt.
Responsabilità solidale per le ritenute in fuori gioco, ma
solo con il possesso del Documento unico di regolarità
tributaria (Durt).
Questa è la scomoda novità introdotta nel
ddl di conversione del cosiddetto decreto del fare (dl
69/2013) sulla solidarietà fiscale nell'ambito dei contratti
di appalto.
Il provvedimento, innanzitutto, dispone che, in presenza di
un appalto, l'appaltatore risponde «in solido» per il
sub-appaltatore dell'omesso versamento delle ritenute
fiscali operate sui redditi di lavoro, nei limiti
dell'ammontare del corrispettivo dovuto.
Viene soppressa, invece, la parte della previgente
disciplina attraverso la quale lo stesso appaltatore si
metteva al riparo anche dalle sanzioni (da 5 mila a 200 mila
euro) se si faceva trovare in possesso della documentazione
che confermava l'avvenuto e regolare versamento delle dette
ritenute o, in alternativa, dell'asseverazione rilasciata da
soggetti abilitati (Caf, commercialisti o consulenti del
lavoro), che attestasse l'avvenuto versamento. In luogo di
questa possibilità, con il provvedimento in commento, viene
introdotta una nuova possibilità per liberarsi dalla
solidarietà passiva, consistente nell'ottenimento di un
Documento unico di regolarità tributaria (Durt); il
committente, prima di procedere al pagamento di quanto
dovuto per la prestazione, deve ottenere il detto documento
dall'appaltatore, pena l'applicazione delle sanzioni
indicate.
Il rilascio del documento di regolarità avverrà per via
digitale e certificata a cura dell'Agenzia delle entrate che
provvederà alla creazione di un portale ad hoc, utilizzando
anche i dati reperibili dai modelli Uniemens. Tutti coloro
che esercitano attività d'impresa e che «hanno interesse» a
farlo, potranno registrarsi in detto portale, comunicando
periodicamente i dati contabili e i documenti primari
relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e
alle imposte. Per i soggetti registrati nel portale
risulterà impossibile mantenere o optare per la liquidazione
Iva trimestrale, giacché le disposizioni introdotte in
commissione bilancio, con uno specifico emendamento,
dispongono che i soggetti registrati nel portale, a
prescindere dall'applicazione o meno della disciplina,
devono eseguire le liquidazioni Iva e i relativi versamenti
con cadenza mensile, ai sensi del richiamato comma 1, art.
1, dpr 100/1998. Peraltro, si ricorda che la disciplina in
commento non è più applicabile per l'Iva e che questa
richiesta sembra avere, quale unico scopo, quello di
obbligare i contribuenti a tenere in linea la contabilità,
implementando ulteriormente gli adempimenti posti a carico
delle imprese.
Con un provvedimento dell'Agenzia delle entrate, di concerto
con l'istituto previdenziale nazionale (Inps), da adottare
entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione, saranno fissate le modalità per il
rilascio del documento di regolarità e nei due mesi
successivi il via libera all'applicazione della nuova
procedura
(articolo ItaliaOggi del 24.07.2013). |
APPALTI:
Eventuali omissioni degli
atti di gara non possono riverberarsi a danno dei
concorrenti che hanno fatto affidamento sulla correttezza ed
esaustività del modello predisposto dall’amministrazione, a
maggior ragione nel caso in cui la ricorrente abbia
presentato dichiarazioni nella stessa forma e quindi si
esponga alla rilevazione del medesimo vizio nei suoi
confronti.
Appare ragionevole ritenere che solo la presentazione
dell’istanza, predisposta nei termini voluti
dall’Amministrazione, costituisca adempimento richiesto a
pena di esclusione, mentre la sottoscrizione della stessa da
parte di altri soggetti, che risultino investiti di poteri
di rappresentanza –pur corrispondendo ad un indirizzo
giurisprudenziale (peraltro non univoco) di stampo
“sostanzialista”, circa l’obbligo di rendere la
dichiarazione stessa da parte di chiunque fosse in grado di
impegnare la società– può giustificare una richiesta di
integrazione documentale da parte della stazione appaltante,
ma non anche l’esclusione di una società che abbia, come
nella fattispecie avvenuto, diligentemente compilato il
modulo in questione.
In merito il Collegio ritiene necessario aderire a
quell’orientamento secondo il quale eventuali omissioni
degli atti di gara non possono riverberarsi a danno dei
concorrenti che hanno fatto affidamento sulla correttezza ed
esaustività del modello predisposto dall’amministrazione
(Cons. Stato, sez. V, 22.05.2012 n. 2973), a maggior ragione
nel caso in cui la ricorrente abbia presentato dichiarazioni
nella stessa forma e quindi si esponga alla rilevazione del
medesimo vizio nei suoi confronti.
In merito altra giurisprudenza ha chiarito che appare
ragionevole ritenere che solo la presentazione dell’istanza,
predisposta nei termini voluti dall’Amministrazione,
costituisca adempimento richiesto a pena di esclusione,
mentre la sottoscrizione della stessa da parte di altri
soggetti, che risultino investiti di poteri di
rappresentanza –pur corrispondendo ad un indirizzo
giurisprudenziale (peraltro non univoco) di stampo “sostanzialista”,
circa l’obbligo di rendere la dichiarazione stessa da parte
di chiunque fosse in grado di impegnare la società– può
giustificare una richiesta di integrazione documentale da
parte della stazione appaltante, ma non anche l’esclusione
di una società che abbia, come nella fattispecie avvenuto,
diligentemente compilato il modulo in questione (Cons.
Stato, VI, ordinanza 01.02.2013 n. 634) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 23.07.2013 n. 1933 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gli appalti vanno suddivisi in lotti.
Possibile l'anticipazione del 10% per gli appalti di lavori.
Più difficile fare grandi appalti e non suddividere in
lotti. Crescita dei fondi per la ristrutturazione delle
scuole. Due miliardi per lo sblocco dei cantieri soltanto
per le opere infrastrutturali strategiche. Più facile la
qualificazione delle imprese di costruzioni.
Sono alcune
delle novità introdotte a seguito degli
emendamenti
approvati al testo del disegno di legge di conversione del
dl n. 69/2013 (il cosiddetto decreto del fare), da oggi
all'esame dell'aula di Montecitorio.
Una prima novità introdotta dalle commissioni riguarda
l'anticipazione del prezzo, argomento sul quale anche il
ministro Maurizio Lupi, durante l'assemblea Ance, si era
impegnato pubblicamente. In realtà la norma approvata
prevede una mera facoltà per le amministrazioni, in deroga
ai vigenti divieti di anticipazione del prezzo. Non solo, ma
la facoltà è ammessa per le gare bandite dopo l'entrata in
vigore della legge di conversione del decreto 69 e fino a
fine dicembre 2014. E ancora: la possibilità di
anticipazione deve essere prevista e pubblicizzata nella
gara di appalto. Con il richiamo alle norme del regolamento
viene poi previsto che l'anticipazione è subordinata alla
costituzione di una garanzia fideiussoria bancaria o
assicurativa gradualmente svincolata nel corso dei lavori.
Un'altra norma introdotta ex novo in commissione è quella
sulla suddivisione in lotti degli appalti, tema di cui si
parla molto anche in sede comunitaria, nell'ambito della
revisione delle direttive europee, vedendo in esso uno
strumento a tutela delle piccole e medie imprese. Oggi la
disposizione del codice dei contratti stabilisce che al fine
di favorire l'accesso delle piccole e medie imprese, le
stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente
conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali. La
norma approvata la scorsa settimana aggiunge l'obbligo per
le stazioni appaltanti di motivare, nella determina a
contrarre, l'eventuale mancata suddivisione in lotti. Della
suddivisione in lotti le stazioni appaltanti dovranno
inoltre tenere informato anche l'Osservatorio presso
l'autorità.
Sul fronte della qualificazione delle imprese di
costruzioni il testo delle commissioni prevede che, fino a
fine 2015, sarà possibile documentare i requisiti sulla
cifra d'affari globale in lavori, sulle attrezzature e
sull'organico con riguardo al decennio e non più al
quinquennio né ai migliori cinque anni del decennio. Per la
messa in sicurezza degli edifici scolastici (Inail stanzia
100 milioni per ognuno degli anni dal 2014 al 2016), è stata
inserita una posta di 3,5 milioni per ognuno dei citati anni
per «l'individuazione di un modello unico di rilevamento e
potenziamento della rete di monitoraggio e di prevenzione
del rischio sismico». Altri 150 milioni per il 2014 sono
destinati alla riqualificazione e messa in sicurezza delle
scuole statali per le quali sia stata rilevata la presenza
di amianto. I fondi dovranno però essere utilizzati entro il
28 febbraio del 2014, pena la revoca totale dei
finanziamenti.
Per il fondo sblocca-cantieri è stato chiarito che i due
miliardi disponibili saranno utilizzati solo per accelerare
la realizzazione di opere inserite nel programma di
infrastrutture strategiche della ex legge obiettivo
(443/2001); introdotto anche l'obbligo, per il ministro
delle infrastrutture, di relazione al parlamento ogni sei
mesi sull'utilizzazione dei fondi. Ammessi interventi per
l'adozione di misure antisismiche e per infrastrutture
annesse o funzionali alle reti telematiche NGN, o wi-fi
(articolo ItaliaOggi del 23.07.2013). |
APPALTI:
M. Asprone e A. Salvati,
La procedura negoziata: aspetti normativi (23.07.2013
- link a www.diritto.it). |
APPALTI:
Offerta tecnica oltre le pagine consentite: non può
escludersi il concorrente.
In applicazione dell'ormai positivizzato principio di
tassatività delle cause di esclusione dalle gare a evidenza
pubblica, il TAR di Salerno ha chiarito come deve comunque
ritenersi legittima l'aggiudicazione di una gara d'appalto
in favore di una ditta che abbia presentato la propria
offerta tecnica in un numero di pagine diverso ''superiore''
a quello consentito dal bando.
Analisi del caso
La ricorrente, seconda in graduatoria, ha adito il
competente G.A. per l’annullamento della determinazione
dirigenziale del servizio finanziario di un Comune recante
l’aggiudicazione definitiva di una gara d’appalto per la
fornitura di beni e servizi in favore della
controinteressata e per la declaratoria d’inefficacia del
relativo contratto eventualmente stipulato, chiedendo il
subentro nello stesso.
Pertanto ha eccepito la violazione dell’art 20 del bando di
gara che prevedeva l’automatica esclusione del concorrente,
aggiudicatario che aveva presentato l’offerta tecnica in un
numero di pagine superiore a 100.
Il Tribunale campano, sentite sul punto le parti, ha deciso
la questione in forma semplificata ex art. 60, D.Lgs. n.
104/2010. -
La soluzione
Il Collegio ha evidenziato che la censurata, citata
violazione della legge di gara atteneva alla mancata
osservanza del limite massimo di pagine consentito nella
presentazione dell’offerta tecnica, giacché, nella specie,
unitamente all’offerta tecnica di 98 pagine era presente
nella busta un documento denominato “allegato all’offerta
tecnica” composto di ulteriori 26 pagine, per un totale di
124.
Ha ulteriormente precisato che, ove anche si fosse voluto
considerare che il predetto allegato non concorresse a
formare l’offerta tecnica –così che il limite sarebbe stato
rispettato– vi sarebbe comunque violazione della medesima
disposizione che impone il divieto di inserire nella busta
contenente l’offerta tecnica “altri documenti”.
Il G.A. ha tuttavia rilevato che l’art. 46, comma 1-bis, D.Lgs. n. 163/2006 dispone che la stazione appaltante
esclude un concorrente soltanto: in caso di mancato
adempimento alle disposizioni del codice e di altre
disposizioni di legge vigenti; nei casi di incertezza
assoluta sul contenuto o la provenienza dell’offerta, per
difetto di sottoscrizione o altri elementi essenziali; in
caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la
domanda di partecipazione, tali da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato il principio di
segretezza (cfr. Determinazione A.v.c.p., 10.10.2012,
n. 4).
Ha poi aggiunto che la stessa disposizione di legge vieta
che i bandi e le lettere di invito possano contenere
ulteriori e diverse prescrizioni a pena di esclusione e
sancisce la nullità di tali clausole eventualmente inserite
nelle leggi di gara.
Nel merito, ha sostenuto il giudicante, le violazioni
contestate non potevano portare all’esclusione
dell’aggiudicataria in quanto le stesse non integravano
alcuna delle ipotesi tassative indicate dal citato art. 46,
né poteva farsi riferimento alla causa di esclusione
“speciale” dell’art. 20 del bando, giacché da ritenersi
nulla e, pertanto, inefficace in quanto in contrasto col
principio di tassatività.
Ha infine ulteriormente considerato che, nel caso di specie,
non è configurabile neppure alcuna sostanziale violazione
della par condicio dei concorrenti, atteso che, come ha
evinto dal verbale della seduta pubblica, la Commissione
giudicatrice, ai fini della valutazione dell’offerta, non
aveva preso in considerazione il controverso documento
allegato, ma si era limitata a constatarne la presenza
all’interno della busta, impedendo così che la ricorrente
potesse risultare svantaggiata dal proprio comportamento
conforme alle –sebbene nulle– prescrizioni speciali di
gara.
Per l’effetto, l’adito TAR ha respinto il ricorso perché
infondato e ritenuto legittimo l’operato della P.A. che ha
correttamente disapplicato quelle clausole del bando nulle.
I precedenti e i possibili impatti pratico-operativi
Non constano specifici precedenti in termini, ma la
produzione giurisprudenziale in tema di tipicità e
tassatività delle cause di esclusione è vastissima e varia
(cfr. tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 15.04.2013, n. 2064; TAR Trentino Alto Adige, Sez. I, 22.05.2013, n. 168).
Particolarmente importante è del resto la considerazione
conclusiva della decisione segnalata per le implicazioni
operative che potrebbe avere in termini di contemperamento
dei concomitanti fondamentali principi che ispirano la
materia delle procedure competitive di scelta del
contraente: appare necessario, infatti, tenere in
considerazione non soltanto il rispetto formale della
tassatività, ma anche la sostanziale tutela dell’affidamento
dei concorrenti che si trovino di fronte a clausole del
bando ambigue, dal cui rispetto/violazione, o
applicazione/disapplicazione, possano trarre
vantaggi/svantaggi che rischiano di alterare
l’imprescindibile condizione di parità di trattamento che
deve essere sempre garantita tra tutti i partecipanti alle
gare (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Campania-Salerno,
Sez. I,
sentenza 22.07.2013
n. 1609 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Decreto del fare. L'emendamento approvato in Commissione
introduce l'obbligo di dimostrare di non avere debiti con il
Fisco.
Appalti, prima il Durt poi si paga.
Dal 2014 le imprese dovranno esibire il Documento unico di
regolarità tributaria.
Prima di ricevere il pagamento della prestazione, le imprese
appaltatrici dovranno consegnare dall'anno prossimo il nuovo
Documento unico di regolarità tributaria (Durt).
Lo prevede
un emendamento approvato dalle commissioni Affari
costituzionali e Bilancio della Camera al decreto legge «del
fare» (Dl 69/2013).
Analizzando l'emendamento, viene confermata l'abrogazione di
ogni obbligo per committente e appaltatore in relazione
all'Iva non versata nell'ambito della "catena" dell'appalto,
semplificazione in vigore dal 22 giugno scorso. Tuttavia,
per quanto riguarda le ritenute sui redditi di lavoro
dipendente relative al rapporto di subappalto, in luogo
dell'attuale documentazione (consistente in una
asseverazione rilasciata da professionisti e Caf, ovvero, in
alternativa, in un'autocertificazione del prestatore) è
prevista l'acquisizione da parte dell'appaltatore presso
l'agenzia delle Entrate di un documento (il Durt) attestante
l'inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni o
interessi, scaduti e non estinti dal subappaltatore alla
data di pagamento del corrispettivo o di parti di esso. Se
il pagamento avviene in assenza della prescritta
documentazione, scatta la responsabilità solidale
dell'appaltatore per le omissioni nei versamenti delle
ritenute di lavoro dovute dal subappaltatore.
Il problema è che l'agenzia delle Entrate non ha mai a
disposizione dati "in tempo reale" sulle violazioni nei
versamenti, per cui viene prevista l'istituzione di un
portale in cui «i soggetti interessati» avranno l'obbligo di
trasmettere, in via digitale, «i dati contabili e i
documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai
contributi versati e alle imposte dovute». Se si pensa alla
dimensione e alla strutturazione contabile della maggior
parte dei subappaltatori, è facile immaginare che questo
costituirà l'adempimento amministrativo più complesso che
graverà su di loro, destinato (stando al testo normativo) a
interrompersi solo con la piena attuazione delle procedure
di fatturazione elettronica.
Il provvedimento attuativo del rilascio del Durt dovrebbe
vedere la luce entro quattro mesi dalla conversione del Dl
69, e gli obblighi dovrebbero scattare (previo avviso da
pubblicarsi sulla «Gazzetta Ufficiale») entro sei mesi dalla
conversione, per cui, indicativamente, a fine gennaio 2014.
Fino ad allora, si prosegue con asseverazioni e
autocertificazioni, per le quali occorre comprendere se, una
volta operativo il Durt, avranno ancora un ruolo o
diverranno inutili.
Mentre la responsabilità riguarda le sole ritenute (peraltro
relative a quel singolo appalto), il Durt è riferito
indistintamente a tutti i debiti tributari, per cui il
subappaltatore risulterà "non in regola" anche se non ha
versato l'imposta di registro su un contratto di affitto o
(se persona fisica) se ha in sospeso una cartella per oneri
deducibili non documentati.
L'emendamento approvato riscrive anche il comma 28-bis
dell'articolo 35 del Dl 223/2006, che si occupa dei rischi
che si assume il committente per le omissioni di ritenute
tanto da parte dell'appaltatore quanto del subappaltatore.
Il committente paga i corrispettivi senza rischiare la
sanzione (da 5mila a 200mila euro) solamente se prima
ottiene dall'appaltatore il suo Durt e quello di tutti i
subappaltatori di cui egli si è servito (qui la norma
riferisce il Durt solo alla regolarità sulle ritenute).
Rispetto alla norma vigente, questo comma contiene un inciso
piuttosto nebuloso («ferma restando la responsabilità in
solido ai sensi del primo periodo del comma 28») che può
essere letto in due modi, entrambi negativi. Se sta a
significare che la sanzione applicata al committente non
elimina la responsabilità solidale dell'appaltatore,
l'inciso è inutile. Qualora, invece, si intenda con ciò
"trascinare" anche il committente nella solidarietà (cui si
aggiungerebbe la sanzione), il peggioramento rispetto alla
situazione attuale è di tutta evidenza.
Committente e appaltatore hanno diritto di sospendere il
pagamento del corrispettivo fino alla consegna del Durt e
che le norme nulla dispongono nel caso in cui la procedura
segnali delle irregolarità tributarie del subappaltatore; è
prevedibile che sia statuito l'obbligo di dirottare il
pagamento alle casse erariali fino a concorrenza del debito.
Ma che cosa succede se quest'ultimo deriva da un atto
impositivo impugnato dal subappaltatore presso le
Commissioni tributarie? (articolo Il Sole 24 Ore del 21.07.2013). |
APPALTI: DECRETO
DEL FARE/ Alle Entrate i dati su retribuzioni, contributi e
imposte.
Spauracchio Durt sulle pmi. Un'altra bega burocratica. Per
essere pagati prima.
Sei mesi di tempo per la messa in funzione del Durt, il
nuovo documento unico di regolarità tributaria che gli
appaltatori dovranno acquisire per schivare la
responsabilità solidale sulle ritenute.
Alle imprese toccherà anche comunicare periodicamente
all'Agenzia delle entrate i dati contabili e i documenti
primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi
versati e alle imposte dovute, almeno fin quando le
procedure sulla fatturazione elettronica non saranno messe a
regime. L'adempimento sulla carta è facoltativo, ma per chi
vorrà ottenere le certificazioni in tempo reale (e quindi
essere pagato rapidamente dal committente o appaltatore)
sarà di fatto un obbligo.
Sono questi ulteriori elementi che
emergono dall'emendamento approvato mercoledì notte dalle
commissioni riunite I e V della camera, che riscrivendo
l'articolo 50 del decreto Fare (69/2013) ha rivisto il
regime della responsabilità fiscale negli appalti (si veda ItaliaOggi di ieri).
L'Agenzia delle entrate, di concerto con l'Inps, dovrà
stabilire le modalità attuative per il rilascio del Durt,
che sarà un «gemello» del Durc già previsto ai fini
contributivi. Il provvedimento dovrà essere emanato entro
quattro mesi dall'entrata in vigore della legge di
conversione del dl n. 69/2013. Per il rilascio in via
digitale e certificata del documento sarà creato un apposito
portale web, anche avvalendosi del sistema Uniemens già
utilizzato dall'istituto previdenziale.
Gli operatori «che vi abbiano interesse», prevede
l'emendamento, potranno chiedere la registrazione al
sistema. Per farlo, però, appaltatori e subappaltatori
dovranno impegnarsi a comunicare all'Agenzia i dati sulle
retribuzioni dei dipendenti. Le Entrate, quindi,
certificheranno la regolarità della posizione tributaria del
soggetto: il Durt comproverà l'inesistenza di debiti
tributari per imposte, sanzioni o interessi scaduti e non
ancora pagati dal subappaltatore alla data di pagamento del
corrispettivo contrattuale.
Il Durt sostituirà integralmente le diverse tipologie di
documenti oggi utilizzabili per disapplicare il regime di
responsabilità solidale (documentazione attestante il
versamento delle ritenute dei dipendenti, asseverazione
della regolarità fiscale rilasciata da un professionista o
da Caf, oppure autocertificazione sostitutiva dell'impresa
subappaltatrice). Si ricorda che resta invece confermata
l'esclusione dalla responsabilità solidale negli appalti dei
versamenti Iva, come già previsto nella versione originaria
del dl n. 69/2013 approdata in G.U. e attualmente in vigore.
Rimane invariata pure la sanzione amministrativa da 5 mila a
200 mila euro in capo al committente, laddove questo
provveda a effettuare il pagamento senza che l'appaltatore
e/o subappaltatore abbiano esibito la documentazione di
regolarità tributaria.
Non cambia neppure l'ambito oggettivo della disciplina: le
tipologie di appalto (come definite dall'articolo 1655 del
codice civile) interessate dalla normativa permangono quelle
individuate dall'Agenzia delle entrate con la circolare n.
2/E del 01.03.2013
(articolo ItaliaOggi del 20.07.2013). |
APPALTI:
DECRETO DEL FARE/ Imposta di soggiorno anche ai comuni
dell'hinterland milanese.
Appalti, una mano alle imprese. Qualificazioni Soa meno
ostiche. Anticipi ai costruttori
Esteso da cinque a 10 anni il periodo di tempo al quale le
imprese possono far riferimento per conseguire le
attestazioni Soa, indispensabili per poter partecipare alla
gare pubbliche. Mentre nei contratti di appalto relativi a
lavori, disciplinati dal decreto legislativo 12.04.2006,
n. 163, affidati fino al 31.12.2014, in deroga ai
vigenti divieti di anticipazione del prezzo, sarà possibile
la corresponsione in favore dell'appaltatore di una
anticipazione pari al 10 per cento dell'importo
contrattuale, purché la stessa sia già prevista e
pubblicizzata nella gara di appalto.
Queste alcune delle novità emergenti dal testo del decreto
del fare (69 del 2013) licenziato ieri dalle commissioni
Affari costituzionali e Bilancio della Camera dei deputati e
pronto ad approdare in aula la settimana prossima.
Per
quanto riguarda le attestazioni Soa, Tino Iannuzzi e
Raffaella Mariani, deputati del Partito democratico,
esprimono soddisfazione per l'approvazione del loro
emendamento. «Questa norma -spiegano- era molto attesa dal
mondo delle imprese operanti nel settore degli appalti
pubblici. Infatti, in una fase di crisi economica così
pesante e prolungata e di enorme contrazione del mercato
degli appalti, è sempre più difficile per le imprese,
soprattutto piccole e medie, poter ottenere le
qualificazioni Soa considerando volume di fatturato e lavori
eseguiti solamente negli ultimi cinque anni. Il nuovo
periodo di tempo di 10 anni, introdotto dal nostro
emendamento, consentirà una maggiore e proficua
partecipazione delle pmi alle gare di appalto».
Ma non sono
le uniche novità che hanno trovato spazio nel provvedimento.
Una di rilievo riguarda i professionisti. Non solo i notai
ma anche gli avvocati diventano infatti protagonisti nelle
divisioni ereditarie. Nei casi di divisione a domanda
congiunta, si legge nella norma approvata, quando non
sussiste controversia sul diritto alla divisione né sulle
quote o altre questioni pregiudiziali, gli eredi o condomini
e gli eventuali creditori e aventi causa che hanno
notificato o trascritto l'opposizione alla divisione possono
domandare la nomina di un notaio ovvero di un avvocato con
potere di autentica delle firme avente sede nel circondario
al quale demandare le operazioni di divisione. La versione
originaria del decreto faceva riferimento esclusivamente ai
notai.
Sul piano delle amministrazioni locali legate a Expo 2015,
si prevede che anche i comuni della provincia di Milano, e
successivamente ricompresi nella istituenda Area
metropolitana, possono istituire l'imposta di soggiorno ai
sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 14.03.2011,
n. 23. Mentre nelle zone a burocrazia zero scatterà una
semplificazione dei controlli. Anzi si intenderanno
addirittura non sottoposte a controllo tutte le attività
delle imprese per le quali le competenti pubbliche
amministrazioni non ritengano necessarie l'autorizzazione,
la segnalazione certificata di inizio attività o la mera
comunicazione.
Le p.a. dovranno pubblicare sul proprio sito
istituzionale l'elenco delle attività soggette a controllo.
La disposizione vale per le amministrazioni centrali ma le
regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie
competenze, adegueranno i propri ordinamenti alle
disposizioni valide per le altre p.a.
(articolo ItaliaOggi del 20.07.2013). |
APPALTI: Appalti,
torna l'anticipazione.
Via il divieto imposto dopo tangentopoli: sarà facoltativa
per gli enti appaltanti.
«SEIMILA CAMPANILI» -
Confermati i 100 milioni al fondo per gli interventi dei
piccoli Comuni, ora si aggiungono risorse dai fondi Ue
2014-2020.
Pioggia di misure per appalti, infrastrutture, edilizia,
urbanistica. Le due novità più importanti, anche
politicamente, del passaggio del «decreto legge del fare»
alla Camera sono l'abolizione del divieto assoluto di
anticipazione negli appalti di lavori e, sul fronte
dell'edilizia privata, la possibilità di utilizzare la Scia
(segnalazione certificata di inizio attività) per interventi
di demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma.
Dopo lunghe discussioni, sono uscite dalle commissioni
Bilancio e Affari costituzionali due norme di compromesso,
la cui applicazione sarà controversa. Spazi per ulteriori
correzioni ci sono nell'Aula di Montecitorio, i relatori ci
stanno lavorando. Ma in entrambi i casi il principio imposto
è comunque forte.
Nel caso degli appalti, l'abolizione del divieto assoluto di
concedere un'anticipazione, imposto dalla legge Merloni dopo
la stagione di Tangentopoli, non significa obbligo di farlo
per le amministrazioni appaltanti: il ricorso allo
strumento, nella misura del 10 per cento, sarà facoltativo.
Il compromesso finale sconta un'opposizione molto dura dell'Anci,
l'associazione dei Comuni, per cui la norma avrebbe
esasperato ulteriormente i vincoli del patto di stabilità,
rischiando di bloccare ulteriormente tutto il sistema dei
lavori pubblici. Per la demolizione e ricostruzione con
modifica della sagoma dell'edificio nei centri storici, sarà
ammessa con Scia (quindi senza richiesta del permesso di
costruire) solo nelle aree espressamente individuate dai
Comuni. Anche qui, soluzione di mediazione fra la proposta
del ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, e
l'opposizione espressa soprattutto dal pd Maurizio Morassut.
La terza norma approvata dalla Camera che rafforza i segnali
già presenti nel decreto legge è l'ulteriore stanziamento
per l'edilizia scolastica. Ai 300 milioni di fondi Inail per
un piano di manutenzione straordinaria si sommano ora altri
150 milioni che andranno, però, a un ulteriore piano che
avrà prioritariamente attenzione allo smaltimento
dell'amianto. Un segno politico di grande interesse per la
sicurezza delle aule scolastiche, ma al tempo stesso
un'esasperazione dei limiti dei piani di edilizia
scolastica: ora sono cinque i veicoli, con fondi distinti,
competenze distinte, procedure distinte.
Nel capitolo delle semplificazioni, versante pubblico, non
si può ignorare la nuova disciplina in materia di terre e
rocce da scavo. Viene introdotta una nuova procedura
semplificata che sarà applicabile sia ai piccoli cantieri
sotto i 6mila metri cubi di materiale estratto sia ai
cantieri intermedi, non sottoposti a Via e Aia. Le imprese
appaltatrici potranno utilizzare le procedure dell'articolo
184 bis del codice dell'ambiente (Dlgs 152/2006), emendato
con una serie di semplificazioni che consentono di cambiare
la destinazione di riutilizzo del materiale o di allungare i
tempi della procedura oltre l'anno finora previsto.
Numerose correzioni anche al piano sblocca-cantieri. La più
rilevante riguarda il piano «seimila campanili», il fondo
per i piccoli interventi per i Comuni con meno di 5mila
abitanti: confermato lo stanziamento di 100 milioni, si
aggiunge che bisognerà trovare nei fondi europei 2014-2020
le risorse per continuare il programma fino al 2020. Saranno
ammesse anche infrastrutture annesse o funzionali alle reti
telematiche NGN o wi-fi.
Quanto al piano per la sicurezza stradale, curiosamente la
priorità si dovrà dare alle piste ciclabili e all'asse
viario Terni-Rieti. Per il piano sblocca-cantieri previsto
anche un gruppo di opere di riserva che saranno finanziate
qualora non si riuscirà a sbloccare le opere già citate nel
decreto (si veda Il Sole-24 Ore del 13 luglio per l'intera
mappa delle opere)
(articolo Il Sole 24 Ore del 20.07.2013). |
APPALTI: Dal
nodo della solidarietà alla strettoia del «Durt»
IMPRESE CONTRARIE/ Il procedimento ipotizzato per ottenere
il «Documento di regolarità tributaria» rischia di tradursi
in un ulteriore vincolo.
Per il momento è ancora sulla carta, ma il documento unico
di regolarità tributaria (Durt), previsto da un emendamento
al Dl 69/2013, viene già bocciato da una parte del mondo
imprenditoriale.
Secondo quanto previsto dall'emendamento a firma del
deputato Girolamo Pisano del M5S, e approvato dalle
commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera,
viene prevista una nuova procedura per esonerare
l'appaltatore dalla responsabilità solidale.
A oggi, per effetto delle modifiche apportate dall'articolo
50 del decreto legge 69/2013 all'articolo 13-ter del Dl
83/2013, la disciplina sulla responsabilità solidale in
materia di appalti di opere e servizi prevede in primo luogo
la responsabilità dell'appaltatore con il subappaltatore per
il versamento delle ritenute sui redditi di lavoro
dipendente (e non più anche dell'Iva dovuta) in relazione
alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di
subappalto. La responsabilità, che è comunque limitata
all'ammontare del corrispettivo dovuto, può essere evitata
ottenendo, anteriormente al pagamento del corrispettivo, la
documentazione che attesta la corretta esecuzione dei
versamenti scaduti da parte del subappaltatore, cioè il Durt.
In sostanza questo documento certifica l'inesistenza di
debiti tributari per imposte, sanzioni e interessi scaduti e
non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del
corrispettivo. Viene inoltre confermata una sanzione
amministrativa da 5.000 a 200.000 euro in capo al
committente nel caso in cui questi paghi l'appaltatore senza
essere in possesso della documentazione prevista.
Tuttavia, la circolare 40/E/2012 dell'agenzia delle Entrate
ha chiarito che la documentazione può essere costituita da
un'autodichiarazione resa in base all'articolo 46 del Dpr
445/2000 che attesti il regolare adempimento degli obblighi
richiesti da parte del subappaltatore. Quindi la
responsabilità solidale dell'appaltatore è esclusa se
quest'ultimo ottiene dal subappaltatore l'autodichiarazione.
Appare ragionevole ritenere che il Durt, se definitivamente
introdotto, debba essere considerato uno strumento
alternativo rispetto all'autocertificazione, perché gli
uffici dell'Agenzia potrebbero essere chiamati a rilasciare
un numero consistente di dichiarazioni con l'ovvio
allungamento dei tempi. In questo senso occorre tenere
presente che l'appaltatore e il committente sono legittimati
a non pagare il corrispettivo della prestazione fino al
rilascio della documentazione.
Una sonora bocciatura della novità è arrivata ieri da Rete
Imprese: «Deve essere cancellato -ha affermato il
presidente Ivan Malavasi- l'emendamento al decreto del fare
che rischia di dare il colpo di grazia a molte imprese già
messe a dura prova da una crisi che sembra non avere fine.
Con un procedimento paradossale si chiede alle imprese di
comunicare periodicamente all'agenzia delle Entrate i dati
delle buste paga al fine di consentire alla stessa Agenzia
di accertare che le imprese sono in regola con il fisco».
Secondo Rete Imprese il provvedimento aumenta gli
adempimenti burocratici a fronte della richiesta delle
aziende di andare nella direzione opposta.
L'emendamento prevede che per il rilascio del Durt in via
digitale le Entrate realizzino un portale dedicato tramite
cui acquisire le informazioni necessarie anche utilizzando
il sistema Uniemens dell'Inps. In attesa della fatturazione
elettronica, però, i soggetti d'imposta devono trasmettere «per
via digitale i dati contabili e i documenti primari relativi
alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle
imposte dovute»
(articolo Il Sole 24 Ore del 20.07.2013). |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
19.07.2013 n. 168 "Avvio del Sistema informatico di
monitoraggio delle opere incompiute (SIMOI). Attuazione del
decreto 13.03.2013, n. 42"
(Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti,
comunicato). |
APPALTI: Appalti,
spunta il «Durt» nella responsabilità solidale.
Fondo di garanzia esteso ai professionisti. Tetto anche agli
stipendi dei dirigenti dei servizi pubblici locali.
INFRASTRUTTURE/ Anticipazioni del 10% alle imprese
appaltatrici. Opere «di riserva» già individuate qualora non
si sblocchino gli investimenti prioritari.
Maratona notturna per il via libera al decreto del fare
nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della
Camera. Una giornata piena di tensioni, con diversi punti di
divergenza con il Governo, sancisce l'approdo del testo in
Aula in ritardo rispetto alle previsioni. C'è in campo
l'ipotesi fiducia, ma Francesco Boccia, presidente della
Bilancio e relatore insieme a Francesco Paolo Sisto (Pdl),
considera possibile la discussione se ci sarà accordo sul
presentare non più di 100 emendamenti.
È stata una seduta convulsa, come ha dimostrato un
emendamento sul Parco geominerario della Sardegna, non
approvato, sul quale il Governo è stato battuto in una fase
di confusione dei lavori. Caos su un emendamento M5S sulla
responsabilità solidale negli appalti, approvato con parere
positivo del governo, che istituisce il Durt (Documento
unico di regolarità tributaria), da acquisire per via
telematica da un portale dell'Agenzia delle entrate. Secondo
le imprese anziché semplificare la norma potrebbe
rappresentare una complicazione. «La norma sarà comunque
migliorata» rassicura Boccia, probabilmente al Senato.
Tra le novità, arriva con un emendamento dei relatori
concordato con il viceministro all'Economia Stefano Fassina
l'estensione del Fondo di garanzia anche ai professionisti,
nel limite massimo di assorbimento delle risorse del fondo
non superiore al 5%. Quanto alla polizza per i
professionisti, il rinvio dovrebbe riguardare solo i medici.
In arrivo 150 milioni per la «riqualificazione e messa in
sicurezza» degli edifici scolastici. Compromesso sugli
incentivi all'energia rinnovabile da bioliquidi: regime di «phasing
out» per i produttori che accettano di uscire gradualmente
dal regime delle agevolazioni. Arriva una norma che agevola
fiscalmente le emittenti tv locali che hanno ricevuto fondi
a titolo risarcitorio per liberare frequenze.
Sempre con emendamento dei relatori, viene previsto un
comitato interministeriale per la spending review ed è
definito l'incarico del commissario straordinario che dovrà
presentare un piano entro 20 giorni dalla nomina. Il
commissario potrà restare in carica al massimo tre anni e
sarà il suo compito sarà tutt'altro che gratuito: percepirà
150mila euro quest'anno, 300mila euro nel 2014 e 2015 e
200mila nel 2016. Si dispone poi la semplificazione delle
procedure per il trasferimento di immobili dello Stato, a
titolo non oneroso, a Comuni, Province, Città metropolitane
e Regioni.
Per gli appalti pubblici affidati con gare bandite dopo la
conversione in legge del Dl, è prevista in favore
dell'appaltatore una anticipazione pari al 10% dell'importo
contrattuale. Il tetto agli stipendi ai manager, oggi
previsto per le società non quotate controllate dalla Pa,
viene esteso anche alle società dei servizi pubblici locali.
Sulle infrastrutture vengono individuate alcune opere di
riserva, prevalentemente in Piemonte, nel caso in cui quelle
già individuate e finanziate dal decreto per non partano
entro il 2013. Spunta anche una norma che consentirà al
Poligrafico dello Stato di gestire il progetto del documento
unificato. Scatta poi il piano del commissario di governo
Francesco Caio per accelerare l'Agenda digitale con il
«sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale».
Stop per due anni allo sversamento di rifiuti speciali e
rifiuti urbani pericolosi da altre Regioni verso la
Campania.
Confermato (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) lo stop
all'incompatibilità tra le cariche di parlamentare e di
sindaco di Comune superiore ai 5mila abitanti: la misura
scatterà solo con le prossime amministrative. Tra gli
emendamenti dei gruppi approvati, ci sono l'estensione di un
anno a Regioni e Comuni per recedere dai contratti di
affitto e la stretta sulle spese per le auto blu e i buoni
taxi non si applicherà alle società pubbliche quotate, in
pratica Eni, Enel, Finmeccanica e loro controllate. Viene
"ripescata" Arcus, la spa del Ministero dei Beni culturali
soppressa dalla spending review del Governo Monti. Via
libera a un Programma nazionale per il sostegno degli
studenti capaci e meritevoli a partire dal 2014 con borse di
studio suddiviso per le lauree e i dottorati di ricerca.
Tornando a Caio e all'Agenda digitale, per superare i
clamorosi ritardi finora accumulati nell'attuazione, verrà
semplificata la natura dei regolamenti previsti dal decreto
crescita bis e non ancora emanati. Approvato un Programma
nazionale per il sostegno degli studenti capaci e meritevoli
a partire dal 2014, suddiviso per le lauree, le lauree
magistrali e i dottorati di ricerca. Le borse di studio
verranno versate in una prima rata semestrale al momento
dell'iscrizione all'università e in una seconda rata
semestrale il primo marzo dell'anno successivo
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.07.2013). |
APPALTI:
Con l'entrata in vigore dell'art. 21-quinquies
della l. n. 241/1990, il legislatore ha accolto una nozione
ampia di revoca del provvedimento amministrativo, prevedendo
tre presupposti alternativi che ne legittimano l'adozione:
a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per
mutamento della situazione di fatto; c) per nuova
valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. jus
poenitendi).
In materia di revoca di atti gara nella fase antecedente
alla aggiudicazione, la giurisprudenza è copiosa,
"antologie” di sentenze dalle quali possono dedursi i
seguenti indiscussi principi: il potere di ritirare gli atti
di gara come l'aggiudicazione provvisoria, attraverso gli
strumenti della revoca o dell'annullamento, è espressione
del principio di buon andamento dell'attività amministrativa
e costituisce una facoltà dell'amministrazione ancora
attinente la fase di scelta del contraente; pertanto, non
sono necessarie specifiche valutazioni dell'eventuale
interesse dell'aggiudicatario provvisorio al mantenimento di
un atto non più rispondente all'interesse pubblico.
L'aggiudicazione provvisoria di una gara, attesa la sua
natura di atto endoprocedimentale ed i suoi effetti
interinali, è inidonea ad attribuire in modo stabile il bene
della vita cui si aspira e ad ingenerare il connesso
legittimo affidamento che imporrebbe l'instaurazione del
contraddittorio procedimentale prima della revoca in
autotutela.
Fino a quando non sia intervenuta l'aggiudicazione, rientra
nel potere discrezionale dell'amministrazione disporre la
revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove
sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da
rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la
prosecuzione della gara.
---------------
Non sussiste l'obbligo di comunicazione di avvio del
procedimento nel caso di revoca dell'aggiudicazione
provvisoria, trattandosi di atto endoprocedimentale rispetto
al quale l'aggiudicatario può vantare un mera aspettativa
alla conclusione del procedimento e non già una posizione
giuridica qualificata.
L'esercizio del potere di autotutela nel corso di un
procedura di gara non ancora assistita, come quella di
specie, neppure dalla aggiudicazione provvisoria, non dà
luogo ad un nuovo procedimento amministrativo, ma si innesta
all'interno dell'unico procedimento destinato a concludersi
con l'intervento dell'aggiudicazione definitiva.
---------------
Come noto, la responsabilità cd. precontrattuale -che trova
il suo paradigma normativo negli artt. 1337 e 1338 c.c.- è
stata identificata come l’istituto che tende a tutelare la
libertà negoziale della parte, mettendola al sicuro da
coartazioni od inganni incidenti sulle proprie
determinazioni negoziali (art. 1337 c.c.), ovvero
preservandola da trattative che si rivelino inutili, in
quanto conducano alla stipulazione di un contratto invalido
(art. 1338 c.c.).
La giurisprudenza ha riconosciuto il risarcimento del danno,
per responsabilità precontrattuale, pur in presenza di una
revoca legittima, laddove l’impresa abbia confidato sulla
possibilità di diventare affidataria e, ancor più, in caso
di aggiudicazione intervenuta e revocata, sulla
disponibilità di un titolo che l'abilitava ad accedere alla
stipula del contratto stesso.
Detto orientamento giurisprudenziale, che afferma non essere
ostativo al risarcimento del danno in materia di procedure
ad evidenza pubblica l'intervento di un atto di revoca
assunto in via di autotutela ancorché quest'ultimo sia
legittimo non è invocabile nel caso di specie in assenza del
provvedimento di aggiudicazione, in una fase in cui la
stazione appaltante doveva valutare il profilo economico
finanziario della gestione.
---------------
L'obbligo generale di indennizzo dei pregiudizi arrecati ai
soggetti interessati in conseguenza della revoca di atti
amministrativi, di cui all'art. 21-quinquies l. 241/1990,
sussiste esclusivamente in caso di revoca di provvedimenti
definitivi e non anche in caso di revoca di atti a effetti
instabili e interinali, quale l'aggiudicazione provvisoria.
Questo porterebbe ad escludere ogni voce di indennizzo,
considerato che la revoca, come visto nella fattispecie, è
intervenuta prima dell’aggiudicazione provvisoria.
L’Amministrazione ha ritenuto di procedere
alla revoca degli atti di gara, per una nuova valutazione
degli interessi, certamente anche a seguito della modifica
della maggioranza politica.
Con l'entrata in vigore dell'art. 21-quinquies della l. n.
241/1990, il legislatore ha accolto una nozione ampia di
revoca del provvedimento amministrativo, prevedendo tre
presupposti alternativi che ne legittimano l'adozione: a)
per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per
mutamento della situazione di fatto; c) per nuova
valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. jus
poenitendi).
In materia di revoca di atti gara nella fase antecedente
alla aggiudicazione, la giurisprudenza è copiosa, come
dimostrano gli atti delle parti, “antologie” di sentenze,
dalle quali possono dedursi i seguenti indiscussi principi:
il potere di ritirare gli atti di gara come l'aggiudicazione
provvisoria, attraverso gli strumenti della revoca o
dell'annullamento, è espressione del principio di buon
andamento dell'attività amministrativa e costituisce una
facoltà dell'amministrazione ancora attinente la fase di
scelta del contraente; pertanto, non sono necessarie
specifiche valutazioni dell'eventuale interesse
dell'aggiudicatario provvisorio al mantenimento di un atto
non più rispondente all'interesse pubblico (TAR Sardegna
Cagliari, sez. I, 11.11.2010, n. 2582; TAR Puglia
Bari, sez. I, 14.09.2010, n. 3459; TAR Sicilia
Palermo, sez. I, 28.07.2010, n. 9011; TAR Piemonte
Torino, sez. I, 23.04.2010, n. 2085; TAR Lazio Roma,
sez. II, 09.11.2009, n. 10991; TAR Campania Napoli,
sez. VIII, 24.09.2008, n. 10735).
L'aggiudicazione provvisoria di una gara, attesa la sua
natura di atto endoprocedimentale ed i suoi effetti
interinali, è inidonea ad attribuire in modo stabile il bene
della vita cui si aspira e ad ingenerare il connesso
legittimo affidamento che imporrebbe l'instaurazione del
contraddittorio procedimentale prima della revoca in
autotutela.
Fino a quando non sia intervenuta l'aggiudicazione, rientra
nel potere discrezionale dell'amministrazione disporre la
revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove
sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da
rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la
prosecuzione della gara (da ultimo Consiglio di Stato sez.
V, n. 2418 del 06.05.2013).
Si tratta quindi, facendo applicazione dei principi
consolidati sopra riportati, di valutare se la scelta di
revoca della procedura de qua, fosse sorretta da concreti
motivi di interesse pubblico.
---------------
Inoltre va
anche richiamato il consolidato principio giurisprudenziale
secondo cui non sussiste l'obbligo di comunicazione di avvio
del procedimento nel caso di revoca dell'aggiudicazione
provvisoria, trattandosi di atto endoprocedimentale rispetto
al quale l'aggiudicatario può vantare un mera aspettativa
alla conclusione del procedimento e non già una posizione
giuridica qualificata (TAR Lazio Roma, sez. II, 09.11.2009, n. 10991; TAR Puglia Bari, sez. I, 14.09.2010, n. 3459; TAR Valle d'Aosta Aosta, 10.10.2007, n. 123; TAR Campania Napoli, sez. I, 27.01.2006, n. 1078; TAR Lombardia Milano, sez. III, 16.01.2006, n. 50; Consiglio Stato, sez. IV, 29.10.2002, n. 5903).
L'esercizio del potere di autotutela nel corso di un
procedura di gara non ancora assistita, come quella di
specie, neppure dalla aggiudicazione provvisoria, non dà
luogo ad un nuovo procedimento amministrativo, ma si innesta
all'interno dell'unico procedimento destinato a concludersi
con l'intervento dell'aggiudicazione definitiva.
---------------
Quanto alla
domanda risarcitoria, per responsabilità pre-contrattuale,
parte ricorrente richiama la decisione del Consiglio di
Stato n. 5002/2011, sul riconoscimento del mancato utile nel
caso di illegittima revoca della gara.
Come noto, la responsabilità cd. precontrattuale -che trova
il suo paradigma normativo negli artt. 1337 e 1338 c.c.- è
stata identificata come l’istituto che tende a tutelare la
libertà negoziale della parte, mettendola al sicuro da
coartazioni od inganni incidenti sulle proprie
determinazioni negoziali (art. 1337 c.c.), ovvero
preservandola da trattative che si rivelino inutili, in
quanto conducano alla stipulazione di un contratto invalido
(art. 1338 c.c.).
La giurisprudenza ha riconosciuto il risarcimento del danno,
per responsabilità precontrattuale, pur in presenza di una
revoca legittima, laddove l’impresa abbia confidato sulla
possibilità di diventare affidataria e, ancor più, in caso
di aggiudicazione intervenuta e revocata, sulla
disponibilità di un titolo che l'abilitava ad accedere alla
stipula del contratto stesso.
Detto orientamento giurisprudenziale, che afferma non essere
ostativo al risarcimento del danno in materia di procedure
ad evidenza pubblica l'intervento di un atto di revoca
assunto in via di autotutela ancorché quest'ultimo sia
legittimo (da ultimo Cons. Stato Sez. IV, 07.02.2012, n. 662)
non è invocabile nel caso di specie in assenza del
provvedimento di aggiudicazione, in una fase in cui la
stazione appaltante doveva valutare il profilo economico
finanziario della gestione.
La domanda risarcitoria deve pertanto essere respinta.
In subordine viene chiesto il riconoscimento di un
indennizzo, ex art. 21-quinquies l. 241/1990, per i costi
vivi di partecipazione, quantificati in € 20.500,00.
La giurisprudenza in materia ha affermato che "l'obbligo
generale di indennizzo dei pregiudizi arrecati ai soggetti
interessati in conseguenza della revoca di atti
amministrativi, di cui all'art. 21-quinquies l. 241/1990,
sussiste esclusivamente in caso di revoca di provvedimenti
definitivi e non anche in caso di revoca di atti a effetti
instabili e interinali, quale l'aggiudicazione provvisoria"
(Consiglio di Stato, sez. V, 05.04.2012, n. 2007).
Questo porterebbe ad escludere ogni voce di indennizzo,
considerato che la revoca, come visto, è intervenuta prima
dell’aggiudicazione provvisoria.
In ogni caso si deve osservare come non sarebbe possibile,
in questa fase, vagliare la domanda di indennizzo, poiché le
voci di costo elencate non sono state supportate da alcuna
prova documentale.
Anche la domanda di indennizzo va quindi respinta (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 18.07.2013 n. 1913 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il termine di dieci
giorni, entro il quale l'impresa offerente, sorteggiata a
campione per il controllo in ordine al possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa o, in diverso momento,
l’aggiudicatario e il concorrente secondo classificato, sono
tenuti, ai sensi dell'art. 48 del d.lgs. 12.04.2006 n. 163,
ad ottemperare alla richiesta della stazione appaltante, ha
natura perentoria, e le sanzioni conseguenti alla sua
inosservanza non vanno applicate solo in caso di comprovata
impossibilità per l'impresa di produrre la documentazione
non rientrante nella sua disponibilità.
---------------
La garanzia che correda l’offerta, pari al due per cento del
prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di
cauzione o di fideiussione, a scelta dell'offerente, copre
la mancata sottoscrizione del contratto per fatto
dell'affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento
della sottoscrizione del contratto medesimo.
Per giurisprudenza costante, la funzione della cauzione
provvisoria è costituita dalla garanzia che
l’amministrazione riceve dal concorrente sulla serietà dello
stesso nel partecipare alla gara e si sostanzia in una forma
di liquidazione anticipata del danno nel caso in cui la
stipula del contratto non avvenga per recesso o per difetto
dei requisiti del concorrente.
La ratio delle disposizioni sull’automaticità
dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 48 va,
invece, individuata nel contemperamento del principio del
libero accesso alle gare, con la garanzia che vi partecipino
imprese affidabili.
La norma, dunque, di spiccata funzione sanzionatoria,
riveste la finalità di tutelare la correttezza e speditezza
del procedimento di gara, tendendo a preservare la procedura
stessa dalla partecipazione di imprese non adeguate, per
mancanza dei requisiti richiesti, all'oggetto della gara
medesima, risultando strumentale rispetto all'esigenza di
garantire imparzialità e buon andamento dell'azione
amministrativa e par condicio fra i concorrenti.
---------------
L'esercizio del potere contrattuale, anche da parte di
un'amministrazione pubblica committente, comunque operante
nel campo dell'autonomia privata, deve essere conforme ai
canoni generali di buona fede oggettiva, lealtà dei
comportamenti e correttezza, alla luce dei quali vanno
interpretati gli stessi atti di autonomia negoziale; ciò
allo scopo di evitare che la libera estrinsecazione
dell'autonomia contrattuale possa sfociare nell'arbitrio
ovvero nell'abuso nell'esercizio del proprio diritto,
principio che, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione e
dell'art. 1175 c.c., permea le condotte di ciascun operatore
giuridico e dunque anche dell’amministrazione, ravvisabile
nel comportamento del soggetto che esercita verso l'altro i
diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per
realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti
sono preordinati.
Nella fattispecie in questione deve ricevere,
dunque, applicazione quella giurisprudenza in base alla
quale il termine di dieci giorni, entro il quale l'impresa
offerente, sorteggiata a campione per il controllo in ordine
al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa o, in diverso momento,
l’aggiudicatario e il concorrente secondo classificato, sono
tenuti, ai sensi dell'art. 48 del d.lgs. 12.04.2006 n.
163, ad ottemperare alla richiesta della stazione
appaltante, ha natura perentoria, e le sanzioni conseguenti
alla sua inosservanza non vanno applicate solo in caso di
comprovata impossibilità per l'impresa di produrre la
documentazione non rientrante nella sua disponibilità (cfr.,
fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 16.02.2012, n.
810).
Nonostante le succitate previsioni legislative e il suddetto
orientamento giurisprudenziale, il collegio ritiene che
debba, invece, statuirsi l’illegittimità della
determinazione della stazione appaltante di procedere
all’incameramento della cauzione provvisoria prestata dalla
ricorrente, sia in considerazione della ratio che è alla
base di tale prestazione, nonché delle disposizioni
dell’art. 48 del codice degli appalti, che delle specifiche
circostanze ricorrenti nella fattispecie che ci occupa.
Ed invero, ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 6
dell’art. 75 del d.lgs. n. 163/2006, la garanzia che correda
l’offerta, pari al due per cento del prezzo base indicato
nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di
fideiussione, a scelta dell'offerente, copre la mancata
sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario, ed
è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione
del contratto medesimo.
Per giurisprudenza costante, la funzione della cauzione
provvisoria è costituita dalla garanzia che
l’amministrazione riceve dal concorrente sulla serietà dello
stesso nel partecipare alla gara e si sostanzia in una forma
di liquidazione anticipata del danno nel caso in cui la
stipula del contratto non avvenga per recesso o per difetto
dei requisiti del concorrente (cfr., ad esempio, Cons.
Stato, sez. V, 08.10.2011, n. 5499; 05.08.2011, n.
4712).
La ratio delle disposizioni sull’automaticità
dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 48 va,
invece, individuata nel contemperamento del principio del
libero accesso alle gare, con la garanzia che vi partecipino
imprese affidabili.
La norma, dunque, di spiccata funzione sanzionatoria,
riveste la finalità di tutelare la correttezza e speditezza
del procedimento di gara, tendendo a preservare la procedura
stessa dalla partecipazione di imprese non adeguate, per
mancanza dei requisiti richiesti, all'oggetto della gara
medesima, risultando strumentale rispetto all'esigenza di
garantire imparzialità e buon andamento dell'azione
amministrativa e par condicio fra i concorrenti (cfr., in
particolare, Cons. Stato, sez. V, 24.11.2011, n. 6239;
11.01.2012, n. 80; sez. IV, 16.02.2012, n. 810).
Deve, inoltre, osservarsi che il disciplinare di gara della
procedura di specie, alla pag. 46, nell’ambito del paragrafo
6.3 dedicato all’aggiudicazione, prevedeva al punto II che,
nel caso di mancata presentazione della documentazione
richiesta a comprova dei requisiti economico-finanziari,
Lombardia Informatica S.p.A. si riservasse il diritto di
escutere la cauzione provvisoria.
Nella fattispecie in questione, in particolare, la
ricorrente era in possesso dei requisiti
economico-finanziari dalla stessa dichiarati in sede di
offerta, come risulta dalla documentazione dalla stessa
prodotta, seppur in ritardo; si era offerta di procedere
alla stipula della convenzione, come si evince dalla
corrispondenza versata in atti; non poteva verificarsi
alcuna lesione della par condicio di eventuali altri
concorrenti, essendo Celgene l’unica titolare del diritto di
produrre i farmaci antitumorali infungibili oggetto dei
lotti dei quali era risultata aggiudicataria.
Tali elementi, considerati nel complesso, ed in particolare
alla luce delle specifiche previsioni della lex specialis di
gara, per l’indubbio affidamento dalle stesse ingenerato
nella ricorrente, avrebbero dovuto far propendere Lombardia
Informatica per la sola esclusione di Celgene dalla
procedura concorsuale, conseguendone, quindi,
l’illegittimità dell’incameramento della consistente
cauzione provvisoria per la violazione dei canoni
civilistici di buona fede e affidamento.
Riceve, dunque, applicazione quell’orientamento
giurisprudenziale, pure assunto dall’istante a sostegno
delle proprie censure, secondo il quale l'esercizio del
potere contrattuale, anche da parte di un'amministrazione
pubblica committente, comunque operante nel campo
dell'autonomia privata, deve essere conforme ai canoni
generali di buona fede oggettiva, lealtà dei comportamenti e
correttezza, alla luce dei quali vanno interpretati gli
stessi atti di autonomia negoziale; ciò allo scopo di
evitare che la libera estrinsecazione dell'autonomia
contrattuale possa sfociare nell'arbitrio ovvero nell'abuso
nell'esercizio del proprio diritto, principio che, ai sensi
dell'art. 2 della Costituzione e dell'art. 1175 c.c., permea
le condotte di ciascun operatore giuridico e dunque anche
dell’amministrazione, ravvisabile nel comportamento del
soggetto che esercita verso l'altro i diritti che gli
derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno
scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati
(cfr., in proposito, Cons. Stato, sez. II, 23.05.2012,
n. 4930; sez. IV, 02.03.2012, n. 1209) (TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 18.07.2013 n. 1906 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Il ricorso ai sistemi telematici o agli strumenti
elettronici messi a disposizione dalla Regione Lombardia non
debbono essere intese quale ulteriore specificazione delle
fattispecie di acquisto autonomo (tanto nei casi in cui
l’oggetto dell’acquisizione sia già presente sul MEPA,
quanto nelle ipotesi in cui non sia ivi rinvenibile), bensì
quale vera e propria forma equipollente di e-procurement che
permette l’approvvigionamento di beni e servizi mediante
procedure telematiche previste dalla legge.
---------------
... il Presidente della Regione Lombardia mediante nota del
20.06.2013, ha posto un quesito sulla disciplina e sulle
modalità di accesso da parte delle pubbliche amministrazioni
lombarde al Sistema telematico regionale (Sintel), quale
piattaforma tecnologica alternativa al MEPA, agli altri
mercati elettronici descritti nell’art. 328 comma1 del
regolamento al Codice degli Appalti (D.P.R. n. 207/2010), al
ricorso alla centralizzazione degli acquisti tramite
convenzioni Consip.
...
Tutto ciò premesso, si rileva che il Sistema Telematico
“regionale”:
- rappresenta un’alternativa al MEPA o altri mercati
elettronici di cui all'articolo 328, comma 1, del
regolamento del Codice degli Appalti (DPR 2010, n. 207)
nell’ipotesi prevista dal richiamato comma 450, articolo 1,
della legge 27 dicembre 2006, n.296.
- rappresenta un’alternativa alla centralizzazione delle
acquisizioni (anche in ambito di lavori) dettate per i
Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti
nell’ipotesi prevista dall’articolo 33, comma 3-bis del Dlgs
n. 163/2006.
Tuttavia i pareri svolti dalla Corte dei Conti, Sezioni di
Controllo della Regione Marche (n. 169/2012) e della Regione
Lombardia sul tema (n. 165/2013 e n. 89/2013) non compiono
alcun riferimento ai Sistemi Telematici messi a disposizione
dalle Centrali di Committenza Regionali. Infatti tali
pareri, nel descrivere le ipotesi in cui un Ente Locale è
legittimato ad effettuare un acquisto autonomo, compiono
riferimento unicamente alla fattispecie in cui l’oggetto
dell’acquisizione non è presente nelle categorie
merceologiche del MEPA o altro Mercato Elettronico non
considerando l’alternativa fornita dai richiamati Sistemi
Telematici delle centrali regionali.
...
Tutto ciò esposto e in particolare alla luce della
differenza sia formale che sostanziale richiamata, si
chiede pertanto a codesta spettabile Sezione di confermare
l’ambito di alternativa/equipollenza rappresentato dalla
predetta locuzione sistema telematico messo a disposizione
dalla centrale regionale di riferimento (nelle diverse
accezioni sopra elencate) con riguardo al concetto di
Mercato Elettronico. In particolare si richiede di
confermare la legittimità delle modalità di acquisto
descritte nelle ipotesi sub a) e sub b) ovvero che l’ente
locale possa adempiere al dettato normativo anche
utilizzando la piattaforma telematica regionale Sintel.
Tale invero sembra essere senza alcun dubbio l’intenzione
del legislatore e cioè quello di promuovere l’utilizzo di
strumenti telematici di acquisto, siano essi gestiti dalla
centrale di committenza nazionale (MEPA, da Consip) siano
essi gestiti da centrali di committenza regionali (Sintel,
in Lombardia, da ARCA).
Analogamente, alla luce delle considerazioni svolte in
merito alle differenze tra diversi sistemi, si chiede a
codesta spettabile Sezione di confermare l’ambito di
alternatività portato dall’articolo 33, comma 3-bis, del
D.Lgs. n. 163/2006, per le acquisizioni di lavori, servizi e
forniture dei Comuni con popolazione non superiore a 5.000,
e segnatamente: in alternativa, gli stessi Comuni possono
effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti
elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di
committenza di riferimento.
-----------------
L’amministrazione regionale ha delineato nel contesto del
quesito il quadro normativo che disciplina il sistema degli
acquisti in rete mediante il quale le pubbliche
amministrazioni devono conformarsi nel procurarsi beni e
servizi.
Con riferimento alle questioni di coordinamento fra le varie
discipline che si sono stratificate a partire dall’art. 26,
commi 1 e 3, della legge n.488/1999, per concludere con i
precetti dell’art. 1 del D.L. n. 95/2012, è sufficiente
rinviare all’ampia disamina del quadro normativo delineato
nei precedenti consultivi di questa Sezione, cui la stessa
amministrazione istante si è riferita, tanto con riferimento
al (SRC Lombardia, deliberazione n. 89/2013/PAR;
deliberazione n. 165/2013/PAR, ed in termini SRC Marche
deliberazione n. 169/2012/PAR; SRC Piemonte, deliberazione
n. 271/2012/PAR).
I pilastri su cui si fonda il sistema di e-procurement
possono essere individuati in primo luogo, nel vincolo di
benchmark rispetto alle convenzioni Consip; in secondo
luogo, nell’utilizzo del MEPA. per la generalità degli
acquisti ed, infine, nella possibilità di aderire ai sistemi
telematici e agli strumenti elettronici di negoziazioni
messi a disposizioni dalle Centrali di committenza regionali
e/o da altre Centrali di committenza di riferimento.
Ciò posto, ai fini della tenuta complessiva del sistema di
e-procurement via via delineato dal legislatore, occorre
ribadire la natura vincolistica dei recenti interventi che
hanno profondamente innovato il quadro normativo relativo
agli acquisti di beni e servizi della Pubblica
Amministrazione in genere. Di qui l’adozione di
un’interpretazione rigorosa delle disposizioni di cui
trattasi tale da non frustrarne o eluderne i sottesi
principi informatori, con prioritario rilievo al criterio
letterale.
In particolare, per quanto concerne le convenzioni Consip,
ai sensi del sopracitato art. 1, comma 449, l. n. 296/2006,
le amministrazioni pubbliche non statali di cui all'articolo
1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, e successive
modificazioni, possono ricorrere alle convenzioni di cui al
presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero
ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti
massimi per la stipulazione dei contratti.
Ergo, in linea di principio, le sanzioni stabilite dall’art.
1, comma 1, del citato decreto legge n. 95 appaiono
applicabili anche ai contratti stipulati dagli enti locali
senza tener conto dei parametri prezzo-qualità delle
convenzioni Consip quale limite massimo per l’acquisto di
beni o servizi comparabili.
Per quanto concerne i Comuni di minore dimensione, dal
momento dell’entrata in vigore dell’art. 33, comma 3-bis,
del d.lgs. n. 163/2006 l’obbligo di avvalersi delle
convenzioni Consip, degli strumenti elettronici di acquisto
gestiti da altre centrali di committenza di riferimento
trova applicazione per tutti gli enti inferiori a 5.000
abitanti, quale possibilità alternativa al ricorso ad
un’unica centrale di committenza nell’alveo di un’unione o
di un consorzio di comuni.
Resta fermo il disposto dell’art. 1, comma 7, del D.L. n.
95/2012, relativo ad alcune tipologie specifiche di acquisti
da parte delle amministrazioni pubbliche e delle società
inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi
dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196, a totale
partecipazione pubblica diretta o indiretta (senza
esclusioni soggettive). Siffatti enti, relativamente alle
categorie merceologiche di energia elettrica, gas,
carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per
riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile, sono
tenuti ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli
accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle
centrali di committenza regionali di riferimento (costituite
ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27.12.2006,
n. 296), ovvero ad esperire proprie autonome procedure nel
rispetto della normativa vigente utilizzando i sistemi
telematici di negoziazione messi a disposizione dai soggetti
sopra indicati.
È fatta salva la possibilità di procedere ad affidamenti,
nelle indicate categorie merceologiche, anche al di fuori
delle predette modalità, ma a condizione che gli stessi
conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di
committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano
corrispettivi inferiori a quelli indicati nelle convenzioni
e accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e
dalle centrali di committenza regionali. In tali casi i
contratti dovranno comunque essere sottoposti a condizione
risolutiva con possibilità per il contraente di adeguamento
ai predetti corrispettivi nel caso di intervenuta
disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di
committenza regionali che prevedano condizioni di maggior
vantaggio economico. La mancata osservanza delle
disposizioni del presente comma rileva ai fini della
responsabilità disciplinare e per danno erariale.
Passando al Mercato elettronico della P.A. (c.d. MEPA), il
richiamato art. 1, comma 450, l. n. 296/2006 distingue il
regime normativo delle “amministrazioni statali centrali
e periferiche” rispetto a quello delle “altre
amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 D.Lgs.
n.165/2001”. Gli Enti locali, ai fini dell’affidamento
di appalti pubblici di importo inferiore alla soglia di
rilievo comunitario, debbono obbligatoriamente ricorrere al
mercato elettronico.
Cionondimeno, non sussiste un obbligo assoluto di ricorso al
Mercato Elettronico della P.A. (c.d. MEPA), essendo
espressamente prevista la facoltà di scelta tra le diverse
tipologie di mercato elettronico richiamate dall’art. 328
del d.p.r. 207/2010: segnatamente, tra il mercato
elettronico realizzato dalla medesima stazione appaltante e
quello realizzato dalle centrali di committenza di
riferimento di cui all’art. 33 del Codice dei contratti.
Emerge, dunque, evidente un favor del legislatore per
modalità di acquisto effettuata mediante sistemi c.d. di
e-procurement tali da assicurare alla amministrazione la
possibilità di entrare in contatto con una più ampia platea
di fornitori; ma, soprattutto, emerge l’esigenza di
garantire la tracciabilità dell’intera procedura di acquisto
ed una maggiore trasparenza della stessa, attesa
l’automaticità del meccanismo di aggiudicazione con
conseguente riduzione dei margini di discrezionalità
dell’affidamento.
Giova osservare che, a parte la gamma di possibilità offerta
alla stazione appaltante alla stregua del richiamato art.
328 del Regolamento di esecuzione ed attuazione, lo stesso
MEPA., diversamente dal sistema delle Convenzioni Consip, si
atteggia come un mercato aperto cui è possibile l’adesione
da parte di imprese che soddisfino i requisiti previsti dai
bandi relativi alla categoria merceologica o allo specifico
prodotto e servizio e, quindi, anche di quella o quelle
asseritamente in grado di offrire condizioni di maggior
favore rispetto a quelle praticate sul MEPA ovvero un
bene/servizio conforme alle esigenze funzionali della
amministrazione procedente.
L’amministrazione regionale riferisce di una carenza
previsionale, allo stato dell’arte, negli approdi consultivi
delle varie Sezioni regionali di Controllo, ed in
particolare nell’omissione di ulteriori casi di legittimo
acquisto autonomo da parte dell’Ente Locale, oltre le
ipotesi nelle quali il bene o il servizio richiesto non è
presente nelle categorie merceologiche del MEPA o di altro
mercato elettronico, non considerando l’alternativa fornita
dai richiamati Sistemi telematici messi a disposizione dalle
Centrali Acquisti Regionali.
Come si può notare, l’orientamento consultivo già espresso
dalla Sezione nella citata deliberazione n. 89/2013/PAR,
conteneva alcuni richiami espliciti “agli strumenti
elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di
committenza di riferimento”, quale forma alternativa di
e-procurement previsto dal legislatore.
Orbene, non vi è dubbio che la costituzione
dell’Agenzia Regionale Centrale Acquisti, abbia ricevuto
copertura legislativa attraverso la legge regionale n.
33/2007, quale organismo di committenza previsto dall’art.
33 del D.Lgs. n. 163/2006.
Il favor del legislatore per la costituzione e l’utilizzo
delle centrali di committenza regionali è avallato dalla
previsione testuale dell’art. 1, commi 449 e 450, della
legge 27.12.2006, n. 296 e dall’art. 2, comma 574, della
legge 24.12.2007, n. 244.
Peraltro, i servizi di centralizzazione presi in
considerazione dalla norma di riferimento non si limitano
all’acquisto centralizzato, ma anche alla predisposizione
d’infrastrutture informatiche in grado di aumentare
trasparenza, celerità e quindi economicità degli acquisti
(piattaforme telematiche).
Ne consegue che il ricorso ai sistemi
telematici o agli strumenti elettronici messi a disposizione
dalla Regione Lombardia non debbono essere intese quale
ulteriore specificazione delle fattispecie di acquisto
autonomo (tanto nei casi in cui l’oggetto dell’acquisizione
sia già presente sul MEPA, quanto nelle ipotesi in cui non
sia ivi rinvenibile), bensì quale vera e propria forma
equipollente di e-procurement che permette
l’approvvigionamento di beni e servizi mediante procedure
telematiche previste dalla legge
(sugli obblighi di utilizzare le strutture telematiche di
e-procurement messe a disposizione dalla Regione per gli
enti del Servizio Sanitario Regionale si veda il recente
approdo del Consiglio di Stato, sentenza 18.01.2013, n.
288).
Occorre inoltre rilevare che le
funzionalità offerte dai sistemi telematici resi fruibili
dalle centrali di committenza regionali alla platea delle
amministrazioni locali possono garantire talune funzionalità
aggiuntive rispetto ai cataloghi predefiniti di beni e di
servizi presenti sul MEPA, consentendo l’individuazione
selettiva di una categoria merceologica non presente nel
sistema o nel mercato elettronico, ovvero la possibilità di
utilizzare una piattaforma telematica per la gestione
dell’intera procedura di acquisto, indipendentemente dalla
forma di gara in concreto utilizzata.
Analogamente, i Comuni con popolazione non
superiore ai 5.000 abitanti, possono accedere ai sistemi
telematici messi a disposizioni dalle amministrazioni
regionali anche per l‘acquisizione di lavori, servizi e
forniture di cui al richiamato art. 33, comma 3-bis, del
D.Lgs. n.163/2006.
Quanto, infine, alla distinzione concettuale fra Mercato
Elettronico della Pubblica Amministrazione e strumento
telematico da utilizzare per le procedure di gara, correttamente
l’amministrazione istante individua nell’art. 289 del D.P.R.
05.10.2010, n. 207 la nozione di Sistema informatico di
negoziazione quale piattaforma telematica strumentale
mediante la quale possono essere gestite le diverse
tipologie di procedure di gara disciplinate nel Codice degli
Appalti, rispetto alla nozione di Mercato Elettronico
richiamata dall’art. 328 del medesimo regolamento.
Va da sé, infine, sottolineare che le
piattaforme telematiche regionali debbano rispettare le
condizioni legali di trasparenza, semplificazione ed
efficacia delle procedure descritte nell’art. 295 del D.P.R.
n. 207/2010, le caratteristiche tecniche delle comunicazioni
telematiche previste dall’art. 77 del Codice degli Appalti,
nonché l’utilizzo delle previsioni contenute nel D.Lgs.
07.03.2005, n. 82
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 18.07.2013 n. 312). |
LAVORI PUBBLICI: L'imprenditore agricolo va in gara d'appalto.
Anche l'imprenditore agricolo che opera nella forma della
società semplice può partecipare alle pubbliche gare,
nonostante l'articolo 34 del codice dei contratti limiti la
possibilità alle sole società commerciali.
Lo ha affermato
il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la
sentenza 17.07.2013 n. 3891 che chiude una vicenda
iniziata nel novembre 2004, con la decisione dell'Autorità
per la vigilanza sui lavori pubblici (comunicato n. 42/2004)
di negare in via di principio la possibilità per le Soa di
rilasciare l'attestazione per la partecipazione alle
pubbliche gare in favore delle società semplici.
Ciò in
quanto, a suo dire, il dpr 34 del 2000 (il quale disciplina
i presupposti e le condizioni per conseguire la
qualificazione ai fini della partecipazione alle pubbliche
gare) deve essere interpretato nel senso di riferirsi
soltanto alle imprese che possono essere idonei concorrenti
per le gare d'appalto, e questo non sarebbe stato il caso
delle società semplici, che non possono svolgere attività
commerciali.
La questione era stata sollevata davanti al
giudice amministrativo da una società, imprenditore agricolo
in base all'articolo 2135 del codice civile costituito nella
forma della società semplice, che si era vista revocare
l'attestazione per la partecipazione alle gare. Il Consiglio
di stato, vista la complessità della questione, ha disposto
il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (art. 267
del Tfue) al fine di ottenere indicazioni circa la corretta
interpretazione delle disposizioni del diritto comunitario.
L'ordinanza di rimessione, in particolare, aveva osservato
che nessuna disposizione del diritto nazionale sembrava
ammettere le società semplici, alla partecipazione alle
pubbliche gare, ma i giudici comunitari hanno invece
ritenuto che, in base alla normativa comunitaria, si debba
pervenire a conclusioni affatto diverse (ordinanza
C-502/2011). Ciò in quanto «Il diritto dell'Unione, art. 6
della direttiva 93/37/Cee del Consiglio, del 14.06.1993,
che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori, come modificata dalla direttiva
2001/78/Ce della Commissione, del 13.09.2001, osta ad
una normativa nazionale, [_] che vieta a una società quale
una società semplice, qualificabile come “imprenditore” ai
sensi della direttiva 93/37, di partecipare alle gare
d'appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica».
La sentenza della Corte di giustizia europea del 04.10.2012 vincola il giudice nazionale a disporre la
disapplicazione della normativa primaria nazionale in quanto
riconosciuta in contrasto con la pertinente normativa
comunitaria. Dal che ne consegue, per un verso,
l'illegittimità del comunicato dell'Autorità n. 42/2004, per
la parte in cui richiama i tradizionali argomenti di diritto
interno ostativi alla richiamata partecipazione e per altro
verso, l'illegittimità del provvedimento di revoca
dell'attestazione Soa a suo tempo rilasciata
all'imprenditore agricolo
(articolo ItaliaOggi del 24.07.2013). |
APPALTI: G.U.
17.07.2013 n. 166 "Saggio degli interessi da applicare a
favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle
transazioni commerciali" (Ministero dell'Economia e
delle Finanza,
comunicato).
---------------
Ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali: tasso
01/07-31/12/2013
Il saggio d'interesse per ritardati pagamenti nelle
transazioni commerciali per il semestre
01.07.2013-31.12.2013 è determinato
all'8,50%.
E' quanto risulta dal comunicato del Ministero dell'Economia
e delle Finanze pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 166
del 17.07.2013 che ha fissato il saggio di cui all'art. 5,
comma 2, del D.lgs. n. 231/2002 (link a www.altalex.com). |
APPALTI:
MODIFICHE ALLA RESPONSABILITA’ SOLIDALE FISCALE - NUOVO
FACSIMILE DI DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA (16.07.2013
- link a
www.ancebrescia.it). |
APPALTI: Appalti, «concorso esterno» ampio.
Basta la presentazione di un'offerta guidata per far
scattare il coinvolgimento. Cassazione. Allargati i limiti
dell'attività ausiliaria alle cosche mafiose: non è
necessario dimostrare il vantaggio economico.
Basta anche la sola presentazione di offerte di comodo per
conto del clan a far scattare, contro un imprenditore non
affiliato a Cosa nostra, l'imputazione di concorso esterno
in associazione mafiosa. Alla prova della collusione,
inoltre, non serve la dimostrazione di un effettivo
incremento dei ricavi tra il periodo precedente l'assodata
partecipazione esterna e quello di effettivo coinvolgimento
con il clan: è sufficiente infatti la prova di un mero
«rapporto di cointeressenza tale da produrre vantaggi
(ingiusti) per entrambi i contraenti».
La VI Sez. penale della Corte di Cassazione (sentenza
15.07.2013 n. 30346) torna a delimitare il perimetro
dell'attività "ausiliaria" alla mafia, confermando la
condanna al titolare di una cooperativa coinvolta, alla fine
degli anni '80, in operazioni per conto della cosca di
Bernardo Provenzano.
Il Tribunale di Palermo nel 2004, per quelle stesse
attività, aveva riconosciuto il vincolo di appartenenza
diretta all'associazione, verdetto però attenuato quattro
anni dopo dall'Appello, che le aveva riqualificate come
«concorso esterno».
Nei due gradi di merito, scrive il relatore della sentenza
finale, era emersa l'esistenza di un rapporto di consapevole
e volontaria «collaborazione» della cooperativa con Cosa
nostra «attraverso un'attività di illecita interferenza
nell'aggiudicazione degli appalti pubblici, con reciproco
vantaggio costituito, per l'imputato, dal conseguimento di
commesse e, per il consorzio criminoso, dal rafforzamento
della propria capacità di influenza nello specifico settore
imprenditoriale». Una ricostruzione meramente indiziaria,
contestava la difesa, a cui, tra l'altro, sarebbe mancata la
prova dell'effettiva utilità ottenuta dal consorzio, atteso
che non era stato riscontrato un incremento di lavoro tra il
"prima" e il "dopo" del patto scellerato.
Ma proprio il dato contabile, sottolineano i giudici di
Cassazione, non è tra gli indici necessari di "mafiosità
esterna" cui fare riferimento, perché, ai fini della
contestazione dell'articolo 110 del Codice penale associato
al 416–bis, è sufficiente offrire «la propria disponibilità
al mantenimento di tale sistema». Disponibilità che può ben
manifestarsi attraverso la collaborazione
nell'aggiudicazione di licitazioni private di imprese
"prescelte", ma anche fornendo offerte di comodo, o ancora
concorrendo nella fase della turbativa per arrivare a
controllare le offerte arrivate da imprese «non manovrabili»
e adeguare quindi l'offerta "collusa".
Quindi, argomenta la Sesta penale, per il «concorso
esterno», disegnato dalla Corte già a partire dal 2005
(sentenza 46552/2005, confermata dalla successiva decisione
39042/2013) basta «un rapporto sinallagmatico di
cointeressenza» con la cosca mafiosa, tale da produrre
vantaggi reciproci. In particolare l'imprenditore colluso
avrà «una posizione dominante sul territorio grazie
all'ausilio del sodalizio, il cui apparato intimidatorio si
è reso disponibile a sostenerne l'espansione negli affari,
in cambio della sua disponibilità a fornire risorse, servizi
o comunque utilità al sodalizio medesimo».
E tutto ciò a
condizione che manchi, in capo all'imprenditore servente,
sia l'affectio societatis sia l'inserimento nella struttura
organizzativa della cosca. Condizioni che porterebbero,
ovviamente, a una contestazione più grave rispetto al
semplice concorso esterno
(articolo Il Sole 24 Ore del 16.07.2013). |
APPALTI:
Accordo tra p.a. non evita la procedura pubblica.
Vietati gli accordi fra Amministrazioni se c'è un
corrispettivo e se le attività possono essere svolte da
operatori privati; obbligatoria la gara pubblica e
illegittimo l'affidamento diretto.
Con la
sentenza 15.07.2013 n. 3849 del Consiglio di
Stato, la V Sez. del Consiglio di stato, nel
confermare la pronuncia del Tar Puglia-Lecce 416/2010, ha
affermato alcuni importanti principi in tema di legittimità
degli accordi fra Amministrazioni.
Nel caso specifico -che
ha visto come parti in causa da un lato l'Azienda Sanitaria
Locale di Lecce e l'Università del Salento e dall'altro lato
l'Oice (con l'Ordine degli ingegneri e degli architetti
della Provincia di Lecce, il Consiglio nazionale degli
ingegneri e il Consiglio nazionale degli architetti)- si è
affermato che la presenza di un corrispettivo e il fatto che
le attività oggetto dell'accordo siano reperibili presso
operatori privati, oltre all'elemento della mancanza di un
interesse comune fra le due amministrazioni, fanno sì che si
debba procedere con appalto pubblico e non si possa
utilizzare lo strumento previsto dall'articolo 15 della
legge 241/1990.
La sentenza del Consiglio di stato -nel riconoscere che il
contratto vede la Asl affidataria appropriarsi dietro
corrispettivo del servizio svolto dall'Università che a sua
volta si pone come operatore economico privato che offre sul
mercato servizi rientranti nel campo di applicazione delle
direttive Ue- recepisce in toto le considerazioni della
Corte di giustizia europea del 19.12.2012 (causa C
159/11), che aveva dichiarato illegittimi gli accordi di
collaborazione stipulati fra amministrazioni e Università
per affidare in via diretta e senza gara, incarichi per
servizi di ingegneria e di consulenza; la sentenza aveva
affermato che gli accordi previsti dalla legge 241/1990 non
possono essere utilizzati per eludere l'obbligo di affidare
a terzi con gara contratti a titolo oneroso e sono legittimi
soltanto se prevedono una effettiva cooperazione fra i due
enti per l'adempimento comune di un servizio pubblico, senza
prevedere un compenso.
Per Luigi Iperti, vicepresidente
vicario Oic, «trionfano il libero mercato e la
concorrenza»
(articolo ItaliaOggi del 17.07.2013). |
APPALTI:
Anche questa Sezione si è espressa, in un passato
anche recente, nel senso della non configurabilità della
responsabilità precontrattuale della P.A. “anteriormente
alla scelta del contraente, nella fase, cioè, in cui gli
interessati non hanno ancora la qualità di futuri
contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e
vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo
al corretto esercizio dei poteri della pubblica
amministrazione , mentre non sussiste una relazione
specifica di svolgimento delle trattative”.
Il fatto è che la ricaduta immediata di una simile
impostazione è quella di finire, in pratica, con l’esonerare
l’Amministrazione dal rispetto del dovere di diligenza e
correttezza per tutto l’arco della sua azione sul terreno
delle procedure dell’evidenza pubblica, che pure
costituiscono la regola del suo agire nella dimensione
contrattuale, finché l’Amministrazione stessa non sia
pervenuta all’esito dell’aggiudicazione. E questo a dispetto
della soggezione di principio, pur normalmente enunciata,
della stessa P.A. all’istituto della culpa in contrahendo,
che porta ad affermare che la sua responsabilità
precontrattuale sarebbe “configurabile in tutti i casi in
cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia
compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con
i principi della correttezza e della buonafede, alla cui
puntuale osservanza anch'esso è tenuto, nell'ambito del
rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 cod.
civ.”.
---------------
La fase di formazione dei contratti pubblici, come è noto, è
caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento
amministrativo e di un procedimento negoziale. Il
procedimento amministrativo è disciplinato da regole di
diritto pubblico finalizzate ad assicurare il perseguimento,
anche quando la p.a. agisce mediante moduli convenzionali,
dell'interesse pubblico. Il procedimento negoziale è
disciplinato da regole di diritto privato, finalizzate alla
formazione della volontà contrattuale, che contemplano
normalmente un invito ad offrire della p.a. cui segue la
proposta della controparte e l'accettazione finale della
stessa p.a. La presenza di un modello formativo della
predetta volontà contrattuale predeterminato nei suoi
profili procedimentali mediante la scansione degli atti
sopra indicati, che vede normalmente la presenza di più
soggetti potenzialmente interessati al contratto, non
rappresenta un ostacolo all'applicazione delle regole della
responsabilità precontrattuale.
Si è, infatti, in presenza di una formazione necessariamente
progressiva del contratto, non derogabile dalle parti, che
si sviluppa secondo lo schema dell'offerta al pubblico. Non
è, dunque, possibile scindere il momento di sviluppo del
procedimento negoziale limitando l'applicazione delle regole
di responsabilità precontrattuale alla fase in cui il
"contatto sociale" viene individualizzato con l'atto di
aggiudicazione. Del resto, anche nel diritto civile il
modello formativo dell'offerta al pubblico presuppone
normalmente il "contatto" con una pluralità di
"partecipanti" al procedimento negoziale. Diversamente
argomentando l'interprete sarebbe costretto a scindere un
comportamento che si presenta unitario e che
conseguentemente non può che essere valutato nella sua
complessità.
---------------
Nello svolgimento della sua attività di ricerca del
contraente, l’amministrazione è tenuta non soltanto a
rispettare le regole dettate nell’interesse pubblico (la cui
violazione implica l’annullamento o la revoca dell’attività
autoritativa) ma anche le norme di correttezza di cui
all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune.
Il Collegio, per quanto precede, è dell’avviso che la
circostanza che la procedura pubblicistica di scelta del
contraente avviata non fosse ancora sfociata
nell’aggiudicazione non valga, di per sé sola, ad escludere
la configurabilità di una responsabilità precontrattuale in
capo all’Amministrazione revocante, occorrendo invece
all’uopo verificare in concreto la condotta da questa tenuta
alla luce del parametro di diritto comune della correttezza
nelle trattative (fermo restando, comunque, che il grado di
sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della
revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento
ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza,
sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello
scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo
di responsabilità precontrattuale).
---------------
La legittimità dell’atto di revoca non elimina il profilo
relativo alla valutazione del comportamento
dell’Amministrazione dal punto di vista del rispetto,
nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, dei
canoni di buona fede e correttezza.
Secondo un’acquisizione giurisprudenziale già consacrata
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la revoca
dell’aggiudicazione e degli atti della relativa procedura,
anche ove ritenuta legittima, lascia invero intatto “il
fatto incancellabile degli “affidamenti” suscitati
nell’impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica
poi rimossi”, onde i relativi comportamenti
dell’Amministrazione, allorché risultino contrastanti con le
regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337
del cod. civ., si pongono quali fatti generatori di
responsabilità precontrattuale. E questa acquisizione si
trova ribadita anche presso la giurisprudenza più recente.
In altre parole, quindi, “ai fini della configurabilità
della responsabilità precontrattuale della p.a. non si deve
tener conto della legittimità dell'esercizio della funzione
pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma
della correttezza del comportamento complessivamente tenuto
dall'Amministrazione durante il corso delle trattative e
della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle
parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art.
1337 c.c..
Il Comune con il primo mezzo d’appello assume che in
materia di contratti pubblici una responsabilità
precontrattuale della P.A. per violazione degli obblighi di
correttezza e buona fede potrebbe essere configurata solo in
quella particolare fase della procedura che va
dall’aggiudicazione alla stipula del contratto.
Prima dell’aggiudicazione, gli interessati sarebbero solo
dei partecipanti al procedimento amministrativo volto alla
selezione della migliore offerta, e come tali potrebbero
soltanto far valere una pretesa alla legittimità degli atti
compiuti dall’Amministrazione.
Poiché, quindi, nella specie la revoca di cui si tratta è
stata disposta ancor prima della scadenza del termine per la
presentazione delle offerte, e perciò in assenza di
qualsivoglia aggiudicazione, non sarebbe configurabile
alcuna forma di culpa in contrahendo. Diversamente
argomentando, viene aggiunto, si giungerebbe al “paradosso”
che la tutela risarcitoria potrebbe essere invocata da tutti
i partecipanti ad una procedura di gara pur legittimamente
revocata.
Il motivo è infondato.
Il Collegio non potrebbe disconoscere il fatto che
l’interpretazione su cui poggia il motivo abbia trovato
importanti riscontri presso autorevole giurisprudenza (cfr.
Cass. civ., SS.UU., 26.05.1997, n. 4673; Sez. I, n. 13164
del 18.06.2005).
Anche questa Sezione si è del resto espressa, in un passato
anche recente, nel senso della non configurabilità della
responsabilità precontrattuale della P.A. “anteriormente
alla scelta del contraente, nella fase, cioè, in cui gli
interessati non hanno ancora la qualità di futuri
contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e
vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo
al corretto esercizio dei poteri della pubblica
amministrazione , mentre non sussiste una relazione
specifica di svolgimento delle trattative” (C.d.S., V,
n. 3393 del 28.05.2010 e n. 6489 dell’08.09.2010: a
fondamento di tale indirizzo, peraltro, è stata richiamata,
a partire dalla sentenza della Sez. IV n. 5633
dell’11.11.2008, la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 6
del 05.09.2005, che oggettivamente tuttavia non risulta
inscrivibile in tale orientamento).
Il fatto è che la ricaduta immediata di una simile
impostazione è quella di finire, in pratica, con l’esonerare
l’Amministrazione dal rispetto del dovere di diligenza e
correttezza per tutto l’arco della sua azione sul terreno
delle procedure dell’evidenza pubblica, che pure
costituiscono la regola del suo agire nella dimensione
contrattuale, finché l’Amministrazione stessa non sia
pervenuta all’esito dell’aggiudicazione. E questo a dispetto
della soggezione di principio, pur normalmente enunciata,
della stessa P.A. all’istituto della culpa in contrahendo,
che porta ad affermare che la sua responsabilità
precontrattuale sarebbe “configurabile in tutti i casi in
cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia
compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con
i principi della correttezza e della buonafede, alla cui
puntuale osservanza anch'esso è tenuto, nell'ambito del
rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 cod.
civ.” (Cass. civ., III, n. 12313 del 10.06.2005,
richiamata da Sez. II, n. 477 del 10.01.2013).
Onde l’interpretazione sostenuta dall’appellante si traduce
in un’aprioristica esenzione dal diritto comune
dell’Amministrazione (proprio quando la medesima opera sul
piano contrattuale) che appare di difficile giustificazione.
Occorre poi considerare che la gara non è “altro”
rispetto alla formazione del contratto della P.A.; e che i
privati che vi partecipano, sottoponendo le proprie offerte
alla Stazione appaltante, hanno tutti la qualità di
possibili futuri contraenti con l’Amministrazione.
Come ha esattamente osservato in sostanza il primo Giudice,
invero, gli atti del procedimento dell’evidenza pubblica, in
quanto preordinati alla conclusione del contratto, sono al
tempo stesso configurabili anche quali atti di trattativa e
di formazione progressiva del contratto stesso, e come tali
rilevanti anche ai sensi dell’art. 1337 cod.civ..
Questo Consiglio ha recentemente osservato (Sez. VI, n. 5638
del 07.11.2012, e n. 4236 del 25.07.2012), infatti, che "La
fase di formazione dei contratti pubblici, come è noto, è
caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento
amministrativo e di un procedimento negoziale. Il
procedimento amministrativo è disciplinato da regole di
diritto pubblico finalizzate ad assicurare il perseguimento,
anche quando la p.a. agisce mediante moduli convenzionali,
dell'interesse pubblico. Il procedimento negoziale è
disciplinato da regole di diritto privato, finalizzate alla
formazione della volontà contrattuale, che contemplano
normalmente un invito ad offrire della p.a. cui segue la
proposta della controparte e l'accettazione finale della
stessa p.a. La presenza di un modello formativo della
predetta volontà contrattuale predeterminato nei suoi
profili procedimentali mediante la scansione degli atti
sopra indicati, che vede normalmente la presenza di più
soggetti potenzialmente interessati al contratto, non
rappresenta un ostacolo all'applicazione delle regole della
responsabilità precontrattuale. Si è, infatti, in presenza
di una formazione necessariamente progressiva del contratto,
non derogabile dalle parti, che si sviluppa secondo lo
schema dell'offerta al pubblico. Non è, dunque, possibile
scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale
limitando l'applicazione delle regole di responsabilità
precontrattuale alla fase in cui il "contatto sociale" viene
individualizzato con l'atto di aggiudicazione. Del resto,
anche nel diritto civile il modello formativo dell'offerta
al pubblico presuppone normalmente il "contatto" con una
pluralità di "partecipanti" al procedimento negoziale.
Diversamente argomentando l'interprete sarebbe costretto a
scindere un comportamento che si presenta unitario e che
conseguentemente non può che essere valutato nella sua
complessità.”
Già in precedenza, peraltro, la revoca di una procedura
contrattuale non ancora sfociata in aggiudicazione era stata
considerata come possibile fonte di responsabilità
precontrattuale da numerose decisioni di questo Consiglio,
quali Sez. V, n. 2882 dell’11.05.2009 e n. 4947
dell’08.10.2008; Sez. VI, n. 5002 del 05.09.2011 e n. 4921
del 02.09.2011.
E la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 6 del 2005 aveva
avvertito come “nello svolgimento della sua attività di
ricerca del contraente l’amministrazione è tenuta non
soltanto a rispettare le regole dettate nell’interesse
pubblico (la cui violazione implica l’annullamento o la
revoca dell’attività autoritativa) ma anche le norme di
correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto
comune”.
Il Collegio, per quanto precede, è dell’avviso che la
circostanza che la procedura pubblicistica di scelta del
contraente avviata non fosse ancora sfociata
nell’aggiudicazione non valga, di per sé sola, ad escludere
la configurabilità di una responsabilità precontrattuale in
capo all’Amministrazione revocante, occorrendo invece
all’uopo verificare in concreto la condotta da questa tenuta
alla luce del parametro di diritto comune della correttezza
nelle trattative (fermo restando, comunque, che il grado di
sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della
revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento
ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza,
sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello
scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo
di responsabilità precontrattuale).
Ne consegue l’infondatezza di questo primo mezzo di appello.
---------------
Il Comune con il
suo secondo mezzo oppone che la propria condotta sarebbe
stata del tutto conforme ai canoni della correttezza e buona
fede.
L’Ente adduce, difatti: di avere risposto in modo tempestivo
e puntuale alle richieste di chiarimenti ricevute dopo la
pubblicazione del bando di gara (G.U. 15.11.2010); di avere
indi ragionevolmente deciso per la revoca della procedura,
disposta con provvedimento del 24.12.2010: misura adottata a
poco più di un mese dalla pubblicazione del bando, e prima
del termine fissato per la presentazione delle offerte (il
successivo giorno 28); di avere dato, infine, pronta quanto
adeguata pubblicità a tale revoca, mediante pubblicazione
sul proprio sito istituzionale il seguente 27 dicembre ed
affissione all’albo pretorio a partire dal giorno 28 (oltre
che mediante le forme a suo tempo seguite per il bando).
Queste considerazioni possono essere sostanzialmente
condivise.
Il Tribunale, con il ritenere che dalla revoca di una
procedura di gara, pur intrinsecamente legittima, potesse
ben scaturire una responsabilità precontrattuale
dell’Amministrazione, è partito da un principio di diritto
astrattamente ineccepibile.
Esatta, infatti, è la sua osservazione che la legittimità
dell’atto di revoca non elimina il profilo relativo alla
valutazione del comportamento dell’Amministrazione dal punto
di vista del rispetto, nell’ambito del procedimento di
evidenza pubblica, dei canoni di buona fede e correttezza.
Secondo un’acquisizione giurisprudenziale già consacrata
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 6 del
05.09.2005), la revoca dell’aggiudicazione e degli atti
della relativa procedura, anche ove ritenuta legittima,
lascia invero intatto “il fatto incancellabile degli
“affidamenti” suscitati nell’impresa dagli atti della
procedura di evidenza pubblica poi rimossi”, onde i
relativi comportamenti dell’Amministrazione, allorché
risultino contrastanti con le regole di correttezza e di
buona fede di cui all’art. 1337 del cod. civ., si pongono
quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale. E
questa acquisizione si trova ribadita anche presso la
giurisprudenza più recente (cfr. C.d.S., VI: nn. 5638 del
07.11.2012 e 4236 del 25.07.2012, già richiamate sotto
diverso profilo nel precedente paragrafo 2b; n. 1440 del
15.03.2012).
In altre parole, quindi, “ai fini della configurabilità
della responsabilità precontrattuale della p.a. non si deve
tener conto della legittimità dell'esercizio della funzione
pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma
della correttezza del comportamento complessivamente tenuto
dall'Amministrazione durante il corso delle trattative e
della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle
parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art.
1337 c.c.” (C.d.S., IV, 07.02.2012, n. 662, che richiama
a sua volta V, 07.09.2009 n. 5245).
Tanto premesso, la Sezione deve tuttavia dissentire dal TAR
nella parte in cui questo ha ritenuto che la condotta tenuta
in concreto dal Comune fosse stata in contrasto con i
parametri deontologici della fase precontrattuale ispirati
al valore della correttezza.
Come ha già ricordato il primo Giudice, il provvedimento di
revoca è stato motivato dall’Amministrazione comunale di
Afragola con la “constatata equivocità nella formulazione
di clausole che avevano dato luogo a numerose richieste di
chiarimenti, ingenerando una notevole confusione nella
giusta interpretazione della lex specialis, tale da indurre
in errore i concorrenti nella procedura di gara.
L’amministrazione, pertanto in vista di possibili
contenziosi correlati alla constatata incertezza
interpretativa, e dei connessi oneri futuri dovuti alla
comune esperienza, ha inteso revocare la procedura di gara
motivando la decisione con la necessità di garantire i
principi fondamentali di trasparenza, correttezza,
imparzialità e parità di trattamento nell’esperimento della
gara medesima.”
Tali essendo le ragioni che hanno indotto il Comune a
recedere dalla procedura contrattuale poco prima avviata, la
loro serietà e plausibilità appaiono subito manifeste.
Partendo dall’equivocità della lex specialis, pur
senz’altro ammessa dal Comune (tanto da porla a base del
proprio atto di revoca), va osservato che tale connotato
aveva carattere palese, essendo perciò manifesto anche per
le ditte potenzialmente interessate. Come tale, pertanto,
esso già in partenza menomava l’idoneità del bando a
suscitare particolari affidamenti, in particolare con
riferimento alla possibilità di una procedura dalla
disciplina siffatta di andare a buon fine.
D’altra parte, il solo fatto dell’essersi una Stazione
appaltante espressa, in occasione della redazione della
disciplina di gara, con elementi equivoci, non può di per sé
essere considerato alla stregua di un contegno lesivo del
principio di correttezza nelle trattative: un’insufficiente
chiarezza potrebbe essere stigmatizzata (al di là del caso
estremo in cui sia addirittura seguita da un approfittamento
della stessa parte dal contegno dianzi equivoco) solo quando
sia stata senza giustificazione protratta nel tempo nel
corso delle trattative, con il dare appunto seguito alla
procedura a dispetto dell’ambiguità della sua lex
specialis, tenendo in non cale le richieste di
chiarimento avanzate dagli operatori. Ma una condizione del
genere nella specie non ricorre.
Quanto alla circostanza che il Comune prima si sia adoperato
per tentare di chiarire il senso della disciplina di gara, e
solo in un secondo tempo si sia risolto per la revoca della
procedura, tale punto, lungi dal poter formare materia di
addebito, è semmai indice della cautela e del senso di
responsabilità con cui l’Amministrazione si è mossa, optando
per il recesso dalle trattative solo quando è risultato con
sufficiente nitidezza che non esistevano margini tali da
permettere di recuperare il procedimento mediante interventi
di chiarimento interpretativo.
Va rilevato, infine, che la decisione di revoca della gara è
stata presa con tempistica di per sé immune da possibili
censure, e sollecitamente è stata resa conoscibile con i
mezzi a disposizione (in generale, sulla necessità di dare
notizia immediata della revoca di una procedura di evidenza
pubblica cfr. già Ad.Pl. n. 6/2005 cit.).
Occorre difatti osservare che quella di cui si tratta era
una procedura aperta, onde la Stazione appaltante non
conosceva a priori l’identità delle imprese che avrebbero
potuto parteciparvi, sì da poterle tempestivamente notiziare
(a mezzo di fax o comunicazione di posta elettronica) prima
che presentassero la loro offerta.
Non resta allora che rilevare che la revoca, decisa alla
vigilia di Natale del 2010, è stata pubblicata sul sito
istituzionale dell’Ente il primo giorno feriale successivo,
vale a dire il 27 dicembre, e dall’indomani anche all’albo
pretorio comunale, con tempistica dunque sufficientemente
sollecita, e come tale non passibile di critica.
Per quanto precede, al Comune non può essere mosso alcun
addebito di violazione del canone di correttezza nelle
trattative
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
15.07.2013 n. 3831 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nelle gare pubbliche la
formula da utilizzare per la valutazione dell'offerta
economica può essere scelta dall'amministrazione con ampia
discrezionalità e di conseguenza la stazione appaltante
dispone di ampi margini nella determinazione non solo dei
criteri da porre quale riferimento per l'individuazione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ma anche nella
individuazione delle formule matematiche, con la conseguenza
che il sindacato giurisdizionale nei confronti di tali
scelte, tipica espressione di discrezionalità
tecnico-amministrativa, può essere consentito unicamente in
casi di abnormità, sviamento e manifesta illogicità.
E’ vero che è stato anche sottolineato che, proprio ai sensi
dell'art. 83 del Codice dei contratti, nonché della
direttiva CE 18/2004, nelle gare pubbliche il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa non può
prescindere dal prezzo, con conseguente illegittimità di un
criterio di valutazione dell'offerta prezzo che, mediante
una formula aritmetica, conduca ad esiti opposti a quelli
prefissati dal bando, giacché, seppure i criteri di
attribuzione dei punteggi economici possono essere
molteplici e variabili, ciò che conta è che
nell'assegnazione dei punteggi, venga utilizzato tutto il
potenziale range differenziale previsto per ciascuna voce ed
in particolare della voce prezzo, al fine di evitare uno
svuotamento di efficacia sostanziale della componente
economica dell'offerta: tuttavia l’utilizzazione dell’intero
potenziale del punteggio attribuibile in astratto
all’offerta economica non può comportare, come
pretenderebbero le appellanti, che la circostanza di aver
presentato un’offerta economica migliore possa da sola
giustificare l’aggiudicazione dell’appalto, proprio per la
decisiva considerazione che nel metodo di scelta del
contraente con il sistema dell’offerta economicamente più
vantaggiosa deve tenersi conto anche dell’offerta tecnica e
ben può accadere che possa risultare economicamente più
vantaggiosa anche un’offerta che non sarebbe tale se si
considerasse solo l’elemento economico.
E' sufficiente sul punto richiamare i
consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza
amministrativa (C.d.S., sez. V, 18.02.2013, n. 978; 27.06.2012, n. 3781; 22.03.2012, n. 1640;
01.03.2012,
n. 1195; 18.10.2011, n. 5583; sez. III, 22.11.2011, n. 6146; sez. VI, 11.05.2011, n. 2795; Cass. civ.,
sez. un., 17.02.2012, nn. 2312 e 2313; Corte cost., 03.03.2011, n. 175), in forza dei quali, tra l’altro, nelle
gare pubbliche la formula da utilizzare per la valutazione
dell'offerta economica può essere scelta
dall'amministrazione con ampia discrezionalità e di
conseguenza la stazione appaltante dispone di ampi margini
nella determinazione non solo dei criteri da porre quale
riferimento per l'individuazione dell'offerta economicamente
più vantaggiosa, ma anche nella individuazione delle formule
matematiche, con la conseguenza che il sindacato
giurisdizionale nei confronti di tali scelte, tipica
espressione di discrezionalità tecnico-amministrativa, può
essere consentito unicamente in casi di abnormità, sviamento
e manifesta illogicità.
E’ vero che è stato anche sottolineato (C.d.S., sez. V, 31.03.2012, n. 1899) che, proprio ai sensi dell'art. 83 del
Codice dei contratti, nonché della direttiva CE 18/2004,
nelle gare pubbliche il criterio dell'offerta economicamente
più vantaggiosa non può prescindere dal prezzo, con
conseguente illegittimità di un criterio di valutazione
dell'offerta prezzo che, mediante una formula aritmetica,
conduca ad esiti opposti a quelli prefissati dal bando,
giacché, seppure i criteri di attribuzione dei punteggi
economici possono essere molteplici e variabili, ciò che
conta è che nell'assegnazione dei punteggi, venga utilizzato
tutto il potenziale range differenziale previsto per
ciascuna voce ed in particolare della voce prezzo, al fine
di evitare uno svuotamento di efficacia sostanziale della
componente economica dell'offerta: tuttavia l’utilizzazione
dell’intero potenziale del punteggio attribuibile in
astratto all’offerta economica non può comportare, come
pretenderebbero le appellanti, che la circostanza di aver
presentato un’offerta economica migliore possa da sola
giustificare l’aggiudicazione dell’appalto, proprio per la
decisiva considerazione che nel metodo di scelta del
contraente con il sistema dell’offerta economicamente più
vantaggiosa deve tenersi conto anche dell’offerta tecnica e
ben può accadere che possa risultare economicamente più
vantaggiosa anche un’offerta che non sarebbe tale se si
considerasse solo l’elemento economico
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 15.07.2013 n. 3802 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
15.07.2013 n. 164 "Modalità per l’istituzione e
l’aggiornamento degli elenchi dei fornitori, prestatori di
servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di
infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 1, comma 52,
della legge 06.11.2012, n. 190" (D.P.C.M.
18.04.2013).
---------------
Arriva la white list degli appalti.
L'iscrizione è volontaria ma semplifica le procedure.
In G.U. il dpcm che istituisce l'elenco in vista dell'Expo e
della ricostruzione in Abruzzo.
Expo 2015 e ricostruzione in Abruzzo al riparo da
infiltrazioni mafiose. Sarà su base volontaria, e non
obbligatoria per le imprese, l'iscrizione alla white list
dei prestatori di servizi ed esecutori di lavori immuni da
contaminazioni criminali. Ma essere iscritti all'elenco
velocizzerà le procedure perché l'impresa che ne fa parte
sarà esonerata per tutto il periodo di efficacia dello
stesso (un anno) dal produrre la documentazione comprovante
lo status di azienda «mafia free».
Il dpcm (datato 18.04.2013) che fa ufficialmente partire l'elenco è stato
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 164 del 15.07.2013. Anche se per la definitiva entrata in vigore bisognerà
attendere Ferragosto (30 giorni dalla pubblicazione in
G.U.). Il provvedimento disegna una procedura molto rapida
per l'iscrizione che potrà essere chiesta dal titolare
dell'impresa o dal suo legale rappresentante anche per via
telematica indicando i settori di attività. Sarà la
prefettura competente per territorio a rilasciare il
nullaosta all'iscrizione dopo aver interrogato la Banca dati
nazionale unica della documentazione antimafia.
In caso di
esito positivo la liberatoria antimafia sarà rilasciata
immediatamente. Qualora invece risulti che l'impresa non è
censita in Banca dati o qualora gli accertamenti antimafia
siano più vecchi di un anno, la prefettura effettuerà le
necessarie verifiche e, se accerta la mancanza dei
requisiti, procederà al diniego dandone comunicazione
all'interessato. In ogni caso la prefettura dovrà esprimersi
entro 90 giorni dalla ricezione dell'istanza. Un mese prima
che scada l'iscrizione, le imprese dovranno comunicare
l'interesse a permanere in elenco anche per settori diversi
da quelli per cui sono iscritte.
Le prefetture potranno
effettuare in qualsiasi momento controlli a campione per
verificare la pulizia delle imprese che fanno parte della white list.
L'elenco delle imprese iscritte sarà pubblicato sul sito
istituzionale di ciascuna prefettura nella sezione
«Amministrazione trasparente». Dovrà inoltre essere
chiaramente indicato l'indirizzo di posta elettronica
certificata a cui possono essere inoltrate le richieste di
iscrizione
(articolo ItaliaOggi del 16.07.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Cassazione.
A carico dell'ente gestore.
Se manca la legge resta l'obbligo di adeguare la strada.
L'ente gestore di una strada deve adeguarla ai più moderni
standard di sicurezza anche se non c'è un espresso obbligo
giuridico: basta il principio del neminem laedere. E la
responsabilità del mancato adeguamento ricade direttamente
sui vertici aziendali, se hanno deciso di non intervenire
per motivi economici e non hanno adottato misure alternative
per garantire la sicurezza.
Princìpi innovativi, stabiliti
dalla IV Sez. penale della Corte di Cassazione, con la
sentenza 12.07.2013 n. 30190 diventata di
attualità dopo la tragedia del bus precipitato domenica
scorsa da un viadotto dell'autostrada A16 a Monteforte
Irpino (Avellino).
In effetti, i princìpi di questa sentenza potrebbero essere
applicati –in tutto o in parte– anche a questo incidente,
perché i teatri dei due sinistri sono analoghi: viadotti con
guard-rail non adeguati. La Cassazione si è pronunciata sul
caso di un'auto che percorreva l'autostrada A20 ed è caduta
dal pericoloso viadotto Ritiro, nell'abitato di Messina.
Su
quel tratto di strada non erano state installate barriere in
linea con i requisiti di sicurezza attuali, nonostante dal
1994 al 2003 dai viadotti dell'A20 ci siano stati 32 cadute
(22 mortali e 10 con feriti): la direzione Tecnica e di
esercizio del Cas (Consorzio autostrade siciliane) aveva
escluso quel tratto dalla riqualificazione, per motivi
economici. La carenza riguardava un solo senso di marcia,
quello verso Palermo, in cui procedeva l'auto; l'altra
carreggiata era ben protetta.
La sostituzione dei guard-rail era avvenuta volontariamente,
perché in quel caso non c'era alcun obbligo specifico: la
normativa attuale (Dm Lavori pubblici 223/92 e Dm
Infrastrutture 21.06.2004) non si applica alle strade
costruite prima del 1992, salvo che siano sottoposte a
lavori significativi. E questo non era il caso del viadotto
Ritiro al momento dell'incidente.
La pubblica accusa aveva così configurato una forma di colpa
generica, come richiesto dalla parte civile, assistita dai
legali dell'Aifvs (Associazione italiana familiari vittime
della strada). La difesa aveva ribattuto che tale colpa non
sarebbe configurabile quando gli imputati si sono comunque
attenuta alle «disposizioni chiare e precise» del Dm 223/92.
La Corte ha richiamato una sua precedente sentenza (la
15229/08) per affermare che «l'osservanza delle norme
precauzionali scritte non fa venir meno la responsabilità
colposa dell'agente, perché esse non sono esaustive delle
regole prudenziali realisticamente esigibili rispetto alla
specifica attività o situazione pericolosa cautelata,
potendo residuare una colpa generica in relazione al mancato
rispetto della regola cautelare non scritta del neminem
laedere, la cui violazione costituisce colpa per negligenza
o imprudenza».
I giudici "suggeriscono" anche un modo per superare
la mancanza di fondi: restringere la carreggiata per
rallentare i veicoli e imporre un limite di velocità
prudenziale
(articolo Il Sole 24 Ore del 03.08.2013). |
APPALTI:
Appalti unificati. Centrale unica per i piccoli comuni.
La Consulta ammette l'errore. La
norma resta.
I piccoli comuni non sfuggono all'obbligo di costituire le
centrali uniche di committenza per gli appalti. Entro fine
anno gli enti fino a 5.000 abitanti dovranno individuare una
stazione unica appaltante per l'acquisizione di lavori,
servizi e forniture nell'ambito delle unioni di comuni
esistenti o stipulando tra loro appositi accordi di tipo
consortile.
È giunto a soluzione il piccolo giallo, scoperto
da ItaliaOggi (si veda il giornale di ieri) sulla presunta
abrogazione dell'art. 23, comma 4, del decreto Salva Italia
(dl n. 201/2011) a opera della sentenza della Corte
costituzionale che ha bocciato la riforma delle province.
Non c'è stata nessuna dichiarazione di illegittimità della
norma, ma si è trattato semplicemente di un errore materiale
di redazione del comunicato che mercoledì scorso ha dato
notizia del dispositivo (non ancora depositata) emanato
dalla Corte. La certezza sul fatto che si sia trattato di un
errore si avrà all'inizio della prossima settimana quando è
atteso il deposito delle motivazioni della sentenza che,
stando ad alcune indiscrezioni, potrebbe arrivare già
lunedì.
La precisazione è arrivata a ItaliaOggi direttamente da
palazzo della Consulta e restituisce certezza agli operatori
dei piccoli comuni che in questi giorni non sapevano più che
pesci prendere. Le centrali uniche di committenza, quindi,
andranno costituite. E sul territorio gli enti iniziano già
ad organizzarsi.
A Treviso, per esempio, Anci e Upi Veneto hanno sottoscritto
una convenzione per la promozione di centrali uniche di
committenza. Peccato però che i soggetti deputati a svolgere
i nuovi compiti siano stati individuati proprio nelle
province che dovrebbero invece essere cancellate. «Si tratta
di un servizio gratuito per assicurare anche in tempi
economici difficili trasparenza, regolarità ed economicità
nella gestione dei contratti pubblici. Mettiamo a
disposizione dei piccoli comuni le professionalità e le
competenze delle province, perché possano far fronte alle
necessità del territorio e per ottimizzare le risorse
economiche e umane interessate», ha dichiarato il presidente
dell'Upi Veneto e della provincia di Treviso, Leonardo
Muraro
(articolo ItaliaOggi del 12.07.2013). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Il
ministro. «Gli ecobonus saranno strutturali».
Lupi: una vergogna l'Imu sull'invenduto. Appalti, torna
l'anticipo.
ANTONIO TAJANI/ «La direttiva che impone alle Pa pagamenti
in 30 giorni va applicata senza indugi altrimenti proporrò
una procedura d'infrazione».
Una «bad practice» da insegnare nelle università delle
vessazioni fiscali. Di più: una «vergogna». Di fronte alla
platea di imprenditori infiammata dalle parole piuttosto
dirette del presidente dell'Ance, che aveva parlato poco
prima, il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi,
sceglie di non usare giri di parole, affrontando l'argomento
più caldo per un costruttore: la cancellazione dell'Imu
sull'invenduto. Il ministro sa che non è più tempo di
annunci a vuoto e che il «fattore tempo è fondamentale» per
rispondere alle attese di un settore «che ha pagato il conto
più salato alla crisi economica».
Sull'Imu arrivano allora tre precisazioni. Entro il 30
agosto «quella sulla prima casa va cambiata e superata senza
pregiudizi ideologici». Stessa posizione sull'imposta che
grava sulle case invendute: il “magazzino” dei costruttori,
che secondo gli ultimi calcoli effettuati dal Cresme
includerebbe perlomeno 400mila abitazioni in tutta Italia.
«Il nostro Paese -dice Lupi- è l'unico al mondo in cui
esiste un'imposta su un prodotto che non ha trovato sbocco
sul mercato», aprendo la strada anche al riutilizzo degli
immobili in un piano di housing sociale. Apertura anche
sull'Imu pagata per i beni strumentali delle imprese:
all'orizzonte non c'è la cancellazione. Ma, chiarisce Lupi,
«non è pensabile che un imprenditore paghi 12 volte le
tasse: l'Imu sui capannoni va inserita in bilancio e
considerata come un costo».
Suonano come balsamo sulle piaghe aperte dalla crisi nei
cantieri italiani anche le altre promesse del ministro ai
costruttori che affollano il Palazzo dei Congressi di Roma.
La prima riguarda la stabilizzazione degli incentivi fiscali
per la riqualificazione degli immobili. «Ecobonus del 65% e
sconti del 50% sulle ristrutturazioni dal primo gennaio 2014
dovranno diventare strutturali -annuncia il ministro-. Ci
metto la faccia: e mi giudicherete dai fatti». Quanto agli
investimenti in infrastrutture Lupi ricorda i 2 miliardi di
«pronta cassa» sbloccati con il «decreto del fare». Risorse
«capaci di assicurare una spesa reale di 50 milioni al
mese».
Non lontana, è la sottolineatura, «dai 78 milioni di
“tiraggio” garantita dalla spesa in opere pubbliche nel
2004», periodo pre-crisi. E per ovviare al credit crunch che
strangola il settore arriva la proposta-choc: il ritorno
della vecchia anticipazione sui lavori pubblici, abolita
dalla riforma della legislazione sugli appalti varata in
epoca post-Tangentopoli. «C'è un problema di liquidità delle
imprese che va risolto già nella fase di conversione del
decreto del fare». Chi vince un appalto, è la soluzione
proposta, «deve ottenere un anticipo» sui lavori. Quanto?
«Per me l'ottimo sarebbe il 20% -dice Lupi- ma se fosse
anche il 15% o il 10% andrebbe comunque bene: in questa fase
la cosa più importante è ribadire il principio, l'attenzione
alla soluzione dei problemi».
Il tema dei pagamenti alle imprese è anche al centro
dell'intervento di Antonio Tajani, vice presidente della
Commissione europea.
«La direttiva che impone pagamenti in
30 giorni per lavori e forniture della Pa -dice Tajani- va
applicata senza compromessi. Prima della pausa estiva
convocherò i rappresentanti dell'Ance e della
Confartigianato e se, come pare, si scoprirà che il
recepimento non è confacente alle attese, sarò costretto a
proporre una procedura di infrazione con costi notevoli per
lo Stato»
(articolo Il Sole 24 Ore del 12.07.2013). |
APPALTI: Decreto
del fare. Possibile l'allargamento a tutti gli obblighi
fiscali.
Appalti e responsabilità solidale: rispunta la cancellazione
piena.
La solidarietà fiscale nell'ambito degli appalti potrebbe
essere integralmente abrogata.
Questo è quanto prevede
l'emendamento alla legge di conversione del decreto del fare
presentato da Enrico Zanetti, deputato di Scelta Civica, e
incluso tra le proposte di modifica accolte dalla
Commissione Finanze della Camera e inviata ora alle
Commissioni referenti (Bilancio e Affari costituzionali).
Inizialmente il decreto del fare, in effetti, prevedeva
l'abolizione delle responsabilità solidali per Iva e
ritenute alla fonte che obbligano le imprese a controlli
onerosi e complicano le procedure di pagamento dei
corrispettivi. Successivamente, però, nella versione finale
del provvedimento, è stata cancellata solo la responsabilità
solidale per l'Iva.
Alla riunione di ieri era presente anche
il viceministro dell'Economia, Luigi Casero, che si è
impegnato su questo punto a tenere conto del parere votato
dalla Commissione Finanze. «È una bella notizia per tutte le
imprese e per tutte le persone di buon senso –ha
sottolineato, Zanetti-. Il decreto del fare aveva fatto un
primo passo nella giusta direzione, ma era insufficiente
perché abrogava solo per l'Iva e manteneva in piedi la
disciplina per le ritenute alla fonte. Ora speriamo che
questa disciplina, già abrogata una prima volta nel 2007,
non risorga mai più e si smetta di intralciare chi cerca di
lavorare e produrre con disposizioni figlie di una mentalità
burocratica completamente slegata dalla realtà».
In commissione sono stati presentati anche altri emendamenti
di semplificazione da Zanetti, su cui si conoscerà nei
prossimi giorni il parere favorevole o meno di Commissione e
Governo prima dell'approdo in Aula, dalla semplificazione
dei modelli Intrastat alla trasformazione in adempimento
annuale della comunicazione telematica delle dichiarazioni
d'intento ricevute dai fornitori degli esportatori abituali,
dalla semplificazione della comunicazione telematica delle
operazioni con paesi black list all'abrogazione della
comunicazione telematica dei beni di impresa concessi in uso
a soci e familiari
(articolo Il Sole 24 Ore del 12.07.2013). |
APPALTI:
Appalti, la p.a. non è solidale. Il lavoratore senza salario
non può agire contro l'ente. Nel decreto legge sul lavoro l'interpretazione autentica del dlgs n. 276 del 2003.
La solidarietà per il pagamento degli stipendi ai dipendenti
dell'appaltatore non si applica alle pubbliche
amministrazioni. Il lavoratore, rimasto senza salario, non
può invocare la legge Biagi (dlgs 276/2003) per agire contro
la p.a., chiedendone la condanna, insieme al suo datore di
lavoro, al pagamento delle retribuzioni.
Il decreto legge sul lavoro, 76/2013, all'articolo 9, con
una disposizione di interpretazione autentica prevede,
infatti, che le disposizioni di cui all'articolo 29, comma
2, del dlgs 276/2003 (legge Biagi) non trovano applicazione
in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle
pubbliche amministrazioni. La norma si applica anche ai
processi in corso.
L'articolo 2 citato dispone che in caso di appalto di opere
o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro
è obbligato in solido con l'appaltatore, e anche con
ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di
due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai
lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di
trattamento di fine rapporto, nonché i contributi
previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al
periodo di esecuzione del contratto di appalto.
Stando all'ultima versione della norma il committente
imprenditore o datore di lavoro deve essere citato in
giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con
gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente
imprenditore o datore di lavoro può chiedere di pagare solo
dopo che il lavoratore ha tentato l'esecuzione contro il suo
datore di lavoro (beneficio della preventiva escussione).
In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di
tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere
intentata nei confronti del committente imprenditore o
datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del
patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali
subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento
potrà rivalersi sul coobligato.
Nei tribunali si discute se questa disposizione si applica
anche agli appalti pubblici e, cioè, quando il committente è
una pubblica amministrazione: ci si chiede, quindi, se il
dipendente dell'appaltatore può chiedere un decreto
ingiuntivo contro la stazione appaltante pubblica o,
comunque, fare causa all'ente pubblico per ottenere gli
stipendi e i tfr non pagati.
A favore della tesi favorevole sta un ragionamento, che fa
perno sulla finalità di tutela del lavoratore, finalità da
perseguire anche quando il committente è un ente pubblico
(altrimenti ci sarebbe discriminazione tra i lavoratori).
Va detto che la tesi favorevole prevale nelle sentenze di
primo grado, mente ci sono pronunce di appello di diversa
opinione.
A favore della tesi contraria, che esclude le p.a.
dall'articolo 29 della legge Biagi, ci sono considerazioni
che riguardano la portata letterale della norma: l'articolo
29 non fa riferimento agli appalti pubblici; l'articolo 29
fa riferimento a committenti-imprese e tali non sono le
pubbliche amministrazioni; poi l'articolo 2 della legge
Biagi sembra escludere le p.a. dall'ambito di applicazione.
Si sostiene ancora che una spia dell'inapplicabilità alle
p.a. è lo stesso articolo 29 nella parte in cui prevede
l'assunzione dei lavoratori danneggiati presso il
committente, norma, questa, incompatibile con le modalità di
reclutamento dei dipendenti pubblici.
Inoltre bisogna considerare che nel momento attuale di
crisi, in caso di inadempimento contributivo
dell'imprenditore, molto spesso la stazione appaltante
pubblica non può pagare l'imprenditore, dovendo invece, in
caso di Durc negativo, corrispondere le somme dovute
direttamente all'ente previdenziale: si trova esposta,
magari senza avere avuto la realizzazione dell'opera
pubblica, sia con i lavoratori, sia con gli enti
previdenziali e assicurativi.
Infine il regolamento del codice dei contratti pubblici (dpr
207/2010) contiene norme specifiche per l'ipotesi di mancato
pagamento dei salari: l'ente pubblico può pagare
direttamente i lavoratori, ma solo nel limite di quanto
eventualmente dovuto all'impresa appaltatrice. Si tratta di
una norma speciale, che esclude già oggi, secondo alcuni,
l'applicazione della legge Biagi negli appalti pubblici.
Non a caso il decreto legge 76/2013 si autodefinisce, nella
relazione di accompagnamento, quale norma di interpretazione
autentica: questo significa, quindi, che si applica anche
alle controversie in corso
(articolo ItaliaOggi dell'11.07.2013). |
APPALTI SERVIZI:
CONTRATTI PUBBLICI/ L'ok dell'Authority.
Bandi tipo al via. Si parte con pulizie e polizze.
L'Autorità avvia i lavori per i bandi-tipo dando priorità ai
servizi di pulizia e manutenzione degli immobili, ai servizi
assicurativi e a quelli di ingegneria e architettura, da
luglio a gennaio 2014; esclusi dai bandi-tipo i servizi di
gestione dei rifiuti e quelli sanitari.
È quanto ha deciso
l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con il
documento pubblicato l'08.07.2013 che conclude la
consultazione avviata il 19.03.2013 sui bandi tipo per
l'affidamento dei contratti pubblici di servizi e forniture.
L'indagine era stata utilizzata per comprendere in quali
ambiti merceologici vi fossero maggiori criticità e per
capire l'impatto economico sul mercato dei contratti di ogni
settore. Inizialmente erano stati individuati i settore
delle forniture in ambito sanitario (prodotti farmaceutici,
apparecchiature medicali, dispositivi medici e materiale di
consumo specialistico), i servizi di gestione degli immobili
(servizi di pulizia e di manutenzione, i servizi energetici,
i servizi integrati del facility management e del global
service), i servizi di illuminazione pubblica, la gestione
del ciclo dei rifiuti, i servizi assicurativi e i servizi di
ingegneria ed architettura.
A seguito della consultazione l'Autorità ha però rilevato
profonde differenze fra i diversi settori e quindi ha
ritenuto efficace l'intervento di regolazione attraverso
bandi-tipo soltanto in alcuni ambiti. In particolare sono
stati esclusi i settori della gestione del ciclo dei rifiuti
e dell'illuminazione pubblica, data «la complessità degli
stessi, legata, soprattutto, al mutevole quadro normativo,
alle competenze legislative di livello locale e alle varie
articolazioni dei servizi, e la natura delle criticità
riscontrate (talune delle quali non risolvibili attraverso
la predisposizione di documentazione di gara standard)».
L'Autorità ha anche ritenuto non opportuno intervenire nei
servizi del settore sanitario in quanto l'elaborazione di
documentazione di gara standard è resa complessa
dall'eterogeneità delle forniture, dai diversi schemi
contrattuali utilizzati (semplice fornitura, noleggio,
gestione dei servizi in modalità «full risk» ecc.),
dall'esistenza di forme di centralizzazione degli acquisti.
Per questi ambiti l'Autorità si è riservata di valutare
altre «forme di intervento regolatorio più opportune»
(articolo ItaliaOggi dell'11.07.2013). |
APPALTI:
Mini-enti, caos appalti. Giallo sulla centrale unica di
committenza. L'obbligo sembrerebbe
essere stato cancellato dalla Consulta.
A rischio l'obbligo di costituire, entro fine anno, centrali
uniche di committenza per gli appalti nei piccoli comuni. La
norma del decreto «salva Italia» (art. 23, comma 4 del dl
201/2011) potrebbe infatti essere stata spazzata via dalla
Consulta nella sentenza che ha bocciato la riforma delle
province.
Il condizionale è d'obbligo perché finora si conosce solo il
dispositivo della decisione e non le motivazioni che
verranno probabilmente depositate tra il 16 e il 17 luglio.
Nel comunicato diffuso dalla Corte costituzionale per
anticipare i contenuti della sentenza, in effetti, si legge
che, fra le disposizioni censurate da tale pronuncia,
rientra anche l'art. 23, comma 4, del decreto «salva Italia»
(dl 201/2011).
Ma secondo alcuni potrebbe trattarsi di un errore materiale,
giacché tale previsione sembra essere piuttosto avulsa dalle
altre esaminate dalla Corte. Peraltro, la norma incriminata
ha poi subito una successiva modifica da parte dell'art. 1,
comma 4, della «spending review» (dl 95/2012), che ha
previsto, come alternativa all'incardinamento della centrale
unica di committenza nell'ambito delle unioni di comuni
esistenti, ovvero alla stipula di appositi accordi di tipo
consortile fra i municipi interessati, la possibilità per
gli stessi di rivolgersi alle centrali di committenza già
esistenti, ovvero di passare attraverso il mercato
elettronico della p.a. Tale successiva disposizione non
risulta in alcun modo censurata, così come pare ancora in
vigore il comma 5 del citato art. 23, laddove è stabilito il
termine per l'adempimento. Il comunicato non cita neppure
l'art. 1, comma 1, del dl 95, che prevede le sanzioni a
carico degli enti inadempienti.
Tuttavia nel testo della norma la parola «provincia» compare
eccome. Si legge infatti che «i comuni con popolazione non
superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di
ciascuna provincia affidano obbligatoriamente ad un'unica
centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e
forniture nell'ambito delle unioni dei comuni, di cui
all'articolo 32 del Tuel, ove esistenti, ovvero costituendo
un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e
avvalendosi dei competenti uffici». Quindi, gli ambiti di
organizzazione delle nuove centrali di committenza saranno o
le unioni di comuni, se costituite, o in mancanza un accordo
consortile tra gli enti.
Tra le nove regioni che con i loro ricorsi hanno contribuito
a «picconare» la riforma delle province, solo una, il Friuli
Venezia Giulia ha impugnato anche il comma 4 dell'art. 23
per violazione di svariate norme costituzionali, ma anche
dello Statuto che, come per tutte le regioni autonome, ha
rango pari a quello della Carta.
Ricordiamo che l'obbligo, che in origine avrebbe dovuto
applicarsi e gare bandite dopo il 31.03.2012, è stato poi
prorogato due volte, prima (dal dl 216/2011) al 31.03.2013 e poi (dal recente dl 43/2013) al 31.12.2013.
In ogni caso, la centrale unica di committenza ricade
comunque nell'ambito delle funzioni fondamentali che i
piccoli comuni devono mettere in forma associata entro la
fine di quest'anno. La relativa «mappa» è contenuta
nell'art. 19 del dl 95, che impone, fra l'altro, la gestione
mediante unione o convenzione della funzione «organizzazione
generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e
contabile e controllo». Una dizione, questa, che pare
includere anche gli appalti
(articolo ItaliaOggi dell'11.07.2013). |
APPALTI:
Gare pubbliche, carte al bando. Certificati di esecuzione
lavori al casellario informatico. In G.U. la delibera
dell'Authority che sta destando preoccupazioni tra gli
operatori.
Tutti i certificati di esecuzione dei lavori devono essere
trasmessi al Casellario informatico dell'Autorità per la
vigilanza ai fini del rilascio dell'attestato Soa di
qualificazione; non più utilizzabili i certificati
rilasciati in forma cartacea.
È questo l'effetto derivante
dall'entrata in vigore della
deliberazione
23.05.2013 n. 24 dell'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 159 del 09.07.2013,
che fornisce indicazioni alle stazioni appaltanti, alle Soa
e alle imprese in materia di emissione dei certificati di
esecuzione lavori (i cosiddetti Cel).
Si tratta della
delibera di cui in questi giorni le Associazioni che
riuniscono le Soa hanno chiesto il differimento (vedi
ItaliaOggi di ieri). Le indicazioni hanno lo scopo di
chiarire gli adempimenti per tutti i soggetti della filiera
in relazione anche al fatto che, in base al dpr 207/2010
(regolamento del Codice), le Soa nell'attività di
attestazione devono rilevare l'esistenza di Cel non presenti
nel casellario informatico e darne comunicazione alle
stazioni appaltanti e all'Autorità per gli eventuali
provvedimenti sanzionatori.
In sostanza già oggi i Cel
dovrebbero essere stati inseriti nel Casellario in forma
digitale e non dovrebbero più essere utilizzabili i Cel
cartacei; ciononostante l'Autorità rileva un «notevole
rallentamento nell'attività di attestazione delle imprese
provocato dal mancato rilascio dei Cel per via telematica
con le conseguenti gravi ripercussioni sul regolare
andamento del mercato dei contratti pubblici». Da ciò
l'invito, in primis alle imprese di costruzioni, a chiedere
formalmente l'emissione del Cel alla stazione appaltante. In
secondo luogo la delibera chiede alle stazioni appaltanti di
emettere i Cel secondo le modalità telematiche indicate
dall'Autorità entro trenta giorni, previo rilascio di copia
del Cel all'impresa o indicazione del numero di inserimento
nella procedura informatica.
La procedura telematica è
consultabile nel «Manuale Utente» presente sul sito
dell'Autorità all'indirizzo www.avcp.it. L'organismo di
attestazione (Soa) a sua volta, qualora nell'attività di
attestazione della qualificazione dell'impresa dovesse
riscontrare che il Cel non risulta presente nel casellario
informatico, ha l'onere di darne diretta comunicazione alla
stazione appaltante e all'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici per l'eventuale adozione del
provvedimento sanzionatorio.
In questa fase di segnalazione
la Soa deve anche allegare la documentazione di comprova
dell'avvenuta ricezione da parte della stazione appaltante
della richiesta avanzata dall'impresa esecutrice dalla quale
sono computati i prescritti 30 giorni per l'emissione del
Cel. Queste indicazioni, si legge nella delibera, devono
riguardare
«tutti i Cel utili ai fini della qualificazione
dell'impresa, indipendentemente dalla loro data di
emissione».
Ed è proprio questo il punto più delicato della
delibera che Unionsoa e Usi hanno nei giorni scorso
contestato (si veda ItaliaOggi di ieri); infatti in molti
casi le stazioni appaltanti non si sono adeguate finora e
molti sono i certificati rilasciati in forma cartacea che
ancora vengono utilizzati (articolo
ItaliaOggi del 10.07.2013). |
APPALTI:
Determinazione a contrattare e di aggiudicazione
provvisoria, possono essere assorbite in un unico atto?
Domanda
Nel caso di affidamento diretto per lavori di importo
inferiore ad Euro 40.000,00 la determinazione a contrattare
e la determinazione di aggiudicazione provvisoria possono
essere omesse ed assorbite entrambe, dopo aver verificato
preliminarmente i requisiti oggettivi e soggettivi e la
capacità a contrattare dell'affidatario, dalla
determinazione di affidamento?
Risposta
Al fine di rendere più chiaro il quesito di cui si chiede la
risoluzione, è opportuno indicare cosa s'intende per
determinazione a contrarre e cosa s'intende per
determinazione di aggiudicazione provvisoria.
Sommariamente la determinazione a contrarre è l'atto, di
spettanza dirigenziale, con il quale la stazione appaltante,
P.A., manifesta la propria volontà di stipulare un
contratto; invece la determinazione di aggiudicazione
provvisoria è l'atto con il quale una gara di appalto viene
aggiudicata provvisoriamente in capo a colui che risulta
aggiudicatario, essendo però questa un atto necessario ma
non definitivo atteso che l'individuazione definitiva del
concorrente risulta cristallizzata soltanto con
l'aggiudicazione definitiva (cfr. da ultimo Cons. Stato Sez.
V, 13.10.2010, n. 7460).
L'art. 11, comma 2, del Codice degli Appalti espressamente
prevede che "Prima dell'avvio delle procedure di
affidamento dei contratti pubblici, le amministrazioni
aggiudicatrici decretano o determinano di contrarre, in
conformità ai propri ordinamenti, individuando gli elementi
essenziali del contratto e i criteri di selezione degli
operatori economici e delle offerte".
Inoltre, sulla questione occorre evidenziare come l'art.
125, comma 8, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, preveda
espressamente : "... Per i lavori di importo inferiore a
40.000 euro è consentito l'affidamento diretto da parte del
responsabile del procedimento".
Fatte tali doverose premesse, secondo parte della dottrina è
possibile rispondere positivamente al quesito proposto.
E' preferibile ritenere che anche per il ricorso
all'affidamento diretto ad un operatore per importi
inferiori alla suddetta soglia debba comunque esservi la
previa determinazione a contrarre in quanto l'art. 11, comma
2, Codice dei Contratti, è espressione di un principio
generale applicabile anche alle procedure in economia.
Per i lavori in economia, l'art. 174 del Regolamento di
esecuzione ed attuazione rimette in genere tale potere "autorizzatorio"
direttamente al responsabile del procedimento.
Nel caso di specie, pertanto, può ritenersi che le
determinazioni di cui sopra possono essere assorbite
entrambe in un unico atto, in quanto come si evince dal
comma 8 dell'art. 125 D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 responsabile
dell'affidamento, per i lavori di importo inferiore a
40.000,00, sarà il responsabile del procedimento il quale è
investito nella diretta responsabilità della stazione
appaltante che è al medesimo tempo committente e parte del
rapporto contrattuale: ciò emerge chiaramente dalla stessa
lettera della norma dove viene disposto che "Per ogni
acquisizione in economia le stazioni appaltanti operano
attraverso un responsabile del procedimento ai sensi
dell'art. 10".
Ad ulteriore conferma di quanto sopra, al fine di assicurare
la massima semplificazione della procedura, lo stesso
Legislatore ha previsto all'art. 334, comma 2, del
Regolamento che "il contratto affidato mediante cottimo
fiduciario è stipulato attraverso scrittura privata, che può
anche consistere in apposito scambio di lettere con cui la
stazione appaltante dispone l'ordinazione dei beni o dei
servizi, che riporta i medesimi contenuti previsti dalla
lettera di invito".
Resta inteso che, in ogni caso, dovrà procedersi alla
verifica del possesso di requisiti di ordine generale (art.
38) in capo all'affidatario che dovrà dimostrare anche la
sussistenza dei requisiti di capacità tecnica necessari per
l'esecuzione dei lavori in questione (10.07.2013 -
tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Accesso agli atti.
Domanda
Vorrei sapere se nell'ambito di una gara per i servizi di
assistenza domiciliare anziani la ditta arrivata seconda ha
diritto di avere copia del progetto di chi l'ha preceduta.
Naturalmente la prima classificata ha già risposto di
opporsi a quest'evenutalità in quanto il progetto presentato
è frutto del proprio lavoro, anche tramite dei consulenti
pagati appositamente, e del proprio know-how.
Risposta
L'esigenza di permettere l'accesso agli atti in una
procedura di gara è contemperato dalla corrispondente
esigenza di tutela del c.d. know-how e della tutela
giudiziaria. Come noto, l'art. 3 del Dpr 184/2006 prevede
espressamente la notifica ai controinteressati, i quali
devono essere messi nella condizione di poter esercitare la
propria opposizione alla richiesta di accesso formulata da
un altro concorrente.
Ovviamente tale opposizione deve essere motivata e, in
relazione alla contrattualistica pubblica, ai sensi
dell'art. 13, comma 5, D.lgs. 163/2006, potrebbe essere
basata su una delle ragioni che permettono la sottrazione
all'accesso:
a) informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle
offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che
costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione
dell'offerente, segreti tecnici o commerciali;
b) eventuali ulteriori aspetti riservati delle offerte, da
individuarsi in sede di regolamento;
c) pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti
all'applicazione del presente codice, per la soluzione di
liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici;
d) relazioni riservate del direttore dei lavori e
dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del
soggetto esecutore del contratto.
Nel caso di specie, viene in considerazione soprattutto la
lettera a) prima citata che, tuttavia, cede all'esigenza di
avere una adeguata tutela giudiziaria, in base alle
prescrizioni di cui all'art. 13, comma 6, del codice dei
contratti. Per rafforzare la protezione della tutela dei
dati progettuali, in alcuni casi il bando o il disciplinare
prevedono specifiche indicazioni a tal proposito, ma, anche
in questo caso, la tutela è comunque cedevole nel caso in
cui il documento sia presupposto dall'indagine giudiziaria.
In questo senso, recentemente si è espressa la
giurisprudenza, la quale ha chiarito che "La normativa
sull'accesso è funzionale a garantire altri interessi e in
questi limiti consente la visione e l'estrazione di copia.
Pertanto, poiché né il diritto di autore né la proprietà
industriale precludono la riproduzione sic et simpliciter,
ma solo la riproduzione che consenta uno sfruttamento
economico e non essendo l'accesso lesivo di tale diritto
all'uso economico esclusivo del progetto, l'ostensione va
consentita, fermo restando che l'uso appropriato delle
informazioni così ottenute, rappresentato esclusivamente
dalla strumentalità alla tutela dell'interesse fatto valere,
costituisce non solo la funzione per cui è consentito
l'accesso stesso, ma anche il limite di utilizzo dei dati
appresi" (TAR, Bari, Puglia, sez. II, 13.02.2013, n.
217) (09.07.2013 - tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
APPALTI FORNITURE:
Porte e finestre, mercato unico.
Per i prodotti edili stesse norme ambientali e di sicurezza.
Il 1° luglio è entrato in
vigore il regolamento della Ue che armonizza i requisiti.
Via libera al mercato unico europeo dei prodotti da
costruzione. A partire dal primo di luglio i costruttori di
porte, cemento, mattoni, cancelli, camini e finestre possono
infatti contare su un alleato in più nel processo di
espansione all'interno dell'Unione europea: il regolamento
sui prodotti di costruzione (Cpr).
Adottato nel 2011 dal Parlamento Ue ma entrato in vigore
solamente all'inizio di questo mese, il regolamento 305/2011
sostituisce la direttiva sui prodotti da costruzione
(89/106/Cee) fornendo un linguaggio tecnico comune
costituito da norme armonizzate che i costruttori potranno
utilizzare per descrivere le prestazioni e le
caratteristiche dei prodotti commercializzati in Europa.
Niente più ostacoli giuridici e tecnici alla libera
circolazione dei prodotti all'interno del Vecchio
continente, soggetti fino a pochi giorni fa a requisiti
occupazionali, ambientali e di sicurezza diversi da Paese a
Paese. «Il Cpr aiuterà i fabbricanti a commercializzare i
prodotti da costruzione all'interno di un comune quadro
normativo europeo semplificato, nel quale l'affidabilità
della prestazione dichiarata di un prodotto da costruzione
viene dimostrata dall'impiego della marcatura CE», hanno
assicurato dalla Commissione europea secondo cui, aumentando
la trasparenza del mercato, il nuovo regolamento garantirà
una serie di vantaggi per progettisti, costruttori e
appaltatori. «Gli architetti otterranno facilmente
informazioni affidabili sulle prestazioni dei prodotti che
intendono utilizzare, contribuendo così a garantire la
sicurezza delle costruzioni, come previsto dalle rispettive
norme nazionali».
Per armonizzare le condizioni di utilizzo dei prodotti
all'interno dei Paesi membri, il regolamento ha semplificato
le procedure utilizzate dai fabbricanti per ottenere la
marcatura CE da apporre soltanto sui prodotti per i quali il
fabbricante ha redatto una dichiarazione di prestazione.
Elemento che si tradurrà in una significativa riduzione dei
costi sostenuti dalle microimprese (quelle con meno di 10
dipendenti e un bilancio annuo non superiore a 2 milioni di
euro) nel caso in cui non sussistano criticità in materia di
sicurezza.
«Tutti i fabbricanti, in particolare i piccoli
produttori, possono usare adesso i risultati di prova
esistenti per suffragare una dichiarazione di prestazione,
senza che i loro prodotti debbano essere sottoposti a
un'inutile ripetizione delle prove», si legge nel documento.
«Per ottenere la marcatura CE sono state introdotte
procedure semplificate più snelle per i prodotti che non
sono oggetto di norme armonizzate». In particolare, secondo
l'articolo 8 del regolamento, uno Stato membro non potrà
proibire né ostacolare, nel suo territorio o sotto la sua
responsabilità, la messa a disposizione sul mercato o l'uso
di prodotti da costruzione recanti la marcatura CE se la
prestazione dichiarata corrisponde ai requisiti per l'uso in
questione in tale Stato membro. Allo stesso tempo, dovrà
garantire che l'uso dei prodotti da costruzione recanti la
marcatura CE non sia ostacolato da norme o condizioni
imposte da organismi pubblici o privati che agiscono come
imprese pubbliche.
Ma è il successivo articolo 9 a indicare regole e condizioni
per l'apposizione della marcatura che dovrà essere visibile,
leggibile e indelebile sul prodotto da costruzione o su
un'etichetta a esso applicata.
Nello specifico, la marcatura CE dovrà essere seguita dalle
ultime due cifre dell'anno in cui è stata apposta per la
prima volta, dal nome e dall'indirizzo della sede legale del
fabbricante o dal marchio di identificazione che consente,
in modo semplice e non ambiguo, l'identificazione del nome e
dell'indirizzo del fabbricante. Non solo. La marcatura CE
dovrà contenere anche il numero di riferimento della
dichiarazione di prestazione, il livello o classe della
prestazione dichiarata e il riferimento alla specifica
tecnica armonizzata applicata. Oltre che il numero di
identificazione dell'organismo notificato
(articolo ItaliaOggi Sette dell'08.07.2013). |
APPALTI: Contributi.
Il decreto del fare consente la possibilità di rimediare a
dimenticanze o a mancati versamenti
Durc, l'errore si sana in 15 giorni.
La Pa avvisa il datore prima di emettere il documento
negativo.
Niente più brutte sorprese o esclusioni inattese dalle gare
pubbliche per problemi legati alla regolarità contributiva:
l'articolo 31 del decreto legge 69/2013, ha infatti
razionalizzato la disciplina del documento unico di
regolarità contributiva, apportando alcune correzioni -meramente funzionali ma di notevole impatto per le aziende-
nel Codice degli appalti pubblici, il decreto legislativo
163 del 12.04.2006.
La nuova disciplina ha infatti modificato -introducendo
alcune semplificazioni- l'articolo 118 del Codice, con un
opportuno allentamento di alcune "tagliole" previste dalla
norma.
Possibile tornare in regola
In primo luogo -ed è questa la novità di maggior rilievo-
è stato espressamente previsto all'articolo 31, comma 8 del
Dl 69/2013, che ai fini della verifica del rilascio del Durc,
in caso di mancanza di requisiti per il rilascio, prima di
emettere il documento negativo (che segnala pertanto la
presenza di debiti del datore di lavoro nei confronti degli
enti previdenziali o assicurativi) o prima dell'annullamento
del documento già rilasciato, l'ente competente a rilasciare
il documento ha l'obbligo di informare l'interessato o il
suo consulente del lavoro, con l'uso della posta elettronica
certificata, del motivo della irregolarità riscontrata,
indicandone analiticamente le ragioni e invitando il
soggetto interessato a regolarizzare la sua posizione entro
il termine massimo di quindici giorni dalla segnalazione.
Questa disposizione è sicuramente da accogliere con grande
favore, poiché da un lato non attenua minimamente i
controlli e i meccanismi di esclusione dalle gare o dalla
sottoscrizione di contratti, di coloro che risultano non
essere in regola con il versamento dei contributi
previdenziali e assicurativi, dall'altro lato, però,
consente ai datori di lavoro di rimediare immediatamente a
errori formali, dimenticanze, o a versamenti non eseguiti
per momentanea carenza di liquidità.
Il termine di quindici giorni concesso dall'Amministrazione
all'interessato per adeguare la propria posizione a quanto
stabilito dalla legge, appare infatti assolutamente congruo
e tale da non rallentare in modo sensibile i già farraginosi
meccanismi delle gare pubbliche. Peraltro, assicura al
datore di lavoro che sia incorso in violazioni minime o
comunque sanabili, di rimanere in corsa negli appalti
pubblici o di ottenere il pagamento del dovuto dalla
pubblica amministrazione.
I pagamenti della Pa
Un'altra novità introdotta dal cosiddetto decreto del fare
riguarda i pagamenti della pubblica amministrazione (Dl
69/2013, articolo 31, comma 3): nel caso in cui sia
riscontrata una inadempienza contributiva (non sanata nei
quindici giorni), il soggetto pubblico tenuto al pagamento
tratterrà ora solamente l'importo corrispondente
all'inadempimento, provvedendo direttamente al versamento di
questa somma agli enti previdenziali e assicurativi a
credito ed emettendo regolarmente il certificato di
pagamento in favore dell'imprenditore per il residuo.
In precedenza era invece previsto -sostanzialmente- il
blocco dell'intero pagamento, con la conseguenza che anche
per piccoli debiti contributivi o assicurativi
l'imprenditore si vedeva sospesa l'erogazione di tutto il
dovuto, spesso con sproporzioni assolutamente evidenti, con
la conseguenza di privare l'azienda di liquidità importanti.
Anche questo provvedimento è certamente da ritenere
positivo, poiché assicura comunque l'adempimento degli
obblighi da parte dell'imprenditore -poiché la pubblica
amministrazione trattiene il dovuto- ma,
corrispondentemente, consente il pagamento di somme
pacificamente dovute per lavori o servizi già prestati.
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Le novità introdotte dal Dl 69/2012 sulla regolarità
contributiva e gli effetti rispetto al regime precedente
IL RILASCIO
01 | DURC POSITIVO O NEGATIVO
Finora, il Durc era rilasciato positivo (se non si
registravano pendenze con la Pa), o negativo (se si
segnalavano debiti con Inps o Inail)
02 | LA POSSIBILITÀ DI METTERSI IN REGOLA
Prima di rilasciare il Durc negativo o di revocare il Durc
positivo già rilasciato, l'amministrazione invita
l'interessato, tramite Pec (anche attraverso il consulente
del lavoro), a regolarizzare la sua posizione entro 15
giorni. L'interessato può sanare le inadempienze e ottenere
il Durc positivo
I DEBITI VERSO LA PA
01 | BLOCCO TOTALE
Il pagamento dei crediti dell'imprenditore era bloccato per
intero se venivano segnalate inadempienze dell'imprenditore
verso la Pa
02 | IL REGIME ATTUALE
Ora è trattenuta solo la parte di credito sufficiente a
saldare i debiti verso gli enti, che sono pagati
direttamente dal soggetto erogante le somme (in genere la
stazione appaltante)
L'ACQUISIZIONE
01 | L'UFFICIO SI MUOVE IN AUTONOMIA
Mentre il passato il Durc doveva essere acquisito
dall'interessato, oggi il documento è acquisito d'ufficio in
via telematica, anche ai fini della verifica della
dichiarazione sostitutiva, per l'aggiudicazione del
contratto, per la stipula del contratto, per il pagamento
dei saldi. Deve essere nuovamente acquisito per il saldo
finale
LA VALIDITÀ
01 | TRE MESI DI DURATA
Prima delle modifiche introdotte dal Dl 69/2013, il Durc
aveva una validità massima di tre mesi
02 | L'ESTENSIONE
Nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, la
validità del Durc è estesa a 180 giorni, e il documento deve
essere acquisito dalla stazione appaltante con strumenti
informatici (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.07.2013). |
APPALTI: Appalti.
Gli schemi dell'Autorità.
Pronti i bandi tipo per gestire i contratti pubblici.
IN CONSULTAZIONE/
I modelli contengono già le clausole derogabili e adattabili
alle necessità specifiche dei singoli enti pubblici.
Le stazioni appaltanti dovranno impostare le gare per
appalti pubblici di lavori tenendo conto dei bandi-tipo
elaborati dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici,
potendo intervenire solo su alcuni aspetti delle regole
delle procedure selettive.
L'Autorità ha infatti avviato la consultazione relativa ai
modelli di bandi per i lavori di valore superiore ai 150mila
euro, dando una prima attuazione sotto il profilo operativo
all'articolo 64 del Codice dei contratti pubblici e
sviluppando in schemi dettagliati molte delle indicazioni
già fornite con la determinazione n. 4/2012.
I modelli proposti (che non hanno ancora assunto una veste
definitiva) non si limitano a specificare le clausole a pena
di esclusione, ma configurano una compiuta disciplina della
gara, evidenziando le parti obbligatorie e quelle rispetto
alle quali le stazioni appaltanti hanno margine di
intervenire (quali, in particolare, la definizione concreta
dei requisiti di partecipazione e i criteri di valutazione).
Gli schemi sono accompagnati da una nota illustrativa che
indica le linee interpretative fondamentali per la
partecipazione alle gare di lavori pubblici e le
caratteristiche e le modalità di compilazione dei modelli,
con particolare riguardo alle parti non derogabili da parte
delle stazioni appaltanti, relative alle cause tassative di
esclusione di cui all'articolo. 46, comma 1-bis, del Codice.
Un punto-chiave dei bandi-tipo è la sezione dedicata alla
specificazione delle categorie delle lavorazioni oggetto
dell'appalto e delle relative classifiche per
dimensionamento economico. Qui l'Avcp fa rilevare la piena
responsabilità del progettista nell'individuazione esatta
delle categorie, precisando le caratterizzazioni di quelle
generali e di quelle specialistiche e specificando la
valenza della codificazione come non obbligatorie o come
obbligatorie.
I bandi-tipo presentano anche un quadro di dettaglio per la
regolamentazione della partecipazione alla gara dei
raggruppamenti temporanei di imprese e dei consorzi, nonché
indicano in modo preciso le condizioni per l'avvalimento.
I modelli evidenziano anche una particolare attenzione per
il subappalto, anche quando questo debba essere utilizzato
dal concorrente per supplire alla mancanza della
qualificazione obbligatoria per le lavorazioni scorporabili.
Negli schemi proposti l'Avcp chiarisce finalmente che anche
negli appalti di lavori pubblici in sede di offerta devono
essere indicati i costi della sicurezza aziendali, come
richiesto dall'articolo 87, comma 4, del Codice.
Proprio in ordine alla presentazione delle offerte (e dei
documenti per la partecipazione alla gara) l'Avcp ha dettato
regole molto dettagliate, evidenziando in particolare le
clausole a pena di esclusione, nonché fornendo elementi
descrittivi di alcuni passaggi importanti (come la
sigillatura dei plichi).
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L'identikit
01 | LE CATEGORIE
Nei bandi tipo l'Autorità chiarisce che il progettista deve
individuare
le categorie di lavori
di cui si compone l'appalto distinguendo le categorie
generali dalle specialistiche
02 | LA SICUREZZA
In sede di offerta devono essere indicati i costi
della sicurezza aziendali
03 | LE OFFERTE
Nei bandi tipo l'Avcp spiega come presentare le offerte ed
evidenzia in particolare
le clausole a pena
di esclusione, o come devono essere sigillate
le buste per essere accettate
(articolo Il Sole 24 Ore dell'08.07.2013). |
APPALTI: Appalti,
Consiglio di Stato sconfessato dalla Corte Ue.
L'INDICAZIONE/
L'Adunanza plenaria favorisce la stabilità delle
aggiudicazioni. I giudici comunitari per un mercato integro.
La Corte di giustizia dell'Unione europea sconfessa il
Consiglio di Stato su un tema che interessa molte imprese e
cioè la tutela giurisdizionale in materia di appalti
pubblici.
Con la
sentenza
04.07.2013 in C-100/12 forse un po' sbrigativa, i giudici europei hanno infatti accolto
un'interpretazione opposta a quella dell'Adunanza plenaria
del Consiglio di Stato (n. 4/2011) su una questione
processuale che ha implicazioni pratiche rilevanti: i
rapporti tra ricorso principale proposto dall'impresa che ha
perso una gara e ricorso incidentale proposto dall'impresa
aggiudicataria contro quest'ultima.
La questione sembra fin troppo tecnica, ma risulta più
chiara se si considera il caso concreto posto all'esame
della Corte di giustizia.
In attuazione di un contratto quadro aggiudicato dal Centro
nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (Cnipa)
per la fornitura di linee dati e fonia, l'Asl di Alessandria
stipula un contratto con Telecom Italia il cui progetto
tecnico è ritenuto preferibile rispetto a quello di Fastweb.
Quest'ultima impugna l'aggiudicazione davanti al Tar
Piemonte lamentando che l'offerta di Telecom non rispetta le
specifiche tecniche richieste dalla Asl. Telecom a sua volta
propone un ricorso incidentale sostenendo che, in realtà,
anche l'offerta di Fastweb è affetta dallo stesso vizio. Il
Tar ritiene fondate entrambe le censure simmetriche con la
conseguenza che l'intera procedura risulta viziata.
Se non che, secondo gli indirizzi dell'Adunanza plenaria,
l'esito del processo non potrebbe essere l'annullamento
dell'intera procedura. Infatti, in accoglimento del ricorso
incidentale di Telecom, Fastweb, erroneamente ammessa alla
gara, risulta priva di legittimazione a proporre il ricorso
principale, che non va neppure esaminato. Resta dunque
confermata l'aggiudicazione a favore di Telecom.
L'orientamento del Consiglio di Stato, che si basa su
ragionamenti processuali sofisticati, favorisce dunque la
stabilità delle aggiudicazioni e dei contratti, evitando
ritardi dovuti al rinnovo della gara. Esso è stato mal
"digerito" da alcuni Tar.
Alcuni, infatti, pur seguendo il Consiglio di Stato, hanno
ritenuto di poter accertare anche la fondatezza del ricorso
principale rimettendo alla stazione appaltante la decisione
sul se annullare d'ufficio l'intera procedura (Tar Abruzzo-L'Aquila
n. 424/2013). Il Tar del Piemonte invece ha sollevato la
questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia.
Muovendo dalla normativa europea sui ricorsi in materia di
appalti volta ad assicurare «mezzi di ricorso efficaci e
rapidi» (direttiva 89/665/Cee), la Corte ha ritenuto errata
la tesi del Consiglio di Stato. I giudici di Lussemburgo
hanno fatto leva su un precedente nel quale avevano già
sostenuto che non si può negare a un'impresa la possibilità
di contestare l'esito di una gara per il fatto che l'impresa
che propone il ricorso avrebbe dovuto essere esclusa già
nella fase antecedente alla comparazione delle offerte
(sentenza 19.06.2003 in C-249/01).
Pertanto, nel caso di specie, secondo la Corte, il giudice
amministrativo è tenuto a esaminare sia il ricorso
principale sia quello incidentale perché in questo modo si
riesce «a constatare l'impossibilità di procedere alla
scelta di un'offerta regolare».
Il diritto europeo ha dunque a cuore la concorrenzialità e
l'integrità del mercato degli appalti, minate da
aggiudicazioni illegittime, più che l'esigenza di non
rallentare la stipula e l'esecuzione dei contratti
(articolo Il Sole 24 Ore del 17.07.2013). |
APPALTI:
Chi vince l'appalto può perderlo. Gara a rischio anche se il
concorrente non ha i requisiti. La
Corte di giustizia Ue: il fatto che il ricorrente non sia in
regola non salva l'aggiudicatario.
L'aggiudicatario, non in regola, rischia di perdere
l'appalto, anche se chi ha impugnato la gara doveva essere
escluso dal procedimento. Il giudice deve valutare tutte le
offerte, sia dell'aggiudicatario sia di chi ha impugnato
l'aggiudicazione, ed eventualmente annullare la procedura di
aggiudicazione dell'appalto, che a quel punto è da rifare.
Cambiando radicalmente la tesi prevalente dei giudici
amministrativi italiani, su sollecitazione del Tar Piemonte,
la Corte di giustizia europea del Lussemburgo, con la
sentenza
04.07.20123 causa C-100/12, ha
stabilito che «se l'aggiudicatario, che ha proposto ricorso
incidentale in un giudizio amministrativo, solleva
un'eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di
legittimazione a ricorrere dell'offerente/ricorrente, con la
motivazione che l'offerta di quest'ultimo avrebbe dovuto
essere esclusa dall'autorità aggiudicatrice per non
conformità alle specifiche tecniche, la direttiva europea
89/665 non ammette che il ricorso sia dichiarato
inammissibile senza verifica della compatibilità con le
suddette specifiche tecniche dell'offerta sia
dell'aggiudicatario, sia dell'offerente/ricorrente
principale».
Cerchiamo di capire gli effetti della sentenza, partendo
dalla giurisprudenza tradizionale dei Tar e del Consiglio di
stato.
Il caso è quello del ricorso principale presentato da una
ditta, che non ha vinto l'appalto, contro l'aggiudicazione
assegnata a un'altra ditta. In corso di causa, la ditta, che
ha vinto l'appalto, a sua volta, con un ricorso, chiamato
incidentale, chiede al giudice amministrativo di dichiarare
inammissibile il ricorso principale.
L'orientamento attuale della giurisprudenza amministrativa
dice che l'esame di un ricorso incidentale, diretto a
contestare la legittimazione del ricorrente principale, deve
precedere l'esame del ricorso principale. Quindi, bisogna
prima bisogna esaminare la domanda della ditta vincitrice,
che contesta l'ammissibilità del ricorso della ditta
perdente. Il Consiglio di stato ritiene, infatti, che la
legittimazione a ricorrere contro la decisione di
aggiudicazione di un appalto pubblico spetti soltanto al
soggetto che abbia legittimamente partecipato alla procedura
di aggiudicazione. Se la ditta perdente non ha i requisiti
per partecipare all'appalto, allora non può nemmeno
impugnare gli esiti dello stesso.
Il Tar Piemonte, davanti al quale pendeva un ricorso che
proponeva il quesito di diritto, ha rinviato la questione
alla corte di giustizia. Che ha ritenuto fondato il dubbio
del Tribunale amministrativo piemontese e ha stabilito che
devono essere verificate sia l'offerta del ricorrente
principale (ditta perdente) sia l'offerta del ricorrente
incidentale (ditta vincente). Nella sua sentenza, la Corte
ricorda che la direttiva 89/665 obbliga gli stati europei a
rendere accessibili le procedure di ricorso, a chiunque
abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di
un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a
causa di una presunta violazione.
Nel procedimento italiano, il giudice ha constatato che sia
offerta della ditta perdente sia l'offerta della ditte
aggiudicataria non erano conformi alle specifiche tecniche.
In sostanza è solo per errore che l'offerta prescelta non
sia stata esclusa al momento della verifica delle offerte,
nonostante essa non rispettasse le specifiche tecniche della
singola gara. Da qui la conclusione per cui la legislazione
Ue non permette che un ricorso contro l'aggiudicazione di un
appalto sia dichiarato inammissibile senza verifica della
compatibilità con le specifiche tecniche dell'offerta sia
dell'aggiudicatario, sia dell'offerente/ricorrente
principale. Se in esito alla verificazione delle offerte
presentate, il giudice constati che nessuna è conforme alle
specifiche imposte dal piano, si apre la strada
all'annullamento dell'aggiudicazione dell'appalto (articolo ItaliaOggi
del 05.07.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Polizze
assicurative per i cantieri: ecco una guida utile per il
direttore dei lavori e per le imprese.
In base alla norme vigenti, le imprese edili sono spesso
chiamate a stipulare polizze assicurative a copertura o
fidejussione dei loro impegni assunti in qualità di
esecutori di opere.
E la maggior parte di esse sono obbligatorie: ad esempio, in
caso di lavori pubblici, l’impresa deve stipulare le
seguenti polizze assicurative:
►
fidejussione provvisoria;
►
fidejussione definitiva;
►
fidejussione per svincolo ritenute di garanzia sugli Stati
Avanzamento Lavori;
►
Responsabilità Civile verso Terzi ed Operai (RCT-RCO);
►
polizza CAR (Constructor’s All Risks).
Altri tipi di polizze sono inoltre previste dalla Legge
210/2004, come ad esempio quelle a tutela di chi acquista un
immobile, ossia la fidejussione a garanzia
dell’anticipazione degli acconti versati dall’acquirente
all’impresa esecutrice per l’acquisto dell’immobile ancora
da costruire e la polizza postuma decennale.
Al fine di aiutare il direttore dei lavori a valutare
l’esistenza, l’adeguatezza e la correttezza delle polizze
sottoscritte dalle imprese con cui lavora, l'Associazione
dei geometri fiscalisti (Agefis) ha pubblicato la guida “Le
polizze assicurative obbligatorie per l’esecutore dell’opera
- cenni utili per il direttore dei lavori”, nella quale
sono evidenziate le caratteristiche principali delle stesse.
Nella guida proposta in allegato sono presenti definizioni,
casistiche e riferimenti normativi, utili quindi sia alle
imprese che ai tecnici chiamati a dirigere i lavori ed a
gestire le contabilità di cantiere di lavori pubblici e
privati
(04.07.2013 - link a www.acca.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
L’indicazione in sede di
offerta degli oneri aziendali di sicurezza, non soggetti a
ribasso, costituisce –sia nel comparto dei lavori che in
quelli dei servizi e delle forniture- un adempimento imposto
dagli artt. 86, co. 3-bis, e 87, co. 4, del d.lgs.
12.04.2006 n. 163 ss.mm.ii. all’evidente scopo di consentire
alla stazione appaltante di adempiere al suo onere di
verificare il rispetto di norme inderogabili a tutela dei
fondamentali interessi dei lavoratori in relazione
all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o
fornitura da affidare.
Stante la natura di obbligo legale rivestita
dall’indicazione, resta irrilevante la circostanza che la
lex specialis di gara non abbia richiesto la medesima
indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una ignorantia
legis.
Poiché la medesima indicazione riguarda l’offerta, non può
ritenersene consentita l’integrazione mediante esercizio del
potere/dovere di soccorso da parte della stazione appaltante
(ex art. 46, co. 1-bis, cit. d.lgs. n. 163 del 2006), pena
la violazione della par condicio tra i concorrenti.
Nel merito, il primo, articolato motivo di gravame è
infondato alla stregua dei principi affermati dalla
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 23.07.2010 n. 4849,
08.02.2011 n. 846 e 29.02.2012 n. 1172, nonché sez. III, 03.10.2011 n. 5421),
pienamente condivisi dal Collegio, secondo cui:
- l’indicazione in sede di offerta degli oneri aziendali di
sicurezza, non soggetti a ribasso, costituisce –sia nel
comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle
forniture- un adempimento imposto dagli artt. 86, co. 3-bis, e 87, co. 4, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 ss.mm.ii.
all’evidente scopo di consentire alla stazione appaltante di
adempiere al suo onere di verificare il rispetto di norme
inderogabili a tutela dei fondamentali interessi dei
lavoratori in relazione all’entità ed alle caratteristiche
del lavoro, servizio o fornitura da affidare;
- stante la natura di obbligo legale rivestita
dall’indicazione, resta irrilevante la circostanza che la
lex specialis di gara non abbia richiesto la medesima
indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una
ignorantia legis;
- poiché la medesima indicazione riguarda l’offerta, non può
ritenersene consentita l’integrazione mediante esercizio del
potere/dovere di soccorso da parte della stazione appaltante
(ex art. 46, co. 1-bis, cit. d.lgs. n. 163 del 2006), pena
la violazione della par condicio tra i concorrenti (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 03.07.2013 n. 3565 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Tar Lombardia. Prevale il principio di conservazione degli
atti. Commissario escluso, appalto ok.
LA MOTIVAZIONE/ Il rinnovo dell'intero procedimento
comprometterebbe la concorrenza tra i partecipanti
Uno dei componenti di una commissione giudicatrice di un
appalto pubblico aveva svolto consulenze per la redazione
del capitolato e degli atti di una gara, in violazione
dell'articolo 84, commi 4 e 10 del Codice dei contratti
pubblici. In seguito a questo fatto, con sentenza del
giudice amministrativo, la sua nomina è stata annullata. È
sorto il problema se, per concludere la gara, fosse
necessario rinnovare l'intero procedimento o fosse
sufficiente sostituire il componente della commissione.
Secondo l'ordinanza 03.07.2013 n. 246 del TAR Lombardia-Brescia, è possibile rinnovare soltanto l'atto viziato.
I giudici hanno seguìto l'orientamento dell'Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato n. 12/2012, che -su un caso
simile- aveva valorizzato il principio di conservazione e
di economicità degli atti pubblici, e aveva sostenuto che la
rinnovazione dell'intero procedimento avrebbe alterato la
concorrenza, perché le nuove offerte «sarebbero state
formulate da concorrenti che erano a conoscenza delle
originarie offerte degli altri partecipanti alla gara».
Non
hanno seguìto, invece, l'orientamento di un'altra e più
recente pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 13/2013, che ha
ritenuto necessario rinnovare l'intero procedimento.
L'ordinanza del Tar della Lombardia-Brescia è da
condividere. Il vizio di un segmento di un procedimento
amministrativo comporta conseguenze diverse dal vizio di un
elemento essenziale di un contratto privato, e, nel caso
considerato, è determinante il principio di conservazione
degli atti. Il problema del rinnovo totale o parziale di un
procedimento viziato in un solo punto presenta diverse
sfaccettature, e questo giustifica i diversi orientamenti
dell'Adunanza plenaria.
Sarebbe opportuno, comunque, che questi orientamenti
confluissero in una soluzione unitaria, perché –in tempi di
incertezze legislative– la giurisprudenza rappresenta una
vera e propria bussola, sul piano giuridico, per gli
operatori negli appalti pubblici (articolo Il Sole 24 Ore del
02.09.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Lavori da oltre 150 mila Bandi-tipo per chi appalta.
L'indirizzo dell'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici.
Al via i bandi-tipo che le stazioni appaltanti potranno
utilizzare per l'affidamento di lavori pubblici di importo
superiore a 150.000 euro; entro fine luglio si chiuderà la
consultazione con le categorie interessate, poi il parere
del ministero delle infrastrutture e il varo del
provvedimento; previsti 12 schemi suddivisi per procedure;
gli appalti integrati (di progettazione e costruzione) da
affidare solo con il criterio dell'offerta economicamente
più vantaggiosa; necessaria una adeguata motivazione per il
requisito del fatturato aziendale.
Sono questi alcuni degli
elementi che emergono dalla lettura dei documenti messi in
consultazione venerdì pomeriggio dall'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici in attuazione dell'articolo
64, comma 4-bis del Codice che attribuisce all'Autorità il
compito di elaborare specifici modelli (bandi-tipo) sulla
base dei quali le stazioni appaltanti sono tenute a
predisporre i propri bandi di gara.
Per i lavori tale
obbligo riguarda tutte le procedure di importo superiore ai
150.000 euro per le quali l'Autorità ha messo quindi a punto
12 schemi di disciplinare di gara e lettere di invito in
relazione alle diverse procedure, aperta, ristretta e
negoziata. All'interno di ogni modello una parte sarà sempre
obbligatoria, altre parti varieranno in ragione delle
diverse alternative che avranno a disposizione le stazioni
appaltanti.
Nel dettaglio, i modelli di gara si riferiscono
agli appalti di lavori di sola esecuzione, di esecuzione e
progettazione esecutiva, di esecuzione, progettazione
definitiva e progettazione esecutiva e sono articolati per
procedura aperta, ristretta e negoziata e in base al
criterio di aggiudicazione (prezzo più basso o offerta
economicamente più vantaggiosa). Per gli appalti integrati,
l'Autorità ha messo a punto soltanto modelli di bando per
aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente
più vantaggiosa che, come già chiarito dall'Autorità nella
determinazione n. 5 del 27.07.2010, «appare il sistema
di affidamento preferibile in relazione alla specificità e
alla complessità dei servizi in questione, come confermato
da varie disposizioni del Regolamento nelle quali si fa
espresso riferimento all'utilizzo dell'offerta
economicamente più vantaggiosa (cfr. artt. 120 e 266)».
I bandi-tipo contemplano anche i documenti che i concorrenti
devono presentare per poter partecipare in forma di
«aggregazione di imprese di rete». Per la verifica sul
possesso dei requisiti di carattere generale,
tecnico-organizzativo ed economico-finanziario, i bandi-tipo
fanno riferimento all'utilizzo del sistema AVCpass, ancorché
rinviato a inizio 2014. Infine fra le indicazioni fornite
interessante è anche quella ai requisiti di fatturato per i
quali l'Autorità afferma che ai sensi dell'art. 41, comma 2,
del Codice occorre indicare una congrua motivazione in
ordine ai limiti di accesso connessi al fatturato aziendale
che «potrà essere riferita, per esempio, alla necessità
di un'organizzazione progettuale di elevato livello
imprenditoriale» (articolo ItaliaOggi del
02.07.2013). |
APPALTI:
E’ funzione propria della Stazione Unica Appaltante
(S.U.A.), come prevista dal DPCM che ha dato attuazione alla
previsione dell’art. 13 della legge n. 136/2010, collaborare
con l'ente aderente alla corretta individuazione dei
contenuti dello schema del contratto, tenendo conto che lo
stesso deve garantire la piena rispondenza del lavoro, del
servizio e della fornitura alle effettive esigenze degli
enti interessati.
La circostanza che alcune delle funzioni sopra indicate
facciano riferimento a una procedura di “gara” non vale,
secondo questa Sezione, a circoscriverne l’attività alle
sole procedure nelle quali la gara è obbligatoria e,
pertanto, non vale a escluderne la ricorrenza allorquando,
nelle procedure per l’affidamento di lavori di importo
inferiore a 1 milione di euro, l’art. 122, comma 7, del
“Codice” ammette la procedura negoziata senza pubblicazione
di un bando di gara, ex art. 57, comma 6 dello stesso
“Codice”.
La disposizione sopra ricordata (art. 13, L. n. 136/2010),
che ha previsto l’istituzione, in ambito regionale, di una o
più stazioni uniche appaltanti (S.U.A.), ha, infatti, come
ulteriore finalità quella di assicurare la trasparenza, la
regolarità e l’economicità della gestione dei contratti
pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose.
Ovviamente, stante la natura volontaria dell’adesione
dell’Ente alla S.U.A., occorrerà verificare, nel caso di
specie, come la convenzione ha regolato i rapporti tra SUA e
l’ente aderente, dal momento che è la convenzione che,
appunto, determina l’ambito di operatività della S.U.A..
---------------
L’art. 23, c. 4, del D.L. 06.12.2011 n. 201 [recante “Disposizioni
urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei
conti pubblici” (conv. con modificazioni dalla L.
22.12.2011, n. 214)] dispone che all’articolo 33 del
d.lgs.vo n. 163/2006 sia aggiunto il comma 3-bis.
Il comma così aggiunto stabilisce che “I Comuni con
popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel
territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente
ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di
lavori, servizi e forniture nell'ambito delle unioni dei
comuni, di cui all'articolo 32 del testo unico di cui al
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove esistenti,
ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i
comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici. In
alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri
acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto
gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi
comprese le convenzioni di cui all'articolo 26 della legge
23.12.1999, n. 488, e il mercato elettronico della pubblica
amministrazione di cui all'articolo 328 del decreto del
Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207”.
Il Sindaco del Comune istante espone che l’Ente, con atto
consiliare (non indicato), è stato individuato quale
Stazione Unica Appaltante in forma associata (S.U.A.). Tale
organismo, secondo quanto previsto dall’art. 13 della legge
n. 136/2010 e secondo il DPCM 30.06.2011 che lo regola, ha
natura giuridica di centrale di committenza (art. 3, comma
34, D.Lgs.vo 12.04.2006, n. 163), e cura, per conto degli
aderenti, l’aggiudicazione di contratti pubblici per la
realizzazione di lavori, la prestazione di servizi e
l’acquisizione di forniture, ai sensi dell'articolo 33 del
citato D.Lgs.vo n. 163/2006, svolgendo tale attività in
ambito regionale, provinciale ed interprovinciale.
Tanto esposto, il quesito sottoposto all’esame di questa
Sezione regionale di controllo mira a conoscere se la
procedura negoziata senza bando, di cui all’art. 122, comma
7, del D.Lgs.vo n. 163/2006, è funzione assorbita dalla
Centrale di committenza o resta in capo al singolo ente,
attesa l’assenza di pubblicità del bando, ovvero dell’invito
a presentare l’offerta, e per essere il RUP a procedere
all’affidamento previa individuazione diretta, da parte
dello stesso RUP, degli operatori economici nel rispetto del
medesimo art. 122, comma 7, citato.
...
Ciò posto, in attesa che trovi attuazione il precetto di cui
al citato art. 33-bis a far data dal termine del 31.12.2013, secondo la proroga da ultimo concessa, il quesito
sottoposto all’esame di questa Sezione regionale di
controllo acquista un più circoscritto rilievo, mirando a
conoscere se la procedura negoziata senza bando, di cui
all’art. 122, comma 7, del D.Lgs.vo n. 163/2006, è funzione
assorbita dalla Centrale di committenza o resta in capo al
singolo ente, attesa l’assenza di pubblicità del bando,
ovvero dell’invito a presentare l’offerta, e per essere il
RUP a procedere all’affidamento previa individuazione
diretta, da parte dello stesso RUP, degli operatori
economici nel rispetto del medesimo art. 122, comma 7,
citato.
In altre parole, il quesito mira a sapere se anche per i
contratti pubblici aventi per oggetto lavori, servizi e
forniture di importo sotto la soglia di rilevanza
comunitaria, in particolare per i lavori di importo
complessivo inferiore a 1 milione di euro (art. 122, comma 7,
del “Codice”), la procedure negoziata senza la previa
pubblicazione del bando (art. 57, comma 6 del “Codice”)
resti ascritta all’attività della S.U.A. (centrale di
committenza), ovvero resti nella disponibilità dell’Ente,
attesa l’assenza di pubblicità del bando e atteso che è il RUP a procedere all’affidamento, previa individuazione
dell’operatore economico.
Il quesito non concerne l’ambito di applicazione
dell’art. 33-bis del “Codice”, se cioè esso si estende anche
ai contratti sotto soglia o sia da applicarsi esclusivamente
ai contratti sopra la soglia di rilevanza comunitaria (sul
punto ci si limita a segnalare l’esistenza di pronunciamenti
in sede consultiva della Sezione di controllo Piemonte,
delibera n. 271/2012 e della Sezione di controllo per la
Lombardia, delibera n. 165/2013).
La questione riguarda se in capo all’Ente che abbia aderito
a una Stazione Unica Appaltante residui la possibilità, in
caso di contratti sotto soglia, di svolgere attività e
funzioni per l’affidamento del contratto senza dover fare
ricorso alla centrale di committenza (S.U.A.).
Orbene, è funzione propria della S.U.A., come prevista dal
DPCM che ha dato attuazione alla previsione dell’art. 13
della legge n. 136/2010, collaborare con l'ente aderente
alla corretta individuazione dei contenuti dello schema del
contratto, tenendo conto che lo stesso deve garantire la
piena rispondenza del lavoro, del servizio e della fornitura
alle effettive esigenze degli enti interessati. In questa
funzione la S.U.A. non solo concorda con l’ente aderente la
procedura di gara per la scelta del contraente, ma
definisce, sempre in collaborazione con l'ente aderente, il
criterio di aggiudicazione ed eventuali atti aggiuntivi e
definisce in caso di criterio dell'offerta economicamente
più vantaggiosa, i criteri di valutazione delle offerte e le
loro specificazioni. Infine cura gli adempimenti relativi
allo svolgimento della procedura di gara in tutte le sue
fasi, ivi compresi gli obblighi di pubblicità e di
comunicazione previsti in materia di affidamento dei
contratti pubblici e la verifica del possesso dei requisiti
di ordine generale e di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa.
La circostanza che alcune delle funzioni sopra indicate
facciano riferimento a una procedura di “gara” non vale,
secondo questa Sezione, a circoscriverne l’attività alle
sole procedure nelle quali la gara è obbligatoria e,
pertanto, non vale a escluderne la ricorrenza allorquando,
nelle procedure per l’affidamento di lavori di importo
inferiore a 1 milione di euro, l’art. 122, comma 7, del “Codice”
ammette la procedura negoziata senza pubblicazione di un
bando di gara, ex art. 57, comma 6, dello stesso “Codice”.
Ritenere che l’attività della S.U.A. si risolva soltanto
nell’ambito delle prescrizioni che il legislatore nazionale
ha dettato per adeguarsi alle prescrizioni comunitarie in
materia di concorrenza nell’affidamento dei contratti
pubblici, non tiene conto, a parere di questa Sezione, del
fatto che la disposizione sopra ricordata (art. 13, L. n.
136/2010), che ha previsto l’istituzione, in ambito
regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti (SUA), ha
come ulteriore finalità quella di assicurare la trasparenza,
la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti
pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose.
Ovviamente, stante la natura volontaria dell’adesione
dell’Ente alla S.U.A., occorrerà verificare, nel caso di
specie, come la convenzione ha regolato i rapporti tra SUA e
l’ente aderente, dal momento che è la convenzione che,
appunto, determina l’ambito di operatività della SUA, con
riferimento ai contratti pubblici di lavori, di forniture e
servizi, “sulla base degli importi di gara o di altri
criteri in relazione ai quali se ne chiede il coinvolgimento
nonché i rapporti e le modalità di comunicazioni tra il
responsabile del procedimento ai sensi dell'articolo 10 del
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, ed il responsabile
del procedimento della SUA ai sensi della legge 07.08.1990,
n. 241” (art. 4, comma 1, lett. a), DPCM 30.06.2011)
(Corte dei Conti, Sez. controllo Basilicata,
deliberazione
01.07.2013 n. 98). |
APPALTI:
L. Prosperetti,
La quantificazione del
lucro cessante da illegittima esclusione dalla gara: una
prospettiva economica (tratto da www.ipsoa.it -
Urbanistica e appalti n. 7/2013). |
giugno 2013 |
|
LAVORI PUBBLICI: DOMANDA:
Appalto di opere pubbliche: modalità di cessione del credito
vantato verso una P.A. (Gazzetta Amministrativa
n. 2/2013). |
LAVORI PUBBLICI: DOMANDA:
Interpretazione art. 1, co. 19 e segg., L. 190/2012 in
materia di arbitrato dei lavori pubblici (Gazzetta Amministrativa
n. 2/2013). |
APPALTI: M.
De Cilla, AVVALIMENTO:
IL GIUDICE AMMINISTRATIVO RIVEDE LA POSIZIONE
GIURISPRUDENZIALE SULLA CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ - La
risposta della giurisprudenza recente alla problematica
connessa all’avvalimento della certificazione di qualità (Gazzetta Amministrativa
n. 2/2013). |
APPALTI: E.
Gai,
ESERCIZIO DELLA REVOCA NEL CASO DI AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA
DI APPALTI PUBBLICI - È illegittima la revoca di un
provvedimento di aggiudicazione definitiva che da tempo ha
esaurito i suoi effetti a seguito della stipula del
contratto d’appalto e dell’avvio della sua esecuzione (Gazzetta Amministrativa
n. 2/2013). |
APPALTI: D.
Tomassetti e Ilaria De Col,
IL PROCESSO AMMINISTRATIVO IN MATERIA DI APPALTI TRA TUTELA
DELLA CONCORRENZA E REALIZZAZIONE DELL’OPERA - Le
recentissime pronunzie della Corte di Giustizia e del
Consiglio di Stato sull’ordine di esame del ricorso
principale e di quello incidentale interdittivo
(Gazzetta Amministrativa
n. 2/2013). |
APPALTI: S.
Napolitano,
IL PRINCIPIO DI TASSATIVITÀ DELLE CLAUSOLE DI ESCLUSIONE E
IL DOVERE DI SOCCORSO ISTRUTTORIO: CONTRASTI
GIURISPRUDENZIALI E RINVIO ALL'ADUNANZA PLENARIA -
L'art. 4, co. 2, lett. d), del d.l. 11.05.2011, n. 70,
convertito in legge il 12 luglio e in vigore dal 13.07.2011,
ha introdotto l'art. 46, co. 1-bis, il quale prevede il
principio di tassatività delle clausole di esclusione nelle
gare di appalto (Gazzetta Amministrativa
n. 2/2013). |
APPALTI: M.
Dell'Unto,
PARTECIPAZIONE DELLE RETI DI IMPRESA ALLE PROCEDURE DI GARA
PER L’AGGIUDICAZIONE DI CONTRATTI PUBBLICI AI SENSI DEGLI
ARTICOLI 34 E 37 DEL D. LGS. 12.04.2006, N. 163 -
Determinazione n. 3 del 23.04.2013 dell’Autorità per la
vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e
Forniture. Indicazioni sulla partecipazione alle gare delle
reti di imprese (Gazzetta Amministrativa
n. 2/2013). |
APPALTI: A.
Grappelli,
L’OPERATIVITÀ AGGREGATIVA DELLE RETI D’IMPRESA NELL’AMBITO
DEI CONTRATTI PUBBLICI DI APPALTO - Con il presente
commento si affronta, nei suoi aspetti generali, il tema dei
contratti di rete e del processo di innovazione nel settore
degli appalti pubblici a seguito dell’inserimento della
lettera e-bis) al co. 1 dell’art. 34 del d.lgs. 163/2006 smi.
Le differenti modalità di strutturazione del contratto di
rete incidono in modo rilevante ai fini della partecipazione
e qualificazione dei retisti. In relazione alla tipologia di
contratto di rete, la Stazione appaltane dovrà porre una
particolare attenzione nella verifica del rispetto delle
formalità di mandato, sottoscrizione della domanda di
partecipazione e di offerta da parte dei retisti, nonché dei
loro requisiti. Il tema individua ulteriori spunti di
riflessione in merito alla futura operatività dei contratti
di rete anche in relazione all’istituto del subappalto e del
distacco del personale
(Gazzetta Amministrativa
n. 2/2013). |
APPALTI:
B. De Rosa,
FOCUS decreto del "fare" -
Le novità per gli appalti pubblici
(Consulente Immobiliare n. 937/2013). |
APPALTI:
E. Mariotti,
Transazioni commerciali: i ritardi nei pagamenti (Consulente
Immobiliare n. 936/2013). |
APPALTI:
M. G. Vivarelli,
L'avvalimento (Rivista Trimestrale degli Appalti n. 2/2013). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
G. Musolino,
La progettazione nell'appalto pubblico e nell'appalto
privato
(Rivista Trimestrale degli Appalti n. 2/2013). |
LAVORI PUBBLICI:
C. Crosato,
Le attività del Rup:
proposta per una lista di controllo -
La lista di controllo permette al Rup
di mettere a fuoco tutte le attività nell’ambito di un
lavoro pubblico.
L’attività del Rup nella realizzazione di un lavoro pubblico
si esercita nelle seguenti macroaree: nomina e
programmazione, progettazione, individuazione dell’esecutore
del lavoro, esecuzione e collaudo dei lavori. All’interno di
tali macro attività si propone una lista di controllo
costruita sulla base delle indicazioni fornite dal Codice
dei contratti pubblici e dal Regolamento (Diritto e
Pratica Amministrativa n. 6/2013). |
APPALTI: M.
Spagnuolo,
L'erronea aggiudicazione determina la mancanza di contatto
sociale qualificato
(L'Ufficio Tecnico n. 6/2013). |
APPALTI:
O. Cristante,
Sulle competenze del RUP, con riguardo alle procedure di
aggiudicazione di contratti pubblici e, in particolare, al
sub-procedimento di verifica dell'anomalia (I
contratti dello Stato e degli Enti pubblici n. 2/2013). |
APPALTI: Bandi,
costi di pubblicità chiari. Gravano sulle imprese, quindi
serve un'indagine di mercato.
Documento della Conferenza delle regioni conferma l'obbligo
di pubblicazione sui giornali.
I costi per la pubblicazione dei bandi
di gara sui quotidiani dovranno essere chiaramente
specificati negli avvisi, in considerazione del fatto che si
tratta di oneri posti a carico dell'impresa che si aggiudica
l'appalto. E proprio per garantire il miglior prezzo nei
confronti delle aziende, sarà opportuno che le p.a.
effettuino preventivamente un'indagine di mercato. Se poi la
gara dovesse andare deserta o concludersi senza
l'individuazione di un vincitore, gli oneri di pubblicità
legale sui quotidiani resteranno a carico delle stazioni
appaltanti.
A chiarirlo è la Conferenza delle regioni che ha elaborato
le
linee guida in materia di trasparenza e pubblicità degli
appalti pubblici.
Una sorta di vademecum, predisposto da Itaca
(Istituto per l'innovazione e trasparenza degli appalti e la
compatibilità ambientale), l'organo tecnico del parlamentino
dei presidenti di regione, che fornisce una ricognizione
puntuale delle norme vigenti in materia di pubblicità e di
trasparenza sui contratti pubblici, anche alla luce della
produzione normativa intervenuta di recente.
Il documento conferma quanto da sempre sostenuto da
ItaliaOggi: e cioè che le p.a. devono continuare a
pubblicare i bandi di gara sui quotidiani per effetto di
quanto previsto dal recente decreto legislativo n. 33/2013
in materia di obblighi di pubblicità, trasparenza e
diffusione di informazioni da parte delle pubbliche
amministrazioni.
L'art. 37, comma 1, del dlgs richiama infatti tutte le
disposizioni del Codice dei contratti pubblici (dlgs n.
163/2006) in materia di bandi, avvisi e inviti (articoli 63,
65, 66, 122, 124, 206 e 223) e quindi, a giudizio dei
governatori, ne «conferma la piena efficacia». Un
ulteriore tassello a favore dell'obbligo di pubblicità è poi
rappresentato dalla decisione di porre a carico delle
imprese aggiudicatarie gli oneri sostenuti dalle p.a. per la
pubblicazione sui quotidiani. Tali oneri dovranno essere
rimborsati alle stazioni appaltanti nel termine di 60 giorni
dall'aggiudicazione. La novità, introdotta dal cosiddetto «decreto
crescita 2.0» (dl 179/2012) e operativa «per tutti i
bandi e gli avvisi pubblicati successivamente al 01.01.2013»,
richiama nuovamente gli obblighi previsti dal Codice dei
contratti pubblici (articoli 66 e 122) e dunque ne conferma
la vigenza.
Fatta chiarezza sul quadro normativo in vigore, il documento
approvato dalla Conferenza delle regioni raccomanda alcune
cautele da adottare da parte degli enti pubblici. Nei bandi
bisognerà citare la norma che pone gli oneri a carico
dell'aggiudicatario e individuare in modo specifico i costi
dopo un'attenta analisi di mercato. In caso di gara deserta
o senza vincitore gli oneri resteranno in capo alla stazione
appaltante.
E qualora la gara preveda la suddivisione dell'affidamento
in più lotti, in assenza di uno specifico dettato normativo,
la soluzione individuata dalla Conferenza dei governatori
prevede che «i costi debbano essere ripartiti tra gli
aggiudicatari in proporzione all'importo a base d'asta di
ciascun lotto» (articolo ItaliaOggi del 29.06.2013). |
LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO:
La Sezione si pronuncia in merito alla richiesta di parere
del Presidente della Regione Lombardia, relativamente
all’interpretazione 12, comma 1-quater, della legge n.
111/2011 (comma inserito dall’art. 1, comma 138, della legge
n. 228/2012).
In relazione
all’oggetto del primo quesito, per
effetto della recente norma di interpretazione autentica, si
deve concludere che il divieto di acquisto di immobili di
cui all’art. 12 del D.L. n. 98/2011 non sia ostativo alle
acquisizioni effettuate all’interno delle procedure di cui
al T.U. n. 327/2001 (testo unico espropriazione).
Per quanto riguarda il secondo quesito, resta
impregiudicato il precedente quadro ermeneutico della
giurisprudenza della Sezione. Ne consegue che,
ferme le eccezioni legali (ivi compresa la normativa
sugli espropri, laddove applicabile), in linea di principio
il divieto di acquisto a titolo oneroso riguarda non solo le
procedure ascrivibili al patrimonio disponibile, ma anche
quelle finalizzate al perseguimento di obiettivi previsti da
legge regionale e statale riconducibili al demanio o al
patrimonio indisponibile dell’ente. E’, comunque, fatta
salva la salvaguardia del principio di necessità.
---------------
Il Presidente della Regione Lombardia ha formulato alla
Sezione una richiesta di parere del seguente tenore.
L’articolo 12, comma 1-quater, della legge n. 111/2011
(comma inserito dall’articolo 1, comma 138, della legge n.
228/2012) prevede quanto segue: “per l'anno 2013 le
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge
31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, (…), non
possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare
contratti di locazione passiva salvo che si tratti di
rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per
acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di
locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per
continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti.
Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per
i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15
dell'articolo 8 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n.
122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di
immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma
1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del
presente decreto".
Il Presidente della Regione chiede se il divieto posto
dall’articolo 12, comma 1-quater, della legge n. 111/2011
riguardi:
a) l’acquisizione tramite il procedimento espropriativo;
b) l’acquisizione al patrimonio indisponibile di aree ad
elevata valenza naturalistica e forestale ai sensi dell’art.
5, comma 1, della l.r. 86/1983.
a. Acquisizione tramite procedimento
espropriativo
La norma, ponendo in via generale il divieto di acquisizione
di immobili a titolo oneroso, sembra non lasciare spazio ad
alcuna eccezione così da ritenere incluso nel divieto anche
l’acquisizione dell’immobile a seguito dell’espropriazione
per pubblica utilità, dal momento che anche l’espropriazione
comporta l’acquisizione di immobili a titolo oneroso.
Tuttavia l’applicazione della norma con riguardo alle
espropriazioni si tradurrebbe nel divieto, per l’anno 2013,
di realizzare anche le opere di pubblica utilità, quali le
opere idrauliche, le opere di difesa del suolo, o comunque
opere infrastrutturali in relazione alle quali gli immobili
da espropriare sono da intestare al demanio pubblico o al
patrimonio indisponibile.
In tali casi, si ritiene che la sospensione del procedimento
espropriativo comporterebbe un sacrificio dell’interesse
pubblico di rilievo superiore o comunque sicuramente
comparabile all’interesse di riduzione della spesa pubblica.
Si chiede, pertanto, se il divieto di acquisto a
titolo oneroso comporti l’indiscriminata sospensione per il
2013 di tutte le procedure espropriative, indipendentemente
dalla finalità e dalla natura dell’opera da realizzare, o se
occorra distinguere tra procedure volte all’acquisizione di
immobili ascrivibili al demanio o al patrimonio
indisponibile (ad esempio procedure di esproprio volte alla
realizzazione di opere idrauliche, opere di difesa del
suolo, opere infrastrutturali) e procedure relative ad
immobili, pur riconosciuti di pubblica utilità, ascrivibili
al patrimonio disponibile.
b) Acquisizione al patrimonio
indisponibile di aree ad elevata valenza naturalistica e
forestale ai sensi dell’art. 5, comma 1, della l.r. 86/1983
L’art. 5, comma 1, della L.r. n. 86/1983 dispone che “I
piani dei parchi e delle riserve prevedono l'acquisizione in
proprietà pubblica delle aree per le quali i piani medesimi
prevedano un uso pubblico nonché delle aree per le quali i
limiti alle attività antropiche comportino la totale
inutilizzazione”.
La regione Lombardia, a decorrere dall’anno 2000, in
attuazione dell’art. 5, comma 1, della l.r. 86/1983, ha
attivato un processo di acquisizione al patrimonio
indisponibile di aree ad elevata valenza naturalistica e
forestale, localizzate all’interno del Sistema regionale
delle aree protette (Parchi Regionali e Naturali, Riserve e
Monumenti Naturali) e strumentali all’attività degli Enti
gestori.
Nel corso degli anni, tale attività ha consentito
l’acquisizione al patrimonio regionale di aree di rilevanza
naturalistica, per una superficie catastale complessiva pari
a circa 775 ettari. Questa superficie è ripartita in 24 Aree
Protette Regionali, tra cui otto Riserve e Monumenti
Naturali, quattordici Parchi Regionali e due PLIS.
Una volta acquisite, le aree entrano a far parte del
patrimonio forestale regionale indisponibile e,
successivamente, vengono assegnate in concessione agli enti
gestori delle aree protette.
Le modalità di acquisizione al patrimonio regionale di aree,
di proprietà privata, ad alta valenza naturale, sono state,
da ultimo, definite con deliberazione di Giunta Regionale n.
IX/2109 del 04.08.2011.
Le risorse disponibili per l’acquisizione delle aree sono
allocate annualmente in un capitolo di bilancio
appositamente dedicato.
Anche in questo caso l’estensione del divieto a questa
tipologia di acquisto comporterebbe un sacrificio
dell’interesse pubblico di rilievo superiore o comunque
comparabile all’interesse di riduzione della spesa: ciò in
quanto l’acquisizione di che trattasi è strumentale al
perseguimento di obiettivi di tutele e salvaguardia
riconducibili a Rete Natura 2000 (d.P.R. 357/1997), anche
con presenza di habitat e specie prioritarie (Direttiva
92/43 CEE “Habitat”) o ad emergenza naturalistica
(faunistiche/floristiche) a rischio di compromissione (legge
regionale 10/2008 e d.g.r. 7736/2008).
Il Presidente della Regione chiede, pertanto, se
il divieto di acquisto a titolo oneroso riguardi le sole
procedure ascrivibili al patrimonio disponibile con
esclusione di quelle, finalizzate al perseguimento di
obiettivi previsti da legge regionale e statale e, in quanto
tali, riconducibili al demanio o al patrimonio indisponibile
dell’ente.
...
La Sezione si è già espressa in numerosi
precedenti sul tema del divieto di acquisto di immobili
sancito dall’art. 1, comma 138 della Legge 24.12.2012 n.
228. Tali pronunce, rese in sede consultiva, devono
intendersi integralmente richiamate
(SRC Lombardia, deliberazione nn. 73/2013/PAR; 162/2013/PAR;
163/2013/PAR, 164/2013/PAR, 173/2013/PAR, 181/2013/PAR,
193/2013/PAR).
Segnatamente, l’art. 12 del decreto-legge 06.07.2011, n. 98
(convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n.
111), novellato dalla richiamata norma del 2012 dispone: «1-quater.
Per l’anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel
conto economico consolidato della pubblica amministrazione,
come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma
3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive
modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa
la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB),
non possono acquistare immobili a titolo oneroso né
stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti
di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata
per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la
disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi
ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili
venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e
privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai
commi 4 e 15 dell’articolo 8 del decreto-legge 31.05.2010,
n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge
30.07.2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni
di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto
previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di
entrata in vigore del presente decreto».
Inoltre, decorso il periodo di sospensione di cui alla
prefata norma, ai sensi del comma 1-ter: «1-ter. A
decorrere dal 01.01.2014 al fine di pervenire a risparmi di
spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di
stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del
Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di
acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate
documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità
attestate dal responsabile del procedimento. La congruità
del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo
rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data
preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante
e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale
dell’ente».
Il tema della estensibilità del divieto in oggetto alle
procedure di esproprio è stato ampiamente affrontato nelle
deliberazioni nn. 162 e 163/2013/PAR, nonché nn. 169 e
193/2013/PAR e nelle pronunce di altre Sezioni ivi
richiamate.
In tali deliberazioni la Sezione riteneva che il ridetto
divieto si applicasse alle procedure di esproprio, salve le
procedure collegate ad opere di urgenza, anche a
salvaguardia del principio di necessità (in questo senso
anche SRC Liguria
parere 31.01.2013 n. 9).
Successivamente a tali pronunce rese dalla Magistratura
contabile in sede consultiva, è intervenuta la legge
06.06.2013, n. 64, la quale ha proceduto alla conversione,
con modificazioni, del decreto-legge 08.04.2013, n. 35
(recante “Disposizioni urgenti per il pagamento dei
debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il
riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in
materia di versamento di tributi degli enti locali.
Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza
della giustizia tributaria”).
Tale fonte contiene al suo interno una “Norma di
interpretazione autentica dell'articolo 12, comma 1-quater,
del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111” (art.
10-bis) che, in modo risolutivo esclude dalla portata
applicativa della disposizione alcune ipotesi, tra cui
quelle relative alle procedure per acquisti di pubblica
utilità di cui al T.U. espropriazioni (D.P.R 327/2001), e
segnatamente: «1. Nel rispetto del patto di stabilità
interno, il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso,
di cui all'articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge
06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15.07.2011, n. 111, non si applica alle procedure
relative all'acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni
effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo unico di
cui al D.P.R. 08.06.2001, n. 327, nonché alle permute a
parità di prezzo e alle operazioni di acquisto programmate
da delibere assunte prima del 31.12.2012 dai competenti
organi degli enti locali e che individuano con esattezza i
compendi immobiliari oggetto delle operazioni e alle
procedure relative a convenzioni urbanistiche previste dalle
normative regionali e provinciali».
In definitiva, in relazione all’oggetto del primo quesito,
per effetto della recente norma di interpretazione
autentica, si deve concludere che il divieto di acquisto di
immobili di cui all’art. 12 del D.L. n. 98/2011 non sia
ostativo alle acquisizioni effettuate all’interno delle
procedure di cui al T.U. n. 327/2001 (testo unico
espropriazione).
Per quanto riguarda il secondo quesito, resta
impregiudicato il precedente quadro ermeneutico della
giurisprudenza della Sezione. Ne consegue che,
ferme le eccezioni legali (ivi compresa la normativa
sugli espropri, laddove applicabile), in linea di principio
il divieto di acquisto a titolo oneroso riguarda non solo le
procedure ascrivibili al patrimonio disponibile, ma anche
quelle finalizzate al perseguimento di obiettivi previsti da
legge regionale e statale riconducibili al demanio o al
patrimonio indisponibile dell’ente. E’, comunque, fatta
salva la salvaguardia del principio di necessità
(Corte dei Conti, Sez. contr. Lombardia, n. 162/2013)
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 28.06.2013 n. 267). |
APPALTI:
Oggetto: Eliminazione dell’IVA dalla responsabilità
solidale (ANCE Bergamo,
circolare
28.06.2013 n. 154). |
APPALTI:
Non sussiste l'obbligo della previa comunicazione
di avvio del procedimento nel caso di adozione del
provvedimento di revoca di in presenza di un'informativa
prefettizia antimafia sfavorevole.
Il sistema delle informative essendo ispirato alla logica
della massima anticipazione della soglia di difesa sociale
non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede
penale di carattere definitivo, ma può essere sorretta da
elementi sintomatici e indiziari.
L'adozione del provvedimento di revoca di un'aggiudicazione
o comunque di un incarico di svolgimento di pubblico
servizio, in presenza di un'informativa prefettizia
antimafia sfavorevole, configura un provvedimento non
soltanto fortemente caratterizzato nel profilo
contenutistico, ma anche connotato dall'urgenza del
provvedere.
Ad escludere l'obbligo della previa comunicazione di avvio
del procedimento concorre, quindi, il carattere
spiccatamente cautelare della misura, che fa rilevare quelle
esigenze di celerità, che rendono giustificata l'omissione
della notizia partecipativa altrimenti prescritta. Pertanto,
nel caso di specie, va respinta, in quanto priva di
fondamento giuridico, la doglianza svolta con riguardo
all'asserita violazione delle garanzie di comunicazione e
partecipazione al procedimento.
---------------
Il sistema delle informative essendo ispirato alla logica
della massima anticipazione della soglia di difesa sociale,
finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del
contrasto alle attività della criminalità organizzata, la
misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad
accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi
sull'esistenza della contiguità dell'impresa con
organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in
atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da
elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti
elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di
ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità
organizzata.
L'unico limite è rappresentato dalla non spendibilità -a
salvaguardia dei principi di legalità e di certezza del
diritto- di elementi di semplice sospetto o meramente
congetturali, privi di riscontro fattuale (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 27.06.2013 n. 787 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Questa
Sezione ritiene che se per “accordo bonario” si fa
riferimento all’atto di cessione volontaria cui fa
espresso riferimento l'art. 20, comma 9, DPR
327/2001, l’ipotesi rientra senz’altro tra quelle
escluse dal divieto di acquisire beni immobili.
Infatti, la cessione volontaria è atto conclusivo
del procedimento di espropriazione, comportando
l'effetto traslativo della proprietà interessata
dalla realizzazione dell'opera pubblica.
Come ha ricordato la Cassazione (sent. 11.03.2006,
n. 5390), la cessione volontaria è contratto c.d. ad
oggetto pubblico che si inserisce necessariamente
nell’ambito di un procedimento di espropriazione;
produce l’effetto di concludere il procedimento
espropriativo senza emettere decreto di esproprio.
Il proprietario, in seguito ad un sub procedimento,
ha diritto di stipulare l’atto di cessione
volontaria e il prezzo è determinato secondo criteri
inderogabili stabiliti dalla legge.
In maggior dettaglio, si differenzia dalla
compravendita di diritto comune per i seguenti
elementi: a) si inserisce necessariamente in un
procedimento espropriativo e consente di raggiungere
il medesimo risultato (acquisizione della proprietà)
con uno strumento di natura privatistica,
alternativo al decreto di esproprio; b) il prezzo
per il trasferimento volontario del fondo è
correlato in modo vincolante a parametri di legge
previsti per il calcolo dell’indennità di esproprio
(la pa espropriante offre un’indennità
all’espropriando il quale può solo rifiutarla o
accettarla puramente e semplicemente).
---------------
Il Commissario Straordinario della Provincia di
Varese ha posto alla Sezione un quesito
sull’interpretazione dell’art. 12, comma 1-quater,
del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111.
In particolare, l’ente provinciale chiede se nel
divieto legislativo in parola rientri anche
l’ipotesi di “accordo bonario” per
l’acquisizione di diritti immobiliari su aree di
proprietà privata, nell’ambito di un progetto
finanziato in parte dalla provincia (nella veste di
capofila beneficiario coordinatore di un progetto
presentato alla Ce all’interno del quarto bando
LIFE+ dell’anno 2010).
Nell’istanza di parere si precisa che la Provincia
aveva già fatto la variazione di bilancio nell’anno
2011 per realizzare l’opera e che gli acquisiti sono
finanziati da fondi provenienti da una fonazione
bancaria che assunto la veste di “soggetto
esterno non pubblico” che partecipa alla
realizzazione del progetto.
...
Venendo al merito della richiesta, il quesito posto
dall’ente provinciale va ricondotto alla portata
della norma introdotta dall’art. 12, comma 1-quater,
del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111,
laddove recita che “le Amministrazioni pubbliche
inserite nel conto economico consolidato della
Pubblica Amministrazione di acquisire immobili a
titolo oneroso e di stipulare contratti di locazione
passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti
ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a
condizioni più vantaggiose, la disponibilità di
locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero
per continuare ad avere la disponibilità di immobili
venduti”.
Nelle more dell’adunanza è intervenuta la L.
06.06.2013, n. 64 di conversione, con modificazioni,
del decreto-legge 08.04.2013, n. 35 che all’art.
art. 10-bis ha introdotto una norma di
interpretazione autentica dell'articolo 12 testé
richiamato.
In particolare, il comma 1 ha stabilito che <<nel
rispetto del patto di stabilità interno, il divieto
di acquistare immobili a titolo oneroso, di cui
all'articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge
06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15.07.2011, n. 111, non si applica alle
procedure relative all'acquisto a titolo oneroso di
immobili o terreni effettuate per pubblica utilità
ai sensi del testo unico di cui al d.P.R.
08.06.2001, n. 327, nonché alle permute a parità di
prezzo e alle operazioni di acquisto programmate da
delibere assunte prima del 31.12.2012 dai competenti
organi degli enti locali e che individuano con
esattezza i compendi immobiliari oggetto delle
operazioni e alle procedure relative a convenzioni
urbanistiche previste dalle normative regionali e
provinciali>>.
Chiarito il quadro normativo, occorre affrontare la
questione se nel divieto legislativo in parola
rientri anche l’ipotesi di “accordo bonario”
per l’acquisizione di diritti immobiliari su aree di
proprietà privata, nell’ambito di un progetto
finanziato in parte dalla provincia (nella veste di
capofila beneficiario coordinatore di un progetto
presentato alla Ce all’interno del quarto bando
LIFE+ dell’anno 2010).
Prima dell’intervento della norma di interpretazione
autentica, la magistratura contabile in sede
consultiva ha reso numerose pronunce (investe
questioni che sono state oggetto di trattazione in
analoghe pronunce, ex plurimis SRC Lombardia
deliberazioni n. 3/2013/PAR e n. 102/2013/PAR; SRC
Liguria
parere 31.01.2013 n. 9
e SRC Marche, deliberazione n. 7/2013/PAR).
Tuttavia, alla stregua della norma di
interpretazione autentica successivamente
intervenuta, occorre affrontare la
questione se la fattispecie rappresentata rientri in
una delle ipotesi in cui il divieto di acquisto non
opera e, più in particolare, nell’ipotesi di
“acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni
effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo
unico di cui al d.P.R. 08.06.2001, n. 327”.
L’ente provinciale istante si limita a riferire che
la procedura di acquisizione avverrà con “accordo
bonario” e che gli acquisiti sono finanziati da
fondi provenienti da una fonazione bancaria che
assunto la veste di “soggetto esterno non
pubblico” che partecipa alla realizzazione del
progetto.
Questa Sezione ritiene che se per
“accordo bonario” si fa riferimento all’atto
di cessione volontaria cui fa espresso riferimento
l'art. 20, comma 9, DPR 327/2001, l’ipotesi rientra
senz’altro tra quelle escluse dal divieto di
acquisire beni immobili.
Infatti, la cessione volontaria è atto conclusivo
del procedimento di espropriazione, comportando
l'effetto traslativo della proprietà interessata
dalla realizzazione dell'opera pubblica. Come ha
ricordato la Cassazione (sent. 11.03.2006, n. 5390),
la cessione volontaria è contratto c.d. ad oggetto
pubblico che si inserisce necessariamente
nell’ambito di un procedimento di espropriazione;
produce l’effetto di concludere il procedimento
espropriativo senza emettere decreto di esproprio.
Il proprietario, in seguito ad un sub-procedimento,
ha diritto di stipulare l’atto di cessione
volontaria e il prezzo è determinato secondo criteri
inderogabili stabiliti dalla legge.
In maggior dettaglio, si differenzia dalla
compravendita di diritto comune per i seguenti
elementi:
a) si inserisce necessariamente in un procedimento
espropriativo e consente di raggiungere il medesimo
risultato (acquisizione della proprietà) con uno
strumento di natura privatistica, alternativo al
decreto di esproprio;
b) il prezzo per il trasferimento volontario del
fondo è correlato in modo vincolante a parametri di
legge previsti per il calcolo dell’indennità di
esproprio (la pa espropriante offre un’indennità
all’espropriando il quale può solo rifiutarla o
accettarla puramente e semplicemente)
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 27.06.2013 n. 262). |
LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: La
novella dell'art. 12 del DL 98/2011 (convertito
dalla L. 111/2011), operata dal c. 138 dell'art. 1
della L. 228/2012, prevede “Per l’anno 2013 le
amministrazioni pubbliche (…) non possono acquistare
immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di
locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di
contratti (…)”.
La stessa disposizione eccettua dal proprio
perimetro applicativo una serie di norme. In linea
di principio la Sezione ha (del.ne 200/2013)
precisato che l’inderogabilità della norma, e la
tassatività delle eccezioni indicate, escludono
categoricamente ulteriori casi di inapplicabilità
della previsioni in relazione alla vantaggiosità
dell’operazione, nel senso auspicato dal comune.
Circa l’applicabilità del divieto alle fattispecie
di espropriazione per pubblica utilità, la questione
è stata, tra l’altro, esaminata e confermata dalla
SRC Liguria (del.ne 31.03.2013, n. 9).
Non si può concordare con la tesi per cui
l’applicazione della norma proibitiva ai casi di
espropriazione per pubblica utilità risulterebbe
preclusa dalla natura originaria, e non derivativa,
dell’acquisto compiuto dall’ente. Il testo della
norma, riferito agli “acquisti”, non sembra
eccettuare dal proprio perimetro applicativo gli
acquisti a titolo originario, in quanto l’esigenza
di contenimento delle spese pubbliche sussiste anche
per le fattispecie in cui in capo all’ente
l’acquisto si determini a titolo originario: la
differenza tra le due modalità acquisitive pare
irrilevante con riguardo al diverso tema delle
ragioni di carattere finanziario. Elemento
discretivo potrebbe essere la sussistenza a carico
dell’acquirente di un obbligazione pecuniaria, solo
requisito sussistente ai fini dell’applicabilità del
divieto.
In secondo luogo, il codice civile conosce una serie
di ipotesi, a titolo originario, che non prescindono
da un’attività dell’acquirente, che può essere in
condizione di determinare la propria condotta. Ma,
soprattutto, ad abundatiam, il carattere originario
dell’acquisto a titolo espropriativo risulta
affermazione controversa in dottrina e
giurisprudenza. La tesi dell’acquisto a titolo
originario si basa su una serie di disposizioni
(oggi contenute nel d.p.r. 08.06.2001, 327, t.u.
espr.) quali l’art. 2; l’art. 25; più in generale,
la circostanza che l’intero procedimento
espropriativo prescinda dalla volontà negoziale
dell’interessato.
Altra parte della dottrina e della giurisprudenza
ritiene che la qualificazione giuridica
dell’acquisto sia condizionata dalle peculiarità
della fattispecie e dall’interferenza di un
procedimento pubblicistico, che spiegherebbero le
norme sopra descritte. Altri elementi sintomatici
(l’art. 23 del d.p.r. 327/2001, che prevede la
trascrizione dell’acquisto; l’istituto della c.d.
retrocessione del bene, che presuppone
l’individuazione di un precedente proprietario; più
in generale, la potenziale interferenza di momenti
di carattere negoziale e volontaristico)
indurrebbero a ritenere che l’espropriazione
disciplini e incida l’an del trasferimento e non
anche il quomodo.
La diatriba risulta superata dal dato normativo: con
la L. 64/2013, conversione, con modificazioni, del
DL 35/2013, il legislatore ha ritenuto di dettare
una disciplina espressa che (art. 10-bis) prevede
“Nel rispetto del PdS interno, il divieto di
acquistare immobili a titolo oneroso, di cui
all'art. 12, c. 1-quater, del DL 06.07.2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla legge
15.07.2011, n. 111, non si applica alle procedure
relative all'acquisto a titolo oneroso di immobili o
terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del
testo unico”.
La sopravvenienza normativa determina la completa
rivisitazione del quadro fattuale e normativo e
rende superflua l’interpretazione della Sezione.
Nulla osta a che l’ente interessato proceda ad
acquisizioni espropriative ai sensi del d.p.r.
08.06.2001, n. 327.
---------------
Il comune richiede chiarimenti sull'art. 12, comma
1-quater, della legge 15.07.2011, n. 111, inserito
dall'art. 1, comma 138, della legge 24.12.2012 n. 228
(legge di stabilità 2013).
In particolare, il comune di Varese, ai fini della
realizzazione di opere pubbliche, ha, nel corso
degli ultimi anni, acquisito la disponibilità di
aree di proprietà di terzi e, ciò, sia in forza di
procedure espropriative avviate ai sensi della
vigente normativa di cui al d.p.r. 08.06.2001, n.
327, previa occupazione anticipata ex art. 22-bis,
concordando in seguito la cessione volontaria dei
beni (art. 45) in superamento del procedimento
ablatorio; che, in assenza di quest' ultimo, in
forza di accordi sin dall'origine raggiunti con la
proprietà per la bonaria acquisizione -a titolo
oneroso- di dette aree.
Anche nella maggior parte dei casi di accordo
bonario, l'ente, per ragioni di qualificata urgenza,
ha infatti convenuto con i proprietari di poter
occupare le aree necessarie per la realizzazione
dell'intervento anteriormente alla stipula del
formale atto di compravendita.
Il corrispettivo dell'acquisizione in parola è stato
quindi determinato tenendo conto anche
dell'indennità dovuta per la suddetta occupazione
Il perfezionamento degli atti di trasferimento
immobiliare delle aree già nella disponibilità
dell'Amministrazione ed irreversibilmente
trasformate per effetto dell'avvenuta realizzazione
delle previste opere pubbliche risulterebbe, oggi,
inibito, nonostante l'obbligazione in tal senso
antecedentemente assunta dall'Amministrazione e
l'avvenuto accantonamento delle necessarie risorse
finanziarie, dalle disposizioni di cui all'art. 1,
comma 138, l. 228/2012.
Non risulterebbe infatti oggettivamente possibile
procedere alla retrocessione di dette aree che,
pertanto, l'Amministrazione continuerebbe a
detenere, mantenendo a proprio diretto carico, pur
non avendone la titolarità giuridica, ogni
conseguente responsabilità ed onere manutentivo.
Al protrarsi del possesso conseguirebbe,
necessariamente, anche un progressivo incremento
dell'entità dell'indennità di occupazione dovuta
alla proprietà. L'indennità, infatti, non è
riferibile all'acquisto del diritto di proprietà o
di altro diritto reale, ma, avendo sostanzialmente
funzione sostitutiva della mancata percezione dei
frutti ritraibili dai beni occupati, è direttamente
proporzionale al periodo di occupazione.
Sarebbe quindi, prevedibile, come peraltro già
paventato da taluni, che l'alterazione
dell'equilibrio economico sotteso all'accordo
raggiunto con la proprietà, conseguenza diretta
dell'impossibilità per l'Amministrazione di
perfezionare l'acquisto, si traduca nella necessità
di una rinegoziazione del corrispettivo con la
proprietà, con aggravio di costi per
l'Amministrazione stessa.
Tanto premesso, il comune richiede se il divieto
di procedere ad acquisizioni a titolo oneroso debba
ritenersi operante anche in relazione a fattispecie,
quali quelle sopra descritte, ove, al contrario, il
perfezionamento dell'acquisizione, già nel 2013, si
tradurrebbe in un concreto risparmio di spesa per
l'Amministrazione.
...
La novella dell'art. 12 del decreto-legge
06.07.2011, n. 98 (convertito, con modificazioni,
dalla legge 15.07.2011, n. 111), operata dal comma
138 dell'art. 1 della legge 24.12.2012, n. 228
prevede che “Per l’anno 2013 le amministrazioni
pubbliche inserite nel conto economico consolidato
della pubblica amministrazione, come individuate
dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della
legge 31.12.2009, n. 196, e successive
modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi
inclusa la Commissione nazionale per le società e la
borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a
titolo oneroso né stipulare contratti di locazione
passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti,
ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a
condizioni più vantaggiose, la disponibilità di
locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero
per continuare ad avere la disponibilità di immobili
venduti”.
La stessa disposizione eccettua poi dal proprio
perimetro applicativo una serie di norme, e in
particolare:
i. gli acquisti compiuti dagli enti previdenziali
pubblici e privati (sic);
ii. le operazioni di acquisto di immobili già
autorizzate in data antecedente a quella di entrata
in vigore del decreto;
iii. le operazioni di acquisto destinate a
soddisfare le esigenze allocative in materia di
edilizia residenziale pubblica;
iv. le operazioni di acquisto previste in attuazione
di programmi e piani concernenti interventi di
perequazione socio-territoriale.
In linea di principio la Sezione ha (anche di
recente:
parere 08.05.2013 n. 200) avuto modo di
precisare che l’inderogabilità della norma, e la
tassatività delle eccezioni indicate, escludono in
modo categorico che ulteriori casi di
inapplicabilità della previsioni siano ravvisabili
in relazione alla vantaggiosità dell’operazione, e
quindi nel senso auspicato dal comune.
Passando al diverso problema relativo
all’applicabilità del divieto alle fattispecie di
espropriazione per pubblica utilità, tale questione
è stata, tra l’altro, esaminata e confermata dalla
sezione regionale di controllo per la Liguria della
Corte dei Conti (parere
31.01.2013 n. 9).
Non si può in nessun modo concordare con la tesi per
cui l’applicazione della norma proibitiva ai casi di
espropriazione per pubblica utilità risulterebbe
preclusa dalla natura originaria, e non derivativa,
dell’acquisto compiuto dall’ente.
In primis, occorre precisare che il testo
della norma, laconicamente riferito agli
“acquisti”, non sembra affatto eccettuare dal
proprio perimetro applicativo gli acquisti a titolo
originario, in quanto l’esigenza di contenimento
delle spese pubbliche sussiste, con tutta evidenza,
anche per le fattispecie in cui in capo all’ente
l’acquisto si determini a titolo originario: la
differenza tra le due modalità acquisitive, infatti,
se assume un certo pregio al fine della risoluzione
dei conflitti tra terzi, pare del tutto irrilevante
con riguardo al diverso tema delle ragioni di
carattere finanziario.
Elemento discretivo potrebbe, al massimo, essere la
sussistenza a carico dell’acquirente di un
obbligazione pecuniaria, solo requisito sussistente
ai fini dell’applicabilità del divieto (cfr ultra).
In secondo luogo, occorre rammentare che il codice
civile conosce una serie di ipotesi (si pensi, a
puro titolo di esempio, alla costruzione operata dal
fondo con materiali propri o all’usucapione) che,
pur essendo a titolo originario, non prescindono
certo da un’attività dell’acquirente, che quindi può
essere in condizione di determinare la propria
condotta.
Ma, soprattutto, ad abundatiam, va precisato che il
carattere originario dell’acquisto a titolo
espropriativo risulta affermazione ancora
controversa in dottrina e giurisprudenza.
La tesi dell’acquisto a titolo originario si basa
infatti su una serie di disposizioni (oggi contenute
nel d.p.r. 08.06.2001, 327, t.u. espr.) quali l’art.
2, che prevede l’irrilevanza della difettosa
individuazione del proprietario; l’art. 25, che
indica quale effetto del procedimento l’estinzione
dei diritti gravanti sul bene; più in generale, la
circostanza che l’intero procedimento espropriativo
prescinda dalla volontà negoziale dell’interessato.
Tuttavia, altra parte della dottrina e della
giurisprudenza ritiene che la qualificazione
giuridica dell’acquisto sia condizionata dalle
peculiarità della fattispecie e dall’interferenza di
un procedimento pubblicistico, che spiegherebbero le
norme sopra descritte.
Per contro, altri elementi sintomatici (l’art. 23
del d.p.r. 327/2001, che prevede la trascrizione
dell’acquisto; l’istituto della c.d. retrocessione
del bene, che presuppone l’individuazione di un
precedente proprietario; più in generale, la
potenziale interferenza di momenti di carattere
negoziale e volontaristico – cfr ultra) indurrebbero
invece a ritenere che l’espropriazione disciplini e
incida l’an del trasferimento e non anche il
quomodo.
La diatriba risulta per vero ormai superata dal dato
normativo, in quanto, con la legge 06.06.2013, n.
64, di conversione, con modificazioni, del
decreto-legge 08.04.2013, n. 35, il legislatore ha
ritenuto di dettare una disciplina espressa che, tra
l’altro (art. 10-bis) tra l’altro prevede che
“Nel rispetto del patto di stabilità interno, il
divieto di acquistare immobili a titolo oneroso, di
cui all'articolo 12, comma 1-quater, del
decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, non
si applica alle procedure relative all'acquisto a
titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per
pubblica utilità ai sensi del testo unico di cui al
d.P.R. 08.06.2001, n. 327 (…)”.
La sopravvenienza normativa determina, ovviamente,
la completa rivisitazione del quadro fattuale e
normativo e, di conseguenza, rende superflua
l’interpretazione della Sezione.
Pertanto, nulla osta a che l’ente interessato
proceda ad acquisizioni espropriative ai sensi del
d.p.r. 08.06.2001, n. 327
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 27.06.2013 n. 251). |
APPALTI:
Offerte aperte in pubblico. Sono salve le vecchie gare.
Nelle gare l'obbligo di apertura delle offerte tecniche in
seduta pubblica vale solo dopo il 09.05.2012; salve le
gare emesse da luglio 2011 all'08.05.2012 per le quali si
è proceduto in via riservata.
È quanto afferma la
sentenza 27.06.2013 n. 16 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di stato, attivata su richiesta del
Consiglio di stato per affrontare alcune questioni relative
all'applicazione dell'art. 12, del decreto legge 07.05.2012, n. 52, convertito con modificazioni dalla legge
06.07.2012, n. 94, che prevede l'obbligo di apertura in
seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche.
Sul tema più generale, della portata dell'articolo 12, la
stessa decisione è nel senso di riconoscere la natura
sanante della disposizione per le gare emesse da luglio 2011
a maggio 2012. Le argomentazioni fanno riferimento
all'esigenza di «contenere gli oneri amministrativi ed
economici che deriverebbero della caducazione, altrimenti
inevitabile, di centinaia di gare che, diversamente,
sarebbero di fatto travolte per il mero mancato rispetto dei
canoni di pubblicità dell'apertura dei plichi contenenti le
offerte tecniche, in assenza di qualsivoglia indizio circa
la manomissione o l'occultamento degli stessi da parte
dell'amministrazione».
Rilevante è anche il fatto che va
tutelato anche «l'affidamento incolpevole da parte
dell'aggiudicataria che abbia confidato sulla vigenza di
determinate regole procedimentali che, nella specie, nella
maggior parte dei casi, prevedevano l'apertura dei plichi in
seduta riservata».
Infine il Consiglio di stato ritiene che
non sarebbe logico, si deve concludere, attribuire alla
norma altra ratio; non vi sarebbe ragione infatti per
un intervento normativo che obbliga all'apertura pubblica
dei plichi soltanto a partire da una certa data «anche
per le gare in corso»
(articolo ItaliaOggi dell'11.07.2013). |
APPALTI:
Sulla portata dell'art. 12 del D.L. 07.05.2012,
n. 52, riguardante l'obbligo di seduta pubblica per la fase
di apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche.
L'art. 12 del D.L. 07.05.2012, n. 52, riguardante l'obbligo
di seduta pubblica per la fase di apertura dei plichi
contenenti le offerte tecniche non ha portata ricognitiva
del principio affermato con la pronuncia n. 13 del 2011 ma
ha la specifica funzione transitoria di salvaguardare gli
effetti delle procedure concluse o pendenti alla data del 09.05.2012, nelle quali si sia proceduto all'apertura dei
plichi in seduta riservata, recando in sostanza, per questo
aspetto, una sanatoria di tali procedure.
L'orientamento volto a riconoscere la natura sanante
dell'art. 12 del D.L. 07.05.2012, n. 52 è diretto a
contenere gli oneri amministrativi ed economici che
deriverebbero della caducazione, altrimenti inevitabile, di
centinaia di gare che, diversamente, sarebbero di fatto
travolte per il mero mancato rispetto dei canoni di
pubblicità dell'apertura dei plichi contenenti le offerte
tecniche, in assenza di qualsivoglia indizio circa la
manomissione o l'occultamento degli stessi da parte
dell'amministrazione.
Non può, invero, non riconoscersi a tale tesi un'utilità non
trascurabile dal punto di vista della deflazione del
contenzioso amministrativo e del rispetto del principio di
affidamento e buona fede, da riferire tanto alla stazione
appaltante, quanto all'impresa aggiudicataria della gara,
che legittimamente può avere confidato sulla vigenza di
determinate regole procedimentali (Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria,
sentenza 27.06.2013 n. 16 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - VARI:
Marca da bollo, rincari del 10%. Da ieri
il costo è salito 2 e 16 euro.
Bollo rincarato del 10% circa per i contratti di locazione
di qualsiasi tipo: da quelli per immobili a uso
villeggiatura, brevi vacanze o weekend, ai contratti di
comodato.
A segnalarlo è la Confedilizia, spiegando che si
tratta dell'effetto della pubblicazione, sulla Gazzetta
Ufficiale n. 147 del 25 giugno, della legge n. 71/2013, di
conversione del decreto legge n. 43/2013 (il cosiddetto
decreto Emergenze).
La marca da bollo da 1,81 e quella da 14,62 euro, a
prescindere dal contesto di utilizzo, diventeranno quindi
rispettivamente di 2 di 16 euro (si veda ItaliaOggi del
13/06/2013).
Gli aumenti, in vigore da ieri, interessano tutti gli atti
giuridici sottoposti a imposta di bollo e contribuiranno
alla ricostruzione in Abruzzo con una cifra stimata in un
miliardo e 200 milioni di euro. Così facendo lo stato potrà
assicurare tra il 2014 e il 2019 circa 197 milioni annui per
la riparazione di immobili danneggiati o l'acquisto di nuove
abitazioni sostitutive.
Nel settore degli immobili, come spiega Confedilizia, per i
contratti di comodato l'imposta sarà di 16 euro ogni 4
facciate (100 righe). Mentre sale a 2 euro la marca da bollo
da applicarsi sulle ricevute relative al canone di locazione
di importo superiore a euro 77,47 se non soggette a Iva.
Esenti, invece, dal bollo (ai sensi dell'art. 13 della
Tariffa allegata al dpr 26/10/72, n. 642) le ricevute degli
oneri condominiali.
Al di là del settore immobiliare poi molteplici sono le
attività interessate dall'aumento in quanto soggette a marca
da bollo: dagli atti rogati, alle scritture private, le
pubblicazioni di matrimonio, gli atti di notorietà, ricevute
e quietanze, fino alle fatture e note dei professionisti
senza partita Iva (articolo ItaliaOggi del 27.06.2013). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - VARI: E l'imposta fissa di bollo è già cresciuta a 2 e a 16 euro.
Il rincaro da ieri. La decisione con
la legge 147/2013.
IL MECCANISMO/ L'importo andrà adeguato anche per registri e
libri soggetti a bollatura e non utilizzati fino a martedì
scorso.
Aumentano le misure fisse dell'imposta di bollo. Da ieri,
con la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 147 del
25.06.2013 della legge 71/2013, di conversione del Dl
43/2013, in particolare, gli importi in precedenza stabiliti
in 1,81 e 14,62 euro passano, rispettivamente, a euro 2 e 16
euro. Non sono interessati dalla novità gli atti finalizzati
fino al 25 giugno, ancorché presentati in data successiva ad
un ufficio pubblico per la registrazione.
L'aumento riguarda una serie di documenti che interessa
diversi soggetti. In particolare l'imposta di bollo che oggi
è pari a euro 2 riguarda: le fatture che contengono importi
non assoggettati ad Iva; gli estratti conti o altri
documenti di accreditamento o addebitamento per somme
superiori a euro 77,47; ricevute o lettere commerciali
presentate per l'incasso presso gli istituti di credito per
somme inferiori a 129,11 euro.
L'aumento invece da euro 14,62 a euro 16 riguarda numerosi
documenti (così come meglio identificati nei primi tre
articoli della tariffa, parte I) nonché i documenti
societari (libri sociali e registri contabili di cui
all'articolo 16 della tariffa, parte I). A titolo
esemplificativo questo aumento dell'imposta fissa riguarda:
gli atti rogati o autenticati da un notaio o altro pubblico
ufficiale; le scritture private contenenti convenzioni anche
unilaterali che disciplinino rapporti giuridici di ogni
specie; istanze, memorie, ricorsi, dirette agli organi
dell'amministrazione dello Stato e degli enti pubblici
territoriali tendenti ad ottenere rilasci di certificati
ovvero provvedimenti amministrativi.
La modifica nell'imposta fissa ha anche altre implicazioni
quali quelle nei riguardi dei soggetti autorizzati
all'assolvimento dell'imposta in modo virtuale. Essi infatti
all'atto della presentazione della dichiarazione per l'anno
2013 saranno tenuti ad indicare separatamente gli atti ai
quali si applica l'aumento dell'imposta. Inoltre laddove
l'agenzia delle Entrate provveda entro il prossimo mese di
luglio a notificare la riliquidazione provvisoria delle
rimanenti rate 2013, queste ultime dovranno essere
modificate.
Per quanto invece riguarda l'adeguamento del bollo da
assolvere sui libri e sulle scritture contabili, occorre
fare delle distinzioni. Per i registri soggetti a bollatura,
anche facoltativa, sui quali è già stata assolta l'imposta
all'atto dell'effettuazione della formalità, sarà necessario
procedere all'integrazione dell'imposta di bollo nel caso in
cui siano completamenti inutilizzati. Ciò significa che gli
accadimenti (rectius: verbali) in essi riportati devono
essersi verificati prima del 26 giugno scorso. L'operazione
potrà essere effettuata con l'annotazione nell'ultima pagina
numerata degli estremi della ricevuta di pagamento modello
F23, ovvero con l'apposizione delle marche da bollo
necessarie per ottenere il nuovo importo, da annullarsi ex
articolo 12 del Dpr 642/1972. Nel caso in cui i registri siano
già stati utilizzati ancorché parzialmente non occorre
integrare il bollo.
Per i registri contabili non soggetti a bollatura, per i
quali l'imposta va assolta esclusivamente sulle pagine
effettivamente utilizzate, ed è dovuta per blocchi di 100
pagine o frazioni di esse, l'imposta fissa nella nuova
misura di 16 euro dovrà essere corrisposta per i blocchi di
100 pagine utilizzati a decorrere da ieri, utilizzando le
stesse modalità di integrazione innanzi precisate. Anche in
questo caso nulla è dovuto per i blocchi di 100 pagine che
risultano ancorché in parte utilizzati.
È possibile continuare ad utilizzare le vecchie marche da
bollo da euro 1,81 e da euro 14,62, integrandole qualora
l'imposta si renda dovuta nella nuovo misura. Lo stesso
discorso vale per la carta da bollo, ma la differenza va
integrata con l'applicazione delle marche da bollo
(articolo Il Sole 24 Ore del 27.06.2013). |
APPALTI: Negli
appalti solidarietà estesa agli autonomi.
Il committente risponde con appaltatori e subappaltatori.
La responsabilità solidale negli appalti si estende ai
lavoratori autonomi.
Questa la principale novità contenuta
nel decreto legge che amplia l'applicazione del regime di
solidarietà di cui all'articolo 29 del Dlgs 276/2003 ai
lavoratori impiegati con un contratto di lavoro autonomo.
Ma non è questa l'unica modifica, in quanto la nuova norma,
oltre a confermare che la solidarietà non si applica negli
appalti stipulati dalla pubblica amministrazione, chiarisce
che il potere di deroga da parte dei Ccnl in materia di
solidarietà si applica solo all'obbligazione di tipo
retributivo e non produce effetti nei confronti degli
obblighi di natura previdenziale e assicurativa.
Il comma 2 dell'articolo 29 del decreto Biagi prevede che,
negli appalti di opere e servizi ex articolo 1655 del codice
civile, in caso di inadempimento da parte dell'appaltatore o
del subappaltatore, il committente è obbligato in solido a
corrispondere ai lavoratori utilizzati i relativi
trattamenti retributivi, compreso il Tfr, nonché a versare i
corrispondenti contributi previdenziali e i premi
assicurativi maturati nel periodo di esecuzione del
contratto.
Con la recente modifica, tale vincolo si estende al
committente anche quando nell'appalto siano utilizzati
lavoratori con contratti «di natura autonoma». Stante la
generica espressione utilizzata dalla legge, sono da
ricondurre nel più esteso vincolo solidaristico, i contratti
di collaborazione a progetto, le vecchie co.co.co , le
cosiddette mini co.co.co, ma anche le prestazioni di lavoro
autonomo occasionale e le prestazioni d'opera professionale
ex articolo 2222 del codice civile.
Nel caso dei collaboratori a progetto e dei co.co.co
(comprese le "mini"), la responsabilità solidale è piena in
quanto riguarderà non solo il pagamento del compenso, ma
anche il versamento dei contributi alla Gestione separata e
dei premi all'Inail.Per le prestazioni rese dai
professionisti e dai prestatori di lavoro autonomo
occasionale (salvo quelli con compenso oltre 5.000 euro), la
solidarietà sarà limitata al pagamento del compenso.
Il decreto legge dichiara altresì in modo esplicito che il
regime della solidarietà non trova applicazione nei
confronti della pubblica amministrazione ex comma 2
dell'articolo 1 del Dlgs 165/2001 in qualità di committente
del contratto di appalto. Non si tratta di una novità, posto
che in base alle previsioni dell'articolo 1 del Dlgs
276/2003, tutto il decreto, ivi compreso l'articolo 29 non è
applicabile nell'ambito della pubblica amministrazione. La
necessità di questa conferma da parte del legislatore è
probabilmente dipesa da alcune pronunce della magistratura
che rifacendosi alla legge delega 30/2003, avevano ritenuto
applicabile il regime della solidarietà negli appalti anche
nei confronti dello Stato.
Importante e chiarificatrice è la precisazione secondo cui
le eventuali diverse previsioni dei Ccnl in materia di
responsabilità solidale, ammesse dallo stesso articolo 29
del Dlgs 276/2003, sono efficaci solo ai fini retributivi,
ma non per gli obblighi contributivi e assicurativi, dei
quali i Ccnl non possono disporre
(articolo Il Sole 24 Ore del 27.06.2013). |
APPALTI FORNITURE:
Legittima esclusione del concorrente per tardivo deposito
della campionatura.
E' legittima l'esclusione di un concorrente per tardivo
deposito della campionatura oggetto di offerta. Lo
stabilisce, nella sentenza in commento, la sesta sezione del
Consiglio di Stato. In dettaglio, secondo i giudici del
Consiglio di Stato è legittima l'esclusione di un
concorrente per tardivo deposito di una parte della
campionatura oggetto di fornitura, in quanto la campionatura
era funzionale alla valutazione delle offerte da parte della
commissione di gara.
Infatti, la stessa era indicata quale
elemento da produrre a corredo della relazione tecnica
(quest'ultima da inserire senz'altro nel plico contenente
l'offerta tecnica) e che, pertanto, solo per ovvie ragioni
di spazio la campionatura non doveva essere inserita nei
plichi contenenti le offerte, pur dovendosi rispettare, per
il suo deposito, la medesima scansione temporale fissata per
la presentazione delle offerte (in particolare, la lex
specialis disponeva che la stessa doveva essere prodotta
"entro il termine di scadenza per la presentazione delle
offerte").
Né, in questa situazione, ha motivo di porsi, un
problema di possibile violazione dell'art. 46, c. 1-bis, del
d.lgs. n.163 del 2006, che sancisce la tassatività delle
clausole di esclusione; per vero, è lo stesso art. 42, c. 1,
lett. l), del Codice dei contratti pubblici a prevedere,
negli appalti di forniture, il deposito di campioni quale
ordinaria modalità di prova del requisito di capacità
tecnica, di tal che la clausola del bando risulta coerente
con la richiamata previsione di rango primario, sia con
riguardo alla natura dell'incombente posto a carico degli
offerenti, sia in relazione alla necessità di fissare un
termine perentorio per il deposito dei campioni di fornitura
(in quanto funzionale a comprovare il requisito di capacità
tecnica dell'offerente).
Va ritenuta immune da vizi,
pertanto, la determinazione di esclusione assunta
dall'Università in danno della originaria ricorrente che,
avendo tardivamente prodotto la campionatura oggetto di
offerta, era senz'altro da escludere dalla selezione, anche
a garanzia del principio della par condicio competitorum (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 26.06.2013 n. 3516 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE:
E' legittima l'esclusione di un concorrente per
tardivo deposito della campionatura oggetto di offerta.
E' legittima
l'esclusione di un concorrente per tardivo deposito di una
parte della campionatura oggetto di fornitura, in quanto la
campionatura era funzionale alla valutazione delle offerte
da parte della commissione di gara.
Infatti, la stessa era indicata quale elemento da produrre a
corredo della relazione tecnica (quest'ultima da inserire
senz'altro nel plico contenente l'offerta tecnica) e che,
pertanto, solo per ovvie ragioni di spazio la campionatura
non doveva essere inserita nei plichi contenenti le offerte,
pur dovendosi rispettare, per il suo deposito, la medesima
scansione temporale fissata per la presentazione delle
offerte (in particolare, la lex specialis disponeva
che la stessa doveva essere prodotta "entro il termine di
scadenza per la presentazione delle offerte").
Né, nel casi di specie, ha motivo di porsi, un problema di
possibile violazione dell'art. 46, c. 1-bis, del d.lgs.
n.163 del 2006, che sancisce la tassatività delle clausole
di esclusione; per vero, è lo stesso art. 42, c. 1, lett.
l), del Codice dei contratti pubblici a prevedere, negli
appalti di forniture, il deposito di campioni quale
ordinaria modalità di prova del requisito di capacità
tecnica, di tal che la clausola del bando risulta coerente
con la richiamata previsione di rango primario, sia con
riguardo alla natura dell'incombente posto a carico degli
offerenti, sia in relazione alla necessità di fissare un
termine perentorio per il deposito dei campioni di fornitura
(in quanto funzionale a comprovare il requisito di capacità
tecnica dell'offerente).
Va ritenuta immune da vizi, pertanto, la determinazione di
esclusione assunta dall'Università in danno della originaria
ricorrente che, avendo tardivamente prodotto la campionatura
oggetto di offerta, era senz'altro da escludere dalla
selezione, anche a garanzia del principio della par
condicio competitorum (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 26.06.2013 n. 3516 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: DECRETO
DEL FARE/ LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE
La solidarietà negli appalti cancellata solo per l'Iva.
Restano i vincoli per l'applicazione delle ritenute sul
lavoro dipendente.
L'articolo 50 del decreto "del fare" interviene sul comma 28
dell'articolo 35 del Dl 223/2006, eliminando (ma solo per
l'Iva) la tanto discussa responsabilità solidale posta "a
tutela" dei mancati versamenti fiscali nell'ambito dei
contratti di appalto e subappalto. Mentre in una prima
versione del decreto si abrogavano integralmente i commi 28,
28-bis e 28-ter dell'articolo 35, cancellando del tutto
l'estensione della responsabilità in campo fiscale, l'ultima
formulazione lascia, dunque, inalterata la disciplina per
quanto attiene alla ritenute di lavoro dipendente.
Queste
disposizioni sono state introdotte dal Dl 16/2012, con una
prima formulazione che ha subito importanti integrazioni con
il Dl 83/2012.
Gli aggiornamenti
Ecco cosa prevede la disciplina aggiornata, in caso di
appalti o subappalti di opere e servizi (senza limitazione
al solo settore edile):
- da un lato la responsabilità solidale dell'appaltatore con
il subappaltatore, con riferimento al versamento delle
ritenute sui redditi di lavoro dipendente (e non più anche
dell'Iva dovuta da quest'ultimo) in relazione alle
prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di
subappalto. Questa responsabilità è limitata all'ammontare
del corrispettivo dovuto e può essere evitata ottenendo,
anteriormente al pagamento del corrispettivo, la
documentazione attestante che i versamenti scaduti sono
stati correttamente eseguiti;
- dall'altro, una sanzione amministrativa da 5mila a 200mila
euro in capo al committente, nel caso in cui egli paghi
l'appaltatore senza essere in possesso della documentazione
individuata al punto precedente.
Alcuni dei tanti dubbi applicativi sono stati affrontati
dall'agenzia delle Entrate con le circolari 40/E/2012 e
2/E/2013. Il primo documento di prassi, in particolare, ha
previsto l'applicazione delle nuove regole ai contratti
stipulati (o rinnovati) dal 12.08.2012 e relativamente
ai pagamenti intervenuti dall'11 ottobre scorso.
Gli effetti sulle imprese
Gli eccessi di queste disposizioni sono parsi fin da subito
evidenti: si finisce con l'arruolare forzosamente le imprese
in compiti di vigilanza che non competono loro, peraltro
istituendo una procedura che favorisce la circolazione della
"carta" senza realmente incrementare la possibilità che
vengano meno le omissioni nei versamenti. Questo sistema
finisce per causare problemi a chi agisce correttamente,
mentre non ne crea a chi opera illecitamente.
Per la semplice dimenticanza di un "pezzo di carta",
l'appaltatore (anche in buona fede) finisce per rispondere
verso il fisco alla stessa stregua del subappaltatore
"infedele", mentre il committente viene pesantemente
sanzionato anche nel caso limite in cui è completamente
all'oscuro di un eventuale subappalto concluso
dall'appaltatore.
Proprio questi effetti deleteri potevano essere alla base di
una censura da parte dell'Unione europea, poiché la Corte di
Giustizia ha più volte affermato (ad esempio nella sentenza
21.06.2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11) che spetta
«alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari
presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità e
evasioni in materia di Iva nonché infliggere sanzioni al
soggetto passivo che ha commesso dette irregolarità o
evasioni».
Il timore di venir "bacchettati" in sede comunitaria ha
fatto sì che venisse eliminata l'Iva tra i versamenti cui è
applicabile la disciplina, con la conseguenza che tutte le
perplessità emerse in questi mesi restano invariate per
quanto riguarda i versamenti delle ritenute di lavoro
dipendente omesse dal subappaltatore e/o dall'appaltatore.
---------------
Il fronte del lavoro. Dopo la riforma Fornero.
Vincolo biennale su contributi e premi.
La riforma Fornero ha rimodulato la materia della
solidarietà negli appalti determinando una netta separazione
tra il regime della responsabilità solidale sul piano del
rapporto di lavoro (articolo 29 del decreto legislativo
276/2003) e su quello fiscale (articolo 35 del Dl 223/2006).
Il decreto ora approvato dal Consiglio dei ministri
interviene sulla materia fiscale, mentre non apporta alcun
cambiamento alla disciplina della responsabilità solidale "lavoristica"
disciplinata all'articolo 29 del decreto 276. Quest'ultima
disposizione prevede un'obbligazione solidale tra il
committente, l'appaltatore ed eventuali subappaltatori entro
il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, con
riferimento alla retribuzione, comprese le quote di Tfr, ai
contributi previdenziali e ai premi assicurativi dovuti in
relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
Rimangono escluse dalla responsabilità solidale le sanzioni
civili, per le quali risponde solo colui al quale viene
addebitato l'inadempimento, ed è previsto il meccanismo del
beneficium excussionis a favore del committente, che impone
al creditore di aggredire in prima battuta il patrimonio del
debitore principale (articolo 29, comma 2; circolare del
ministero del Lavoro 2/2012).
La riforma Fornero ha introdotto una cosiddetta clausola di
riserva, cioè la possibilità per i contratti collettivi
nazionali, sottoscritti dalle associazioni dei lavoratori e
datori comparativamente più rappresentative, di prevedere
una deroga al regime di responsabilità solidale del
committente, sia per le retribuzioni che, si deve ritenere,
per gli obblighi contributivi e assicurativi.
La clausola di riserva dell'articolo 29 del decreto 276/2003
deve essere coordinata con l'articolo 8 del decreto
legislativo 138/2011 (sul cosiddetto contratto di
prossimità) che consente di derogare in peius alle
disposizioni di legge in materia di solidarietà negli
appalti, mediante contratti collettivi aziendali o
territoriali (articolo 8, comma 2, lettera c). Ciò potrebbe
far pensare che la deroga alla responsabilità solidale sia
ormai ammessa solo tramite il contratto collettivo
nazionale, con conseguente abrogazione implicita di quella
parte dell'articolo 8 del Dl 138/2011 che attribuisce invece
tale possibilità ad accordi di livello inferiore.
Tuttavia, nell'articolo 29 il riferimento al contratto
collettivo nazionale appare finalizzato semplicemente a
escludere che il potere di deroga spetti anche alla
contrattazione di livello inferiore, secondo il tipico
meccanismo della deregolamentazione contrattata. Viceversa,
il sistema previsto dall'articolo 8 consente la deroga
contrattuale al regime legale della solidarietà, in materia
retributiva, su presupposti del tutto differenti, che si
basano sulla vicinanza del contratto collettivo con la
realtà produttiva oggetto di regolamentazione e sulla
rappresentatività territoriale qualificata dei sindacati
stipulanti. Pertanto, è plausibile pensare che se il
legislatore avesse voluto modificare la disciplina del
contratto di prossimità in materia di solidarietà
nell'appalto, lo avrebbe fatto con una previsione espressa e
non mediante il rinvio generale al contratto collettivo
nazionale operato dall'articolo 29, secondo comma del
decreto 276.
Un altro aspetto problematico relativo all'articolo 29
riguarda l'ambito applicativo della disciplina della
solidarietà circa i lavoratori coinvolti
(subordinati/autonomi) e i settori compresi (appalti
pubblici/privati).
Sulla prima questione, la previsione dell'articolo 29, comma
2 utilizza un generico rinvio al termine "lavoratori",
lasciando aperta la possibilità che i beneficiari delle
tutele poste dal regime della responsabilità solidale siano
non solo i lavoratori subordinati, ma anche altri soggetti
impiegati nell'appalto con diverse tipologie contrattuali
come i collaboratori a progetto e gli associati in
partecipazione (lo hanno affermato ministero del Lavoro e
Inps, rispettivamente nelle circolari 5/2011 e 106/2012).
Tuttavia, si deve considerare che lo stesso articolo 29 fa
riferimento alla "retribuzione" e "quote di Tfr", istituti
che fanno pensare al lavoro dipendente, e che
tradizionalmente il regime della solidarietà -che è
istituto eccezionale e non applicabile in modo estensivo-
ha sempre riguardato la materia del lavoro subordinato (si
pensi all'articolo 1676 Codice civile e alla legge
1369/1960).
Per quanto concerne i settori coinvolti, l'esclusione del
settore pubblico dal regime della solidarietà sembra
derivare direttamente dal decreto 276 (articolo 1, comma 2)
che lascia fuori dal proprio ambito applicativo le pubbliche
amministrazioni e il loro personale (tale esclusione con
riferimento alla solidarietà fiscale è espressamente sancita
dall'articolo 35 del Dl 223/2006)
(articolo Il Sole 24 Ore del 26.06.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 25.06.2013 n. 147 "Testo del decreto-legge
26.04.2013, n. 43, coordinato con la legge di conversione
24.06.2013, n. 71, recante: «Disposizioni urgenti per il
rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad
emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del
maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e
la realizzazione degli interventi per Expo 2015.
Trasferimento di funzioni in materia di turismo e
disposizioni sulla composizione del CIPE»".
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Si evidenziano i seguenti articoli di interesse:
Art. 5-ter - Acquisizione di lavori,
servizi e forniture dei comuni con popolazione non superiore
a 5.000 abitanti
1. Il termine di cui
all’articolo 23, comma 5, del decreto-legge 06.12.2011, n.
201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011,
n. 214, già prorogato ai sensi dell’articolo 29, comma
11-ter, del decreto-legge 29.12.2011, n. 216, convertito,
con modificazioni, dalla legge 24.02.2012, n. 14, è
ulteriormente differito al 31.12.2013. Sono fatti salvi i
bandi e gli avvisi di gara pubblicati a far data dal
10.04.2013 fino alla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto.
Art. 6-ter - Incrementi di superfici in
sede di ricostruzione
1. Il comma 13-bis
dell’articolo 3 del decreto-legge 06.06.2012, n. 74,
convertito, con modificazioni, dalla legge 10.08.2012, n.
122, è sostituito dal seguente: «13 -bis In sede di
ricostruzione degli immobili adibiti ad attività
industriale, agricola, zootecnica o artigianale, anche a
seguito di delocalizzazione, i comuni possono prevedere un
incremento massimo del 20 per cento della superficie utile,
nel rispetto della normativa in materia di tutela
ambientale, culturale e paesaggistica».
(ATTENZIONE:
da applicarsi dal
26.06.2013)
Art. 7-bis - Rifinanziamento della ricostruzione
privata nei comuni interessati dal sisma in Abruzzo
3. A decorrere dalla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto, le misure dell’imposta fissa di bollo attualmente
stabilite in euro 1,81 e in euro 14,62, ovunque ricorrano,
sono rideterminate, rispettivamente, in euro 2,00 e in euro
16,00. (ATTENZIONE:
da applicarsi dal 26.06.2013)
Art. 8-bis - Deroga alla disciplina
dell’utilizzazione di terre e rocce da scavo
1. Al fine di rendere più
celere e più agevole la realizzazione degli interventi
urgenti previsti dal presente decreto che comportano la
necessità di gestire terre e rocce da scavo, adottando nel
contempo una disciplina semplificata di tale gestione,
proporzionata all’entità degli interventi da eseguire e
uniforme per tutto il territorio nazionale, le disposizioni
del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare 10.08.2012, n. 161,
si applicano solo alle terre e rocce da scavo prodotte
nell’esecuzione di opere soggette ad autorizzazione
integrata ambientale o a valutazione di impatto ambientale.
2. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, in attesa di una
specifica disciplina per la semplificazione amministrativa
delle procedure, alla gestione dei materiali da scavo,
provenienti dai cantieri di piccole dimensioni la cui
produzione non superi i seimila metri cubi di materiale,
continuano ad applicarsi su tutto il territorio nazionale le
disposizioni stabilite dall’articolo 186 del decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152, in deroga a quanto stabilito
dall’articolo 49 del decreto-legge 24.01.2012, n. 1,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24.03.2012, n.
27.
(ATTENZIONE: da applicarsi dal
26.06.2013)
---------------
Si legga un primo commento dal titolo:
Terre e rocce da scavo (26.06.2013 - link a
www.ance.it). |
LAVORI PUBBLICI: Fuori dal Patto l'appalto a costo zero. Corte
dei conti. Via libera all'offerta della gestione di una
struttura in cambio della scuola.
L'appalto di lavori pubblici per la realizzazione di una
nuova scuola primaria che non richiede esborso di poste
finanziarie non ha problemi di compatibilità con il Patto,
né con i limiti al debito. L'acquisto non incappa neppure
nei limiti all'acquisto di beni immobili.
A dare il via
libera all'operazione è la Corte dei conti Lombardia, nel
parere 24.06.2013 n. 248.
Di fronte alla necessità di realizzare una nuova scuola, il
Comune intende affidare l'opera a un privato (scelto con
gara), remunerato attraverso l'esecuzione e la gestione di
un'altra struttura socio-sanitaria e assistenziale da
realizzare sull'area occupata dalla vecchia scuola da
dismettere una volta realizzato il nuovo edificio. Il
privato riconosce all'ente il corrispettivo per il diritto
di superficie sul l'area della scuola e su quella utilizzata
per la nuova struttura, e il Comune non deve erogare somme
di denaro.
L'operazione, secondo i magistrati contabili, non rientra
nella finanza di progetto, la quale richiede che ricada sul
realizzatore, oltre al rischio di costruzione, uno dei due
rischi fra quello di domanda (riferito all'utilizzo del
l'opera da parte degli utenti finali) o di disponibilità
(inteso come il fatto che il realizzatore deve mettere a
disposizione degli utilizzatori l'infrastruttura e il
committente corrisponderà un canone destinato a remunerare
anche il costo dell'opera).
Mancando sia il rischio di domanda che quello di
disponibilità, l'operazione rientra nel contratto di
appalto, remunerato con la cessione di un fondo attrezzato
per la realizzazione di un'impresa. L'appalto rientra nei
vincoli di finanza pubblica, ma in questo caso la mancanza
di esborso di denaro fa sì che non si ponga un problema di
vincoli di finanza pubblica. L'operazione, quindi, non è
elusiva del Patto.
Il parere esamina anche l'impatto dell'articolo 1, comma 138,
della legge 228/2012, che vieta l'acquisto di immobili a
titolo oneroso. Il Comune in questo caso acquista un bene
immobile ma come mera conseguenza, differita nel tempo,
dell'appalto di lavori pubblici, perciò non incappa nel
divieto di acquisto immobili a titolo oneroso che colpisce
le operazioni di compravendita per le quali è necessaria la
presenza di un "corrispettivo" in senso tecnico, ovvero di
un prezzo.
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L'iter
01 | LO SCAMBIO
Il Comune ha bandito una gara in cui chiedeva la
realizzazione di una scuola, a costo zero, dando in cambio
la concessione per una struttura sanitaria
02 | IL PATTO
Questo contratto di appalto secondo la Corte dei conti
è fuori dai vincoli di contabilità del Patto perché manca
l'esborso
(articolo Il Sole 24 Ore del 22.07.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Le operazioni di partnership tra pubblico e privato, p.p.p.,
sono disciplinate dall'art. 3, c. 15-ter, del codice dei
contratti pubblici. Elemento caratteristico delle operazioni
p.p.p. è la suddivisione del rischio economico tra P.A. e
privato, che giustifica un trattamento contabile
parzialmente diverso dall'ordinario contratto di appalto.
Il
trattamento contabile ai fini dei vincoli di finanza
pubblica delle operazioni p.p.p. è stato affrontato dalle SSRR in sede di controllo, -del.ne di indirizzo 16.09.2011, n. 49. Per non essere considerata rilevante ai fini
del calcolo del disavanzo e del debito pubblico la spesa
inerente la costruzione di opere pubbliche non deve gravare
sul bilancio dell'ente; ciò si verifica se: il c.d. rischio
di costruzione ricada sul soggetto realizzatore nonché
ricada sul realizzatore il rischio di domanda o il rischio
di disponibilità. Tali considerazioni possono essere
riferite all'anelata operazione di finanza di progetto,
definita dalla SRC Veneto, 12.11.2011, n. 228.
Nel caso
di specie il riferimento alla disciplina delle p.p.p. è di
dubbia utilità: la remunerazione dell'operatore dovrebbe
avvenire tramite gestione di struttura diversa e ulteriore
rispetto a quella realizzanda per conto del comune e
seguirebbe la cessione di un diritto di superficie sull'area
su cui insisterebbe l'opificio necessario alla gestione
dell'attività economica. Difettando il rischio d'impresa a
carico del privato sembrerebbe trattarsi di un mero
contratto di appalto, remunerato tramite cessione di un
fondo attrezzato per la realizzazione di un'impresa, in
quanto,come osservato dalle menzionate SSRR, ''La mancata
sussistenza di almeno due parametri indica che l'operazione
non ha realmente natura di partenariato con utilizzo di
risorse private ma che, di fatto, rientra nella piena
disponibilità e rischio per l'ente pubblico''.
Pur in
presenza di un rapporto di appalto, astrattamente soggetto
ai vincoli di finanza pubblica, non essendo previsto
l'esborso di poste finanziarie, non si pone un problema di compatibilità con i vincoli di finanza pubblica o di
indebitamento degli enti locali. In relazione alla astratta
fattibilità potrebbe paventarsi il rischio dell'ente di
incorrere nel divieto comminato dall'art. 1, c. 138, della
L. 228/2012. Dal punto di vista oggettivo la fattispecie
oggetto del divieto e' costituita dagli acquisti ''a titolo
oneroso'' di beni immobili.
A parere della Sezione,
l'operazione descritta dal Comune non trova ostacolo nella
normativa finanziaria che limita l'acquisto di beni
immobili. E' vero che l'Ente locale acquista un'opera
pubblica ''un bene immobile'' ma l'articolo 1, c. 138, L.
228/2012 vieta l'acquisto di immobili a titolo oneroso e non
la diversa ipotesi dell'appalto di lavori pubblici. D'altra
parte, lo stesso articolo 12 della L. 111/2011,modificato
dal citato c. 138, comma 1-ter, prevede che ''a decorrere dal
01.01.2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa
ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità
interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio
sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di
immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l'indispensabilità
e l'indilazionabilità attestate dal responsabile del
procedimento.
La congruità del prezzo è attestata
dall'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle
predette operazioni è data preventiva notizia, con
l'indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito,
nel sito internet istituzionale dell'ente: è chiaro ed
evidente il riferimento giuridico alla fattispecie
civilistica della compravendita,laddove le parti sono
l'alienante e l'acquirente, e non a quella dell'appalto.
---------------
Il comune specifica di essere proprietario di un edificio
scolastico, attualmente insufficiente per la platea
scolastica servita, occorrente di diversi interventi di
ristrutturazione edilizia, anche in adeguamento, per i quali
l'ente ha una disponibilità finanziaria non spendibile per i
vincoli in essere del cd. patto di stabilità interno.
L'amministrazione comunale di Villa Cortese vorrebbe
quindi procedere, tramite l’istituto della finanza di
progetto, alla realizzazione della nuova scuola primaria –su
altro fondo- per un importo definito sulla base di uno
studio di fattibilità.
Con successivo atto di indirizzo del consiglio comunale, a
parziale rettifica di un progetto originario, erano definite
le linee guida dell’operazione, che prevedono:
i) la copertura dei costi dell'intervento (progettazione
definitiva ed esecutiva, realizzazione dell'opera) a totale
carico del soggetto promotore, scelto con gara ad evidenza
pubblica;
ii) la remunerazione dell'operatore attraverso la gestione
di una nuova struttura di tipo sociale, sanitario e
assistenziale da realizzare, ad opera del promotore stesso,
sull'area su cui insiste l'attuale scuola elementare da
dismettere, una volta realizzato il nuovo edificio;
iii) la cessione del diritto di superficie sull’area su cui
insiste il citato edificio scolastico al promotore, per una
durata decorrente dalla data dì ultimazione dei lavori di
realizzazione del nuovo complesso scolastico, da definirsi a
seguito di esame del piano economico-finanziario presentato;
iv) il riconoscimento da parte del promotore all'ente, quale
corrispettivo per l'accennata concessione del diritto di
superficie, e a decorrere dalla data dì entrata in esercizio
della nuova struttura socio-sanitario-assistenziale, un
canone concessorio annuo.
Di conseguenza, si evidenzia che il comune non subirebbe
esborsi di denaro per la realizzazione del nuovo complesso
scolastico, ma un'entrata ulteriore determinata dal canone
riscosso per il diritto di superficie concesso.
Tanto premesso, il comune richiede chiarimenti sulla
esperibilità della finanza di progetto, o di altra formula
di partenariato pubblico–privato, e in particolare sulla
compatibilità di tali operazioni con le vigenti disposizioni
in materia di patto di stabilità interno nonché di
indebitamento degli enti locali.
...
A parere della Sezione, l’operazione descritta dal Comune
non trova alcun ostacolo nella normativa finanziaria che
limita l’acquisto di beni immobili.
E’ vero, infatti, che l’Ente locale acquista un’opera
pubblica –e quindi un bene immobile– ma è altrettanto vero
che l’articolo 1, comma 138, legge n. 228/2012 vieta
l’acquisto di immobili a titolo oneroso e non la diversa
ipotesi (in cui l’acquisto è mera conseguenza, differita nel
tempo, dell’operazione) dell’appalto di lavori pubblici.
D’altra parte, lo stesso articolo 12 della legge n. 111/2011
(modificato dal citato comma 138), comma 1-ter, prevede che
“a decorrere dal 01.01.2014 al fine di pervenire a
risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal
patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti
del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di
acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate
documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità
attestate dal responsabile del procedimento. La congruità
del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo
rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data
preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante
e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale
dell’ente": è chiaro ed evidente il riferimento
giuridico alla fattispecie civilistica della compravendita
(laddove le parti sono l’alienante e l’acquirente) e non a
quella dell’appalto.
Alla luce di quanto esposto dal Comune, può
in astratto ritenersi che l’operazione come strutturata, e
salva ogni considerazione afferente alla sua concreta
realizzazione, non pare presentare elementi ostativi con
riferimento alle vigenti normative in materia di finanza
pubblica (Corte
dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 24.06.2013 n. 248). |
APPALTI SERVIZI:
Affidamento del servizio di tesoreria? Serve
sempre la gara pubblica.
Il TAR della Campania ha accolto il ricorso da una società
specializzata nel servizio di tesoreria e tributi nei
confronti di un ente locale: per i giudici amministrativi il
rinnovo del servizio di tesoreria nei confronti dello stesso
operatore economico già aggiudicatario del servizio deve
essere effettuato tramite gara pubblica.
---------------
Il contenzioso amministrativo
La vicenda si sviluppa seguito del fatto che, con
deliberazione del Consiglio Comunale, è stato rinnovato
l’affidamento del servizio di tesoreria comunale alla Banca
che già in precedenza lo gestiva , in assenza di indizione
di procedura di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento
del suddetto servizio.
Avverso tale provvedimento una banca si è opposta davanti
alla competente sede del TAR.
L’analisi del TAR
I giudici amministrativi osservano che l’affidamento del
servizio di tesoreria comunale, inteso ai sensi dell’art.
209 del D.Lgs. 267/2000 quale complesso di operazioni legate
alla gestione finanziaria dell’ente locale, inclusa la
riscossione delle entrate, la custodia di titoli e valori e
gli adempimenti connessi, rientra nell’ambito di operatività
della normativa di cui al D.Lgs. n. 163/2006, risultando
assoggettato alle disposizioni del Codice degli Appalti
Pubblici ai sensi del comma 2 dell’art. 20, in quanto
incluso tra “i servizi finanziari” di cui
all’allegato II A.
Nel caso in esame il servizio affidato dal Comune sulla base
di una convenzione che ne stabiliva la remuneratività
tramite la previsione di un compenso annuale a carico
dell’ente si differenzia per tale ragione dalle concessioni
di servizi in quanto l’onere del servizio viene a gravare
integralmente sull’amministrazione per cui è riconducibile,
anche sotto tale profilo, alla disciplina degli appalti.
Come previsto dall’art. 210 del D.Lgs. n. 267/2000 l’ente
può procedere al rinnovo del contratto di tesoreria nei
confronti del medesimo soggetto per non più di una volta
solo “qualora ricorrano le condizioni di legge”.
Il TAR osserva che in seguito all’entrata in vigore
dell’art. 23 della legge n. 62/2005, la giurisprudenza del
Consiglio di Stato ha chiarito che, in tema di rinnovo o
proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è alcuno
spazio per l’autonomia contrattuale delle parti, ma vige il
principio che l’amministrazione, una volta scaduto il
contratto, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi
dello stesso tipo di prestazioni, deve effettuare una nuova
gara.
L’art. 57, comma 5, lett. b), del Codice degli Appalti
Pubblici, in tema di procedure negoziate senza previa
pubblicazione di un bando di gara circoscrive i casi in cui
è ammesso l’affidamento diretto all’operatore economico
aggiudicatario del contratto iniziale solo per i “nuovi
servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi”
alle condizioni indicate tra cui la “previa indicazione
nel bando originario della possibilità del ricorso alla
procedura negoziata”.
Le conclusioni
Per i giudici amministrativi del TAR essendo il quadro
normativo di riferimento, e stante la preminenza della
legislazione di derivazione comunitaria rispetto alle norme
di diritto interno, nonché la necessità di privilegiare in
ogni caso un’interpretazione del dato normativo il più
possibile coerente con il diritto comunitario, deve
escludersi che il rinnovo del servizio di tesoreria nei
confronti del medesimo operatore economico già
aggiudicatario del servizio possa avvenire, in via diretta,
senza previo espletamento di una gara pubblica.
Tra l’altro, evidenziano i giudici amministrativi, l’ente
locale con la delibera di rinnovo impugnata dalla banca
interessata , ha altresì concordato ed approvato la modifica
e l’integrazione di più clausole della convenzione in
precedenza stipulata così modificando l’assetto contrattuale
originariamente posto a base di gara; tale modifica
dell’assetto contrattuale determinato nella originaria
convenzione induce, altresì, ad escludere la ravvisabilità
nella specie di una sorta di “proroga” della
convenzione originariamente stipulata peraltro ammessa dalla
legge, per il solo tempo strettamente necessario
all’espletamento di una nuova gara, mentre nella specie il
rinnovo è avvenuto per un periodo di quattro anni identico a
quello coperto dalla precedente convenzione.
Il ricorso per il TAR merita accoglimento e la delibera
dell’ente locale è, pertanto , da annullare (commento tratto
da www.ispoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 21.06.2013 n. 3261 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
21.06.2013, suppl. ord. n. 50/L, "Disposizioni urgenti
per il rilancio dell’economia"
(D.L.
21.06.2013 n. 69).
---------------
Per leggere la sintesi dei numerosi provvedimenti presi,
si legga il
comunicato stampa 15.06.2013 della Presidenza del
Consiglio dei Ministri. |
APPALTI: Dipendente
comunale, membro della commissione di gara o responsabile
del procedimento?
Domanda
Può essere
nominato membro di una Commissione di gara per l'affidamento
di un servizio compreso nell'elenco di cui all'allegato II B
del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 il dipendente comunale
destinato a rivestire l'incarico di responsabile del
procedimento nella fase di esecuzione del contratto da
stipulare con il soggetto aggiudicatario?
Risposta
L'art. 20 del
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, che regola espressamente gli
appalti di servizi elencati nell'allegato II B dello stesso
D.Lgs., prevede che "l'aggiudicazione degli appalti
aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B è
disciplinata esclusivamente dall'art. 68 (specifiche
tecniche), dall'art. 65 (avviso sui risultati della
procedura di affidamento), dall'art. 225 (avvisi relativi
agli appalti aggiudicati)".
L'incompatibilità prospettata nella domanda è invece
regolata dall'art. 84 comma 4, per cui "I commissari
diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono
svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o
amministrativo relativamente al contratto del cui
affidamento si tratta"; tra i ruoli che fanno sorgere
l'incompatibilità la giurisprudenza ricomprende
pacificamente anche il responsabile del procedimento (si
veda, ex multis, la recente TAR Puglia Bari Sez. I,
06.02.2013, n. 174).
Per completezza, è opportuno citare anche l'art. 27 del
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 ("principi relativi ai
contratti esclusi"), che stabilisce al comma 1: "L'affidamento
dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi
forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di
applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel
rispetto dei principi di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità...".
Basandosi sul mero dettato normativo, si potrebbe affermare
che l'art. 84 non è ricompreso tra gli articoli previsti
dall'art. 20 come applicabili ai servizi di cui all'allegato
II B del codice; sull'argomento è pero intervenuta, con
orientamenti contrastanti, la giurisprudenza amministrativa.
Si veda ad esempio Cons. Stato Sez. III, 17.10.2011, n.
5547, che riporta in massima "gli appalti esclusi,
compresi nell'allegato II B dell'art. 20 del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163 (Codice degli appalti), sono soggetti
esclusivamente all'applicazione delle norme ivi richiamate
ovvero agli artt. 65 (avviso sui risultati della procedura
di affidamento), 68 (specifiche tecniche) e 225 (avviso
appalti aggiudicati nei settori speciali). La scelta della
stazione appaltante di aggiudicare un appalto escluso con il
criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa di cui
all'art. 83 del codice non implica, salvo un esplicito
richiamo contenuto negli atti di gara, l'applicazione del
disposto di cui al successivo art. 84 relativo alla nomina e
costituzione della commissione di gara", attenendosi
quindi a un'interpretazione letterale del disposto
normativo, laddove un'altra sezione del Consiglio di Stato
ha ritenuto che la ratio nell'art. 84 sia invece
espressione di "principi generali, costituzionali e
comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e
l'imparzialità dell'azione amministrativa.
Secondo la giurisprudenza, essa, in quanto espressiva di un
principio generale, è applicabile anche alle procedure di
evidenza pubblica non disciplinate dal codice dei contratti
pubblici" (Cons. Stato Sez. IV, 10.01.2012, n. 27).
A dirimere questo contrasto è di recente intervenuta
l'Adunanza plenaria, con la Sent., 07.05.2013, n. 13. La
sentenza, pur intervenendo nello specifico
sull'applicabilità o meno dell'art. 84 alle concessioni di
servizi ex art. 30, stabilisce comunque principi generali
che appaiono applicabili anche all'ambito dei contratti
esclusi (ed è la stessa sentenza a richiamare più volte
l'art. 27). In particolare il Consiglio di Stato statuisce
che "deve ritenersi, quindi, che le regole, quali quelle
contenute nell'art. 84 sui "tempi" della formazione e sulla
"regolare composizione" di un organo amministrativo (tali
regole aventi natura sostanziale e non ogni diversa
disposizione procedurale) siano un predicato dei principi di
trasparenza e di imparzialità, per cui le disposizioni di
cui ai commi 4 e 10 devono ritenersi espressione di
principio generale del codice".
Gli ultimi orientamenti giurisprudenziali portano quindi a
ritenere che le norme dell'art. 84 siano espressione di
principi generali tesi ad assicurare trasparenza e
imparzialità, e in quanto tali applicabili anche alle
procedure di evidenza pubblica non disciplinate dal codice
dei contratti pubblici, come peraltro previsto dall'art. 27
del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163. Per questi motivi, vista la
non univocità delle soluzioni proposte dalla giurisprudenza,
pare più prudente che lo stesso dipendente comunale non
svolga ambedue le funzioni di membro della commissione e di
responsabile del procedimento
(21.06.2013
- tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI: «Solidarietà»
per le ritenute.
Le imprese dovranno ottenere un'autocertificazione sulla
regolarità dei versamenti.
LE CONTROMISURE/ La norma viene neutralizzata anche con
l'acquisizione della documentazione o con l'asseverazione di
un professionista.
La responsabilità solidale fiscale negli appalti privati
resta per le ritenute di lavoro dipendente che il
subappaltatore e l'appaltatore debbono versare all'erario in
ragione delle prestazioni realizzate.
Questa situazione, che dovrà essere confermata dal testo
definitivo del decreto approvato dal Consiglio dei ministri
del 15 giugno, fa risorgere, almeno in parte le
preoccupazioni che sul tema le imprese avevano manifestato
nei mesi scorsi. In parte perché le modifiche appena
apportate sollevano appaltatori e committenti dagli obblighi
con riferimento all'Iva.
Certamente, però, anche con questa
limitazione gli appaltatori e i committenti per evitare
rispettivamente l'applicazione di una responsabilità
solidale (subappaltatore-appaltatore) o di una
"responsabilità sanzionatoria" (committente-appaltatore)
devono acquisire la documentazione ovvero devono ottenere
un'asseverazione da parte di professionisti abilitati ovvero
(come ha interpretato l'agenzia delle Entrate con la
circolare 40/E/2012) devono ottenere dal fornitore
un'apposita autocertificazione che attesti che il prestatore
del servizio abbia regolarmente effettuato le ritenute di
lavoro dipendente.
È auspicabile che l'adempimento che non è certamente di
facile realizzazione e, come più volte sottolineato, di poca
utilità venga soppresso e possibilmente sostituito con
un'attività di controllo preventivo delle autorità
pubbliche.
A dire il vero questa forma di responsabilità solidale era
già prevista dalla versione originaria del decreto legge
223/2006, anche se, all'epoca la norma era naufragata per
effettiva impraticabilità.
Anche nel 2006, infatti, la responsabilità solidale veniva
meno con l'acquisizione da parte dell'appaltatore, prima del
pagamento del corrispettivo, della documentazione che
comprovava il corretto adempimento da parte del
subappaltatore. Per l'individuazione dell'idonea
documentazione la norma rinviava a un decreto ministeriale,
decreto che è stato emanato nel 2008 (Dm 74 del 25.02.2008). Successivamente le norme che definivano l'attuazione
dell'adempimento e lo stesso decreto sono stati abrogati
dall'articolo 3, comma 8, del Dl 97/2008.
A proposito del decreto 74/2008 è interessante notare che il
legislatore dell'epoca aveva previsto un F24 specifico per
ogni appalto. Pertanto l'appaltatore avrebbe dovuto ricevere
dal subappaltatore un F24 per ogni appalto che aveva in
piedi con lui e, di fatto, in questo modo poteva (anche in
quel caso solo in modo forfettario) verificare se il
versamento delle ritenute era coerente con il numero di
lavoratori impiegati nel relativo appalto. L'F24, inoltre,
era comunque accompagnato da un'autocertificazione del
subappaltatore.
La situazione attuale è più complicata, in quanto la norma
non prevede alcuna forma di versamento dedicato. Pertanto,
nell'attuale quadro normativo sia l'appaltatore che il
committente devono acquisire una documentazione ovvero
un'autocertificazione dal rispettivo fornitore con
riferimento all'appalto.
È chiaro che la soluzione che si può scegliere è quella di
acquisire l'autocertificazione (ammessa dall'agenzia delle
Entrate). Nell'autocertificazione comunque dovrà comparire,
come ribadito da ultimo da Assonime nella circolare 18 del
12.06.2013, l'indicazione del periodo nel quale le
ritenute sui redditi di lavoro sono state versate, mediante
scomputo totale o parziale; l'indicazione degli estremi del
modello F24 con il quale le ritenute, non scomputate, sono
state versate.
È importante, inoltre, prevedere specifiche clausole
contrattuali per evitare che il fornitore subappalti senza
autorizzazione il lavoro. Infine è necessario, acquisire
informazioni sul fornitore per evitare di essere coinvolto
in comportamenti fraudolenti.
---------------
L'impatto. Il confronto con la previdenza.
Regole più severe sul fronte fiscale.
LA PENALIZZAZIONE/ Per l'erario non vale il limite temporale
dei due anni dalla cessazione dei lavori.
Responsabilità "solidale" double face. L'intervento operato
dal legislatore, teso a eliminare il riferimento agli
obblighi Iva non modifica contenuti e procedure della
responsabilità fiscale per omissioni altrui e lascia
invariata l'asimmetria che sussiste tra questa disciplina e
quella prevista dall'articolo 29, comma 2 del decreto
legislativo 276/2003.
Quest'ultima prevede un vincolo di
solidarietà, in caso di appalto di opere o servizi, tra
committente, appaltatore e ciascuno degli eventuali
subappaltatori in relazione ai trattamenti retributivi
(comprese le quote di Tfr), ai contribuiti previdenziali e
ai premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di
esecuzione del contratto. Nonostante le norme abbiano
efficacia nei confronti delle medesime tipologie
contrattuali, ed abbiano entrambe lo scopo di assicurare
all'Erario la possibilità di recuperare gli omessi
versamenti "risalendo" la catena dell'appalto, il
funzionamento delle due disposizioni è significativamente
differente (si veda la tabella a lato). A cominciare dai
soggetti interessati: fiscalmente, si parla di
responsabilità solidale unicamente in capo all'appaltatore
(il committente può essere "solo" fatto oggetto di sanzioni,
per quanto "salate"), mentre il Dlgs n. 276/2003 prevede che
la solidarietà si estenda a tutti gli anelli della catena.
Ci sono alcuni aspetti in cui la norma tributaria è meno
"severa" (previsione della attestazione di regolarità come
"scudo" contro la solidarietà, limitazione all'importo del
corrispettivo contrattuale) rispetto a quella retributiva e
contributiva (dove l'attestazione non è prevista e non sono
previsti limiti quantitativi).
A ben vedere, tuttavia, sotto molti altri aspetti è la norma
tributaria a risultare più penalizzante, poiché non prevede
né il beneficio della preventiva escussione del soggetto
"infedele", né il limite temporale di due anni dalla
cessazione dei lavori, né l'esonero del soggetto "solidale"
dalle sanzioni di cui è chiamato a rispondere colui che ha
omesso i versamenti. Dal lato dei soggetti tutelati, i
verificatori che vigilano sull'applicazione del Dlgs n.
276/2003 hanno in questi anni mostrato di interpretare il
termine "lavoratori" in una accezione molto ampia (ad
esempio collaboratori, associati, soggetti "in nero"),
secondo una lettura che la norma fiscale -letteralmente più
puntuale- non sembra poter offrire.
Anche nell'esclusione delle forme contrattuali assimilabili
all'appalto l'agenzia delle Entrate ha mostrato di voler
tracciare confini molto distinti, spesso disapplicati in
campo previdenziale. Sarebbe opportuno, a questo punto,
creare una disciplina omogenea
(articolo Il Sole 24 Ore del 20.06.2013). |
APPALTI: Solidarietà,
abrogazione parziale.
Resta la responsabilità per i versamenti che riguardano
retribuzioni e contributi.
IL PROBLEMA/
Le società devono prevedere forme di controllo interno sui
fornitori per evitare di finire vittime delle frodi altrui.
Il decreto legge approvato sabato scorso dal Consiglio dei
ministri ha abrogato la responsabilità solidale Iva nei
rapporti tra appaltatore e subappaltatore e la relativa
"responsabilità sanzionatoria" prevista tra appaltatore e
committente.
Attenzione, però: il decreto non interviene sulla
responsabilità solidale contributiva relativa alle ritenute
d'imposta di lavoro dipendente. La norma finale lascia,
infatti, inalterate le regole in materia di lavoro (si veda
sull'argomento l'articolo pubblicato in questa stessa
pagina). In particolare, il decreto prevede un intervento
chirurgico all'articolo 35 del Dl 223/2006 abrogando solo i
riflessi Iva della normativa.
L'abrogazione della responsabilità solidale Iva negli
appalti è sicuramente una scelta attesa, sperata e
sicuramente giusta.
In effetti, il provvedimento governativo, anticipando una
probabile bocciatura comunitaria della norma, ha il merito
di aver cancellato un adempimento che aveva creato per le
imprese degli oneri del tutto sproporzionati. Inoltre,
l'adempimento, nella sua concreta attuazione, era del tutto
inefficace rispetto agli scopi per cui era stata approvato,
essendosi ridotto a un mero formalismo con l'acquisizione
meccanica di un'autocertificazione del fornitore.
La norma, però, seppur del tutto inadeguata, si proponeva di
ridurre un fenomeno di frode Iva legato all'emissione da
parte dei fornitori di fatture soggettivamente inesistenti.
Il fenomeno sta rapidamente coinvolgendo molti
cessionari/committenti, in molti casi, del tutto
inconsapevoli. Nel corso degli ultimi anni, anche a causa
della grave crisi finanziaria, molti operatori sono caduti
nella trappola di fornitori scaltri che attraverso la frode
Iva erano in grado di vendere beni e servizi a prezzi
notevolmente inferiori. La frode si realizza seguendo uno
schema ormai ben consolidato: il fantomatico fornitore si
interpone tra il reale soggetto che cede il bene e il
servizio e vende al nostro acquirente i beni o i servizi
riscuotendo da quest'ultimo l'Iva, ma non provvede a
riversare l'imposta all'Erario.
Così facendo questi
fornitori sono in grado di vendere a prezzi sicuramente
vantaggiosi i beni e/o i servizi potendo beneficiare in modo
del tutto illegittimo dell'Iva incassata.
In questi mesi questi fenomeni hanno prepotentemente
raggiunto gli onori delle cronache, in quanto la
giurisprudenza nazionale di merito e di legittimità, nonché
la Corte Ue si sono ampiamente occupate di questi casi.
Inoltre del tema si è occupata la Commissione Europea nel
libro bianco del futuro dell'Iva e, da ultimo, anche il
legislatore nazionale che con il Dl 16/2012 ha cercato di
limitare (si fa per dire) all'Iva i recuperi che nel
frattempo l'agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza
avevano fatto nei confronti dei contribuenti.
L'effetto del
recupero è, allo stato attuale, identificabile nella
indetraibilità dell'Iva relativa alle fatture emesse nei
confronti degli acquirenti/committenti dai fornitori
frodatori. Il fenomeno che ha riguardato e riguarda imprese
di vari settori economici, impone al contribuente l'adozione
di un'adeguata contromisura. In particolare, a prescindere
dall'adempimento ora abrogato, le imprese devono introdurre
una procedura di controllo economico-amministrativo dei
propri fornitori.
La procedura che può sicuramente prendere
spunto anche dai principi individuati dalla giurisprudenza,
deve consentire all'acquirente/committente di verificare,
per esempio, l'esistenza di un reale potere di
rappresentanza del venditore rispetto all'impresa
fornitrice; l'esistenza e l'attività dell'impresa fornitrice
(attraverso l'acquisizione della visura camerale); la
corrispondenza degli indirizzi della sede amministrativa e
legale e della localizzazione dei pagamenti rispetto ai dati
camerali
---------------
Contratti nazionali con ruolo decisivo.
LE INTESE COLLETTIVE/
Potranno individuare i metodi e le procedure per la verifica
della regolarità complessiva.
La responsabilità solidale negli appalti è confermata per le
retribuzioni, i contributi previdenziali e i premi
assicurativi anche dopo l'approvazione del decreto legge
«del fare». Infatti, il provvedimento approvato sabato del
Consiglio dei ministri non abroga l'articolo 29, comma 2, del
decreto legislativo 276/2003 che contiene la responsabilità
solidale più per i profili lavoristici mentre è stata
eliminata la responsabilità in ambito fiscale riferita
all'Iva (articolo 35 del Dl 223/2006).
L'articolo 29 invece, prevede che in caso di appalto di
opere o servizi, il committente imprenditore o datore di
lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con
ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di
due anni dalla cessazione dell'appalto, per corrispondere ai
lavoratori trattamenti retributivi, contributi previdenziali
e premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di
esecuzione del contratto di appalto. La solidarietà, dunque,
riguarda sia il committente sia ciascuno degli appaltatori e
subappaltatori e sono comprese anche le quote di Tfr
maturato durante l'impiego del lavoratore nel contratto di
appalto. Sono, invece, escluse da qualsiasi obbligo le
sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile
dell'inadempimento. Rimane il dubbio sul titolo degli
interessi dato che letteralmente la norma esclude solo le
sanzioni civili.
Un ruolo decisivo lo hanno i contratti collettivi nazionali
sottoscritti da associazioni di datori di lavoro e
lavoratori comparativamente più rappresentative del settore:
essi possono individuare metodi e procedure di controllo e
verifica della regolarità complessiva degli appalti. C'è una
procedura specifica per azionare la responsabilità solidale:
il committente può (e deve) eccepire, nella prima difesa, il
beneficio della preventiva escussione del patrimonio
dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori.
In questo caso il giudice accerta la responsabilità solidale
di tutti gli altri obbligati, ma l'azione esecutiva può
essere intentata nei confronti del committente imprenditore
o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del
patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali
subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento
può esercitare l'azione di regresso nei confronti del
coobbligato secondo le regole generali
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.06.2013). |
APPALTI SERVIZI:
Nelle gare indette per la concessione di servizi
la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei
principi desumibili dal Trattato e dei principi generali
relativi ai contratti pubblici (fattispecie relativa al
complesso del Vittoriano).
Ai sensi dell'art. 30, c. 3, del decreto legislativo
12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), nelle
gare indette per la concessione di servizi la scelta del
concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi
desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei principi di
trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione,
parità di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati
almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero
soggetti qualificati in relazione all'oggetto della
concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.
Sebbene in tale quadro normativo, ai fini della verifica
dell'effettiva capacità tecnica, l'elenco esemplificativo di
cui agli artt. 41 e 42 del Codice dei contratti pubblici non
costituisce, per la stazione appaltante un vincolo diretto,
tuttavia in relazione al richiamo ai principi del Trattato
UE, le determinazioni in materia di requisiti soggettivi di
partecipazione alle gare non devono essere illogiche,
arbitrarie, inutili o superflue e devono essere rispettose
del "principio di proporzionalità", il quale esige
che ogni requisito individuato sia al tempo stesso
necessario ed adeguato rispetto agli scopi perseguiti.
Pertanto, il concreto esercizio del potere discrezionale
deve essere funzionalmente coerente con il complesso degli
interessi pubblici e privati coinvolti dal pubblico incanto
e deve rispettare i principi del Codice dei contratti
pubblici, con la conseguenza che, nella scelta dei requisiti
di partecipazione il ricordato principio di non
discriminazione impone che la stazione appaltante deve
ricorrere a quelli che comportino le minori turbative per
l'esercizio dell'attività economica e l'intero impianto
delle prescrizioni di gara non deve costituire dunque una
violazione sostanziale dei principi di libera concorrenza,
par condicio, non discriminazione trasparenza di cui
all'art. 2, c. 1, del più volte citato Codice (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 18.06.2013 n. 6094 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
DECRETO FARE/Stop agli adempimenti per committenti e
appaltatori a portata ridotta
Solidarietà, un no circoscritto.
Abrogazione della responsabilità solo per i versamenti Iva.
Soppressione della solidarietà passiva negli appalti
limitata alla sola Iva. Questa, in assenza della versione
ufficiale del decreto legge del fare approvato sabato scorso
dal governo, la scelta compiuta dall'esecutivo.
Il
comunicato diramato a fine seduta afferma, infatti, che per
i committenti e gli appaltatori arriva l'abrogazione della
responsabilità solidale negli appalti ma «relativamente ai
versamenti Iva».
Che vi possano anche rientrare le ritenute, è un busillis
che sarà sciolto solo con la pubblicazione del dl in G.U.
Secondo la disciplina indicata, ai sensi dei commi da 28 a
28-ter, dell'art. 35, dl 04/07/2006 n. 223, convertito nella
legge n. 248/2006, il committente o l'appaltatore possono
procedere nel pagamento di quanto dovuto, per l'esecuzione
di lavori concordati, all'appaltatore o al sub-appaltatore,
soltanto se questi ultimi hanno puntualmente eseguito i
versamenti delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro
dipendente e dell'Iva dovuta sulla prestazione.
Il pagamento è condizionato, infatti, alla preventiva
consegna della documentazione attestante l'esecuzione dei
versamenti, il cui termine risulta scaduto alla data del
pagamento del corrispettivo.
La disciplina è articolata e distorta poiché, a fronte di un
debito per Iva, per esempio, pari a 5 mila euro, ma a un
corrispettivo maturato dal sub-appaltatore nei confronti
dell'appaltatore per 50 mila euro, il pagamento non può
avvenire per la differenza di 45 mila euro, subendo la
totale sospensione e con il blocco dell'operatività
dell'impresa esecutrice, legittimamente creditrice.
L'intervento limitato non produrrebbe, però,
l'alleggerimento auspicato dagli operatori.
Come indicato in
un recente documento dell'Associazione dottori
commercialisti ed esperti contabili (Aidc) di Milano (marzo
2013) si deve prendere atto che il tema dell'obbligazione
solidale del pagamento dell'imposta dovuta, rientra nella
competenza della direttiva Iva (Corte di giustizia, sentenza
11/05/2006, causa C-384/04 punto 24), ma che «essendo
diretta emanazione di una facoltà riconosciuta agli stati
membri, la disposizione riguardante la solidarietà nel
pagamento dell'imposta non soggiace al regime di preventiva
autorizzazione disciplinato dall'art. 395 della dir.
2006/112/Ce».
Peraltro, la detta disciplina prevede che il
committente (o l'appaltatore, in presenza di sub-appalto),
per i contratti stipulati a partire dal 12/08/2012 e per i
pagamenti eseguiti dall'11/10/2012, sia assoggettabile a una
sanzione da 5 mila a 200 mila euro se ha provveduto al
pagamento di quanto dovuto per la prestazione, senza aver
verificato il versamento delle ritenute o dell'Iva
dell'appaltatore o in mancanza di una attestazione
(«dichiarazione sostitutiva») da parte dei prestatori o di
una asseverazione da parte dei responsabili dei Caf o di
professionisti abilitati.
Sul punto, l'Agenzia delle entrate
(circolare n. 2/E/2013) aveva già precisato che, in presenza
di più contratti stipulati tra le medesime parti, poteva
essere rilasciata un'autocertificazione «unitaria» e
«periodica», in presenza del pagamento del corrispettivo; in
effetti, la detta autocertificazione deve far riferimento ai
versamenti scaduti nel momento del versamento del
corrispettivo e non deve aver come oggetto fatti successivi
alla data del rilascio.
La commissione di studio
dell'associazione citata aveva anche rilevato alcune
incompatibilità (in eccesso e/o in difetto) della
disposizione nazionale rispetto alla norma comunitaria, con
particolare riferimento all'insorgere della solidarietà
anche in assenza di intenti frodatori, al totale blocco dei
pagamenti che creano un serio danno alle imprese, alla
sproporzione del regime sanzionatorio e alla vanificazione
degli effetti anti-evasione, nonché alla non considerata ma
necessaria correlazione tra obbligo di solidarietà e
adempimento, «in forza della quale l'appaltatore non può
sostituirsi nell'adempimento (?) se non al successivo
momento in cui l'infrazione venga contestata
dall'amministrazione finanziaria».
Concludendo, in attesa della conferma dei contenuti della
bozza del provvedimento in circolazione, con l'abrogazione
esplicita del comma 28, dell'art. 35, dl 223/2006 che
dispone che «in caso di appalto di opere o di servizi,
l'appaltatore risponde in solido con il subappaltatore (?)
del versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi
di lavoro dipendente e del versamento dell'imposta sul
valore aggiunto», l'abrogazione varrà anche per le
ritenute
(articolo ItaliaOggi del 18.06.2013). |
CONSIGLIERI COMUNALI -
APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Anche il Segretario comunale è responsabile per
l'approvazione illegittima di debiti fuori bilancio.
Osserva il Collegio che i lavori oggetto
della presente controversia –determinativi del pagamento–
non rientravano tra quelli oggetto di appalto e la loro
realizzazione era stata decisa in piena autonomia
dall’impresa, senza alcun coinvolgimento istituzionale della
stazione appaltante o della direzione dei lavori.
Né sussisteva la presenza di apposite riserve negli atti
adottati nelle varie fasi di esecuzione dell’appalto.
In altri termini l’impresa aveva deciso autonomamente e
contra legem –vista la normativa di settore-, in assenza di
richiesta o autorizzazione dell’Amministrazione comunale
committente di effettuare lavori che esulavano dall’opus
appaltato.
La normativa in tema di opere pubbliche preclude –in via
generale– all’appaltatore la possibilità di operare con tali
modalità pur, se in ipotesi, al fine di realizzare
interventi caratterizzati da intrinseca utilità.
In siffatto modo l’art. 342, comma primo, della legge sui
lavori pubblici (all. F) 20.03.1865 n. 2248, applicabile
nella specie, impedisce in via generale all’appaltatore di
apportare “variazioni o addizioni di sorta al lavoro assunto
senza averne ricevuto l’ordine per iscritto dall’ingegnere
direttore”, ed in seguito si aggiunge che “mancando una tale
approvazione gli appaltatori non possono pretendere alcun
aumento di prezzo od indennità per le variazioni od
addizioni avvenute, e sono tenuti ad eseguire senza compenso
quelle riforme che in conseguenza l’Amministrazione credesse
opportuno di ordinare, oltre il risarcimento dei danni
recati”.
Nella stessa direzione l’art. 134 del d.P.R. 21.12.1999 n.
554 dispone che “nessuna variazione o addizione al progetto
approvato può essere introdotta dall’appaltatore se non è
disposta dal direttore dei lavori e preventivamente
approvata dalla stazione appaltante nel rispetto delle
condizioni e dei limiti indicati dal’art. 25 della legge. Il
mancato rispetto di tale disposizione non dà titolo al
pagamento dei lavori non autorizzati e comporta la
rimessione in pristino, a carico dell’appaltatore, dei
lavori e delle opere nella situazione originaria secondo le
disposizioni del direttore dei lavori”.
I regimi derogatori che si sono succeduti nel tempo non
hanno mai permesso la possibilità di variazioni unilaterali
dell’appaltatore, senza che questi ne avesse fatto riserva
(sulla necessità di una tempestiva iscrizione di riserva,
pena la decadenza del diritto al pagamento per i maggiori
costi delle opere eseguite e preclusione anche dell’azione
ai sensi dell’art. 2041 c.c.. cfr. Corte Cassazione
12.09.2003 n. 13440) o prescindendo dal coinvolgimento della
direzione dei lavori.
Il Giudice di Legittimità ha, pertanto, più volte ribadito
che “in materia di appalti l’onere dell’iscrizione nel
registro di contabilità (di cui al RD n. 350 del 1895)
condiziona la tutelabilità delle pretese dell’appaltatore
non accolte dalla committente PA in ordine alle partite di
lavoro eseguite".
Vieppiù il Giudice di Legittimità ha statuito che “non è poi
esatto che l’appaltatore abbia l’onere di iscrivere la
riserva per maggiori compensi pretesi soltanto al momento
della scadenza contrattuale prevista …. In quanto dal
combinato disposto degli artt. 53 e 54 r.d. n. 350 del 1895…
si ricava la regola assoluta ed inderogabile che
l’appaltatore che richieda maggiori compensi, rimborsi o
indennizzi, per qualsiasi titolo e in relazione a qualsiasi
situazione nel corso dell’esecuzione dell’opera, è tenuto a
iscrivere nel registro di contabilità la riserva
“immediatamente” e quindi contestualmente all’insorgenza e
percezione del fatto dannoso. Solo dal registro di
contabilità è rilevabile l’incidenza che le varie vicende
potranno avere sui costi dell’appalto e per il committente e
per l’appaltatore”.
Ove anche, come prospettato dalle parti convenute in ipotesi
fossero da considerare opere extracontrattuali, ai sensi
dell’art. 344 della l. 20.03.1865 n. 2248 all. F, era
necessario un nuovo impegno di spesa ed un autonomo
contratto, ad oggetto tipologie di opere e compensi
spettanti all’appaltatore, dovendo ricorrere, a pena di
nullità ed improduttività di effetti, un atto adottato
dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, il solo
legittimato a stipulare in nome e per conto di esso.
Sicché vi è improponibilità della domanda ex art. 2041 c.c.
rivolta all’ente locale per opere e lavori commissionati
senza alcun previo impegno di spesa né copertura
finanziaria, come disposto dal previgente art. 23, comma 4,
del D.L. 66 del 1989 convertito nella legge n. 144 del 1989
(norme più volte modificate ed infine cristallizzate negli
artt. 191 e 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, sempre in
armonia con il dettato dell’art. 23 D.L. 66/1989). La
improponibilità deriva dal fatto che le norme, impositive di
sole azioni dirette nei confronti del funzionario
deliberante, hanno fatto venir meno la necessaria
residualità dell’azione ex art. 2041 c.c. nei riguardi
dell’ente locale.
---------------
L’art.
1, comma 1–ter della l. n. 20/1994 dispone che “nel caso di
deliberazioni di organi collegiali la responsabilità si
imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto
favorevole. Nel caso di atti che rientrano nella competenza
propria degli uffici tecnici o amministrativi la
responsabilità non si estende ai titolari degli organi
politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne
abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”.
Pertanto, ribadisce il Collegio, che l’atto dannoso, ossia
il riconoscimento del debito fuori bilancio, rientra tra le
competenze dell’organo politico (art. 194 d.lgs. 267/2000) e
non in quella propria dell’organo tecnico (che in ogni caso
è responsabile in quanto proponente).
Nella fattispecie, non si è trattato di ratificare o
approvare un atto proprio di altro organo (tecnico), ma di
adottare un atto di riconoscimento di debito fuori bilancio,
rientrante appieno nella propria sfera di competenza e
responsabilità.
L’aver autorizzato l’accollo della spesa risulta, pertanto,
decisione poco avveduta e assolutamente antigiuridica e, in
ordine al profilo psicologico, va sicuramente affermata la
colpa grave sia degli amministratori (rectius dell’apparato
politico), sia dei funzionari amministrativi che hanno
espresso parere favorevole all’adozione del provvedimento,
in quanto la normativa di riferimento era assolutamente
intellegibile, non sussistendo i presupposti per riconoscere
quanto richiesto (non essendo state avanzate riserve o
richieste di alcun genere sui lavori extracontratto per i
quali non era stata coinvolta la direzione dei lavori o
l’Amministrazione comunale).
Pertanto va affermata la colpa grave degli odierni convenuti
in forza dei differenti ruoli rivestiti nell’ambito del
Comune e della palese erroneità dell’atto nell’ambito delle
rispettive competenze.
Il pagamento di lavori esulanti dal contratto, decisi in
piena autonomia dall’impresa senza coinvolgimento
dell’Amministrazione in mancanza della richiesta di
pagamento durante la loro effettuazione o l’apposizione di
riserve, determina una anomala richiesta di pagamento (a
distanza di cinque anni dall’ultimo pagamento afferenti al
lavori), e tale anomalia non poteva trovare “copertura”
attraverso il riconoscimento di un debito fuori bilancio.
---------------
Nel novero dei soggetti che hanno avuto un apporto causale
più rilevante nella causazione del danno (pari al 70% dello
stesso) va anche ritenuto responsabile il segretario
comunale che aveva, ai sensi dell’art. 97 d.Lgs. n.
267/2000, il dovere di esercitare compiti di “assistenza
giuridico amministrativa” ed era tenuto a segnalare
l’illegittimità di un atto palesemente in contrasto con i
principi in tema di contrattualistica pubblica, tanto più
che non vi era in atti alcuna controversia, giudiziaria o
stragiudiziale, che potesse indurre ad indirizzare verso una
decisione (il riconoscimento del debito fuori bilancio)
costituente un minor danno a fronte di ipotetici esborsi a
seguito della soccombenza in giudizio.
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La Procura contesta agli odierni convenuti di aver espresso
voto favorevole –o di aver consentito– alla legittimità del
pagamento senza rilevare, nonostante le specifiche
competenze istituzionali, l’intervenuta decadenza.
Osserva il Collegio che i lavori oggetto della presente
controversia –determinativi del pagamento– non rientravano
tra quelli oggetto di appalto e la loro realizzazione era
stata decisa in piena autonomia dall’impresa, senza alcun
coinvolgimento istituzionale della stazione appaltante o
della direzione dei lavori.
Né sussisteva la presenza di apposite riserve negli atti
adottati nelle varie fasi di esecuzione dell’appalto.
In altri termini l’impresa aveva deciso autonomamente e
contra legem –vista la normativa di settore-, in assenza
di richiesta o autorizzazione dell’Amministrazione comunale
committente di effettuare lavori che esulavano dall’opus
appaltato.
La normativa in tema di opere pubbliche preclude –in via
generale– all’appaltatore la possibilità di operare con
tali modalità pur, se in ipotesi, al fine di realizzare
interventi caratterizzati da intrinseca utilità.
In siffatto modo l’art. 342, comma primo, della legge sui
lavori pubblici (all. F) 20.03.1865 n. 2248, applicabile
nella specie, impedisce in via generale all’appaltatore di
apportare “variazioni o addizioni di sorta al lavoro assunto
senza averne ricevuto l’ordine per iscritto dall’ingegnere
direttore”, ed in seguito si aggiunge che “mancando una tale
approvazione gli appaltatori non possono pretendere alcun
aumento di prezzo od indennità per le variazioni od
addizioni avvenute, e sono tenuti ad eseguire senza compenso
quelle riforme che in conseguenza l’Amministrazione credesse
opportuno di ordinare, oltre il risarcimento dei danni
recati”.
Nella stessa direzione l’art. 134 del d.P.R. 21.12.1999 n.
554 dispone che “nessuna variazione o addizione al progetto
approvato può essere introdotta dall’appaltatore se non è
disposta dal direttore dei lavori e preventivamente
approvata dalla stazione appaltante nel rispetto delle
condizioni e dei limiti indicati dal’art. 25 della legge. Il
mancato rispetto di tale disposizione non dà titolo al
pagamento dei lavori non autorizzati e comporta la
rimessione in pristino, a carico dell’appaltatore, dei
lavori e delle opere nella situazione originaria secondo le
disposizioni del direttore dei lavori”.
I regimi derogatori che si sono succeduti nel tempo non
hanno mai permesso la possibilità di variazioni unilaterali
dell’appaltatore, senza che questi ne avesse fatto riserva
(sulla necessità di una tempestiva iscrizione di riserva,
pena la decadenza del diritto al pagamento per i maggiori
costi delle opere eseguite e preclusione anche dell’azione
ai sensi dell’art. 2041 c.c.. cfr. Corte Cassazione 12.09.2003 n. 13440) o prescindendo dal coinvolgimento
della direzione dei lavori.
Il Giudice di Legittimità ha, pertanto, più volte ribadito
che “in materia di appalti l’onere dell’iscrizione nel
registro di contabilità (di cui al RD n. 350 del 1895)
condiziona la tutelabilità delle pretese dell’appaltatore
non accolte dalla committente PA in ordine alle partite di
lavoro eseguite": in termini C. Cass. Sez. I 4851/1997.
Vieppiù il Giudice di Legittimità ha statuito che “non è
poi esatto che l’appaltatore abbia l’onere di iscrivere la
riserva per maggiori compensi pretesi soltanto al momento
della scadenza contrattuale prevista …. In quanto dal
combinato disposto degli artt. 53 e 54 r.d. n. 350 del 1895…
si ricava la regola assoluta ed inderogabile che
l’appaltatore che richieda maggiori compensi, rimborsi o
indennizzi, per qualsiasi titolo e in relazione a qualsiasi
situazione nel corso dell’esecuzione dell’opera, è tenuto a
iscrivere nel registro di contabilità la riserva
“immediatamente” e quindi contestualmente all’insorgenza e
percezione del fatto dannoso.
Solo dal registro di contabilità è rilevabile l’incidenza
che le varie vicende potranno avere sui costi dell’appalto e
per il committente e per l’appaltatore”: cfr. Corte Cass., I
Sez. Civ. 07.10.2010 n. 20828.
Ove anche, come prospettato dalle parti convenute in ipotesi
fossero da considerare opere extracontrattuali, ai sensi
dell’art. 344 della l. 20.03.1865 n. 2248 all. F, era
necessario un nuovo impegno di spesa ed un autonomo
contratto, ad oggetto tipologie di opere e compensi
spettanti all’appaltatore, dovendo ricorrere, a pena di
nullità ed improduttività di effetti, un atto adottato
dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, il solo
legittimato a stipulare in nome e per conto di esso: in
termini Cass. I Sez. 28.02.2013 n. 5020.
Sicché vi è improponibilità della domanda ex art. 2041 c.c.
rivolta all’ente locale per opere e lavori commissionati
senza alcun previo impegno di spesa né copertura
finanziaria, come disposto dal previgente art. 23, comma
4, del D.L. 66 del 1989 convertito nella legge n. 144 del
1989 (norme più volte modificate ed infine cristallizzate
negli artt. 191 e 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, sempre in
armonia con il dettato dell’art. 23 D.L. 66/1989). La
improponibilità deriva dal fatto che le norme, impositive di
sole azioni dirette nei confronti del funzionario
deliberante, hanno fatto venir meno la necessaria
residualità dell’azione ex art. 2041 c.c. nei riguardi
dell’ente locale: cfr. Cass. 5020/2013 e 4216 del 2012).
Tanto ribadito in ordine al fatto causativo del danno
erariale e ritenuta la sussistenza del rapporto di servizio,
le parti convenute –apparato politico (i consiglieri
comunali, il sindaco e l’assessore comunale)- invocano la cd.
esimente politica, ai sensi dell’art. 1, comma 1–ter della
l. n. 20/1994, avendo gli stessi fatto affidamento
sull’istruttoria svolta dagli uffici tecnici comunali
competenti preposti al momento gestorio amministrativo.
Osserva il Collegio che la norma invocata dispone che “nel
caso di deliberazioni di organi collegiali la responsabilità
si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto
favorevole. Nel caso di atti che rientrano nella competenza
propria degli uffici tecnici o amministrativi la
responsabilità non si estende ai titolari degli organi
politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne
abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”.
Pertanto, ribadisce il Collegio, che l’atto dannoso, ossia
il riconoscimento del debito fuori bilancio, rientra tra le
competenze dell’organo politico (art. 194 d.lgs. 267/2000) e
non in quella propria dell’organo tecnico (che in ogni caso
è responsabile in quanto proponente).
Non si è trattato, quindi, di ratificare o approvare un atto
proprio di altro organo (tecnico), ma di adottare un atto di
riconoscimento di debito fuori bilancio, rientrante appieno
nella propria sfera di competenza e responsabilità.
L’aver autorizzato l’accollo della spesa risulta, pertanto,
decisione poco avveduta e assolutamente antigiuridica e, in
ordine al profilo psicologico, va sicuramente affermata la
colpa grave sia degli amministratori (rectius dell’apparato
politico), sia dei funzionari amministrativi che hanno
espresso parere favorevole all’adozione del provvedimento,
in quanto la normativa di riferimento era assolutamente
intellegibile, non sussistendo i presupposti per riconoscere
quanto richiesto (non essendo state avanzate riserve o
richieste di alcun genere sui lavori extracontratto per i
quali non era stata coinvolta la direzione dei lavori o
l’Amministrazione comunale): cfr. Corte conti Sez. III Centr.
12.05.2008 n. 161 e 27.12.2011 n. 888.
Pertanto va affermata la colpa grave degli odierni convenuti
in forza dei differenti ruoli rivestiti nell’ambito del
Comune e della palese erroneità dell’atto nell’ambito delle
rispettive competenze.
Il pagamento di lavori esulanti dal contratto, decisi in
piena autonomia dall’impresa senza coinvolgimento
dell’Amministrazione in mancanza della richiesta di
pagamento durante la loro effettuazione o l’apposizione di
riserve, determina una anomala richiesta di pagamento (a
distanza di cinque anni dall’ultimo pagamento afferenti al
lavori), e tale anomalia non poteva trovare “copertura”
attraverso il riconoscimento di un debito fuori bilancio.
L’adozione di un atto avente particolare rilievo finanziario
e contabile determina pertanto una più rilevante
responsabilità per il maggior rigore che avrebbero dovuto
avere i convenuti cui si imputa il 70% del danno
finanziario, ed in specie i sigg.ri Michele Bello, Enzo
Bianchi, Franco Dringoli, Giuseppe Fanfani e Valter
Tirannanzi.
Il sig. Giuseppe Fanfani, sindaco –e come tale organo di
sovrintendenza al funzionamento dei servizi e degli uffici-, ha espresso voto favorevole sulla delibera C.C. n. 147
del 26.07.2007 nonostante la palese violazione della
stessa per la normativa in tema di contrattualistica
pubblica, ed essendo o dovendo essere a conoscenza della non debenza del pagamento dei lavori dell’impresa a fronte dell’assenza di apposizioni di riserve: cfr. questa Sezione
617/2009.
Parimenti responsabile è il sig. Franco Dringoli, assessore
competente, per le medesime considerazioni mosse nei
confronti del sindaco, cioè per la violazione palese della
normativa in tema di contrattualistica pubblica, ma anche
per le sue attribuzioni specifiche in materia di lavori
pubblici.
Responsabile è anche il sig. Valter Tirinnanzi, direttore
dei lavori, che con comportamento gravemente omissivo non ha
vigilato adeguatamente sulla legittima esecuzione dei lavori
oggetto dell’appalto con specifica responsabilità nell’aver
consentito variazioni ed integrazioni al contratto approvato
dall’Amministrazione, ma anche per non aver rilevato la
tardività delle richieste.
Fondata appare anche la richiesta di condanna del sig. Enzo
Bianchi, responsabile dell’Area Servizi Infrastrutture che
ha avuto un ruolo rilevante nella formazione del
provvedimento contestato, poi sottoposto all’approvazione
del Consiglio Comunale.
Infine nel novero dei soggetti che hanno avuto un apporto
causale più rilevante nella causazione del danno (pari al
70% dello stesso) va anche ritenuto responsabile il
segretario comunale che aveva, ai sensi dell’art. 97 d.Lgs.
n. 267/2000, il dovere di esercitare compiti di “assistenza
giuridico amministrativa” ed era tenuto a segnalare
l’illegittimità di un atto palesemente in contrasto con i
principi in tema di contrattualistica pubblica, tanto più
che non vi era in atti alcuna controversia, giudiziaria o
stragiudiziale, che potesse indurre ad indirizzare verso una
decisione (il riconoscimento del debito fuori bilancio)
costituente un minor danno a fronte di ipotetici esborsi a
seguito della soccombenza in giudizio: in termini Sezione
giurisdizionale Regione Calabria n. 208/2006.
Tutti i soggetti con il loro comportamento hanno
contribuito, a parere del Collegio in pari misura,
all’assunzione di un onere finanziario da parte del Comune
in assenza di un obbligazione giuridicamente rilevante, non
rilevando (o non facendo rilevare) la incontestabile
esistenza della decadenza realizzata dall’impresa, ritenuta
l’assenza di riserve da parte dell’appaltatore.
Né rileva, ai fini della individuazione delle
responsabilità, l’argomentazione difensiva secondo cui
l’inosservanza della prescritte procedure sarebbe dovuta
alla “extracontrattualità” dei lavori eseguiti, atteso che
non viene contestato che questi non fossero compresi nel
contratto, ma che essi, benché connessi e strumentali a
quelli appaltati, siano stati pagati con procedura
irregolare: cfr. questa Sezione 16.11.2009 n. 617
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Toscana,
sentenza
17.06.2013 n. 206). |
APPALTI: I pagamenti della Pa. A ogni creditore va indicata la somma
da pagare e i tempi del versamento – Verifica retrodatata
sul Durc
Debiti da comunicare al 30 giugno.
Sanzione di 100 euro al giorno e taglio degli «incentivi»
per chi non adempie.
IL «FILTRO»/
La norma non disciplina i controlli sulla fedeltà fiscale
previsti dal Dpr 602/1973 che possono bloccare il pagamento
all'impresa.
L'accertamento della regolarità contributiva in caso di
pagamento dei debiti pregressi della Pubblica
Amministrazione deve essere effettuato con riferimento alla
data di emissione della fattura o del documento equivalente.
La disposizione in questione, contenuta nella legge di
conversione del decreto «sblocca-debiti» (Dl 35/2013
convertito con modificazioni nella legge 64/2013) integra le
misure volte a favorire l'assolvimento delle obbligazioni
pregresse da parte di Comuni e Province, ai quali vengono
accordati importanti spazi finanziari per il calcolo dei
saldi del Patto di stabilità interno e rilevanti
anticipazioni di cassa al fine di allentare le tensioni di
liquidità.
Numerosi sono però gli oneri imposti agli enti locali e le
sanzioni che vengono disposte in caso di inadempimento o
ritardo.
Tra le scadenze fissate dalla legge, occorre ricordare
quella del 30 giugno, data entro la quale scatta l'obbligo
di comunicare ai creditori, tramite Pec, l'importo e la data
di pagamento delle somme maturate al 31.12.2012;
l'omessa comunicazione rileva ai fini della responsabilità
per danno erariale a carico del responsabile dell'ufficio
competente.
La comunicazione deve essere sottoscritta dal dirigente
incaricato con firma elettronica o digitale idonea a
garantirne l'integrità e immodificabilità e deve essere
pubblicata, entro il 5 luglio, nel sito internet dell'ente,
per ordine cronologico di emissione della fattura o della
richiesta equivalente di pagamento.
La mancata pubblicazione è rilevante ai fini della
misurazione e della valutazione della performance
individuale dei dirigenti, che sono inoltre assoggettati ad
una sanzione pecuniaria pari a 100 euro per ogni giorno di
ritardo nella certificazione del credito.
L'indicazione dell'importo e scadenza del credito non sempre
però è possibile; la comunicazione deve infatti essere
riferita a tutti i debiti previsti dal primo comma
dell'articolo 1 del decreto, cioè anche ai debiti in conto
capitale per i quali sia stata emessa fattura o richiesta
equivalente di pagamento, ma che non risultano ancora
liquidati al 30.06.2013.
Oltre alla verifica contributiva (Durc) è infatti
indispensabile, in sede di liquidazione del credito,
effettuare una serie di altre verifiche, quali, ad esempio,
il corretto assolvimento da parte dei fornitori delle
obbligazioni contrattuali o del pagamento di eventuali
subappaltatori, l'assenza di morosità fiscali, di sequestri
conservativi o pignoramenti presso terzi.
Se, da un lato, il Legislatore ha provveduto a far
retroagire l' obbligo di accertamento contributivo alla data
di emissione del documento fiscale, dall'altro nulla dice in
merito agli adempimenti di cui all'articolo 48-bis del Dpr
602/1973, in base al quale le amministrazioni pubbliche sono
tenute a verificare, per tutti i i pagamenti di importo
superiore a diecimila euro, l'assenza in capo al creditore
di inadempienze derivanti dalla notifica di cartelle di
pagamento scadute.
Al fine di poter ottemperare agli obblighi di legge, si
ritiene indispensabile effettuare la comunicazione al
creditore anche in assenza di elementi certi, provvedendo
tuttavia a descrivere eventualmente le cause per le quali
non si può procedere al pagamento.
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Doppia verifica
01 | DURC
Il controllo della regolarità contributiva va effettuato in
relazione alla data della fattura, e non a quella del
pagamento
02 | FILTRO FISCALE
Per pagamenti sopra i 10mila euro, è obbligatoria la
verifica della fedeltà fiscale del creditore, perché se
esistono cartelle almeno di pari importo il pagamento va
bloccato. La norma è in vigore, e lo «sblocca-debiti» non
dispone nulla al riguardo, per cui nella comunicazione vanno
indicati gli eventuali ostacoli al pagamento (articolo Il
Sole 24 Ore del 17.06.2013). |
APPALTI FORNITURE: Tra
amministrazioni per le forniture serve la gara pubblica.
LE INDICAZIONI/
Qualificata la fattispecie come appalto e considerata
inapplicabile l'eccezione dell'affidamento in house.
Il principio della gara pubblica per la fornitura di beni e
servizi vale anche per i contratti tra pubbliche
amministrazioni.
Lo ha ribadito la Corte di Giustizia
dell'Unione europea in relazione a un caso pendente davanti
a una corte tedesca riguardante un appalto di servizi tra
enti territoriali (sentenza 13.06.2013 n. C-386/11).
Il
distretto di Düren, che raggruppa una pluralità di comuni,
decide di affidare senza gara alla città di Düren la pulizia
dei propri uffici ubicati nel territorio di quest'ultima per
un periodo di due anni. Il contratto prevede un
corrispettivo per le spese sostenute da quest'ultimo
commisurato a un'aliquota di tariffa oraria. Inoltre, il
distretto si riserva una facoltà di controllo sull'attività
commissionata e il diritto di recesso.
Una società privata operante nel settore delle pulizie
propone un ricorso per vietare la stipula di un siffatto
contratto per due ragioni: l'oggetto dell'appalto si
riferisce in realtà ad attività che possono essere offerte
sul mercato da operatori privati; non si tratta di un
affidamento in house sottratto alla normativa sugli appalti
pubblici. Risultata soccombente in primo grado, la società
propone appello e il giudice investe la Corte di giustizia
in via pregiudiziale per ottenere un chiarimento
sull'applicabilità della Direttiva 2004/18.
La Corte di giustizia conclude per l'applicazione del
principio della gara, pur trattandosi di un contratto tra
pubbliche amministrazioni, con una pluralità di argomenti.
In primo luogo, il contratto in questione va qualificato
come un appalto pubblico di servizi (articolo 1, paragrafo
2, lett. d), della direttiva 2004/18). Infatti i servizi di
pulizia rientrano nell'elenco dei servizi inclusi nella
direttiva (All. II A). Non si tratta cioè di una
cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire
l'adempimento di una funzione di pubblico servizio sottratta
alla normativa europea.
In secondo luogo, non opera neppure l'eccezione
dell'affidamento in house, sul quale si è formata ormai
un'ampia giurisprudenza europea (a partire dalla sentenza
Teckal della Corte di Giustizia 18.11.1999 in
C-107/98) e nazionale. Infatti, per assolvere al requisito
del «controllo analogo», cioè dell'influenza penetrante
dell'ente affidante rispetto all'affidatario tale da
considerare quest'ultimo come un'articolazione organizzativa
del primo, non basta una semplice clausola contrattuale che
riserva al distretto un controllo sull'esecuzione del
contratto.
In definitiva, in una fase nella quale si sollecitano le
amministrazioni a cooperare e a razionalizzare la politica
degli acquisti di beni e servizi, l'affidamento diretto non
è lo strumento più idoneo. Ma, volendo, il Codice dei
contratti pubblici prevede altri mezzi per farlo, come le
centrali di committenza che consentono alle stazioni
appaltanti anche di associarsi e di consorziarsi
(articolo Il Sole 24 Ore del 06.07.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Illegittimi gli albi regionali dei collaudatori.
La corte bacchetta il Piemonte: nessun privilegio per i
dipendenti.
Costituzionalmente illegittima la creazione di un «albo
regionale dei collaudatori», con privilegio nella sua
gestione per i dipendenti pubblici regionali. La fissazione
di regole di accesso ai collaudi, che di fatto impediscono
ai liberi professionisti di svolgere il servizio, contrasta
con la normativa contenuta nel codice dei contratti e con le
norme costituzionale in tema di potestà legislativa in
materia di ordinamento civile e tutela della concorrenza.
La Corte costituzionale, con la
sentenza 13.06.2013 n.
137 bolla di incostituzionalità l'articolo 47, commi da 1 a
9, della legge della regione Piemonte 04.05.2012, n. 5,
che aveva creato una disciplina regionale sull'affidamento
dei servizi di collaudo fortemente in contrasto con le
disposizioni del dlgs 163/2006, fondandosi ancora su una
malintesa potestà legislativa in tema di appalti che le
regioni insistono a ritenere di possedere, nonostante una
costante giurisprudenza della Consulta, a partire dal 2007,
abbia circoscritto in termini molto restrittivi l'estensione
del potere normativo regionale.
L'articolo 47 della legge regionale dichiarato
incostituzionale aveva costruito, in Piemonte, un vero e
proprio sistema «parallelo» a quello del codice dei
contratti, per l'assegnazione degli incarichi di collaudo.
Infatti, prevedeva che in prima battuta essi fossero
affidati a dipendenti della regione iscritti in un elenco
appositamente predisposto. Solo in mancanza di dipendenti
idonei la norma incostituzionale consentiva alla regione di
affidare i collaudi con procedure ad evidenza pubblica a
soggetti esterni, ma in questo caso essi potevano anche non
essere iscritti ad albi di collaudatori, a condizione che i
provvedimenti indicassero le ragioni di tale scelte; infine,
ancora, i collaudi potevano essere affidati a una
commissione composta di massimo tre membri; in tali casi,
l'appalto di servizio avrebbe potuto essere conferito col
criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Infine, la norma demandava a un regolamento regionale il
compito di disciplinare ulteriori aspetti organizzativi,
economici e gestionali per la tenuta degli albi dei
collaudatori, definendo le categorie di opere e lavori per i
quali era possibile chiedere l'iscrizione all'albo per
l'effettuazione dei collaudi, i criteri e le modalità per le
iscrizioni negli albi, i compensi dei collaudatori e le
modalità per l'affidamento dell'incarico, fissando anche
alcune incompatibilità a svolgere il compito di
collaudatore.
Un insieme di disposizioni vistosamente incidenti
sull'ordinamento civilistico, tendenti, nella sostanza, a
introdurre vincoli allo svolgimento della professione,
creando in provetta un sistema regionale chiuso di
collaudatori, per altro caratterizzato da modalità di
affidamento molto divergenti da quelle previste dal codice
dei contratti.
Sicché, la norma della regione Piemonte non ha superato il
vaglio della costituzionalità. Infatti, ricorda la Consulta,
le norme riguardanti la fase privatistica dell'esecuzione
del contratto rientrano nella materia dell'ordinamento
civile, di competenza esclusiva del legislatore statale, a
eccezione delle sole disposizioni di tipo meramente
organizzativo o contabile, principio peraltro sottolineato
proprio con riferimento all'attività di collaudo con la
sentenza 431/2007.
La norma regionale piemontese non si è limitata a regolare
aspetti meramente organizzativi dell'attività di collaudo,
ma si è spinta a regolare la scelta dei collaudatori, a
fissarne il compenso e perfino a consentire di selezionare
collaudatori non inseriti nell'albo apposito. In tal modo,
la legge regionale si è posta in contrasto con l'articolo
117, comma 2, lettere e) (tutela della concorrenza) e l)
(potestà legislativa esclusiva dello Stato in tema di
ordinamento civile), della Costituzione
(articolo ItaliaOggi del 14.06.2013). |
APPALTI:
Contratti pubblici: un "vademecum" per le
amministrazioni.
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha
approvato, nel corso dell’ultima riunione, le
linee guida in materia di trasparenza
e pubblicità degli appalti pubblici (13.06.2013). Una
sorta di vademecum -predisposto da Itaca (Istituto per
l’innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità
ambientale) ed elaborato da uno specifico gruppo di lavoro
interregionale coordinato dalla Regione Friuli-Venezia
Giulia– che fornisce una ricognizione puntuale delle norme
vigenti in materia di pubblicità e di trasparenza sui
contratti pubblici, anche alla luce della produzione
normativa intervenuta di recente.
La normativa sulla trasparenza, pubblicità e monitoraggio
delle fasi degli appalti comporta adempimenti che ogni
stazione appaltante è chiamata quotidianamente a svolgere e
presuppone l’esistenza di strutture capaci di reggere
l’impatto delle costanti innovazioni normative e
tecnologiche. La complessità e la frammentarietà degli
argomenti è però tale da rendere spesso particolarmente
difficoltoso l’operato del singolo funzionario.
Proprio per far fronte alle difficoltà operative delle
amministrazioni aggiudicatrici è stata predisposta questa
guida operativa che costituisce un utile strumento di lavoro
per coloro che a vario titolo seguono la disciplina degli
appalti (13.06.2013 - tratto da www.regioni.it).
---------------
INTRODUZIONE - Il presente documento si propone lo scopo di
effettuare –in considerazione della cospicua produzione
normativa recentemente emersa– una ricognizione delle norme
vigenti in materia di pubblicità e di trasparenza, con
particolare riferimento all’ambito dei contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture, nonché di fornire (anche
attraverso l’elaborazione di alcuni schemi sintetici e
sinottici) uno strumento operativo che possa essere utile
alle stazioni appaltanti tenute ad applicare il D.Lgs.
12.04.2006, n. 163, recante il “Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”
(testo normativo che d’ora in poi verrà indicato, per
brevità, anche semplicemente come Codice).
Più in particolare, alla luce dell’ampia produzione
normativa sul tema della trasparenza amministrativa –e
considerato il possibile “disorientamento” che tale
recente normazione può comportare sulle stazioni appaltanti
soggette all’adempimento dei nuovi obblighi– appare
importante chiarire in quale modo le nuove norme vadano ad
impattare (spesso sovrapponendosi ed aggiungendosi) rispetto
agli obblighi di pubblicità già vigenti in materia di
affidamento dei contratti pubblici d’appalto.
In via più generale, si può notare come la pubblicità e la
trasparenza dell’attività amministrativa siano due principi
distinti, benché indissolubilmente legati tra loro anche
negli appalti: a riprova di ciò, si noti come già l’art. 2,
comma 1 del Codice dispone espressamente che: “L'affidamento
e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e
forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la
qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei
principi di … trasparenza … nonché quello di pubblicità con
le modalità indicate nel presente codice”.
Oltre a ciò, l’art. 11 del D.Lgs. 27.10.2009, n. 150 nonché,
più di recente, l’art. 1, comma 15, della Legge 06.11.2012,
n. 190, (c.d. legge anticorruzione) hanno definito la
trasparenza dell’attività amministrativa come livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e
civili ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m), della
Costituzione, facendola così assurgere a vero e proprio
valore di rango costituzionale.
Da ultimo, l’articolo 1, comma 1, del D.lgs. 14.03.2013, n.
33, (Amministrazione trasparente) stabilisce che la
trasparenza deve essere intesa come “accessibilità totale
delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività
delle pubbliche amministrazioni, alla scopo di favorire
forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni
istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
In tale contesto, appare utile procedere ad una ricognizione
degli obblighi attualmente vigenti in materia di trasparenza
e di pubblicità, con particolare riferimento ai procedimenti
di scelta del contraente per l’affidamento di lavori,
forniture e servizi (che costituiscono diretta attuazione
dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità), al
fine di distinguere gli adempimenti che attengono alla sfera
della trasparenza da quelli che concernono l’ambito della
pubblicità, con conseguente evidenziazione delle specifiche
applicative.
Mentre, infatti, la trasparenza –in conformità a quanto
disposto all’art. 1, comma 15, della citata L. n. 190/2012–
deve essere assicurata mediante la pubblicazione di una
serie di dati all’interno dei siti internet istituzionali
delle pubbliche amministrazioni, in formato aperto e
facilmente Linee guida ITACA – Trasparenza e pubblicità:
analisi dei nuovi obblighi e del loro impatto
sull’affidamento dei contratti pubblici d’appalto
elaborabile da chiunque vi abbia interesse, gli adempimenti
in materia di pubblicità nell’ambito delle procedure ad
evidenza pubblica vanno assolti attraverso la pubblicazione
di documenti, redatti in formato chiuso, sul profilo di
committente della stazione appaltante, ovvero secondo le
specifiche modalità di volta in volta individuate dalla
norma richiamata (cfr. Gazzetta ufficiale…).
Ed è proprio tale analisi che ITACA si è impegnata ad
effettuare attraverso la costituzione di un Gruppo di lavoro
a ciò dedicato “Trasparenza e pubblicità nei contratti
pubblici” del quale fanno parte:
- step 1. Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia: dott.ssa
Cristiana Bobbio, dott.ssa Diana Luddi, dott.ssa Gabriella
Pasquale (Coordinatrice);
- step 2. Regione Emilia-Romagna: ing. Massimo Cataldi (NQ);
- step 3. Regione Toscana: dott.ssa Ivana Malvaso, dott.
Andrea Bertocchini, dr.ssa Michela Megli;
- step 4. Regione Umbria: avv. Ilenia Filippetti, dott.
Guido Maraspin;
- step 5. Regione Veneto: dott.ssa Maria Grazia Bortolin. |
APPALTI:
CONTRATTO PUBBLICO DI APPALTO IN MODALITÀ ELETTRONICA E
PROBLEMATICHE INTERPRETATIVE ED OPERATIVE - INFORMATIVA SUL
TAVOLO TECNICO E PROPOSTA DI EMENDAMENTO DEL COMMA 4,
ARTICOLO 6, D.L. 179/2012 (CONVERTITO IN L. 221/2012)
(Conferenza delle Regioni e delle Province autonome,
ordine del giorno 13.06.2013). |
APPALTI SERVIZI:
Convenzione per la gestione e manutenzione degli spazi verdi
del Comune.
La convenzione per lo svolgimento di
attività a favore del Comune da parte di un'associazione di
volontariato e un eventuale contributo alla medesima non
possono essere correlati tra loro, pena la qualificazione di
'corrispettivo' del contributo stesso, esclusa dalla vigente
normativa.
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Il Comune chiede un parere in ordine alla possibilità di
affidare la gestione e manutenzione degli spazi verdi di
proprietà comunale al gruppo locale Alpini, a fronte di un
contributo annuo.
L'articolo 4, commi 6, 7 e 8 del decreto legge 06.07.2012,
n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge
07.08.2012, n. 135, ha disciplinato, fra l'altro, alcuni
aspetti degli affidamenti delle pubbliche amministrazioni
per l'acquisizione di beni e servizi, anche mediante
convenzioni stipulate con le associazioni di volontariato.
In particolare, il comma 6 dispone che a decorrere dal
01.01.2013 le pubbliche amministrazioni, di cui al
l'articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, possono
acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo da enti
di diritto privato, anche mediante convenzioni, unicamente
tramite le procedure previste dalla normativa nazionale in
conformità con quella comunitaria. Gli enti
di diritto privato di cui agli artt. da 13 a 42 del codice
civile (società, associazioni, fondazioni e comitati) che
forniscono servizi all'amministrazione anche a titolo
gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle
finanze pubbliche. Restano escluse da tale disposizione le
fondazioni istituite con la finalità di promuovere lo
sviluppo tecnologico e l'alta formazione tecnologica, gli
enti operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e
dei beni ed attività culturali, dell'istruzione e della
formazione, le associazioni di promozione sociale, gli enti
di volontariato
(di cui alla l. 266/1991 'Legge quadro sul volontariato'),
le organizzazioni non governative, le cooperative
sociali, le associazioni sportive dilettantistiche nonché le
associazioni rappresentative, di coordinamento e supporto
degli enti territoriali e locali.
Il comma 7, al fine di evitare distorsioni della concorrenza
e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel
territorio nazionale, sancisce che, a decorrere dal
01.01.2014, i soggetti ivi contemplati, fra cui le pubbliche
amministrazioni indicate al comma precedente, devono
acquisire sul mercato i beni e servizi strumentali alla
propria attività, mediante le procedure concorrenziali
previste dal codice appalti. E' consentita l'acquisizione in
via diretta di beni e servizi tramite convenzioni realizzate
con le associazioni di promozione sociale, iscritte negli
specifici registri, le organizzazioni di volontariato
iscritte negli specifici registri, le associazioni sportive
dilettantistiche, le cooperative sociali, ai sensi delle
vigenti normative nonché le convenzioni siglate con le
organizzazioni non governative per le acquisizioni di beni e
servizi realizzate negli ambiti di attività cooperazione
allo sviluppo, previste della vigenti disposizioni.
Il comma 8 prevede che dal 01.01.2014 l'affidamento diretto
può avvenire solo a favore di società a capitale interamente
pubblico nel rispetto della normativa comunitaria per la
gestione in house, a condizione che il valore
economico del servizio o dei beni oggetto di affidamento sia
pari o inferiore a 200.000 euro annui. Sono
fatti salvi gli
affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque
fino al 31.12.2014 e le acquisizioni in via
diretta di beni e servizi il cui valore complessivo sia pari
o inferiore a 200.000 euro in favore delle associazioni di
promozione sociale, degli enti di volontariato, delle
associazioni sportive dilettantistiche, delle organizzazioni
non governative e delle cooperative sociali.
Con riferimento alla fattispecie in commento, sarà dunque
preventivamente necessario accertare la natura di 'organizzazione
di volontariato' dell'associazione nazionale alpini
[1] con la
quale il Comune instante intende sottoscrivere la
convenzione e verificare che la stessa risulti iscritta da
almeno sei mesi nell'apposito registro. Infatti, tanto in
virtù delle summenzionate norme statali, quanto ai sensi
dell'articolo 14 della legge regionale 09.11.2012, n. 23,
recante 'Disciplina organica sul volontariato e sulle
associazioni di promozione sociale e norme
sull'associazionismo', l'iscrizione nel registro ivi
indicato è considerata un requisito essenziale per la
stipula di convenzioni, tanto con la Regione e con gli enti
e le aziende regionali, quanto con gli enti locali.
Una volta accertata la sussistenza dei requisiti prescritti
dalla citata normativa e appurato il rispetto delle
disposizioni di cui all'articolo 14, lr 23/2012, ovvero che
le attività oggetto della convenzione rientrano tra quelle
indicate al comma 1 [2],
e che gli interventi richiesti rientrano nel settore in cui
l'organizzazione opera principalmente [comma 5, lett. a)],
si potrà procedere alla stipula della convenzione in
argomento.
Diversa questione concerne, invece, la possibilità di
erogare un contributo annuo all'associazione e di collegarlo
all'attività svolta in convenzione.
Infatti, l'articolo 14, comma 4, della lr 23/2012 dispone
che l'attività prevista in convenzione sia svolta secondo le
finalità e i principi di cui agli articoli 2, 3 e 4 della
legge 11.08.1991, n. 266. Si osserva, in particolare che i
predetti articoli, con riferimento alle organizzazioni di
volontariato, prevedono espressamente l'assenza di fini di
lucro, escludono la possibilità che l'attività dei volontari
venga retribuita; il successivo articolo 5, indica tra le
risorse economiche dell'organizzazione esclusivamente
contributi, donazioni e lasciti ricevuti, e rimborsi
derivanti da convenzioni.
Inoltre, con riferimento al comma 3 del citato art. 14, lr
23/2012, si osserva che tra gli elementi regolati dalle
convenzioni non figurano in alcun modo proventi aventi
natura di corrispettivo bensì, sub lettera a) 'il
contenuto dell'intervento volontario e gratuito, nonché le
modalità di svolgimento delle prestazioni che formano
oggetto della convenzione' e sub lettera g) 'le
modalità di erogazione, di rendicontazione, i rapporti
finanziari, la tipologia delle spese ammissibili a rimborso,
comprensive della copertura assicurativa a carico dell'ente
e i tempi per il rimborso'.
Si ritiene, dunque, che la convenzione per
lo svolgimento delle attività indicate in premessa e un
eventuale contributo all'associazione non possano essere
correlati, pena la qualificazione di 'corrispettivo'
del contributo stesso, esclusa, come ampiamente illustrato,
dalle norme sopra riportate.
Per quanto concerne, invece, il diverso profilo
dell'assegnazione di contributi al gruppo Alpini (non
correlati con la convenzione stipulata), si rileva che, ai
sensi del sopra richiamato articolo 4, comma 6, del DL
95/2012, il divieto di erogare contributi ivi contemplato
non opera nei confronti degli enti di volontariato.
Tuttavia le modalità di erogazione di un contributo
all'associazione de qua dovranno rispettare le
prescrizioni di cui all'articolo 12 della legge 07.08.1990,
n. 241, ai sensi del quale: '1. La concessione di
sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e
l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a
persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla
predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri
e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono
attenersi.
2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di
cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti
relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1.'.
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[1] Il gruppo Alpini è solitamente inteso come
un'associazione apartitica che si propone di:
a) tenere vive e tramandare le tradizioni degli Alpini, difenderne
le caratteristiche;
b) rafforzare tra gli Alpini di qualsiasi grado e condizione i
vincoli di fratellanza nati dall'adempimento del comune
dovere verso la Patria;
c) promuovere e favorire lo studio dei problemi della montagna e
del rispetto dell'ambiente naturale;
d) promuovere e concorrere in attività di volontariato.
Per il conseguimento degli scopi associativi il gruppo
Alpini, in genere, non ha scopo di lucro, si avvale in modo
determinante e prevalente delle prestazioni personali,
volontarie e gratuite dei propri soci.
[2] Il comma 1 dell'art. 14 recita: 'In attuazione del
principio di sussidiarietà e per promuovere forme di
amministrazione condivisa, le organizzazioni di volontariato
iscritte nel Registro da almeno sei mesi possono stipulare
convenzioni con la Regione, gli enti e aziende il cui
ordinamento è disciplinato dalla Regione e gli enti locali
per lo svolgimento di:
a) attività e servizi assunti integralmente in proprio;
b) attività innovative e sperimentali;
c) attività integrative complementari o di supporto a servizi
pubblici;
d) attività frutto di co-progettazione tra organizzazioni ed enti
pubblici.'
(13.06.2013
- link a www.regione.fvg.it). |
APPALTI:
a) nelle gare pubbliche, la formula da utilizzare
per la valutazione dell’offerta economica può essere scelta
dall’amministrazione con ampia discrezionalità e di
conseguenza la stazione appaltante dispone di ampi margini
nella determinazione dei criteri da porre quale riferimento
per l’individuazione dell’offerta economicamente più
vantaggiosa nonché nella individuazione delle formule
matematiche;
b) nella scelta dei criteri di valutazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa sono connaturati i seguenti
limiti:
I) i criteri devono essere coerenti, con le prestazioni che formano
oggetto specifico dell’appalto e essere pertinenti alla
natura, all’oggetto e al contenuto del contratto;
II) in base all’art. 83, co. 1, d.lgs. 163/2006, il criterio
selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa impone
alla stazione appaltante di determinare nella legge di gara
i criteri di valutazione dell’offerta «pertinenti alla
natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto»;
III) una volta optato per un determinato sistema (quale l’offerta
economicamente più vantaggiosa) il quale riconosce adeguato
rilievo alla componente-prezzo nell’ambito della dinamica
complessiva dell’offerta, è poi illegittimo l’operato
dell’amministrazione la quale fissi regole di gara tali da
annullare il rilievo dell’offerta economica nell’economia
complessiva dei fattori idonei a determinare
l’aggiudicazione;
c) le posizioni soggettive delle imprese coinvolte nella
procedura sono pacificamente qualificabili in termini di
interesse legittimo ed è altrettanto assodato che le
relative controversie non rientrano nel novero delle
tassative ed eccezionali ipotesi di giurisdizione di merito
sancite oggi dall’art. 134 c.p.a.;
d) il sindacato giurisdizionale nei confronti di tali
scelte, tipica espressione di discrezionalità
tecnico-amministrativa, è consentito unicamente in casi di
abnormità, sviamento e manifesta illogicità; premesso che a
seguito della storica decisione di questo Consiglio, è
pacifico che il controllo sugli apprezzamenti tecnici
dell’amministrazione possa svolgersi attraverso la verifica
diretta dell’attendibilità delle operazioni compiute da
quest’ultima, sotto il profilo della loro correttezza quanto
a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, è
necessario precisare che tale riscontro esigibile dal
giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve
essere svolto extrinsecus, nei limiti della rilevabilità
ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto
ad accertare il ricorrere di seri indici di invalidità e non
alla sostituzione dell’amministrazione; la sostituzione, da
parte del giudice amministrativo, della propria valutazione
a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione
costituisce ipotesi di sconfinamento vietato della
giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla
p.a., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una
pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area
dell’annullamento dell’atto; in base al principio di
separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento
costituzionale, solo l’amministrazione è in grado di
apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico
affidato dalla legge alle sue cure, conseguentemente, il
sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali:
I) deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica
della non pretestuosità della valutazione degli elementi di
fatto acquisiti;
II) non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera
non condivisibilità della valutazione stessa;
III) deve tenere distinti i profili meramente accertativi da quelli
valutativi (a più alto tasso di opinabilità) rimessi
all’organo amministrativo, potendo esercitare più penetranti
controlli, anche mediante c.t.u. o verificazione, solo avuto
riguardo ai primi.
Ritenuto, circa l’ambito della discrezionalità esercitabile dalla
stazione appaltante nell’individuare i criteri e sub criteri
(con i relativi punteggi) indispensabili per selezionare
l’offerta economicamente più vantaggiosa, la natura delle
posizioni soggettive coinvolte e il sindacato esercitabile
dal giudice amministrativo su tali scelte nell’ambito del
quadro ordinamentale e processuale nazionale, che il
collegio non intende decampare dai consolidati principi
elaborati dalla giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. V, 18.02.2013, n. 978; sez. V, 10.01.2013, n. 88; sez.
V, 27.06.2012, n. 3781, cui si rinvia a mente del
combinato disposto degli artt. 74, co. 1, 88, co. 2, lett.
d), e 120, co. 10, c.p.a.), in forza dei quali:
a) nelle gare pubbliche, la formula da utilizzare per la
valutazione dell’offerta economica può essere scelta
dall’amministrazione con ampia discrezionalità e di
conseguenza la stazione appaltante dispone di ampi margini
nella determinazione dei criteri da porre quale riferimento
per l’individuazione dell’offerta economicamente più
vantaggiosa nonché nella individuazione delle formule
matematiche;
b) nella scelta dei criteri di valutazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa sono connaturati i seguenti
limiti:
I) i criteri devono essere coerenti, con le prestazioni che
formano oggetto specifico dell’appalto e essere pertinenti
alla natura, all’oggetto e al contenuto del contratto;
II) in base all’art. 83, co. 1, d.lgs. 163/2006, il criterio
selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa impone
alla stazione appaltante di determinare nella legge di gara
i criteri di valutazione dell’offerta «pertinenti alla
natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto»;
III) una volta optato per un determinato sistema (quale
l’offerta economicamente più vantaggiosa) il quale riconosce
adeguato rilievo alla componente-prezzo nell’ambito della
dinamica complessiva dell’offerta, è poi illegittimo
l’operato dell’amministrazione la quale fissi regole di gara
tali da annullare il rilievo dell’offerta economica
nell’economia complessiva dei fattori idonei a determinare
l’aggiudicazione;
c) le posizioni soggettive delle imprese coinvolte nella
procedura sono pacificamente qualificabili in termini di
interesse legittimo ed è altrettanto assodato che le
relative controversie non rientrano nel novero delle
tassative ed eccezionali ipotesi di giurisdizione di merito
sancite oggi dall’art. 134 c.p.a. (cfr., sotto l’egida della
precedente normativa, identica in parte qua, Cons. St., ad. plen.,
09.01.2002, n. 1);
d) il sindacato giurisdizionale nei confronti di tali
scelte, tipica espressione di discrezionalità
tecnico-amministrativa, è consentito unicamente in casi di
abnormità, sviamento e manifesta illogicità; premesso che a
seguito della storica decisione di questo Consiglio (cfr.
sez. IV, 09.04.1999, n. 601), è pacifico che il controllo
sugli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione possa
svolgersi attraverso la verifica diretta dell’attendibilità
delle operazioni compiute da quest’ultima, sotto il profilo
della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a
procedimento applicativo, è necessario precisare che tale
riscontro esigibile dal giudice amministrativo sulle
valutazioni discrezionali deve essere svolto extrinsecus,
nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei vizi di
legittimità dedotti, essendo diretto ad accertare il
ricorrere di seri indici di invalidità e non alla
sostituzione dell’amministrazione; la sostituzione, da parte
del giudice amministrativo, della propria valutazione a
quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione
costituisce ipotesi di sconfinamento vietato della
giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla
p.a., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una
pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area
dell’annullamento dell’atto; in base al principio di
separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento
costituzionale, solo l’amministrazione è in grado di
apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico
affidato dalla legge alle sue cure, conseguentemente, il
sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali:
I) deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della
verifica della non pretestuosità della valutazione degli
elementi di fatto acquisiti;
II) non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare
la mera non condivisibilità della valutazione stessa;
III) deve tenere distinti i profili meramente accertativi da
quelli valutativi (a più alto tasso di opinabilità) rimessi
all’organo amministrativo, potendo esercitare più penetranti
controlli, anche mediante c.t.u. o verificazione, solo avuto
riguardo ai primi (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.06.2013 n. 3239 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Condensa
e infiltrazioni in casa? Il costruttore è tenuto a risarcire
il danno derivante da difetti e carenze!
L’impresa è responsabile di tutti i difetti di costruzione,
anche di quelli più piccoli.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sez. II
civile, con la
sentenza 11.06.2013 n. 14650, precisando che la
responsabilità del costruttore vale anche per i difetti di
piccola portata e non solo per quelli in grado di incidere
sulla staticità dell’edificio.
Nel caso in esame un condominio aveva citato in giudizio il
costruttore per alcuni difetti nell’immobile acquistato tra
cui infiltrazioni in corrispondenza degli infissi, distacco
dell’intonaco circostante, condensa dovuta a ponti termici
dovuti alla composizione non omogenea della parete esterna
in cemento e laterizio.
Il Tribunale ordinario aveva accolto la richiesta,
condannando il costruttore al pagamento di 71.000 euro a
titolo di risarcimento.
La Corte d’Appello aveva ribaltato la sentenza sostenendo
che il risarcimento sarebbe stato possibile solo per difetti
costruttivi così gravi da incidere sulle componenti
essenziali dell’opera in modo da pregiudicarne la normale
utilità.
A detta della Cassazione, invece, per agire contro il
costruttore è sufficiente qualsiasi alterazione incidente
sulla struttura e sulla funzionalità dell’edificio che ne
pregiudichi il godimento in misura apprezzabile e l’impiego
duraturo cui è destinato.
Tra i gravi difetti di cui il costruttore è chiamato a
rispondere, sostengono i giudici di legittimità, rientrano
anche le infiltrazioni di acqua dovute a carenze
dell’impermeabilizzazione che possono essere eliminate con
interventi di manutenzione ordinaria
(27.06.2013 - link a www.acca.it). |
APPALTI:
Non sussiste l'onere di
immediata impugnazione delle clausole del bando di gara che
non impediscano la partecipazione, o non risultino
manifestamente incomprensibili o sproporzionate rispetto ai
contenuti della procedura concorsuale, manifestando
un'efficacia lesiva solo a seguito dell'espletamento della
gara e mediante l'applicazione che ne faccia
l'Amministrazione.
Per esse, infatti, vale il principio della loro impugnazione
unitamente agli atti che ne costituiscono specifica
attuazione, dal momento che sono questi ultimi ad
identificare in concreto il soggetto interessato ed a
rendere attuale la lesione della sua sfera giuridica.
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La presentazione della domanda di partecipazione ad una
procedura concorsuale non implica certamente di per sé
acquiescenza alle clausole del relativo bando, le quali anzi
possono di regola essere impugnate solo dopo avere
concretamente dimostrato, non solo la volontà di partecipare
alla procedura selettiva, ma anche la lesione attuale e
concreta dell'interesse legittimo azionato considerato,
d'altro canto, che la presentazione della domanda è un atto
normalmente necessario proprio per radicare l'interesse al
ricorso.
Ed invero, è pacifico insegnamento giurisprudenziale quello per cui
non sussiste l'onere di immediata impugnazione delle
clausole del bando di gara che non impediscano la
partecipazione, o non risultino manifestamente
incomprensibili o sproporzionate rispetto ai contenuti della
procedura concorsuale, manifestando un'efficacia lesiva solo
a seguito dell'espletamento della gara e mediante
l'applicazione che ne faccia l'Amministrazione.
Per esse, infatti, vale il principio della loro impugnazione
unitamente agli atti che ne costituiscono specifica
attuazione, dal momento che sono questi ultimi ad
identificare in concreto il soggetto interessato ed a
rendere attuale la lesione della sua sfera giuridica (cfr.
da ultimo Cons. Stato, Sez. III, 18.01.2013, n. 293).
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Né può
ritenersi che la partecipazione alla gara a mezzo della
presentazione della richiesta di DURC abbia costituito
acquiescenza al bando, impedendone la successiva
impugnazione.
La presentazione della domanda di partecipazione ad una
procedura concorsuale, infatti, non implica certamente di per sé acquiescenza alle clausole del relativo bando, le quali
anzi possono di regola essere impugnate solo dopo avere
concretamente dimostrato, non solo la volontà di partecipare
alla procedura selettiva, ma anche la lesione attuale e
concreta dell'interesse legittimo azionato considerato,
d'altro canto, che la presentazione della domanda è un atto
normalmente necessario proprio per radicare l'interesse al
ricorso (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21.11.2011, n. 6135)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.06.2013 n. 3231 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il Consiglio di Stato illustra le fasi di gara
nel
caso di selezione delle offerte da svolgersi con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa (artt. 83 e
segg. del Codice dei contratti pubblici), il cui
procedimento di gara si svolge, normalmente, in tre fasi: in due fasi sono necessarie
prevalenti competenze amministrative ed in una fase sono
necessarie prevalenti competenze tecniche. (... leggere più
sotto).
Per esaminare le censure sollevate che, tenuto conto
della posizione occupata dall’appellante nella graduatoria
di merito, riguardano (anche in appello) il procedimento
seguito dall’amministrazione per l’aggiudicazione della
gara, occorre ricordare che, nel caso di selezione delle
offerte da svolgersi con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa (artt. 83 e segg. del Codice
dei contratti pubblici), il procedimento di gara si svolge,
normalmente, in tre fasi: in due fasi sono necessarie
prevalenti competenze amministrative ed in una fase sono
necessarie prevalenti competenze tecniche.
Dopo aver ricevuto le offerte, nel termine indicato
dal bando, l’amministrazione in una prima fase svolge
diverse operazioni preliminari alla valutazione delle
offerte: verifica la regolarità dell’invio dell’offerta e il
rispetto delle disposizioni generali e di quelle speciali
contenute nel bando (o nella lettera di invito) e nel
disciplinare di gara (e l’osservanza delle regole sulla
produzione dei documenti).
La stazione appaltante provvede quindi, in seduta pubblica,
all’apertura dei plichi delle diverse offerte che (di norma)
contengono tre buste: la busta A (documentazione
amministrativa), la busta B (documentazione tecnica) e la
busta C (offerta economica).
La stazione appaltante, disposta l’idonea
conservazione delle buste (C) contenenti le offerte
economiche, procede quindi all’apertura delle buste (A)
contenenti la documentazione amministrativa per verificarne
il contenuto e per consentire la successiva verifica dei
requisiti generali previsti dalla normativa sugli appalti
pubblici (artt. 38 e 39 del codice degli appalti) e dei
requisiti speciali, dettati dagli atti di gara (artt. 41 e
42 del codice), nonché di tutte le altre condizioni dettate
per la partecipazione alla gara.
L’amministrazione procede poi, sempre in seduta pubblica
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 28.07.2011, n.
13 e poi art. 12 del d.l. 07.05.2012, n. 52, convertito,
con modificazioni, dalla legge 06.07.2012, n. 94)
all’apertura delle buste (B), contenenti la documentazione
tecnica, per prendere atto del relativo contenuto e per
verificare l’effettiva presenza dei documenti richiesti nel
bando (o nella lettera di invito) e nel disciplinare di gara
(schede tecniche, relazioni tecniche illustrative,
certificazioni tecniche etc.). Anche tale documentazione è
poi conservata in plico sigillato.
Tali attività, preliminari alla valutazione delle
offerte, sono eseguite dal seggio di gara o direttamente dal
responsabile del procedimento unico (RUP), di norma il
dirigente preposto alla competente struttura organizzativa
della stazione appaltante (che si avvale anche dei
funzionari del suo ufficio), che, ai sensi dell’art. 10,
comma 2 del Codice, «svolge tutti i compiti relativi alle
procedure di affidamento previste dal presente codice, ivi
compresi gli affidamenti in economia, e alla vigilanza sulla
corretta esecuzione dei contratti, che non siano
specificamente attribuiti ad altri organi o soggetti» e, ai
sensi del comma 3, lettera c) «cura il corretto e razionale
svolgimento delle procedure».
Dopo la preliminare fase di verifica dei contenuti
dell’offerta, si passa alla seconda fase di valutazione
delle offerte tecniche.
A tale seconda fase provvede l’apposita Commissione tecnica
che è nominata ai sensi dell’art. 84 del Codice dei
contratti e dell’art. 283, comma 2, del Regolamento di cui al
D.P.R. n. 207 del 2010.
In una o più sedute riservate, la Commissione verifica
quindi la conformità tecnica delle offerte e valuta le
stesse, assegnando i relativi punteggi sulla base di quanto
previsto dal disciplinare di gara (e delle altre regole che
la stessa Commissione si è data).
Completato l’esame dell’offerta tecnica,
l’amministrazione procede, nuovamente in seduta pubblica, ad
informare i partecipanti delle valutazioni compiute, a dare
notizia di eventuali esclusioni e a dare lettura dei
punteggi assegnati dalla Commissione sulle offerte tecniche
dei concorrenti non esclusi.
Quindi, verificata l’integrità del plico contenenti le buste
con le offerte economiche (e l’integrità delle singole
buste), l’amministrazione procede all’apertura delle stesse
con la lettura delle singole offerte, con l’indicazione dei
ribassi offerti e dei conseguenti prezzi netti e la
determinazione (matematica) dei punteggi connessi ai prezzi.
Il seggio di gara formula quindi la graduatoria finale
sulla base della somma dei punteggi assegnati per l’offerta
tecnica e per l’offerta economica e procede
all’aggiudicazione provvisoria in favore dell’offerta che ha
raggiunto il maggiore punteggio complessivo.
Come si è esposto, nella prima fase della procedura, ai
relativi atti (apertura dei plichi, verifica della
documentazione amministrativa e presa d’atto della
documentazione tecnica) provvede, in seduta pubblica, il
seggio di gara.
Le operazioni di valutazione e di graduazione nel
merito delle offerte tecniche, come si è ricordato, vengono
espletate, in uno o più sedute riservate, dalla commissione
giudicatrice.
Le operazioni della (terza) fase conclusiva dell’iter
di gara (comunicazione dell’esito della valutazioni
tecniche, lettura dei prezzi offerti, formulazione della
graduatoria finale ed aggiudicazione provvisoria) sono
infine espletate, in seduta pubblica, dal seggio di gara.
In proposito ogni questione che era stata prima
sollevata circa l’esatta individuazione dell’organo tenuto
agli adempimenti di tale fase deve ritenersi risolta a
seguito dell’approvazione del regolamento di esecuzione del
Codice dei Contratti pubblici (D.P.R. n. 207 del 2010) che,
all’art. 283, comma 3, ha previsto che «in seduta pubblica,
il soggetto che presiede la gara dà lettura dei punteggi
attribuiti alle offerte tecniche, procede all’apertura delle
buste contenenti le offerte economiche, dà lettura dei
ribassi espressi in lettere e delle riduzioni di ciascuna di
esse e procede secondo quanto previsto dall’articolo 284»
alla verifica di anomalia di cui all’art. 86 del codice,
avvalendosi anche di apposita Commissione (o della stessa
Commissione tecnica) e dichiarando l’aggiudicazione
provvisoria in favore della migliore offerta risultata
congrua.
Per quanto riguarda, in particolare, il procedimento
per la verifica dell’anomalia, l’art. 284 del D.P.R. n. 207
del 2010, nel dare attuazione all’art. 88 del Codice in
relazione agli appalti di servizi, rinvia all’art. 121 del
D.P.R. n. 207 che, al comma 10, per le gare da aggiudicare
con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
prevede espressamente che, qualora vi siano offerte da
sottoporre alla verifica di congruità, ai sensi dell’art.
86, comma 2, del Codice «… qualora il punteggio relativo al
prezzo e la somma dei punteggi relativi agli altri elementi
di valutazione delle offerte siano entrambi pari o superiori
ai limiti indicati dall'articolo 86, comma 2, del codice, il
soggetto che presiede la gara chiude la seduta pubblica e ne
dà comunicazione al responsabile del procedimento, che
procede alla verifica delle giustificazioni presentate dai
concorrenti ai sensi dell'articolo 87, comma 1, del codice
avvalendosi degli uffici o organismi tecnici della stazione
appaltante ovvero della commissione di gara, ove
costituita».
Da tali disposizioni si evince che è il responsabile del
procedimento ad essere investito anche della funzione di
svolgere la verifica dell’anomalia, potendosi avvalere, ove
costituita, della apposita Commissione (o della stessa
Commissione tecnica)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 11.06.2013 n. 3228 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' irrilevante il fatto
che il nome del RUP sia già conosciuto prima del termine di
presentazione delle offerte trattandosi di circostanza
ordinaria.
Al contrario, è la commissione giudicatrice che, a garanzia
della regolarità della gara, deve essere nominata solo dopo
lo scadere del termine ultimo di presentazione delle offerte
(art. 84, comma 10, del Codice).
Con il secondo
motivo la Società E.P. ha sostenuto che la sentenza
appellata è erronea anche nella parte in cui ha respinto il
motivo (primo nel ricorso di primo grado) con il quale aveva
lamentato la violazione dell’art. 84 del codice dei
contratti perché la Commissione di gara, prevista nel caso
di aggiudicazione di gara con l’offerta economicamente più
vantaggiosa, non aveva svolto le attività di valutazione ed
ammissione dei concorrenti e di graduazione dei punteggi ma
aveva lasciato tali attività al RUP, il cui nome era
peraltro già conosciuto prima del termine di presentazione
delle offerte, o addirittura ad un suo delegato.
La censura non è fondata.
Nella fattispecie, come ha affermato anche il TAR,
correttamente il Seggio di gara ha svolto tutte le attività
che, come si è ricordato, possono ritenersi facenti parte
della prima fase della procedura. Mentre all’attività di
valutazione delle offerte ha regolarmente provveduto
l’apposita Commissione giudicatrice.
Non ha quindi rilievo la circostanza che tali atti non
siano stati compiuti dalla commissione in composizione
plenaria, né ha rilievo la circostanza che il RUP si è fatto
assistere da diversi soggetti posto che, nelle operazioni
che procedono la valutazione tecnica delle offerte, il RUP è
assistito da testimoni, uno dei quali con il ruolo di
segretario verbalizzante. Ma, in ogni caso, né i testimoni
né il segretario partecipano alla formazione delle decisioni
adottate dal presidente di seggio in ordine alle modalità di
gestione delle sedute di gara.
Contrariamente a quanto affermato dall’appellante, il
seggio di gara ha svolto quindi compiti che potevano essere
svolti dal seggio, riguardanti la verifica della regolarità
dei plichi e dei requisiti per la partecipazione alla gara,
nonché della documentazioni presentata.
Né può avere alcun rilievo la circostanza che il nome
del RUP fosse già conosciuto prima del termine di
presentazione delle offerte trattandosi di circostanza
ordinaria. Mentre è la commissione giudicatrice che, a
garanzia della regolarità della gara, deve essere nominata
solo dopo lo scadere del termine ultimo di presentazione
delle offerte (art. 84, comma 10, del Codice). E nella
fattispecie, come ricordato anche dal TAR, la Commissione
tecnica è stata nominata il 05.07.2012 dopo la scadenza
del termine di presentazione delle offerte (16.04.2012).
Non risultano pertanto violati, come pure affermato dal
TAR, data la natura meramente istruttoria dell’attività
svolta, con esclusione di ogni attività valutativa, i
principi di par condicio, imparzialità e trasparenza.
Le argomentazioni esposte consentono di respingere anche il
terzo motivo (secondo motivo del ricorso di primo grado) con
il quale l’appellante ha sostenuto che il seggio di gara,
nella seduta del 24.04.2012, nella quale si ammettevano le
ditte alla fase successiva, non era composto secondo il
disciplinare e in ottemperanza alla delega conferita dal
Dirigente
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 11.06.2013 n. 3228 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare, responsabile del procedimento.
Il Consiglio di Stato ha affermato quali sono le competenze
del seggio di gara e quelle del responsabile unico del
procedimento (cd. RUP) : i giudici amministrativi nel
respingere il ricorso di una società partecipante
all'affidamento hanno confermato la sentenza del Tribunale
amministrativo regionale .
Il ricorso al TAR
Una SPA ha impugnato davanti al TAR il provvedimento con il
quale una azienda sanitaria locale ha aggiudicato ad una
ditta concorrente , capogruppo mandataria di un RTI, la gara
per l’affidamento, per 12 mesi, prorogabili per altri 6, del
servizio di ristorazione. I giudici di prime dopo aver
ricordato che i servizi alberghieri e di ristorazione
rientrano nell’All. II B del Codice degli Appalti, con la
conseguenza che per le relative gare si applicano solo
alcune disposizioni del Codice stesso di cui al D.Lgs.
163/2006 e s.m.i., ha rilevato che la ricorrente si era
classificata al quarto posto nella graduatoria di merito ed
ha ritenuto infondati i motivi riguardanti la regolarità
della procedura di gara.
Avverso tale sentenza la SPA si è appellata al Consiglio di
Stato.
Le fasi dell’aggiudicazione di gara nelle
offerte economicamente più vantaggiose
Il procedimento seguito dall’amministrazione appaltante per
l’aggiudicazione della gara, nel caso di selezione delle
offerte da svolgersi con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa (artt. 83 e segg. del Codice
dei contratti pubblici), si svolge, normalmente, in tre
fasi: in due fasi sono necessarie prevalenti competenze
amministrative ed in una fase sono necessarie prevalenti
competenze tecniche.
Dopo aver ricevuto le offerte, nel termine indicato dal
bando, l’amministrazione in una prima fase svolge diverse
operazioni preliminari alla valutazione delle offerte:
verifica la regolarità dell’invio dell’offerta e il rispetto
delle disposizioni generali e di quelle speciali contenute
nel bando (o nella lettera di invito) e nel disciplinare di
gara (e l’osservanza delle regole sulla produzione dei
documenti).
La stazione appaltante provvede quindi, in seduta pubblica,
all’apertura dei plichi delle diverse offerte che (di norma)
contengono tre buste: 1) la busta A (documentazione
amministrativa); 2) la busta B (documentazione tecnica); 3)
la busta C (offerta economica).
La stazione appaltante, disposta l’idonea conservazione
delle buste (C) contenenti le offerte economiche, procede
quindi all’apertura delle buste (A) contenenti la
documentazione amministrativa per verificarne il contenuto e
per consentire la successiva verifica dei requisiti generali
previsti dalla normativa sugli appalti pubblici (artt. 38 e
39 del Codice degli Appalti) e dei requisiti speciali,
dettati dagli atti di gara (artt. 41 e 42 del Codice degli
Appalti), nonché di tutte le altre condizioni dettate per la
partecipazione alla gara.
L’amministrazione procede poi, sempre in seduta pubblica
all’apertura delle buste (B), contenenti la documentazione
tecnica, per prendere atto del relativo contenuto e per
verificare l’effettiva presenza dei documenti richiesti nel
bando (o nella lettera di invito) e nel disciplinare di gara
(schede tecniche, relazioni tecniche illustrative,
certificazioni tecniche etc.).
Anche tale documentazione è poi conservata in plico
sigillato.
Il responsabile del procedimento unico: il
RUP
Le attività indicate nel paragrafo precedente sono eseguite
dal seggio di gara o direttamente dal responsabile del
procedimento unico (RUP), che in linea generale è il
dirigente preposto alla competente struttura organizzativa
della stazione appaltante (che si avvale anche dei
funzionari del suo ufficio), che, ai sensi dell’art. 10,
comma 2 del Codice degli Appalti svolge tutti i compiti
relativi alle procedure di affidamento previste dal Codice
stesso, compresi gli affidamenti in economia, e alla
vigilanza sulla corretta esecuzione dei contratti, che non
siano specificamente attribuiti ad altri organi o soggetti e
cura il corretto e razionale svolgimento delle procedure.
Dopo la preliminare fase di verifica dei contenuti
dell’offerta, si passa alla seconda fase di valutazione
delle offerte tecniche.
A tale seconda fase provvede l’apposita Commissione tecnica
che è nominata ai sensi dell’art. 84 del Codice degli
Appalti e dell’art. 283, comma 2, del Regolamento di cui al
D.P.R. n. 207/2010.
In una o più sedute riservate, la Commissione verifica
quindi la conformità tecnica delle offerte e valuta le
stesse, assegnando i relativi punteggi sulla base di quanto
previsto dal disciplinare di gara.
In seguito l’amministrazione appaltante procede, nuovamente
in seduta pubblica, ad informare i partecipanti delle
valutazioni compiute, a dare notizia di eventuali esclusioni
e a dare lettura dei punteggi assegnati dalla Commissione
sulle offerte tecniche dei concorrenti non esclusi.
Quindi, verificata l’integrità del plico contenenti le buste
con le offerte economiche (e l’integrità delle singole
buste), l’amministrazione procede all’apertura delle stesse
con la lettura delle singole offerte, con l’indicazione dei
ribassi offerti e dei conseguenti prezzi netti e la
determinazione (matematica) dei punteggi connessi ai prezzi.
Il seggio di gara formula, quindi, la graduatoria finale
sulla base della somma dei punteggi assegnati per l’offerta
tecnica e per l’offerta economica e procede
all’aggiudicazione provvisoria in favore dell’offerta che ha
raggiunto il maggiore punteggio complessivo.
Per quanto riguarda, in particolare, il procedimento per la
verifica dell’anomalia, l’art. 284 del D.P.R. n. 207/2010,
nel dare attuazione all’art. 88 del Codice degli Appalti in
relazione agli appalti di servizi, rinvia all’art. 121 del
D.P.R. n. 207 che, al comma 10, per le gare da aggiudicare
con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
prevede espressamente che, qualora vi siano offerte da
sottoporre alla verifica di congruità, ai sensi dell’art.
86, comma 2, del Codice «(…..) qualora il punteggio
relativo al prezzo e la somma dei punteggi relativi agli
altri elementi di valutazione delle offerte siano entrambi
pari o superiori ai limiti indicati dall'articolo 86, comma
2, del Codice, il soggetto che presiede la gara chiude la
seduta pubblica e ne dà comunicazione al responsabile del
procedimento, che procede alla verifica delle
giustificazioni presentate dai concorrenti ai sensi
dell'articolo 87, comma 1, del Codice avvalendosi degli
uffici o organismi tecnici della stazione appaltante ovvero
della commissione di gara, ove costituita».
Da tali disposizioni si evince che è il responsabile del
procedimento ad essere investito anche della funzione di
svolgere la verifica dell’anomalia, potendosi avvalere, ove
costituita, della apposita Commissione (o della stessa
Commissione tecnica).
La sentenza del Consiglio di Stato
I giudici del Consiglio di Stato, in primo luogo, esaminano
la censura della SPA ricorrente secondo la quale l’offerta
della Capogruppo aggiudicataria dell’affidamento era stata
sottoposta a verifica di anomalia, ai sensi dell’art. 86,
comma 2, del Codice degli Appalti, in quanto i punteggi
assegnati superavano i quattro quinti del punteggio massimo
attribuibile sia per l’elemento qualità, sia per l’elemento
prezzo.
Per il Consiglio di Stato la motivazione è infondata.
La Commissione Tecnica, ha comunicato che l’offerta
risultava “nel suo complesso attendibile, non
ravvisandosi elementi che possono compromettere la corretta
esecuzione dell’appalto” ed ha quindi invitato il RUP
alla formalizzazione dell’aggiudicazione alla quale questi
ha provveduto.
La SPA ricorrente, tuttavia, non si è lamentata
dell’anomalia dell’offerta ma ha contestato la mancata
convocazione di una (ulteriore) seduta pubblica per la
comunicazione dell’esito della verifica di anomalia e della
conseguente aggiudicazione provvisoria.
Per i giudici del Consiglio di Stato la mancanza di una
(ulteriore) seduta pubblica per tale comunicazione deve
ritenersi del tutto irrilevante.
Per il Consiglio di Stato la conseguenza che la mancata
comunicazione formale in seduta pubblica anche dell’esito
della verifica di anomalia (con la conseguente
aggiudicazione provvisoria) non costituisce un vizio capace
di inficiare la procedura, né da tale mancanza può essere
derivato alcun danno alla SRL ricorrente che ha avuto modo,
anche a seguito delle comunicazioni effettuate
dall’amministrazione, di far valere le sue ragioni nei
confronti delle valutazioni effettuate dall’amministrazione.
In secondo luogo la SPA ricorrente ha, inoltre, censurato la
violazione dell’art. 84 del Codice degli Appalti perché la
Commissione di gara, prevista nel caso di aggiudicazione di
gara con l’offerta economicamente più vantaggiosa, non aveva
svolto le attività di valutazione ed ammissione dei
concorrenti e di graduazione dei punteggi ma aveva lasciato
tali attività al RUP, il cui nome era peraltro già
conosciuto prima del termine di presentazione delle offerte,
o addirittura ad un suo delegato.
Per il Consiglio di Stato anche il questo caso il motivo è
infondato.
In particolare non ha rilievo la circostanza che tali atti
non siano stati compiuti dalla commissione in composizione
plenaria, né ha rilievo la circostanza che il RUP si è fatto
assistere da diversi soggetti posto che, nelle operazioni
che procedono la valutazione tecnica delle offerte, il RUP è
assistito da testimoni, uno dei quali con il ruolo di
segretario verbalizzante. Ma, in ogni caso, né i testimoni
né il segretario partecipano alla formazione delle decisioni
adottate dal presidente di seggio in ordine alle modalità di
gestione delle sedute di gara; né può avere alcun rilievo la
circostanza che il nome del RUP fosse già conosciuto prima
del termine di presentazione delle offerte trattandosi di
circostanza ordinaria. Mentre è la commissione giudicatrice
che, a garanzia della regolarità della gara, deve essere
nominata solo dopo lo scadere del termine ultimo di
presentazione delle offerte (art. 84, comma 10, del Codice).
E nella fattispecie, come ricordato anche dal TAR, la
Commissione tecnica è stata nominata dopo la scadenza del
termine di presentazione delle offerte (commento tratto da
www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 11.06.2013 n. 3228 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Deve essere esclusa la
teoria del “falso innocuo” poiché il falso è innocuo quando
non incide neppure minimamente sugli interessi tutelati.
Nelle procedure di evidenza pubblica la completezza delle
dichiarazioni, invece, è già di per sé un valore da
perseguire perché consente –anche in ossequio al principio
di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità–
la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore
economico alla gara.
Conseguentemente, una dichiarazione inaffidabile (perché
falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva degli
interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto
che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla
gara.
In altri termini, nel diritto degli appalti occorre poter
fare affidamento su una dichiarazione idonea a far assumere
tempestivamente alla stazione appaltante le necessarie
determinazioni in ordine all’ammissione dell’operatore
economico alla gara o alla sua esclusione.
La vicenda riguarda il ricorso della società Impresig Srl
contro l’aggiudicazione definitiva dell’appalto dei lavori
di riqualificazione ambientale del molo Capo S. Giovano e
dell’area interessata APQ -interventi su ecomostri- in
favore del raggruppamento temporaneo di imprese Kronos
s.r.l. - Parasporo ing. Carlo, disposta dalla Stazione Unica
appaltante della Provincia di Reggio Calabria, in relazione
ad una gara per un importo a base d’asta di euro 740.000,00
oltre IVA (di cui euro 20.000 per oneri della sicurezza non
soggetti a ribasso).
La società Impresig Srl ha partecipato alla gara,
collocandosi al secondo posto della graduatoria (con un
ribasso del 31,7480% a fronte del ribasso del 31,7800 della
controinteressata; verbale di gara del 27.06.2011) e ha
lamentato l’omessa presentazione, da parte della prima
classificata, aggiudicataria, della dichiarazione inerente
il possesso dei requisiti ex art. 38 Codice appalti in capo
agli amministratori cessati nel triennio, in ossequio a
quanto esplicitamente previsto, in merito, dal bando di
gara, al punto 16.2.2.
Tale disposizione elenca, tra i documenti necessari alla
partecipazione (elencazione che, a pag. 11 del bando, è
descritta “a pena di esclusione dalla gara”), le
dichiarazioni attestanti o l’insussistenza di soggetti
cessati dalle cariche societarie indicate all’art. 38, comma
1, lett. c), del D.Lgs. 163-2006 o l’indicazione di tali
soggetti (ai fini della dichiarazione della insussistenza a
loro carico di sentenze di condanna o della dissociazione
dell’impresa dalla loro condotta), ivi compresi quelli
“cessati per acquisizioni, cessioni di azienda o fusioni,
rivestenti le qualifiche di cui all’art. 38, comma 1, lett.
c)”.
L’aggiudicataria ha dichiarato quale unico soggetto cessato
dalla carica nel triennio precedente il sig. Fabio Varacalli
(classe 1973), nella qualità di direttore tecnico della “GMC
Mediterranea Costruzioni Srl”, società cedente del ramo di
azienda alla Kronos s.r.l. che risultava già come direttore
tecnico della Kronos s.r.l., e quindi era comunque tenuto in
tale veste a rendere le prescritte dichiarazioni ex art. 38
cit., ma non ha reso alcuna dichiarazione relativamente al
sig. Luigi Varacalli (classe 1968), amministratore della
predetta società “GMC Mediterranea Costruzioni”.
Peraltro, il medesimo sig. Luigi Varacalli figurava anche
quale amministratore unico della società N.A.Edil s.r.l.
che, in data 19.02.2010, aveva trasferito l’azienda in
favore della Kronos s.r.l. mandataria del raggruppamento
aggiudicatario dell’appalto.
Il TAR ha dato rilievo alla circostanza che, in
giudizio, è stata prodotta da parte della difesa della controinteressata la documentazione inerente l’assenza di
condanne in capo al sig. Luigi Varacalli (carichi pendenti e
casellario giudiziale), trattandosi, pertanto, di un ipotesi
di cd. “falso innocuo”.
Secondo il Collegio, invece, tale circostanza è del
tutto influente, poiché altrimenti qualsiasi deficienza
delle dichiarazioni ex art. 38 Codice appalti potrebbe
essere surrogata in giudizio, in contrasto con il principio
della par condicio dei concorrenti che deve essere
assicurato nel procedimento amministrativo di selezione e
non nell’eventuale procedimento giurisdizionale, a
posteriori.
Infatti, deve essere esclusa la teoria del “falso innocuo”
poiché il falso è innocuo quando non incide neppure
minimamente sugli interessi tutelati. Nelle procedure di
evidenza pubblica la completezza delle dichiarazioni,
invece, è già di per sé un valore da perseguire perché
consente –anche in ossequio al principio di buon andamento
dell’amministrazione e di proporzionalità– la celere
decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico
alla gara. Conseguentemente, una dichiarazione inaffidabile
(perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva
degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal
fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare
alla gara. In altri termini, nel diritto degli appalti
occorre poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a
far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le
necessarie determinazioni in ordine all’ammissione
dell’operatore economico alla gara o alla sua esclusione
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 16.03.2012, n. 1471,
cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74
e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).
Pertanto, la motivazione della sentenza del TAR impugnata
non è condivisibile e deve essere corretta.
Nel caso di specie, l’appellante invoca anche i principi
autorevolmente sanciti dall’Adunanza plenaria di questo
Consiglio (04.05.2012, n. 10 e 07.06.2012, n. 21),
secondo cui, l’art. 38, comma 1, lett. c), codice appalti,
presenta un contenuto normativo che già di per sé comprende
ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili
sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto
imprenditoriale a cui si riferiscono, quando il soggetto
cessato dalla carica sia identificabile come interno al
soggetto concorrente.
In tale quadro, la citata adunanza n. 10 del 2012 è stata
dell'avviso che sia necessaria la dichiarazione suddetta
nelle ipotesi di fusione o di incorporazione di società,
ancorché venute in essere antecedentemente all'avvio della
gara ove si realizza una successione a titolo universale fra
i soggetti interessati ovvero, alla luce della riforma del
diritto societario disposta dal d.lgs. 17.01.2003, n.
6, la loro mera trasformazione, lasciando dunque ferma la
continuità dell'attività imprenditoriale, ma anche e a
maggior ragione nelle ipotesi di cessione di azienda o di
ramo di azienda in cui si verifica una vicenda di
successione a titolo particolare e si ha comunque il
passaggio all'avente causa dell'intero complesso dei
rapporti attivi e passivi nei quali l'azienda stessa o il
suo ramo si sostanzia; il che rende la vicenda ben
suscettibile di comportare pur essa la continuità tra
precedente e nuova gestione imprenditoriale.
La plenaria n. 10 del 2012, affermato tale principio, ha
osservato che, tuttavia, possa aversi riguardo alla
peculiarità dei casi specifici:
a) anzitutto, è comunque dato al cessionario comprovare
l'esistenza nel caso concreto di una completa cesura tra
vecchia e nuova gestione, tale da escludere la rilevanza
della condotta dei precedenti amministratori e direttori
tecnici operanti nell'ultimo triennio e, ora, nell'ultimo
anno, presso il complesso aziendale ceduto;
b) resta altresì fermo -tenuto anche conto della non
univocità delle norme circa l'onere del cessionario- che in
caso di mancata presentazione della dichiarazione e sempre
che il bando non contenga al riguardo una espressa
comminatoria di esclusione, quest'ultima potrà essere
disposta soltanto là dove sia effettivamente riscontrabile
l'assenza del requisito in questione.
Tale orientamento è stato ribadito dalla menzionata sentenza
dell’adunanza plenaria 07.06.2012, n. 21 anche in
riferimento al novellato art. 2504-bis cod. civ. che
configura le operazioni di trasformazione o fusione
societaria non come successione universale, ma come vicenda
evolutiva dei medesimi soggetti originari partecipanti alla
operazione societaria (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.06.2013 n. 3214 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il soggetto che intenda partecipare alla gara per
l’affidamento di un appalto pubblico deve comunque indicare
la ripartizione dei servizi e delle attività oggetto di gara
fra le singole imprese affidatarie per consentire
all’Amministrazione di verificare se le imprese esecutrici
finali delle lavorazioni siano in possesso dei requisiti
necessari per lo svolgimento delle stesse, e che non può
ragionevolmente pervenirsi ad una conclusione diversa in
dipendenza della circostanza per cui l’offerta è stata
presentata da un consorzio di cooperative.
Anche di recente è stato del resto affermato che l’obbligo
di specificazione delle parti del servizio da eseguire dalle
singole imprese raggruppate o consorziate, sancito dall’art.
37 comma 4, del D.L.vo 12.04.2006 n. 163, costituisce
espressione di un principio generale che non consente
distinzioni legate alla natura morfologica del
raggruppamento (“verticale” o “orizzontale”), alla tipologia
delle prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o
unitarie) o al dato cronologico del momento della
costituzione del raggruppamento temporaneo di imprese.
In termini generali, inoltre, a ragione il giudice di primo grado
ha evidenziato che il soggetto che intenda partecipare alla
gara per l’affidamento di un appalto pubblico deve comunque
indicare la ripartizione dei servizi e delle attività
oggetto di gara fra le singole imprese affidatarie per
consentire all’Amministrazione di verificare se le imprese
esecutrici finali delle lavorazioni siano in possesso dei
requisiti necessari per lo svolgimento delle stesse, e che
non può ragionevolmente pervenirsi ad una conclusione
diversa in dipendenza della circostanza per cui l’offerta è
stata presentata da un consorzio di cooperative.
Anche di recente è stato del resto affermato che l’obbligo
di specificazione delle parti del servizio da eseguire dalle
singole imprese raggruppate o consorziate, sancito dall’art.
37 comma 4, del D.L.vo 12.04.2006 n. 163, costituisce
espressione di un principio generale che non consente
distinzioni legate alla natura morfologica del
raggruppamento (“verticale” o “orizzontale”),
alla tipologia delle prestazioni (principali o secondarie,
scorporabili o unitarie) o al dato cronologico del momento
della costituzione del raggruppamento temporaneo di imprese
(cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. V, 18.12.2012 n. 6513) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.06.2013 n. 3152 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Circa
il fatto che la "dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà" presentata sia priva
della prima pagina e, come tale, sarebbe nulla o inesistente
perché priva di elementi identificativi del soggetto
dichiarante oltre che della formula “dichiara”,
tuttavia è vero che le altre due pagine sono state
presentate, complete dei dati richiesti e sottoscritte,
datate e timbrate dal legale rappresentante, che le ha
espressamente qualificate come “dichiarazione” e con
allegazione della copia del documento identificativo fronte
retro.
Pertanto non si vede come non possano considerarsi atti
perfettamente idonei a comprovare le attestazioni in essi
contenute risultando del tutto irrilevante che la parola
“dichiarazione” e, si badi, il conseguente impegno, sia
rinvenibile nella terza pagina, prima della firma, e non
anche all’inizio della dichiarazione, quasi a configurare, a
pena di inesistenza, una rigidità sacramentale della
dichiarazione stessa, comunque sconosciuta al nostro
ordinamento.
---------------
Quanto al mancato richiamo delle sanzioni penali previste
per il caso di false dichiarazioni, la giurisprudenza ha da
tempo osservato che tale adempimento non costituisce un
requisito sostanziale per la validità delle dichiarazioni ai
sensi del d.P.R. n. 445/2000 in quanto la qualificazione
come falso, e le relative conseguenze penali, prescindono
dall’avvenuto uso in concreto della formula, mentre la
ignoranza della legge penale comunque non scusa il falso
dichiarante, sia che abbia invocato per iscritto l’art. 76
del d.P.R. 445/2000, sia che non lo abbia invocato.
In effetti l’art. 48 del t.u. n. 445/2000 non richiede, a
pena d’invalidità, che il soggetto si impegni esplicitamente
a rendere una dichiarazione veritiera, e neppure che si
dichiari consapevole delle sanzioni penali previste per le
false dichiarazioni. Al contrario, è la p.a. che deve
richiamare le sanzioni penali, nel momento in cui invita il
privato a rendere le dichiarazioni e gli fornisce il
relativo modello (peraltro facoltativo).
Insiste la appellante, nel secondo motivo, con argomentazione
sostenuta anche dalla stazione appaltante, che la
dichiarazioni prodotta dalla società Di Betta Giannino, in
quanto priva della prima pagina, sarebbe nulla o inesistente
perché priva di elementi identificativi del soggetto
dichiarante oltre che della formula “dichiara”, da non
potere giustificare neppure il soccorso istruttorio di cui
all’art. 46 del d.lgs. n. 163/2006.
Sotto un secondo profilo, che il mancato richiamo nella
dichiarazione sostitutiva della solenne formulazione di rito
e delle sanzioni penali previste per il caso di false
dichiarazioni renderebbe insanabilmente invalida la
dichiarazione. Si sostiene al riguardo che la possibilità di
certificare stati e capacità “in via sostitutiva” ex artt.
38 e 46 del d.P.R. n. 445/2000 sarebbe astretta a precise e
solenni formalità che per il loro rigore e per la
eccezionalità della previsione non ammettono equipollenti e
non consentono emenda, neppure ex art. 46 del d.lgs.
163/2006 non essendo, altrimenti, l’atto in grado di
dispiegare gli effetti certificativi per difetto di una
forma essenziale prescritta dalla legge, non altrimenti
sanabile.
Tali assunti non vengono condivisi dalla Sezione.
Se è vero che la prima pagina del fac simile di
dichiarazione risultava mancante, (salvo, come già
evidenziato, rinvenire aliunde i dati mancanti, come
consentito dalla lettera di invito), è altrettanto vero che
le altre due pagine erano senz’altro esistenti, complete dei
dati richiesti e sottoscritte, datate e timbrate dal legale
rappresentante, che le ha espressamente qualificate come
“dichiarazione” e con allegazione della copia del documento
identificativo fronte retro; pertanto non si vede come non
potessero considerarsi atti perfettamente idonei a
comprovare le attestazioni in essi contenute risultando del
tutto irrilevante che la parola “dichiarazione” e, si badi,
il conseguente impegno, fosse rinvenibile nella terza
pagina, prima della firma, e non anche all’inizio della
dichiarazione, quasi a configurare, a pena di inesistenza,
una rigidità sacramentale della dichiarazione stessa,
comunque sconosciuta al nostro ordinamento.
Quanto al mancato richiamo delle sanzioni penali
previste per il caso di false dichiarazioni, la
giurisprudenza ha da tempo osservato che tale adempimento
non costituisce un requisito sostanziale per la validità
delle dichiarazioni ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 in quanto
la qualificazione come falso, e le relative conseguenze
penali, prescindono dall’avvenuto uso in concreto della
formula, mentre la ignoranza della legge penale comunque non
scusa il falso dichiarante, sia che abbia invocato per
iscritto l’art. 76 del d.P.R. 445/2000, sia che non lo abbia
invocato.
In effetti l’art. 48 del t.u. n. 445/2000 non richiede, a
pena d’invalidità, che il soggetto si impegni esplicitamente
a rendere una dichiarazione veritiera, e neppure che si
dichiari consapevole delle sanzioni penali previste per le
false dichiarazioni. Al contrario, è la p.a. che deve
richiamare le sanzioni penali, nel momento in cui invita il
privato a rendere le dichiarazioni e gli fornisce il
relativo modello (peraltro facoltativo) (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 10.06.2013 n. 3146 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Avvalimento in materia di gare pubbliche, quale la finalità
dell'istituto?
Domanda
In materia di gare di appalto l'istituto dell'avvalimento
(art. 49, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 - Codice degli appalti)
è di immediata e generale applicazione. L'istituto, di
matrice comunitaria, è finalizzato a consentire in concreto
la concorrenza aprendo il mercato ad operatori economici di
per sé privi di requisiti di carattere
economico-finanziario, tecnico-organizzativo, consentendo di
avvalersi dei requisiti di capacità di altre imprese.
Risposta
La finalità dell'avvalimento non è quella di arricchire la
capacità (tecnica o economica che sia), del concorrente, ma
quella di consentire a soggetti che ne siano privi di
concorrere alla gara ricorrendo a requisiti di altri
soggetti se e in quanto da questi integralmente e
autonomamente posseduti, in coerenza con la normativa
comunitaria sugli appalti pubblici che è volta in ogni sua
parte a far si che la massima concorrenza sia anche
condizione per la più efficiente e sicura esecuzione degli
appalti.
La formulazione dell'art. 49, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163
(Codice degli appalti) è molto ampia e non prevede alcun
divieto, sicché ben può l'avvalimento riferirsi anche alla
certificazione di qualità di altro operatore economico,
attenendo essa ai requisiti di capacità tecnica.
Nelle gare d'appalto, l'avvalimento deve essere reale e non
formale, nel senso che non può considerarsi sufficiente "prestare"
la certificazione posseduta, giacché in questo modo verrebbe
meno la stessa essenza dell'istituto, finalizzato, come si è
detto, a consentire a soggetti che ne siano sprovvisti di
concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri
soggetti, garantendo nondimeno l'affidabilità dei lavori,
dei servizi o delle forniture appaltati.
Ne consegue, per la giurisprudenza (TAR Lazio-Roma Sez.
III-quater, 05.02.2013, n. 1258) che, perché il ricorso
all'istituto dell'avvalimento sia legittimo, occorre
l'espresso impegno da parte dell'impresa ausiliaria, nei
confronti dell'impresa ausiliata e della stazione
appaltante, di mettere a disposizione per tutta la durata
dell'appalto le risorse necessarie di cui è carente il
concorrente (10.06.2013 - tratto da www.ispoa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi ict, la consulenza è out. La stabile organizzazione
richiede la gara d'appalto. La Corte dei conti Lombardia
fornisce indicazioni su come esternalizzare i servizi.
È da qualificare come appalto di servizi e non consulenza
l'attività di elaborazione di dati informatici e flussi
informativi, finalizzati allo snellimento delle procedure.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la
Lombardia, col
parere 07.06.2013 n. 236 torna sulla
delicata questione della distinzione tra appalto e
consulenze, fornendo indicazioni preziose rispetto ai
presupposti da rispettare per esternalizzare i servizi.
Il parere prende le mosse dal quesito avanzato da un comune,
che aveva chiesto se un servizio finalizzato
all'elaborazione di dati informatici, bonifica archivi e
svolgimento di attività istruttorie finalizzate alla
gestione dell'ufficio tributi potesse configurarsi come
consulenza e, dunque ricadere nella disciplina dell'articolo
7, comma 6, del dlgs 165/2001, invece che in quella del
codice dei contratti.
La sezione in primo luogo evidenzia bene che, a prescindere
dalla qualificazione (consulenza o appalto) del rapporto che
regola l'esternalizzazione, occorre avere cura di dimostrare
la sussistenza di ragioni giustificatrici dell'assegnazione
delle attività lavorative all'esterno.
Vi sono, dunque, valutazioni preliminari da svolgere, da
porre come base della motivazione della conseguente scelta
gestionale.
In primo luogo, occorre evidenziare che l'oggetto della
prestazione richiesta a terzi «non rientri nelle funzioni
ordinarie e nelle mansioni istituzionali» che devono essere
necessariamente svolte dalle strutture amministrative
dell'ente, ad opera dei dipendenti preposti.
In secondo luogo, occorre obbligatoriamente accertare la
carenza di risorse umane, ma anche strumentali, tale da
rendere necessario sopperire ai fabbisogni lavorativi,
mediante l'esternalizzazione.
Secondo il parere, proprio in relazione all'obbligo di
motivare la necessità dell'amministrazione di rivolgersi
all'esterno per acquisire prestazioni non ascritte alle
obbligatorie mansioni istituzionali, un servizio come il
riordino degli archivi e lo svolgimento di attività
istruttorie dell'ufficio tributi non può drasticamente
essere affidato a terzi. Infatti, si tratta di mansioni
istituzionali, spettanti in via ordinaria agli uffici,
sicché l'assegnazione di tali attività all'esterno
comporterebbe un'ingiustificata duplicazione delle funzioni
ordinarie e, dunque, una spesa che potrebbe costituire
danno.
Invece, l'elaborazione e distribuzione nel sistema
informativo di dati informatici può configurarsi come una
prestazione non necessariamente configurabile come
ordinaria.
Per la Corte dei conti, la complessità delle attività svolte
ed il risultato da garantire, poiché richiedono
un'organizzazione stabile, fanno sì che il contratto non
possa configurarsi come consulenza, bensì come appalto di
servizi.
Non convince, tuttavia, il percorso cui la Corte dei conti
giunge alla corretta conclusione. Il parere, infatti, si
rifà ancora alla distinzione tra la prevalenza dell'elemento
personalistico della prestazione, che caratterizzerebbe la
consulenza o comunque l'incarico di prestazione d'opera
professionale, distinguendole dall'appalto, che richiede,
invece, una stabile organizzazione imprenditoriale di mezzi
e servizi. Tali distinzioni, ricavate dall'ordinamento
civile italiano, risultano ormai superate dalla normativa
europea di regolazione dei servizi e dallo stesso codice dei
contratti, ai sensi del quale è operatore economico anche la
persona fisica, se svolge le prestazioni di servizi in via
continuativa nel mercato.
La reale differenza tra consulenze e appalti di servizi non
va ricavata dalle caratteristiche soggettive del prestatore,
ma dal risultato atteso.
Se si tratta di un prodotto finale, che l'ente si limita a
utilizzare così com'è, è un appalto. Nel caso di un sistema
di data warehousing risultato è appunto l'organizzazione dei
dati in un sistema informativo funzionale e solido,
assicurata da un appaltatore di servizi.
Laddove, invece, il risultato dell'incaricato esterno sia un
risultato intermedio, allora si tratta di consulenza o
collaborazione.
Il caso dei «pareri», prodotto tipico delle
consulenze, è emblematico: il parere non chiude
l'istruttoria, ma viene utilizzato dagli uffici per produrre
essi, col provvedimento finale, il prodotto finale
(articolo ItaliaOggi del 28.06.2013). |
APPALTI: IL
PACCHETTO SVILUPPO / FOCUS /
Appalti senza responsabili in solido.
Cancellata la disposizione del 2006 - Addio anche alla
dichiarazione mensile sulle ritenute.
Abrogazione della responsabilità solidale negli appalti,
eliminazione del modello 770 mensile (di fatto un
adempimento mai diventato operativo) e modifiche alla
disciplina sul rilascio del Durc.
Sono alcuni degli
interventi di semplificazione adottati nel decreto legge
passato ieri al vaglio del Consiglio dei ministri.
Con la la soppressione all'articolo 35 del Dl n. 223/2006
(commi da 28 a 28-ter), viene meno la discussa disciplina
che prevede la responsabilità solidale dell'appaltatore e la
responsabilità "sanzionatoria" del committente (da 5mila a
200mila euro) per il versamento all'Erario delle ritenute
sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva dovuta dal
subappaltatore o dall'appaltatore.
Per non far scattare
queste forme di responsabilità l'appaltatore/committente è
obbligato ad acquisire una documentazione da cui emerga che
il subappaltatore/appaltatore, alla data del pagamento del
corrispettivo, abbia effettuato regolarmente i versamenti
fiscali. L'agenzia delle Entrate aveva già tentato di
alleggerire gli adempimenti con le circolari 40/12 e 2/13
concedendo all'appaltatore e al subappaltatore la chance di
fornire la prova di aver versato le ritenute fiscali sui
redditi da lavoro dipendente e l'Iva con
un'autocertificazione oppure mediante l'asseverazione
rilasciata da un professionista abilitato o dal responsabile
del Caf. Le complicazioni e i costi derivanti da questo
regime avevano provocato le critiche delle aziende e la
richiesta di una revisione radicale.
Semplificazioni rilevanti in arrivo anche per il Durc, il
documento unico di regolarità contributiva. In questa
prospettiva viene modificato il Codice degli appalti. Le
stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori dovranno
acquisire d'ufficio Durc (in formato elettronico) anche per
gli eventuali subappaltatori sia per l'accertamento delle
clausole di esclusione sia ai fini del pagamento delle
prestazioni. Il documento unico di regolarità contributiva
rilasciato per i tutti i contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture avrà validità di 180 giorni dalla data
di emissione e non più quindi di soli tre mesi. La validità
semestrale ha un'unica eccezione, in quanto per il pagamento
del saldo finale «in ogni caso necessaria l'acquisizione di
un nuovo Durc», a prescindere da quando sia stato rilasciato
il precedente.
Sempre per tutti i contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, si stabilisce poi che «ai fini della verifica
amministrativo-contabile, i titoli di pagamento devono
essere corredati dal documento unico di regolarità
contributiva anche in formato elettronico». Il Durc una
volta rilasciato avrà efficacia per tutti gli appalti
promossi da una determinata stazione appaltante.
Infine, sarà codificata la norma di prassi che oggi prevede,
in caso di mancanza dei requisiti, l'obbligo per gli enti
autorizzati al rilascio (casse edili, Inps, Inail) di
invitare mediante posta elettronica certificata o con lo
stesso mezzo per il tramite del consulente del lavoro «a
regolarizzare la propria posizione entro un termine non
superiore a quindici giorni, indicando analiticamente le
cause della irregolarità».
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L'ANALISI
Una mossa corretta per cancellare la confusione.
La solidarietà negli appalti perde, con il decreto legge
approvato ieri dal Consiglio dei ministri, la componente
fiscale. In pratica l'appaltatore non risponderà più con il
subappaltatore del versamento all'Erario delle ritenute
fiscali sui redditi di lavoro dipendente e sull'Iva per le
prestazioni collegate ai lavori.
La norma, introdotta dal decreto legge 83/2012, aveva
provocato gravi problemi operativi per l'impossibilità delle
parti solidali di verificare la corretta esecuzione degli
obblighi di versamento da parte deil subappaltatore. La
norma interessa, in generale, le attività rilevanti ai fini
Iva ed era stata inserita nell'articolo 35 del Dl 223/2006.
La testimonianza della confusione collegata all'obbligo
della solidarietà fiscale tra appaltatore e subappaltatore è
stata raccolta nei mesi scorsi dalla casella di posta
elettronica normeetributi.ilmiogiornale@ilsole24ore.com. Nei
mesi scorsi sono arrivate centinaia di quesiti da parte dei
lettori per capire l'ambito soggettivo e oggettivo della
norma e le modalità per evitare la "brutta" sorpresa della
solidarietà. Solo un riflesso della confusione tra imprese e
fornitori e prestatori di servizi, con le prime alla ricerca
di pezze d'appoggio sulla regolarità dei versamenti.
La solidarietà fiscale costituisce solo un esempio di quanto
negativa possa essere la negligenza del legislatore,
indifferente alle conseguenze di una norma, al di là delle
buone intenzioni. Non è infatti in discussione la bontà
dell'obiettivo, quello di evitare che negli appalti ritenute
e Iva si disperdano in fiumi carsici. Tuttavia, la modalità
–l'affidare la verifica alle parti contraenti dell'appalto– costituisce la resa da parte dell'amministrazione rispetto
alle funzioni di controllo, caricando sul privato oneri non
commisurati al rischio dell'attività economica.
La norma si applica(va) ai contratti di appalto stipulati
dal 12.08.2012 e solo il 01.03.2013 l'agenzia delle
Entrate ne ha chiarito (circolare 2/2013) l'ambito
operativo. Non solo edilizia, hanno detto le Entrate, come
invece poteva far pensare la collocazione, all'interno della
disciplina sull'Iva immobiliare. La solidarietà si
estende(va) a tutti gli appalti dove prevale il servizio,
esclusi quelli di fornitura di beni e i contratti d'opera.
Per sette mesi, le imprese hanno dovuto fare i conti con
l'incertezza. Poco aiuto, vista la mancanza di chiarezza
rispetto al perimetro oggettivo, aveva infatti portato la
prima istruzione dell'Agenzia (circolare 40/2012), dove si
era specificata la possibilità di evitare la solidarietà con
un'autocertificazione sul versamento regolare delle
ritenute.
La solidarietà tra committente e appaltatore –va ricordato–
non sparisce ma sopravvive per quanto riguarda retribuzioni
e contributi previdenziali e assicurativi (per due anni),
così come stabilisce il decreto legislativo 276/2003. La
possibilità di porre un argine è affidata alla
contrattazione collettiva o agli accordi di prossimità in
base all'articolo 8 del decreto legge 138/2011. Anche in
questo campo, però, è necessario fare un po' di chiarezza:
per esempio occorre capire se la deroga alla responsabilità
può interessare solo le retribuzioni e come si intersecano
contrattazione collettiva nazionale e contratti di
prossimità
(articolo Il Sole 24 Ore del 16.06.2013). |
APPALTI: SEMPLIFICAZIONI/ Stop agli adempimenti extra a carico di
committenti e appaltatori.
Gare, responsabilità solidale ko.
E a partire dal 2014 va in soffitta il mod. 770 mensile.
Stop alla responsabilità solidale fiscale negli appalti e al
futuro invio (a partire dal 2014) del 770 mensile.
Queste alcune novità introdotte all'interno del pacchetto di
semplificazioni, all'esame oggi del Consiglio dei ministri.
Responsabilità solidale. Si fa riferimento a quelle
disposizioni attraverso le quali il committente o
l'appaltatore hanno l'obbligo di verificare, di fatto in
surroga all'amministrazione finanziaria, l'esecuzione del
versamento delle ritenute e dell'Iva da parte
dell'appaltatore e/o del subappaltatore; detta disciplina si
applica ai contratti di opere e servizi, di cui all'art.
1655 c.c., con esclusione degli appalti riferibili alle
forniture di beni, ai contratti d'opera e a quelli di
trasporto.
La normativa pende, attualmente, sui soggetti che operano
nel campo di applicazione dell'Iva, con la conseguenza che
restano escluse, oltre alle stazioni appaltanti e ai
condomini, le persone fisiche private, senza esclusione di
alcun settore merceologico (tutti i settori e non solo
l'edilizia).
Sul tema è intervenuta a più riprese anche l'Agenzia delle
entrate (circolari n. 2/E/2013 e n. 40/E/2012), cercando di
limitare al massimo il perimetro applicativo e precisando
che l'applicazione resta limitata ai contratti stipulati a
partire dal 12/08/2012.
Peraltro, la norma ha previsto, in assenza del possesso di
un'idonea documentazione, attestante la correttezza dei
versamenti all'erario (Iva e ritenute), l'applicazione di
una sanzione da 5 a 200 mila euro, qualora il committente o
l'appaltatore esegua il pagamento delle prestazioni in
assenza di detti documenti, sostituibili anche mediante la
ricezione di un'asseverazione sottoscritta da un Caf o da un
professionista.
Con il provvedimento in commento si prende atto,
preliminarmente, dell'inefficacia della disciplina al
contrasto dell'evasione fiscale, con particolare riferimento
alla presenza di lavoratori in nero e, soprattutto,
dell'eccessiva produzione di documentazione, con aggravio di
oneri posti a carico dell'impresa, e dell'inutilità dello
stesso adempimento, per l'assenza di un vero e proprio
controllo a cura di chi riceve la documentazione prescritta.
Inoltre si da atto di una giurisprudenza comunitaria (su
tutte, Corte di giustizia Ue, sentenza 21/06/2012, cause
riunite C-80/11 e C-142/11) con la quale si sta consolidando
un indirizzo attraverso il quale «spetta (_) in linea di
principio, alle autorità fiscali effettuare i controlli
necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare
irregolarità e evasioni in materia di Iva nonché infliggere
sanzioni al soggetto passivo che ha commesso dette
irregolarità o evasioni».
Pertanto, stante la sussistente discriminazione in atto nei
confronti dei committenti e degli appaltatori con sede sul
territorio nazionale rispetto ai medesimi soggetti collocati
negli altri paesi comunitari, con il pacchetto
semplificazioni in commento, si prevede la soppressione dei
commi da 28 a 28-ter, dell'art. 35, dl n. 223/2006,
convertito nella legge 248/2006, con la conseguente
abrogazione della disciplina sulla responsabilità solidale
fiscale negli appalti.
Modello 770 mensile. L'adempimento, introdotto dal comma 1,
dell'art. 44-bis, del dl n. 269/2003, prevede «al fine si
semplificare la dichiarazione annuale presentata dai
sostituti d'imposta» di comunicare, necessariamente ogni
mese, i dati retributivi e le informazioni utili per il
calcolo delle ritenute fiscali e dei relativi conguagli.
I commi 122 e 123, dell'art. 1, della legge 244/2007 hanno
disposto che, con decreto del ministro dell'economia e delle
finanze, emanato di concerto con il ministro del lavoro e
della previdenza sociale, devono essere definite le modalità
attuative della comunicazione e stabilite le modalità di
condivisione dei dati tra l'Agenzia delle entrate e l'Inps,
provvedendo alla semplificazione e all'armonizzazione degli
adempimenti, di cui all'art. 4, dpr n. 322/1998 (modelli
sostituti, ex 770).
La citata comunicazione deve essere presentata
esclusivamente in via telematica, direttamente o tramite gli
intermediari incaricati di cui ai commi 2-bis e 3, dell'art.
3, dpr n. 322/1998 (dottori commercialisti, esperti
contabili, consulenti del lavoro, Caf e altri, comprese le
società del gruppo), entro l'ultimo giorno del mese
successivo a quello di riferimento.
Peraltro, detto adempimento doveva entrare in vigore a
decorrere dal 2011 ma, per effetto di alcune proroghe (da
ultimo, per effetto del comma 7, dell'art. 29, del dl n.
216/2011, convertito nella legge n. 14/2012), è stata
prevista la messa a regime solo a partire dall'01/01/2014.
Di conseguenza, la prima presentazione del 770 mensile, a
cura del sostituto d'imposta, dovrebbe avvenire entro il
28/02/2014, facendo riferimento alle retribuzioni erogate
nel mese di gennaio 2014, ma il pacchetto di semplificazioni
in commento ne ha previsto l'abrogazione totale
(articolo ItaliaOggi del 15.06.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Ripartono gli espropri per pubblica utilità.
Pa. Possibilità riaperta dal Dl 35/2013 dopo i limiti posti
dai vincoli sulle spese.
LE INDICAZIONI/
L'unico elemento da tenere presente è il rispetto del patto
di stabilità interno.
Ripartono gli espropri per pubblica utilità, che erano stati
frenati dalla legge e da interpretazioni della Corte dei
conti: ciò è possibile grazie all'articolo 10-bis del
decreto legge 35/2013 in vigore dall'8 giugno.
Nel periodo
tra il gennaio 2013 (articolo 12, comma 1-quater, Dl 98/2011)
e il giugno di quest'anno (articolo 10-bis Dl 35/2013) le
norme sul contenimento delle spese hanno impedito qualsiasi
acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni da parte di
soggetti pubblici. Vi è stata quindi una paralisi nelle
compravendite, negli espropri, nelle permute e financo, per
analogia, nelle locazioni.
La Corte dei conti, poi, aveva
aggravato il divieto con una serie di delibere delle sezioni
locali (Toscana, Piemonte e Liguria, nn. 125, 52 e 9 del
2013) ipotizzando responsabilità erariali. Dall'8 giugno,
quindi, sono di nuovo possibili espropri, cessioni bonarie,
vendite finalizzate all'esecuzione di opere dichiarate di
pubblica utilità ai sensi del Testo unico
sull'espropriazione (327/2001); sono anche stipulabili
permute (ma solo a parità di prezzo, quindi senza
conguaglio) deliberate prima del 31.12.2012.
Via
libera anche alle cessioni attuative di convenzioni
urbanistiche, cioè alle cessioni di strade, verde, aree per
servizi pubblici che i piani regolatori prevedono come
corrispettivo dell'edificabilità. L'unico limite da tener
presente, secondo l'articolo 10-bis del Dl 35/2013, è un
generico «rispetto del patto di stabilità interno», la cui
violazione tuttavia non ha conseguenze dirette sui contratti
che risultino squilibrati rispetto al predetto accordo (al
più, vi può essere una responsabilità del dirigente).
In
questi mesi di difficoltà negli espropri per pubblica
utilità, si è assistito all'incremento degli accordi di
pianificazione, con ricorso a circuiti di scambio diversi da
quelli che per 150 anni (dalla legge 2359/1865) hanno reso
possibile l'esproprio per pubblica utilità. È stata proprio
la Corte dei conti, nelle delibere del 2013, a suggerire
agli enti locali di ricorrere, invece che a espropri, ad
accordi, perequazioni, transazioni, senza movimentazioni
finanziarie. La Corte ha infatti stimolato la crescita di
accordi di diritto pubblico, di traslazioni di
edificabilità, permute tra edificabilità e opere pubbliche,
premi di volumetria che evitassero pagamenti in moneta e
contestazioni.
Sul valore venale dei beni espropriati, si è
sempre discusso perché prima di giungere al valore venale
(oggi imposto dalla Corte di Strasburgo) ci si è sempre
affidati a espressioni generiche quali il “giusto prezzo in
libera contrattazione”, indennizzo “serio” e “non
irrisorio”, con una serie di brutte figure europee. Ad
esempio, l'esproprio Scordino (dal nome dell'ex
proprietario, in lite dagli anni '90) è costato all'Erario
diversi milioni di euro invece del previsto indennizzo di
pochi milioni di lire: il debito, causato dalle sentenza
della Corte dei diritti dell'uomo, causa oggi il dissesto
del Comune (Tar Reggio Calabria 378/2012), cioè dell'ente
espropriante cui lo Stato ha chiesto il rimborso in rivalsa
(articolo 43 legge 234/2012) per gli importi pagati per
ordine dei giudici di Stasburgo.
Avanzano quindi nuove forme
di partenariato pubblico privato, ad esempio nel social housing,
con presenza di fondi immobiliari e associazioni di imprese
con soci di solo capitale (Consiglio di Stato, 2059/2013),
ripensando alla possibilità di utilizzare la vendita o la
locazione di cosa futura, o i contratti di disponibilità,
eseguendo opere o servizi in cambio di volumi o concessioni
(articolo Il Sole 24 Ore del 15.06.2013). |
APPALTI:
Appalti, obbligo di verifica slittato a fine 2013.
Confermato lo slittamento a fine 2013 dell'obbligo di
verifica dei requisiti dichiarati in gara, tramite Avcpass.
Con il
comunicato 13.06.2013 pubblicato sul proprio sito l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, conferma la proroga a fine
anno delle scadenze previste dalla delibera 111 del 2012,
così come anticipato da ItaliaOggi, lo scorso 12 giugno.
In
sostanza per gli appalti di lavori oltre i 20 milioni di
euro, sarà possibile procedere alla verifica documentale in
via transitoria, fino al 31.12.2013. Analogo discorso
per tutti gli appalti di importo a base d'asta pari o
superiore a 40 mila euro, con esclusione di quelli svolti
attraverso procedure interamente gestite con sistemi
telematici, sistemi dinamici di acquisizione o mediante
ricorso al mercato elettronico, nonché quelli relativi ai
settori speciali per i quali una nuova delibera stabilirà il
regime.
Dal giorno successivo, le dichiarazioni relative
agli appalti di importo a base d'asta pari o superiore a 40
mila euro dovranno obbligatoriamente essere verificate
tramite Avcpass
(articolo ItaliaOggi del 14.06.2013). |
APPALTI: La Centrale unica può attendere.
Slitta il nuovo sistema di acquisizione di lavori e servizi.
Un emendamento approvato al senato proroga l'entrata in
vigore al 31 dicembre.
Differita al 31.12.2013 l'entrata in vigore della
Centrale unica di committenza per i comuni con popolazione
non superiore a 5 mila abitanti.
Lo stabilisce un
emendamento approvato dal senato al disegno di legge n. 576,
di conversione del decreto legge 26.04.2013, n. 43.
La
disposizione, introdotta dal decreto legge 201/2011
(articolo 23, comma 5) sarebbe dovuta entrare in vigore per
i bandi pubblicati dopo il 31.03.2013, sono quindi fatti
salvi i bandi e gli avvisi di gara pubblicati a far data dal
01.04.2013 fino alla data di entrata in vigore della
legge di conversione del decreto legge.
«La previsione della costituzione obbligatoria, entro il 31.03.2013, della Centrale unica di committenza per
l'acquisizione di lavori, servizi e forniture, prevista per
i comuni con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti,
rischiava di determinare un ulteriore elemento di incertezza
e di blocco degli investimenti locali», afferma il
coordinatore nazionale Anci dei piccoli comuni, Mauro
Guerra.
«L'attuazione della Centrale unica di committenza sta già
provocando notevoli difficoltà attuative e interpretative
nelle imprese operanti nei territori dei piccoli comuni che
amministrano il 54% del territorio nazionale», aggiunge
Guerra, evidenziando la forte e diffusa preoccupazione di un
sistema imprenditoriale in palese sofferenza.
La proroga dell'entrata in vigore della Centrale unica di
committenza è destinata a semplificare la vita a molte
amministrazioni locali sotto i 5 mila abitanti alle prese
con gli obblighi di gestione associata che impongono la
cogestione delle nove funzioni fondamentali indicate dalla
spending review entro il 01.01.2014.
«Migliaia di piccoli comuni, pur nella difficoltà del quadro
attuale, si stanno adoperando per cercare di adempiere,
entro la fine del 2013, al complesso degli obblighi di
gestione associata delle funzioni fondamentali in Unione o
convenzione.
L'affidamento obbligatorio a un'unica Centrale di
committenza avrebbe complicato le cose», sottolinea il
parlamentare del Pd.
«È evidente l'irrazionale difformità dei termini previsti
per entrambi gli adempimenti con l'aggravio della previsione
della Centrale unica di committenza associata prima ancora
che i piccoli comuni abbiano definito i loro nuovi assetti
di cooperazione intercomunale», ha aggiunto Guerra.
L'Anci era più volte intervenuta chiedendo almeno una
proroga al 31/12/2013, in allineamento con la definizione
delle gestioni associate obbligatorie delle funzioni
fondamentali, oltre a sollecitare ogni possibile chiarimento
rispetto alle corrette modalità attuative di tale obbligo.
«Auspichiamo quindi», conclude Guerra, «che tale
differimento venga confermato nei successivi passaggi
parlamentari»
(articolo ItaliaOggi del 14.06.2013). |
APPALTI:
Appalti, rinvio per le verifiche. Solo dal 2014 riscontro
dei requisiti tramite Avcpass. Il
consiglio dell'organismo di vigilanza pronto a prorogare la
scadenza di ottobre.
Verso la proroga a fine anno dell'obbligo di verifica dei
requisiti tramite il sistema informatico dell'Avcpass; è
quanto starebbe per deliberare, stando ad alcune
dichiarazioni filtrate dalla stessa Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, lo stesso Consiglio
dell'organismo di vigilanza.
Finirebbe quindi per entrare in
vigore pienamente soltanto ad inizio 2014 l'obbligo per le
stazioni appaltanti di verifica dei requisiti dichiarati dai
concorrenti attraverso il sistema previsto dall'articolo
6-bis del codice dei contratti pubblici che, in realtà,
sarebbe dovuto divenire operativo, per legge, dal primo
gennaio 2013, mettendo in linea tutte le banche dati della
pubblica amministrazioni e le informazioni fornite in via
informatica dagli operatori economici.
A regime il sistema Avcpass dovrebbe snellire gli oneri per gli appaltatori (che
caricheranno su un fascicolo virtuale documenti che oggi
fotocopiano per ogni gara); e rendere più veloci le
verifiche attraverso la consultazione on-line delle banche
dati da parte delle stazioni appaltanti. Ad oggi, le
scadenze previste dalla delibera n. 111 del 20.12.2012
sarebbero tali da fare scattare, dopo il periodo facoltativo
partito a gennaio 2013, in assenza di una proroga, un vero e
proprio obbligo di utilizzazione della piattaforma
informatica dell'Avcpass dal primo luglio 2013 per gli
appalti oltre i 150.000 euro e dal primo ottobre 2013 per i
contratti di valore superiore a 40.000 euro.
L'ipotesi,
stando alle voci che circolano in questi giorni, danno per
scontato uno slittamento a fine anno della scadenza del
primo ottobre (contratti oltre 40.000 euro). Diverse le
ragioni che porterebbero allo slittamento dei termini; in
primis la difficoltà di completare i test sul sistema in
tempo utile date la complessità delle procedure e le diverse
tipologie di contratti coinvolti (lavori, forniture e
servizi), ognuno con le sue ulteriori tipicità.
Anche dagli
incontri che la stessa Autorità sta organizzando in queste
ultime settimane con operatori pubblici e privati
sembrerebbero emergere diversi problemi applicativi tali da
suggerire uno slittamento dei termini per avere il tempo di
mettere in linea correttamente tutte le banche dati e
testare a dovere il sistema
(articolo ItaliaOggi del 12.06.2013). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - APPALTI: Indennizzi
per i ritardi della burocrazia.
Pronte le semplificazioni: Durc «d'ufficio» - Scadenze
unificate per adempimenti amministrativi e fiscali.
MENO ONERI PER LE IMPRESE/
Micro-liberalizzazioni e procedure veloci per edilizia,
lavoro, ambiente Sull'opzione dei risarcimenti le
perplessità del Tesoro.
Soddisfatti o rimborsati. Per le lentezze della burocrazia
cittadini e imprese potrebbero beneficiare, per la prima
volta, di un indennizzo, seppure in misura simbolica. Che
scatterebbe automaticamente entro 60 giorni
dall'accertamento del ritardo, ovvero del mancato rispetto
dei termini fissati per la conclusione dei procedimenti
amministrativi.
Il nuovo meccanismo, con la funzione di
"deterrente" nei confronti della lentocrazia e di incentivo
per i comportamenti virtuosi, potrebbe essere attivato dal
nuovo piano di semplificazione che dovrebbe essere varato
giovedì o venerdì dal Consiglio dei ministri. Anche se la
misura sui "risarcimenti" resta a rischio viste le
perplessità del Tesoro sui costi. Il piano è comunque a
vasto raggio: spazierà dall'edilizia al lavoro passando per
gli appalti e l'ambiente. E potrebbe contenere anche un
capitolo fiscale.
Tra gli interventi ormai certi, l'accorpamento in due sole
scadenze fisse all'anno delle date degli adempimenti
amministrativi e fiscali (1° luglio e 1° gennaio successivi
all'entrata in vigore dei provvedimenti di legge) per
ridurre gli oneri burocratici per cittadini e imprese. E la
procedura accelerata per il Durc (il documento di regolarità
contributiva).
In particolare, sarà possibile il rilascio
d'ufficio del Durc (necessario per gli appalti pubblici).
Che avrà una durata di 180 giorni, senza più dover essere
richiesto a ogni contratto, come accade attualmente. E che
manterrà la propria validità nei confronti di tutte le
stazioni appaltanti e degli enti aggiudicatori. Un
dispositivo che dovrebbe consentire di accelerare i tempi di
pagamento e di ridurre gli oneri a carico delle stesse
amministrazioni.
Uno dei pilastri del piano di semplificazione sarà
costituito dalle misure in chiave di mini-liberalizzazione
per l'avvio delle attività produttive, sulle quali si sta
concentrando il tavolo tecnico attivato allo Sviluppo
economico dal ministro Flavio Zanonato e seguito in prima
persona dal sottosegretario Simona Vicari.
Nel pacchetto verrebbe inserito l'obbligo di rilasciare i
titoli di studio anche in lingua inglese.
Dovrebbe poi essere prevista una velocizzazione delle
procedure per la dichiarazione per la tassa dei rifiuti e
un'ulteriore accelerazione del percorso per il cambio di
resistenza, sulla base delle indicazioni che arrivano dallo
staff tecnico del ministro della Pubblica amministrazione,
Gianpiero D'Alia.
Non dovrebbe mancare poi un nuova fase di delegificazione. I
tecnici del ministero della Pubblica amministrazione, in
collaborazione con quelli di Palazzo Chigi, dello Sviluppo
economico e anche dell'Economia, stanno valutando un
intervento di ripulitura definitiva del "bosco e del
sottobosco" normativo con l'obiettivo di sopprimere
espressamente tutte le disposizioni legislative statali
oggetto di abrogazioni tacita o implicita: si tratta di
quelle norme considerate obsolete.
A confermare che «il Governo presenterà presto un pacchetto
di misure sulle liberalizzazioni» sul fronte burocratico è
stato ieri il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni.
Il punto di partenza è il Ddl semplificazioni bis targato
Patroni Griffi che fu lasciato su un binario morto alla fine
della scorsa legislatura. Ma con molte integrazioni.
L'obiettivo è varate il pacchetto nel prossimo Consiglio dei
ministri (v. Il Sole 24 Ore di ieri).
Alcuni nodi devono
comunque essere ancora sciolti, a cominciare da quello
dell'eventuale capitolo fiscale. E da definire è anche lo
strumento legislativo da adottare: sul tavolo ci sono al
momento due opzioni: un provvedimento unico oppure un doppio
testo. Con il ricorso a un decreto legge per le
semplificazioni più urgenti soprattutto sul versante delle
imprese, come ad esempio quelle sull'accelerazione del Durc
o quelle sul lavoro (che potrebbero anche finire nel Dl sul
piano per l'occupazione giovanile su cui sta lavorando il
ministro Enrico Giovannini).
In ogni caso il decreto
verrebbe accompagnato da un disegno di legge con gli altri
interventi anti-burocrazia al quale sarebbe garantita
comunque una corsia preferenziale in Parlamento
(articolo Il Sole 24 Ore del 09.06.2013). |
APPALTI: G.U.
07.06.2013 n. 132 "Testo
del decreto-legge 08.04.2013, n. 35, coordinato con la legge
di conversione 06.06.2013, n. 64, recante: “Disposizioni
urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica
amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti
territoriali, nonché in materia di versamento di tributi
degli enti locali. Disposizioni per il rinnovo del Consiglio
di presidenza della giustizia tributaria”". |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Deliberazione Corte dei conti: bene i risparmi, ma troppe
ritrosie.
P.a., l'e-market non va. Forniture lente e pochi servizi
postvendita.
L'introduzione dell'obbligo di effettuare gli acquisti sul
mercato elettronico ha certamente portato giovamenti
gestionali alla pubblica amministrazione, ma è innegabile
che ancora oggi si nota una certa ritrosia ad avvalersi di
tale sistema. Infatti, se da un lato sono stati ridotti i
costi sotto il profilo del risparmio di risorse nel processo
di acquisizione ed è stata data la possibilità di
confrontare i prezzi e scegliere il prodotto più aderente
alla proprie necessità, dall'altro si nota in alcuni casi,
l'attuazione di veri e propri «sotterfugi» per sottrarsi
alle regole del mercato elettronico.
Molti anche i problemi rilevati nelle procedure di acquisto.
Tra questi, la presenza di beni con un prezzo superiore a
quello rilevabile sul mercato libero e l'imposizione, a
volte, di lotti minimi di acquisto eccedenti i fabbisogni
effettivi delle amministrazioni.
Queste considerazioni
emergono dalla lettura della
deliberazione
06.06.2013 n. 3 della
Corte dei conti - Sezione centrale di controllo sulle
amministrazioni statali sullo stato degli strumenti di
acquisto informatici.
L'indagine ha evidenziato che il ricorso al Me.Pa. (acronimo
di Mercato elettronico per la Pubblica amministrazione),
introdotto ormai da dieci anni, non è avvenuto nella stessa
misura da parte di tutte le amministrazioni, nonostante
l'obbligo di acquistare su tale mercato beni e servizi
inferiori alla soglia comunitaria sia in vigore dal 2007 e
reso più stringente dalle disposizioni introdotte con il dl
n. 95/2012. Tranne i casi «eccezionali» legati alla
particolarità del settore merceologico di interesse, la
Corte ha rimarcato sull'inderogabilità delle disposizioni in
materia di ricorso a tutti gli strumenti informatici di
acquisto.
In particolare, si legge, con oltre un milione di
prodotti disponibili sul mercato, è avvenuto che il rifiuto
posto da alcune amministrazioni ad acquistare
telematicamente, adducendo motivazioni «irrilevanti» quali
l'esteticità del bene o la mancanza di fiducia sul
fornitore, siano da ritenere delle vere e proprie «clausole
di stile» addotte per ricorrere al mercato libero. La
raccomandazione, quindi, è quella di acquisire il bene sul
libero mercato, solo dopo aver condotto una ricerca presso
tutti i bandi aperti sul mercato, al fine di accertarsi
dell'esistenza del bene o del servizio richiesto.
Altra nota dolente rilevata dai magistrati contabili è
quella riferita alla cronica mancanza di fondi che alcuni
dicasteri hanno fornito durante l'istruttoria. In
particolare, i ministeri dello sviluppo economico, della
giustizia, delle politiche agricole, infrastrutture e
trasporti e quello della giustizia, hanno lamentato la
difficoltà di programmare annualmente i propri fabbisogni a
causa delle limitate risorse disponibili. Per la Corte,
però, questo non può impedire la programmazione degli
acquisti. Anzi, vista l'aria che tira, è sempre preferibile
l'avvio di una oculata programmazione, in quanto, in caso
contrario, la spesa potrebbe aumentare proprio a causa del
ricorso al libero mercato per gli acquisti in urgenza.
Infine, la Corte ha riscontrato che molte P.a. hanno
lamentato che sul Me.Pa. i fornitori talvolta impongano
lotti minimi di acquisto per quantità che superano gli
effettivi fabbisogni. Il suggerimento dei magistrati
contabili, su questo versante, è che le amministrazioni
potrebbero costituirsi in «gruppi di acquisto», con
la funzione di aggregare la domanda così da acquistare i
beni che effettivamente necessitano.
Infine, alcune P.a. hanno lamentato che alcuni beni, a
parità di qualità, sul mercato elettronico hanno un prezzo
superiore a quello del mercato libero. La soluzione? Per la
Corte occorre procedere all'acquisto non con un ordine
diretto, ma con una richiesta di offerta. In pratica, le
amministrazioni dovrebbero contrattare con il fornitore,
accordandosi per un prezzo inferiore a quello di listino.
Senza dimenticare che in molti casi le amministrazioni
vengono lasciate al loro destino nella delicata fase del
postvendita, in particolare, nel mancato rispetto dei tempi
di consegna del bene
(articolo ItaliaOggi del 12.06.2013). |
LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA:
Centro Raccolta Materiali in aree destinate a
standard in zona P.I.P..
Il Centro di Raccolta Materiali asservito all’attività di
gestione dei rifiuti urbani, qualificabile come servizio
pubblico anche quando le prestazioni siano effettuate dal
gestore privato, rientra nel novero delle “attività
collettive” ex art. 5 D.M. n. 1444/1968; pertanto, la sua
realizzazione è compatibile con la destinazione dell’area a
standard (“verde pubblico” e/o “parcheggi”) nell’ambito del P.I.P. comunale.
Ciò tanto più alla luce dell’attuale
tendenza dell’ordinamento al superamento della rigida
zonizzazione del territorio e del principio di fungibilità
delle opere pubbliche, già positivizzato dall’art. 1, co. 4,
della legge n. 1/1978, quale poi ribadito dalla successiva
legislazione regionale (massima tratta da www.lexambiente.it -
TRIBUNALE di Brindisi, Sez. Riesame,
ordinanza 06.06.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Approvazione di progetti di opere pubbliche - Non
conformi alle specifiche destinazioni di piano - Principio
di fungibilità delle opere pubbliche - Art. 1 Legge n.
1/1978 - Art. 5 D.M. n. 1444/1968 - Art. 44, c. 1, lett. a)
e b), D.P.R. 380/2001.
L’approvazione di progetti di opere pubbliche, anche se non
conformi alle specifiche destinazioni di piano e purché lo
strumento urbanistico vigente contenga destinazioni
specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici,
non necessita l’adozione di varianti allo strumento
urbanistico (c.d. principio di fungibilità delle opere
pubbliche - Art. 1 Legge n. 1/1978 ).
Nella specie, la realizzazione di un centro di raccolta
materiali asservito all’attività di gestione dei rifiuti
urbani, è stato ritenuto compatibile con la destinazione
dell’area a standard (“verde pubblico” e/o “parcheggi”)
nell’ambito del P.I.P. comunale, essendo, lo stesso,
qualificabile come servizio pubblico anche quando le
prestazioni siano effettuate da un gestore privato
rientrando, ex art. 5 D.M. n. 1444/1968, nel novero delle
c.d. “attività collettive” (TRIBUNALE
di Brindisi, Sez. penale riesame,
ordinanza 06.06.2013 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Appalti, bandi senza trucchi. Serve la supervisione di un
responsabile del procedimento.
Gare d'appalti senza trucchi con la supervisione del
Responsabile unico del procedimento (Rup).
Dal Consiglio superiore dei lavori
pubblici ok al decreto con osservazioni. Il dm allunga il
passo.
È questo in
sostanza il rilievo più significativo che il Consiglio
superiore dei lavori pubblici esprime nel parere sul decreto
che determina «i corrispettivi a base di gare per gli
affidamenti di contratti di servizi attinenti
all'architettura e all'ingegneria».
Un passaggio che non
compromette il parere di qualche giorno fa (si veda ItaliaOggi del 18/05/2013) sul decreto che resta positivo, né
l'iter di un provvedimento atteso da circa un anno dalle
professioni di area tecnica. Ma che, secondo il Consiglio
superiore dei lavori pubblici, andrebbe meglio esplicitato
nel provvedimento in questione. In sostanza, secondo
l'organo consultivo del governo, il ministero della
giustizia dovrebbe precisare «che compete al responsabile
del procedimento accertare che il corrispettivo da porre a
base di gara non superi quello derivante dall'applicazione
delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in
vigore del provvedimento de quo».
Del resto, come ricorda
ancora il Cslp, era stata proprio la norma primaria a
prevedere un paletto preciso, cioè che i nuovi parametri non
avrebbero dovuto determinare un importo a base di gara
superiore a quello che derivava dall'applicazione delle
tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore
dello stesso decreto. E poiché, per il Consiglio superiore,
per verificare il vincolo di non superamento delle
precedenti tariffe non sono sufficienti le esemplificazioni
allegate spetta al Rup «procedere, sempre e comunque, alla
verifica, per ogni singola ipotesi di affidamento, del
rispetto del calmiere imposto dalla norma primaria». A
questo punto ora sta ai ministeri competenti inserire tener
conto di questa previsione oppure no.
Il testo ora è sul tavolo dell'ufficio legislativo del
ministero delle infrastrutture per il parere di concerto e
sarà poi inviato al Consiglio di stato.
Cresce, quindi, l'attesa per le categorie tecniche dopo che
lo scorso anno il decreto legge sulle liberalizzazioni (n.
1/12) aveva cancellato ogni riferimento tariffario, privando
le stazioni appaltanti di regole certe per calcolare gli
importi e per determinare, di conseguenza, le corrette
procedure per l'affidamento
(articolo ItaliaOggi del 06.06.2013). |
APPALTI: Appalti aperti ai debitori a rate. In regola col fisco anche
con la dilazione di pagamento.
L'adunanza plenaria del Consiglio di
stato sui requisiti per la partecipazione alle gare.
Gli appalti aprono le porte alla rateizzazione fiscale. Il
contribuente può partecipare alle gare indette dalla
pubblica amministrazione anche quando gli è stata accordata
la possibilità di pagare a rate il proprio debito con
l'erario. Il requisito della regolarità fiscale, necessario
per la partecipazione alle gare, sussiste infatti anche con
la rateizzazione.
Il tutto purché il parere positivo da parte
dell'amministrazione finanziaria, arrivi prima della
scadenza dei termini per la presentazione della domanda di
partecipazione.
A mettere la parola fine sulla questione, la
sentenza
05.06.2013 n. 15, dell'Adunanza plenaria del Consiglio di
stato.
Il problema.
Si scioglie quindi il nodo relativo al concetto di
regolarità fiscale. I giudici di palazzo Spada erano infatti
stati chiamati, in più occasioni a trovare una soluzione al
problema (si veda ItaliaOggi del 7 marzo e del 7 maggio). In
particolare, la decisione doveva sciogliere il dubbio
relativo alla possibilità per le imprese di poter
partecipare alle gare di appalto anche nel caso in cui
versassero in situazione di irregolarità fiscale.
A questo
proposito infatti, l'orientamento del Consiglio di stato, a
più riprese, era stato nel senso di escludere dalla
partecipazione alle gare tutte quelle imprese che non
fossero in regola con il versamento dei tributi, comprese
quelle che avevano avuto accesso al pagamento rateizzato. Un
orientamento in questo senso, per quanto garantisse da un
lato la stazione appaltate, non lasciava però possibilità di
lavoro a quelle imprese che, per le ragioni più varie, non
erano rimaste in pari con il versamento dei tributi.
La sentenza.
Un'inversione di rotta quella assunta dall'Adunanza
plenaria. In base a quanto stabilito nella sentenza infatti,
le imprese possono partecipare alle gare di appalto, anche
nel caso in cui l'intero importo dei tributi non sia stato
versato.
C'è però un limite temporale da rispettare. È
infatti necessario che l'impresa sia stata ammessa alla
procedura di rateizzazione del debito prima della scadenza
dei termini previsti per depositare la domanda di
partecipazione. Il tutto, fermo restando che prima di ogni
adempimento in questo senso è necessaria la presentazione
dell'autodichiarazione circa il possesso del requisito di
regolarità fiscale.
Secondo l'Adunanza plenaria infatti «è
inammissibile una dichiarazione che attesti il possesso di
un requisito in data futura». Da una pronuncia in questo
senso, ne consegue che il contribuente versa in una
situazione di irregolarità fiscale solo nel momento in cui,
la richiesta di poter accedere alle dilazioni di pagamento,
a seguito di un accertamento nei suoi confronti, gli venga
negata.
L'accesso alla procedura di rateizzazione infatti,
non solo non è un atto dovuto da parte dell'amministrazione
finanziaria, ma non è nemmeno un meccanismo del tutto
automatico. «La decisione dell'amministrazione finanziaria
infatti, non è solo discrezionale», spiega il Consiglio di
stato, «ma si basa sulla verifica della sussistenza in capo
al contribuente interessato del requisito di obiettiva
difficoltà economica».
La ratio.
Una decisione quindi, volta ad ampliare quanto più possibile
la platea dei partecipanti. Fermo restando però che, come
spiega la pronuncia dell'Adunanza «l'ampliamento del
novero dei partecipanti non è un valore assoluto ma deve
essere ricondotto al suo alveo naturale, dato dalla sua
funzione di strumento volto al conseguimento dell'obiettivo
di assicurare la scelta del miglior contraente all'interno
di una gara».
In quest'ottica quindi, si pone la decisione di stabilire
alla scadenza della presentazione delle domande il termine
ultimo per essere entrati in possesso del requisito di
regolarità fiscale. Per i giudici infatti, il principio
della certezza del quadro delle regole e dei tempi delle
gare di appalto impone che «i requisiti di partecipazione
siano verificati in modo compiuto al momento della scadenza
dei termini di presentazione delle domande per impedire che
si verifichi un'ammissione condizionata che si rifletterebbe
negativamente sui valori dell'efficienza e della
tempestività dell'azione amministrativa»
(articolo ItaliaOggi dell'08.06.2013). |
APPALTI: Appalti segreti, il nulla osta sicurezza può essere girato
In un appalto pubblico «segreto», il nulla osta di sicurezza
(Nos) può essere prestato da una impresa a un'altra
attraverso l'istituto dell'avvalimento; si tratta di
requisito speciale che l'impresa ausiliaria deve però
mettere a disposizione assicurando gli indispensabili
livelli di segretezza nell'esecuzione dell'appalto.
È quanto
afferma la IV Sez. del Consiglio di Stato con la
sentenza
04.06.2013 n. 3059 relativa a un appalto
bandito dalla Procura della repubblica di Perugia, ai sensi
dell'art. 17 del codice dei contratti pubblici, per «la
fornitura di apparati per sistema di registrazione
intercettazioni telefoniche, telematiche, ambientali e Gps».
Il bando di gara, in particolare, richiedeva per la
presentazione dell'offerta, unitamente alla dimostrazione
dei requisiti di ordine generale di cui all'articolo 38 del
codice dei contratti pubblici, che fosse presentata una
copia autenticata o dichiarazione sostitutiva «...di
certificazione del nullaosta di sicurezza (Nos) previsto
dall'articolo 9 della legge n. 124/2007 e dell'articolo 17,
terzo comma del dlgs 163/2006».
Il Consiglio di stato,
dovendosi esprimere sull'utilizzabilità dell'avvalimento per
provare il possesso del Nos, chiarisce in primo luogo come
il nulla osta di sicurezza non concerna affatto un requisito
generale di partecipazione alle gare d'appalto. Per i
giudici, infatti, sia la «costruzione letterale», sia «la
collocazione sistematica della disposizione» rendono chiaro
che il legislatore non ha affatto considerato il Nos
nell'ambito dei requisiti generali di partecipazione
relativi ai c.d. «requisiti morali».
In secondo luogo non si
tratta neanche di un generico requisito di capacità tecnica
di cui di cui all'art. 42 del codice dei contratti pubblici,
all'interno dei quali figurano invece, qualificazioni
professionali, risorse umane e attrezzature tecniche,
ritenute necessarie per l'esecuzione del contratto tra
quelle individuate. Pertanto, considerando la specificità
della previsione dell'art. 17, comma 3, del codice dei
contratti, «il Nos deve essere configurato come requisito
speciale di capacità tecnica, analogamente alla fattispecie
di cui all'art. 43 del codice dei contratti relativa al
possesso del sistema di qualità».
Il Cds vede nel Nos un
«requisito soggettivo speciale» del profilo organizzativo,
rientrante fra quelli oggetto di avvalimento ex art. 49
codice contratti pubblici. Quindi, l'impresa ausiliata dovrà
avere a disposizione personale e risorse necessari ad
assicurare segretezza nell'esecuzione dell'appalto e non
potrà limitarsi a «prestare» l'attestato Nos
(articolo ItaliaOggi del 14.06.2013). |
APPALTI SERVIZI: La corretta interpretazione dell’espressione
“accordo consortile” e le acquisizioni
in economia mediante amministrazione diretta.
Enti locali - Accordo
consortile - Art.
30 Tuel - Acquisizioni
in economia - Gestione
obbligatoria
da parte della centrale unica di committenza.
La Corte
dei conti, sezione regionale di controllo per l’Umbria, si
è pronunciata sulla richiesta di un parere avanzata dal
sindaco di un comune relativa a due quesiti. In primo
luogo veniva richiesto quale fosse la corretta
interpretazione
dell’espressione “accordo consortile” contenuta
nel comma 3-bis
dell’art. 33 del Dlgs n. 163/2006 (comma
aggiunto dal Dl n. 201/2011) e quale sia il suo
rapporto con la disposizione contenuta nell’art. 2, comma
186, della legge n. 191/2009, che ha invece sancito la
soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali. In
secondo luogo veniva richiesto alla Corte se nell’obbligo
di acquisizione mediante la centrale unica di committenza
rientrino anche le acquisizioni in economia ai
sensi dell’art. 125 del citato Dlgs n. 163/2006.
Nello specifico, relativamente al primo quesito il sindaco
umbro demandava se, stante soppressione dei consorzi
disposta dalla legge n. 191/2009 richiamata, sia
possibile assolvere l’obbligo previsto dal comma 3-bis
dell’art. 33 del Dlgs n. 163/2006 mediante la stipula di
una convenzione ex art. 30 del Tuel.
A parere della Corte, il termine “accordo consortile” di
cui alla norma richiamata, deve essere considerato come
un’espressione “atecnica” con la quale il legislatore
ha inteso genericamente riferirsi alle convenzioni di cui
all’art. 30 del Tuel, come strumento alternativo all’unione
dei comuni. In tale ottica interpretativa dunque,
l’espressione “accordi consortili” deve essere intesa non
già come accordi istitutivi di un vero e proprio consorzio,
ai sensi dell’art. 31 del Tuel (al quale spetterebbe
successivamente la competenza a istituire una propria
centrale di committenza) bensì come atti convenzionali
volti ad adempiere l’obbligo normativo di istituire una
centrale di committenza, evitando però la costituzione
di organi ulteriori e con essi le relative spese. Pertanto,
i comuni con meno di 5.000 abitanti possono assolvere
l’obbligo di cui all’art. 33, comma 3-bis,
del Dlgs n.
163/2006 o nell’ambito dell’unione dei comuni ovvero
mediante una convenzione, nei termini di cui all’art. 30
Tuel.
Quanto al secondo quesito, ovvero se nell’obbligo di
acquisizione mediante la centrale unica di committenza
rientrino anche le acquisizioni in economia ai sensi
dell’art. 125 del citato Dlgs n. 163/2006, la Corte
evidenzia
che sulla stessa questione si era già espressa la
stessa Corte dei conti, sezione di controllo per il
Piemonte,
con la deliberazione n. 271/2012, in base alla
quale sono da ritenersi escluse dalla gestione obbligatoria
da parte della centrale unica di committenza sia le
acquisizioni in economia mediante amministrazione diretta
sia le ipotesi eccezionali di affidamento diretto
consentite dalla legge, quali quelle previste all’art. 125,
commi 8 e 11, del Dlgs n. 163/2006 (Corte dei Conti, Sez. reg. controllo Umbria,
parere 04.06.2013
n. 112 - commento tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n.
7-8/2013). |
APPALTI:
Stazione appaltante deve segnalare all'Autorità di Vigilanza
false dichiarazioni.
I giudici del Consiglio di Stato si soffermano, nella
pronuncia in rassegna, sul dovere per la stazione appaltante
di segnalare all'Autorità di Vigilanza le ipotesi di false
dichiarazioni relative ai requisiti di ordine generale.
In
forza degli artt. 6, c. 11, e 38, c. 1, lett. h), del d.lgs.
n. 163 del 2006, secondo i giudici di Palazzo Spada, la
stazione appaltante è tenuta a segnalare all'Autorità di
Vigilanza le ipotesi di false dichiarazioni relative ai
requisiti di ordine generale; che trattasi di segnalazione
doverosa per la stazione appaltante, la cui omissione è
sanzionata con l'irrogazione di sanzione amministrativa
pecuniaria; l'obbligo si esaurisce nella segnalazione,
essendo rimessa all'Autorità l'eventuale iscrizione nel
casellario informatico, a seguito di procedimento della
stessa Autorità, del quale la parte deve essere notiziata;
che questa fattispecie differisce da quella di cui all'art.
48 del d.lgs. n. 163 del 2006, la cui disciplina e le
relative sanzioni sono rigidamente prefissate dalla legge.
Ad oggi, comunque, ogni questione deve ritenersi superata
alla luce delle modifiche apportate all'art. 38 del codice
dal d.l. 13.05.2011, n. 70 (decreto sviluppo),
convertito, con modificazioni, dalla l. 12.07.2011, n.
106. Il decreto sviluppo del 2011 ha, infatti, introdotto
all'art. 38 del codice il c. 1-ter in virtù del quale, in
caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa
documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti
in subappalto, la stazione appaltante "ne dà segnalazione
all'Autorità" che, laddove ritenga che siano state rese con
dolo o colpa grave, dispone l'iscrizione nel casellario
informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara
e dagli affidamenti in subappalto.
Pertanto, in base alla
normativa vigente ratione temporis, era doverosa la
segnalazione all'Autorità dell'accertamento negativo dei
requisiti generali in testa alle imprese partecipanti ad una
procedura ad evidenza pubblica (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.06.2013 n. 3045 -
Link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Linee guida sponsorizzazioni.
Domanda
Mi dicono dell'approvazione delle linee guida per
sponsorizzazioni di beni culturali, ma non riesco a
reperirne notizia. Chiedo di avere riferimenti al riguardo.
Risposta
Il decreto del ministero per i beni e le attività culturali
19.12.2012 recante «Approvazione delle norme tecniche
e linee guida in materia di sponsorizzazioni di beni
culturali e di fattispecie analoghe o collegate» è stato
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12.03.2013.
Il decreto si pone come compimento di una serie di atti
volti a regolare la prassi di sponsorizzazione di beni
culturali (percorso iniziato con l'art. 120 del codice dei
beni culturali, proseguito con gli articoli 26 e 27 del dlgs
163/2006 e la legge 35/2012) (articolo ItaliaOggi
Sette del 03.06.2013). |
APPALTI SERVIZI:
A. Reggio d’Aci,
Evidenza pubblica e associazioni di volontariato:
l’onerosità della convenzione va valutata in termini
comunitari (tratto da www.ipsoa.it -
Urbanistica e appalti n. 6/2013). |
maggio 2013 |
|
APPALTI - LAVORI PUBBLICI: Anche
dopo le modifiche introdotte dal c.d. decreto
sviluppo di cui al d.l. n. 70/2011, è rimasta
inalterata la facoltà delle amministrazioni
aggiudicatrici di richiedere, a pena di esclusione,
tutti i documenti e gli elementi ritenuti necessari
o utili per identificare e selezionare i
partecipanti ad una procedura concorsuale nel
rispetto del principio di proporzionalità, ai sensi
degli art. 73 e 74 del Codice dei contratti.
---------------
Con riferimento all’attestazione del r.u.p. di presa
visione dei luoghi dove devono eseguirsi i lavori,
imposta dal disciplinare di gara, un orientamento
ha affermato che con il richiedere tale attestazione
“la stazione appaltante pone a carico
dell'appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui
corrisponde una altrettanto precisa responsabilità
contrattuale di quest’ultimo. La provenienza di
detto documento dall’amministrazione aggiudicatrice
assicura a quest’ultima maggiore tutela, a presidio
dell'interesse, di ordine imperativo,
all’individuazione del contraente più idoneo nonché
alla correttezza e regolarità della gara, in un
ottica dunque di rafforzamento degli adempimenti
dichiarativi imposti dall'art. 71, comma 2, del
D.P.R. n. 554/1999 e dunque in coerenza con
l'interesse pubblico sotteso a tale norma di
azione”.
Tuttavia, nel caso di specie, il Comune ha
introdotto un requisito di partecipazione
ingiustamente limitativo della concorrenza in quanto
ha imposto alle imprese di partecipare ad un
sopralluogo prima della scadenza del termine di
presentazione delle istanza di partecipazione.
In questo modo le imprese che hanno conosciuto
all’ultimo momento il bando od hanno deciso di
partecipare alla gara nel periodo intercorrente tra
il giorno del sopralluogo e la scadenza del termine
per la partecipazione, erano in sostanza già escluse
dalla gara in quanto non in grado di presentare la
suddetta attestazione del r.u.p.
L’adempimento richiesto viola quindi il principio di
proporzionalità ed il termine di partecipazione alla
gara, in quanto imponendo l’obbligo di maturare
requisiti di partecipazione alla gara in data
anteriore al termine finale di partecipazione, ha
sostanzialmente ridotto i termini di partecipazione
ed ha introdotto un adempimento non assolvibile
dalle imprese che venivano a conoscenza del bando in
data successiva alla data del sopralluogo ma prima
della scadenza dei termini di partecipazione alla
gara.
A ciò si aggiunge che l’attestazione del r.u.p. di
presa visione dei luoghi dove devono eseguirsi i
lavori è requisito che non trova adeguato supporto
normativo in quanto l’art. 106 del D.P.R. 207/2010,
nell’intento evidente di semplificare le modalità di
partecipazione alla gara, si limita a prevedere la
dichiarazione di sopralluogo a cura del partecipante
e la richiede esclusivamente per gli appalti e le
concessioni di lavori pubblici.
Occorre rammentare in merito che lo scopo della
riforma delle cause di esclusione è stata quella di
porre un freno al proliferare delle cause di
esclusione inventate dall’amministrazione e giungere
a rendere più omogenei e prevedibili i bandi,
ottenendo così un freno al proliferare della
litigiosità giudiziaria.
Con riferimento alla conoscenza dei luoghi occorre
rammentare che la giurisprudenza amministrativa
precedente la riforma considerava generalmente
sufficiente ai fini dell’ammissione alla gara la
dichiarazione di sopralluogo a prescindere dalle
modalità con cui esso sia stato eseguito, a meno che
non fosse espressamente richiesto anche uno
specifico verbale di sopralluogo sulle relativa
modalità.
La prescrizione del bando di gara che richiede, tra
i documenti da allegare all’offerta, la
certificazione, con la quale la stazione appaltante,
e per essa il responsabile del procedimento, attesti
l'effettiva presa visione del progetto e dei luoghi
in cui debbono eseguirsi i lavori, è stata sempre
considerata una previsione derivante da una scelta
discrezionale della stazione appaltante ispirata
all’intento di integrare e rafforzare, ma
soprattutto verificare, con apposita certificazione
del responsabile del procedimento, la dichiarazione
prevista dall’art. 71, comma 2, del D.P.R. n.
554/1999 già resa dai concorrenti.
Si tratta quindi in sostanza dell’introduzione di un
adempimento formale, privo di base normativa e con
funzione esclusivamente rafforzativa delle garanzie
di legge, che si pone in contrasto con le esigenze
di semplificazione e standardizzazione dei bandi
perseguita dal c.d. decreto sviluppo e da altre
disposizioni normative, quali quelle introduttive
dei bandi tipo.
Ne consegue che deve ritenersi sufficiente ai fini
dell’ammissione ad una gara la dichiarazione di
sopralluogo a prescindere dalle modalità con cui
esso sia stato eseguito, e deve escludersi che la
mancanza dell’attestazione del r.u.p. possa
costituire causa di esclusione, avendo il
legislatore già disciplinato la materia della
conoscenza dei luoghi senza prevedere tale
adempimento meramente formale.
In merito ai requisiti richiesti dal bando
di gara per la partecipazione, la giurisprudenza ha già
avuto modo di precisare come anche dopo le modifiche
introdotte dal c.d. decreto sviluppo di cui al d.l.
n. 70/2011, sia rimasta inalterata la facoltà delle
amministrazioni aggiudicatrici di richiedere, a pena di
esclusione, tutti i documenti e gli elementi ritenuti
necessari o utili per identificare e selezionare i
partecipanti ad una procedura concorsuale nel rispetto del
principio di proporzionalità, ai sensi degli art. 73 e 74
del Codice dei contratti (cfr. Cons. Stato, Sez, V, 12.06.2012, n. 3884).
Con riferimento in particolare all’attestazione del r.u.p.
di presa visione dei luoghi dove devono eseguirsi i lavori,
imposta dal disciplinare di gara, un orientamento ha
affermato che con il richiedere tale attestazione “la
stazione appaltante pone a carico dell'appaltatore un
preciso dovere cognitivo, cui corrisponde una altrettanto
precisa responsabilità contrattuale di quest’ultimo. La
provenienza di detto documento dall’amministrazione
aggiudicatrice assicura a quest’ultima maggiore tutela, a
presidio dell'interesse, di ordine imperativo,
all’individuazione del contraente più idoneo nonché alla
correttezza e regolarità della gara, in un ottica dunque di
rafforzamento degli adempimenti dichiarativi imposti
dall'art. 71, comma 2, del D.P.R. n. 554/1999 e dunque in
coerenza con l'interesse pubblico sotteso a tale norma di
azione”.
Venendo al caso in questione occorre rilevare che il
Comune di Canegrate ha introdotto un requisito di
partecipazione ingiustamente limitativo della concorrenza in
quanto ha imposto alle imprese di partecipare ad un
sopralluogo prima della scadenza del termine di
presentazione delle istanza di partecipazione.
In questo modo le imprese che hanno conosciuto all’ultimo
momento il bando od hanno deciso di partecipare alla gara
nel periodo intercorrente tra il giorno del sopralluogo e la
scadenza del termine per la partecipazione, erano in
sostanza già escluse dalla gara in quanto non in grado di
presentare la suddetta attestazione del r.u.p.
L’adempimento richiesto viola quindi il principio di
proporzionalità ed il termine di partecipazione alla gara,
in quanto imponendo l’obbligo di maturare requisiti di
partecipazione alla gara in data anteriore al termine finale
di partecipazione, ha sostanzialmente ridotto i termini di
partecipazione ed ha introdotto un adempimento non
assolvibile dalle imprese che venivano a conoscenza del
bando in data successiva alla data del sopralluogo ma prima
della scadenza dei termini di partecipazione alla gara.
A ciò si aggiunge, secondo il Collegio, che
l’attestazione del r.u.p. di presa visione dei luoghi dove
devono eseguirsi i lavori è requisito che non trova adeguato
supporto normativo in quanto l’art. 106 del D.P.R. 207/2010,
nell’intento evidente di semplificare le modalità di
partecipazione alla gara, si limita a prevedere la
dichiarazione di sopralluogo a cura del partecipante e la
richiede esclusivamente per gli appalti e le concessioni di
lavori pubblici.
Occorre rammentare in merito che lo scopo della riforma
delle cause di esclusione è stata quella di porre un freno
al proliferare delle cause di esclusione inventate
dall’amministrazione e giungere a rendere più omogenei e
prevedibili i bandi, ottenendo così un freno al proliferare
della litigiosità giudiziaria.
Con riferimento alla conoscenza dei luoghi occorre
rammentare che la giurisprudenza amministrativa precedente
la riforma considerava generalmente sufficiente ai fini
dell’ammissione alla gara la dichiarazione di sopralluogo a
prescindere dalle modalità con cui esso sia stato eseguito,
a meno che non fosse espressamente richiesto anche uno
specifico verbale di sopralluogo sulle relativa
modalità (Cons. St., sez. V, 07.07.2005 n. 3729).
La prescrizione del bando di gara che richiede, tra i
documenti da allegare all’offerta, la certificazione, con la
quale la stazione appaltante, e per essa il responsabile del
procedimento, attesti l'effettiva presa visione del progetto
e dei luoghi in cui debbono eseguirsi i lavori, è stata
sempre considerata una previsione derivante da una scelta
discrezionale della stazione appaltante ispirata all’intento
di integrare e rafforzare, ma soprattutto verificare, con
apposita
certificazione del responsabile del procedimento, la
dichiarazione prevista dall’art. 71, comma 2, del D.P.R. n.
554/1999 già resa dai concorrenti (TAR Lazio, Latina, 24.10.2003 n. 868; cfr., altresì, Cons. St., sez. IV, 13.09.2001 n. 4805; TAR Basilicata, Potenza,
05.11.2004 n. 742).
Si tratta quindi in sostanza dell’introduzione di un
adempimento formale, privo di base normativa e con funzione
esclusivamente rafforzativa delle garanzie di legge, che si
pone in contrasto con le esigenze di semplificazione e
standardizzazione dei bandi perseguita dal c.d. decreto
sviluppo e da altre disposizioni normative, quali quelle
introduttive dei bandi tipo.
Ne consegue che deve ritenersi sufficiente ai fini
dell’ammissione ad una gara la dichiarazione di sopralluogo
a prescindere dalle modalità con cui esso sia stato
eseguito, e deve escludersi che la mancanza
dell’attestazione del r.u.p. possa costituire causa di
esclusione, avendo il legislatore già disciplinato la
materia della conoscenza dei luoghi senza prevedere tale
adempimento meramente formale
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 31.05.2013 n. 1434 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Oggetto: Lavori pubblici e iscrizioni a piattaforme
telematiche (ANCE Bergamo,
circolare 31.05.2013 n. 132). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Risposta
del ministero dell'economia a un'interrogazione parlamentare
sul dl 83.
Solidarietà negli appalti a 360°. Applicazione in tutti i
settori e non solo nell'edilizia.
La solidarietà a favore del fisco vige in tutti gli appalti,
e non solo nell'edilizia.
L'articolo 35 del decreto legge 223/2206 (modificato dal
decreto legge 83/2012) va interpretato in senso estensivo,
in quanto ispirato all'obiettivo della lotta all'evasione
fiscale, che vale per tutti i settori merceologici.
È quanto
chiarito in una risposta del Mef a un'interrogazione
parlamentare in commissione finanze alla camera, che ha
sollevato il dubbio dell'ambito di applicazione dell'obbligo
solidale.
Ma partiamo dall'esame della disciplina. Nei contratti di
appalto e di subappalto l'appaltatore risponde in solido con
il subappaltatore del versamento all'Erario delle ritenute
fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento
dell'Iva dovuta dal subappaltatore all'Erario. Questo
significa che l'appaltatore deve pagare le ritenute e l'Iva
dovuta dal subappaltatore, anche se la responsabilità è
contenuta nei limiti dell'ammontare del corrispettivo
dovuto.
Per non incorrere nella responsabilità l'appaltatore deve
acquisire la documentazione relativa all'avvenuta esecuzione
degli obblighi fiscali (anche mediante una attestazione
asseverata di soggetto abilitato). Tra l'altro si può
sospendere il pagamento del corrispettivo fino a che non sia
esibita la documentazione sulla regolarità tributaria:
questo vale sia per l'appaltatore nei confronti del
subappaltatore, sia per il committente nei confronti dell'
appaltatore (se non osserva gli obblighi a suo carico).
Il problema interpretativo affrontato dall'interrogazione
parlamentare è se la speciale procedura riguardi solo il
settore dell'edilizia o si estenda ad altri campi. La
risposta del Mef parte dallo scopo della normativa:
contrastare l'evasione. Dunque il «nero» va combattuto,
creando conflitti di interesse, non solo nel settore edile,
ma in tutti gli appalti e subappalti a prescindere dal
settore economico.
Altro tema è la definizione dei contratti di appalto e di
subappalto coinvolti. L'articolo 28 citato si riferisce ai
contratti di appalto di opere e servizi. A questo proposito
si segnala che la risposta all'interrogazione elenca i
contratti esclusi dalla procedura di solidarietà,
individuandoli nei contratti diversi da quello tipico
previsto dall'articolo 1655 del codice civile.
Rimangono, dunque, esclusi il contratto di opera, il
contratto di trasporto, il contratto di subfornitura e le
prestazioni rese nell'ambito di un rapporto consortile.
Quanto agli appalti di fornitura dei beni, questi sono
menzionati espressamente dal comma 28-ter dell'articolo 35
del decreto legge 223/2006, che dettaglia il campo di
applicazione; tuttavia i precedenti commi 28 e 28-bis
(dedicati alla descrizione dell'istituto della
responsabilità solidale e dei suoi effetti) non ne parlano e
si limitano a citare solo gli appalti di opere e servizi.
Per questa asimmetria l'agenzia delle entrate ha ritenuto
gli appalti di fornitura di beni estranei alla disciplina
della solidarietà. Disciplina che, dove applicabile, vige
sia nei rapporti trilaterali (committente, appaltatore e
subappaltatore) sia nei rapporti bilaterali (committente e
appaltatore)
(articolo ItaliaOggi del 31.05.2013). |
APPALTI FORNITURE:
Sul divieto di introdurre nelle clausole
contrattuali specifiche tecniche che indicano prodotti di
una determinata fabbricazione o provenienza.
Le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli
offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli
ingiustificati all'apertura dei contratti pubblici alla
concorrenza.
In materia di gare d'appalto opera il principio della libera
concorrenza, che trova applicazione in primo luogo nella
fase della determinazione del contenuto del contratto
oggetto di gara, con particolare riferimento alla
individuazione delle prestazioni richieste; quindi, in caso
di gara per l'affidamento di un appalto di fornitura,
sussiste il divieto di introdurre nelle clausole
contrattuali specifiche tecniche che indicano prodotti di
una determinata fabbricazione o provenienza (art. 68, c. 3,
lett. a), del d.lgs. n. 163/2006) ed esso può essere
derogato inserendo nel bando la menzione "o equivalente",
che è però autorizzata solo quando le Amministrazioni non
possano fornire una descrizione dell'oggetto dell'appalto
mediante specifiche tecniche sufficientemente precise, o
formulando la "lex specialis" in termini funzionali
(art. 68, c. 3, lett. b e lett. c, del d.lgs. n. 163/2006).
In tal senso, è stato ritenuto che, qualora le specifiche
tecniche siano plasmate su quelle del prodotto coperto da
brevetto e sia, altresì, carente la indicazione della
menzionata espressione, ha luogo una evidente violazione dei
principi in materia di par condicio e di non discriminazione
nelle gare, con conseguente annullamento, per illegittimità,
del provvedimento di esclusione della concorrente il cui
prodotto non possegga quelle esatte e specifiche
caratteristiche menzionate.
---------------
L'art. 68 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti)
intende tutelare la concorrenza e la par condicio dei
partecipanti alle gare fin dalla determinazione del
contenuto del contratto, ed è proprio a tal fine che (c. 2)
"le specifiche tecniche devono consentire pari accesso
agli offerenti e non devono comportare la creazione di
ostacoli ingiustificati all'apertura dei contratti pubblici
alla concorrenza".
In questo senso, il divieto di "menzione" o comunque
di "riferimento" (o utilizzazione comparativa) a "un
marchio, a un brevetto o a un tipo, a un'origine o a una
produzione specifica che avrebbero come effetto di favorire
o eliminare talune imprese o taluni prodotti", si pone
come attuativo del principio generale di cui al c. 2
dell'art. 68.
In altre parole, il legislatore -nel prevedere come regola
il citato divieto (costituendo la possibilità di menzione o
di riferimento una espressa eccezione)- afferma appunto che
la menzione o il riferimento ad un tipo o a una produzione
specifica costituiscono ex se un "ostacolo
ingiustificato" alla concorrenza, ed in particolare alla
par condicio dei concorrenti, posto che uno di essi
(anche solo potenzialmente) beneficia nella partecipazione
alla gara di una posizione di vantaggio.
Né è sufficiente la mera menzione della possibilità di
presentare tipi o prodotti "equivalenti" a
giustificare la menzione o il riferimento suddetti (ed in
via generale vietati) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.05.2013 n. 2976 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'informativa prefettizia, di cui agli art. 4
d.lgs. 29.10.1994 n. 490 e 10 d.P.R. 03.06.1998 n. 252, è
funzionale alla peculiare esigenza di mantenere un
atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione
mafiosa, idonei a condizionare le scelte delle imprese
chiamate a stipulare contratti con la p.a., determinando
l'esclusione dell'imprenditore, sospettato di detti legami,
dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla
stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti
quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un
soggetto pubblico e l'utilizzo di risorse della
collettività.
Di conseguenza, la misura è adottabile sulla base di
accertamenti sommari e probabilistici, che non raggiungono,
né possono raggiungere, le certezze che scaturiscono dai
giudizi penali; ed è irrilevante la preesistenza di
pregiudizi penali o procedimenti pendenti per reati di mafia
così come sono irrilevanti le risultanze negative dei
certificati penali delle persone interessate all’indagine.
Tuttavia, è altrettanto essenziale, in un sistema di
legalità, non attribuire valore esclusivo al mero rapporto
di parentela con soggetti pregiudicati o contigui ad
ambienti criminali; tale elemento, però, unito ad altri può
essere idoneo ad integrare il presupposto del tentativo di
infiltrazione mafiosa.
Osserva il Collegio
che la sentenza appellata ha esaminato puntualmente sia i
principi elaborati dalla giurisprudenza al fine di una
applicazione garantista delle norme concernenti la materia,
sia le risultanze istruttorie del caso in esame, non
rilevando vizi di illogicità e superficialità, e concludendo
correttamente che “gli accertamenti condotti, pur non
facendo palesare situazioni di effettiva e conclamata
infiltrazione mafiosa hanno dato conto della presenza di
circostanze poste alla soglia, giuridicamente rilevante,
dell’influenza e del condizionamento latente dell’attività
dell’impresa da parte delle organizzazioni criminali”.
Il Collegio condivide tali conclusioni: valore pregnante
nella fattispecie assume il contesto, la compagine familiare
sospetta; i fatti esaminati partitamente presentano nel loro
insieme una coerenza logica sufficiente a giustificare la
misura prefettizia, che, come più volte ribadito in
giurisprudenza, ha una forte valenza di anticipazione “della
soglia di prevenzione” rispetto ai tentativi di
infiltrazione mafiosa nelle attività economiche.
"L'informativa prefettizia, di cui agli art. 4 d.lgs.
29.10.1994 n. 490 e 10 d.P.R. 03.06.1998 n. 252, è
funzionale alla peculiare esigenza di mantenere un
atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione
mafiosa, idonei a condizionare le scelte delle imprese
chiamate a stipulare contratti con la p.a., determinando
l'esclusione dell'imprenditore, sospettato di detti legami,
dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla
stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti
quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un
soggetto pubblico e l'utilizzo di risorse della collettività.”
(Consiglio Stato , sez. VI, 17.07.2006, n. 4574).
Di conseguenza, la misura è adottabile sulla base di
accertamenti sommari e probabilistici, che non raggiungono,
né possono raggiungere, le certezze che scaturiscono dai
giudizi penali; ed è irrilevante la preesistenza di
pregiudizi penali o procedimenti pendenti per reati di mafia
così come sono irrilevanti le risultanze negative dei
certificati penali delle persone interessate all’indagine
(Consiglio Stato sez. VI, 03.03.2010, n. 1254).
Tuttavia, è altrettanto essenziale, in un sistema di
legalità, non attribuire valore esclusivo al mero rapporto
di parentela con soggetti pregiudicati o contigui ad
ambienti criminali; tale elemento, però, unito ad altri può
essere idoneo ad integrare il presupposto del tentativo di
infiltrazione mafiosa (Consiglio Stato sez. V, 07.11.2006 n.
6536)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 30.05.2013 n. 2941 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Modalità di ricorso agli strumenti offerti dal MEPa-Consip -
l’obbligo di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento
va mitigato ogni qual volta il ricorso all’esterno persegue
la ratio di contenimento della spesa pubblica.
---------------
Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla
Sezione, con nota prot. n. 5548/1.13.9 del 25.03.2013, una
richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di
Chiesina Uzzanese contenente una serie di quesiti in
materia di acquisto di prodotti e servizi.
In particolare chiede:
1. se sia possibile per l’ente rientrare nel concetto di
amministrazione dello Stato di cui all’art. 1, comma 6 del
d.l. n. 95/2012, convertito dalla L. n. 135/2012, come
modificato dall’art. 1, comma 153, della L. n. 288/2012, e,
pertanto, stipulare direttamente contratti con fornitori non
inseriti fra quelli presenti su Consip qualora gli stessi
vengano contratti a prezzi più bassi da quelli derivanti dal
rispetto dei parametri di qualità e di prezzo messi a
disposizione da Consip spa;
in caso di risposta negativa:
2. se sia sempre obbligatorio per l’ente utilizzare gli
strumenti offerti da Consip spa o dalle centrali di
committenza ovvero sia possibile per l’ente, nel caso in cui
l’ordinativo minimo richiesto da Consip sia superiore alle
necessità, procedere a procedura fuori da tali canali;
3. se sia possibile per l’ente, dopo aver individuato il
fornitore su Consip o nelle centrali di committenza,
procedere direttamente con lo stesso per l’adattamento
dell’offerta fuori del mercato elettronico;
4. se sia possibile ricorre a fornitore esterno alle
centrali di committenza o a Consip che proponga un prezzo
più basso a parità di caratteristiche quali-quantitative;
5. se sia possibile evitare il ricorso al MEPA e alle
centrali uniche di committenza nel caso di acquisti di beni
o servizi siano di importo inferiore a 40.000 euro.
...
Nel merito, l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 95/2012,
convertito dalla L. n. 135/2012, come modificato dall’art.
1, comma 153, della L. 288/2012 (con decorrenza dal
01.01.2013) recita: “i contratti stipulati in violazione
dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488 ed
i contratti stipulati in violazione degli obblighi di
approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi
a disposizione da Consip S.p.A. sono nulli, costituiscono
illecito disciplinare e sono causa di responsabilità
amministrativa. Ai fini della determinazione del danno
erariale si tiene anche conto della differenza tra il
prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e
quello indicato nel contratto. Le centrali di acquisto
regionali, pur tenendo conto dei parametri di qualità e di
prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da
Consip S.p.A., non sono soggette all'applicazione
dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488.
La disposizione del primo periodo del presente comma non si
applica alle Amministrazioni dello Stato quando il contratto
sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello
derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo
degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip
S.p.A., ed a condizione che tra l'amministrazione
interessata e l'impresa non siano insorte contestazioni
sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in
precedenza”.
La norma nella sua prima parte fa rinvio all’art. 26, comma
3, della L. 488/1999, che prescrive la possibilità per le
amministrazioni pubbliche di ricorrere alternativamente alle
convenzioni stipulate dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze ovvero di utilizzarne “i parametri di
prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni
e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche
utilizzando procedure telematiche”, prescrivendo la
responsabilità amministrativa in caso di stipulazione di un
contratto in violazione della norma suddetta.
Dall’analisi della formulazione dell’art. 1, comma 1, del
d.l. n. 95/2012, che sancisce la responsabilità
amministrativa in caso di alternativa violazione dell’art.
26 (appena citato) o dell’obbligo di rivolgersi a Consip,
vien da sé che non esiste un obbligo generalizzato di
rivolgersi alla Consip per qualunque tipo di acquisto o di
prestazione, ma la prescrizione va letta alla luce delle
altre disposizioni normative sulla materia.
Difatti il comma 1 dell’art. 1 del d.l. 95/2012 citato va
combinato con il comma 7 del medesimo articolo che prescrive
che “Fermo restando quanto previsto all'articolo 1, commi
449 e 450, della legge 27.12.2006, n. 296, e all'articolo 2,
comma 574, della legge 24.12.2007, n. 244, quale misura di
coordinamento della finanza pubblica, le amministrazioni
pubbliche e le società inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi
dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196, a totale
partecipazione pubblica diretta o indiretta, relativamente
alle seguenti categorie merceologiche: energia elettrica,
gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili
per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile, sono
tenute ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli
accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle
centrali di committenza regionali di riferimento (…)”.
Dal combinato dei due commi si deduce che l’obbligo di
rivolgersi alla Consip spa per l’acquisto di beni e servizi,
da parte delle pubbliche amministrazioni, tra le quali gli
enti locali, sussiste solo in riferimento alle diverse
tipologie merceologiche elencate nel comma 7, di conseguenza
nelle restanti ipotesi vige il residuo sistema di
approvvigionamento dettato dalla legge che, come richiamato
dal comma 7 sopra riportato, trova il suo fondamento, oltre
che nell’art. 26 della l. n. 488/1999, nei commi 449 e 450
dell’articolo 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria per il
2007).
In particolare il comma 449 prescrive che “(…) tutte le
amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi
gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le
istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono
tenute ad approvvigionarsi utilizzando le
convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di
cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle
convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del
presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di
prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei
contratti.”
Il comma 450 prescrive: “Dal 01.07.2007, le
amministrazioni statali centrali e periferiche, ad
esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e
grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni
universitarie, per gli acquisti di beni e servizi al di
sotto della soglia di rilievo comunitario, sono tenute a
fare ricorso al mercato elettronico della pubblica
amministrazione di cui all'articolo 328, comma 1, del
regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 05.10.2010, n. 207. Fermi restando gli obblighi e
le facoltà previsti al comma 449 del presente articolo, le
altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del
decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, per gli acquisti di
beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo
comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato
elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri
mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo
328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla
centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle
relative procedure.”
Tanto premesso, in risposta al primo quesito, un
comune non può considerarsi rientrante nel novero delle “Amministrazioni
dello Stato” ritenute esenti dall’applicazione del primo
periodo della norma di cui all’art. 1, comma 1, del d.l.
95/2012 nelle ipotesi in cui “il contratto sia stato
stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal
rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli
strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A.”.
A sostegno di tale assunto si pone il significato letterale
della norma che nello stabilire che “La disposizione del
primo periodo del presente comma non si applica alle
Amministrazioni dello Stato” destina la possibilità di
deroga alle amministrazioni rientranti nello Stato, secondo
l’accezione di cui all’art. 114 della Costituzione, laddove
se il legislatore avesse voluto destinare la facoltà
derogatoria a tutte le amministrazioni lo avrebbe
chiaramente indicato con una formulazione differente, come
variamente riportato nelle altre disposizioni normative in
materia.
La risposta ai successivi quesiti (2, 3, 4 e 5),
investe la possibilità di derogare agli obblighi descritti
nei confronti di Consip e MEPA in presenza di fattispecie
specifiche illustrate dall’ente richiedente.
In merito ai quesiti 2 e 3, che per semplicità
vengono trattati cumulativamente, il collegio non può che
sottolineare la cogenza delle norme riportate (nelle ipotesi
e con le modalità in cui si applicano al comune richiedente)
ed evidenziare che le possibili deroghe -dettate da
casistiche specifiche– alle procedure dettate in tema di
approvvigionamento di beni e servizi non possono essere
oggetto di trattazione ed interpretazione nell’ambito
dell’attività consultiva delle Sezioni regionali della Corte
dei conti, ma troverebbero miglior collocazione nelle
sedi a ciò destinate (sede legislativa e, soprattutto,
convenzionale).
In merito al quesito numero 4, il collegio sottolinea
che la questione trova risposta analizzando la ratio
sottesa alle norme sopra riportate in cui i principi di
economicità e di efficienza perseguiti dalle norme sopra
riportate si rinvengono in diversi punti. In particolare
l’art. 1, comma 7 del d.l. n. 95/2012, convertito dalla l.
135/2012, nel fare salvo “quanto previsto all'articolo 1,
commi 449 e 450, della legge 27.12.2006, n. 296” lascia
inalterata la norma di cui al comma 449 ivi citato che
espressamente prevede che “Le restanti amministrazioni
pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165, e successive modificazioni, possono
ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al
comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i
parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la
stipulazione dei contratti”; in tal senso l’obbligo
di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento descritti
va mitigato ogni qual volta il ricorso all’esterno persegue
la ratio di contenimento della spesa pubblica
contenuta nella norma.
Del resto la tabella stilata da Consip-MEF “Tabella
Obbligo-Facoltà dal 01.01.2013 - Strumenti del Programma di
razionalizzazione degli acquisti” è chiara nello
stabilire, in riferimento alle amministrazioni territoriali
non regionali, la possibilità di operare “acquisti
autonomi a corrispettivi inferiori a quelli delle
convenzioni Consip e della CAT di riferimento” anche in
riferimento alle tipologie merceologiche di cui al comma 7
più volte citato.
In risposta al quinto quesito in riferimento al
ricorso al sistema MePA, la tabella stilata da Consip-MEF
“Tabella Obbligo-Facoltà dal 01.01.2013 - Strumenti del
Programma di razionalizzazione degli acquisti” è chiara
nello stabilire, in riferimento alle amministrazioni
territoriali non regionali, sancisce l’obbligo, sottosoglia
comunitaria, di “ricorso al MePA o altri mercati
elettronici (proprio o della CAT di riferimento) o sistema
telematico della CAT di riferimento ovvero ricorso alle
convenzioni Consip; in caso di assenza, facoltà di utilizzo
degli AQ Consip e dello SDAPA (con obbligo di rispetto del
benchmark Consip)”, nonché, in riferimento alle
tipologie di cui al comma 7 più volte citato, prescrive la
possibilità di “acquisti autonomi a corrispettivi
inferiori a quelli delle convenzioni Consip e della CAT di
riferimento”.
Nelle sopra esposte considerazioni è il parere della Corte
dei conti –Sezione regionale di controllo per la Toscana- in
relazione alla richiesta formulata dal Consiglio delle
autonomie con nota prot. n. 5548/1.13.9 del 25.03.2013 (Corte
dei Conti, Sez. controllo Toscana,
parere 30.05.2013
n. 151). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Acquisto di beni o servizi da parte
del comune: possibilità di derogare
agli obblighi nei confronti di Consip.
Obbligatorio il ricorso al Mepa -
Enti locali - Acquisto
di prodotti e servizi - Obbligo
di utilizzare gli strumenti offerti dalla Consip
o dalle centrali committenti - Obbligo
di ricorso
al Mepa - Principi
di economicità ed efficienza
della spesa pubblica.
La Corte
dei conti, sezione regionale di controllo per la Toscana,
ha pronunciato un parere sulla richiesta del sindaco di un
comune relativa all’acquisto dell’ente di prodotti e
servizi.
Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte la prima
richiesta del sindaco riguardava la possibilità per
l’ente di rientrare nel concetto di “Amministrazione
dello Stato” ai sensi dell’art. 1, comma 6, del Dl n.
95/2012, (convertito dalla legge n. 135/2012, da ultimo
modificato dall’art. 1, comma 153, della legge n.
288/2012) e conseguentemente avere quindi la possibilità
di poter stipulare contratti con fornitori non
inseriti nell’elenco della Consip, qualora gli stessi
vengano
stipulati a prezzi più bassi rispetto ai parametri di
qualità/prezzo messi a disposizione dalla richiamata
società.
In subordine, ovvero qualora la risposta a tale quesito
fosse risultata negativa, il sindaco richiedeva alla Corte:
a) se qualora l’ordinativo minimo sia superiore alle
necessità reali, il comune fosse comunque obbligato a
utilizzare gli strumenti offerti dalla Consip o dalle
centrali di committenza, oppure vi sia la possibilità di
procedere al di fuori di tale procedura;
b) la possibilità
per l’ente, dopo aver individuato il fornitore su Consip
o nelle centrali di committenza, di procedere direttamente
con lo stesso per l’adattamento dell’offerta al
di fuori del mercato elettronico;
c) se sia possibile
ricorrere a un fornitore esterno qualora quest’ultimo
proponga un prezzo più basso rispetto a quello offerto
dalle centrali di committenza, a parità di caratteristiche
sia qualitative che quantitative;
d) se vi sia la
possibilità di evitare il ricorso al Mepa e alle centrali
uniche di committenza nel caso di acquisti di beni o
servizi per importi inferiori a 40.000 euro.
Al primo quesito la Corte dà risposta negativa, ovvero
un comune non può esser considerato nel novero
delle “Amministrazioni dello Stato” ritenute esenti
dall’applicazione
del primo periodo dell’art. 1, comma 1,
del Dl n. 95/2012. Ciò in riferimento al significato
letterale della norma che destina la possibilità di deroga
alle amministrazioni rientranti nello Stato, secondo
l’accezione propria di cui all’art. 114 della Costituzione.
Invero, la Corte evidenzia che se il legislatore
avesse voluto destinare tale facoltà derogatoria
indistintamente
a tutte le amministrazioni pubbliche lo
avrebbe indicato in modo chiaro, come ha fatto in
altre disposizioni normative in materia.
Quanto ai quesiti sub a) e b) la Corte sottolinea la
cogenza delle norme in materia ed evidenzia che le
possibili deroghe alle procedure dettate in tema di
approvvigionamento di beni e servizi non possono
essere oggetto di trattazione e interpretazione nell’ambito
dell’attività consultiva delle sezioni regionali
della Corte dei conti.
Quanto al quesito sub c), la Corte sottolinea che la
domanda avanzata trova la sua naturale risposta nella
ratio delle norme richiamate, che poggiano sui principi
di economicità ed efficienza della pubblica amministrazione.
Invero, l’art. 1, comma 7, del Dl n. 95/2012, nel
far salvo quanto previsto dall’art. 1, commi 449 e 450,
della legge n. 296/2006 lascia inalterata la norma contenuta
nel comma 449 richiamato, che espressamente
dispone: “le restanti amministrazioni pubbliche di cui
all’art.
1 del Dlgs 30.03.2001, n. 165 e successive
modificazioni, possono ricorrere alle convenzioni di cui al
presente comma e al comma 456 del presente articolo,
ovvero ne utilizzano i parametri di prezzoqualità
come
limiti massimi per la stipulazione dei contratti”. In tal
senso l’obbligo di ricorrere agli strumenti di
approvvigionamento
descritti va mitigato ogni qual volta che il
ricorso a un fornitore esterno persegue la ratio del
contenimento della spesa pubblica contenuta nella
normativa. Come evidenziato dalla Corte, a tal proposito
chiara risulta anche la tabella stilata da ConsipMef
“tabella Obbligo facoltà
dal primo gennaio 2013 Strumenti
del Programma di razionalizzazione degli acquisti”
nello stabilire la possibilità di operare acquisti
autonomi a corrispettivi inferiori a quelli delle
convenzioni Consip e della categoria di riferimento, anche in
relazione alle tipologie merceologiche di cui al comma
7 sopra richiamato.
Quanto all’ultimo quesito oggetto di parere, sempre
dal riferimento alla tabella appena richiamata, risulta
chiaro per le amministrazioni territoriali non regionali
l’obbligo, sottosoglia comunitaria, di ricorrere al Mepa
o ad altri mercati elettronici o al sistema telematico
della Cat di riferimento, ovvero fare ricorso alle
convenzioni
Consip. In caso di assenza delle stesse, è
invece prevista la facoltà di utilizzo degli acquisti Consip
e dello Sdapa, con obbligo di rispettare comunque
il benchmark della Consip (Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana,
parere 30.05.2013
n. 151 - commento tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n.
7-8/2013). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Modalità di ricorso agli strumenti offerti dal MEPa-Consip -
l’obbligo di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento
va mitigato ogni qual volta il ricorso all’esterno persegue
la ratio di contenimento della spesa pubblica.
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Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla
Sezione, con nota prot. n. 5548/1.13.9 del 25.03.2013, una
richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di
Chiesina Uzzanese contenente una serie di quesiti in
materia di acquisto di prodotti e servizi.
In particolare chiede:
1. se sia possibile per l’ente rientrare nel concetto di
amministrazione dello Stato di cui all’art. 1, comma 6 del
d.l. n. 95/2012, convertito dalla L. n. 135/2012, come
modificato dall’art. 1, comma 153, della L. n. 288/2012, e,
pertanto, stipulare direttamente contratti con fornitori non
inseriti fra quelli presenti su Consip qualora gli stessi
vengano contratti a prezzi più bassi da quelli derivanti dal
rispetto dei parametri di qualità e di prezzo messi a
disposizione da Consip spa;
in caso di risposta negativa:
2. se sia sempre obbligatorio per l’ente utilizzare gli
strumenti offerti da Consip spa o dalle centrali di
committenza ovvero sia possibile per l’ente, nel caso in cui
l’ordinativo minimo richiesto da Consip sia superiore alle
necessità, procedere a procedura fuori da tali canali;
3. se sia possibile per l’ente, dopo aver individuato il
fornitore su Consip o nelle centrali di committenza,
procedere direttamente con lo stesso per l’adattamento
dell’offerta fuori del mercato elettronico;
4. se sia possibile ricorre a fornitore esterno alle
centrali di committenza o a Consip che proponga un prezzo
più basso a parità di caratteristiche quali-quantitative;
5. se sia possibile evitare il ricorso al MEPA e alle
centrali uniche di committenza nel caso di acquisti di beni
o servizi siano di importo inferiore a 40.000 euro.
...
Nel merito, l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 95/2012,
convertito dalla L. n. 135/2012, come modificato dall’art.
1, comma 153, della L. 288/2012 (con decorrenza dal
01.01.2013) recita: “i contratti stipulati in violazione
dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488 ed
i contratti stipulati in violazione degli obblighi di
approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi
a disposizione da Consip S.p.A. sono nulli, costituiscono
illecito disciplinare e sono causa di responsabilità
amministrativa. Ai fini della determinazione del danno
erariale si tiene anche conto della differenza tra il
prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e
quello indicato nel contratto. Le centrali di acquisto
regionali, pur tenendo conto dei parametri di qualità e di
prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da
Consip S.p.A., non sono soggette all'applicazione
dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488.
La disposizione del primo periodo del presente comma non si
applica alle Amministrazioni dello Stato quando il contratto
sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello
derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo
degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip
S.p.A., ed a condizione che tra l'amministrazione
interessata e l'impresa non siano insorte contestazioni
sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in
precedenza”.
La norma nella sua prima parte fa rinvio all’art. 26, comma
3, della L. 488/1999, che prescrive la possibilità per le
amministrazioni pubbliche di ricorrere alternativamente alle
convenzioni stipulate dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze ovvero di utilizzarne “i parametri di
prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni
e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche
utilizzando procedure telematiche”, prescrivendo la
responsabilità amministrativa in caso di stipulazione di un
contratto in violazione della norma suddetta.
Dall’analisi della formulazione dell’art. 1, comma 1, del
d.l. n. 95/2012, che sancisce la responsabilità
amministrativa in caso di alternativa violazione dell’art.
26 (appena citato) o dell’obbligo di rivolgersi a Consip,
vien da sé che non esiste un obbligo generalizzato di
rivolgersi alla Consip per qualunque tipo di acquisto o di
prestazione, ma la prescrizione va letta alla luce delle
altre disposizioni normative sulla materia.
Difatti il comma 1 dell’art. 1 del d.l. 95/2012 citato va
combinato con il comma 7 del medesimo articolo che prescrive
che “Fermo restando quanto previsto all'articolo 1, commi
449 e 450, della legge 27.12.2006, n. 296, e all'articolo 2,
comma 574, della legge 24.12.2007, n. 244, quale misura di
coordinamento della finanza pubblica, le amministrazioni
pubbliche e le società inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi
dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196, a totale
partecipazione pubblica diretta o indiretta, relativamente
alle seguenti categorie merceologiche: energia elettrica,
gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili
per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile, sono
tenute ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli
accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle
centrali di committenza regionali di riferimento (…)”.
Dal combinato dei due commi si deduce che l’obbligo di
rivolgersi alla Consip spa per l’acquisto di beni e servizi,
da parte delle pubbliche amministrazioni, tra le quali gli
enti locali, sussiste solo in riferimento alle diverse
tipologie merceologiche elencate nel comma 7, di conseguenza
nelle restanti ipotesi vige il residuo sistema di
approvvigionamento dettato dalla legge che, come richiamato
dal comma 7 sopra riportato, trova il suo fondamento, oltre
che nell’art. 26 della l. n. 488/1999, nei commi 449 e 450
dell’articolo 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria per il
2007).
In particolare il comma 449 prescrive che “(…) tutte le
amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi
gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le
istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono
tenute ad approvvigionarsi utilizzando le
convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di
cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle
convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del
presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di
prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei
contratti.”
Il comma 450 prescrive: “Dal 01.07.2007, le
amministrazioni statali centrali e periferiche, ad
esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e
grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni
universitarie, per gli acquisti di beni e servizi al di
sotto della soglia di rilievo comunitario, sono tenute a
fare ricorso al mercato elettronico della pubblica
amministrazione di cui all'articolo 328, comma 1, del
regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 05.10.2010, n. 207. Fermi restando gli obblighi e
le facoltà previsti al comma 449 del presente articolo, le
altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del
decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, per gli acquisti di
beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo
comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato
elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri
mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo
328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla
centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle
relative procedure.”
Tanto premesso, in risposta al primo quesito, un
comune non può considerarsi rientrante nel novero delle “Amministrazioni
dello Stato” ritenute esenti dall’applicazione del primo
periodo della norma di cui all’art. 1, comma 1, del d.l.
95/2012 nelle ipotesi in cui “il contratto sia stato
stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal
rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli
strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A.”.
A sostegno di tale assunto si pone il significato letterale
della norma che nello stabilire che “La disposizione del
primo periodo del presente comma non si applica alle
Amministrazioni dello Stato” destina la possibilità di
deroga alle amministrazioni rientranti nello Stato, secondo
l’accezione di cui all’art. 114 della Costituzione, laddove
se il legislatore avesse voluto destinare la facoltà
derogatoria a tutte le amministrazioni lo avrebbe
chiaramente indicato con una formulazione differente, come
variamente riportato nelle altre disposizioni normative in
materia.
La risposta ai successivi quesiti (2, 3, 4 e 5),
investe la possibilità di derogare agli obblighi descritti
nei confronti di Consip e MEPA in presenza di fattispecie
specifiche illustrate dall’ente richiedente.
In merito ai quesiti 2 e 3, che per semplicità
vengono trattati cumulativamente, il collegio non può che
sottolineare la cogenza delle norme riportate (nelle ipotesi
e con le modalità in cui si applicano al comune richiedente)
ed evidenziare che le possibili deroghe -dettate da
casistiche specifiche– alle procedure dettate in tema di
approvvigionamento di beni e servizi non possono essere
oggetto di trattazione ed interpretazione nell’ambito
dell’attività consultiva delle Sezioni regionali della Corte
dei conti, ma troverebbero miglior collocazione nelle
sedi a ciò destinate (sede legislativa e, soprattutto,
convenzionale).
In merito al quesito numero 4, il collegio sottolinea
che la questione trova risposta analizzando la ratio
sottesa alle norme sopra riportate in cui i principi di
economicità e di efficienza perseguiti dalle norme sopra
riportate si rinvengono in diversi punti. In particolare
l’art. 1, comma 7 del d.l. n. 95/2012, convertito dalla l.
135/2012, nel fare salvo “quanto previsto all'articolo 1,
commi 449 e 450, della legge 27.12.2006, n. 296” lascia
inalterata la norma di cui al comma 449 ivi citato che
espressamente prevede che “Le restanti amministrazioni
pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165, e successive modificazioni, possono
ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al
comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i
parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la
stipulazione dei contratti”; in tal senso l’obbligo
di ricorrere agli strumenti di approvvigionamento descritti
va mitigato ogni qual volta il ricorso all’esterno persegue
la ratio di contenimento della spesa pubblica
contenuta nella norma.
Del resto la tabella stilata da Consip-MEF “Tabella
Obbligo-Facoltà dal 01.01.2013 - Strumenti del Programma di
razionalizzazione degli acquisti” è chiara nello
stabilire, in riferimento alle amministrazioni territoriali
non regionali, la possibilità di operare “acquisti
autonomi a corrispettivi inferiori a quelli delle
convenzioni Consip e della CAT di riferimento” anche in
riferimento alle tipologie merceologiche di cui al comma 7
più volte citato.
In risposta al quinto quesito in riferimento al
ricorso al sistema MePA, la tabella stilata da Consip-MEF
“Tabella Obbligo-Facoltà dal 01.01.2013 - Strumenti del
Programma di razionalizzazione degli acquisti” è chiara
nello stabilire, in riferimento alle amministrazioni
territoriali non regionali, sancisce l’obbligo, sottosoglia
comunitaria, di “ricorso al MePA o altri mercati
elettronici (proprio o della CAT di riferimento) o sistema
telematico della CAT di riferimento ovvero ricorso alle
convenzioni Consip; in caso di assenza, facoltà di utilizzo
degli AQ Consip e dello SDAPA (con obbligo di rispetto del
benchmark Consip)”, nonché, in riferimento alle
tipologie di cui al comma 7 più volte citato, prescrive la
possibilità di “acquisti autonomi a corrispettivi
inferiori a quelli delle convenzioni Consip e della CAT di
riferimento”.
Nelle sopra esposte considerazioni è il parere della Corte
dei conti –Sezione regionale di controllo per la Toscana- in
relazione alla richiesta formulata dal Consiglio delle
autonomie con nota prot. n. 5548/1.13.9 del 25.03.2013 (Corte
dei Conti, Sez. controllo Toscana,
parere 30.05.2013
n. 151). |
APPALTI:
Cosa è la White list? (27.05.2013 - link a
www.ambientelegale.it). |
APPALTI:
Capitolato di gara, i requisiti
tecnico-finanziari e quelli di qualità viaggiano separati.
E’ da ritenersi sostanzialmente corretta la procedura della
stazione appaltante che nel capitolato richiede, alle ditte
partecipanti, solo i requisiti di capacità economico
finanziaria e tecnica, mentre rimanda ad un apposito
allegato la richiesta di dichiarazione circa il possesso di
specifici requisiti di qualità.
il Consiglio di Stato ha legittimato la discrezionalità
delle stazioni appaltanti che godono di un certo margine sia
nella scelta dei criteri di aggiudicazione sia nel punteggio
da attribuire a ciascun elemento.
Il contenzioso amministrativo
Nel caso specifico una azienda sanitaria aveva indetto una
procedura aperta per l’affidamento del servizio di
assistenza domiciliare, da aggiudicarsi con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la durata
di tre anni (l’importo della gara era piuttosto elevato: 15
milioni di euro).
Alla base del contenzioso amministrativo vi era che le
cooperative sociali, che in passato per molti anni erano
state affidatarie del servizio, avevano impugnato il bando
ed il capitolato della nuova gara censurandone i requisiti
di partecipazione, sul presupposto che non fosse richiesto
il possesso dei requisiti occorrenti per conseguire
l’accreditamento; contestavano, inoltre, le modalità di
aggiudicazione, con particolare riferimento alla previsione
di un punteggio assai elevato, per chi avesse “esperienze
pregresse in reparti di terapia intensiva”.
L’Azienda sanitaria aveva concluso la procedura di
affidamento in favore di una SPA mentre il costituendo RTI
di cooperative sociali si era classificato al secondo posto;
il ricorso al TAR prevedeva, inoltre, la contestazione che
l’impresa aggiudicataria non avesse i requisiti necessari
per essere accreditata e che la composizione della
Commissione giudicatrice non sarebbe stata legittima, con
particolare riferimento al suo Presidente; che infine la
valutazione delle offerte tecniche sarebbe stata errata in
più punti.
Il TAR ha respinto il ricorso e avverso la sentenza le
cooperative sociali del costituendo R.T.I. hanno proposto
appello.
La legittimità dell’operato della stazione
appaltante
Osserva il Consiglio di Stato che in riferimento ai
requisiti di partecipazione richiesti, le cooperative
ricorrenti ritengono errato il comportamento della stazione
appaltante che avrebbe in questo caso preteso solamente il
possesso di requisiti attinenti alla capacità economica
finanziaria e tecnica delle imprese partecipanti, ai sensi
degli artt. 41 e 42 del D.Lgs. 163/2003, cd. Codice dei
Contratti Pubblici, trascurando del tutto dalle loro
effettive dotazioni umane, strumentali ed organizzative.
I giudici amministrativi del Consiglio di Stato ritengono
che simile presupposto sia, tuttavia, infondato poiché, come
correttamente già sottolineato dal TAR, sebbene il
capitolato d’oneri prevedesse all’apparenza i soli requisiti
di capacità economica finanziaria e tecnica, il suo allegato
obbligava pur sempre di dichiarare di essere in possesso
anche dei requisiti di cui “all’art. 2 della legge
regionale n. 6/2011 ed in particolare dei requisiti (sia
quelli minimi per l’esercizio delle attività sanitarie e
socio sanitarie che quelli ulteriori per l’accreditamento)
previsti dal richiamato decreto del Commissario ad acta n.
90/2010 e successive modifiche”.
Per il Consiglio di Stato è sicuramente discutibile sul
piano formale la scelta della stazione appaltante di non
evidenziare già nel corpo del capitolato la necessità di
tali requisiti “specifici”, ma non si può
ragionevolmente dubitare che quegli stessi requisiti fossero
richiesti, se non immaginando una procedura del tutto
contra legem; tra l’altro, evidenziano i giudici di
Palazzo Spada, la ditta aggiudicataria aveva autocertificato
di possedere tutti i requisiti indicati dall’allegato.
Per il Consiglio di Stato, quindi, poiché la procedura di
gara in questione richiedeva il possesso di determinati e
specifici requisiti di qualità, connaturati all’assistenza
domiciliare, e la SPA aggiudicataria ne ha autocertificato
il possesso (spettando alla stazione appaltante procedere
con attenzione ai necessari controlli) su questo punto il
ricorso va respinto.
Con riferimento alla critica che le cooperative ricorrenti
hanno rivolto all’entità dell’importo programmato dalla
stazione appaltante, il Consiglio di Stato ritiene che non
vi deve essere una critica al metodo di gara (l’opzione per
il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa
dove, però, la competizione è stranamente limitata alla sola
offerta tecnica, non potendo i concorrenti confrontarsi
anche sul terreno dell’offerta economica), ma solo
all’entità del corrispettivo presunto, che non sarebbe “in
linea” con i principi della spending review e che
impedirebbe persino l’approvazione della procedura da parte
degli organi regionali.
Ma su questo punto, per il Consiglio di Stato, non vi è
traccia nel motivo dedotto dalle cooperative ricorrenti; ne
consegue che detta censura non è ammissibile nel presente
giudizio, per carenza di interesse; lo stesso Consiglio di
Stato ritiene che di tale questione ne debba essere
investita la Procura della Corte dei Conti, per le
valutazioni riservate alla sua competenza.
Il criterio del punteggio
Le cooperative ricorrenti contestano, inoltre, le modalità
di attribuzione del punteggio; il Consiglio di Stato ricorda
che il margine di discrezionalità di cui godono in generale
le stazioni appaltanti nella determinazione dei criteri di
aggiudicazione e del diverso peso da attribuire loro, come
già indicato dal TAR, è una scelta compiuta immune da vizi
logici, non potendosi dubitare della rilevanza riconoscibile
alla pregressa esperienza maturata in entrambi gli ambiti
sopra indicati, nell’ottica di un innalzamento generale
della qualità del servizio. A ciò si può aggiungere che le
differenze di punteggio registratesi su tali voci non si
sono dimostrate neppure decisive ai fini della gara.
Le conclusioni
Per il Consiglio di Stato il ricorso è del tutto infondato e
deve essere, quindi , respinto. Non è , pertanto, da
censurare la scelta operata dalla stazione appaltante di
assegnare un punteggio elevato alle esperienze pregresse
maturate in specifici ambiti connessi al servizio richiesto
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez.
III,
sentenza 24.05.2013 n. 2846 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ai fini della declaratoria di incompatibilità ex
art. 90, comma 8, d.lgs. n. 163 del 2006, la giurisprudenza
nazionale e comunitaria richiede la presenza di indizi seri,
precisi e concordanti sulla circostanza che il partecipante
alla gara, o il soggetto a questo collegato, abbia rivestito
un ruolo determinante nell'indirizzo delle scelte
dell'Amministrazione o ne abbia ricevuto un tale flusso di
informazioni riservate da falsare la concorrenza.
Tali indizi non devono necessariamente riguardare soltanto
situazioni limite, ovvero l'essersi determinata, nel passato
o nel presente, una situazione di influenza sulle scelte
dell'Amministrazione o una situazione di connivenza, con
conseguente flusso di informazioni, dall'Amministrazione
all'impresa che pretenda di partecipare alla gara. Ciò in
quanto le norme sulla incompatibilità ed i connessi divieti
agiscono in prevenzione, ovvero sono norme che tendono a
prevenire il pericolo di pregiudizio e, verificato il caso
di incompatibilità, tendono a salvaguardare la genuinità
della gara attraverso la prescrizione del divieto di
partecipazione.
Di talché le stesse non presuppongono né intervenuta la
lesione, né la sussistenza di un concreto tentativo di
compromissione. È, dunque sufficiente che gli indizi (ferma
la loro serietà, precisione e concordanza) riguardino
situazioni che, oggettivamente, pongono un determinato
concorrente in una posizione di squilibrio (per sé
favorevole) nei confronti degli altri concorrenti e tale da
determinare -indipendentemente dal concretizzarsi del
vantaggio- una violazione della par condicio.
---------------
La condizione ostativa alla partecipazione alle gare di cui
all'art. 90, comma 8, d.lgs. n. 163/2006, viene posta non
solo nei confronti del soggetto affidatario dell'incarico di
progettazione, ma anche nei confronti di quei soggetti che
possano ritenersi a vario titolo compartecipi dell'attività
di progettazione (dipendenti; collaboratori; responsabili di
attività di supporto a quella di progettazione) e che siano
ricollegabili all'affidatario medesimo, nei termini
normativamente previsti.
---------------
La disciplina contenuta nell'art. 90, comma 8, c. contr.
pubbl. va reputata quale espressione di un principio
generale, in forza del quale ai concorrenti ad una procedura
di scelta del contraente da parte della pubblica
amministrazione deve essere riconosciuta un'omogenea
posizione, "ex se" implicante la più rigorosa parità di
trattamento, dovendo comunque essere valutato se lo
svolgimento di pregressi affidamenti presso la stessa
stazione appaltante possa aver creato, per taluno dei
concorrenti stessi, degli speciali vantaggi incompatibili
con i principi -propri non soltanto dell'ordinamento
italiano, ma anche di quello comunitario- di libera
concorrenza e di parità di trattamento. Conseguentemente, la
valutazione di incompatibilità deve essere effettuata in
concreto dalla stazione appaltante.
Il Collegio condivide la premessa dalla quale muove la difesa della
ricorrente Lo Prete Group, secondo cui l’art. 90 cit. è
espressione di un principio generale (Cons. Stato, IV,
23.04.2012, n. 2402; Cons. Stato, IV, 03.05.2011, n. 2647;
Cons. Stato, V, 19.03.2007, n. 1302; Cons. Stato, VI,
02.10.2007, n. 5088), come tale posto a presidio degli
indefettibili ed ineluttabili principi di imparzialità e di
parità in fase di gara, e pertanto suscettibile di
applicazione anche nei casi in cui un soggetto abbia in
qualunque modo contribuito, attraverso la propria attività
professionale, a determinare i contenuti, le linee
programmatiche e gli obiettivi che l’Amministrazione intende
perseguire con l’affidamento, oggetto della procedura di
gara.
A tale proposito, secondo la giurisprudenza “Ai fini della
declaratoria di incompatibilità ex art. 90, comma 8, d.lgs. n.
163 del 2006, la giurisprudenza nazionale e comunitaria
richiede la presenza di indizi seri, precisi e concordanti
sulla circostanza che il partecipante alla gara, o il
soggetto a questo collegato, abbia rivestito un ruolo
determinante nell'indirizzo delle scelte
dell'Amministrazione o ne abbia ricevuto un tale flusso di
informazioni riservate da falsare la concorrenza. Tali
indizi non devono necessariamente riguardare soltanto
situazioni limite, ovvero l'essersi determinata, nel passato
o nel presente, una situazione di influenza sulle scelte
dell'Amministrazione o una situazione di connivenza, con
conseguente flusso di informazioni, dall'Amministrazione
all'impresa che pretenda di partecipare alla gara. Ciò in
quanto le norme sulla incompatibilità ed i connessi divieti
agiscono in prevenzione, ovvero sono norme che tendono a
prevenire il pericolo di pregiudizio e, verificato il caso
di incompatibilità, tendono a salvaguardare la genuinità
della gara attraverso la prescrizione del divieto di
partecipazione. Di talché le stesse non presuppongono né
intervenuta la lesione, né la sussistenza di un concreto
tentativo di compromissione. È, dunque sufficiente che gli
indizi (ferma la loro serietà, precisione e concordanza)
riguardino situazioni che, oggettivamente, pongono un
determinato concorrente in una posizione di squilibrio (per
sé favorevole) nei confronti degli altri concorrenti e tale
da determinare -indipendentemente dal concretizzarsi del
vantaggio- una violazione della par condicio”. (TAR Roma
Lazio sez. I, 18.10.2012 n. 8595)
La stessa giurisprudenza ha altresì chiarito che “La
condizione ostativa alla partecipazione alle gare di cui
all'art. 90, comma 8, d.lgs. n. 163/2006, viene posta non
solo nei confronti del soggetto affidatario dell'incarico di
progettazione, ma anche nei confronti di quei soggetti che
possano ritenersi a vario titolo compartecipi dell'attività
di progettazione (dipendenti; collaboratori; responsabili di
attività di supporto a quella di progettazione) e che siano
ricollegabili all'affidatario medesimo, nei termini
normativamente previsti”.
Inoltre, è stato anche affermato che “La disciplina
contenuta nell'art. 90, comma 8, c. contr. pubbl. va
reputata quale espressione di un principio generale, in
forza del quale ai concorrenti ad una procedura di scelta
del contraente da parte della pubblica amministrazione deve
essere riconosciuta un'omogenea posizione, "ex se"
implicante la più rigorosa parità di trattamento, dovendo
comunque essere valutato se lo svolgimento di pregressi
affidamenti presso la stessa stazione appaltante possa aver
creato, per taluno dei concorrenti stessi, degli speciali
vantaggi incompatibili con i principi -propri non soltanto
dell'ordinamento italiano, ma anche di quello comunitario-
di libera concorrenza e di parità di trattamento.
Conseguentemente, la valutazione di incompatibilità deve
essere effettuata in concreto dalla stazione appaltante.”
(Consiglio di Stato, Consiglio di Stato sez. IV 23.04.2012,
n. 2402) (TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 24.05.2013 n. 347 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: M.
Belli,
Responsabilità precontrattuale della p.a. nella fase
antecedente all’aggiudicazione del contratto - Nota a
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.07.2012 n. 4236
(24.05.2013 - link a www.filodirittto.com). |
APPALTI:
L'atto con cui la stazione appaltante, in
conseguenza dell'informativa prefettizia, recede dal
contratto è espressione di un potere di valutazione di
natura pubblicistica.
L'atto con cui la stazione appaltante, in conseguenza
dell'informativa prefettizia, recede dal contratto è
espressione di un potere di valutazione di natura
pubblicistica, diretto a soddisfare l'esigenza di evitare la
costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali con
imprese nei cui confronti emergano sospetti di legami con la
criminalità organizzata.
Pertanto, trattandosi di atto estraneo alla sfera del
diritto privato, in quanto espressione di un potere
autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del
contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase
di esecuzione del contratto, la relativa controversia
appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 23.05.2013 n. 1210 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L’atto con cui la stazione appaltante, in
conseguenza dell’informativa prefettizia, recede dal
contratto è espressione di un potere di valutazione di
natura pubblicistica, diretto a soddisfare l'esigenza di
evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti
contrattuali con imprese nei cui confronti emergano sospetti
di legami con la criminalità organizzata.
Pertanto, trattandosi di atto estraneo alla sfera del
diritto privato, in quanto espressione di un potere
autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del
contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase
di esecuzione del contratto, la relativa controversia
appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo.
---------------
Con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica" la
giurisprudenza amministrativa ha affermato:
- che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una
misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità
organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con
la pubblica amministrazione;
- che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l'interdittiva
prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali
nei confronti dei soggetti che, nell'esercizio di attività
imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica
amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai
diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza,
dal Prefetto territorialmente competente;
- che tale valutazione costituisce espressione di ampia
discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del
giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua
logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
- che, essendo il potere esercitato espressione della logica
di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata
ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto
alle attività della criminalità organizzata, la misura
interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad
accertamenti in sede penale di carattere definitivo
sull'esistenza della contiguità dell'impresa con
organizzazioni malavitose e quindi del condizionamento in
atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da
elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti
elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di
ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità
organizzata;
- che, anche se occorre che siano individuati idonei e
specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e
rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti
con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano
l'instaurazione di un rapporto dell'impresa con la pubblica
amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione
probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare
l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo
camorristico o mafioso, potendo l'interdittiva fondarsi su
fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e
con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad
eventi verificatisi a distanza di tempo;
- che di per sé non basta a dare conto del tentativo di
infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti
risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non
potendosi presumere in modo automatico il condizionamento
dell'impresa), ma occorre che l'informativa antimafia
indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori
elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre
possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto
l'autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e
l'impresa esercitata da loro congiunti;
- che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati
separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia
configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale
possa ritenersi attendibile l'esistenza di un
condizionamento da parte della criminalità organizzata.
Con riferimento al contratto di appalto, si è
rilevato che l’atto con cui la stazione appaltante, in
conseguenza dell’informativa prefettizia, recede dal
contratto è espressione di un potere di valutazione di
natura pubblicistica, diretto a soddisfare l'esigenza di
evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti
contrattuali con imprese nei cui confronti emergano sospetti
di legami con la criminalità organizzata.
Pertanto,
trattandosi di atto estraneo alla sfera del diritto privato,
in quanto espressione di un potere autoritativo di
valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui
esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del
contratto, la relativa controversia appartiene alla
giurisdizione del giudice amministrativo (Cass. Civ., Sez..
Un,. 29.08.2008, n. 21928).
--------------
Si deve al
riguardo ricordare che, con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall'art. 4 del D.Lgs. n. 490 del 1994 e dall'art. 10 del D.P.R.
03.06.1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del D.Lgs.
06.09.2011, n. 159, recante il Codice delle leggi
antimafia e delle misure di prevenzione) la giurisprudenza
amministrativa (Cons. St., sez. III, 19.01.2012) ha
affermato:
- che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una
misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità
organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con
la pubblica amministrazione;
- che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l'interdittiva
prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali
nei confronti dei soggetti che, nell'esercizio di attività
imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica
amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai
diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza,
dal Prefetto territorialmente competente;
- che tale valutazione costituisce espressione di ampia
discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del
giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua
logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
- che, essendo il potere esercitato espressione della logica
di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata
ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto
alle attività della criminalità organizzata, la misura
interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad
accertamenti in sede penale di carattere definitivo
sull'esistenza della contiguità dell'impresa con
organizzazioni malavitose e quindi del condizionamento in
atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da
elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti
elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di
ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità
organizzata;
- che, anche se occorre che siano individuati idonei e
specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e
rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti
con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano
l'instaurazione di un rapporto dell'impresa con la pubblica
amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione
probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare
l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo
camorristico o mafioso, potendo l'interdittiva fondarsi su
fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e
con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad
eventi verificatisi a distanza di tempo;
- che di per sé non basta a dare conto del tentativo di
infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti
risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non
potendosi presumere in modo automatico il condizionamento
dell'impresa), ma occorre che l'informativa antimafia
indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori
elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre
possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto
l'autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e
l'impresa esercitata da loro congiunti;
- che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati
separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia
configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale
possa ritenersi attendibile l'esistenza di un
condizionamento da parte della criminalità organizzata (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 23.05.2013 n. 1210 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le prescrizioni contenute nel bando gara
costituiscono la lex specialis della gara stessa, che
vincolano non solo i concorrenti ma anche la stessa
amministrazione, la quale non dispone di alcun margine di
discrezionalità nella loro concreta attuazione né può
disapplicarle neppure nel caso in cui talune di esse
risultino inopportune, salva la possibilità di far luogo,
nell'esercizio del potere di autotutela, all'annullamento
d'ufficio del bando.
Invero, in sede di gara indetta per l'aggiudicazione di un
contratto, la p.a. è tenuta ad applicare le regole fissate
nel bando, atteso che questo, unitamente alla lettera
d'invito, costituisce la lex specialis della gara, che non
può essere disapplicata nel corso del procedimento, neppure
nel caso in cui talune delle regole in essa contenute
risultino non conformi allo ius superveniens, salvo
naturalmente l'esercizio del potere di autotutela; tale
soluzione è giustificata dal rilievo che il bando è atto
amministrativo a carattere normativo e lex specialis della
procedura, rispetto al quale l'eventuale ius superveniens di
abrogazione o di modifica di clausole non ha effetti
innovatori.
È da rilevare anzitutto che le
prescrizioni contenute nel bando gara costituiscono la lex
specialis della gara stessa, che vincolano non solo i
concorrenti ma anche la stessa amministrazione, la quale non
dispone di alcun margine di discrezionalità nella loro
concreta attuazione né può disapplicarle neppure nel caso in
cui talune di esse risultino inopportune, salva la
possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di
autotutela, all'annullamento d'ufficio del bando.
La giurisprudenza ha infatti precisato che “In sede di gara
indetta per l'aggiudicazione di un contratto, la p.a. è
tenuta ad applicare le regole fissate nel bando, atteso che
questo, unitamente alla lettera d'invito, costituisce la lex
specialis della gara, che non può essere disapplicata nel
corso del procedimento, neppure nel caso in cui talune delle
regole in essa contenute risultino non conformi allo ius
superveniens, salvo naturalmente l'esercizio del potere di
autotutela; tale soluzione è giustificata dal rilievo che il
bando è atto amministrativo a carattere normativo e lex
specialis della procedura, rispetto al quale l'eventuale ius
superveniens di abrogazione o di modifica di clausole non ha
effetti innovatori” (Cons. St., sez. IV 29.01.2008, n.
263)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 23.05.2013 n. 1205 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Vanno attribuiste alla giurisdizione
amministrativa le controversie, anche risarcitorie, che
abbiano a oggetto un'occupazione originariamente legittima,
e che sia poi divenuta sine titulo a causa del decorso dei
termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità
senza il sopravvenire di un valido decreto di esproprio; ciò
in quanto in questi casi trattasi non già di meri
comportamenti materiali, ma di condotte costituenti
espressione di un'azione originariamente riconducibile
all'esercizio del potere autoritativo della p.a.
Altresì, rientra nella giurisdizione del giudice
amministrativo l'azione con la quale i proprietari di
un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in
subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo
la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione,
ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta
dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella
giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla
richiesta dell'indennità di occupazione legittima, senza che
l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di
risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di
entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso
in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità
della giurisdizione anche in presenza di motivi di
connessione.
---------------
Il danno da occupazione illegittima si ricollega a una
condotta antigiuridica con carattere permanente, in quanto
si protrae nel tempo e dà luogo ad una serie di fatti
illeciti, a partire dall'iniziale apprensione del bene, con
riferimento a ciascun periodo in relazione al quale si
determina la perdita di detti frutti, con la conseguenza che
in ogni momento sorge per il proprietario il diritto al
risarcimento del danno già verificatosi e nello stesso
momento decorre il relativo termine di prescrizione
quinquennale; pertanto, il diritto al risarcimento dei danni
rimane colpito dalla prescrizione per il periodo anteriore
al quinquennio precedente la proposizione della domanda,
anche qualora i frutti vengano richiesti secondo il criterio
dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma
corrispondente al valore venale dell'immobile.
Difatti, muovendosi dal rilievo che neanche il protrarsi
dell’occupazione può costituire fattore impeditivo
all’esercizio del diritto al risarcimento, deve concludersi
nel senso che la prescrizione ricomincia a decorrere da ogni
momento dell’illecito permanente (de die in diem); il
risultato è che, in assenza di validi atti interruttivi, il
diritto al risarcimento deve essere riconosciuto unicamente
per i cinque anni di occupazione anteriori alla proposizione
dell’azione risarcitoria.
---------------
Quanto al dedotto intervento dell’istituto della c.d.
dicatio ad patriam, questo presuppone storicamente una
manifestazione di volontà del privato proprietario nel senso
dell'asservimento all'uso pubblico (dicatio ad patriam), che
sussiste (ad esempio) quando vi sia stata una convenzione di
lottizzazione o analogo atto d'obbligo, relativo alla
realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla
trasformazione del suolo mediante la realizzazione
dell'opera e dall'effettiva utilizzazione di quest'ultima in
conformità al progetto, ancorché sia rimasta inadempiuta
l'obbligazione di trasferire all'ente pubblico la proprietà.
Inoltre, costituisce strada pubblica quel tratto viario
avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o
sbocco su pubbliche vie nonché la destinazione al transito
di un numero indifferenziato di persone.
Sotto quest'ultimo aspetto, un'area privata può ritenersi
assoggettata a uso pubblico di passaggio quando l'uso
avvenga ad opera di una collettività indeterminata di
soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un
pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli
ossia quali soggetti che si trovano in una posizione
qualificata rispetto al bene gravato.
In sintesi, l'adibizione a uso pubblico di un'area può
avvenire, mediante la c.d. dicatio ad patriam , con il
comportamento del proprietario che mette il bene a
disposizione della collettività indeterminata di cittadini,
oppure con l'uso del bene da parte della collettività
indifferenziata protratto nel tempo, di talché il bene
stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle
di un bene demaniale.
Insomma, perché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso
pubblico è necessario oltreché l'intrinseca idoneità del
bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di persone per soddisfare un pubblico,
generale interesse.
Sostanzialmente, quanto alla dicatio ad patriam e
all’acquisto della proprietà o di una servitù di uso
pubblico, rilevano essenzialmente: 1) l’esistenza di una
manifestazione di liberalità da parte del proprietario
(nella specie inesistente) nel caso di dicatio ad patriam;
2) il decorso di venti anni per l’acquisto della servitù di
uso pubblico o della proprietà per usucapione.
E’ oramai consolidato l'orientamento che
attribuisce alla giurisdizione amministrativa le
controversie, anche risarcitorie, che abbiano a oggetto un'occupazione originariamente legittima, e che sia poi
divenuta sine titulo a causa del decorso dei termini di
efficacia della dichiarazione di pubblica utilità senza il
sopravvenire di un valido decreto di esproprio; ciò in
quanto in questi casi trattasi non già di meri comportamenti
materiali, ma di condotte costituenti espressione di
un'azione originariamente riconducibile all'esercizio del
potere autoritativo della p.a. (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl.,
22.10.2007, nr. 12; id., 30.07.2007, nr. 9; id., 30.08.2005, nr. 4; C.g.a.r.s., 10.11.2010, nr. 1410;
Cons. Stato, sez. IV, 06.11.2008, nr. 5498).
E’ stato anche affermato che rientra nella giurisdizione del
giudice amministrativo l'azione con la quale i proprietari
di un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in
subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo
la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione,
ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta
dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella
giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla
richiesta dell'indennità di occupazione legittima, senza che
l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di
risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di
entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso
in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità
della giurisdizione anche in presenza di motivi di
connessione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 04.02.2011, n. 804).
---------------
Devono
respingersi le eccezioni sollevate dalla difesa civica con
le quali si eccepisce oltre alla prescrizione del diritto
del ricorrente al risarcimento dei danni subiti, anche la
c.d. “dicatio ad patriam” ossia l’acquisto della natura
demaniale di una strada privata.
Escluso che la realizzazione dell’opera pubblica determini
l’acquisizione dell’area alla mano pubblica, secondo
l’indirizzo giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di
aderire (Cfr. Cass. civ., sez. I, 07.03.2011, nr. 5381;
Cons. Stato, sez. IV, 02.08.2011, nr. 4590), il danno da
occupazione illegittima si ricollega a una condotta
antigiuridica con carattere permanente, in quanto si protrae
nel tempo e dà luogo ad una serie di fatti illeciti, a
partire dall'iniziale apprensione del bene, con riferimento
a ciascun periodo in relazione al quale si determina la
perdita di detti frutti, con la conseguenza che in ogni
momento sorge per il proprietario il diritto al risarcimento
del danno già verificatosi e nello stesso momento decorre il
relativo termine di prescrizione quinquennale; pertanto, il
diritto al risarcimento dei danni rimane colpito dalla
prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio
precedente la proposizione della domanda, anche qualora i
frutti vengano richiesti secondo il criterio
dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma
corrispondente al valore venale dell'immobile.
Difatti, muovendosi dal rilievo che neanche il protrarsi
dell’occupazione può costituire fattore impeditivo
all’esercizio del diritto al risarcimento, deve concludersi
nel senso che la prescrizione ricomincia a decorrere da ogni
momento dell’illecito permanente (de die in diem); il
risultato è che, in assenza di validi atti interruttivi, il
diritto al risarcimento deve essere riconosciuto unicamente
per i cinque anni di occupazione anteriori alla proposizione
dell’azione risarcitoria.
Nella specie, il ricorrente ha inviato una prima richiesta
con racc. del 22.09.1995, una successiva con nota del
25.03.1997 e un’altra in data 04.02.2002 sicché, essendo
intervenuti atti interruttivi della prescrizione, questa non
risulta maturata, con conseguente diritto al risarcimento a
far data dalla occupazione del bene, ossia dal 23.11.1992 ( come risulta dal processo verbale di consegna del 23.11.1992).
Quanto al secondo aspetto, ossia al dedotto intervento
dell’istituto della c.d. dicatio ad patriam, questo
presuppone storicamente una manifestazione di volontà del
privato proprietario nel senso dell'asservimento all'uso
pubblico (dicatio ad patriam), che sussiste (ad esempio)
quando vi sia stata una convenzione di lottizzazione o
analogo atto d'obbligo, relativo alla realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla trasformazione del suolo mediante
la realizzazione dell'opera e dall'effettiva utilizzazione
di quest'ultima in conformità al progetto, ancorché sia
rimasta inadempiuta l'obbligazione di trasferire all'ente
pubblico la proprietà.
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, inoltre,
costituisce strada pubblica quel tratto viario avente
finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco
su pubbliche vie (Cass. Civ., Sez. II, 07.04.2000 n. 4345;
idem, 28.11.1988 n. 6412) nonché la destinazione al
transito di un numero indifferenziato di persone (Cons.
Stato, Sez. V, 07.12.2010 n. 8624).
Sotto quest'ultimo aspetto, un'area privata può ritenersi
assoggettata a uso pubblico di passaggio quando l'uso
avvenga ad opera di una collettività indeterminata di
soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un
pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli
ossia quali soggetti che si trovano in una posizione
qualificata rispetto al bene gravato (Cons. Stato, Sez. V,
14.02.2012 n. 728).
In sintesi, l'adibizione a uso pubblico di un'area può
avvenire, mediante la c.d. dicatio ad patriam , con il
comportamento del proprietario che mette il bene a
disposizione della collettività indeterminata di cittadini,
oppure con l'uso del bene da parte della collettività
indifferenziata protratto nel tempo, di talché il bene
stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle
di un bene demaniale (Cass. Civ., Sez. II, 21.05.2001
n. 6924; idem, 13.02.2006 n. 3075).
Insomma, la giurisprudenza con gli enunciati sopra esposti
afferma che perché un'area possa ritenersi sottoposta ad un
uso pubblico è necessario oltreché l'intrinseca idoneità del
bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di persone per soddisfare un pubblico,
generale interesse.
Sostanzialmente, quanto alla dicatio ad patriam e
all’acquisto della proprietà o di una servitù di uso
pubblico, rilevano essenzialmente: 1) l’esistenza di una
manifestazione di liberalità da parte del proprietario (nella specie inesistente) nel caso di
dicatio ad patriam;
2) il decorso di venti anni per l’acquisto della servitù di
uso pubblico o della proprietà per usucapione.
Nella specie, non vi è stato alcun atto del privato idoneo a
dar luogo alla dicatio ad patriam e comunque
l’amministrazione comunale non ha in alcun modo provato la
sussistenza degli elementi costitutivi all’uopo necessari (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 22.05.2013 n. 1174 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Bando
di gara pubblica, quando è lesivo?
Domanda
I bandi di una
gara pubblica sono da ritenersi lesivi dei principi generali
in materia di appalti quando c'è la concreta impossibilità
per le imprese di formulare offerte coerenti e serie, a
causa dell'eccessiva diversità, eterogeneità delle
prestazioni, e dell'oggettiva indeterminatezza dell'oggetto
del contratto.
Risposta
La giurisprudenza sottolinea come il concreto esercizio del
potere discrezionale deve essere funzionalmente coerente con
il complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti
dal procedimento di appalto e deve rispettare le specifiche
norme del Codice dei contratti. L'intero impianto non deve
costituire dunque una violazione sostanziale dei principi di
libera concorrenza, par condicio, non discriminazione,
trasparenza di cui all'art. 2, comma 1, del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163 e s.m..
Specie nel settore sanità sono stati utilizzati bandi con un
contenuto variegato ed omnicomprensivi, tuttavia tali bandi
diventano lesivi dei princìpi generali in materia di appalti
quando vi sia la concreta impossibilità per le imprese di
formulare offerte consapevoli a cagione della eccessiva
diversità, della assoluta eterogeneità delle prestazioni,
dell'oggettiva indeterminatezza dell'oggetto del contratto;
della carenza e dell'illogicità e, conseguente
l'inapplicabilità dei criteri selettivi previsti dal bando.
A seguito di queste premesse, bisogna specificare che la
lesione effettiva dell'interesse giuridicamente rilevante
dell'impresa partecipante e che legittima l'immediata
impugnativa del bando, non deve essere necessariamente
connessa alla presenza di clausole che possano comportare la
sua esclusione dalla selezione.
Tale lesione può, infatti, consistere anche nella concreta
impossibilità per l'impresa stessa di formulare un'offerta
informata per le cause appena dette, a causa di disposizioni
che impediscono di comprendere e valutare con sufficiente
precisione l'entità delle prestazioni da offrire e gli oneri
economici connessi (22.05.2013 - tratto da
www.ispoa.it). |
APPALTI:
L’obbligo posto dagli artt. 4 della legge n. 490
del 1994 e 10 del d.P.R. n. 252 del 1998 a carico delle
stazioni appaltanti di acquisire l’informativa antimafia per
contratti o sub contratti di valore superiore alla soglia
comunitaria, mentre introduce una doverosità assoluta di
attivare il procedimento accertativo nei casi
specificatamente presi in considerazione dalla legge, non
assorbe la sfera di discrezionalità della stazione
appaltante, che può acquisire l’informativa in determinate
situazioni in cui scelte ed indirizzi delle imprese
interessate possano ricevere condizionamento da parte della
criminalità organizzata.
In linea con quanto ritenuto dalla Sezione in fattispecie
analoga (cfr. Cons. St. sez. VI, n, 249 del 29.01.2008) va
ribadito che l’obbligo posto dagli artt. 4 della legge n.
490 del 1994 e 10 del d.P.R. n. 252 del 1998 a carico delle
stazioni appaltanti di acquisire l’informativa antimafia per
contratti o sub contratti di valore superiore alla soglia
comunitaria, mentre introduce una doverosità assoluta di
attivare il procedimento accertativo nei casi
specificatamente presi in considerazione dalla legge, non
assorbe la sfera di discrezionalità della stazione
appaltante, che può acquisire l’informativa in determinate
situazioni in cui scelte ed indirizzi delle imprese
interessate possano ricevere condizionamento da parte della
criminalità organizzata (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 23.05.2013 n. 2798 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Appalti
registrati. Iscrizioni aperte fino al 10 luglio. I
committenti dovranno entrare nell'Anagrafe unica.
Entro il 10 luglio le stazioni appaltanti devono chiedere
l'iscrizione all'anagrafe unica gestita dall'Autorità per la
vigilanza dei contratti pubblici. L'inadempimento
dell'obbligo è previsto a pena di nullità degli atti di
gara.
Questo è quanto afferma il presidente dell'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, Sergio Santoro,
che ha siglato la
nota 16.05.2013 indirizzata a tutte le stazioni
appaltanti.
La creazione dell'Anagrafe unica, è prevista dall'art.
33-ter del dl 179/2012. Per rendere effettiva l'attuazione
dell'Anagrafe, la norma di legge, non soltanto impone la
registrazione presso la banca dati gestita dall'Authority di
via di Ripetta, ma annette a tale obbligo di registrazione
anche l'ulteriore obbligo di aggiornamento annuale dei dati
identificativi forniti dalle stazioni appaltanti.
È di particolare rilievo la conseguenza derivante
dall'inadempimento degli obblighi di registrazione. La legge
infatti prevede, in caso di inadempimento di entrambi gli
obblighi, la nullità degli atti adottati e la responsabilità
amministrativa e contabile dei funzionari responsabili. Per
il funzionamento dell'intero sistema, è poi la stessa legge
221 a prevedere che sia l'Autorità per la vigilanza a
dettare le regole.
Con la nota varata il 16 maggio, «nelle more
dell'implementazione e della definizione delle modalità di
iscrizione», è quindi il presidente Santoro a dettare le
prime indicazioni transitorie, mettendo in relazione
l'anagrafe con gli obblighi informativi che già spettano
alle stazioni appaltanti registrate presso la banca dati. In
particolare, si precisa che, in via transitoria, ai fini
dell'adempimento all'obbligo di registrazione previsto
dall'articolo 33-ter, le stazioni appaltanti già registrate
presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici,
devono acquisire sul sito dell'Autorità, a partire dal
10.07.2013, l'Attestato di iscrizione all'Anagrafe unica. «L'attestato»,
si legge nella nota, «avrà validità per tutto il 2013 e
sarà rilasciato ai soggetti richiedenti per il tramite dei
propri utenti già titolari di credenziali per I'accesso ai
servizi sul portale dell'Autorità».
Inoltre viene fatto presente che, a partire dal 01.09.2013 e
comunque entro il 31.12.2013, le stazioni appaltanti
dovranno anche comunicare, il nominativo del responsabile,
il quale provvederà alla iniziale verifica o alla
compilazione ed al successivo aggiornamento delle
informazioni. Nel merito, le informazioni da fornire e le
modalità con le quali verranno trasmesse, saranno però
definite con una successiva nota, al fine di potere
consentire il permanere dell'iscrizione nell'Anagrafe unica
delle stazioni appaltanti, da effettuarsi a cura del
responsabile.
La nota infine ricorda che, l'aggiornamento delle
informazioni dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti,
dovrà essere effettuato dal soggetto individuato, entro il
31 dicembre di ciascun anno
(articolo ItaliaOggi del 22.05.2013). |
APPALTI: Gli
obblighi dichiarativi previsti dall’art. 38 del D.Lgs. n.
163 del 2006 debbono ritenersi imposti a prescindere da una
espressa previsione della legge di gara, che viene
automaticamente eterointegrata dalla disposizione in
questione.
Difatti, avendo il citato art. 38 “un chiaro contenuto di
ordine pubblico, esso si applica a prescindere dal suo
richiamo, inserimento espresso o inserzione fra le
specifiche clausole che regolano la singola gara”.
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L’istituto del
falso innocuo (ossia dell’irrilevanza della mancata
dichiarazione in ordine alla insussistenza di cause di
esclusione dalla gara da parte dei legali rappresentanti
dell’impresa, allorquando non vi siano in concreto elementi
ostativi alla partecipazione) non può essere applicato nelle
gare d’appalto.
Difatti, “nelle procedure di evidenza pubblica la
completezza [e, a fortiori, l’esistenza] delle dichiarazioni
(…) è già di per sé un valore da perseguire perché consente
–anche in ossequio al principio di buon andamento
dell’amministrazione e di proporzionalità– la celere
decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico
alla gara. Conseguentemente una dichiarazione inaffidabile
(perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva
degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal
fatto che l’impresa meriti ‘sostanzialmente’ di partecipare
alla gara. In altri termini, nel diritto degli appalti
occorre poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a
far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le
necessarie determinazioni in ordine all’ammissione
dell’operatore economico alla gara o alla sua esclusione. La
dichiarazione ex articolo 38, dunque, è sempre utile perché
l’amministrazione sulla base di quella può/deve decidere la
legittima ammissione alla gara e conseguentemente la sua
difformità dal vero o la sua incompletezza non possono
essere “sanate” ricorrendo alla categoria del falso
innocuo”.
Va premesso, in punto di fatto, che non è
oggetto di contestazione la mancanza, nella documentazione
prodotta da Charta, delle dichiarazioni personali da parte
del proprio Presidente e legale rappresentante e di uno dei
consiglieri, qualificato quale rappresentante dell’impresa.
La ricorrente principale contesta che la lex specialis
contenesse una previsione specifica relativa al dovere dei
propri amministratori di rilasciare una siffatta
dichiarazione; di conseguenza, la predetta omissione, in
ossequio al disposto di cui all’art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 163 del 2006, non avrebbe potuto comportare
l’esclusione dalla gara di Charta.
In realtà, la mancanza di una espressa previsione in tal
senso non appare decisiva, atteso che gli obblighi
dichiarativi previsti dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del
2006 debbono ritenersi imposti a prescindere da una espressa
previsione della legge di gara, che viene automaticamente eterointegrata dalla disposizione in questione.
Difatti, secondo una condivisibile giurisprudenza, avendo il
citato art. 38 “un chiaro contenuto di ordine pubblico, esso
si applica a prescindere dal suo richiamo, inserimento
espresso o inserzione fra le specifiche clausole che
regolano la singola gara” (TAR Sicilia, Catania, II, 03.08.2012, n. 1989).
Ulteriormente, la ricorrente principale richiama la
teoria del falso innocuo, ossia dell’irrilevanza della
mancata dichiarazione in ordine alla insussistenza di cause
di esclusione dalla gara da parte dei legali rappresentanti
dell’impresa, allorquando non vi siano in concreto elementi
ostativi alla partecipazione, come pacifico nel caso di
specie (cfr. all. 5 e 6 di Charta).
Ad avviso del Collegio, pur in presenza di opinioni
dissonanti in merito, l’istituto del falso innocuo non può
essere applicato nelle gare d’appalto.
Difatti, “nelle procedure di evidenza pubblica la
completezza [e, a fortiori, l’esistenza] delle dichiarazioni
(…) è già di per sé un valore da perseguire perché consente
–anche in ossequio al principio di buon andamento
dell’amministrazione e di proporzionalità– la celere
decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico
alla gara. Conseguentemente una dichiarazione inaffidabile
(perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva
degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal
fatto che l’impresa meriti ‘sostanzialmente’ di partecipare
alla gara. In altri termini, nel diritto degli appalti
occorre poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a
far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le
necessarie determinazioni in ordine all’ammissione
dell’operatore economico alla gara o alla sua esclusione. La
dichiarazione ex articolo 38, dunque, è sempre utile perché
l’amministrazione sulla base di quella può/deve decidere la
legittima ammissione alla gara e conseguentemente la sua
difformità dal vero o la sua incompletezza non possono
essere “sanate” ricorrendo alla categoria del falso innocuo”
(Consiglio di Stato, III, 16.03.2012, n. 1471) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 21.05.2013 n. 1332 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: F.
Di Chio,
Esclusione dalla gara d’appalto per deficit di fiducia:
rilevanza dell’onere motivazionale
(21.05.2013 - link a www.filodirittto.com). |
APPALTI:
E' inaffidabile un'offerta con margine di utile
pari a zero, anche se formulata da una Onlus priva, in
quanto tale, di scopo di lucro.
La formulazione di un offerta da parte di un'ATI, ad una
gara per l'affidamento del servizio di assistenza
domiciliare integrata, con un margine lordo (utile) pari a
zero la rende inaffidabile ed inattendibile, anche nel caso
in cui la proposta provenga da una ONLUS priva, in quanto
tale, di scopo di lucro.
L'ATI suddetta si sarebbe discostata dalle tabelle di cui al
decreto ministeriale del 02.04.2012, senza, tuttavia,
addurre alcuna logica giustificazione, né specificare le
ragioni che consentirebbero di operare in condizioni più
favorevoli; pertanto, le giustificazioni dell'ATI
controinteressata non offrirebbero elementi di prova a
supporto degli scostamenti dai dati tabellari, il che
renderebbe inaffidabile l'offerta (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 20.05.2013 n. 781 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'offerta senza utile è illegittima.
Anche se
presentata da una onlus.
In una gara di appalto l'offerta senza utile è sempre
illegittima anche se formulata da una Onlus; è irrilevante
l'assenza di scopo di lucro della organizzazione.
È quanto
afferma la sentenza del TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza
20.05.2013 n. 781, che ha preso in esame una vicenda
concernente un appalto per un servizio di «assistenza
domiciliare integrata» aggiudicato, con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa, a una onlus.
Veniva eccepito il fatto che l'offerta risultata poi
vincente contemplava un margine lordo (utile) pari a zero.
Nel ricorso del secondo classificato si sosteneva che tale
circostanza avrebbe reso l'offerta stessa inaffidabile ed
inattendibile. Viceversa l'aggiudicatario replicava che
proprio in ragione della sua natura soggettiva una onlus,
priva, in quanto tale, di scopo di lucro, ben poteva
effettuare una offerta tale anche da non garantire alcun
margine di utile.
Veniva, a margine, anche eccepito che
l'aggiudicatario si sarebbe comunque discostato dalle
tabelle di cui al decreto ministeriale del 02.04.2012,
senza, tuttavia, addurre alcuna logica giustificazione, né
specificare le ragioni che consentirebbero di operare in
condizioni più favorevoli, ma si trattava comunque di una
ulteriori questione di carattere accessorio rispetto alla
questione principale posta dal secondo classificato. Nel
merito il Tar accoglie il ricorso e annulla il provvedimento
di aggiudicazione affermando che la formulazione di un
offerta con un margine lordo (utile) pari a zero la rende
inaffidabile ed inattendibile, anche nel caso in cui la
proposta provenga da una onlus priva, in quanto tale, di
scopo di lucro.
La sentenza richiama precedenti decisioni
del Consiglio di stato sulle verifiche di congruità delle
offerte anomale per sostenere che la stazione appaltante non
avrebbe dovuto in alcun modo ritenere congrua l'offerta
(anomala) presentata dalla onlus. In via generale, infatti,
il Consiglio di stato aveva già avuto modo di precisare che
la commissione giudicatrice deve sempre avere riguardo alla
serietà della proposta contrattuale e che, in tale ambito
risulta in sé ingiustificabile soltanto una offerta con
utile pari a zero.
In sostanza, se un utile apparentemente
modesto può comportare un vantaggio importante (si pensi
alle ricadute positive che possono discendere in termine di
qualificazione, pubblicità, curriculum discendenti per una
impresa dall'essersi aggiudicata e dall'avere poi portato a
termine un prestigioso appalto), viceversa un utile pari a
zero non è indice di serietà dell'offerta: «l'offerta seria
rimane, anche laddove l'utile d'impresa si riduca, purché
non risulti del tutto azzerato».
La «ratio» cui è
preordinato il meccanismo di verifica della offerta anomala
è infatti la piena affidabilità della proposta contrattuale.
Si tratta di un principio generale che, ad avviso del Tar
Puglia, non può essere intaccato neanche in assenza di scopo
di lucro. Da ciò il necessario annullamento
dell'aggiudicazione a favore della onlus
(articolo ItaliaOggi del 28.05.2013
- tratto da link a www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità nel caso di aggiudicazione di
una gara ad un consorzio di cooperative di produzione e
lavoro, della designazione di secondo grado, o "a cascata".
L'art. 13, c. 4, della l. n. 109/1994 (ora art. 37, c. 7,
del d.lgs. n. 163 del 2006), ha eccezionalmente previsto che
i consorzi tra società cooperative di produzione e lavoro
indichino, nell'offerta, per quali loro consorziati essi
concorrano e non ha, invece, esteso anche ai soggetti
(eventualmente costituiti in forma consortile) così
designati di indicare, a loro volta, a cascata, i propri
consorziati chiamati ad eseguire i lavori stessi.
Il consorzio concorrente ed aggiudicatario può avvalersi
delle prestazioni di un'impresa cooperativa in esso
associata e specificamente designata in sede di gara; e, in
tal caso, l'impresa indicata può eseguire i lavori pur
essendo priva dei requisiti di qualificazione tecnica; ma
non anche, a quest'ultima, di avvalersi di un'ulteriore
impresa -a sua volta, in essa associata- altrimenti
potendosi innescare un meccanismo di designazioni a catena
destinato a beneficiare non (secondo la ratio legis)
il consorzio concorrente e le imprese cooperative in esso
associate, ma, in ipotesi (come nel caso di specie) anche
soggetti terzi, non concorrenti direttamente alla gara, né
in questa puntualmente designati, secundum legem, dal
concorrente risultato aggiudicatario, quali materiali
esecutori dei lavori (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 20.05.2013 n. 14 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Affidamento del servizio di assistenza e del servizio
infermieristico a favore degli ospiti del Centro sociale
residenziale per anziani. Esclusione di un concorrente.
Le indicazioni fornite dalla
giurisprudenza e dall'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp) in
merito alla portata del precetto contenuto nell'art. 46, c.
1-bis, del D.Lgs. 163/2006, non appaiono univoche e
generano, pertanto, l'oggettiva incertezza di stabilire se
risulti legittimamente apposta la clausola, prevista dalla lex specialis, del possesso 'da almeno un anno' della
certificazione di qualità, che costituisce requisito
essenziale per la partecipazione alla gara.
Il Comune, che ha già posto un quesito [1] circa la rispondenza, alle
previsioni del bando di gara per l'affidamento del 'servizio
di assistenza e servizio infermieristico rivolto agli ospiti
del Centro sociale residenziale per anziani', della
certificazione di conformità del sistema di qualità
aziendale, prodotto da una ditta in virtù di un contratto di avvalimento, richiede l'ulteriore assistenza di questo
Ufficio, al fine di stabilire se le contestazioni mosse
dalla ditta medesima, a seguito della sua esclusione dalla
gara, possano ritenersi fondate.
Occorre, anzitutto, ricordare che lo scrivente Servizio
fornisce attività di consulenza giuridico-amministrativa, a
favore degli enti locali, su problematiche aventi rilevanza
di carattere generale e non implicanti valutazioni di casi
specifici, tanto più ove si tratti di questioni che
potrebbero sfociare in un contenzioso in sede
giurisdizionale.
Si rammenta, inoltre, la possibilità, per l'Ente, di
interpellare l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp) [2].
Tuttavia, a titolo meramente collaborativo, si esaminano gli
elementi normativi e giurisprudenziali che la ditta esclusa
pone a fondamento delle proprie rimostranze, con l'auspicio
di poter coadiuvare il Comune nell'assunzione delle proprie
determinazioni al riguardo.
L'Ente ha disposto la predetta esclusione in considerazione
dei seguenti elementi:
1) il contratto di avvalimento prodotto è inidoneo, giacché
si limita a prevedere la disponibilità generica e astratta
della certificazione ISO posseduta dall'impresa ausiliaria;
2) il campo di applicazione indicato nel certificato di
qualità prodotto dalla ditta (Progettazione ed erogazione di
servizi socio-educativi in regime diurno e
socio-assistenziali in regime domiciliare per anziani,
minori e disabili. Progettazione ed erogazione di corsi di
formazione professionale) risulta sostanzialmente diverso
dal servizio oggetto di gara (Servizio di assistenza e
servizio infermieristico rivolto agli ospiti del Centro
sociale residenziale per anziani);
3) la validità della certificazione di qualità decorre dal
23.07.2012, mentre il bando di gara richiedeva il
possesso del requisito 'da almeno un anno'.
Avverso il predetto provvedimento la ditta esclusa ha
inviato la comunicazione preventiva ai sensi dell'art.
243-bis [3] del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163,
diffidando l'Ente a voler provvedere alla sua riammissione
in gara e preannunciando, in difetto, l'intenzione di
proporre ricorso giurisdizionale.
La ditta contesta la sanzione adottata nei suoi confronti
facendo, peraltro, riferimento ad uno solo dei motivi posti
alla base del provvedimento comunale. Essa sostiene,
infatti, che la previsione, quale requisito di
partecipazione alla gara, del possesso 'da almeno un anno'
della certificazione di qualità è lesiva del principio della
libera concorrenza, pregiudicando la partecipazione alla
procedura di tutte quelle aziende che -come essa stessa-
risultano costituite da meno di un anno e non possono,
pertanto, possedere l'anzianità del requisito nei termini
richiesti dal bando.
La ditta ricorda, in particolare, il principio di
tassatività delle cause di esclusione, desumibile dall'art.
46, comma 1-bis [4], del D.Lgs. 163/2006, il quale prevede
che «La stazione appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni
previste dal presente codice e dal regolamento e da altre
disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza
assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per
difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali
ovvero in caso di non integrità del plico contenente
l'offerta o la domanda di partecipazione o altre
irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far
ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato
violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e
le lettere di invito non possono contenere ulteriori
prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono
comunque nulle.».
Dopo aver svolto alcune considerazioni al riguardo
[5], la
ditta richiama, a sostegno della propria tesi, la sentenza
del Consiglio di Stato - Sez. V, 31.01.2012, n. 467, nella
quale è stato statuito che «solo qualora la
documentazione prodotta da un concorrente ad una pubblica
gara sia presente, ma carente di taluni elementi formali, di
guisa che sussista un indizio del possesso del requisito
richiesto, l'Amministrazione non può pronunciare
l'esclusione dalla procedura, ma è tenuta a richiedere al
partecipante di integrare e chiarire il contenuto di un
documento già presente, costituendo siffatta attività
acquisitiva un ordinario 'modus procedendi', ispirato
all'esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma.».
[6]
Occorre, anzitutto, rilevare che tanto l'affermazione della
ditta, quanto il richiamo giurisprudenziale, non appaiono
inerire al caso di specie, nel quale viene in rilievo la
carenza, di natura sostanziale, della prevista anzianità nel
possesso di un requisito indispensabile per la
partecipazione alla gara, ma alla diversa ipotesi di
incompletezza meramente formale nella produzione della
documentazione richiesta dal bando, rispetto alla quale deve
essere tendenzialmente consentita la regolarizzazione,
tranne ove -come chiarisce la predetta sentenza del
Consiglio di Stato- si tratti di «integrare documenti che
avrebbero dovuto essere prodotti a pena di esclusione in
quanto attinenti a requisiti essenziali per la
partecipazione».
Quanto alla portata della disposizione invocata dalla ditta,
si rende necessario segnalare che la giurisprudenza non
sembra esprimersi in maniera univoca al riguardo.
Infatti, essa afferma che:
- l'art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. 163/2006 «introduce il
c.d. 'principio di tassatività delle cause di esclusione',
secondo cui solo le violazioni di norme di legge o di
regolamento o quelle che determinano irregolarità
sostanziali in relazione a quanto esplicitamente indicato
nella stessa disposizione, comportano l'esclusione dal
procedimento. Ciò determina, da un lato, la nullità di
quelle previsioni dei bandi ad oggetto omnicomprensivo, che
rendono obbligatoria la presentazione di tutta la
documentazione richiesta e nelle forme indicate,
riconnettendo automaticamente l'esclusione della concorrente
al generico difetto di una qualsiasi parte della
documentazione stessa; e dall'altro, l'obbligo per il
giudice di accertare se l'omissione di cui una concorrente
si lamenta (ai fini della domanda di esclusione dalla gara
di altro concorrente) sia effettivamente ascrivibile alle
condizioni del menzionato art. 46» [7];
- «In difetto di esplicite sanzioni di esclusione contenute
nella legge e/o nel bando, deve ritenersi che non possa
farsi luogo ad esclusioni, come prevede ora l'art. 46 comma
1-bis, del codice dei contratti, modificato dall'art. 4,
comma II, lett. d), D.L. 13.5.2011, n. 70»
[8];
- «anche prima della positivizzazione (ad opera del
decreto-legge n. 70 del 2011) del principio di tassatività
delle clausole di esclusione nell'ambito delle pubbliche
gare, la giurisprudenza aveva fissato il principio secondo
cui le clausole della lex specialis, ancorché contenenti
comminatorie di esclusione, non possono essere applicate
meccanicisticamente, ma secondo il principio di
ragionevolezza, e devono essere valutate alla stregua
dell'interesse che la norma violata è destinata a presidiare
per cui, ove non sia ravvisabile la lesione di un interesse
pubblico effettivo e rilevante, deve essere accordata la
preferenza al favor partecipationis» [9];
- a fronte dell'incompletezza, non colmabile ricorrendo al
contenuto di altri atti, di autodichiarazioni da rendere ai
fini della partecipazione alla gara, «in applicazione delle
chiare ed inequivoche clausole del disciplinare», va
disposta l'esclusione del concorrente, dovendosi ritenere
che, anche nella vigenza dell'art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. 163/2006, «sia rimasta inalterata la facoltà delle
amministrazioni aggiudicatrici di richiedere, a pena di
esclusione, tutti i documenti e gli elementi ritenuti
necessari o utili per identificare e selezionare i
partecipanti ad una procedura concorsuale nel rispetto del
principio di proporzionalità, ai sensi degli art. 73
[10] e
74 [11] del Codice dei contratti (cfr. Sez. V, 12.06.2012, n. 3884)»
[12];
- «con riferimento all'attività della c.d. stazione
appaltante prodromica all'avvio della selezione, pur
confermandosi in capo ad essa il potere discrezionale a
predisporre le regole di gara, detto potere appare essere
ormai legislativamente ridotto nella latitudine di sviluppo,
in quanto condizionato al rispetto delle prescrizioni
normative che impongono all'Amministrazione procedente di
non ignorare, in tema di introduzione di clausole ostative
alla partecipazione ovvero di modalità di partecipazione il
cui inadempimento provoca l'espulsione del concorrente, la
recente formula normativa di estrinsecazione del principio
della esclusiva indicazione legislativa, con portata
tassativa, delle cause di esclusione dalla selezione. [...]
D'altronde la disciplina di gara ben può richiedere ai
concorrenti requisiti di partecipazione e di qualificazione
più rigorosi e restrittivi di quelli minimi stabiliti dalla
legge, purché tali ulteriori prescrizioni si rivelino
rispettose dei principi di proporzionalità e di
ragionevolezza con riguardo alle specifiche esigenze imposte
dall'oggetto dell'appalto e comunque non introducano
indebite discriminazioni nell'accesso alla procedura (cfr.,
per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 02.02.2010 n. 426, Sez. VI, 11.05.2007 n. 2304 nonché TAR Lazio, Sez. II,
09.12.2008 n. 11147)» [13];
- «l'interpretazione delle clausole munite di sanzioni
espulsive va condotta necessariamente alla luce dell'art.
46, c. 1-bis, del D.lgs. 12.04.2006 n. 163 (che assurge al
rango di principio generale interpretativo), ossia per i
casi previsti dalla legge, nonché in quelli '... di
incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza
dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri
elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del
plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o
altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali
da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia
stato violato il principio di segretezza delle offerte...'.
Poiché nella specie, i plichi della controinteressata son
stati verificati integri, completi, sicuramente provenienti
e sottoscritti da questa e non manca l'atto richiesto,
quello sì inderogabilmente, non è possibile interpretare la
vicenda in esame fuori dal principio di tassatività delle
cause d'esclusione indicati dalla norma»
[14].
Circa la posizione assunta, sulla questione, dall'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture (Avcp), si ritiene utile segnalare le indicazioni
fornite con determinazione 10.10.2012, n. 4
[15]:
- la ratio delle disposizioni contenute nell'art. 46, comma
1-bis, del D.Lgs. 163/2006 «è rinvenibile nell'intento di
garantire un concreto rispetto dei principi di rilievo
comunitario di massima partecipazione, concorrenza e
proporzionalità nelle procedure di gara, evitando che le
esclusioni possano essere disposte a motivo della violazione
di prescrizioni meramente formali, la cui osservanza non
risponde ad alcun apprezzabile interesse pubblico»;
- infatti, come si evince dalla relazione illustrativa del
D.L. 70/2011, «la finalità è quella di effettuare una
'tipizzazione tassativa delle cause di esclusione dalle gare
e di ridurre il potere discrezionale della stazione
appaltante', limitando 'le numerose esclusioni che avvengono
sulla base di elementi formali e non sostanziali, con
l'obiettivo di assicurare il rispetto del principio della
concorrenza e di ridurre il contenzioso in materia di
affidamento dei contratti pubblici'»;
- «La norma elenca, quindi, i vincoli ed i criteri che le
stazioni appaltanti, nonché la stessa Autorità, devono
osservare nell'individuazione delle ipotesi legittime di
esclusione, allorché redigono, rispettivamente, i documenti
di gara ed i bandi-tipo»;
- «rispetto alle ipotesi tipizzate nel presente bando-tipo,
le stazioni appaltanti possono prevedere ulteriori cause di
esclusione, previa adeguata e specifica motivazione, solo
con riferimento a disposizioni di leggi vigenti ovvero alle
altre regole tassative previste dall'art. 46, comma 1-bis,
del Codice».
Venendo, ora, all'unico motivo oggetto di contestazione da
parte della ditta esclusa e rammentato che la giurisprudenza
prevalente ritiene che la certificazione di qualità debba
essere annoverata tra i requisiti speciali di carattere
tecnico-organizzativo, si segnala che, con riferimento a
tali requisiti, l'Avcp chiarisce che «essi costituiscono
presupposti di natura sostanziale per la partecipazione alla
gara, ai sensi dell'art. 2 del Codice».
Pertanto -prosegue l'Avcp- «la carenza dei requisiti
speciali di partecipazione indicati nel bando di gara si
traduce necessariamente nell'esclusione dalla gara».
Sul tema, la medesima Avcp ha, successivamente, affermato
che «La stazione appaltante può introdurre nella lex
specialis della gara d'appalto disposizioni che limitano la
platea dei concorrenti, al fine di consentire la
partecipazione di soggetti particolarmente qualificati,
specialmente per ciò che attiene al possesso di requisiti di
capacità tecnica e finanziaria, se tale scelta non sia
eccessivamente o irragionevolmente limitativa della
concorrenza. Siffatta scelta può essere sindacata dal
giudice amministrativo in sede di legittimità solo in quanto
sia manifestamente irragionevole, irrazionale, arbitraria,
sproporzionata, illogica o contraddittoria (Cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 02.02.2009 n. 525 e 23.07.2008 n.
3655)» [16].
Dal quadro degli orientamenti sopra esposti emerge
l'oggettiva incertezza nella soluzione della questione
posta, rispetto alla quale potrebbe esprimersi solo il
giudice competente.
In relazione a quanto finora osservato si rileva che, anche
ove la clausola del possesso, da almeno un anno, della
certificazione di qualità, richiesta quale requisito
essenziale per la partecipazione alla gara, dovesse
ritenersi come non apposta, restano comunque ferme le
ulteriori ragioni sostanziali che -stante quanto
illustrato, con dovizia di richiami giurisprudenziali, nel
parere già reso da questo Ufficio- hanno indotto la
stazione appaltante a disporre l'esclusione della ditta e
che si concretano:
a) nella diversità ed incompletezza, rispetto alla natura
dei servizi oggetto di gara, del campo di applicazione cui
il certificato di qualità si riferisce [17];
b) nell'inidoneità -per l'assenza del contenuto minimo, già
individuato dalla giurisprudenza ed ora previsto dall'art.
88, comma 1 [18], del decreto del Presidente della Repubblica
05.10.2010, n. 207- del contratto di avvalimento
prodotto dalla ditta esclusa, ai fini della dimostrazione
della concreta ed effettiva disponibilità, nell'esecuzione
dell'appalto, delle risorse, dei mezzi e delle attrezzature
posseduti dalla ditta certificata.
A tale ultimo riguardo, si segnala un'ulteriore recente
pronuncia del Consiglio di Stato [19], nella quale risulta
confermato che «l'avvalimento, così come configurato dalla
legge, deve essere reale e non formale, nel senso che non
può considerarsi sufficiente 'prestare' la certificazione
posseduta (Cons. Stato, III, 18.04.2011, n. 2343)
assumendo impegni assolutamente generici, giacché in questo
modo verrebbe meno la stessa essenza dell'istituto,
finalizzato non già ad arricchire la capacità tecnica ed
economica del concorrente, bensì a consentire a soggetti che
ne siano sprovvisti di concorrere alla gara ricorrendo ai
requisiti di altri soggetti (C.d.S., sez. V, 03.12.2009, n. 7592), garantendo l'affidabilità dei lavori, dei
servizi o delle forniture appaltati».
Il supremo Giudice amministrativo ha, infatti, rilevato che
la responsabilità solidale, che viene assunta con il
contratto di avvalimento da parte dell'impresa ausiliaria
nei confronti dell'amministrazione appaltante e che discende
direttamente dalla legge, «si giustifica proprio per
l'effettiva partecipazione dell'impresa ausiliaria
all'esecuzione dell'appalto (Cons. Stato, VI, 13.05.2010, n. 2956, secondo cui l'impresa ausiliaria diventa
titolare passivo di un'obbligazione accessoria dipendente
rispetto a quella principale del concorrente, obbligazione
che si perfeziona con l'aggiudicazione a favore del
concorrente ausiliato, di cui segue le sorti)».
Pertanto, il Consiglio di Stato ha ritenuto inidoneo il
contratto di avvalimento sottoposto al suo giudizio
[20],
«mancando del tutto l'autentica messa a disposizione di
risorse, mezzi o di altro elemento necessario».
---------------
[1] Al quale è stato fornito riscontro con parere prot.
n. 12088 del 16.04.2013.
[2] Per le modalità di acquisizione dei relativi pareri, v.
le informazioni reperibili all'indirizzo Internet
avcp.it/portal/public/classic/FAQ/FAQ_precontenzioso.
[3] «1. Nelle materie di cui all'articolo 244, comma 1, i
soggetti che intendono proporre un ricorso giurisdizionale
informano le stazioni appaltanti della presunta violazione e
della intenzione di proporre un ricorso giurisdizionale.
2. L'informazione di cui al comma 1 è fatta mediante
comunicazione scritta e sottoscritta dall'interessato, o da
un suo rappresentante, che reca una sintetica e sommaria
indicazione dei presunti vizi di illegittimità e dei motivi
di ricorso che si intendono articolare in giudizio, salva in
ogni caso la facoltà di proporre in giudizio motivi diversi
o ulteriori. L'interessato può avvalersi dell'assistenza di
un difensore. La comunicazione può essere presentata fino a
quando l'interessato non abbia notificato un ricorso
giurisdizionale. L'informazione è diretta al responsabile
del procedimento. La comunicazione prevista dal presente
comma può essere effettuata anche oralmente nel corso di una
seduta pubblica della commissione di gara ed è inserita nel
verbale della seduta e comunicata immediatamente al
responsabile del procedimento a cura della commissione di
gara.
3. L'informativa di cui al presente articolo non impedisce
l'ulteriore corso del procedimento di gara, né il decorso
del termine dilatorio per la stipulazione del contratto,
fissato dall'articolo 11, comma 10, né il decorso del
termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale.
4. La stazione appaltante, entro quindici giorni dalla
comunicazione di cui al comma 1, comunica le proprie
determinazioni in ordine ai motivi indicati
dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in
autotutela. L'inerzia equivale a diniego di autotutela.
5. L'omissione della comunicazione di cui al comma 1 e
l'inerzia della stazione appaltante costituiscono
comportamenti valutabili, ai fini della decisione sulle
spese di giudizio, nonché ai sensi dell'articolo 1227 del
codice civile.
6. Il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o
tacito, è impugnabile solo unitamente all'atto cui si
riferisce, ovvero, se quest'ultimo è già stato impugnato,
con motivi aggiunti.».
[4] Come inserito dall'art. 4, comma 2, lett. d), del
decreto-legge 13.05.2011, n. 70, convertito, con
modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106.
[5] 'La normativa in materia di appalti pubblici esprime
sempre più la prevalenza dell'interesse sostanziale rispetto
ai canoni meccanicamente formalistici codificando un modo di
procedere volto a far valere la sostanza sulla forma, al
fine di limitare le numerose esclusioni che avvengono solo
sulla base di elementi formali e non sostanziali, e di
ridurre, anche in quest'ipotesi, il contenzioso in materia
di affidamento dei contratti pubblici.'.
[6] V. anche TAR Lazio-Roma, Sez. II, 19.02.2013, n. 1828,
il quale afferma, al riguardo, che «Come è noto nelle
procedure di tipo concorsuale quali gare d'appalto, concorsi
pubblici, selezioni pubbliche per la concessione di
finanziamenti et similia, per giurisprudenza assolutamente
pacifica, la regolarizzazione documentale può essere
consentita quando i vizi siano puramente formali o
chiaramente imputabili a errore solo materiale, e sempre che
riguardino dichiarazioni o documenti che non sono richiesti
a pena di esclusione, non essendo, in quest'ultima ipotesi,
consentita la sanatoria o l'integrazione postuma che si
tradurrebbero in una violazione dei termini massimi di
presentazione dell'offerta e, in definitiva, in una
violazione della 'par condicio' (cfr., ex plurimis, Cons.
Stato, Sez. V, 14.09.2010 n. 6687, Sez. IV, 19.06.2006 n.
3660 e 06.03.2006 n. 1068, Sez. VI 18.05.2001 n. 2781).
Sanatorie documentali sono possibili, dunque, con la
possibilità d'integrare successivamente la documentazione
prodotta con la domanda di partecipazione alla gara o,
comunque, con l'offerta, nel rispetto di un duplice limite:
a) la regolarizzazione deve riferirsi a carenze puramente
formali od imputabili ad errori solo materiali (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 31.08.2004 n. 5734); b) la regolarizzazione
non può mai riguardare produzioni documentali che abbiano
violato prescrizioni del bando (o della lettera di invito)
sanzionate con una comminatoria di esclusione (cfr. Cons.
Stato, Sez. IV, 09.12.2002 n. 6675), sempreché queste ultime
non si rivelino affette da nullità.».
[7] TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I, 22.03.2012, n.
245. Ai fini della corretta comprensione della riportata
affermazione, si ritiene utile segnalare che il Giudice
calabrese precisa, di seguito, che «L'obbligo di rendere le
dichiarazioni di cui all'art. 38 lett. 'c' del Dlgs 163/2006
anche da parte di amministratori o tecnici appartenenti ad
operatori economici terzi rispetto all'impresa concorrente,
ma a questa legati da negozi di trasferimento dell'azienda o
di un ramo di essa, deriva dalla previsione del bando, non
dalla norma di legge o dal regolamento; pertanto la
violazione della suddetta previsione non può determinare
automaticamente l'esclusione dall'appalto della concorrente,
dovendosi verificare se dall'ammissione sia derivato alla
concorrente un effettivo vantaggio, mediante violazione
della par condicio rilevante ai fini dell'art. 46 cit.».
[8] Consiglio di Stato - Sez. III, 04.10.2012, n. 5203.
[9] Consiglio di Stato - Sez. VI, 19.10.2012, n. 5389.
[10] La norma, che disciplina la forma e il contenuto delle
domande di partecipazione, dispone, per quanto qui rileva,
che «3. Le stazioni appaltanti richiedono gli elementi
essenziali di cui al comma 2 nonché gli elementi e i
documenti necessari o utili per operare la selezione degli
operatori da invitare, nel rispetto del principio di
proporzionalità in relazione all'oggetto del contratto e
alle finalità della domanda di partecipazione.».
[11] La disposizione, che attiene alla forma e al contenuto
delle offerte, prevede, ai fini di cui di discute, che «4.
Le offerte sono corredate dei documenti prescritti dal bando
o dall'invito ovvero dal capitolato d'oneri.» e che «5. Le
stazioni appaltanti richiedono gli elementi essenziali di
cui al comma 2, nonché gli altri elementi e documenti
necessari o utili, nel rispetto del principio di
proporzionalità in relazione all'oggetto del contratto e
alle finalità dell'offerta.».
[12] Consiglio di Stato - Sez. V, 18.02.2013, n. 974.
[13] TAR Lazio - Roma, Sez. II, n. 1828/2013, cit., il quale
precisa, inoltre, che:
- «alla luce dei principi di derivazione comunitaria ed
immanenti nell'ordinamento nazionale, di ragionevolezza e di
proporzionalità, nonché di apertura alla concorrenza degli
appalti pubblici, il potere discrezionale della stazione
appaltante di prescrivere adeguati requisiti ovvero speciali
modalità per la partecipazione alle gare per l'affidamento
di appalti pubblici è soggetto ai limiti connaturati alla
funzione affidata alle clausole del bando volte a
prescrivere i requisiti speciali o le peculiari modalità
partecipative pretese in stretta relazione con le finalità
proprie della selezione tra più aspiranti per la scelta di
quello più idoneo e l'oggetto della commessa da affidarsi»;
- «in buona sostanza il potere discrezionale
dell'amministrazione appaltante di determinare le regole
della gara e, in specie, di introdurre requisiti di
partecipazione alla gara, oggettivi e/o soggettivi ovvero
modalità specifiche di partecipazione -ulteriori e
maggiormente selettivi rispetto a quelli stabiliti dalle
norme- incontra il limite del rispetto del principio di
proporzionalità e di ragionevolezza»;
- «Fermo quanto sopra» si rammenta che, con la disposizione
di cui all'art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. 163/2006 «il
legislatore ha inteso rimettere alla sola fonte normativa la
competenza ad individuare cause di non ammissione a
procedure di gara, residuando in capo alle stazioni
appaltanti, un'attività di stretta interpretazione di
siffatte ipotesi, o comunque di mera ricognizione delle
medesime».
[14] Consiglio di Stato - Sez. III, 14.03.2013, n. 1533. La
vicenda riguarda l'esclusione di un concorrente a causa
dell'erroneo inserimento di un atto -richiesto, come rileva
lo stesso Consiglio di Stato, «quello sì inderogabilmente»-
nella busta contenente la documentazione amministrativa,
anziché in quella contenente la documentazione tecnica. Il
supremo Giudice amministrativo osserva, infatti, che
l'accaduto non integra affatto un inadempimento della legge
di gara, poiché l'atto è comunque pervenuto alla stazione
appaltante. Inoltre, aggiunge il Consiglio di Stato, «non
v'è inadempimento anche perché, come evincesi dalla serena
lettura della precisazione vincolante, il documento de quo
era obbligatorio in sé e non nella sua collocazione
specifica, in un luogo, piuttosto che in un altro».
[15] Recante «Indicazioni generali per la redazione dei
bandi di gara ai sensi degli articoli 64, comma 4-bis e 46,
comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici».
[16] V. parere di precontenzioso 27.09.2012, n. 149.
[17] Si ricorda che il punto 6), lett. f), del bando di
gara, richiedeva espressamente il possesso di tale
certificazione «per il servizio oggetto di gara».
[18] «Per la qualificazione in gara, il contratto di cui
all'articolo 49, comma 2, lettera f), del codice deve
riportare in modo compiuto, esplicito ed esauriente:
a) oggetto: le risorse e i mezzi prestati in modo
determinato e specifico;
b) durata;
c) ogni altro utile elemento ai fini dell'avvalimento.».
[19] V. Sez. V., 10.01.2013, n. 90.
[20] Contratto che si limitava a stabilire che l'ausiliaria
si obbligava, nei confronti dell'impresa concorrente e della
stazione appaltante, a fornire il requisito di cui l'impresa
era carente, nonché a mettere a disposizione i mezzi e le
attrezzature necessarie per tutta la durata dell'appalto,
rinviando ad una separata scrittura privata la dettagliata
regolamentazione degli impegni che l'ausiliaria avrebbe
assunto nei confronti dell'impresa concorrente, qualora
questa fosse risultata aggiudicataria dell'appalto
(16.05.2013
- link a www.regione.fvg.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Gli artt. 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, del
d.l.gs. 163/2006 impongono, anche per gli appalti di servizi
e forniture, la specifica indicazione nell’offerta economica
di tutti i costi relativi alla sicurezza. Il combinato
disposto delle due norme impone ai concorrenti di
evidenziare gli oneri economici che ritengono di sopportare
al fine di adempiere esattamente agli obblighi di sicurezza
sul lavoro, al duplice fine di assicurare la consapevole
formulazione dell’offerta con riguardo ad un aspetto
nevralgico e di consentire alla stazione appaltante la
valutazione della congruità dell’importo destinato a tale
scopo.
Gli oneri della sicurezza -sia nel comparto dei lavori che
in quelli dei servizi e delle forniture- devono essere
distinti tra oneri, non soggetti a ribasso, finalizzati
all’eliminazione dei rischi da interferenze (che devono
essere quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI) ed
oneri concernenti i costi specifici connessi con l’attività
delle imprese, che devono essere indicati dalle stesse nelle
rispettive offerte, con il conseguente onere per la stazione
appaltante di valutarne la congruità (anche al di fuori del
procedimento di verifica delle offerte anomale) rispetto
all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o
fornitura.
---------------
La mancanza di una specifica previsione sul tema in seno
alla “lex specialis” non giustifica la mancata indicazione
dei costi per la sicurezza, e ciò sul fondamentale rilievo
del carattere immediatamente precettivo delle norme di legge
che prescrivono di esibire tali costi, idonee come tali a
eterointegrare le regole della singola gara (ai sensi
dell’art. 1374 del c.c.), e a imporre, in caso di loro
inosservanza, l’esclusione dalla procedura.
Pertanto, “anche in difetto di una comminatoria espressa
nella disciplina speciale di gara, dunque, l’inosservanza
della prescrizione primaria che impone l’indicazione
preventiva dei costi di sicurezza implica la sanzione
dell’esclusione, in quanto rende l’offerta incompleta sotto
un profilo particolarmente rilevante alla luce della natura
costituzionalmente sensibile degli interessi protetti ed
impedisce alla stazione appaltante un adeguato controllo
sull’affidabilità dell’offerta stessa”.
---------------
L’esclusione dell’offerta si rivela doverosa anche ai sensi
dell'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006, configurando
l’omessa specificazione degli oneri di sicurezza un’ipotesi
di “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal
presente codice” idoneo a determinare “incertezza assoluta
sul contenuto dell'offerta” per difetto di un elemento
essenziale.
Secondo giurisprudenza costante:
A) “gli artt. 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, del d.l.gs.
163/2006 impongono, anche per gli appalti di servizi e
forniture, la specifica indicazione nell’offerta economica
di tutti i costi relativi alla sicurezza. Il combinato
disposto delle due norme impone ai concorrenti di
evidenziare gli oneri economici che ritengono di sopportare
al fine di adempiere esattamente agli obblighi di sicurezza
sul lavoro, al duplice fine di assicurare la consapevole
formulazione dell’offerta con riguardo ad un aspetto
nevralgico e di consentire alla stazione appaltante la
valutazione della congruità dell’importo destinato a tale
scopo.
Gli oneri della sicurezza -sia nel comparto dei
lavori che in quelli dei servizi e delle forniture- devono
essere distinti tra oneri, non soggetti a ribasso,
finalizzati all’eliminazione dei rischi da interferenze (che
devono essere quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI) ed oneri concernenti i costi specifici connessi con
l’attività delle imprese, che devono essere indicati dalle
stesse nelle rispettive offerte, con il conseguente onere
per la stazione appaltante di valutarne la congruità (anche
al di fuori del procedimento di verifica delle offerte
anomale) rispetto all’entità ed alle caratteristiche del
lavoro, servizio o fornitura” (TAR Lombardia, Brescia,
sez. II, 19.02.2013, n. 181; nello stesso senso:
TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 17.01.2013, n. 124;
TAR Lazio, Roma, sez. II, 07.01.2013, n. 66; TAR
Veneto, Venezia, sez. I, 04.12.2012, n. 1477; TAR
Piemonte, Torino, sez. I, 12.01.2012, n. 23);
B) la mancanza di una specifica previsione sul tema in seno
alla “lex specialis” non giustifica la mancata indicazione
dei costi per la sicurezza, e ciò sul fondamentale rilievo
del carattere immediatamente precettivo delle norme di legge
che prescrivono di esibire tali costi, idonee come tali a
eterointegrare le regole della singola gara (ai sensi
dell’art. 1374 del c.c.), e a imporre, in caso di loro
inosservanza, l’esclusione dalla procedura.
Pertanto, “anche in difetto di una comminatoria espressa
nella disciplina speciale di gara, dunque, l’inosservanza
della prescrizione primaria che impone l’indicazione
preventiva dei costi di sicurezza implica la sanzione
dell’esclusione, in quanto rende l’offerta incompleta sotto
un profilo particolarmente rilevante alla luce della natura
costituzionalmente sensibile degli interessi protetti ed
impedisce alla stazione appaltante un adeguato controllo
sull’affidabilità dell’offerta stessa” (TAR Lombardia,
Brescia, sez. II, 19.02.2013, n. 181, nello stesso
senso: Cons. di St., sez. V, 29.02.2012, n. 1172;
TAR Venezia, Veneto, sez. I, 22.11.2011, n. 1720);
C) “l’esclusione dell’offerta si rivela doverosa anche ai
sensi dell'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006,
configurando l’omessa specificazione degli oneri di
sicurezza un’ipotesi di “mancato adempimento alle
prescrizioni previste dal presente codice” idoneo a
determinare “incertezza assoluta sul contenuto dell'offerta”
per difetto di un elemento essenziale” (TAR Lombardia,
Brescia, sez. II, 19.02.2013, n. 181)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 15.05.2013 n. 1091 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
La normativa a tutela della concorrenza nel
settore dell'acqua si applica anche agli appalti o ai
concorsi riguardanti lo smaltimento o il trattamento delle
acque reflue.
L'art. 209 del D.Lgs. n. 163/2006, riproduce pedissequamente
l'art. 4 della Direttiva 2004/17/CE, in forza del quale la
normativa a tutela della concorrenza nel settore dell'acqua
si applica anche agli appalti o ai concorsi riguardanti lo
smaltimento o il trattamento delle acque reflue, qualora
siano attribuiti o organizzati da alcuno degli enti del
settore speciale dell'acqua, analogamente è a dirsi per lo
smaltimento dei fanghi prodotti dalla depurazione, che ne
costituisce il necessitato complemento operativo. Il dato,
tuttavia, non comporta di per sé che qualsivoglia
affidamento avente ad oggetto lo smaltimento di fanghi da
depurazione debba obbedire alla disciplina dettata dall'art.
209, posto che questa riguarda i soli affidamenti attribuiti
od organizzati da enti che esercitano le attività di messa a
disposizione o gestione di reti fisse in connessione con la
produzione, il trasporto o la distribuzione di acque
potabile, ovvero l'alimentazione delle reti con acqua
potabile.
Deve riconoscersi ad un'impresa operante nel settore dei
rifiuti speciali non pericolosi e titolare dell'affidamento,
da parte di enti pubblici, di numerosi servizi di prelievo e
smaltimento di fanghi da depurazione, di un interesse
qualificato ad accedere a tutti gli atti e documenti
concernenti l'affidamento a terzi, da parte di Aquapur,
società a prevalente partecipazione pubblica affidataria
della gestione del depuratore, in quanto la summenzionata
società riveste la qualità di organismo di diritto pubblico,
e questo anche a voler ammettere che la prevalente attività
esercitata presenti invece carattere industriale e
commerciale. L'infrazionabilità dei reflui implica peraltro
l'attrazione dell'intero affidamento del servizio di
prelievo e smaltimento dei fanghi nella sfera pubblicistica
dell'attività di Aquapur, non potendosi altrimenti garantire
tutela ai superiori principi di libera concorrenza, parità
di trattamento, imparzialità, pubblicità, trasparenza (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 15.05.2013 n. 813 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Esclusi
dalla gara e termini per il ricorso: rilevante come si
''comporta'' chi partecipa all'apertura.
Il Consiglio di Stato afferma che nonostante non vi sia
stata formale comunicazione dell’esclusione dalla gara, è
indubbio il fatto che la ditta esclusa era perfettamente a
conoscenza della decisione della commissione di gara perché,
nella seduta di apertura delle offerte, vi erano dei
soggetti rappresentanti che erano entrati in contrasto con
la commissione stessa per tale motivo.
Nell’ottobre del 2010 una stazione appaltante indiceva una
procedura di gara ristretta per la fornitura triennale del
servizio di pulizia di autobus, veicoli ausiliari e impianti
fissi di proprietà o in uso alla stessa stazione appaltante,
da aggiudicare con il metodo dell'offerta economicamente più
vantaggiosa.
Alla gara partecipavano due SRL specializzate nel settore.
Nella seduta pubblica del novembre 2010 la Commissione,
sottoponendo a una verifica di congruità le offerte
economiche presentate dalle partecipanti, dava
comunicazione, in presenza di due delegati di una della due
SRL , dell’ esclusione di detta società dalla gara,
ritenendo inammissibile l’offerta presentata dalla stessa,
alla stregua della normativa dettata dal disciplinare di
gara.
Successivamente la stazione appaltante negava la richiesta
riammissione in gara, sostenendo, altresì, che la società
aveva appreso della propria esclusione, mediante i suoi
rappresentanti, durante la seduta di gara.
La ricorrente ha, pertanto, proposto ricorso al TAR che,
tuttavia, ha riconosciuto che il decorso del termine
decadenziale di trenta giorni, decorreva dalla seduta in cui
l’esclusione era stata comunicata ai rappresentanti della
società.
La SRL ha impugnato la sentenza del TAR, davanti al
Consiglio di Stato.
La comunicazione di esclusione o di
aggiudicazione nelle gare di appalto
La stazione appaltante nelle gare di appalto comunica di
ufficio:
a) l'aggiudicazione definitiva, tempestivamente e comunque
entro un termine non superiore a cinque giorni,
all'aggiudicatario, al concorrente che segue nella
graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato
un'offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o
offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione
avverso l'esclusione, o sono in termini per presentare dette
impugnazioni, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o
la lettera di invito, se dette impugnazioni non siano state
ancora respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva;
b) l'esclusione, ai candidati e agli offerenti esclusi,
tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a
cinque giorni dall'esclusione;
c) la decisione, a tutti i candidati, di non aggiudicare un
appalto ovvero di non concludere un accordo quadro; d) la
data di avvenuta stipulazione del contratto con
l'aggiudicatario, tempestivamente e comunque entro un
termine non superiore a cinque giorni, ai soggetti di cui
alla lettera a).
Con il parere n. 181 del 07/11/2012, l’Autorità di Vigilanza
sui Contratti Pubblici ha osservato che ai sensi dell’art.
79, D.Lgs. 163/2006, comma 5, l’amministrazione è tenuta a
comunicare d’ufficio a ciascun candidato l’esclusione entro
un termine non superiore a cinque giorni dall’esclusione.
La ratio che sorregge la norma è duplice:
1. da un lato, garantire la celere conclusione della
procedura ad evidenza pubblica a tutela dell’interesse
pubblico, che sorregge indizione della stessa;
2. dall’altro assicurare al concorrente quella piena
conoscenza dell’atto lesivo, dalla quale decorre il termine
decadenziale per l’impugnazione dinanzi al giudice
amministrativo
L’analisi del Consiglio di Stato
I giudici di Palazzo Spada evidenziano che appare evidente
dalla documentazione prodotta che, nel verbale alla seduta
di gara del novembre 2010, è stata data comunicazione alla
ricorrente dell’esclusione; a tale seduta erano presenti due
rappresentanti della società ricorrente.
La qualifica di rappresentanti attribuita ai soggetti
risulta evidente dal ruolo effettivamente svolto dagli
stessi nel corso della seduta in esame, tale da evidenziare,
al di là dell’ esistenza di un mandato formale o della
specifica carica sociale rivestita, il ruolo “decisionale”
che avevano in rappresentanza della società esclusa.
Osserva il Consiglio di Stato che è significativo il fatto
che uno dei due rappresentanti non si sia limitato ad
assistere alle operazioni di gara, ma vi abbia partecipato
attivamente, criticando le decisioni della Commissione ed
istituendo un vero e proprio contraddittorio.
Le conclusioni: le conseguenze del
comportamento
Per il Consiglio di Stato il ricorso deve essere respinto;
il dies a quo per l’impugnazione dell’atto è
rappresentato dalla comunicazione di esclusione avvenuta
durante la seduta della commissione di gara; il ricorso è
stato, pertanto, proposto dalla ditta ricorrente oltre i
trenta giorni previsti dalla normativa vigente in materia.
Emerge in maniera evidente dalla sentenza del Consiglio di
Stato che le modalità di comportamento tenuta durante la
seduta di gara, dai due soggetti incaricati della società
ricorrente, fa propendere che non si trattava di due persone
“chiamate” ad assistere alle operazioni di apertura
delle offerte, ma di veri e propri rappresentanti,
legittimati a manifestare la volontà dell’impresa e,
conseguentemente, a rappresentarla anche ai fini della piena
conoscenza.
La piena conoscenza delle motivazioni dell’atto di
esclusione implica la decorrenza del termine decadenziale a
prescindere dall’invio di una formale comunicazione ex art.
79, comma 5, del D.Lgs. 163/2006 (commento tratto da
www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.05.2013 n. 2614 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La piena conoscenza delle motivazioni dell’atto
di esclusione implica la decorrenza del termine decadenziale
a prescindere dall’invio di una formale comunicazione ex
art. 79, comma 5, del codice dei contratti pubblici.
Merita, infatti, condivisione l’indirizzo ermeneutico alla
stregua del quale l’art. 120, comma 5 c.p.a., non prevedendo
forme di comunicazione "esclusive" e "tassative", non incide
sulle regole processuali generali del processo
amministrativo, con precipuo riferimento alla possibilità
che la piena conoscenza dell'atto, al fine del decorso del
termine di impugnazione, sia acquisita, come accaduto nel
caso di specie, con forme diverse di quelle dell'art. 79 cit..
E’ documentato nel verbale in atti che alla seduta di gara
del 26.11.2010, nella quale è stata data comunicazione
alla ricorrente dell’esclusione, hanno presenziato due
rappresentanti della società ricorrente.
La qualifica di rappresentanti attribuita ai soggetti in
parola dal nel verbale di gara in parola è suffragata, in
termini decisivi, dalla ruolo effettivamente svolto dagli
stessi nel corso della seduta in esame, tale da evidenziare,
al di là dell’ esistenza di un mandato formale o della
specifica carica a sociale rivestita, l’attribuzione di un
effettivo potere rappresentativo che esorbita dalla veste di
mero nuncius della società concorrente. E’
significativa, soprattutto, la circostanza che uno dei
suddetti soggetti non si sia limitato ad assistere alle
operazioni di gara, ma vi abbia partecipato attivamente,
censurando le determinazioni della Commissione e instaurando
un vero e proprio contraddittorio.
La tipologia dei poteri esercitati dimostra, in definitiva,
che non si tratta di persone incaricate solamente di ad
assistere alle operazioni ma di veri e propri
rappresentanti, legittimati a manifestare la volontà
dell’impresa e, conseguentemente, a rappresentarla anche ai
fini della piena conoscenza.
La piena conoscenza delle motivazioni dell’atto di
esclusione implica la decorrenza del termine decadenziale a
prescindere dall’invio di una formale comunicazione ex art.
79, comma 5, del codice dei contratti pubblici. Merita,
infatti, condivisione l’indirizzo ermeneutico alla stregua
del quale l’art. 120, comma 5 c.p.a., non prevedendo forme
di comunicazione "esclusive" e "tassative",
non incide sulle regole processuali generali del processo
amministrativo, con precipuo riferimento alla possibilità
che la piena conoscenza dell'atto, al fine del decorso del
termine di impugnazione, sia acquisita, come accaduto nel
caso di specie, con forme diverse di quelle dell'art. 79
cit. (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V,
28.02.2013, n. 1204; sez. III, 22.08.2012, n. 4593; sez. VI,
13.12.2011, n. 6531) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.05.2013 n. 2614 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’art. 38, comma 1, lettera f), nello stabilire
che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di
affidamento delle concessioni, degli appalti i soggetti che
“secondo motivata valutazione della stazione appaltante,
hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione
delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che
bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave
nell’esercizio della loro attività professionale, accertato
con qualunque mezzo di prova dalla stazione appaltante”
comprende due ipotesi, l’una relativa a
prestazioni affidate dalla stessa amministrazione che ha
bandito l’appalto e l’altra che riguarda la
negligenza professionale anche in rapporti con altre
amministrazioni.
La vicenda relativa alla grave inadempienza con soggetto
diverso dall’amministrazione che ha bandito la gara rientra
per l’appunto nella seconda parte della disposizione, che
consente la valutazione dei precedenti professionali delle
imprese concorrenti anche in rapporti contrattuali
intercorsi con amministrazioni diverse da cui desumere,
eventualmente, l’affidabilità dell’impresa che concorre;
l’accertamento del grave errore professionale può avvenire
con qualsiasi mezzo di prova ed è rimesso al giudizio
insindacabile dell’amministrazione , salvo il limite della
abnormità che non si registra nel caso di specie.
La questione centrale della controversia riguarda
l’interpretazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs.
n. 163 del 2006 e l’erronea applicazione della suddetta
disposizione da parte della stazione appaltante che non
aveva esclusa Gema dalla gara, malgrado avesse reso falsa
dichiarazione in ordine a detto requisito.
L’art. 38, comma 1, lettera f), nello stabilire che sono
esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni, degli appalti i soggetti che “secondo
motivata valutazione della stazione appaltante, hanno
commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle
prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce
la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio
della loro attività professionale, accertato con qualunque
mezzo di prova dalla stazione appaltante” comprende due
ipotesi, l’una relativa a prestazioni affidate dalla stessa
amministrazione che ha bandito l’appalto e l’altra che
riguarda la negligenza professionale anche in rapporti con
altre amministrazioni.
La vicenda relativa alla grave inadempienza con soggetto
diverso dall’amministrazione che ha bandito la gara rientra
per l’appunto nella seconda parte della disposizione, che
consente la valutazione dei precedenti professionali delle
imprese concorrenti anche in rapporti contrattuali
intercorsi con amministrazioni diverse da cui desumere,
eventualmente, l’affidabilità dell’impresa che concorre;
l’accertamento del grave errore professionale può avvenire
con qualsiasi mezzo di prova ed è rimesso al giudizio
insindacabile dell’amministrazione , salvo il limite della
abnormità che non si registra nel caso di specie (cfr. in
termini, Cons. Stato, sez. V, 15.03.2010, n. 1500; 14.04.2008, n. 1716; sez. VI, 10.05.2007, n. 2245;
determinazione Autorità di vigilanza n. 1 del 2010 cui si
rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.05.2013 n. 2610 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La stipula del contratto
preliminare, ed invero nemmeno quella del contratto
definitivo, non escludono affatto la legittimazione, della
stazione appaltante, all’annullamento del provvedimento di
aggiudicazione.
Invero, "il provvedimento di aggiudicazione definitiva non
costituisce di per sé ostacolo giuridicamente insormontabile
al suo stesso annullamento, anche in autotutela, oltre che
all’annullamento degli atti amministrativi che ne
costituiscono il presupposto.
Ed ancora, “non può accogliersi la tesi propugnata dalle
appellanti secondo cui le sole (peraltro pacifiche)
circostanze dell’intervenuta stipulazione del contratto e
della sua attuale esecuzione, costituirebbero elementi
sufficienti ad escludere nella fattispecie in esame la
giurisdizione del giudice amministrativo e a radicare quella
del giudice ordinario. Di fronte all’esercizio del potere di
annullamento la situazione del privato è di interesse
legittimo, a nulla rilevando che tale esercizio, in ultima
analisi, produca effetti indiretti su di un contratto
stipulato da cui sono derivati diritti.”
Le argomentazioni esposte legittimano, in conclusione, la decisione
dell’Amministrazione di non procedere alla stipula del
contratto definitivo, implicita nell’annullamento d’ufficio
dell’aggiudicazione.
Inoltre, la stipula del contratto preliminare, ed invero
nemmeno quella del contratto definitivo, non escludono
affatto la legittimazione, della stazione appaltante,
all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione.
C. di S., V, 07.09.2011, n. 5032, ha infatti stabilito
che “il provvedimento di aggiudicazione definitiva non
costituisce di per sé ostacolo giuridicamente insormontabile
al suo stesso annullamento, anche in autotutela, oltre che
all’annullamento degli atti amministrativi che ne
costituiscono il presupposto”; “non può accogliersi la tesi
propugnata dalle appellanti secondo cui le sole (peraltro
pacifiche) circostanze dell’intervenuta stipulazione del
contratto e della sua attuale esecuzione, costituirebbero
elementi sufficienti ad escludere nella fattispecie in esame
la giurisdizione del giudice amministrativo e a radicare
quella del giudice ordinario.
Di fronte all’esercizio del potere di annullamento la
situazione del privato è di interesse legittimo, a nulla
rilevando che tale esercizio, in ultima analisi, produca
effetti indiretti su di un contratto stipulato da cui sono
derivati diritti.” (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.05.2013 n. 2602 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La nuova responsabilità fiscale solidale nei
contratti di appalto
(dossier
ItaliaOggi Sette del 13.05.2013). |
APPALTI: DECRETO
PAGAMENTI/
Via libera al Durc retrodatato. Sarà rilasciato prima della
compensazione effettiva. I
principali emendamenti approvati e i nuovi presentati.
La retrodatazione del Documento unico di regolarità
contributiva (Durc) diventa realtà. Le imprese che abbiano
chiesto la compensazione del credito con la pubblica
amministrazione potranno infatti il ottenere il Durc, nel
momento in cui risultano idonee a poter richiedere la
compensazione e non più nel momento in cui la compensazione
diviene effettiva. Ciò consentirà loro di partecipare alle
gare d'appalto (per le quali è necessario essere in possesso
del Durc) immediatamente, senza dunque attendere l'effettiva
compensazione. Prevista poi anche la creazione di una
anagrafe della spesa per la pubblica amministrazione. Gli
enti saranno infatti tenuti a comunicare al Ministero
dell'economia e delle finanze l'elenco sia dei debiti sia
dei crediti di cui sono titolari, esattamente come qualsiasi
contribuente.
Questo il contenuto dei principali emendamenti
al dl pagamenti (35/2013) approvati durante la seduta della
Commissione bilancio alla Camera di giovedì 9 maggio.
Il Durc. In base a quanto previsto nella prima stesura dal
dl 35, le imprese per poter ottenere il Durc non solo
dovevano poter aver accesso alla compensazione, ma dovevano
aspettare che essa diventasse effettiva. Con questo
meccanismo, i tempi medi stimati per ottenere il Durc erano
tra i 12 e i 18 mesi. Con la conseguenza che le imprese, in
mancanza del Documento, sarebbero state costrette a
sospendere l'attività.
L'emendamento all'art. 6, proposto
dai relatori al decreto pagamenti, Maurizio Bernardo (Pdl) e
Marco Causi (Pd), ribalta il meccanismo. In base alle
modifiche apportate, le imprese potranno ottenere il
Documento unico di regolarità contributiva dal momento in
cui ricevono il via libera alla possibilità di compensare,
ovvero nel momento in cui il rapporto di debito credito
viene certificato.
Il fatto che poi, materialmente, la
compensazione effettiva si completi in 12 o 18 mesi, non è
più un fattore determinante per ottenere il Durc. Sempre per
quel che riguarda la certificazione del credito, è stato
approvato anche un emendamento all'art. 9, con il quale ha
ottenuto il via libera l'apposito modulo di certificazione
del credito previsto dal ministero dell'economia.
L'anagrafe della spesa. Via anche al regime di monitoraggio
dei debiti scaduti delle pubbliche amministrazioni nei
confronti dei propri fornitori. Con un emendamento all'art.
7 è stato infatti previsto che ogni anno, a partire dal 01.01.2014, entro il 30 aprile, le p.a. dovranno
comunicare attraverso l'apposita piattaforma telematica
tutti i debiti scaduti e non ancora pagati alla data del 31
dicembre precedente. Ai dirigenti delle pubbliche
amministrazioni che risulteranno inadempienti o che
adempiranno con ritardo, saranno applicate le relative
sanzioni.
Soddisfatto del risultato ottenuto con
l'approvazione dell'emendamento a sua firma è Enrico Zanetti
(Scelta Civica), secondo il quale «con questo meccanismo
avremo nel tempo un quadro certo e aggiornato dei debiti che
le pubbliche amministrazioni non avranno onorato nei tempi
previsti, assicurando così che futuri piani di pagamento
degli arretrati possano avvenire con procedure immediate». A
tal fine, è stato approvato un altro emendamento all'art. 6,
in base al quale le associazioni di categoria potranno
stipulare delle convenzioni con il ministero dell'economia,
tramite le quali esse stesse potranno fornire al dicastero
le informazioni circa la situazione debitoria in cui versa
la pubblica amministrazione.
Termini per i controlli. Sono stati infine approvati due
emendamenti aventi ad oggetto dei termini perentori. Il
primo emendamento, previsto per l'art. 2, sposta dal 30
giugno al 31 luglio il termine ultimo entro il quale il
ministero dell'economia potrà effettuare i controlli sui
singoli enti circa l'effettivo utilizzo in compensazione
delle risorse finanziarie elargite. Il secondo, presentato
per l'art. 6, stabilisce in 30 giorni il termine per la p.a.
per effettuare i pagamenti alle imprese o i professionisti.
Gli emendamenti dei relatori.
L'iter del dl pagamenti non è però ancora giunto al termine.
I relatori, dopo l'incontro avvenuto ieri con i
rappresentanti del Governo e della Ragioneria dello Stato,
hanno infatti presentato un fascicolo di 28 emendamenti, ai
quali possono essere presentati sub emendamenti entro le 11
di oggi.
Tra i più importanti, quelli che vertono sulla questione
dell'ampliamento del patto di stabilità ai comuni virtuosi,
sull'ampliamento delle compensazioni (si veda altro articolo
in pagina) e sulla partecipazione delle società in house al
meccanismo delle compensazioni
(articolo ItaliaOggi dell'11.05.2013). |
APPALTI:
Nelle gare d’appalto,
ciascun membro di un’associazione temporanea può impugnare a
titolo individuale gli atti della procedura, atteso che il
fenomeno del raggruppamento di imprese non dà luogo a
un’entità giuridica autonoma che escluda la soggettività
delle singole imprese che lo compongono.
Tale legittimazione –che si correla alla posizione
sostanziale di interesse legittimo alla regolarità della
procedura concorsuale, in relazione ai poteri autoritativi
che fanno capo alla stazione appaltante nella fase di
evidenza pubblica della selezione del contraente, ed alla
consequenziale pretesa al risarcimento dei danni (in forma
specifica e/o per equivalente monetario)– non viene meno, né
trova limite quanto all’oggetto ed agli effetti della
domanda di annullamento e della connessa domanda
risarcitoria, ove taluno degli iniziali litisconsorti,
individuati fra le imprese del raggruppamento costituito o
costituendo, non impugni la sentenza sfavorevole di primo
grado (oppure rinunzi al ricorso in corso di causa).
Ritiene la Sezione che è infondata l’eccezione di inammissibilità
dell’appello, in quanto:
- per il consolidato orientamento giurisprudenziale di
questo Consiglio di Stato, nelle gare d’appalto, ciascun
membro di un’associazione temporanea può impugnare a titolo
individuale gli atti della procedura, atteso che il fenomeno
del raggruppamento di imprese non dà luogo a un’entità
giuridica autonoma che escluda la soggettività delle singole
imprese che lo compongono (v., per tutte, Cons. St., Ad.
Plen., 15.04.2010, n. 1);
- tale legittimazione –che si correla alla posizione
sostanziale di interesse legittimo alla regolarità della
procedura concorsuale, in relazione ai poteri autoritativi
che fanno capo alla stazione appaltante nella fase di
evidenza pubblica della selezione del contraente, ed alla
consequenziale pretesa al risarcimento dei danni (in forma
specifica e/o per equivalente monetario)– non viene meno, né
trova limite quanto all’oggetto ed agli effetti della
domanda di annullamento e della connessa domanda
risarcitoria, ove taluno degli iniziali litisconsorti,
individuati fra le imprese del raggruppamento costituito o
costituendo, non impugni la sentenza sfavorevole di primo
grado (oppure rinunzi al ricorso in corso di causa) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.05.2013 n. 2563 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nelle gare pubbliche la verifica dell'anomalia è
necessaria, anche qualora non sussistano i presupposti che
ne comportano l'obbligatorietà, quando gli elementi
dell'offerta e l'entità del ribasso complessivo non trovino
adeguata giustificazione negli atti e presentino evidenti o
comunque seri dubbi di anomalia, in attuazione dei principi
generali di efficacia, imparzialità, parità di trattamento e
buon andamento dell'azione amministrativa.
---------------
Il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni compiute in
sede di verifica di anomalia delle offerte deve ritenersi
circoscritto ai soli casi di manifesta e macroscopica
erroneità o irragionevolezza, in considerazione della
discrezionalità che connota dette valutazioni, come tali
riservate alla stazione appaltante cui compete il più ampio
margine di apprezzamento.
E tale principio deve ritenersi applicabile anche nella fase
(precedente), in cui l’amministrazione ritiene di utilizzare
(o non utilizzare) la facoltà di procedere al controllo di
anomalia, ai sensi dell’art. 86, comma 3, del codice dei
contratti pubblici.
Si deve poi aggiungere che è la scelta di effettuare la
verifica facoltativa di anomalia che esige una espressa ed
adeguata motivazione (in ordine alle ragioni ed agli
elementi di fatto sulla base dei quali essa si sia risolta
nel senso di attendere alla verifica di anomalia ai sensi
del citato comma 3), mentre una motivazione non è
(normalmente) necessaria quando l’amministrazione ritiene di
non dover far uso di tale facoltà, il cui mancato esercizio
non è pertanto censurabile.
Neppure ricorrevano le condizioni per l’attivazione del controllo
facoltativo di cui al comma 3, del citato articolo 86,
secondo cui «le stazioni appaltanti possono valutare la
congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi
specifici, appaia anormalmente bassa».
In proposito questa Sezione ha, di recente, affermato che
nelle gare pubbliche la verifica dell'anomalia è necessaria,
anche qualora non sussistano i presupposti che ne comportano
l'obbligatorietà, quando gli elementi dell'offerta e
l'entità del ribasso complessivo non trovino adeguata
giustificazione negli atti e presentino evidenti o comunque
seri dubbi di anomalia, in attuazione dei principi generali
di efficacia, imparzialità, parità di trattamento e buon
andamento dell'azione amministrativa (Consiglio di Stato,
sez. III, 14.12.2012, n. 6442).
---------------
Peraltro, si
deve anche ricordare che l’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato, con la decisione n. 36 del 29.11.2012, ha
affermato che il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni
compiute in sede di verifica di anomalia delle offerte deve
ritenersi circoscritto ai soli casi di manifesta e
macroscopica erroneità o irragionevolezza, in considerazione
della discrezionalità che connota dette valutazioni, come
tali riservate alla stazione appaltante cui compete il più
ampio margine di apprezzamento.
E tale principio deve ritenersi applicabile anche nella fase
(precedente), in cui l’amministrazione ritiene di utilizzare
(o non utilizzare) la facoltà di procedere al controllo di
anomalia, ai sensi dell’art. 86, comma 3, del codice dei
contratti pubblici.
Si deve poi aggiungere che, come pure ricordato dal
TAR, è la scelta di effettuare la verifica facoltativa di
anomalia che esige una espressa ed adeguata motivazione (in
ordine alle ragioni ed agli elementi di fatto sulla base dei
quali essa si sia risolta nel senso di attendere alla
verifica di anomalia ai sensi del citato comma 3), mentre
una motivazione non è (normalmente) necessaria quando
l’amministrazione ritiene di non dover far uso di tale
facoltà (Consiglio di Stato, sez. VI, 27.07.2011, n. 4489),
il cui mancato esercizio non è pertanto censurabile
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 10.05.2013 n. 2533 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO:
In merito ai cosiddetti "lavori di somma urgenza".
Il comma 3 dell’art. 191 dlgs n. 267/2000 risulta
essere una deroga alla disciplina ordinaria, una sorta di
“autorizzazione” da parte del legislatore a derogare in
presenza di situazioni che richiedono un intervento
immediato (somma urgenza) a tutela di interessi primari.
Tale deroga è ammessa quindi solo in
presenza dei presupposti indicati dal legislatore: necessità
di lavori di somma urgenza e mancanza (o insufficienza) di
fondi destinati a coprire la spesa relativa ai predetti
lavori. Solo in presenza di tali presupposti l’Ente può
procedere all’ordinazione dei lavori a terzi ed attivare la
procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio nei
modi indicati dal terzo comma.
Allora, appare chiara la volontà del legislatore di
consentire una deroga alla procedura ordinaria non ogni
qualvolta vi siano lavori di somma urgenza ma solo
allorquando non vi siano fondi a tal fine stanziati. In tale
circostanza, difatti, non è possibile per l’Ente procedere
all’impegno di somme sul competente capitolo o intervento di
bilancio in quanto fondi non ve ne sono o non sono
sufficienti.
Diversamente, la presenza di fondi a tal
fine destinati o, in altre parole, quando l’Ente può
attivare l’ordinaria procedura d’impegno, non risulta
necessario ricorrere alla disciplina derogatoria ed attivare
la procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio.
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... il Sindaco del Comune di Riva Ligure chiede alla Sezione
di controllo un parere in merito alla corretta
interpretazione ed applicazione dell’art. 191, comma 3, del
d.lgs. n. 267/2000, (come modificato dall'art. 3, comma 1,
lettera i), legge n. 213 del 2012), in base a cui “Per i
lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal verificarsi
di un evento eccezionale o imprevedibile, la Giunta, qualora
i fondi specificamente previsti in bilancio si dimostrino
insufficienti, entro dieci giorni dall'ordinazione fatta a
terzi, su proposta del responsabile del procedimento,
sottopone al Consiglio il provvedimento di riconoscimento
della spesa con le modalità previste dall'articolo 194,
comma 1, lettera e), prevedendo la relativa copertura
finanziaria nei limiti delle accertate necessità per la
rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica
incolumità. Il provvedimento di riconoscimento è adottato
entro 30 giorni dalla data di deliberazione della proposta
da parte della Giunta, e comunque entro il 31 dicembre
dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il
predetto termine. La comunicazione al terzo interessato è
data contestualmente all'adozione della deliberazione
consiliare.”
Il Sindaco chiede di conoscere se nel caso in cui per i
lavori di somma urgenza i fondi previsti a bilancio siano
sufficienti occorra seguire la procedura di cui all’art. 194
(riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio).
...
Quesito analogo era stato posto dalla provincia di La Spezia
cui questa Sezione di controllo ha rilasciato parere con
delibera n. 12 del 2013, dalle cui conclusioni questa
Sezione non intende discostarsi.
Brevemente il Collegio, nel ripercorrere quanto già
osservato nelle delibera suddetta, ritiene che non sia
indifferente, al fine di un corretto percorso argomentativo,
evidenziare l’allocazione della norma all’interno del TUEL.
L’art. 191, difatti, fissa le “Regole per l'assunzione di
impegni e per l'effettuazione di spese” nel rispetto dei
“Principi di gestione e controllo di gestione” (CAPO IV).
Il primo comma della norma citata individua l’ordinaria
procedura di spesa per cui l’Ente può attivarsi solo se
sussistono l'impegno contabile registrato sul competente
intervento o capitolo del bilancio di previsione e
l'attestazione della copertura finanziaria di cui
all'articolo 153, comma 5. Solo dopo, il responsabile del
servizio, conseguita l'esecutività del provvedimento di
spesa, comunica al terzo interessato l'impegno e la
copertura finanziaria, contestualmente all'ordinazione della
prestazione.
Se questa, come detto, è la procedura ordinaria prevista
dalla legge, il comma 3 dell’articolato
normativo risulta essere una deroga alla disciplina
ordinaria, una sorta di “autorizzazione” da parte del
legislatore a derogare in presenza di situazioni che
richiedono un intervento immediato (somma urgenza) a tutela
di interessi primari.
Tale deroga è ammessa quindi solo in
presenza dei presupposti indicati dal legislatore: necessità
di lavori di somma urgenza e mancanza (o insufficienza) di
fondi destinati a coprire la spesa relativa ai predetti
lavori. Solo in presenza di tali presupposti l’Ente può
procedere all’ordinazione dei lavori a terzi ed attivare la
procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio nei
modi indicati dal terzo comma.
Accendendo un faro sui due requisiti appena evidenziati
appare chiara la volontà del legislatore di
consentire una deroga alla procedura ordinaria non ogni
qualvolta vi siano lavori di somma urgenza ma solo
allorquando non vi siano fondi a tal fine stanziati. In tale
circostanza, difatti, non è possibile per l’Ente procedere
all’impegno di somme sul competente capitolo o intervento di
bilancio in quanto fondi non ve ne sono o non sono
sufficienti.
Diversamente, la presenza di fondi a tal
fine destinati o, in altre parole, quando l’Ente può
attivare l’ordinaria procedura d’impegno, non risulta
necessario ricorrere alla disciplina derogatoria ed attivare
la procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio.
Come detto, la deroga è una sorta di
autorizzazione del legislatore con cui l’Ente può procedere
a costituire un debito fuori bilancio al fine di tutelare
interessi primari e consentire, successivamente, attivare un
percorso che consenta l’individuazione delle risorse da
destinare alla copertura finanziaria dei lavori ordinati in
via d’urgenza.
Che poi tali fondi vadano reperiti ex novo o possano
trovarsi all’interno del bilancio dell’Ente non interessa al
fine della corretta applicazione della norma.
Altro non farà l’Ente, in sede di
riconoscimento del debito, se non quello che è già previsto
dagli artt. 175 (Variazioni al bilancio di previsione ed al
piano esecutivo di gestione) e 193 (Salvaguardia degli
equilibri di bilancio) del TUEL
(Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria,
parere 10.05.2013 n. 22). |
APPALTI: Appalti, la metà sarà verde.
Dal 2014
Appalti pubblici da aggiudicare con criteri premianti per le
offerte migliori sotto il profilo ambientale. Entro il 2014
qualificare come «verde» il 50% degli appalti cui si
applicano i criteri ambientali minimi.
Sono queste alcune
delle indicazioni contenute nel decreto 10.04.2013
siglato dall'ex ministro Corrado Clini che rivede, per
l'anno 2013, il Piano d'azione per la sostenibilità
ambientale dei consumi nel settore della pubblica
amministrazione (varato nel 2008), pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 03.05.2013, n. 10.
La premessa
dell'intervento risiede nella consapevolezza dell'importanza
di un migliore uso degli appalti pubblici a sostegno di
obiettivi politici e sociali dell'Unione europea, come
risulta anche da diverse comunicazioni europee del 2010 e
2011. In quest'ottica assume particolare interesse il
capitolo in materia di «appalti verdi e criteri ambientali
minimi», che fornisce indicazioni per l'applicazione, negli
appalti pubblici, degli elementi di valutazione ambientale
all'interno del criterio di aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa.
I criteri ambientali minimi
(Cam) consistono in indicazioni specifiche, applicabili per
gli appalti sopra e sotto la soglia comunitaria in diversi
settori (arredi, edilizia gestione dei rifiuti, servizi
urbani, servizi energetici, elettronica, prodotti tessili,
cancelleria, ristorazione, servizi di gestione degli edifici
e trasporti). Per la fase di selezione, per esempio, si fa
riferimento alla opportunità di «selezionare gli
offerenti in base alla loro capacità tecnica di assicurare
migliori prestazioni ambientali»; per la fase di
aggiudicazione si ipotizzano criteri premianti con i quali
valutare le offerte che offrono prestazioni o soluzioni
tecniche più avanzate rispetto alle caratteristiche definite
nel capitolato.
Il decreto sottolinea come le stazioni appaltanti per
qualificare «verde» una procedura devono recepire
almeno le prescrizioni tecniche, le clausole e le condizioni
di esecuzione e selezione dei candidati previsti nei decreti
attuativi del piano di azione
(articolo ItaliaOggi del 10.05.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Enti
locali, 30 giorni per pagare.
Ok all'emendamento su termini perentori - Per le Regioni 2,1
miliardi aggiuntivi.
LE NOVITÀ/
Via libera dei governatori al riparto da 7,2 miliardi Passa
la modifica «salva Durc»: varrà la data di emissione della
fattura.
Sprint della commissione Bilancio della Camera sul decreto
per i pagamenti della Pa: lunedì arriverà il via libera
definitivo garantendo l'approdo del provvedimento in Aula
martedì mattina. Si è lavorato ancora a tarda sera, con i
relatori Marco Causi (Pd) e Maurizio Bernardo (Pdl)
impegnati a predisporre nuovi emendamenti su temi chiave a
partire dal vincolo di destinazione per le società in house
che dovranno girare «prioritariamente» i pagamenti ricevuti
dalle amministrazioni ai loro creditori. Altri temi aperti
sono il silenzio-assenso per la certificazione dei crediti,
un ruolo più rilevante della Cassa depositi e prestiti,
l'estensione della compensazione crediti commerciali-debiti
fiscali (forse solo tra Stato e Stato).
Disco verde
Tra gli emendamenti approvati nella giornata di ieri rientra
quello (primo firmatario Raffaello Vignali del Pdl) che
fissa in 30 giorni dall'erogazione degli anticipi di
liquidità agli enti locali il tempo massimo per saldare le
imprese o i professionisti (sia per il 2013 sia per il
2014). Ma, paradossalmente, non c'è il via libera
all'emendamento che fissava lo stesso principio anche per i
pagamenti delle Regioni. Passa l'emendamento "salva Durc":
«l'accertamento della regolarità contributiva è effettuato
con riferimento alla data di emissione della fattura o di
richiesta equivalente di pagamento».
La commissione presieduta da Francesco Boccia (Pd) ha
accolto anche un emendamento del Movimento 5 Stelle che
limita la possibilità per le Regioni di aumentare la
pressione fiscale per procedere al pagamento delle aziende
che vantano crediti nella sanità. Per coprire le
anticipazioni, le Regioni dovranno varare «prioritariamente»
misure «di riduzione della spesa corrente». Il principio,
però, non è passato per la parte di debiti regionali non
relativi alla sanità. Approvato l'emendamento dei relatori
che apre ai debiti "fuori bilancio". Stop alla norma che,
nel caso di maggiori anticipazioni di tesoreria utilizzate
dai Comuni, vincolava una corrispondente quota del gettito Imu. Ancora in bilico l'emendamento, contestato da
associazioni di settore a partire da Assobirra, che
estenderebbe lo sblocco del patto di stabilità interno agli
Ato e alle unioni di Comuni attingendo all'aumento delle
aliquote su birra e alcol.
Enti locali e Regioni
Giornata chiave anche per Regioni ed enti locali, con le
prime scadenze rispettate, a dimostrazione che la macchina
attuativa per ora funziona. La Conferenza dei governatori ha
stabilito il riparto di 7,2 miliardi che arriveranno dal
Fondo liquidità dell'Economia per saldare i debiti regionali
non sanitari. Poco meno della metà va al Lazio (3 miliardi)
davanti a Campania (1,7 miliardi) e Piemonte (poco meno di
1,5 miliardi). Seguono Sicilia, Calabria, Toscana, Liguria,
Molise, Marche. Le altre Regioni –e questa è di per sé è
una notizia– non hanno presentato richieste perché non
avrebbero debiti arretrati o avrebbero comunque sufficiente
liquidità. Al tempo stesso la Conferenza ha trovato
un'intesa, che dovrebbe confluire in un emendamento, per
ampliare di 2,1 miliardi il patto verticale: le risorse
saranno trasferite dalle Regioni a Comuni e Province per
pagare i debiti di parte capitale contratti da questi ultimi
con le imprese.
Sempre ieri, in Conferenza Stato-città, è stato raggiunto
l'accordo sul riparto dei 5 miliardi di allentamento del
patto di stabilità concesso agli enti locali. Unica novità
rispetto a quanto anticipato ieri su questo giornale è che
lo sblocco potrà essere utilizzato per «sostenere
pagamenti in conto capitale» anziché «gli stati
avanzamento lavori trasmessi entro l'08.04.2013». In
pratica le risorse andranno distribuite prima per i debiti
non estinti alla data di approvazione del decreto e solo
dopo per quelli che nel frattempo sono stati pagati. Senza
più alcuna distinzione tra appalti di lavori e altre
forniture
(articolo Il Sole 24 Ore del 10.05.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI FORNITURE -
PATRIMONIO:
Se sia possibile derogare al divieto di acquisto di beni
immobili previsto dalla norma.
La
novella dell'art. 12 del decreto-legge 06.07.2011, n. 98
(convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n.
111), operata dal comma 138 dell'art. 1 della legge
24.12.2012, n. 228 prevede che “Per l’anno 2013 le
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge
31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le
autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale
per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare
immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di
locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di
contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire,
a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in
sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad
avere la disponibilità di immobili venduti”.
La stessa disposizione eccettua poi dal proprio perimetro
applicativo una serie di norme, e in particolare:
i. gli acquisti compiuti dagli enti previdenziali pubblici e
privati (sic);
ii. le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate in
data antecedente a quella di entrata in vigore del decreto;
iii. le operazioni di acquisto destinate a soddisfare le
esigenze allocative in materia di edilizia residenziale
pubblica;
iv. le operazioni di acquisto previste in attuazione di
programmi e piani concernenti interventi di perequazione
socio-territoriale.
L’inderogabilità della norma, e la tassatività delle
eccezioni indicate, escludono in modo categorico che
ulteriori casi di inapplicabilità della previsioni siano
ravvisabili in relazione alla vantaggiosità dell’operazione,
e quindi nel senso auspicato dal comune.
---------------
Il comune istante richiede chiarimenti in merito alla
corretta interpretazione dell'art. 12, comma 1-quater ss.,
del decreto-legge 06.07.2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n. 111, introdotto
dall’art. 1, comma 138, della legge 24.12.2012, n. 228.
In particolare, il comune specifica di non essere in
possesso di un idoneo magazzino dove poter sistemare i
propri mezzi e i mezzi in dotazione ai gruppo di protezione
civile e volontariato.
Tanto premesso, ed esposto di essere in trattative per
l'acquisto di una porzione di laboratorio da adibire a
magazzino, e di aver nel bilancio di previsione per l'anno
2013 copertura finanziaria per l'operazione di
compravendita, il comune richiede se sia possibile
derogare al divieto di acquisto di beni immobili previsto
dalla norma in commento, attesa l’indubbia convenienza
economica del prezzo richiesto dall’alienante e la
transitorietà del divieto, che potrebbe impedire il
conseguimento delle vantaggiose condizioni offerte.
...
La novella dell'art. 12 del decreto-legge 06.07.2011, n. 98
(convertito, con modificazioni, dalla legge 15.07.2011, n.
111), operata dal comma 138 dell'art. 1 della legge
24.12.2012, n. 228 prevede che “Per l’anno 2013 le
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge
31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le
autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale
per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare
immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di
locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di
contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire,
a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in
sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad
avere la disponibilità di immobili venduti”.
La stessa disposizione eccettua poi dal proprio perimetro
applicativo una serie di norme, e in particolare:
i. gli acquisti compiuti dagli enti previdenziali pubblici e
privati (sic);
ii. le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate in
data antecedente a quella di entrata in vigore del decreto;
iii. le operazioni di acquisto destinate a soddisfare le
esigenze allocative in materia di edilizia residenziale
pubblica;
iv. le operazioni di acquisto previste in attuazione di
programmi e piani concernenti interventi di perequazione
socio-territoriale.
L’inderogabilità della norma, e la tassatività delle
eccezioni indicate, escludono in modo categorico che
ulteriori casi di inapplicabilità della previsioni siano
ravvisabili in relazione alla vantaggiosità dell’operazione,
e quindi nel senso auspicato dal comune (Corte dei Conti,
Sez. controllo Lombardia,
parere 08.05.2013 n. 200). |
APPALTI:
G.U. 08.05.2013 n. 106 "Procedimento per la soluzione
delle controversie ai sensi dell’art. 6, comma 7, lettera
n), del decreto legislativo 12.04.02006, n. 163" (AVCP,
provvedimento 24.04.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Protezione civile. Responsabilità del sindaco.
In tema di responsabilità del sindaco quale organo della
protezione civile (fattispecie relativa ad evento
catastrofico verificatosi in Sarno il 05.05.1998 con
conseguente decesso di 137 persone) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.05.2013 n. 19507 -
tratto da www.lexambiente.it). |
APPALTI:
L’informativa antimafia non deve provare
l’intervenuta infiltrazione o condizionamento essendo questi
un quid pluris non richiesto, ma deve solo dimostrare
sufficientemente la sussistenza di elementi dai quali è
deducibile il tentativo o il rischio di ingerenza ancor
prima del suo concreto realizzarsi, elementi connessi dunque
a situazioni anche solo potenzialmente pericolose per la
vicinanza tra l’impresa sottoposta alla valutazione del
Prefetto e soggetti ritenuti appartenenti alla criminalità
organizzata, nella prospettiva di massima anticipazione
della tutela antimafia propria della normativa di
riferimento.
Si ricorda al riguardo che l’informativa antimafia non deve
provare l’intervenuta infiltrazione o condizionamento
essendo questi un quid pluris non richiesto, ma deve
solo dimostrare sufficientemente la sussistenza di elementi
dai quali è deducibile il tentativo o il rischio di
ingerenza ancor prima del suo concreto realizzarsi (Cons.
Stato, VI 08.06.2009 n. 349), elementi connessi dunque a
situazioni anche solo potenzialmente pericolose per la
vicinanza tra l’impresa sottoposta alla valutazione del
Prefetto e soggetti ritenuti appartenenti alla criminalità
organizzata, nella prospettiva di massima anticipazione
della tutela antimafia propria della normativa di
riferimento (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 07.05.2013 n. 2478 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La mera partecipazione
alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione
al ricorso. La situazione legittimante costituita
dall'intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva
da una qualificazione di carattere normativo, che postula il
positivo esito del sindacato sulla ritualità della
ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva.
Pertanto, la definitiva esclusione o l'accertamento della
illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di
assegnare al concorrente la titolarità di una situazione
sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della
procedura selettiva.
Tale esito rimane fermo in tutti i casi in cui
l'illegittimità della partecipazione alla gara è
definitivamente accertata, sia per inoppugnabilità dell'atto
di esclusione, sia per annullamento dell'atto di ammissione.
Ed invero, come chiarito dall'Adunanza Plenaria di questo
Consiglio con la decisione n. 4/2011, la mera partecipazione
alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione
al ricorso. La situazione legittimante costituita
dall'intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva
da una qualificazione di carattere normativo, che postula il
positivo esito del sindacato sulla ritualità della
ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva.
Pertanto, la definitiva esclusione o l'accertamento della
illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di
assegnare al concorrente la titolarità di una situazione
sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della
procedura selettiva.
Tale esito rimane fermo in tutti i casi in cui
l'illegittimità della partecipazione alla gara è
definitivamente accertata, sia per inoppugnabilità dell'atto
di esclusione, sia per annullamento dell'atto di ammissione.
Ne consegue l'inammissibilità del ricorso per non essere AVR
legittimata alla relativa proposizione, attesa la acclarata
illegittimità della sua ammissione e conseguente
partecipazione alla gara per cui e causa (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.05.2013 n. 2460 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La scelta dei criteri più
adeguati dell’offerta economicamente più vantaggiosa
costituisce espressione tipica della discrezionalità della
stazione appaltante e, impingendo nel merito dell’azione
amministrativa è sottratta al sindacato dio legittimità del
giudice amministrativo, tranne che in relazione alla natura
ed oggetto dell’appalto non sia manifestamente illogica,
arbitraria, irragionevole o macroscopicamente viziata da
travisamento dei fatti.
Nel criterio di aggiudicazione dell’appalto secondo
l’offerta economicamente più vantaggiosa si tiene conto di
una pluralità di elementi, quali il prezzo e la qualità,
spettando all’amministrazione dare il peso a tali elementi
fermo restando che la scelta di siffatti criteri di
valutazione pur connotata da ampia discrezionalità, deve
avvenire nel rispetto della proporzionalità, ragionevolezza
e non discriminazione e sempre con riferimento all’oggetto
dell’appalto.
Ebbene, l’inserimento tra i criteri di valutazione
dell’offerta tecnica dell’elemento costituito dal costo
della futura manutenzione delle opere di ristrutturazione si
muove nell’ambito dei parametri di giudizio fissati da una
copiosa giurisprudenza di questo Consesso, non appalesandosi
la scelta della stazione appaltante illogica, né
irragionevole e neppure non pertinente con l’oggetto
dell’appalto.
Invero, ancorché si tratti di appalto di esecuzione di
opere, non può negarsi o comunque escludersi una stretta
connessione logica tra la realizzazione di opere di
ristrutturazione e la successiva attività di manutenzione
delle stesse, in un rapporto di “variabile dipendente” nel
senso che ai fini di una migliore esecuzione delle opere a
farsi ben può la stazione appaltante (se non deve) tener
conto della proiezione in futuro della “tenuta” nel tempo di
tali opere e quindi anche della maggiore o minore spesa che
l’Amministrazione sarà “costretta” a sopportare per la
connessa, sia pure successiva attività manutentiva ha la sua
incidenza sulla qualità delle opere a farsi di guisa che non
si vede alcunché di macroscopica (ma neppure minima)
illogicità nella scelta di valutare un progetto migliorativo
di opere di ristrutturazione alla luce anche della
economicità derivante dalla futura manutenzione.
Va opportunamente qui richiamati alcuni principi
giurisprudenziali intervenuti in subjecta materia e che
debbono fungere da linee-guida per la comprensione e
soluzione della problematica qui in rilievo.
Occorre allora premettere che la scelta dei criteri più
adeguati dell’offerta economicamente più vantaggiosa
costituisce espressione tipica della discrezionalità della
stazione appaltante e, impingendo nel merito dell’azione
amministrativa è sottratta al sindacato dio legittimità del
giudice amministrativo, tranne che in relazione alla natura
ed oggetto dell’appalto non sia manifestamente illogica,
arbitraria, irragionevole o macroscopicamente viziata da
travisamento dei fatti (Cons. Stato Sez. IV 08.06.2007
n. 3103; sez. V 16.02.2009 n. 837).
Così sempre sul punto è stato evidenziato che nel criterio
di aggiudicazione dell’appalto secondo l’offerta
economicamente più vantaggiosa si tiene conto di una
pluralità di elementi, quali il prezzo e la qualità,
spettando all’amministrazione dare il peso a tali elementi
fermo restando che la scelta di siffatti criteri di
valutazione pur connotata da ampia discrezionalità, deve
avvenire nel rispetto della proporzionalità, ragionevolezza
e non discriminazione e sempre con riferimento all’oggetto
dell’appalto (Cons. Stato Sez. V 11.01.2006 n. 28; Sez.
V 21.11.2007 n. 5911).
Ebbene, l’inserimento tra i criteri di valutazione
dell’offerta tecnica dell’elemento costituito dal costo
della futura manutenzione delle opere di ristrutturazione si
muove nell’ambito dei parametri di giudizio fissati da una
copiosa giurisprudenza di questo Consesso, non appalesandosi
la scelta della stazione appaltante illogica, né
irragionevole e neppure non pertinente con l’oggetto
dell’appalto.
Invero, ancorché si tratti di appalto di esecuzione di
opere, non può negarsi o comunque escludersi una stretta
connessione logica tra la realizzazione di opere di
ristrutturazione e la successiva attività di manutenzione
delle stesse, in un rapporto di “variabile dipendente”
nel senso che ai fini di una migliore esecuzione delle opere
a farsi ben può la stazione appaltante (se non deve) tener
conto della proiezione in futuro della “tenuta” nel
tempo di tali opere e quindi anche della maggiore o minore
spesa che l’Amministrazione sarà “costretta” a
sopportare per la connessa, sia pure successiva attività
manutentiva ha la sua incidenza sulla qualità delle opere a
farsi di guisa che non si vede alcunché di macroscopica (ma
neppure minima) illogicità nella scelta di valutare un
progetto migliorativo di opere di ristrutturazione alla luce
anche della economicità derivante dalla futura manutenzione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.05.2013 n. 2444 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'esclusione da una gara
di appalto, pur essendo un atto infraprocedimentale,
determina per l'impresa esclusa un arresto procedimentale,
idoneo a ledere, con immediatezza ed attualità, la sua sfera
giuridica, da qui la necessità di sua impugnazione
immediata, e non invece unitamente alla pubblicazione della
graduatoria finale.
Tuttavia, qualora siano impugnate clausole del bando o della
lettera di invito che prescrivano requisiti di ammissione o
di partecipazione alla gara, la cui carenza determina
immediatamente l'effetto escludente, il successivo atto di
esclusione si configura come meramente dichiarativo e
ricognitivo di una lesione già prodotta. Conseguentemente,
in tali casi, l'impugnazione dell'atto finale non è
necessaria, poiché fra i due atti vi è un rapporto di
conseguenzialità immediata, diretta e necessaria, ponendosi
l'atto successivo come inevitabile conseguenza di quello
precedente, non essendovi pertanto da compiere nuove ed
ulteriori valutazioni di interessi.
In base alla giurisprudenza consolidata,
l'esclusione da una gara di appalto, pur essendo un atto infraprocedimentale, determina per l'impresa esclusa un
arresto procedimentale, idoneo a ledere, con immediatezza ed
attualità, la sua sfera giuridica (TAR Campania, Salerno,
Sez. I 04.07.2011 n. 1240), da qui la necessità di sua
impugnazione immediata, e non invece unitamente alla
pubblicazione della graduatoria finale (TAR Sicilia,
Palermo, Sez. II 13.03.2012 n. 517).
Tuttavia, qualora siano impugnate clausole del bando o della
lettera di invito che prescrivano requisiti di ammissione o
di partecipazione alla gara, la cui carenza determina
immediatamente l'effetto escludente, il successivo atto di
esclusione si configura come meramente dichiarativo e
ricognitivo di una lesione già prodotta (TAR Lazio, Roma,
Sez. I, 06.07.2012 n. 6163). Conseguentemente, in tali casi,
l'impugnazione dell'atto finale non è necessaria, poiché fra
i due atti vi è un rapporto di conseguenzialità immediata,
diretta e necessaria, ponendosi l'atto successivo come
inevitabile conseguenza di quello precedente, non essendovi
pertanto da compiere nuove ed ulteriori valutazioni di
interessi (C.S., Sez. V, 08.03.2011 n. 1463)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 03.05.2013 n. 1139 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La mancata presentazione di garanzie e coperture
assicurative costituisce giusto motivo di esclusione o di
revoca dell’aggiudicazione; inoltre, a seguito della novella
del 2011, la giurisprudenza ha chiarito che la disposizione
dell’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici
impone una diversa interpretazione dell’art. 75, e rende
evidente l’intento di ritenere sanabile o regolarizzabile la
mancata prestazione della cauzione provvisoria, al contrario
della cauzione definitiva, che garantisce l’impegno più
consistente della corretta esecuzione del contratto e
giustifica l’esclusione dalla gara.
Alla luce dell’art. 4.3 del disciplinare di gara, il primo
sollecito testuale dei documenti risale al 15/09/2009, e
l’amministrazione ha accordato un termine ben superiore ai
20 giorni prescritti, dilazionandolo fino al 23/10/2009.
E’ stato affermato al riguardo che “l'escussione della
cauzione provvisoria nel caso specifico si fonda
legittimamente sull'omessa produzione documentale … e, in
particolare, in base alla previsione contenuta nel
capitolato speciale d'appalto (c.s.a.), che al punto …
imponeva all'aggiudicataria provvisoria l'obbligo di
costituire la cauzione definitiva ex articolo 113 del
decreto legislativo 12.04.2006 n. 163 entro il termine
massimo di 15 giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione
provvisoria, statuendo inoltre che la mancata costituzione
della cauzione definitiva determina la revoca
dell’aggiudicazione e l'incameramento della cauzione
provvisoria di cui all'articolo 75 del decreto legislativo
163 del 2006 …”.
Dunque, le statuizioni in questa sede censurate hanno
costituito la puntuale applicazione degli atti di gara, ai
quali l’amministrazione si è accostata con
un’interpretazione non severa, concedendo invero (ma
inutilmente) un arco temporale assolutamente congruo.
Per giurisprudenza costante, la mancata
presentazione di garanzie e coperture assicurative
costituisce giusto motivo di esclusione o di revoca
dell’aggiudicazione (Consiglio di Stato, sez. IV – 20/04/2010
n. 2199); inoltre, a seguito della novella del 2011, la
giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. III – 01/02/2012 n.
493, richiamata da TAR Lazio Roma, sez. II – 03/01/2013 n.
16) ha chiarito che la disposizione dell’art. 46, comma 1-bis,
del Codice dei contratti pubblici impone una diversa
interpretazione dell’art. 75, e rende evidente l’intento di
ritenere sanabile o regolarizzabile la mancata prestazione
della cauzione provvisoria, al contrario della cauzione
definitiva, che garantisce l’impegno più consistente della
corretta esecuzione del contratto e giustifica l’esclusione
dalla gara.
Alla luce dell’art. 4.3 del disciplinare di gara, il
primo sollecito testuale dei documenti risale al 15/09/2009,
e l’amministrazione ha accordato un termine ben superiore ai
20 giorni prescritti, dilazionandolo fino al 23/10/2009. E’
stato affermato al riguardo (cfr. Consiglio di Stato, sez. V
– 16/09/2011 n. 5213) che “l'escussione della cauzione
provvisoria nel caso specifico si fonda legittimamente
sull'omessa produzione documentale … e, in particolare, in
base alla previsione contenuta nel capitolato speciale
d'appalto (c.s.a.), che al punto … imponeva
all'aggiudicataria provvisoria l'obbligo di costituire la
cauzione definitiva ex articolo 113 del decreto legislativo
12.04.2006 n. 163 entro il termine massimo di 15 giorni
dalla comunicazione dell'aggiudicazione provvisoria,
statuendo inoltre che la mancata costituzione della cauzione
definitiva determina la revoca dell’aggiudicazione e
l'incameramento della cauzione provvisoria di cui
all'articolo 75 del decreto legislativo 163 del 2006 …”.
Dunque, le statuizioni in questa sede censurate hanno
costituito la puntuale applicazione degli atti di gara, ai
quali l’amministrazione si è accostata con
un’interpretazione non severa, concedendo invero (ma
inutilmente) un arco temporale assolutamente congruo (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 03.05.2013 n. 401 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La norma invocata (art. 11, comma 9, del Codice
dei contratti) attribuisce al soggetto affidatario una
facoltà di recesso laddove vi sia un'inerzia della stazione
appaltante nella fase di stipulazione del contratto ossia
quando, ad esempio, la stessa non inviti la Società
vincitrice a tale adempimento entro il termine di 60 giorni
dall'aggiudicazione della gara (o, comunque, entro il
diverso termine previsto nella lex specialis).
Invero, la norma in argomento mira a introdurre una clausola
di garanzia in favore dell'operatore economico
aggiudicatario che autorizza quest'ultimo a non rimanere
sine die vincolato all'offerta che ha presentato in sede di
gara, senza che nei termini previsti dalla citata previsione
si concluda l'iter procedimentale e si addivenga alla
stipula del contratto. Dal chiaro tenore dell'enunciato si
evince che la finalità della norma è quella di evitare che
la stazione appaltante possa procrastinare indefinitamente
gli adempimenti prescritti dalla legge per il
perfezionamento del vincolo negoziale, in violazione del
principio di affidamento nonché dei canoni di imparzialità e
buon andamento che ne sono esplicazione: qualora, tuttavia,
sia l'aggiudicatario ad assumere un atteggiamento
ingiustificatamente dilatorio verso gli adempimenti
prescritti dalla legge a suo carico, non sorgono in capo
allo stesso affidamenti di sorta meritevoli di tutela, con
conseguente inefficacia dell'atto di scioglimento dal
vincolo eventualmente notificato.
In altre parole, la facoltà prevista dall'articolo 11, comma
9, non può essere esercitata dall'aggiudicataria in piena
libertà (o comunque assumendo atteggiamenti dilatori idonei
a far decorrere il termine ivi previsto), bensì è
subordinata alle condizioni appena esposte.
La doglianza è
priva di pregio, poiché la norma invocata (art. 11, comma 9,
del Codice dei contratti) attribuisce al soggetto
affidatario una facoltà di recesso laddove vi sia un'inerzia
della stazione appaltante nella fase di stipulazione del
contratto ossia quando, ad esempio, la stessa non inviti la
Società vincitrice a tale adempimento entro il termine di 60
giorni dall'aggiudicazione della gara (o, comunque, entro il
diverso termine previsto nella lex specialis).
Come ha messo
in evidenza la giurisprudenza (TAR Lazio Roma, sez. III –
29/03/2013 n. 3227), la norma in argomento mira a introdurre
una clausola di garanzia in favore dell'operatore economico
aggiudicatario che autorizza quest'ultimo a non rimanere sine die vincolato all'offerta che ha presentato in sede di
gara, senza che nei termini previsti dalla citata previsione
si concluda l'iter procedimentale e si addivenga alla
stipula del contratto. Dal chiaro tenore dell'enunciato si
evince che la finalità della norma è quella di evitare che
la stazione appaltante possa procrastinare indefinitamente
gli adempimenti prescritti dalla legge per il
perfezionamento del vincolo negoziale, in violazione del
principio di affidamento nonché dei canoni di imparzialità e
buon andamento che ne sono esplicazione: qualora, tuttavia,
sia l'aggiudicatario ad assumere un atteggiamento
ingiustificatamente dilatorio verso gli adempimenti
prescritti dalla legge a suo carico, non sorgono in capo
allo stesso affidamenti di sorta meritevoli di tutela, con
conseguente inefficacia dell'atto di scioglimento dal
vincolo eventualmente notificato (cfr. TAR Campania
Napoli, sez. I – 06/03/2013 n. 1236).
In altre parole, la facoltà prevista dall'articolo 11,
comma 9, non può essere esercitata dall'aggiudicataria in
piena libertà (o comunque assumendo atteggiamenti dilatori
idonei a far decorrere il termine ivi previsto), bensì è
subordinata alle condizioni appena esposte che, nel caso di
specie, non sussistono: infatti, nessuna inerzia è
addebitabile alla stazione appaltante nella fase susseguente
all'aggiudicazione definitiva, in quanto quest'ultima ha
tempestivamente richiesto alla ricorrente la documentazione
comprovante il possesso dei requisiti dichiarati in sede di
gara, così manifestando la chiara intenzione di giungere
alla stipulazione del contratto.
L'inerzia o comunque
l'atteggiamento dilatorio è invece ascrivibile alla
ricorrente, che non ha inviato alla stazione appaltante la
documentazione reiteratamente richiesta e che, in seguito,
con nota del 22/10/2009 ha manifestato (sia pure in via
subordinata) la volontà di non voler procedere alla
sottoscrizione del contratto (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 03.05.2013 n. 401 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In sede di verifica
possono essere rimodulate le quantificazioni dei costi e
dell’utile purché non venga modificato l’importo complessivo
della offerta formulata, atteso che (premesso che
nell'interpretazione del dato normativo non può trascurarsi
che la "ratio" cui è preordinato il meccanismo di verifica
della offerta anomala è pur sempre la piena affidabilità
della proposta contrattuale, senza però che possa essere
modificato l'importo complessivo dell'offerta presentata) è
condivisibile l'orientamento giurisprudenziale secondo cui
l'impresa aggiudicataria può, nell'ambito del
subprocedimento di verifica della congruità dell'offerta
presentata, rimodulare le quantificazioni dei costi e
dell'utile, indicate nella relazione giustificativa
dell'offerta economica.
Il subprocedimento di giustificazione dell'offerta anomala
deve prevedere la inammissibilità solo delle giustificazioni
che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta che
invece non è stata adeguatamente meditata, risultano
tardivamente finalizzate ad un'allocazione dei costi diversi
rispetto a quella originariamente indicata.
Per le stesse ragioni non è consentita l'immotivata
rimodulazione di voci di costo al solo scopo di far quadrare
i conti, al fine cioè di assicurare che il prezzo
complessivo offerto resti immutato, superando le
contestazioni della stazione appaltante su alcune voci di
costo; ciò proprio perché, nel giudizio di congruità
dell'offerta, esplicazione di valutazioni tecniche
sindacabili solo in caso di illogicità manifesta o di
erroneità fattuale, non è in questione soltanto della
generica capienza dell'offerta, ma anche la sua serietà.
Pure condivisibile è la tesi che in sede di verifica possono
essere rimodulate le quantificazioni dei costi e dell’utile
purché non venga modificato l’importo complessivo della
offerta formulata, atteso che (premesso che
nell'interpretazione del dato normativo non può trascurarsi
che la "ratio" cui è preordinato il meccanismo di
verifica della offerta anomala è pur sempre la piena
affidabilità della proposta contrattuale, senza però che
possa essere modificato l'importo complessivo dell'offerta
presentata) è condivisibile l'orientamento giurisprudenziale
(Consiglio Stato, Sez. V, sent. n. 653 del 10.2.2010)
secondo cui l'impresa aggiudicataria può, nell'ambito del subprocedimento di verifica della congruità dell'offerta
presentata, rimodulare le quantificazioni dei costi e
dell'utile, indicate nella relazione giustificativa
dell'offerta economica.
Il subprocedimento di giustificazione dell'offerta anomala
deve prevedere la inammissibilità solo delle giustificazioni
che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta che
invece non è stata adeguatamente meditata, risultano
tardivamente finalizzate ad un'allocazione dei costi diversi
rispetto a quella originariamente indicata. Per le stesse
ragioni non è consentita l'immotivata rimodulazione di voci
di costo al solo scopo di far quadrare i conti, al fine cioè
di assicurare che il prezzo complessivo offerto resti
immutato, superando le contestazioni della stazione
appaltante su alcune voci di costo; ciò proprio perché, nel
giudizio di congruità dell'offerta, esplicazione di
valutazioni tecniche sindacabili solo in caso di illogicità
manifesta o di erroneità fattuale, non è in questione
soltanto della generica capienza dell'offerta, ma anche la
sua serietà (Consiglio di Stato, sez. V, 30.11.2012, n.
6117) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.05.2013 n. 2401 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'amministrazione appaltante può esercitare il
potere di annullare un procedimento di gara, allorquando non
sia intervenuto l'atto conclusivo (aggiudicazione
definitiva).
E' legittimo il provvedimento di revoca di una gara di
appalto, disposta in una fase non ancora definita della
procedura concorsuale, ancora prima del consolidarsi delle
posizioni delle parti e quando il contratto non è stato
ancora concluso, motivato anche con riferimento al risparmio
economico che deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in quanto
la ricordata disposizione ammette un ripensamento da parte
della amministrazione a seguito di una nuova valutazione
dell'interesse pubblico originario.
Inoltre, è stato ripetutamente ribadito che fino a quando
non sia intervenuta l'aggiudicazione, rientra nel potere
discrezionale dell'amministrazione disporre la revoca del
bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano
concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere
inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione
della gara, puntualizzando che le ragioni tecniche
nell'organizzazione del servizio attinenti le concrete
modalità di esecuzione, il riassetto societario, la volontà
di provvedere in autoproduzione e non mediante
esternalizzazione, la necessità di consentire attraverso
tale scelta organizzativa un maggior assorbimento di
personale in un quadro di attività concertate in sede
sindacale mirante alla valorizzazione del personale interno,
sono tutti profili attinenti al merito dell'azione
amministrativa e di conseguenza insindacabili da parte del
giudice, in assenza di palesi e manifesti indici di
irragionevolezza; anche il riferimento al risparmio
economico derivante dalla revoca è stato ritenuto legittimo
motivo della stessa.
Conseguentemente, nel caso di specie, la mera adozione
dell'atto di revoca dell'approvazione del progetto posto a
base di gara, non costituisce di per sé elusione del
giudicato, atteso che, l'amministrazione appaltante può
esercitare il potere di annullare un procedimento di gara,
allorquando non sia intervenuto l'atto conclusivo
(aggiudicazione definitiva) oppure quando, a seguito
dell'annullamento giurisdizionale, l'aggiudicazione
definitiva sia stata annullata ed il procedimento di gara
sia regredito alla fase di valutazione delle offerte
presentate, sempre che ne sussistano i presupposti
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.05.2013 n. 2400 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
L’amministrazione è
notoriamente titolare del potere, riconosciuto dall’art.
21-quinquies della legge 07.08.1990, n. 241, di revocare per
sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di
mutamento della situazione di fatto o di una nuova
valutazione dell’interesse pubblico originario, un proprio
precedente provvedimento amministrativo.
---------------
E' stato considerato legittimo il provvedimento di revoca di
una gara di appalto, disposta in una fase non ancora
definita della procedura concorsuale, ancora prima del
consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il
contratto non è stato ancora concluso, motivato anche con
riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla
revoca stessa, ciò in quanto la ricordata disposizione
ammette un ripensamento da parte della amministrazione a
seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico
originario.
E' stato ripetutamente ribadito che fino a quando non sia
intervenuta l’aggiudicazione, rientra nel potere
discrezionale dell’amministrazione disporre la revoca del
bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano
concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere
inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione
della gara, puntualizzando che le ragioni tecniche
nell’organizzazione del servizio attinenti le concrete
modalità di esecuzione, il riassetto societario, la volontà
di provvedere in autoproduzione e non mediante
esternalizzazione, la necessità di consentire attraverso
tale scelta organizzativa un maggior assorbimento di
personale in un quadro di attività concertate in sede
sindacale mirante alla valorizzazione del personale interno,
sono tutti profili attinenti al merito dell’azione
amministrativa e di conseguenza insindacabili da parte del
giudice, in assenza di palesi e manifesti indici di
irragionevolezza.
Anche il riferimento al risparmio economico derivante dalla
revoca è stato ritenuto legittimo motivo della stessa.
Con particolare riferimento alla specifica fattispecie in
esame deve poi aggiungersi che l’amministrazione è
notoriamente titolare del potere, riconosciuto dall’art.
21-quinquies della legge 07.08.1990, n. 241, di revocare per
sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di
mutamento della situazione di fatto o di una nuova
valutazione dell’interesse pubblico originario, un proprio
precedente provvedimento amministrativo (C.d.S., sez. V,
18.01.2011, n. 283).
Con riguardo alle procedure ad evidenza pubblica è stato
considerato legittimo il provvedimento di revoca di una gara
di appalto, disposta in una fase non ancora definita della
procedura concorsuale, ancora prima del consolidarsi delle
posizioni delle parti e quando il contratto non è stato
ancora concluso, motivato anche con riferimento al risparmio
economico che deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in quanto
la ricordata disposizione ammette un ripensamento da parte
della amministrazione a seguito di una nuova valutazione
dell’interesse pubblico originario (C.d.S., sez. III,
15.11.2011, n. 6039; 13.04.2011, n. 2291); è stato
ripetutamente ribadito che fino a quando non sia intervenuta
l’aggiudicazione, rientra nel potere discrezionale
dell’amministrazione disporre la revoca del bando di gara e
degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di
interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo
da sconsigliare, la prosecuzione della gara, puntualizzando
che le ragioni tecniche nell’organizzazione del servizio
attinenti le concrete modalità di esecuzione, il riassetto
societario, la volontà di provvedere in autoproduzione e non
mediante esternalizzazione, la necessità di consentire
attraverso tale scelta organizzativa un maggior assorbimento
di personale in un quadro di attività concertate in sede
sindacale mirante alla valorizzazione del personale interno,
sono tutti profili attinenti al merito dell’azione
amministrativa e di conseguenza insindacabili da parte del
giudice, in assenza di palesi e manifesti indici di
irragionevolezza (C.d.S., sez. V, 09.04.2010, n. 1997);
anche il riferimento al risparmio economico derivante dalla
revoca è stato ritenuto legittimo motivo della stessa
(C.d.S., sez. V, 08.09.2011, n. 5050) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 02.05.2013 n. 2400 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il riconoscimento del
danno da perdita di chance non può intendersi subordinato
all'offerta in giudizio da parte dell’interessato di una
prova in termini di certezza, perché ciò è oggettivamente
incompatibile con la natura di tale voce di danno,
risultando quindi sufficiente che gli elementi addotti, in
virtù del principio contenuto nell'art. 2697 c.c.,
consentano una prognosi concreta e ragionevole circa la
possibilità di vantaggi futuri, invece impediti a causa
della condotta illecita altrui.
La censura è infondata.
Ed invero, nel giudizio di primo grado la Cooperativa
ha agito per ottenere il ristoro del danno subito per
l’inutile partecipazione ad una gara ab origine viziata e
per la perdita della chance di vedersi aggiudicato l’appalto, laddove l’amministrazione avesse provveduto come di dovere
a rinnovare la procedura concorsuale.
In particolare, la perdita di chance è stata causata dal
permanere nella gestione del servizio dell’aggiudicataria e
dalle proroghe a questa concesse dal Comune dell’Aquila, poi
annullate dal Tar Abruzzo .
La mancata indizione di una nuova gara e le illegittime
proroghe del servizio, infatti, hanno frustrato l’interesse
della Cooperativa alla partecipazione ad una nuova procedura
concorsuale che avrebbe dovuto essere indetta e che la
stessa, anche in forza dell’esperienza maturata per aver nel
passato svolto il servizio, avrebbe potuto aggiudicarsi.
Nella peculiare situazione di fatto testé delineata, quindi, la mera caducazione degli atti di gara non risulta
oggettivamente sufficiente a ristorare il danno subito dalla
Cooperativa, contrariamente a quanto ritenuto
dall’appellante.
Le citate voci di danno, peraltro, conseguono direttamente
agli atti impugnati ed annullati, senza che possa
pretendersi dalla Cooperativa la prova che si sarebbe
certamente aggiudicata il servizio all’esito della rinnovata
gara.
Infatti, come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza
anche di questa Sezione, il riconoscimento del danno da
perdita di chance non può intendersi subordinato all'offerta
in giudizio da parte dell’interessato di una prova in
termini di certezza, perché ciò è oggettivamente
incompatibile con la natura di tale voce di danno,
risultando quindi sufficiente che gli elementi addotti, in
virtù del principio contenuto nell'art. 2697 c.c.,
consentano una prognosi concreta e ragionevole circa la
possibilità di vantaggi futuri, invece impediti a causa
della condotta illecita altrui (così Cons. Stato, Sez. V, 18.04.2012, n. 225).
E non v’è dubbio, come la mancata indizione della nuova
gara e le illegittime proroghe di cui alla delibera della
Giunta del Comune dell’Aquila in data 29.04.2003,
abbiano oggettivamente compromesso la possibilità, per la
Cooperativa, di ottenere futuri vantaggi.
Pertanto, attesa la peculiarità della fattispecie, del tutto
correttamente il primo giudice ha liquidato il danno patito
dalla Cooperativa in via equitativa, sulla base di obiettivi
dati dalla stessa forniti, relativi al valore dell’appalto
(assumendo a parametro l’offerta formulata
dall’aggiudicataria) ed alla stima dell’utile conseguibile
(in relazione alla prevista durata dello stesso, anche a
seguito delle proroghe concesse) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.05.2013 n. 2399 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'affidamento dell'uso e della gestione degli
impianti sportivi comunali deve essere qualificato come
concessione di pubblico servizio.
Deve essere qualificato come concessione di pubblico
servizio l'affidamento dell'uso e della gestione
dell'impianto sportivo comunale, in quanto il bene affidato
in uso rientra, nella previsione dell'ultimo capoverso
dell'art. 826 cod. civ., ossia in quella relativa ai beni di
proprietà dei comuni destinati ad un pubblico servizio e
perciò assoggettati al regime dei beni patrimoniali
indisponibili, i quali, giusto il disposto dell'art. 828,
non possono essere sottratti alla loro destinazione.
Su tali beni insiste dunque un vincolo funzionale, coerente
con la loro vocazione naturale ad essere impiegati in favore
della collettività, per attività di interesse generale; la
conduzione di impianti sportivi sottende a tale tipologia di
attività, l'ordinamento sportivo è, infatti, connotato da
un'organizzazione di stampo pubblicistico, con al vertice il
CONI, ente pubblico, e quindi le federazioni sportive,
qualificate dalla legge istitutiva di detto ente come organi
dello stesso, soggetti incaricate di funzioni di interesse
generale, consistenti nella promozione ed organizzazione
dello sport (artt. 2, 3 e 5 l. n. 426/1942, istitutiva del
CONI) ed invero, oggetto di concessione non è solo il loro
uso, ma anche la relativa gestione, trattandosi, di attività
rivolta a finalità di pubblico interesse, consistenti nel
caso di specie nella fruizione di campi sportivi. Pertanto,
nel caso di specie, ricorrono tutti gli indici che la
giurisprudenza richiede per qualificare un'attività come
servizio pubblico, e cioè:
a) l'imputabilità e la titolarità in capo all'ente pubblico;
b) la sua destinazione a soddisfare interesse di carattere
generale della collettività;
c) la predisposizione di un programma di gestione,
vincolante per il privato incaricato della gestione, con la
previsione obblighi di condotta e l'imposizione di standards
qualitativi;
d) il mantenimento in capo all'amministrazione concedente di
poteri di indirizzo, vigilanza ed intervento, affinché il
programma sia rispettato (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.05.2013 n. 2385 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
White list appalti, fuori senza convenevoli.
Il rigetto della domanda di iscrizione negli elenchi degli
appaltatori «puliti» ai fini antimafia non deve essere
preceduto necessariamente da informazione interdittiva e può
prescindere da essa; necessario il massimo coordinamento fra
le prefetture.
È quanto precisa un comunicato dell'Interno, in G.U. 99 del
19.04.2013.
In particolare veniva posta all'attenzione la questione se
il diniego di iscrizione di un operatore economico in una
delle white list, istituite ai sensi dell'art. 5-bis del dl
74/2012 debba essere preceduto dall'emissione di
un'informazione interdittiva ovvero possa essere adottato
anche in assenza di tale provvedimento.
In realtà la questione si poneva in quanto spesso vengono
chiamate in causa almeno due prefetture, qualora quella di
presentazione della domanda di iscrizione non corrisponda a
quella di esecuzione delle verifiche antimafia. La
disciplina applicabile prevede, in sintesi che: le verifiche
antimafia sono di competenza della prefettura dove ha sede
l'impresa interessata all'iscrizione nelle white list; in
caso di sede dell'impresa in provincia diversa da quella
dove si chiede l'iscrizione occorre attivare il prefetto
competente; in caso emergano situazioni di controindicazione
è il prefetto a cui è proposta la domanda a rigettarla dando
informazione al prefetto competente territorialmente.
Da
questo quadro il comunicato deduce che «non vi è cenno nelle
disposizioni richiamate all'adozione di un'informazione
antimafia, né di tipo liberatorio, propedeutica, in ipotesi,
all'iscrizione nelle white list, né di tipo interdittivo,
preliminare, nell'ipotesi inversa, al diniego di
iscrizione».
E ancora: per le persone giuridiche la nozione di sede deve
ricavarsi da quella citata nell'atto costitutivo o nello
statuto; il prefetto a cui è stata rivolta la domanda di
iscrizione non deve pedissequamente attenersi solo agli
elementi trasmessi dall'altro prefetto; il prefetto che ha
negato l'iscrizione dovrà adeguatamente evidenziare gli
elementi di valutazione; serve maggiore circolarità e
raccordo informativo nell'attività di valutazione e di
decisione delle istanze di iscrizione nelle white list
fra le diverse prefetture
(articolo ItaliaOggi dell'01.05.2013). |
APPALTI:
G. F. Nicodemo,
Sull’esclusione per ‘‘grave negligenza’’ quando è
commessa a danno di altre p.a.
(Urbanistica e appalti n. 5/2013). |
aprile 2013 |
|
APPALTI SERVIZI: R.
Caranta,
Accordi tra amministrazioni e contratti pubblici
(Urbanistica e appalti n. 4/2013 - tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI:
S. Usai,
Il potere/dovere della stazione appaltante di non assegnare
l'appalto in presenza di motivate ragioni di interesse
pubblico (L'ufficio tecnico n. 4/2013). |
LAVORI PUBBLICI:
G.P. D'Incecco Bayard De Volo,
Appalti pubblici: l’importanza della verifica ai fini della
validazione dei progetti.
Un momento di sintesi delle scelte di merito del progettista
e degli obiettivi che l’amministrazione intende perseguire.
La verifica ai fini della validazione dei progetti non va
considerata come l’ennesimo appesantimento burocratico ma
come l’occasione di accelerazione dei tempi realizzativi e
strumento di deflazione del contenzioso in materia di
appalti pubblici (Diritto e Pratica Amministrativa n.
4/2013). |
APPALTI: S.
Usai,
La nomina della commissione aggiudicatrice nel cottimo
fiduciario (Urbanistica e appalti n. 4/2013). |
APPALTI: M.
Romeo,
Indirizzi giurisprudenziali in tema di revoca della gara
d’appalto e responsabilità precontrattuale della P.A. -
CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE V, SENTENZA 15.07.2013 N. 3831
(Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 1/2014).
---------------
SOMMARIO: 1. La revoca della gara d’appalto. - 2.
Legittimità della revoca e responsabilità
dell’amministrazione. - 3. Elementi distintivi della
responsabilità precontrattuale della pubblica
amministrazione. - 4. Considerazioni conclusive. |
APPALTI:
G. Guccione, Azione
generale di arricchimento nei confronti della P.A. e
problematiche sulla determinazione del quantum
indennizzabile - CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, SENTENZA
07.06.2013 N. 3133
(Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 1/2014).
---------------
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Inquadramento generale
dell'istituto - 3. L’accertamento della misura
dell’arricchimento dovuto
|
LAVORI PUBBLICI:
Realizzazione opere pubbliche su beni patrimoniali
indisponibili.
Per orientamento consolidato della
giurisprudenza, la disponibilità dei beni demaniali (e
similmente quella dei beni patrimoniali indisponibili) dello
Stato e di altre pubbliche amministrazioni, attesa la loro
destinazione alla diretta realizzazione di interessi
pubblici, può essere legittimamente attribuita ad un
soggetto diverso dall'ente titolare del bene solo mediante
concessione amministrativa, la cui struttura risulta dalla
convergenza di un negozio unilaterale ed autoritativo della
p.a. (provvedimento di concessione) e di una convenzione
attuativa di diritto privato, che pone diritti ed obblighi
in capo all'ente concedente ed al concessionario.
Qualora, nell'ambito della concessione, l'ente pubblica
conceda l'uso dell'area demaniale, o patrimoniale
indisponibile, con facoltà per il concessionario di
procedere alla costruzione di un manufatto, il diritto del
concessionario si atteggia quale diritto di superficie, per
cui colui che costruisce acquista la proprietà della
costruzione soprastante il suolo (art. 952, c.c.).
In particolare, il diritto di proprietà del soggetto che
costruisce (superficiario) si configura diritto di
consistenza reale ma temporaneo, in quanto ha la stessa
(limitata) durata della concessione del bene demaniale (o
patrimoniale indisponibile) e si estingue, a norma dell'art.
953, c.c., con la revoca della concessione o per la scadenza
del termine di durata della stessa, con incremento per
accessione della proprietà del 'domimus soli'. Gli effetti
dell'accessione automatica non possono essere derogati
dall'autonomia negoziale delle parti.
Ai sensi dell'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 327/2001, è
possibile espropriare un bene appartenente al patrimonio
indisponibile dello Stato o di altri enti pubblici solo per
perseguire un interesse pubblico di rilievo superiore a
quello soddisfatto con la precedente destinazione.
Il Comune chiede alcuni chiarimenti in ordine alla procedura
da seguire per la realizzazione di un'opera pubblica (pista
ciclabile) su un argine di canale che risulta appartenere ad
un ente pubblico economico, con specifico riguardo
all'istituto giuridico utilizzabile, tenuto conto che la
nuova costruzione non verrebbe ad inficiare l'utilizzo
pubblico già in corso.
Si ritiene utile per la disamina del quesito posto dal
Comune muovere da alcune considerazioni sulla natura
dell'argine.
Nel nostro ordinamento, le acque pubbliche fanno parte del
demanio necessario (idrico) dello Stato. L'art. 822, c.c.,
prevede, infatti, che 'appartengono allo Stato e fanno
parte del demanio pubblico... i fiumi, i torrenti, i laghi e
le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia'
[1].
La giurisprudenza ha chiarito che la demanialità dei corsi
d'acqua pubblici (nel caso esaminato dalla Corte si trattava
di un fiume), prevista dalla disposizione codicistica,
comporta la demanialità dell'alveo ('principio di
inseparabilità tra acqua ed alveo') [2]
ed, altresì, che l'alveo è la parte di terreno coperta dal
fiume con le piene ordinarie, affermando che 'fanno parte
del demanio idrico, perché rientrano nel concetto di alveo,
le sponde e le rive interne dei fiumi, cioè le zone soggette
ad essere sommerse dalle piene ordinarie'. Per contra,
invece, 'le sponde e le rive esterne, che possono essere
invase dalle acque solo in caso di piene straordinarie,
appartengono ai proprietari dei fondi rivieraschi'
[3].
Per quanto concerne, specificamente, gli argini, la
giurisprudenza ha chiarito che anch'essi sono una parte
dell'alveo e, precisamente, quella porzione che vale a
delimitarla, con la conseguenza che il terreno posto dal
lato dove scorre il fiume e che resta coperto dalle piene
ordinarie è soggetto al regime del demanio, mentre il resto
è suscettibile di privata appartenenza [4].
Nel caso di specie, viene in considerazione l'argine per la
parte esterna, il quale risulta appartenere ad un ente
pubblico economico non commerciale costituito da proprietari
privati e attualmente interessato da un'opera pubblica
diretta al soddisfacimento di un pubblico interesse.
Ai sensi dell'art. 830, comma secondo, c.c., ai beni
appartenenti agli enti pubblici non territoriali che sono
destinati a un pubblico servizio si applica la disposizione
di cui all'art. 828, comma secondo, c.c., in base alla quale
i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non
possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei
modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Da una lettura combinata degli artt. 830 e 828, comma
secondo, c.c., risulta la riconducibilità dei beni
appartenenti agli enti pubblici non territoriali al
patrimonio indisponibile in quanto destinati a soddisfare un
pubblico servizio [5].
Venendo al caso di specie, posta l'appartenenza dell'argine
ad un ente pubblico economico e il suo attuale utilizzo
pubblico, si può affermarne la natura di bene patrimoniale
indisponibile (artt. 830 e 828, comma secondo, c.c.).
Un tanto premesso, si passa ora ad esaminare la questione
posta dal Comune circa la procedura da seguire per la
realizzazione della nuova opera pubblica, tenuto conto di
quanto lo stesso precisa sul fatto che questa non verrebbe a
compromettere l'utilizzo pubblico in corso, che anzi
potrebbe essere migliorato.
Ai sensi dell'art. 823, c.c., i beni che fanno parte del
demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare
oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei
limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano: norma dalla
quale si è tratto che la disponibilità dei beni demaniali (e
similmente quella dei beni patrimoniali indisponibili) dello
Stato e di altre pubbliche amministrazioni, attesa la loro
destinazione alla diretta realizzazione di interessi
pubblici, può essere legittimamente attribuita ad un
soggetto diverso dall'ente titolare del bene solo mediante
concessione amministrativa [6].
Circa la struttura del provvedimento in questione, questo
risulta dalla convergenza di un negozio unilaterale ed
autoritativo della p.a. (provvedimento di concessione) e di
una convenzione attuativa di diritto privato, che pone
diritti ed obblighi in capo all'ente concedente ed al
concessionario [7],
ma la cui efficacia è subordinata al provvedimento
amministrativo, unilateralmente revocabile da parte della
p.a. per sopravvenuta incompatibilità con il pubblico
interesse [8].
Nel caso in esame, l'ente pubblico economico, proprietario
dell'argine, potrà utilizzare lo strumento della concessione
per attribuire diritti al Comune istante in relazione
all'utilizzo dell'argine. In ogni modo, gli aspetti relativi
alla disciplina della concessione -onerosità, salvaguardia
dell'interesse pubblico cui il bene è destinato (che l'Ente
riferisce non verrebbe intaccato dalla nuova opera)- possono
essere oggetto di regolamentazione da parte dell'ente
pubblico del cui patrimonio indisponibile l'argine fa parte.
Nell'ambito della concessione, l'ente pubblico economico
potrebbe concedere al Comune l'uso dell'argine per un
determinato periodo di tempo, con riconoscimento al Comune
medesimo del diritto di costruire un'opera al di sopra
dell'argine. In tal caso, non vi è dubbio che il diritto del
(Comune) concessionario avrebbe elementi identici al diritto
di superficie [9],
per cui colui che costruisce acquista la proprietà della
costruzione soprastante il suolo (proprietà superficiaria,
art. 952, c.c.) [10].
Con riferimento a quest'ultimo aspetto, corre, tuttavia,
l'obbligo di evidenziare le considerazioni della
giurisprudenza relative al diritto di superficie su suolo
demaniale (e che possono tornare utili anche con riferimento
ai beni del patrimonio indisponibile). Per il Giudice di
legittimità [11],
il diritto di proprietà del soggetto che costruisce
(superficiario) si configura diritto di consistenza reale ma
temporaneo, in quanto ha la stessa (limitata) durata della
concessione del bene demaniale (nel caso di specie,
patrimoniale indisponibile) e si estingue, a norma dell'art.
953, c.c., con la revoca della concessione o per la scadenza
del termine di durata della stessa, con incremento per
accessione della proprietà del 'domimus soli'
[12]:
pertanto, nel caso prospettato, la proprietà della nuova
opera passerebbe all'ente pubblico economico proprietario
dell'argine. Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato il
principio secondo cui non è consentito all'autonomia
negoziale delle parti derogare agli effetti dell'accessione
automatica in favore del proprietario del suolo (nel caso di
specie, l'ente pubblico economico) che si determina all'atto
di estinzione del diritto di superficie [13].
Il Comune pone un ulteriore quesito in ordine alla
definizione di un interesse pubblico superiore ai sensi
dell'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 327/2001.
L'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 327/2001 [14],
tratta della possibile espropriazione dei beni pubblici in
regime di patrimonio indisponibile. Secondo il codice
civile, infatti, tali beni non possono essere sottratti alla
loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che
li riguardano (art. 828, comma secondo, c.c.). Tuttavia, per
l'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 327/2001, è possibile
espropriare un bene appartenente al patrimonio indisponibile
dello Stato o di altri enti pubblici solo per perseguire un
interesse pubblico di rilievo superiore a quello soddisfatto
con la precedente destinazione.
Ricorrendo la condizione per cui l'interesse pubblico da
perseguire è superiore a quello precedentemente soddisfatto,
la destinazione ad un uso pubblico del bene patrimoniale
indisponibile, osserva la dottrina, non solo non viene meno
per effetto dell'ablazione, ma è addirittura rafforzata,
ponendosi il bene al servizio di interessi superiori a
quelli già soddisfatti con la precedente destinazione
[15].
Peraltro, osserva ancora la dottrina [16],
il testo unico non disciplina il procedimento attraverso cui
valutare comparativamente l'interesse alla espropriazione
del bene pubblico con quello al mantenimento della
destinazione attuale. Dalla lettura della giurisprudenza
rinvenuta risulta che l'avvio della procedura ablatoria, da
parte dell'amministrazione interessata, avviene mediante
approvazione del progetto dell'opera pubblica da realizzare
e che compete al Giudice l'accertamento (su contenzioso
instaurato dal soggetto espropriato) della prevalenza
dell'interesse pubblico sotteso alla nuova opera rispetto
alla precedente destinazione dei beni pubblici espropriati
[17].
---------------
[1] I beni del demanio idrico fanno parte del demanio
naturale necessario dello Stato, sono cioè beni che non
possono non appartenere allo Stato (cfr. A. Torrente, P.
Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè,
1985, p. 140).
[2] C. Cass., sez. un., 06.11.1998, n. 11211.
[3] C. Cass., sez. un., 18.12.1998, n. 12701. Nello stesso
senso, Tribunale superiore delle acque, 20.03.1996, n. 32,
il quale, con riferimento alla previsione codicistica di cui
all'art. 822, c.c., afferma che fiumi, torrenti ed altri
corsi d'acqua sono individuati dal loro alveo, intendendosi
come tale lo spazio che le acque fluenti giungono a coprire
nelle condizioni di piena ordinaria.
[4] Tribunale superiore delle acque, 20.03.1996, n. 32.
Nello stesso senso, Trib. Sup. acque, 20.10.1992, n. 79,
secondo cui ai sensi dell'art. 934, c.c., la proprietà
dell'alveo del lago e cioè del terreno sotto l'acqua o
ricoperto dall'acqua durante le piene ordinarie appartiene
al proprietario dello stagno o del lago, nella specie il
demanio. Mentre, il terreno circostante un lago, che si
trovi sopra il livello dell'acqua nelle piene ordinarie,
ricoperto solo dalle piene straordinarie, è di proprietà
privata.
[5] C. Cass., sez. un., 14.11.2003, n. 17295; C. Cass.,
09.04.1998, n. 3667; C. Cass., 28.08.2002, n. 12608.
[6] C. Cass., 26.04.2000, n. 5346; C. Cass., sez. un.,
01.07.2009, n. 15378 e C. Cass. 02.03.1989, n. 1161, in
relazione ai beni facenti parte del patrimonio
indisponibile.
[7] C. Cass. 14.08.1998, n. 8045.
[8] C. Cass., 08.09.1983, n. 5527.
[9] Comm. trib. reg. Firenze, sez. XVI, 22.09.2011, n. 48.
[10] Cfr. C. Cass. n. 1718/2007 e n. 4402/1998, relative
alla costituzione di un diritto di superficie nell'ambito di
una concessione demaniale.
[11] C. Cass., sez. un., 13.02.1997, n. 1324.
[12] C. Cass., sez. un., 13.02.1997, n. 1324, che richiama,
sul punto, C. Cass., 28.02.1969, n. 670.
[13] C. Cass., 27.02.1980, n. 1369, relativa alla
concessione di area demaniale con facoltà per il
concessionario di procedere alla costruzione di un
manufatto.
[14] D.P.R. 08.06.2001 n. 327, recante: 'Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di
espropriazione per pubblica utilità'.
[15] Paolo Pirruccio, L'espropriazione per pubblica utilità.
Procedimento amministrativo e contenzioso giurisdizionale,
Cedam, 2011, p. 68.
[16] Cfr. Francesco Caringella e Giuseppe De Marzo, Il nuovo
diritto amministrativo, L'espropriazione per pubblica
utilità, Milano, Giuffrè, 2007, pp. 49-50. Per gli autori,
preso atto che non è chiaro chi e in che modo si stabilisce
la prevalenza dell'interesse pubblico, si può ipotizzare una
iniziativa del promotore della espropriazione volta ad
attivare il procedimento in cui si valuti se sottrarre il
bene alla destinazione attuale, in funzione del
soddisfacimento del diverso interesse sotteso alla procedura
ablatoria. Si può poi ipotizzare sia un atto autonomo, di
sottrazione del bene alla attuale destinazione, sia la
evidenziazione della prevalenza dell'interesse perseguito
con la procedura di espropriazione in sede di dichiarazione
di pubblica utilità (Cfr. Francesco Caringella e Giuseppe De
Marzo, Il nuovo diritto amministrativo, L'espropriazione per
pubblica utilità, Milano, Giuffrè, 2007, pp. 49-50).
[17] Cfr. TAR Puglia, n. 2079/2008 e Cons. St., n.
2047/2010, in cui i Giudici amministrativi si pronunciano su
un ricorso proposto da un Consorzio per l'annullamento delle
deliberazioni del C.I.P.E. recanti approvazione del progetto
definitivo e preliminare del raddoppio di una tratta
ferroviaria, e di tutti i provvedimenti presupposti,
connessi e conseguenti. Il Consorzio, nel caso di specie,
contesta l'avvio della procedura ablatoria promossa per
realizzare un'opera approvata da un'altra amministrazione,
cui avrebbe fatto seguito l'espropriazione di alcuni
immobili appartenenti al patrimonio indisponibile del
Consorzio stesso, deducendo, tra le altre censure, la
violazione dell'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 327/2001
(30.04.2013
- link a www.regione.fvg.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Appalti di fornitura e servizi pubblici affidati
direttamente.
L’art. 5 della legge n. 381 del 1991, concede agli enti
pubblici la possibilità di affidare direttamente, soltanto
in presenza di determinati presupposti, la fornitura di beni
e servizi.
Questo il principio affermato dal Consiglio di Stato, Sez.
VI, con la
sentenza 29.04.2013 n. 2342.
Nel caso in esame, relativo all’affidamento della gestione
di un campo sportivo comunale per lo svolgimento di attività
fieristiche, una società operante nel settore aveva
impugnato il provvedimento con il quale l’amministrazione
aveva affidato direttamente l’attività, senza procedere al
preventivo esperimento di una gara pubblica.
Accolto l’appello della società dal Tribunale amministrativo
regionale di primo grado, la sentenza viene appellata dal
Comune dinanzi ai Giudici di Palazzo Spada, secondo i quali:
“Il predetto art. 5 prevede che «gli enti pubblici,
compresi quelli economici, e le società di capitali a
partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in
materia di contratti della pubblica amministrazione»,
possono stipulare convenzioni con le cooperative che
svolgono attività agricole, industriali, commerciali o di
servizi «per la fornitura di beni e servizi diversi da
quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al
netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle
direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché
tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di
lavoro per le persone svantaggiate».”
Da una corretta applicazione della norma discende pertanto
che l’amministrazione può affidare direttamente alle
cooperative sociali appalti di fornitura di beni e servizi
pubblici, soltanto alle condizioni prestabilite, visto
oltretutto che: “Tale tipologia di appalti presuppone, in
coerenza con la causa del contratto, che la relativa
prestazione sia rivolta all’amministrazione per soddisfare
una sua specifica esigenza al fine di ottenere, quale
corrispettivo, il pagamento di una determinata somma.”
In conclusione, l’appello dell’amministrazione comunale è
rigettato perché nel caso in esame si è in presenza di una
concessione di bene pubblico, rispetto alla quale devono
essere seguite rigorosamente le procedure di garanzia per la
scelta del concessionario dettate dal Codice dei contratti,
mentre gli appalti di fornitura e servizi pubblici possono
essere affidati direttamente esclusivamente in presenza dei
presupposti di cui all’art. 5 della legge n. 381/1991
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La centrale unica di committenza si sostituisce al singolo
comune.
Domanda
La centrale unica di committenza in vigore dal 01.04.2013
per i Comuni non superiori ai 5.000 abitanti, lascia
inalterata la possibilità di ricorrere -per il singolo
Comune- alle disposizioni di cui all'art. 125 del Codice
dei Contratti in tema di lavori e forniture di beni e
servizi in economia? Oppure, anche per i lavori, beni e
servizi di importo inferiore ai 40.000 Euro è obbligatorio
ricorrere alla centrale unica di committenza?
Risposta
L'art. 33, comma 3-bis, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 stabilisce
che "I Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti
ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano
obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza
l'acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito
delle unioni dei comuni, di cui all'art. 32, D.Lgs.
18.08.2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un
apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e
avvalendosi dei competenti uffici. In alternativa, gli
stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti
attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da
altre centrali di committenza di riferimento...".
E' evidente che la centrale di committenza o il consorzio si
sostituiscono al singolo comune nell'espletamento di tutte
le gare e, quindi, anche di quelle informali relative alle
procedure in economia di cui all'art. 125 D.Lgs.
12.04.2006, n. 163. Infatti, non può ritenersi autorizzata
una lettura limitativa della norma, là dove stabilisce che i
comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti
"affidano obbligatoriamente ad un'unica centrale di
committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture",
utilizzando l'espressione più ampia.
Inoltre, l'accentramento nelle mani della centrale di
committenza o di un consorzio consente -in generale- un
risparmio di spesa e la possibilità di ottenere prezzi più
convenienti per la P.A., trattando la centrale per una
pluralità di enti (26.04.2013 - tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI: Il dl sblocca debiti entra nel vivo.
Entro il 29/04 registrazione alla piattaforma telematica.
Ore cruciali per cogliere le chance
del decreto. Spazi finanziari da comunicare entro il 30.
Mancano pochi giorni alle prime, importanti scadenze
previste dal decreto sblocca-debiti (dl 35/2013).
Riepiloghiamo i principali adempimenti cui sono tenuti gli
enti locali, alla luce dei chiarimenti operativi forniti nei
giorni scorsi dagli organi competenti.
Registrazione alla piattaforma telematica per la
certificazione del crediti (art. 7, commi 1-2).
La scadenza è fissata al 29 aprile. Ricordiamo che
l'accreditamento deve essere effettuato a cura del
responsabile della p.a. interessata, che negli enti locali è
identificato con il presidente della provincia o il sindaco,
ovvero con il direttore generale/segretario.
Deroga relativa al Patto 2013 (art. 1, comma 2). Entro il 30
aprile (termine perentorio) occorre comunicare, mediante il
sistema web della Rgs, l'ammontare dei debiti di parte
capitale certi, liquidi ed esigibili al 31/12/2012 o
supportati a tale data dal fattura o richiesta equivalente
di pagamento e l'entità degli spazi finanziari necessari per
sostenere i relativi pagamenti. I debiti vanno disaggregati
per tipologia, distinguendo quelli relativi a lavori
pubblici dagli altri. L'ammontare degli spazi finanziari
richiesti potrà essere al massimo pari a quello dei debiti o
eventualmente inferiore se l'ente non dispone o non ritiene
di poter acquisire una sufficiente disponibilità di cassa.
Con le stesse modalità occorre comunicare, a fini puramente
statistici, anche l'entità dei debiti di parte corrente
esistenti (nel senso chiarito) al 31/12/2012 , limitatamente
(come ha chiarito il Mef) a quelli non ancora estinti.
Richiesta delle anticipazioni di cassa (art. 1, comma 13).
Scade il 30 aprile anche il termine (perentorio) entro cui
gli enti locali possono presentare alla Cassa depositi e
prestiti la relativa richiesta. Quest'ultima, ammessa anche
a fronte di debiti di parte corrente, deve essere
sottoscritta dal rappresentante legale e dal responsabile
del servizio finanziario e trasmessa alla Cdp mediante pec o
telefax, ovvero consegnata a mano. Essa non deve essere
necessariamente preceduta da una deliberazione consiliare.
È, invece, necessaria la determinazione a contrattare da
parte del dirigente responsabile. In caso di accoglimento
della richiesta, la stipula del contratto avverrà mediante
scambio di corrispondenza e senza necessità di autentica
delle firme. Una volta ottenuta la liquidità, i beneficiari
dovranno procedere all'immediata estinzione dei propri
debiti, comprovandola mediante una certificazione analitica
sottoscritta dal ragioniere capo e trasmessa alla stessa Cdp
entro 45 giorni dall'erogazione dell'anticipazione.
Ricordiamo che, oltre a tale modalità, gli enti a corto di
cassa possono fare ricorso all'anticipazione di tesoriera,
che fino al 30 settembre può salire fino a 5/12 delle
entrate correnti. Fra i due strumenti non c'è alcun ordine
di priorità, come chiarito dalle faq della Cdp.
Comunicazioni ai creditori (art. 6, comma 9). Entro il 30
giugno, anche gli enti locali (come le altre p.a.) devono
comunicare ai creditori, anche a mezzo posta elettronica
(sono, quindi, ammesse altre forme di comunicazione)
l'importo e la data entro cui provvederanno ai pagamenti del
loro debiti. La norma è poco chiara in ordine alla portata
dell'obbligo. Tuttavia, il riferimento generico ai
«pagamenti» sembra da riferire soltanto a quelli che
effettivamente verranno disposti e quindi a quelli
autorizzati in deroga al Patto e per i quali l'ente debitore
dispone della necessaria liquidità.
Ricognizione degli altri debiti (art. 7, commi 4-7). I
debiti, anche di parte corrente, certi, liquidi ed esigibili
al 31/12/2012 (non quindi quelli fatturati o richiesti in
pagamento alla stessa data) che non verranno estinti grazie
alle misure di cui sopra dovranno essere comunicati tramite
la piattaforma telematica a partire dal 1° giugno ed entro
il 15 settembre. Per i creditori, tale comunicazione avrà
valenza di certificazione dei propri crediti, che si
intenderà rilasciata senza data di pagamento, ai sensi
dell'art. 2, comma 2, del d.m. 25/06/2012.
Ricordiamo, infine, che l'art. 6, comma 3, prevede l'obbligo
di pubblicare sul sito internet i piani dei pagamenti
aggregati per classi di debiti. Sebbene tale norma non paia
immediatamente applicabile agli enti locali è comunque
consigliabile provvedervi. Per tale adempimento, non è
prevista alcuna scadenza, ma la pubblicazione può avvenire
contestualmente all'invio delle comunicazioni ai creditori
(articolo ItaliaOggi del 26.04.2013). |
APPALTI:
In ordine alle modalità
di conservazione e di custodia delle buste contenenti le
offerte (e circa la consistenza del relativo onere di
verbalizzazione) si sono manifestati due contrapposti
orientamenti giurisprudenziali; un primo, più
rigoroso, secondo cui l’omessa menzione nei verbali di gara
delle specifiche cautele adottate a tutela dell’integrità e
della conservazione delle buste contenenti le offerte
determinerebbe di per sé l’illegittimità delle operazioni di
gara, indipendentemente dalla dimostrazione dell’effettiva
manomissione delle buste e del loro contenuto, ed un
secondo, secondo cui sarebbe invece necessario addurre
elementi concreti e specifici tali da far ritenere
probabile, o quanto meno possibile, la sostituzione delle
buste, la manomissione delle offerte o eventuali altri fatti
rilevanti ai fini della regolarità della procedura.
Tale contrasto giurisprudenziale, pur macroscopicamente e
suggestivamente apprezzabile in modo diretto sul piano della
ricognizione dei principi risultanti dalle massime delle
relative pronunce, si presenta tuttavia più attenuato
allorquando si procede ad un esame accurato delle concrete
situazioni che ne hanno costituito il substrato materiale,
emergendo aspetti peculiari tali da destare quanto meno un
ragionevole sospetto circa un’avvenuta effettiva
manomissione dei documenti di gara o anche il solo rischio
concreto che tale manomissione potesse verificarsi.
Peraltro, nella questione in esame non può prescindersi dal
considerare che nelle gare di appalto l’amministrazione ha
la piena disponibilità e l’integrale responsabilità della
conservazione degli atti di gara, cui in corso del
procedimento l’interessato non può subito accedere, giusto
quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, del D.lgs. n. 163
del 2006, e che spetta quindi alla stessa, ma solo a fronte
di una seria e non emulativa allegazione presuntiva
dell’interessato circa l’effetto di non genuinità degli atti
stessi e fermo il diritto d’accesso, di dar idonea contezza
dell’efficacia dei metodi di custodia in concreto adoperati,
a tal fine dimostrandola non solo con il verbale (che di per
sé ha fede privilegiata), ma pure con ogni idoneo mezzo di
prova.
Le anomalie che devono quindi essere quantomeno allegate per
dimostrare un interesse non emulativo alla custodia dei
plichi possono ragionevolmente ricondursi all’eccessiva
durata delle operazioni di gara, all’inversione dell’ordine
di valutazione tra offerta tecnica ed economica, alla
sottrazione di un documento di gara ad opera di ignoti
ovvero alla presenza di effettivi, puntuali e circostanziati
elementi di fatto, idonei a poter essere apprezzati come
ragionevoli o non illogici e arbitrari indizi o sintomi di
una possibile manomissione dei documenti di gara.
In definitiva, in presenza del generale obbligo di custodia
dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione
appaltante è da presumere che lo stesso sia stato assolto
con l’adozione delle ordinarie garanzie di conservazione
degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità
ed integrità dei relativi plichi, così che la generica
doglianza, secondo cui le buste contenenti le offerte non
sarebbero state adeguatamente custodite, è irrilevante
allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto,
quali anomalie nell’andamento della gara ovvero specifiche
circostanze atte a far ritenere che si possa esser
verificata la sottrazione o la sostituzione dei medesimi
plichi, la manomissione delle offerte o un altro fatto
rilevante al fine della regolarità della procedura.
A tale ragionevole e condivisibile impostazione si è
attenuta questa stessa Sezione anche con la recentissima
sentenza n. 978 del 18.02.2013, dalla quale non vi è motivo
di discostarsi, con la quale è stato significativamente
ribadito che: “a) la mancata dettagliata indicazione nei
verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei
plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la
segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di
illegittimità del verbale e della complessiva attività posta
in essere dalla commissione di gara, dovendo invece aversi
riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata
l’alterazione della documentazione;
b) la mancanza delle citate cautele assume solo un ruolo
indiziario rispetto alla dimostrazione di concreti elementi
che facciano dubitare della corretta conservazione,
occorrendo comunque provare che vi sia stata una violazione
dell’integrità e segretezza dei plichi;
c) se il verbale indica che i plichi sono conservati in
luogo chiuso, senza ulteriori specificazioni, e se in
ciascun verbale si dichiara che i plichi pervenuti risultano
tutti integri e debitamente sigillati e firmati sui lembi di
chiusura, facendo il verbale prova fino a querela di falso,
si deve escludere sia avvenuta una manomissione e che le
operazioni di gara siano illegittime;
d) una esegesi integrativa dell’art. 78 del Codice dei
contratti pubblici consente di definire una più precisa
distribuzione dell’onere della prova tra i due soggetti del
rapporto procedimentale, tanto affinché tale integrazione
non si risolva nella distorsione dei canoni di logicità e di
buon andamento dell’attività amministrativa anche nei casi
di evidenza pubblica, se non addirittura, in un controllo
meramente formale della verbalizzazione, più che del
riscontro oggettivo dei fatti…”.
La Sezione non ignora che in ordine alle modalità di conservazione
e di custodia delle buste contenenti le offerte (e circa la
consistenza del relativo onere di verbalizzazione) si sono
manifestati due contrapposti orientamenti giurisprudenziali;
un primo, più rigoroso (di cui la sentenza impugnata ha
fatto applicazione), secondo cui l’omessa menzione nei
verbali di gara delle specifiche cautele adottate a tutela
dell’integrità e della conservazione delle buste contenenti
le offerte determinerebbe di per sé l’illegittimità delle
operazioni di gara, indipendentemente dalla dimostrazione
dell’effettiva manomissione delle buste e del loro contenuto
(cfr., ad es., C.d.S., Sez. V, 28.03.2012, n. 1862), ed
un secondo, secondo cui sarebbe invece necessario addurre
elementi concreti e specifici tali da far ritenere
probabile, o quanto meno possibile, la sostituzione delle
buste, la manomissione delle offerte o eventuali altri fatti
rilevanti ai fini della regolarità della procedura (ex multis, C.d.S., Sez. V, 18.10.2011, n. 5579 e, più di
recente, Sez. III, 14.01.2013, n. 145).
Tale contrasto giurisprudenziale, pur macroscopicamente e
suggestivamente apprezzabile in modo diretto sul piano della
ricognizione dei principi risultanti dalle massime delle
relative pronunce, si presenta tuttavia più attenuato
allorquando si procede ad un esame accurato delle concrete
situazioni che ne hanno costituito il substrato materiale,
emergendo aspetti peculiari tali da destare quanto meno un
ragionevole sospetto circa un’avvenuta effettiva
manomissione dei documenti di gara o anche il solo rischio
concreto che tale manomissione potesse verificarsi.
Peraltro, com’è stato recentemente osservato (C.d.S., sez.
III, 05.02.2013, n. 688), nella questione in esame non
può prescindersi dal considerare che nelle gare di appalto
l’amministrazione ha la piena disponibilità e l’integrale
responsabilità della conservazione degli atti di gara, cui
in corso del procedimento l’interessato non può subito
accedere, giusto quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, del
D.lgs. n. 163 del 2006, e che spetta quindi alla stessa, ma
solo a fronte di una seria e non emulativa allegazione
presuntiva dell’interessato circa l’effetto di non genuinità
degli atti stessi e fermo il diritto d’accesso, di dar
idonea contezza dell’efficacia dei metodi di custodia in
concreto adoperati, a tal fine dimostrandola non solo con il
verbale (che di per sé ha fede privilegiata), ma pure con
ogni idoneo mezzo di prova.
Le anomalie che devono quindi essere quantomeno allegate per
dimostrare un interesse non emulativo alla custodia dei
plichi possono ragionevolmente ricondursi all’eccessiva
durata delle operazioni di gara, all’inversione dell’ordine
di valutazione tra offerta tecnica ed economica (Consiglio
di Stato, Sez. V, 28.03.2012, n. 1862), alla sottrazione
di un documento di gara ad opera di ignoti ovvero alla
presenza di effettivi, puntuali e circostanziati elementi di
fatto, idonei a poter essere apprezzati come ragionevoli o
non illogici e arbitrari indizi o sintomi di una possibile
manomissione dei documenti di gara (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27.07.2011, n. 4487).
In definitiva, in presenza del generale obbligo di custodia
dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione
appaltante è da presumere che lo stesso sia stato assolto
con l’adozione delle ordinarie garanzie di conservazione
degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità
ed integrità dei relativi plichi, così che la generica
doglianza, secondo cui le buste contenenti le offerte non
sarebbero state adeguatamente custodite, è irrilevante
allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto,
quali anomalie nell’andamento della gara ovvero specifiche
circostanze atte a far ritenere che si possa esser
verificata la sottrazione o la sostituzione dei medesimi
plichi, la manomissione delle offerte o un altro fatto
rilevante al fine della regolarità della procedura.
A tale ragionevole e condivisibile impostazione si è
attenuta questa stessa Sezione anche con la recentissima
sentenza n. 978 del 18.02.2013, dalla quale non vi è
motivo di discostarsi, con la quale è stato
significativamente ribadito che: “a) la mancata dettagliata
indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di
custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per
garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per
sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva
attività posta in essere dalla commissione di gara, dovendo
invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia
verificata l’alterazione della documentazione;
b) la
mancanza delle citate cautele assume solo un ruolo
indiziario rispetto alla dimostrazione di concreti elementi
che facciano dubitare della corretta conservazione,
occorrendo comunque provare che vi sia stata una violazione
dell’integrità e segretezza dei plichi;
c) se il verbale
indica che i plichi sono conservati in luogo chiuso, senza
ulteriori specificazioni, e se in ciascun verbale si
dichiara che i plichi pervenuti risultano tutti integri e
debitamente sigillati e firmati sui lembi di chiusura,
facendo il verbale prova fino a querela di falso, si deve
escludere sia avvenuta una manomissione e che le operazioni
di gara siano illegittime;
d) una esegesi integrativa
dell’art. 78 del Codice dei contratti pubblici consente di
definire una più precisa distribuzione dell’onere della
prova tra i due soggetti del rapporto procedimentale, tanto
affinché tale integrazione non si risolva nella distorsione
dei canoni di logicità e di buon andamento dell’attività
amministrativa anche nei casi di evidenza pubblica, se non
addirittura, in un controllo meramente formale della
verbalizzazione, più che del riscontro oggettivo dei
fatti…”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 24.04.2013 n. 2282 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sebbene, secondo un
consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è
motivo di discostarsi, le garanzie di imparzialità,
pubblicità, trasparenza e speditezza dell’azione
amministrativa, postulano che le sedute di una commissione
di gara debbano ispirarsi al principio di concentrazione e
continuità e che, conseguentemente, la valutazione delle
offerte tecniche ed economiche deve avvenire in una sola
seduta, senza soluzione di continuità, al fine di
scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare
l’assoluta indipendenza di giudizio dell’organo incaricato
della valutazione stessa, è stato tuttavia anche
sottolineato che tale principio è soltanto tendenziale ed è
suscettibile di deroga, potendo verificarsi situazioni
particolari che obiettivamente impediscono l’espletamento di
tutte le operazioni in una sola seduta, dovendo in questo
caso essere minimo l’intervallo tra una seduta e predisporre
adeguate garanzie di conservazione dei plichi.
Quanto al secondo
profilo la Sezione osserva che sebbene, secondo un
consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è
motivo di discostarsi, le garanzie di imparzialità,
pubblicità, trasparenza e speditezza dell’azione
amministrativa, postulano che le sedute di una commissione
di gara debbano ispirarsi al principio di concentrazione e
continuità e che, conseguentemente, la valutazione delle
offerte tecniche ed economiche deve avvenire in una sola
seduta, senza soluzione di continuità, al fine di
scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare
l’assoluta indipendenza di giudizio dell’organo incaricato
della valutazione stessa, è stato tuttavia anche
sottolineato che tale principio è soltanto tendenziale
(C.d.S., sez. V, 25.07.2006, n. 4657; sez. IV, 05.10.2005,
n. 5360) ed è suscettibile di deroga, potendo verificarsi
situazioni particolari che obiettivamente impediscono
l’espletamento di tutte le operazioni in una sola seduta
(C.d.S., sez. V, 23.11.2010, n. 8155; 03.01.2002, n. 5;
16.11.2000, n. 6388), dovendo in questo caso essere minimo
l’intervallo tra una seduta e predisporre adeguate garanzie
di conservazione dei plichi (C.d.S., sez. III, 31.12.2012,
n. 6714).
Nel caso in esame l’attività di valutazione delle offerte
tecniche presentate dalle imprese partecipanti alla gara è
durata meno di due mesi, in particolare dal 30.11.2011
(verbale n. 1) al 27.01.2012 (verbale n. 13, laddove nella
seduta del 24.02.2012, verbale n. 14, si è proceduto
all’apertura delle buste contenente l’offerta economica),
periodo che, anche con riferimento alla complessità delle
operazioni svolte (di cui i singoli verbali delle sedute
danno ampiamente atto), non può essere considerato
eccessivo, arbitrario o illogico (anche in ragione
dell’intervenuta necessità di sostituire due componenti
della commissione), a nulla rilevando che i singoli verbali
non contengano alcuna menzione circa la necessità di
aggiornare di volta in volta l’attività della commissione,
fissando una nuova riunione; né d’altra parte è logico e
ragionevole ritenere che le complesse e articolate
operazioni di valutazione delle offerte (indicate nei
verbali della commissione) potessero effettivamente
esaurirsi in un’unica riunione.
Non sussiste pertanto la dedotta violazione del principio di
concentrazione e continuità delle operazioni di valutazione,
tanto più che, come è già stato evidenziato, dal solo numero
delle sedute della commissione di gara non possono farsi
discendere sospetti circa la regolarità delle operazioni di
valutazione (C.d.S., sez. III, 26.09.2012, n. 5105)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 24.04.2013 n. 2282 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Se non può dubitarsi dell’esistenza di un
generale principio regolatore delle gare pubbliche che vieta
la commistione fra i criteri soggettivi di qualificazione e
quelli oggettivi di valutazione delle offerte, principio la
cui ratio deve essere rintracciata nell’esigenza di
assicurare la più ampia possibilità di partecipazione delle
imprese alle gare attraverso la rigida separazione tra
requisiti di partecipazione e requisiti dell’offerta e
dell’aggiudicazione, tale principio non può tuttavia
ritenersi eluso o violato allorché gli aspetti organizzativi
non sono destinati ad essere apprezzati in quanto tali, in
modo avulso dall’offerta, come dato relativo alla mera
affidabilità soggettiva, ma piuttosto quale garanzia della
prestazione del servizio secondo le modalità prospettate
nell’offerta, come elemento cioè incidente sulle modalità
esecutive dello specifico servizio e quindi come parametro
afferente alle caratteristiche oggettive dell’offerta.
In realtà, se non
può dubitarsi dell’esistenza di un generale principio
regolatore delle gare pubbliche che vieta la commistione fra
i criteri soggettivi di qualificazione e quelli oggettivi di
valutazione delle offerte, principio la cui ratio
deve essere rintracciata nell’esigenza di assicurare la più
ampia possibilità di partecipazione delle imprese alle gare
attraverso la rigida separazione tra requisiti di
partecipazione e requisiti dell’offerta e
dell’aggiudicazione (ex multis, C.d.S., sez. III,
18.06.2012, n. 3550; sez. VI, 04.10.2011, n. 5434; sez. V,
08.09.2010, n. 6490), tale principio non può tuttavia
ritenersi eluso o violato allorché gli aspetti organizzativi
non sono destinati ad essere apprezzati in quanto tali, in
modo avulso dall’offerta, come dato relativo alla mera
affidabilità soggettiva, ma piuttosto quale garanzia della
prestazione del servizio secondo le modalità prospettate
nell’offerta, come elemento cioè incidente sulle modalità
esecutive dello specifico servizio e quindi come parametro
afferente alle caratteristiche oggettive dell’offerta
(C.d.S., sez. V, 23.01.2012, n. 266)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 24.04.2013 n. 2282 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
24.04.2013 n. 96 "Regolamento recante le modalità di
redazione dell’elenco anagrafe delle opere pubbliche
incompiute, di cui all’articolo 44 -bis del decreto-legge
06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla
legge 22.12.2011, n. 214" (Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti,
decreto 13.03.2013 n. 42). |
LAVORI PUBBLICI -
URBANISTICA:
L’individuazione
dell’area ove ubicare un’opera pubblica costituisce una
scelta tecnico-discrezionale dell’amministrazione, che resta
naturalmente sottratta al sindacato di legittimità, salvo
evidenti profili di illogicità o abnormità.
In linea generale, va richiamato il consolidato orientamento
giurisprudenziale, dal quale la Sezione non ravvisa motivo
per discostarsi, secondo cui l’individuazione dell’area ove
ubicare un’opera pubblica costituisce una scelta
tecnico-discrezionale dell’amministrazione, che resta
naturalmente sottratta al sindacato di legittimità, salvo
evidenti profili di illogicità o abnormità (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 15.05.2008, nr. 2247; id., 31.07.2007, nr.
4051) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.04.2013 n. 2257 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI:
L'art. 13 del codice dei contratti pubblici
esclude dal diritto di accesso alcuni specifici atti, tra i
quali appunto “i pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti
all’applicazione del presente codice, per la soluzione di
liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici”.
Interpretando detto art. 13, il giudice amministrativo ha
innanzi tutto precisato che la non ostensibilità di detti
pareri è stata prevista sicuramente perché essi, se riferiti
ad un contenzioso potenziale o attuale con l’appaltatore,
sono investiti dalle stesse esigenze di riservatezza che
tutelano le ragioni di ordine patrimoniale della stazione
appaltante; detta giurisprudenza ha, inoltre, anche
precisato che tale disposizione, fissando una regola che
appare sostanzialmente ricognitiva dei principi applicabili
in questa materia, deve essere interpretata in modo
restrittivo, rappresentando una norma eccezionale, in quanto
derogatoria rispetto alle ordinarie regole in materia di
accesso, con la conseguenza che tale normativa deve
intendersi riferibile alla sola fase di stipulazione dei
contratti pubblici di cui all'art. 12 del d.lgs. 163/2006 e
non a tutta quella anteriore, per cui risultano accessibili
quei pareri legali che, anche per l’effetto di un richiamo
esplicito nel provvedimento finale, rappresentano un
passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento
amministrativo in corso e che, una volta acquisiti
dall’Amministrazione, vengono ad innestarsi nell’iter
procedimentale, assumendo la configurazione di atti
endoprocedimentali e, quindi, costituenti uno degli elementi
che condizionano la scelta dell’Amministrazione medesima.
In estrema sintesi, in materia di accesso ai pareri legali
forniti alla P.A., occorre distinguere due diverse
ipotesi:
a) l’ipotesi in cui la consulenza legale esterna si
inserisce nell’ambito di un’apposita istruttoria
procedimentale, nel senso che il parere è richiesto al
professionista con l’espressa indicazione della sua funzione
endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione
dell’atto finale; ed in tale ipotesi la consulenza legale,
pur traendo origine da un rapporto privatistico normalmente
caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra
professionista e cliente, è soggetta all’accesso perché
oggettivamente correlata ad un procedimento amministrativo;
b) l’ipotesi in cui la consulenza sia richiesta dopo
l’avvio di un procedimento contenzioso, o dopo l’inizio di
tipiche attività precontenziose al fini di stabilire la
strategia difensiva dell’Amministrazione, per cui il parere
del legale non è affatto destinato a sfociare in una
determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire
all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico-giuridici utili
per tutelare i propri interessi; in questa ipotesi, tali
consulenze restano caratterizzate dalla riservatezza, che
mira a tutelare non solo l’opera intellettuale del legale,
ma anche la stessa posizione della P.A., la quale,
esercitando il proprio diritto di difesa protetto
costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non
inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto
dell’ordinamento.
Relativamente, invece, alla richiesta di
accesso al predetto parere legale, va subito precisato che
il ricorso è fondato.
L’Amministrazione comunale -come sopra esposto- ha
respinto l’istanza di accesso a tale parere legale in quanto
tale atto doveva intendersi “sottratto all’accesso, in virtù
dell’art. 13, comma 5, lett. c), del D.Lgs. 163/2006”; negli
scritti difensivi ha meglio precisato che con tale parere
era stata suggerita la linea di condotta dell’Ente in una
fase precontenziosa, per cui tale parere non costituiva -così come ipotizzato nel gravame- un “passaggio
procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo
in corso”, ma che atteneva “strettamente” ai rapporti tra
l’Amministrazione ed il proprio legale, per cui, in base
alla norma in questione era di certo sottratto all’accesso.
Tale art. 13 del codice dei contratti pubblici esclude,
invero, dal diritto di accesso alcuni specifici atti, tra i
quali appunto “i pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti
all’applicazione del presente codice, per la soluzione di
liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici”.
Ora va al riguardo ricordato che, interpretando detto art.
13, il giudice amministrativo ha innanzi tutto precisato che
la non ostensibilità di detti pareri è stata prevista
sicuramente perché essi, se riferiti ad un contenzioso
potenziale o attuale con l’appaltatore, sono investiti dalle
stesse esigenze di riservatezza che tutelano le ragioni di
ordine patrimoniale della stazione appaltante; detta
giurisprudenza ha, inoltre, anche precisato che tale
disposizione, fissando una regola che appare sostanzialmente
ricognitiva dei principi applicabili in questa materia, deve
essere interpretata in modo restrittivo, rappresentando una
norma eccezionale, in quanto derogatoria rispetto alle
ordinarie regole in materia di accesso, con la conseguenza
che tale normativa deve intendersi riferibile alla sola fase
di stipulazione dei contratti pubblici di cui all'art. 12
del d.lgs. 163/2006 e non a tutta quella anteriore, per cui
risultano accessibili quei pareri legali che, anche per
l’effetto di un richiamo esplicito nel provvedimento finale,
rappresentano un passaggio procedimentale istruttorio di un
procedimento amministrativo in corso e che, una volta
acquisiti dall’Amministrazione, vengono ad innestarsi
nell’iter procedimentale, assumendo la configurazione di
atti endoprocedimentali e, quindi, costituenti uno degli
elementi che condizionano la scelta dell’Amministrazione
medesima (Cons. St., sez. V, 23.06.2011, n. 3812 e sez. VI, 30.09.2010, n. 7237).
E va al riguardo anche
ricordato che tale ultima decisione è stata resa proprio in
ordine ad una fattispecie per molti versi analoga a quella
ora all’esame, nella quale il parere legale richiesto era
stato richiamato in un atto di autotutela.
In estrema sintesi, in materia di accesso ai pareri legali
forniti alla P.A., occorre distinguere due diverse ipotesi:
a) l’ipotesi in cui la consulenza legale esterna si
inserisce nell’ambito di un’apposita istruttoria
procedimentale, nel senso che il parere è richiesto al
professionista con l’espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione
dell’atto finale; ed in tale ipotesi la consulenza legale,
pur traendo origine da un rapporto privatistico normalmente
caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra
professionista e cliente, è soggetta all’accesso perché
oggettivamente correlata ad un procedimento amministrativo;
b) l’ipotesi in cui la consulenza sia richiesta dopo l’avvio
di un procedimento contenzioso, o dopo l’inizio di tipiche
attività precontenziose al fini di stabilire la strategia
difensiva dell’Amministrazione, per cui il parere del legale
non è affatto destinato a sfociare in una determinazione
amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico
tutti gli elementi tecnico-giuridici utili per tutelare i
propri interessi; in questa ipotesi, tali consulenze restano
caratterizzate dalla riservatezza, che mira a tutelare non
solo l’opera intellettuale del legale, ma anche la stessa
posizione della P.A., la quale, esercitando il proprio
diritto di difesa protetto costituzionalmente, deve poter
fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi
altro soggetto dell’ordinamento.
Ciò premesso, va evidenziato che nel caso ora esame ricorre
la prima delle ipotesi sopra indicate, in quanto il parere
legale richiesto all’avv. De Carolis, di natura
endoprocedimentale, è oggettivamente correlato ad un
procedimento amministrativo ed è stato poi espressamente
richiamato nella motivazione dell’atto di revoca
dell’aggiudicazione. In tale atto, invero, si fa espresso
riferimento a tale parere legale, che -come si legge nella
parte motiva del provvedimento- è stato reso proprio “in
ordine all’esistenza dei presupposti di legge per esercitare
il potere di autotutela mediante revoca per ragioni
economiche sopravvenute” della determinazione di
aggiudicazione della gara; per cui tale consulenza legale,
pur traendo origine da un rapporto privatistico normalmente
caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra
professionista e cliente, deve ritenersi soggetta
all’accesso perché oggettivamente correlata al procedimento
amministrativo in questione, conclusosi con l’atto di revoca
dell’aggiudicazione della gara.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso proposto
deve, pertanto, essere accolto e, per l’effetto, deve
ordinarsi al Comune di consentire alla ricorrente l’accesso
a tale parere legale
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 23.04.2013 n. 240 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Paletti agli approvvigionamenti.
O il mercato elettronico o le centrali di committenza.
Corte
conti Lombardia: sfuggono alla regola solo i beni e servizi
non disponibili.
Sfuggono al mercato elettronico o alle centrali di
committenza solo le acquisizioni di beni e servizi che sia
dimostrato non essere presenti sul alcun mercato
elettronico. Tutte le altre acquisizioni debbono
necessariamente passare dalle centrali di committenza o dai
mercati elettronici.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo della
Lombardia, col
parere 23.04.2013 n. 165,
chiarisce in termini definitivi la questione connessa agli
obblighi incombenti sugli enti locali per le acquisizioni di
beni e servizi e sulle centrali di committenza.
Comuni fino a 5 mila abitanti. I comuni con popolazione fino a 5 mila abitanti sono
soggetti a due obblighi alternativi. Il primo è fissato
dall'articolo 33, comma 3-bis, del dlgs 165/2001 che impone
come prima scelta quella di avvalersi delle centrali di
committenza obbligatoriamente costituite mediante unioni di
comuni o consorzi; la seconda opportunità è di effettuare
gli acquisti «attraverso gli strumenti elettronici di
acquisto gestiti da altre centrali di committenza di
riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all'articolo
26 della legge 23.12.1999, n. 488 ed il mercato
elettronico della pubblica amministrazione di cui
all'articolo 328 del dpr 05.10.2010, n. 207».
L'obbligo di avvalersi delle centrali di committenza o, in
alternativa, dei mercati elettronici, precisa molto
chiaramente la sezione Lombardia, vale tanto per gli appalti
di importo superiore alla soglia comunitaria, quanto per gli
importi inferiori alla soglia comunitaria. In ogni caso,
l'alternativa tra centrali di committenza e mercati
elettronici è piena.
Comuni con oltre 5 mila abitanti e province. Gli enti locali
di maggiori dimensioni non sono soggetti alle disposizioni
dell'articolo 33, comma 3-bis del codice dei contratti.
Essi, sopra soglia, sono liberi di attivare procedure
contrattuali autonome, a meno che non siano operative le
convenzioni di cui all'articolo 26, comma 3 della legge
488/1999 stipulate dalla Consip o dalle centrali di
committenza regionali costituite ai sensi dell'articolo 1,
comma 455, della legge 296/2006.
Per gli acquisti sotto soglia, si applica l'articolo 1,
comma 450, della legge 296/2006, che obbliga le
amministrazioni locali ad effettuare gli acquisti di beni e
servizi dai mercati elettronici indicati dall'articolo 328
del dpr 207/2010.
È opportuno precisare che l'articolo 1, comma 450, della
legge 296/2006 si applica anche agli enti fino a 5 mila
abitanti, ma in questo caso, detta norma va coordinata con
le già viste disposizioni di cui all'articolo 33, comma
3-bis, del codice dei contratti.
Acquisizioni in economia per piccoli comuni. Sfuggono
all'obbligo di avvalersi della centrale di committenza
valevole per i comuni fino a 5 mila abitanti solo le
acquisizioni in economia in amministrazione diretta e quelle
mediante cottimo fiduciario, per importi fino a 40 mila
euro. Infatti, in questo caso, non essendovi propriamente
gare, l'articolo 33, comma 3-bis, del dlgs 163/2006, secondo
la Corte dei conti, non trova applicazione.
Tuttavia, proprio perché comunque resta operante l'articolo
1, comma 450, della legge 296/2006, le acquisizioni mediante
cottimo fiduciario al di sotto dei 40 mila euro debbono
essere effettuate attraverso il Me.Pa. o gli altri mercati
elettronici contemplati dall'articolo 328 del dpr 207/2010.
Il parere della Sezione afferma che lo stesso vale nel caso
dell'amministrazione diretta: occorre aggiungere, però,
qualora l'acquisizione occorrente per la resa della
prestazione sia inferiore ai 40 mila euro.
Acquisizioni in economia per comuni con oltre 5 mila
abitanti e province. Per gli enti di maggiori dimensioni, le
acquisizioni in economia mediante cottimo fiduciario debbono
sempre essere effettuate ricorrendo ai mercati elettronici.
Sfuggono solo le acquisizioni in economia mediante
amministrazione diretta, eseguibili con materiali e mezzi
già nella disponibilità degli enti (ovviamente, questo vale
anche per gli enti fino a 5 mila abitanti).
Acquisti al di fuori dei mercati elettronici. Il parere
della sezione Lombardia spiega che la possibilità di
ricorrere alla procedura ex art. 125 del dlgs 163/2006 al di
fuori dei mercati elettronici residua solo qualora non sia
possibile reperire i beni o i servizi necessitati.
A tale scopo, occorre darne atto nella determinazione a
contrarre, che dovrà essere necessariamente preceduta dalla
evidenziazione delle caratteristiche tecniche necessarie del
bene e del servizio e dall'indagine sulla sussistenza nei
mercati elettronici disponibili delle prestazioni richieste,
avendo cura di specificare la motivazione che illustri la
non equipollenza delle prestazioni da acquisire con altri
beni o servizi presenti sui mercati elettronici
(articolo ItaliaOggi del 10.05.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: In
conclusione, operando una lettura complessiva dell’articolo
33, comma 3-bis, del codice dei contratti, coordinato con il
comma 450
della legge n. 296/2006,
si deve affermare che il ricorso ad
un’unica centrale di committenza è obbligatorio per tutte le
procedure concorsuali relative ad appalti di importo
superiore alla soglia di rilevanza comunitaria nonché per
gli acquisti in economia di importo superiore ad € 40.000,00
mediante cottimo fiduciario e non invece per gli acquisti,
mediante medesima procedura, di importo inferiore e per
quelli mediante amministrazione diretta.
Conseguentemente, l’obbligo alternativo previsto dal secondo
periodo del medesimo comma 33 (“In alternativa, gli stessi
Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli
strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali
di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni
di cui all’articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 e ed
il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui
all’articolo 328 del d.P.R. 05.10.2010, n. 207”) dovrebbe
trovare applicazione solo per i suddetti acquisti.
Tuttavia, anche per acquisti mediante cottimo fiduciario di
importo inferiore ad € 40.000,00 o per acquisti mediante
amministrazione diretta, non ricompresi nell’articolo 33,
comma 3-bis, cod. contr., trova applicazione l’obbligo di
ricorso alle forme di mercato elettronico previste
dall’articolo 1, comma 450, della legge n. 296/2006 come
modificata dalla legge n. 94/2012 (“al mercato elettronico
della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati
elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328
ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla
centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle
relative procedure”).
Restano salve le specifiche eccezioni sopra riportate.
Quanto, infine, alla portata cogente della norma contenuta
nell’articolo 33 cod. contr. (e dell’articolo 1, comma 450,
legge n. 296/2006), si ribadisce
l’alternativa offerta ai comuni di popolazione inferiore a
5.000 abitanti (centrale di committenza o mercato
elettronico), fermo restando che il mancato ricorso ad una
delle due modalità ivi previste determinerà l’applicazione
dell’impianto sanzionatorio previsto dall’articolo 1, comma
1, d.l. n. 95/2012.
---------------
Il sindaco del comune di Castel Rozzone, con nota n. 1090
del 11.03.2013, chiedeva all’adita Sezione l’espressione
di un parere in ordine all’obbligo delle centrali di
committenza per i Comuni con popolazione inferiore a 5.000
abitanti.
In particolare, il comune di Castel Rozzano, richiamata la
pertinente normativa (art. 33, comma 3-bis, d.lgs. n.
163/2006), formulava i seguenti quesiti:
a) se sia ipotizzabile che la competenza per la gestione
degli affidamenti mediante cottimo fiduciario nonché per
quelli disciplinati dall’articolo 125, commi 8 e 11, del
codice degli appalti, inferiori ad € 40.000,00, resti in
capo al Comune dato il riferimento normativo alla locuzione
“gare bandite” contenuto nell’articolo 23, comma 5, legge n.
214/2011. In caso di risposta positiva, il comune precisa
che sarà in ogni caso vincolato al ricorso al mercato
elettronico stante le disposizioni vigenti per tutti gli
enti locali;
b) la reale portata cogente dell’articolo 33, comma 3
bis, d.lgs. n. 163/2006, in ordine all’obbligo di ricorrere
ad un’unica centrale ci committenza attesa comunque
l’opzione consentita di ricorrere ad altri sistemi di
approvvigionamento mediante mercato elettronico: si chiede,
in particolare, quali siano le reali differenze, in termini
di approvvigionamento di beni e servizi, fra le norme
generali poste per i comuni con popolazione superiore ai
5.000 abitanti e quelle per i comuni con popolazione
inferiore, in relazione all’alternativa posta dalla norma
evocata.
...
La questione in esame concerne l’interpretazione
dell’articolo 33, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006 a
tenore del quale “I Comuni con popolazione non superiore a
5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna
Provincia affidano obbligatoriamente ad un’unica centrale di
committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture
nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 32
del testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito
accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei
competenti uffici. In alternativa, gli stessi Comuni possono
effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti
elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di
committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di
cui all’articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 e
ed il mercato elettronico della pubblica amministrazione di
cui all’articolo 328 del d.P.R. 05.10.2010, n. 207”.
Tale normativa trova applicazione per le gare bandite
successivamente al 31.03.2013 (vedi l’articolo 23, comma
5, legge n. 214/2011 e l’articolo 29, comma 11-ter, legge n.
14 del 2012).
In relazione a tale disposizione vanno esaminati
separatamente i due quesiti posti dal Comune.
In ordine al primo quesito, l’Ente locale chiede se sia
ipotizzabile che la competenza per la gestione degli
affidamenti mediante cottimo fiduciario nonché per quelli
disciplinati dall’articolo 125, commi 8 e 11, del codice
degli appalti, inferiori ad € 40.000,00, resti in capo al
Comune dato il riferimento normativo alla locuzione alle
“gare bandite” contenuto nell’articolo 23, comma 5, legge n.
214/2011. In caso di risposta positiva, il comune precisa
che sarà in ogni caso vincolato al ricorso al mercato
elettronico stante le disposizioni vigenti per tutti gli
enti locali.
Detto in altri termini, poiché l’articolo 23 della legge n.
214/2011, che ha introdotto il comma 3-bis all’interno
dell’art. 33 codice contratti, nell’individuare la data di
decorrenza dell’obbligo di ricorso alle centrali di
committenza ha fatto espresso ricorso alle “gare bandite”
successivamente ad un certo termine, l’Ente locale si
interroga circa l’effettiva portata del menzionato articolo
33, in particolare con riguardo a procedure che non
richiedono il previo esperimento di una gara tra potenziali
aggiudicatori.
La questione proposta è già stata affrontata dalla
magistratura contabile con la deliberazione della Sezione
Regionale Piemonte n. 271/2012 le cui motivazioni sono
ampiamente condivisibili.
In sostanza, la Sezione Piemonte, dopo aver messo in luce
che l’articolo 33 in esame si colloca al titolo I,
“contratti di rilevanza comunitaria”, della parte II
“contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori
ordinari” del codice dei contratti pubblici, e che per
l’applicabilità della stessa anche ai contratti pubblici
sotto soglia occorre fare riferimento all’art. 121 del
successivo titolo II, ove si prescrive che a questi ultimi
si applicano, oltre alle disposizioni della parte I, della
parte IV e della parte V, anche le disposizioni della parte
II “in quanto non derogate dalle norme del presente titolo”,
evidenzia come “le previsioni di cui all’art. 33, comma 3-bis (al pari delle altre contenute nella parte II del
Codice), si applicano anche ai contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture di importo inferiore alla soglia
comunitaria, solo ove non risultino derogate dalle
disposizioni di cui al titolo II, rubricato “contratti sotto
soglia
comunitaria”.
Non è possibile, in altri termini, concludere in termini
generale ed assoluti che l’articolo 33, comma 3-bis, non si
applichi per tutti gli acquisti/affidamenti sotto soglia
comunitaria.
Tra questi, l’articolo 125 del codice contratti, nel
disciplinare i lavori, servizi e forniture in economia,
distingue tra acquisizioni in economia mediante
amministrazione diretta e acquisizioni in economia mediante
procedura di cottimo fiduciario.
Nell'amministrazione diretta le acquisizioni sono effettuate
con materiali e mezzi propri o appositamente acquistati o
noleggiati e con personale proprio delle stazioni
appaltanti, o eventualmente assunto per l'occasione, sotto
la direzione del responsabile del procedimento.
Il cottimo fiduciario, invece, è una procedura negoziata in
cui le acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi
(l’articolo 3, comma 40, cod. contratti prevede
espressamente che “le «procedure negoziate» sono le
procedure in cui le stazioni appaltanti consultano gli
operatori economici da loro scelti e negoziano con uno o più
di essi le condizioni dell'appalto. Il cottimo fiduciario
costituisce procedura negoziata”).
Per lavori, servizi o forniture di importo pari o superiore
ad € 40.000,00, “l'affidamento mediante cottimo fiduciario
avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione,
parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque
operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti
idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero
tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla
stazione appaltante” (commi 8 e 11 dell’articolo 125 cit.).
Invece, per importi inferiori a tale soglia, per il cottimo
fiduciario “è consentito l'affidamento diretto da parte del
responsabile del procedimento”, così come avviene
normalmente per l’ipotesi dell’amministrazione diretta.
Dunque, da quanto esposto si può ricavarne la seguente
indicazione: mentre l’amministrazione diretta non prevede
alcun tipo di gara, per il cottimo fiduciario occorre
distinguere a seconda dell’importo di
lavori/servizi/forniture.
Se al di sotto dei 40.000,00 euro non occorre l’esperimento
di una procedura comparativa, al di sopra di tale soglia è
necessario il “rispetto dei principi di trasparenza,
rotazione, parità di trattamento” e la “previa consultazione
di almeno cinque operatori economici”.
Ciò posto, appare corretto affermare che per le procedure in
economia di amministrazione diretta e di cottimo fiduciario
inferiore ad € 40.000,00 non trova applicazione l’obbligo
del ricorso alla centrale di committenza.
Nell’ipotesi di amministrazione diretta, le acquisizioni
sono effettuate con strumenti propri o appositamente
acquistati o noleggiati dall’amministrazione, e con
personale proprio della stazioni appaltanti, o eventualmente
assunto per l’occasione, sotto la direzione del responsabile
del procedimento: come rilevato dalla deliberazione della
Sezione Piemonte, “si tratta di fattispecie non pienamente
compatibili con il ricorso a una centrale di committenza e
comunque, in assenza di vere e proprie procedure
concorrenziali non rispondenti alla ratio della norma che,
come già più volte rilevato, è quella di ottenere risparmi
di spesa riducendo i costi di gestione delle procedure
negoziali attraverso la concentrazione delle stesse”.
Analoghe motivazioni sostengono l’esclusione dell’obbligo
per le procedure di cottimo fiduciario “semplificato” (per
importi inferiori ad € 40.000,00).
A sostegno di tali conclusioni milita anche l’argomento
letterale: l’assenza, in entrambe le fattispecie, di una
procedura concorrenziale non consente di ritenere integrato
quel concetto di “gara” previsto dall’articolo 23 della
legge n. 214/2011 per individuare la decorrenza cronologica
dell’articolo 33, comma 3-bis, cod. contratti.
Diverso il discorso per quanto concerne la procedura di
cottimo fiduciario per importi di lavori/servizi/forniture
pari o superiore ad € 40.000,00.
In tal caso, infatti, seppure non sia prevista la previa
pubblicazione di un bando (art. 31 del Regolamento di
esecuzione cod. contr.), la procedura prevede comunque
l’esperimento di una gara ufficiosa con la consultazione di
almeno 5 operatori economici nel rispetto dei principi di
trasparenza e parità di trattamento, così implicando una
valutazione comparativa delle offerte ricevute.
Si tratta, quindi, di una procedura semplificata cui si
applicano anche le disposizioni della parte II (tra cui
l’articolo 33, comma 3-bis, in esame) che non risultano
espressamente derogate da quelle previste dal Titolo II per
i contratti sotto soglia.
D’altra parte, il ricorso alle centrali uniche di
committenza risulta non solo compatibile con detta
procedura, ma anche coerente con la ratio della previsione
normativa: una gestione obbligatoria per i piccoli comuni da
parte di centrali di committenza uniche, può e deve
esplicare i vantaggi auspicati, in termini di
razionalizzazione e risparmi di spesa, anche con riguardo
alla procedura negoziata in esame (deliberaz. Sezione
Piemonte cit.).
Si può quindi concludere che “l’applicazione dell’obbligo di
ricorso a centrali uniche di committenza per i piccoli
comuni, possa in via analogica applicarsi anche al cottimo
fiduciario (per importi superiori ad € 40.000,00),
valorizzando il momento di esplicazione della gara
informale”.
*** *** ***
Con il secondo quesito, il Comune chiede di conoscere “la
reale portata cogente dell’articolo 33, comma 3-bis, d.lgs.
n. 163/2006, in ordine all’obbligo di ricorrere ad un’unica
centrale di committenza attesa comunque l’opzione consentita
di ricorrere ad altri sistemi di approvvigionamento mediante
mercato elettronico”.
Com’è noto, l’articolo 33, comma 3-bis, del d.lgs. n.
163/2006, dopo aver introdotto l’obbligo di ricorso alle
centrali di committenza, prevede che “in alternativa, gli
stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti
attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da
altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese
le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 ed il mercato elettronico della
pubblica amministrazione di cui all’articolo 328 del d.P.R.
05.10.2010, n. 207”.
Tale normativa, pertanto, si applica per tutti gli acquisti
effettuati da comuni inferiori a 5.000 abitanti
indipendentemente dalla soglia di rilevanza comunitaria
dell’appalto.
Sul punto, va anche ricordato che ai sensi dell'art. 1 -comma 450- della L. 296/2006, come novellato dall'art. 7 -comma 2- del D.L. 52/2012 conv. in L. 94/2012 e dall'art. 1
-comma 149- della L. 228/2012, "fermi restando gli
obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del presente
articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui
all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n.
165, per gli acquisti dì beni e servizi di importo inferiore
alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare
ricorso al mercato elettronico della pubblica
amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici
istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al
sistema telematico messo a disposizione dalla centrale
regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative
procedure".
Tale normativa, invece, trova applicazione per tutti i
comuni ma con riguardo ai soli appalti di importo inferiore
alla soglia di rilevanza comunitaria.
Nel corpo dell’istanza di parere, infine, il comune richiama
l'art. 1, comma 1, del D.L. 95/2012 (cd. seconda "spending
review"), convertito in legge 135/2012, che ha previsto che
"successivamente alla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto, i contratti stipulati
in violazione dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488, ed i contratti stipulati in
violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli
strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A.
sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa
di responsabilità amministrativa. Ai fini della
determinazione del danno erariale si tiene anche conto della
differenza tra il prezzo, ove indicato, dei detti strumenti
di acquisto e quello indicato nel contratto”.
Per quanto concerne il ricorso ai mercati elettronici,
occorre rammentare che, giusta l’obbligo sopra richiamato ai
sensi dell’art. 1, comma 450, della l. 296/2006, per gli
acquisti sotto la “soglia comunitaria” l’utilizzo dei
mercati elettronici è stato reso obbligatorio:
• a decorrere dal 01.07.2007, per le amministrazioni
statali, centrali e periferiche, ad esclusione degli
istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle
istituzioni educative e delle istituzioni universitarie;
• a decorrere dal 09.05.2012, per le tutte le
amministrazioni come definite ai sensi dell’art. 1, d.lgs
30.03.2001, n. 165, ivi compresi, conseguentemente, gli
enti locali. Quest’ultimo obbligo e la sua decorrenza, in
realtà, sono il frutto della recente novellazione della
norma citata, effettuata dal d.l. 07.05.2012, n. 52 (art.
7, comma 2) convertito con modificazioni dalla l. 06.07.2012, n. 94.
Dunque, dalle normative richiamate, effettivamente non
perfettamente coordinate tra loro, emerge il seguente
quadro: per i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti sussiste
un obbligo di ricorso ai mercati elettronici senza alcun
rilievo per l’importo dell’appalto (il comma 450 riguarda
gli importi sotto soglia, il nuovo art. 33, comma 3-bis, cod.
contr. sia quelli sotto che quelli sopra).
Tuttavia, per tali comuni, a differenza di quelli con
popolazione superiore, si configura un’alternativa tra il
ricorso al mercato elettronico e quello alla centrale di
committenza di cui all’articolo 33, comma 3-bis.
L’istituto del MEPA trova oggi una sua compiuta disciplina
nell’art. 328 del d.p.r. 05.10.2010, n. 207 (Regolamento
di esecuzione e attuazione del codice dei contratti
pubblici).
La norma ribadisce che il MEPA gestito dalla CONSIP ovvero
il mercato elettronico creato ad hoc dalla stazione
appaltante o quello realizzato da centrali di committenza ai
sensi dell’art. 33 del codice dei contratti pubblici,
consentono alle pubbliche amministrazioni di effettuare
l’acquisto di beni o servizi che hanno caratteristiche
generalmente disponibili sul mercato.
Pertanto, attesa la lata previsione del citato comma 450
legge n. 296/2006 e del nuovo art. 33, comma 3-bis, la
possibilità di ricorrere alla procedura ex art. 125 cod.
contr. al di fuori di tali mercati residua solo nell’ipotesi
di non reperibilità dei beni o servizi necessitati: nella
fase amministrativa di determinazione a contrarre, l’ente
dovrà evidenziare le caratteristiche tecniche necessarie del
bene e della prestazione, di avere effettuato il previo
accertamento della insussistenza degli stessi sui mercati
elettronici disponibili e, ove necessario, la motivazione
sulla non equipollenza con altri beni o servizi presenti sui
mercati elettronici.
Peraltro, non sussiste un obbligo assoluto di ricorso al
MEPA Consip, essendo espressamente prevista la facoltà di
scelta tra le diverse tipologie di mercato elettronico
richiamate dall’art. 328 del d.p.r. 207/2010: segnatamente,
tra il mercato elettronico realizzato dalla medesima
stazione appaltante e quello realizzato dalle centrali di
committenza di riferimento di cui all’art. 33 cod. contr.,
potendo inoltre ricorrere alle convenzioni di cui
all’articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 (le
opzioni percorribili sono confermate dall’art. 33, comma 3-bis, cod. contr.)
Ne deriva che, così venendo al profilo della cogenza
dell’articolo 33, comma 3-bis, mentre il MEPA gestito dalla
CONSIP rientra appieno tra gli “strumenti di acquisto messi
a disposizione” dalla stessa (art. 1, comma 1, d.l. n.
95/2012), analoga conclusione non può essere effettuata per
i mercati elettronici curati da parte della singola stazione
appaltante ovvero ad opera della centrale di committenza.
Tuttavia, a ben vedere, il ricorso a un MEPA diverso da
quello gestito direttamente dalla CONSIP appare una modalità
alternativa di adempimento rispetto a un obbligo primario
direttamente comminato dalla legge, con la conseguenza che
troverà applicazione per le operazioni in tal senso non
concluse dagli enti locali la nullità c.d. testuale o
espressa comminata dal legislatore ai sensi dell’art. 1418,
comma 3, c.c. (in tal senso sez. contr. Marche,
deliberazione 29.11.2012 n. 169; sez. contr.
Lombardia, deliberazione n. 89/PAR/2013).
Trattasi, infatti, di interpretazione estensiva, e non già
analogica, utilmente applicabile quindi anche con riguardo a
fattispecie tendenzialmente tassative quali le norme
comminatorie di nullità.
Tale conclusione non appare contraddetta dall’ultimo periodo
del comma 1, art. 1, del d.l. n. 95/2012, che introduce una
specifica “prova di resistenza” per le sole Amministrazioni
dello Stato (“La disposizione del primo periodo del presente
comma non si applica alle Amministrazioni dello Stato quando
il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di
quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di
prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A.”), determinando come conseguenza quella di
impedire, per le sole amministrazioni locali (rispetto a cui
l’obbligo di ricorso al MEPA gestito dalla CONSIP è
indubbiamente più lasco) il beneficio della verifica del
danno.
In effetti, come si ha avuto modo di cennare, per le
Amministrazioni dello Stato detto beneficio compensa la
circostanza che la disciplina degli obblighi di
approvvigionamento sia maggiormente stringente. Per le
amministrazioni locali, invece, stante la possibilità di
ricorso a diverse forme di reperimento sui vari MEPA, il
legislatore ha limitato la possibilità di deroga e di
conseguente ricerca sul libero mercato.
Da quanto esposto deriva che, salvo i casi di non
reperibilità dei beni e servizi necessitati, l’avvenuta
acquisizione di beni e servizi secondo modalità diverse da
quelle previste dal novellato art. 1, comma 450, legge n.
296/2006 e dall’articolo 33, comma 3-bis, cod. contr., da
parte di comuni di qualsivoglia dimensione demografica,
nella ricorrenza dei presupposti per il ricorso al MEPA,
inficerà il contratto stipulato ai sensi del disposto di cui
all’art. 1, comma 1, L. 135/ 2012 comportando le connesse
responsabilità.
*** *** ***
In conclusione, riassumendo quanto esposto per entrambi i
quesiti formulati ed operando una lettura complessiva
dell’articolo 33, comma 3-bis, del codice dei contratti,
coordinato con il citato comma 450, si deve affermare che il
ricorso ad un’unica centrale di committenza è obbligatorio
per tutte le procedure concorsuali relative ad appalti di
importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria
nonché per gli acquisti in economia di importo superiore ad
€ 40.000,00 mediante cottimo fiduciario e non invece per gli
acquisti, mediante medesima procedura, di importo inferiore
e per quelli mediante amministrazione diretta.
Conseguentemente, l’obbligo alternativo previsto dal secondo
periodo del medesimo comma 33 (“In alternativa, gli stessi
Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli
strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali
di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni
di cui all’articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488
e ed il mercato elettronico della pubblica amministrazione
di cui all’articolo 328 del d.P.R. 05.10.2010, n. 207”)
dovrebbe trovare applicazione solo per i suddetti acquisti.
Tuttavia, anche per acquisti mediante cottimo fiduciario di
importo inferiore ad € 40.000,00 o per acquisti mediante
amministrazione diretta, non ricompresi nell’articolo 33,
comma 3 bis, cod. contr., trova applicazione l’obbligo di
ricorso alle forme di mercato elettronico previste
dall’articolo 1, comma 450, della legge n. 296/2006 come
modificata dalla legge n. 94/2012 (“al mercato elettronico
della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati
elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328
ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla
centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle
relative procedure”).
Restano salve le specifiche eccezioni sopra riportate.
Quanto, infine, alla portata cogente della norma contenuta
nell’articolo 33 cod. contr. (e dell’articolo 1, comma 450,
legge n. 296/2006), si ribadisce l’alternativa offerta ai
comuni di popolazione inferiore a 5.000 abitanti (centrale
di committenza o mercato elettronico), fermo restando che il
mancato ricorso ad una delle due modalità ivi previste
determinerà l’applicazione dell’impianto sanzionatorio
previsto dall’articolo 1, comma 1, d.l. n. 95/2012
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 23.04.2013 n. 165). |
LAVORI PUBBLICI: Nello
specifico, il comune di Brignano intende applicare
l’articolo 53, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 a mente del
quale, in caso di appalto di lavori pubblici, “in
sostituzione totale o parziale delle somme di denaro
costituenti il corrispettivo del contratto, il bando di gara
può prevedere il trasferimento all'affidatario della
proprietà di beni immobili appartenenti all'amministrazione
aggiudicatrice, già indicati nel programma di cui
all'articolo 128 per i lavori, o nell'avviso di
preinformazione per i servizi e le forniture, e che non
assolvono più a funzioni di interesse pubblico”.
A parere della Sezione, l’operazione descritta dal Comune
non trova alcun ostacolo nella normativa finanziaria che
limita l’acquisto di beni immobili.
Con successiva integrazione (nota n. 2089/2013), il Sindaco
del Comune di Brignano chiede di conoscere, in linea
generale ed al di là del caso concreto prospettato, se il
divieto di procedere ad acquisti immobiliari ricomprende
anche la permuta immobiliare “alla pari”.
La risposta deve essere negativa. In conclusione, può
ritenersi che l’espressione utilizzata dal legislatore nel
caso di specie abbia carattere atecnico e che sia più
correttamente applicabile ai contratti nei quali l’effetto
traslativo, conseguenza immediata e diretta del rapporto
giuridico, determini comunque un esborso finanziario a
carico del soggetto pubblico.
---------------
Il sindaco del comune di Brignano Gera d’Adda, con nota n.
2302 del 15.03.2013, chiedeva all’adita Sezione
l’espressione di un parere in ordine all’articolo 1, comma
138, legge 228/2012.
In particolare, l’Ente si interroga sulla possibilità di
procedere alla realizzazione di un’opera pubblica (Polo per
l’infanzia) avvalendosi dell’articolo 53, comma 6, del
d.lgs. n. 163/2006 il quale stabilisce che, in sostituzione
totale o parziale delle somme di denaro costituenti il
corrispettivo del contratto, il bando di gara può prevedere
il trasferimento all’affidatario della proprietà di beni
immobili appartenenti all’amministrazione aggiudicatrice,
già indicati nel programma di cui all’articolo 128 per i
lavori e che non assolvono più a funzioni di interesse
pubblico.
Sulla base di tali premesse, il Sindaco dell’ente locale
chiedeva se l’operazione di “permuta” dell’opera pubblica da
realizzare con bene immobile di proprietà
dell’amministrazione senza alcun esborso monetario sia
compatibile con la legge di stabilità 2013.
Con successiva nota 2089/2013 chiedeva, in linea generale,
se il divieto in esame comprendesse o meno le operazioni di
permuta “alla pari”.
...
La questione in esame concerne la possibilità o meno, per il
comune di Brignano, di procedere alla realizzazione di
un’opera pubblica (Polo per l’infanzia) avvalendosi
dell’articolo 53, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 il quale
stabilisce che, in sostituzione totale o parziale delle
somme di denaro costituenti il corrispettivo del contratto,
il bando di gara può prevedere il trasferimento
all’affidatario della proprietà di beni immobili
appartenenti all’amministrazione aggiudicatrice, già
indicati nel programma di cui all’articolo 128 per i lavori
e che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico.
Il Sindaco del comune di Brignano chiede di sapere se
l’operazione di permuta rientri o meno nel divieto di
acquisto beni immobili introdotto dall’articolo 12, comma 1-quater, della legge n. 111/2011 (comma inserito dall’articolo
1, comma 138, della legge n. 228/2012) ai sensi del quale
“per l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel
conto economico consolidato della pubblica amministrazione,
come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma
3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive
modificazioni, (…), non possono acquistare immobili a titolo
oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo
che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione
sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose,
la disponibilità di locali in sostituzione di immobili
dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di
immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali
pubblici e privati, per i quali restano ferme le
disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell'articolo 8 del
decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122. Sono
fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili
già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data
antecedente a quella di entrata in vigore del presente
decreto”.
Nello specifico, il comune di Brignano intende applicare
l’articolo 53, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 a mente del
quale, in caso di appalto di lavori pubblici, “in
sostituzione totale o parziale delle somme di denaro
costituenti il corrispettivo del contratto, il bando di gara
può prevedere il trasferimento all'affidatario della
proprietà di beni immobili appartenenti all'amministrazione
aggiudicatrice, già indicati nel programma di cui
all'articolo 128 per i lavori, o nell'avviso di preinformazione per i servizi e le forniture, e che non
assolvono più a funzioni di interesse pubblico”.
A parere della Sezione, l’operazione descritta dal Comune
non trova alcun ostacolo nella normativa finanziaria che
limita l’acquisto di beni immobili.
E’ vero, infatti, che l’Ente locale acquista un’opera
pubblica –e quindi un bene immobile– ma è altrettanto vero
che l’articolo 1, comma 138, legge n. 228/2012 vieta
l’acquisto di immobili a titolo oneroso e non la diversa
ipotesi (in cui l’acquisto è mera conseguenza, differita nel
tempo, dell’operazione) dell’appalto di lavori pubblici.
D’altra parte, lo stesso articolo 12 della legge n. 111/2011
(modificato dal citato comma 138), comma 1-ter, prevede che
“a decorrere dal 01.01.2014 al fine di pervenire a
risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal
patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti
del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di
acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità
attestate dal responsabile del procedimento. La congruità
del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo
rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data
preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante
e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale
dell’ente:” è chiaro ed evidente il riferimento giuridico
alla fattispecie civilistica della compravendita (laddove le
parti sono l’alienante e l’acquirente) e non a quella
dell’appalto.
Con successiva integrazione (nota n. 2089/2013), il Sindaco
del Comune di Brignano chiede di conoscere, in linea
generale ed al di là del caso concreto prospettato, se il
divieto di procedere ad acquisti immobiliari ricomprende
anche la permuta immobiliare “alla pari”.
La risposta deve essere negativa.
Pur consapevole che la permuta, anche ove non preveda
movimenti finanziari, è un contratto commutativo e quindi a
titolo oneroso, la Sezione ritiene di dare prevalenza ad
argomentazioni di diverso tenore, che consentono di
escludere che il contratto di permuta ricada all’interno
della norma proibitiva degli acquisti.
Dal punto di vista teleologico, innanzitutto, occorre
considerare che la disposizione in commento novella un
decreto legge recante Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria, ed è inserita nell’ambito di
una legge di stabilità, la quale, ai sensi dell’art. 11,
comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196 ”contiene
esclusivamente norme tese a realizzare effetti finanziari”.
Va poi ricordato che, se è vero che secondo la
giurisprudenza della Corte costituzionale (ex plurimis
sentenza 18.02.2010, n. 52) il legislatore statale, ai
sensi dell’art. 117 Cost., può limitare la capacità
negoziale degli enti locali in conformità alla propria
spettanza della materia “ordinamento civile”, è altrettanto
vero che tali limitazioni devono essere testualmente ed
espressamente comminate.
Si impone, pertanto, un’interpretazione del divieto di
acquisto costituzionalmente orientata: l’intervento dello
Stato, infatti, si giustifica se ed in misura in cui risulta
finalizzato al rispetto del principio di coordinamento della
finanza pubblica e dell’obiettivo di contenimento della
pesa.
Solo in questa prospettiva, dunque, si giustifica il divieto
introdotto dall’articolo 1, comma 138, legge n. 228/2012.
Sotto questo profilo, allora, è del tutto evidente che,
risolvendosi nella mera diversa allocazione delle poste
patrimoniali dell’ente afferenti a beni immobili, il
contratto di permuta risulta operazione finanziariamente
neutra e, conseguentemente, non contemplata dal richiamato
divieto.
A parere della Sezione, l’ambito applicativo del divieto va
allora circoscritto alle categorie giuridiche potenzialmente
pregiudizievoli per le finanze pubbliche.
Sotto il profilo letterale, infine, si può osservare che il
comma 1-ter dell’art. 12 sopra riportato prevede, tra gli
altri, una serie di obblighi concernenti le operazioni di
acquisto che prevedono l'indicazione “del soggetto alienante
e del prezzo pattuito”.
Dal riferimento alla posizione dell’alienante può cogliersi
un grave indizio semantico dell’inapplicabilità del divieto
di acquisto ai casi di permuta “pura”, in quanto, come noto,
nel contratto di permuta le posizioni di alienante e di
acquirenti sono reciproche e predicabili con riferimenti a
entrambi i contraenti.
In conclusione, può ritenersi che l’espressione utilizzata
dal legislatore nel caso di specie abbia carattere atecnico
e che sia più correttamente applicabile ai contratti nei
quali l’effetto traslativo, conseguenza immediata e diretta
del rapporto giuridico, determini comunque un esborso
finanziario a carico del soggetto pubblico
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 23.04.2013 n. 164). |
APPALTI:
L’art. 84, comma 4, del
Dlgs. n. 163 del 2006, sancisce l’incompatibilità tra
componente della commissione giudicatrice e lo svolgimento
di funzioni relativamente al contratto, solo per i
commissari diversi dal presidente, e il cumulo delle
funzioni nella stessa persona non comporta una violazione
dei principi di imparzialità e buona amministrazione, in
quanto è conforme alla normativa applicabile all’ente (cfr.
il Dlgs. n. 207 del 2001 e l’art. 13 dello statuto) la
quale, mutuata da quella degli enti locali (cfr. l’art. 107
del Dlgs. n. 267 del 2000 per il quale al dirigente è
attribuita la presidenza delle commissioni di gara e di
concorso, la responsabilità delle procedure d'appalto e di
concorso e la stipulazione dei contratti) e del codice degli
appalti (cfr. art. 84, comma 3, del Dlgs. n. 163 del 2006),
demanda al dirigente la presidenza della commissione e
l’esercizio delle funzioni inerenti al procedimento, con
l’ulteriore precisazione che l’assegnazione della
responsabilità delle singole fasi procedimentali e
dell’unitario procedimento di gara in capo al dirigente non
confligge con il principio di separazione delle funzioni tra
controllato e controllore perché l’approvazione degli atti
di gara non è tecnicamente riconducibile alla nozione di
controllo.
---------------
La previsione dello statuto dell’ente che individua nel
direttore colui che presiede la commissione di gara è
conforme a quanto prescritto dall’art. 84, comma 3, del Dlgs.
n. 163 del 2006, e dall’art. 107 del Dlgs. n. 267 del 2001,
che individuano in via preventiva ex lege nel dirigente il
presidente della commissione.
---------------
Tenuto conto del contenuto del contratto che non presuppone
la conoscenza di complesse e specifiche cognizioni tecniche,
e della circostanza che non sono stati nominati soggetti
estranei alla pubblica amministrazione scelti tra liberi
professionisti, si può presumere, in assenza di una puntuale
contestazione, che tali soggetti (ndr: i membri della
commissione di gara) siano in possesso di un’adeguata
esperienza, ed è da escludere fosse necessaria al riguardo
un’estesa motivazione nell’atto di nomina.
2. Le restanti censure contenute negli ulteriori motivi di
ricorso sono infondate e devono essere respinte.
Con il diciassettesimo e diciottesimo motivo la ricorrente
sostiene che a seguito delle ratifiche, in capo al direttore
sono venute a concentrarsi le figure di colui che indice la
gara, nomina e preside la commissione, ed infine approva gli
atti di gara, generando una sorta di “confusione”
procedimentale derivante dalla sovrapposizione di ruoli, e
di indebita concentrazione delle funzioni di controllato e
di controllore.
Tali censure devono essere respinte perché l’art. 84, comma
4, del Dlgs. n. 163 del 2006, sancisce l’incompatibilità tra
componente della commissione giudicatrice e lo svolgimento
di funzioni relativamente al contratto, solo per i
commissari diversi dal presidente, e il cumulo delle
funzioni nella stessa persona non comporta una violazione
dei principi di imparzialità e buona amministrazione, in
quanto è conforme alla normativa applicabile all’ente (cfr.
il Dlgs. n. 207 del 2001 e l’art. 13 dello statuto) la
quale, mutuata da quella degli enti locali (cfr. l’art. 107
del Dlgs. n. 267 del 2000 per il quale al dirigente è
attribuita la presidenza delle commissioni di gara e di
concorso, la responsabilità delle procedure d'appalto e di
concorso e la stipulazione dei contratti) e del codice degli
appalti (cfr. art. 84, comma 3, del Dlgs. n. 163 del 2006),
demanda al dirigente la presidenza della commissione e
l’esercizio delle funzioni inerenti al procedimento (ex pluribus cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 12.11.2012,
n. 5703; Tar Puglia, Bari, Sez. I, 14.06.2012, n. 1183;
Consiglio di Stato, Sez. V, 27.04.2012, n. 2445;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 28.09.2011 n. 5406;
Consiglio di Stato, Sez. V, 22.06.2010, n. 3890), con
l’ulteriore precisazione che l’assegnazione della
responsabilità delle singole fasi procedimentali e
dell’unitario procedimento di gara in capo al dirigente non confligge con il principio di separazione delle funzioni tra
controllato e controllore perché l’approvazione degli atti
di gara non è tecnicamente riconducibile alla nozione di
controllo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 12.06.2009,
n. 3716; id. 18.09.2003, n. 5322).
...
5. Con il terzo e il ventiduesimo motivo la parte ricorrente
lamenta la violazione del principio della posteriorità della
nomina della commissione rispetto alla presentazione delle
offerte, perché lo statuto individua nel direttore, nella
qualità di presidente, un componente fisso della
commissione.
La doglianza va respinta perché la commissione è stata
nominata con atto n. 26 del 26.09.2011, dopo la
scadenza del termine del 23.09.2011 per la
presentazione delle offerte, e la previsione dello statuto
dell’ente che individua nel direttore colui che presiede la
commissione, è conforme a quanto prescritto dall’art. 84,
comma 3, del Dlgs. n. 163 del 2006, e dall’art. 107 del Dlgs.
n. 267 del 2001, che individuano in via preventiva ex lege
nel dirigente il presidente della commissione (cfr. per un
identica censura Tar Puglia, Lecce, 14 agosto 2007, n. 3077,
punto 3.1. in diritto).
...
7. Con il quinto e il ventiduesimo motivo la ricorrente
lamenta genericamente la mancanza di professionalità dei
componenti della commissione.
La censura va disattesa in quanto, oltre al presidente della
commissione, che è il direttore per statuto dell’ente, sono
stati nominati componenti soggetti legati da un rapporto di
servizio con la stessa amministrazione (il dott. Zanutto
responsabile dell’ufficio qualità e già direttore di enti
simili all’I.S.R.A.A.), o con altre amministrazioni (la
dott.ssa Santin direttrice di altra struttura per anziani).
Pertanto, tenuto conto del contenuto del contratto che non
presuppone la conoscenza di complesse e specifiche
cognizioni tecniche, e della circostanza che non sono stati
nominati soggetti estranei alla pubblica amministrazione
scelti tra liberi professionisti, si può presumere, in
assenza di una puntuale contestazione, che tali soggetti
siano in possesso di un’adeguata esperienza, ed è da
escludere fosse necessaria al riguardo un’estesa motivazione
nell’atto di nomina (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 07.12.2011, n. 6434; Consiglio di Stato, Sez. V, 28.03.2008, n. 1332; Tar Lazio, Roma, Sez. III Ter,
04.02.2008, n. 905)
(TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 22.04.2013 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul potere della p.a. di annullare in via di
autotutela il bando e le singole operazioni di gara, quando
i criteri di selezione si manifestino come suscettibili di
produrre effetti indesiderati o comunque illogici.
Il principio del favor partecipationis non può spingersi
fino al punto di vanificare la portata dei requisiti
soggettivi che la lex specialis necessariamente deve
richiedere ed esigere.
---------------
La p.a. conserva anche in relazione ai procedimenti di gara
per la scelta del contraente il potere di annullare in via
di autotutela il bando e le singole operazioni di gara,
quando i criteri di selezione si manifestino come
suscettibili di produrre effetti indesiderati o comunque
illogici, tenendo quindi conto delle preminenti ragioni di
salvaguardia del pubblico interesse: tale potere di
autotutela trova fondamento negli stessi principi
costituzionali predicati dall'art. 97 cost., cui deve
ispirarsi l'azione amministrativa, e costituisce il pendant
dell'obbligo di rispettare le prescrizioni stabilite dalla
lex specialis della gara, che vincolano non solo i
concorrenti, ma la stessa amministrazione (con esclusione di
qualsiasi margine di discrezionalità nella loro concreta
attuazione da parte dell'amministrazione e tanto meno della
facoltà di disapplicarle, neppure nel caso in cui talune
delle regole stesse risultino inopportunamente o
incongruamente formulate, salva proprio la possibilità di
far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, al loro
annullamento).
Neppure il provvedimento di aggiudicazione definitiva e
tanto meno quello di aggiudicazione provvisoria (che del
resto si iscrivono nella fase procedimentale di scelta del
contraente, concludendola) ostano all'esercizio di un
siffatto potere, il quale incontra un limite soltanto nel
rispetto dei principi di buona fede e correttezza, alla cui
puntuale osservanza è tenuta anche la P.A., e nella tutela
dell'affidamento ingenerato.
Nel caso di specie, i surrichiamati principi sono stati
rispettati dall'amministrazione che, in assoluta trasparenza
e nel pieno rispetto delle garanzie procedimentali, ha fatto
tempestivamente ammenda di un proprio errore che, ove non
emendato, avrebbe rischiato di vulnerare il diritto delle
altre concorrenti al rispetto della par condicio e nonché
l'interesse pubblico dell'amministrazione ad avvalersi di un
partner contrattuale idoneo e qualificato.
---------------
Il principio del favor partecipationis, di cui deve
certamente tenersi conto nella predisposizione della
disciplina di una procedura ed evidenza pubblica, tendente
in linea di principio ad evitare l'introduzione di una
barriera di ingresso anticompetitiva che restringa, in modo
non ragionevole e non necessario, la platea dei potenziali
competitori, non può spingersi fino al punto di vanificare
la portata dei requisiti soggettivi che la lex specialis
necessariamente deve richiedere ed esigere per poter
garantire all'amministrazione che il futuro contraente sia
selezionato fra imprese in possesso della capacità tecnica
ed economica per svolgere in modo ottimale il servizio
affidatogli (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 22.04.2013 n. 175 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla funzione transitoria dell'art. 12 del d.l.
07.05.2012, n. 52 (conv. in l. 06.07.2012, n. 94), che
impone l'apertura delle offerte tecniche in seduta pubblica.
L'art. 12 del d.l. 07.05.2012, n. 52 (conv. in l.
06.07.2012, n. 94), ha la specifica funzione transitoria di
salvaguardare gli effetti delle procedure concluse o
pendenti alla data del 09.05.2012, nelle quali si sia
proceduto all'apertura dei plichi in seduta riservata,
recando in sostanza, per questo aspetto, una sanatoria di
tali procedure. Ciò sulla base delle seguenti
argomentazioni:
- il principio di pubblicità, pur di derivazione
comunitaria, non è direttamente cogente ma ha un contenuto
programmatico, restando perciò agli Stati membri la sua
concreta declinazione in coerenza con altri valori, a
cominciare da quello dell'affidamento incolpevole da parte
dell'aggiudicataria che abbia confidato sulla vigenza di
determinate regole procedimentali che, nella specie, nella
maggior parte dei casi, prevedevano l'apertura dei plichi in
seduta riservata;
- con il citato art. 12, di conseguenza, è stata normata la
regola di diritto definita dall'Adunanza plenaria ma è stato
al contempo precisato che l'obbligo della seduta pubblica
decorre dal 09.05.2012, confermando per il passato
l'inesistenza di una disposizione cogente di tale contenuto;
- questa disciplina transitoria ha lo scopo di evitare il
travolgimento di numerosissime gare in corso, con i
conseguenti oneri economici e amministrativi particolarmente
gravosi nella presente fase di crisi economica;
- né appare logico, si deve concludere, attribuire alla
norma altra ratio; non vi sarebbe ragione infatti per
un intervento normativo che obbliga all'apertura pubblica
dei plichi soltanto a partire da una certa data "anche
per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte
tecniche non siano stati ancora aperti", se non allo
scopo di tenere esente dall'obbligo l'intervenuta,
antecedente apertura dei plichi (Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria,
sentenza 22.04.2013 n. 8 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Sull'antimafia
iter lungo in Prefettura.
L'OSTACOLO/
Senza il database nazionale il rilascio dei certificati
richiede anche più di 45 giorni contro i due impiegati dalle
Camere di commercio.
Dal 13 febbraio le Camere di Commercio non sono più
competenti a rilasciare il certificato del registro imprese
integrato con la dicitura antimafia che per legge era
parificato alla «comunicazione» antimafia, mentre
«l'informazione» antimafia era rilasciata solo dalle
Prefetture.
Il cambio di competenze è stato previsto dal Dlgs 218/2012 e
precisato dal ministero dell'Interno (nota dell'8 febbraio).
Fino al 12 febbraio il certificato veniva richiesto alle
Camere di Commercio dagli enti pubblici (soprattutto i
Comuni) e dai gestori di servizi pubblici, nelle procedure
per gli appalti e il controllo delle attività economiche.
Questi enti e gestori devono ora richiedere il certificato
(o meglio la comunicazione) antimafia alla Prefettura che ha
tempo 45 giorni dalla richiesta per rispondere, termine che
però non è perentorio.
Queste regole sul rilascio della comunicazione rimarranno in
vigore fino al funzionamento della banca dati nazionale
antimafia gestita dal ministero la quale dovrà rilasciare la
comunicazione «immediatamente».
Si è così creata, ed era facilmente prevedibile, una
situazione che danneggia sia le imprese sia gli enti
pubblici perché i tempi per la stipula dei contratti e il
rilascio delle autorizzazioni si allungheranno, mentre le
Camere rilasciavano i certificati ai Comuni e altri
organismi in media entro due giorni e, quando possibile,
anche il giorno stesso.
In un periodo di crisi anche questa novità, come constatato
ormai da due mesi, è una complicazione nella vita delle
aziende, e causa ritardi non giustificati.
La novità è poi incomprensibile per due motivi che emergono
dalla nota del ministero: perché nel periodo transitorio la
Prefettura rilascia la comunicazione utilizzando gli stessi
dati del Ced nazionale a cui erano collegate le Camere;
perché, trattando dei tempi del procedimento, al punto 6 si
afferma che «le previsioni secondo cui il rilascio delle
comunicazioni … deve avvenire immediatamente … non paiono
suscettibili di applicazione in questa fase transitoria».
Tra le parole «non paiono» e la conclusione «non sono» c'è
una forte differenza.
Per rimediare, la soluzione più funzionale per le imprese e
a costo zero è confermare alle Camere la competenza al
rilascio dei certificati antimafia fino all'operatività
della nuova banca dati nazionale. Eventualmente la nuova
procedura potrebbe essere riservata solo alle società
concessionarie di giochi pubblici e alle società estere
prive di sede stabile.
Consultando i siti aggiornati di alcune Prefetture risultano
applicazioni non omogenee delle nuove disposizioni. In
alcune province agli enti che richiedono la comunicazione
viene imposto di allegare copia della visura camerale
relativa all'impresa o, in alternativa, una dichiarazione
sostitutiva compilata dal legale rappresentante dell'impresa
con i dati contenuti nella visura. In pratica, l'ente o
l'impresa devono acquisire una visura camerale, adempimento
prima non necessario.
Per evitare l'incertezza sui tempi di rilascio della
comunicazione, all'imprenditore è concessa, in certi casi,
la possibilità di compilare un'autocertificazione in cui
dichiara che non sussistono a suo carico cause di divieto,
decadenza o sospensione previste dall'articolo 67 del Dlgs
159/2011, e questa va rilasciata all'ente o al gestore di
servizi. Soluzione solo apparentemente semplice perché è
molto difficile e rischioso per un cittadino interpretare
correttamente le norme penali e amministrative relative
all'antimafia; in caso di errore, si rischia una denuncia
per falsa dichiarazione.
---------------
Il quadro
01 | LE COMPETENZE
Dal 13 febbraio la competenza sul rilascio dei certificati
del registro imprese con la dicitura antimafia è passata
dalle Camere di commercio alle Prefetture. Le Prefetture
sono tenute a occuparsi di questa procedura fino
all'attivazione della banca dati nazionale antimafia (con la
pubblicazione del Dpcm, c'è un mese di tempo)
02 | LE CONSEGUENZE
La Prefettura ha tempo 45 giorni per rispondere, e il
termine non è perentorio. Questo comporta un allungamento
dei tempi a carico delle imprese che hanno bisogno del
certificato con la dizione antimafia per la partecipazione
agli appalti (articolo Il Sole 24 Ore del
22.04.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Corte
costituzionale. Le indicazioni della sentenza 50/2013.
In house sempre più difficile per le aziende quotate in
Borsa.
IL CRITERIO/
L'ente deve avere un potere «determinante» sia sugli
obiettivi strategici sia sulle decisioni importanti
dell'affidataria.
Con la recente sentenza 50/2013 la Corte costituzionale ha
voluto ribadire i requisiti e le condizioni per la
sussistenza del rapporto in house, prendendo spunto
dall'impugnazione da parte del Governo della legge della
regione Abruzzo 9/2011 che disciplina il servizio idrico
integrato.
La Corte ha colto l'occasione per rifare il punto sul
rapporto in house. Bisogna ricordare che «in house» è una
sintesi verbale che indica una relazione fra
un'amministrazione pubblica e un ente (società,
associazione, ecc.) da essa interamente controllato, sul
quale esercita un controllo analogo a quello che
eserciterebbe su un proprio ufficio e che svolge un'attività
tendenzialmente esclusiva a favore della controllante.
La norma impugnata specificava le modalità di esercizio del
«controllo analogo» sugli affidatari in house del servizio
idrico integrato «nel rispetto dell'autonomia gestionale del
soggetto gestore», attraverso il «parere obbligatorio» sugli
atti fondamentali di quest'ultimo.
L'individuazione dei parametri costituzionali per la
valutazione della norma regionale ha indotto la Corte a una
verifica della disciplina nazionale sull'affidamento dei
servizi pubblici locali. Il legislatore nazionale aveva
introdotto norme molto restrittive e di chiaro sfavore per
l'affidamento in house, per aprire il settore dei servizi
pubblici alla concorrenza, ma il referendum abrogativo del
12 e 13.06.2011 aveva spazzato via ogni limitazione
legislativa,e anche la successiva reintroduzione di norme
pro concorrenziali era stata giudicata illegittima dalla
Corte proprio perché non rispettava l'esito referendario.
Secondo la Corte, quindi, la conseguenza delle vicende
legislative e referendarie brevemente richiamate è che,
attualmente, si deve ritenere applicabile la normativa e la
giurisprudenza comunitarie in materia, senza alcun
riferimento a leggi interne. La sentenza 50, fondandosi
proprio sui principi comunitari espressi dalla Corte di
giustizia dell'Unione europea, ha dichiarato l'illegittimità
della norma regionale impugnata per violazione dell'articolo
117, primo comma, della Costituzione (mancato rispetto dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario).
Questa sentenza è importante perché, nell'enunciare principi
noti, ne specifica la portata concreta. Il potere esercitato
sull'ente controllato consiste in un'influenza determinante
sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni
importanti; la «possibilità di influenza determinante» è
incompatibile con il rispetto dell'autonomia gestionale,
senza distinguere -in coerenza con la giurisprudenza
comunitaria- tra decisioni importanti e ordinaria
amministrazione. Inoltre, il rapporto in house deve
comportare che l'amministrazione controllante esprima pareri
vincolanti sugli atti dell'ente controllato.
L'aver esplicitato l'incompatibilità fra «autonomia
gestionale» e modello in house dovrebbe comportare
un'attenta valutazione da parte delle amministrazioni
controllanti sulla scelta della tipologia di società con cui
costituire il «controllo analogo». In particolare, dopo
questa sentenza, appare ancor più problematico costruire un
rapporto in house con le società per azioni. In queste
ultime, la rilevante autonomia all'organo amministrativo,
cui compete la gestione dell'impresa e la correlativa
responsabilità (articoli 2380-bis, comma 1, e 2409-novies,
comma 1 del Codice civile) appare confliggere in modo
evidente con le caratteristiche essenziali della relazione
in house
(articolo Il Sole 24 Ore del
22.04.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Rassegna Normativa - Servizi Pubblici Locali -
“Progetto di supporto e affiancamento operativo a favore
degli Enti Pubblici delle Regioni Obiettivo Convergenza”.
Servizi pubblici locali: elaborata una
raccolta della normativa.
In esito ai lavori del Tavolo tecnico, istituito in
attuazione di un Protocollo d’intesa promosso dal Ministero
dello Sviluppo economico e a cui hanno partecipato, oltre al
predetto dicastero, la Segreteria tecnica del
Sottosegretario di Stato Catricalà, il Dipartimento Affari
Europei e il Dipartimento per gli Affari Regionali, il
Turismo e lo Sport della Presidenza del Consiglio dei
Ministri e Invitalia -Agenzia Nazionale per l’attrazione
degli investimenti e lo Sviluppo d’impresa S.p.A.– è stata
elaborata una raccolta ricognitiva della normativa e della
giurisprudenza nazionali e comunitarie applicabili ai
servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Il documento, varato alla presenza del Sottosegretario di
Stato Antonio Catricalà e del Sottosegretario al Ministero
dello Sviluppo economico Claudio De Vincenti, è articolato
in quattro titoli, preceduti da note esplicative, relativi:
• all’organizzazione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica e alle funzioni degli enti territoriali;
• all’affidamento dei servizi e concorrenza;
• alla gestione delle reti e società a partecipazione
pubblica;
• alla regolazione.
È completato da tre capitoli contenenti la disciplina
specifica dei settori idrico, trasporti pubblici locali e
rifiuti (22.04.2013 - tratto da www.regioni.it). |
APPALTI:
La partecipante ad una gara che sia stata
legittimamente esclusa, non ha legittimazione a censurare
l’ammissione alla gara dell’aggiudicataria e gli atti di
gara, assumendo la posizione del quisquis de populo, non
potendo trarre alcun vantaggio dall’eventuale fondatezza
delle censure.
Nel caso in cui l’amministrazione abbia escluso dalla gara
il concorrente, questi non ha la legittimazione ad impugnare
l’aggiudicazione al controinteressato, a meno che non
ottenga una pronuncia di accertamento della illegittimità
dell’esclusione. Infatti, la determinazione di esclusione,
non impugnata o non annullata, cristallizza definitivamente
la posizione sostanziale del concorrente, ponendolo nelle
stesse condizioni di colui che sia rimasto estraneo alla
gara, non avendo un’aspettativa diversa e maggiormente
qualificata di quella che si può riconoscere in capo ad un
qualunque altro soggetto che non abbia partecipato alla
gara.
Ne deriva, pertanto, che non spetta alcuna legittimazione a
contestare gli esiti della gara al concorrente escluso dalla
gara, che non abbia impugnato l’atto di esclusione o la cui
impugnazione sia stata respinta.
Il disciplinare di gara, alla sezione XII “Esclusione dalla gara”
prevedeva espressamente che “sono escluse altresì le offerte
la cui offerta tecnica contenga proposte di variante che…4)
rendano palese, direttamente o indirettamente, l’offerta
economica o temporale”.
La testuale previsione della lex di gara riferita a
qualsiasi valorizzazione economica della proposta di
variante, toglie pregio alla censura, essendo del tutto
irrilevante che i prezzi indicati fossero quelli del
prezziario regionale e che non fossero scontati, essendo
comunque idonei a consentire la ricostruzione del prezzo
indicato nell’offerta economica.
A tal punto va confermata la sentenza di primo grado,
dovendosi ritenere illegittimamente ammessa alla gara l’a.t.i.
Rearco, cui consegue l’inammissibilità delle censure dedotte
con il ricorso incidentale di primo grado e riproposte in
appello, atteso che la partecipante ad una gara che sia
stata legittimamente esclusa, non ha legittimazione a
censurare l’ammissione alla gara dell’aggiudicataria e gli
atti di gara, assumendo la posizione del quisquis de populo,
non potendo trarre alcun vantaggio dall’eventuale fondatezza
delle censure (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n.
11 del 2010).
A termini della citata sentenza dell’Adunanza plenaria, nel
caso in cui l’amministrazione abbia escluso dalla gara il
concorrente, questi non ha la legittimazione ad impugnare
l’aggiudicazione al controinteressato, a meno che non
ottenga una pronuncia di accertamento della illegittimità
dell’esclusione. Infatti, la determinazione di esclusione,
non impugnata o non annullata, cristallizza definitivamente
la posizione sostanziale del concorrente, ponendolo nelle
stesse condizioni di colui che sia rimasto estraneo alla
gara, non avendo un’aspettativa diversa e maggiormente
qualificata di quella che si può riconoscere in capo ad un
qualunque altro soggetto che non abbia partecipato alla
gara.
Ne deriva, pertanto, che non spetta alcuna legittimazione a
contestare gli esiti della gara al concorrente escluso dalla
gara, che non abbia impugnato l’atto di esclusione o la cui
impugnazione sia stata respinta (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.04.2013 n. 2206 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: E'
legittima l'esclusione dalla gara d'appalto per i "lavori di
ristrutturazione e riconversione" di un immobile vincolato
poiché
appare perfettamente logico e conforme alla legge che incida
gravemente sulla moralità professionale di chi intende, fra
l’altro, gestire un bene vincolato dalla Soprintendenza dopo
essere stato condannato con sentenza per aver distrutto un
immobile in zona vincolata.
... per l'annullamento:
►
Quanto al ricorso introduttivo, della nota dell'Autorità
Portuale di Trieste dd. 13.11.2009, con cui la ricorrente è
stata esclusa dalla procedura di affidamento dei "lavori
di ristrutturazione e riconversione in Stazione Marittima
del capannone n. 42 sul Molo Bersaglieri di Trieste";
della lex specialis di gara; nonché del provvedimento
di aggiudicazione della procedura.
►
Quanto ai motivi aggiunti depositati in data 16.3.2010, con
i quali si impugnano il verbale interno della commissione
nominata con decreto del Pres. dell'Autorità Portuale di
Trieste dd. 06.10.2009 e per la declaratoria di nullità,
l'annullamento e/o la dichiarazione di intervenuta
caducazione del contratto d'appalto o in subordine, per la
reintegrazione "per equivalente" con risarcimento del
danno subito dal ricorrente.
...
La ricorrente, che ha chiesto di partecipare alla procedura
in oggetto in costituendo RTI con Elettroindustriale srl ed
Ediltre spa, si è vista comunicare l’esclusione con
l’impugnata e del tutto immotivata nota dell’Autorità
Portuale, oggetto del ricorso originario.
Di essa ha dedotto l’illegittimità per violazione dell’art.
38, 1° comma, lett. c) del D.Lgs. n. 163/2006, in quanto
l’intimata Autorità non avrebbe svolto alcuna valutazione
sugli eventuali reati a carico degli amministratori e degli
altri soggetti a ciò tenuti, tenendo conto dell’inerenza
delle funzioni svolte alle obbligazioni dedotte in
contratto, incidenti sulla moralità professionale.
Invero graverebbe sulla stazione appaltante l’accertamento
di tale gravità ed incidenza (ed al riguardo si cita CDS V
Sez. n. 1736 del 23.03.2009) ma non se ne rinverrebbe
traccia nella comunicazione impugnata.
Ha dedotto altresì difetto di motivazione e di istruttoria
in quanto non sarebbero riportati, nemmeno per relationem,
le ragioni per cui, in ordine ai reati individuati dalla
stazione appaltante, questi sono ritenuti gravi.
...
Il Collegio condivide la contestata decisione della
Commissione di gara e pertanto anche i provvedimenti,
compresi quelli di esclusione della ricorrente e di
aggiudicazione alla controinteressata, in quanto appare
perfettamente logico e conforme alla legge che incida
gravemente sulla moralità professionale di chi intende, fra
l’altro, gestire un bene vincolato dalla Soprintendenza dopo
essere stato condannato con sentenza per aver distrutto un
immobile in zona vincolata
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 18.04.2013 n. 237 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Applicazione dell'art. 26, comma 3, della L. 488/1999 ai
comuni montani con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti.
Le disposizioni previste dall'art. 26,
comma 3, della L. 488/1999 -che stabiliscono, per i comuni
con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti e per i comuni
montani con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti,
l'inapplicabilità dell'obbligo di ricorrere alle convenzioni
Consip ovvero di utilizzarne i parametri di prezzo-qualità,
come limiti massimi, per l'acquisizione di beni e servizi-
pur risultando tuttora vigenti, sembrano, tuttavia, essere
state superate dalle norme successivamente approvate,
caratterizzate da un sempre più vincolante obbligo di
ricorso al sistema del mercato elettronico e delle
convenzioni.
L'Ente istante chiede di sapere se le disposizioni previste
dall'art. 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488, siano
tuttora applicabili ai comuni con popolazione al di sotto
dei 1.000 abitanti e ai comuni montani con popolazione
inferiore ai 5.000 abitanti e se ciò determini che, per gli
stessi, non viga l'obbligo di ricorso alle convenzioni
Consip o all'utilizzo dei parametri prezzo-qualità
ricavabili da queste.
La normativa citata stabilisce che non si applica ai comuni
sopra menzionati l'obbligo di ricorrere alle convenzioni
Consip, ovvero di utilizzarne i parametri di prezzo-qualità,
come limiti massimi, per l'acquisizione di beni e servizi,
anche con procedure telematiche di acquisto.
Tali disposizioni, oggetto di modifica nel 2003 e nel 2004
[1], pur
risultando tuttora vigenti, appaiono essere tuttavia
superate dalle norme successivamente approvate,
caratterizzate da un sempre più vincolante obbligo di
ricorso al sistema del mercato elettronico e delle
convenzioni. Come rilevato dalla Corte dei conti
[2],
attesa l'evidente natura vincolistica dei recenti interventi
che hanno profondamente innovato il quadro normativo
relativo agli acquisti di beni e servizi della P.A., è
necessario effettuare un'interpretazione rigorosa di dette
disposizioni tale da non eludere i principi informatori alle
stesse sottesi.
Si richiama l'attenzione, in particolare, su quanto previsto
dai commi 449 e 450 dell'art. 1 della legge 27.07.2006, n.
296 [3],
per gli acquisti sopra e sotto soglia compiuti dalle
pubbliche amministrazioni, indipendentemente dalla
dimensione demografica delle stesse.
Il comma 449, secondo periodo, richiede a tutte le
amministrazioni pubbliche non statali e diverse dagli enti
del Servizio sanitario nazionale, di ricorrere alle
convenzioni-quadro ovvero di utilizzare i parametri
qualità-prezzo, da queste desumibili, come limiti massimi
per la stipulazione dei contratti.
Il comma 450, secondo periodo, stabilisce l'obbligo per le
amministrazioni pubbliche non statali, fermo restando quanto
previsto al comma 449, di ricorrere, per l'acquisizione di
beni e servizi di importo inferiore alla soglia comunitaria,
al mercato elettronico della pubblica amministrazione (MEPA),
ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi
dell'art. 328 del D.P.R. 05.10.2010, n. 207 o al sistema
telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di
riferimento per lo svolgimento delle relative procedure.
Si rileva, inoltre, che l'art. 1, comma 7, del decreto legge
06.07.2012, n. 95, stabilisce una disciplina speciale per l'approvigionamento
di beni -quali energia elettrica, gas, carburanti,
combustibili per riscaldamento e telefonia- che non sembra
ammettere deroghe o procedure particolari per i piccoli
comuni. Tali modalità di acquisto si applicano a tutte le
amministrazioni pubbliche e alle società inserite nel conto
economico della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istat ai sensi dell'articolo 1 della legge 31.12.2009,
n. 196.
Si osserva, infine che, per i comuni con popolazione pari o
inferiore a 3.000 abitanti, l'art. 4 della legge regionale
09.03.2012, n. 3, letto in combinazione con l'art. 33, comma
3-bis, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice
dei contratti pubblici), prevede un regime particolare per
gli acquisti, stabilendo che questi, dal 01.10.2013
[4],
vadano compiuti attraverso un'unica centrale di committenza
ovvero, in alternativa, per le sole acquisizioni di beni e
servizi, tramite strumenti elettronici gestiti da altre
centrali di committenza (ivi compresi le convenzioni-quadro
ed il MEPA).
Pertanto, in Friuli Venezia Giulia, per tali comuni (a
prescindere dalla loro natura montana) l'obbligo di
avvalersi delle convenzioni Consip e di ricorrere al MEPA
per le acquisizioni di beni e servizi trova applicazione
quale possibile alternativa al ricorso ad un'unica centrale
di committenza costituita nell'ambito delle forme
associative di cui alla legge regionale 09.01.2006, n. 1
[5].
---------------
[1] L'art. 26,
comma 3, della L. 488/1999, è stato dapprima sostituito
dall'art. 3, comma 166, della legge 24.12.2003, n. 350 e
successivamente dall'art. 1 del decreto legge 12.07.2004, n.
168, convertito con modifiche dalla legge 30.07.2004, n.
191.
[2] Corte dei conti, sez. contr. Lombardia, parere
21.03.2013, n. 89.
[3] Nel testo risultante dalle modifiche apportate prima dal
decreto legge 07.05.2012, n. 52 (convertito con
modificazioni dalla legge 06.07.2012, n. 94) e
successivamente dalla legge 24.12.2012, n. 228.
[4] Termine previsto dalla legge regionale 08.04.2013, n. 5
che posticipa quello del 1° aprile antecedentemente
stabilito. Per ulteriori considerazioni sui cambiamenti
apportati da tale legge all'art. 4 della legge regionale
09.03.2012, n. 3, si veda la nota prot. n. 11716/P dd.
11.04.2013 di questo Servizio inviata a tutti gli enti
locali della Regione.
[5] Sull'applicazione in Friuli Venezia Giulia delle norme
sulle centrali di committenza, si veda la nota prot. n. 8437
dd. 14.03.2013 di questo Servizio, inviata a tutti gli enti
locali della Regione prima dell'approvazione della novella
di cui alla precedente nota
(18.04.2013
- link a www.regione.fvg.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI:
OGGETTO: Accesso agli atti di una gara per la fornitura
di lavagne interattive multimediali da parte della ditta
classificata al terzo posto.
L’Istituto scolastico in indirizzo, dopo aver rappresentato
di aver indetto sul mercato elettronico della P.A. una gara
per la fornitura di lavagne interattive multimediali, ha
formulato a questa Commissione alcuni quesiti al fine di
sapere se:
a) sia sufficientemente motivata la richiesta di accesso
formulata da una ditta, classificatasi al terzo posto della
graduatoria per conoscere gli atti di gara degli altri
concorrenti (offerta tecnica, offerta economica, relazione e
schede tecniche) onde verificare in sede amministrativa e/o
giudiziale la legittimità del procedimento di
aggiudicazione;
b) sia possibile estrarre ed inviare la documentazione di
interesse tramite pec e, in caso non fosse possibile, quali
dovrebbero essere i costi di riproduzione.
La prima questione non pone grossi dubbi.
Qualora l’istanza
di accesso provenga da un concorrente alle gare di appalto,
il partecipante ad un procedimento ha pieno diritto ad
accedere agli atti dello stesso procedimento ai sensi
dell’art. 10, legge n. 241/1990, senza necessità di dimostrare
la titolarità di un interesse diretto e concreto e senza che
la sua istanza sia motivata, trattandosi di c.d. accesso endoprocedimentale.
L’unico limite all’accesso è previsto
dall’art. 24 della citata legge per i documenti relativi a
“interessi industriali e commerciali” (come peraltro
confermato, in materia di procedimenti ad evidenza pubblica,
dall’art. 13 d.lgs. 163/2006 Codice dei contratti pubblici),
fatta salva comunque la prevalenza dell’accesso
ogniqualvolta la conoscenza dei documenti sia necessaria per
curare o per difendere i propri interessi giuridici.
La seconda questione è più articolata concernendo, da un
lato, l’ammissibilità dell’accesso telematico e, dall’altro,
i costi dell’accesso.
Sul primo aspetto, si osserva che in base al quadro
normativo vigente, l’accesso telematico “deve” essere
consentito, ove richiesto, nei rapporti tra P.A. e
cittadino, soprattutto per corrispondere alle richieste di
accesso dei documenti amministrativi.
Infatti, in base
all'art. 13, comma 1, d.P.R. n. 184/2006 (disposizione che
rinvia all’art. 38 del d.P.R. n. 445/2000) “le pubbliche
amministrazioni assicurano che il diritto d'accesso possa
essere esercitato anche in via telematica”. Inoltre, il d.lgs. n. 82/2005 “Codice dell’amministrazione digitale”
sancisce in favore dei cittadini, oltre al diritto di
chiedere ed ottenere l’accesso ai documenti con l'uso delle
tecnologie telematiche (artt. 3 e 4), il diritto
all’utilizzo della PEC per ogni scambio di documenti ed
informazioni (art. 6).
Infine, l’art. 3-bis della L. 241/1990
(introdotto dalla legge n. 15/2005) ha previsto che, per
conseguire maggiore efficienza nelle loro attività, le
amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della
telematica. Pertanto, nella specie, la P.A. ha il dovere di
provvedere all’invio di copie digitali (anziché cartacee)
degli atti amministrativi.
Circa l’altro profilo, la Commissione rammenta che
i costi
di riproduzione (nonché i diritti di ricerca e visura), pur
non potendo essere predeterminati a livello generale, devono
costituire oggetto di responsabile valutazione da parte di
ogni singola amministrazione nell’esercizio dei poteri
organizzatori previsti dall’art. 8, lett. c, d.P.R. n.
184/2006, in modo da essere equi e non esosi, in quanto la
richiesta di un importo elevato costituisce un limite
all'esercizio del diritto di accesso
(Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 18.04.2013 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
APPALTI:
L'institore è titolare di una posizione
corrispondente a quella di un vero e proprio amministratore,
munito di poteri di rappresentanza, cosicché deve anche
essere annoverato fra i soggetti tenuti alla dichiarazione
ex art. 38 dlgs n. 163/2006.
Il ruolo dell'institore disegnato dall'art. 2203 c.c. quale
soggetto preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa
commerciale, lo caratterizza come alter ego
dell'imprenditore. L'institore, infatti, è titolare di una
posizione corrispondente a quella di un vero e proprio
amministratore, munito di poteri di rappresentanza, cosicché
deve anche essere annoverato fra i soggetti tenuti alla
dichiarazione ex art. 38 dlgs n. 163/2006.
La peculiarità del ruolo, determinata dall'ampiezza dei
poteri di rappresentanza allo stesso attribuiti dalla legge,
lo differenzia in modo significativo dalla diversa figura
del procuratore, che, infatti, non può ritenersi tenuto a
rendere la dichiarazione de qua (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 17.04.2013 n. 2118 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Appalti solo alle imprese pulite.
L'elenco delle aziende mafia-free aggiornato ogni anno.
Pronto il dpcm che attua la legge anticorruzione. Domande di
iscrizione anche via Pec.
Lavori solo alle imprese doc. L'elenco delle aziende
mafia-free che, in qualità di fornitori, prestatori di
servizi ed esecutori di lavori saranno dispensate dal
produrre l'informativa antimafia, sarà aggiornato di anno in
anno e verrà articolato in sezioni a seconda dei settori di
attività.
Le aziende che vorranno farne parte dovranno inoltrare
domanda alla prefettura competente (anche telematicamente
attraverso la posta elettronica certificata) la quale poi
effettuerà le necessarie verifiche se l'impresa non è
censita nella Banca dati nazionale unica antimafia istituita
dal dlgs 159/2011. Viceversa, se essa è già presente nella
Banca dati, l'iscrizione sarà automatica e la liberatoria
antimafia potrà essere rilasciata immediatamente.
Con la
messa a punto da parte del governo del
dpcm che detta le
istruzioni tecniche per l'istituzione e l'aggiornamento
dell'elenco, l'operazione pulizia negli appalti pubblici
prevista dalla legge anticorruzione (legge n. 190/2012) può
dirsi completa. L'iscrizione nella lista delle imprese con
la fedina penale pulita sarà su base volontaria e sarà
ovviamente subordinata all'assenza di eventuali tentativi di
infiltrazione. Ma soprattutto non sarà un'iscrizione a vita.
Le prefetture competenti per territorio dovranno infatti
effettuare verifiche periodiche sull'assenza di commistioni
con le organizzazioni criminali e in caso di esito negativo
disporre la cancellazione di chi non risulta in regola.
Come detto, l'elenco sarà suddiviso in tante sezioni quante
sono le attività considerate come maggiormente esposte al
rischio di infiltrazioni mafiose dalla legge anticorruzione.
Si va dal trasporto di materiali a discarica al trasporto di
rifiuti, dal movimento terra alla fornitura di calcestruzzo,
dalla fornitura di ferro lavorato alla guardiania dei
cantieri. Questo elenco potrà essere aggiornato entro il 31
dicembre di ogni anno, con apposito decreto del ministro
dell'interno, adottato di concerto con i ministri della
giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti e
dell'economia e delle finanze.
Le domande di iscrizione nell'elenco potranno essere inviate
anche telematicamente alle prefetture che le valuteranno
seguendo la procedura a doppio binario vista prima:
iscrizione automatica nel caso in cui l'impresa sia già
presente nella Banca dati nazionale antimafia o solo a
seguito di verifiche in caso di mancata iscrizione
nell'elenco. Le prefetture dovranno pronunciarsi entro 90
giorni dal ricevimento dell'istanza.
Le imprese presenti nell'elenco dovranno comunicare entro 30
giorni qualsiasi modifica del proprio assetto proprietario o
degli organi sociali. Mentre le società quotate dovranno
indicare anche le partecipazioni rilevanti. La mancata
osservanza dell'obbligo di comunicazione comporterà la
cancellazione dall'elenco. Almeno 30 giorni prima della
scadenza annuale di validità dell'iscrizione, le imprese
dovranno trasmettere alla prefettura la richiesta di restare
iscritte all'elenco per lo stesso o per settori di attività
diversi rispetto a quelli originari. Le prefetture potranno
disporre controlli a campione per l'accertamento dei
requisiti. E chi non sarà trovato in regola verrà
cancellato.
Gli elenchi delle imprese «pulite» saranno pubblicati sul
sito web delle prefetture nell'apposita sezione
«Amministrazione trasparente» prevista dal dlgs 33/2013 (si
veda altro pezzo in pagina). Per facilitare la comunicazione
delle imprese con le prefetture attraverso la Pec, il
ministero dell'interno pubblicherà sul proprio sito un
elenco di indirizzi Pec dei singoli Uffici territoriali di
governo
(articolo ItaliaOggi del 17.04.2013). |
APPALTI:
Sull'illegittimità dell'utilizzazione di capitali
di una società strumentale per partecipare, attraverso la
creazione di una società di terzo grado, a gare ad evidenza
pubblica.
L'utilizzazione di capitali di una società strumentale per
partecipare, attraverso la creazione di una società di terzo
grado, a gare ad evidenza pubblica comporta, sia pure
indirettamente, l'elusione del divieto di svolgere attività
diverse da quelle consentite a soggetti che godano di una
posizione di mercato avvantaggiata.
Né può costituire valido argomento a contrario la previsione
dello scorporo di attività non più consentite alle società
strumentali di cui al c. 3 dell'art. 13 del "Decreto
Bersani", dovendosi tale disposizione intendere
nell'unico senso compatibile con il divieto imposto alle
società strumentali di partecipare ad enti, sancito dal c. 1
del medesimo articolo e cioè come volta a costituire un
nuovo soggetto societario, destinato a concorrere in
pubbliche gare per lo svolgimento di un servizio di
interesse generale, che non comporti l'intervento
finanziario dell'ente strumentale.
Su tale base, è agevole affermare che la partecipazione al
confronto concorrenziale mediante una partecipata (nel caso
di specie al 100%) consente alla controllante di essere
attiva sul mercato, ed il fatto che ciò avvenga formalmente
mediante un soggetto distinto costituisce un'evidente
elusione del dettato normativo. Né può sostenersi, nel caso
di specie, che le società finanziarie, (categoria alla quale
appartiene Finmolise s.p.a.), sono escluse dall'ambito di
applicazione dell'art. 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223, ai
sensi del suo primo comma, ultima parte (le società che
svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista
dal testo unico di cui al decreto legislativo 01.09.1993, n.
385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre
società o enti).
La norma richiamata infatti legittima le suddette società ad
assumere partecipazioni in altre società o enti, strumento
spesso indispensabile per lo svolgimento della loro
attività. Il che non consente la costituzione di una società
controllata stabilmente operante sul mercato, ma solo
l'assunzioni di partecipazioni minoritarie e tendenzialmente
temporanee (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.04.2013 n. 2084 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Strada in salita per lo sblocco dei pagamenti: incerti sia i
tempi sia gli importi liquidati.
P.a., ecco chi sarà pagato. Forse.
Via ai debiti degli enti locali. A patto che ci sia
liquidità.
Con la pubblicazione del dl 35/2013, ossia il decreto che
sblocca i pagamenti delle pubbliche amministrazioni, si è
finalmente messa in moto la macchina che porterà nelle casse
dei creditori delle p.a. circa 40 miliardi di euro da qui al
2014. Il percorso, tuttavia, è assai tortuoso, tanto da
rendere incerti i potenziali beneficiari sui tempi effettivi
di pagamento.
In attesa delle correzioni che potranno essere introdotte
dal parlamento (come richiesto dalle principali associazioni
imprenditoriali), proviamo a capire chi può nutrire una
ragionevole aspettativa di ricevere i soldi. Migliore sembra
essere la posizione di chi vanta crediti nei confronti degli
enti locali, per i quali, infatti, il dl 35 prevede lo
sblocco di 5 miliardi di pagamenti, concedendo una deroga ai
vincoli del Patto di stabilità 2013. In pratica, comuni e
province potranno utilizzare la liquidità di cui dispongono
(e che il Patto ha finora congelato) per estinguere una
parte dei loro debiti «di parte capitale». Si tratta, in
particolare, di acquisti di beni mobili (arredi,
attrezzature, macchinari, automezzi, ecc.), di interventi di
realizzazione e/o manutenzione di opere pubbliche (strade,
fognature ecc.), di acquisti o realizzazione di immobili. Ma
vi rientrano anche, per esempio, le spese di progettazione a
fronte di prestazioni di professionisti.
Il dl 35 consente di pagare due tipologie di debiti: 2)
quelli «certi, liquidi ed esigibili» alla data del 31.12.2012; 2) quelli per i quali, alla medesima data,
sia stata almeno emessa fattura (o richiesta equivalente di
pagamento). Se per la seconda categoria non si pongono
particolari questioni interpretative in quanto fa fede la
data della fattura, qualche dubbio può sorgere rispetto alla
prima. In proposito, si ricorda che un debito si considera
certo quando non è controverso nella sua esistenza (per
esempio per contestazioni giudiziali), liquido quando il suo
ammontare risulta precisamente determinato o determinabile,
esigibile quando non è sottoposto a condizioni o termini. In
tali casi, si può anche prescindere dall'esistenza o meno
della fattura, che presenta un valore più contabile (oltre
che fiscale), che sostanziale. Per esempio, per le opere
pubbliche sembra assumere rilevanza il certificato di
pagamento, che viene rilasciato in coincidenza con gli stati
di avanzamento lavori.
Si ritiene che l'esigibilità sussista anche prima di
ottenere il Durc, fermo restando che quest'ultimo è
necessario ai fini del pagamento effettivo. Analogo discorso
vale per le verifiche presso Equitalia (per i pagamenti
oltre 10 mila euro).
È incerto se possano essere considerati anche i debiti non
commerciali (per esempio, a favore di soggetti espropriati):
la norma non opera distinzioni, anche se la relazione di
accompagnamento parla espressamente di debiti commerciali.
Al di là dei casi dubbi, lo sblocco avverrà in tempi rapidi,
a patto che comuni e province dispongano di sufficienti
risorse liquide. In tal caso, infatti, il dl 35 consente di
pagare immediatamente fino al 13% della liquidità presente
sui conti di tesoreria dei singoli enti.
Una volta esaurito il plafond iniziale, però le cose
iniziano a complicarsi. A questo punto, infatti, occorrerà
attendere il 15 maggio, allorché il Mef indicherà il bonus
che ciascun ente potrà utilizzare per derogare dal Patto. Al
momento, inoltre, non è chiaro se i 5 miliardi totali
includano anche i pagamenti già effettuati nei primi mesi di
quest'anno: se così fosse (come pare confermato dalla
lettera delle norme), è ovvio che gli spazi per nuovi
pagamenti si restringono.
Se poi l'ente debitore è a corto di cassa, le incognite
aumentano ancora. Per fronteggiare tale evenienza, il dl 35
prevede due strumenti. Da un alto, aumenta il margine entro
cui province e comuni possono attivare le anticipazioni di
tesoreria, dall'altro consente loro di accedere a un
prestito a lungo termine della Cassa depositi e prestiti.
Ciò, oltre a comportare un allungamento dei tempi, non
garantisce che le risorse che potranno essere acquisite
siano sufficienti. Sul primo versante, molti enti sono già
vicini al tetto delle anticipazioni. Quanto al secondo
strumento, i 4 miliardi messi a disposizione dal dl 35 (2
quest'anno e 2 il prossimo) sono inferiori rispetto al reale
fabbisogno. Inoltre, il meccanismo è viziato da un corto
circuito: gli enti, infatti, devono presentare richiesta
alla Cassa entro il 30 aprile, che è la stessa scadenza
entro cui devono chiedere la deroga sul Patto. C'è quindi il
rischio che i margini di spesa risultino inferiori alla
reale capacità di pagamento.
Per coloro che resteranno a bocca asciutta, la strada si fa
sempre più stretta. Entro ottobre è prevista una seconda
iniezione di liquidità, ma solo per il 10% dello
stanziamento 2013, mentre non è stabilito quadro verranno
ripartiti i 2 miliardi stanziati per il 2014.
Vita ancora più dura per i creditori delle regioni e degli
enti del servizio sanitario nazionale. In tali casi, il
problema non è tanto legato alle risorse disponibili, che
nel biennio ammontano complessivamente a 22 miliardi (su 26
totali di cash per gli enti territoriali). L'ostacolo qui è
rappresentato dai tempi: per accedere al tesoretto, infatti,
i governatori sono chiamati a predisporre, oltre al piano
dei pagamenti, anche «idonee e congrue» misure di copertura
finanziaria degli impegni assunti, anche a carattere
legislativo. Spesso, si tratta di un passaggio tutt'altro
che scontato, specialmente nelle regioni con i bilanci più
traballanti.
Coloro che aspettano di essere pagati dalle p.a. statali,
infine, dovranno sperare di essere inclusi nella prima
tranche di pagamenti, che scatterà, anche in tal caso, a
metà maggio sulla base degli elenchi cronologici che ciascun
ministero è chiamato a predisporre entro fine aprile con
riferimento ai propri debiti. Per chi resterà fuori,
occorrerà aspettare che vengano definiti appositi piani di
rientro, che prima di essere attuati dovranno passare al
vaglio di parlamento e Corte dei conti.
A differenza dei bonus sul Patto, le iniezioni di liquidità
possono essere destinate anche al pagamento di debiti di
parte corrente (forniture di beni e servizi), sempre che
certi, liquidi ed esigibili o muniti di fattura al 31
dicembre scorso. Per questi, infatti, non si pone un
problema di Patto che vincola solo i pagamenti in conto
capitale. Ma la torta è sempre quella e più aumentano i
commensali più il numero di quelli destinati a restare
ancora digiuni è destinato a crescere (articolo
ItaliaOggi Sette del 15.04.2013). |
APPALTI:
Il mosaico delle regole sblocca-pagamenti.
L'utilizzo delle «vecchie» procedure continuerà ad essere
decisivo per chi ora non sarà liquidato.
TASSELLI MANCANTI/
Il decreto legge 35 si inserisce e completa un quadro
normativo molto articolato che alla prova dei fatti si è
rivelato inefficace.
La manovra proposta dal Governo col decreto legge 35 non
intende semplicemente immettere liquidità nel sistema -mediante la soddisfazione diretta dei creditori dello Stato
e delle sue differenti amministrazioni- ma ha la più
articolata (e difficoltosa) finalità di perfezionare e
rendere (finalmente) funzionante un complesso sistema di
norme messe in capo per porre rimedio ai ritardi dei
pagamenti.
Un fenomeno -come emerge dal documento del Centro studi
della Camera con le schede di lettura del Dl n. 35 2013-
che nel corso degli anni ha conosciuto una crescita
impressionante, sino a sfiorare il totale dei 90 miliardi
(secondo stime Banca d'Italia), ovvero circa il 5,8% del
Pil. Come se non bastasse, è lo stesso governo a confermare
che, al momento, non esistono dati certi sull'ammontare dei
debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese.
Il governo, a più riprese, ha cercato una soluzione. Non
fosse altro perché -a seguito del recepimento della
direttiva 2011/7/UE- c'è stato un significativo giro di
vite sulle sanzioni legate ai mancati pagamenti delle
transazioni commerciali, ivi comprese quelle delle Pa. Per i
contratti conclusi a decorrere dal 01.01.2013, poi, il
termine massimo per i pagamenti della Pa è di 60 giorni e
gli interessi moratori (circa l'8% su base annua) decorrono
automaticamente alla scadenza del termine.
In altre parole, se fino ad ora "chiedere qualche
sacrificio" ai fornitori era tollerato (e tollerabile) -magari con l'introduzione di specifiche clausole
contrattuali negli accordi di fornitura, in deroga alle
previsioni del Dlgs n. 231/02 che, in Italia, regola
tempistica dei pagamenti commerciali e sanzioni per gli
inadempimenti- tutto ciò non è più certamente possibile dal
1° gennaio di quest'anno. La conseguenza è che, oltre a
indebolire il sistema imprenditoriale, il ritardi dei
pagamenti generano anche un danno all'Erario.
In ogni caso, già l'articolo 9 del Dl n. 78/2009 -con il fine
di prevenire la formazione di nuove situazioni debitorie
della pubblica amministrazione- ha introdotto, tra l'altro,
una specifica responsabilità disciplinare e amministrativa
dei funzionari pubblici chiamati ad adottare provvedimenti
che comportano impegni di spesa, laddove questi non
accertino preventivamente la conformità del programma dei
pagamenti coi relativi stanziamenti di bilancio.
Con
obiettivi di certo più ambiziosi, poi, con l'articolo 9,
comma 3-bis, del Dl n. 185/2008 è stata introdotta la cd
"disciplina della certificazione dei crediti verso la Pa"
(in prima battuta, solo quelli verso gli enti territoriali),
anche ai fini della cessione pro-soluto dei medesimi a
banche o altri intermediari finanziari (o, più
verosimilmente, per utilizzarli in compensazione con debiti
erariali). Per rendere più efficace questo nuovo istituto,
la legge di stabilità per il 2012 ha introdotto la
previsione secondo la quale, scaduto il termine di sessanta
giorni, su nuova istanza del creditore, provvede alla
certificazione la Ragioneria territoriale dello Stato
competente per territorio, la quale, ove necessario, nomina
un commissario ad acta con oneri a carico dell'ente
territoriale.
Successivamente, il termine per la
certificazione è stato ridotto da 60 a 30 giorni
dall'articolo 13-bis del Dl 07.05.2012, n. 52 il quale
ha, inoltre, reso obbligatoria -e non più eventuale- la
nomina di un Commissario ad acta, su nuova istanza del
creditore, qualora, allo scadere del termine previsto,
l'amministrazione non abbia provveduto alla certificazione.
Il meccanismo della certificazione dei crediti è stato
esteso anche agli enti del Ssn dal Dl 52/2012 e, alle
amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali,
dall'articolo 12 del Dl 02.03.2012, n. 16. In un primo
momento, la certificazione veniva rilasciata solo in forma
cartacea. Dall'ottobre dello scorso anno è obbligatorio,
invece, l'utilizzo di un'apposita piattaforma elettronica
che, tra l'altro, ha il vantaggio che le cessioni dei
crediti certificati in modalità telematica assolvono al
requisito della forma per atto pubblico e all'obbligo di
notificazione al l'amministrazione ceduta.
Nonostante questi sforzi, l'efficacia dei provvedimenti per
l'accelerazione dei pagamenti della Pa è stata veramente
minima. La mancanza (sinora) di sanzioni per le
amministrazioni inadempienti sulla certificazione ha fatto
si che si fermasse a soli 300 milioni di euro il totale
delle certificazioni "cartacee" rilasciate fino a ottobre
2012 e a soli 31 milioni di euro quelle elettroniche. Un
dato, questo, che non meraviglia, se si considera che le
pubbliche amministrazioni che si sono accreditate sulla
piattaforma elettronica sono solo 1.700, su un totale di
oltre 20.000.
Questa situazione non fa bene al "sistema" di leggi sinora
creato per lo sblocco dei debiti della Pa che non può -visti i numeri- reggersi solo sulle immissioni di liquidità
garantite dal Dl 35. In altri termini, tutti gli strumenti
disponibili per utilizzare i crediti verso la Pa devono
essere resi efficacemente disponibili, soprattutto perché le
imprese che non saranno "soddisfatte" (o non lo saranno per
intero) in questa tornata di pagamenti potranno continuare a
fare affidamento solo sugli strumenti alternativi sinora
esistenti.
---------------
Le responsabilità. Gli strumenti per evitare ulteriori
ritardi.
Sanzioni in agguato per i funzionari distratti.
PARADOSSI/
Appare però blanda la penalità prevista in caso di
inadempienza sulla compilazione dell'elenco dei creditori.
Sembra chiaro che, col varo del Dl 35, il governo abbia ben
presente i motivi per i quali il sistema delle norme, sinora
messo in campo per "smobilizzare" i crediti vantati dalle
imprese verso le Pa, non ha funzionato in maniera
soddisfacente.
La scarsa responsabilizzazione delle amministrazioni (rectius,
dei funzionari) chiamati a gestirlo -legata alla mancanza
di sanzioni per gli inadempimenti e/o i ritardi- sembra
essere una chiave di lettura ancora più efficace della
scarsa liquidità dello Stato.
È per questo motivo che, molto probabilmente, più dei
miliardi di anticipazioni messi in campo per immettere
liquidità nel sistema si ha motivo di ritenere che lo
"sblocco integrale dei crediti" verso la Pa passerà anche
attraverso i canali alternativi di utilizzo dei medesimi già
da tempo vigenti nel nostro ordinamento (si vedano
l'articolo e la tabella in questa stessa pagina). Per
inciso, oltre ad allentare temporaneamente i vincoli del
patto di stabilità degli enti locali, il Decreto 35
istituisce un "Fondo per assicurare la liquidità per
pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili", con una
dotazione di 10 miliardi di euro per il 2013 e di 16 per il
2014, distinto in tre sezioni, rispettivamente "per
assicurare la liquidità agli enti locali", "alle regioni e
alle province autonome" e "al Servizio Sanitario Nazionale".
In ogni caso, la corresponsione in denaro di quanto dovuto -se e quando ci sarà- è utile alle sole (o prevalentemente
alle) imprese creditrici dello Stato che non hanno, nel
contempo, debiti erariali o che non sono efficientemente
(ovvero, a tassi ragionevoli) in grado di cedere agli
istituti di credito il proprio diritto. È, infatti,
oltremodo increscioso - per uno Stato di diritto - che non
si riesca a far funzionare un sistema di procedure per
garantire uno dei diritti elementari dei sistemi giuridici
di sempre: quello della possibilità di compensare debiti e
crediti corrispondenti (in questo caso, tra le imprese e lo
Stato, in tutte le sue forme). È altrettanto imbarazzante
che non si riesca a far funzionare il sistema delle
certificazioni dei crediti per far si che -chi ne abbia la
possibilità- possa chiedere delle anticipazioni alle banche
sui medesimi.
Per questo motivo, la sanzione pecuniaria introdotta per i
funzionari che non richiedono gli spazi finanziari nei
termini e secondo le modalità del decreto -così come quella
stabilita per chi non procede, entro l'esercizio finanziario
2013, a effettuare pagamenti per almeno il 90% degli spazi
concessi- è importante esattamente quanto quella stabilita
per la mancata registrazione sulla piattaforma elettronica
per la certificazione dei crediti entro 20 giorni
dall'entrata in vigore del Dl 35.
È certamente utile e giusto che le amministrazioni debitrici
comunichino -a partire dal 01.06.2013 e fino al 15.09.2013, utilizzando la piattaforma elettronica per
le certificazioni dei crediti- l'elenco completo dei debiti
certi, liquidi ed esigibili, maturati alla data del 31.12.2012, con l'indicazione dei dati identificativi del
creditore. C'è, però, da considerare che -anche in ragione
del fatto che questa comunicazione (correttamente e
opportunamente) equivale a certificazione del credito (ai
sensi dell'articolo 9, commi 3-bis e 3-ter, del Dl n.
185/2008)- troppo blanda appare la sanzione in questo caso
prevista per l'inadempimento. Che si sappia, sono molto rari
i casi di contestazioni di responsabilità dirigenziali e
disciplinari per gli inadempimenti nelle nostre Pa.
La
possibilità, poi, prevista anche in questo caso di chiedere
la nomina di un commissario ad acta appare, ancora
una volta, particolarmente irritante per chi si aspetterebbe
di essere tutelato nei propri diritti esattamente con lo
stesso zelo col quale, in alcuni casi, lo Stato esige quanto
gli è dovuto per il contributo al suo funzionamento (articolo
Il Sole 24 Ore del 15.04.2013). |
APPALTI:
Imposte indirette. Il perimetro del vincolo in caso di
omessi versamenti
La solidarietà sull'Iva non si ferma agli appalti.
Responsabilità anche per i beni soggetti a frode e gli
immobili.
Non solo appalti. L'attenzione rivolta alla nuova
responsabilità solidale per l'Iva (e le ritenute) nei
contratti di subappalto, introdotta dall'articolo 13-ter del
Dl 83/2012, non deve far dimenticare che esistono anche
altre situazioni che stabiliscono un vincolo per il
versamento dell'imposta e/o delle sanzioni in capo a
soggetti diversi dal debitore naturale.
La responsabilità solidale sorge quando più soggetti sono
tenuti in solido ad adempiere l'obbligazione (anche)
tributaria. Secondo il Codice civile (articolo 1292),
infatti, in presenza del vincolo di solidarietà ognuno dei
coobbligati può essere tenuto all'adempimento integrale con
conseguente liberazione degli altri. In via di principio, al
coobbligato solidale che paga spetta il diritto di regresso
per l'importo versato nei confronti degli altri obbligati.
Esaminiamo i casi principali (per un elenco più dettagliato
si rinvia alla grafica a lato).
Le merci «sensibili»
La norma di riferimento in materia di responsabilità Iva è
rappresentata dall'articolo 60-bis, comma 2, del Dpr
633/1972. La disposizione prevede il coinvolgimento del
cessionario di beni considerati «sensibili» al rischio di
frode. Si tratta dei prodotti individuati dal decreto 22.12.2005 (autoveicoli, telefoni, computer, animali vivi
e carni), cui si affiancano, dal 4 dicembre dello scorso
anno, quelli previsti dal Dm 31.10.2012 (pneumatici e
gomme).
Affinché operi la solidarietà dell'acquirente soggetto
passivo (la disposizione non opera per gli acquisti dei
privati) è comunque necessario che la cessione dei beni in
questione sia effettuata a un prezzo inferiore al valore
normale e che il cedente non abbia versato la relativa
imposta (verifica tutt'altro che semplice, visto che l'Iva
si liquida per masse e non operazione per operazione). Il
cessionario, in questi casi, può evitare di essere chiamato
in causa per il pagamento del tributo (la solidarietà non si
estende alla sanzione) solo se fornisce la prova documentale
che il minor prezzo dei beni rispetto a quello corrente è
stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto
oggettivamente rilevabili o, ancora, sulla base di
specifiche disposizioni di legge: questo potrebbe
rappresentare un ulteriore profilo di possibile
incompatibilità comunitaria, se si considera che la prova
contraria della presunzione legale in esame non deve essere
eccessivamente difficile da fornire (causa C-384/04).
In pratica, secondo l'amministrazione finanziaria (circolare
41/E/2005) aver corrisposto un prezzo inferiore al valore
normale dovrebbe trovare riscontro oggettivo in ragioni
diverse dal mancato pagamento dell'imposta da parte del
cedente.
I fabbricati
Senz'altro più ampia è la portata del comma 3-bis
dell'articolo 60-bis. La norma, infatti, prevede che, se
nell'atto di cessione di un immobile e nella relativa
fattura, è dichiarato un corrispettivo diverso (inferiore)
rispetto a quello reale (la responsabilità non scatta se
l'accertamento si fonda su una divergenza fra corrispettivo
e «valore normale» dell'immobile, si veda la circolare
8/E/2009), l'acquirente –anche se privato– è solidalmente
responsabile con il cedente per il mancato versamento
dell'imposta sulla differenza fra corrispettivo effettivo e
prezzo dichiarato, oltre che della relativa sanzione (dal
100 al 200% di tale differenza).
Dal 26.06.2012, per effetto delle modifiche apportate
dall'articolo 9 del Dl 83/2012, anche le imprese
costruttrici che vendono fabbricati abitativi dopo cinque
anni dall'ultimazione possono optare per l'applicazione
dell'imposta. Una novità che, di fatto, aumenta le ipotesi
di cessione di fabbricati imponibili Iva e amplia la platea
dei soggetti che, acquistando un immobile, dovranno fare i
conti con tale disposizione. Se poi si considera che, quando
l'atto è imponibile Iva, l'acquirente privato non può
neppure chiedere l'applicazione del meccanismo di tassazione
su base catastale (il «prezzo valore»), valevole solo per le
cessioni esenti Iva e soggette a registro, è ipotizzabile
che anche la solidarietà giochi un ruolo nella trattativa
fra le parti.
I depositi
Un altro vincolo di solidarietà è quello che impone al
gestore del deposito Iva di rispondere in solido con i
soggetti passivi, nel caso in cui si verifichi una mancata o
irregolare applicazione del prelievo conseguente
all'estrazione dei beni dal deposito (articolo 50-bis, comma
8, del Dl 331/1993). Anche per tale fattispecie, tuttavia,
il consolidato orientamento della giurisprudenza comunitaria
(sentenza nella causa C-499/10) impone di escludere la
possibilità che gli Stati membri introducano forme di
automatismo e, quindi, responsabilità di tipo oggettivo.
Così l'obbligo non scatta quando il depositario è in buona
fede o non sussistono colpe o negligenze da parte sua (articolo
Il Sole 24 Ore del 15.04.2013). |
APPALTI:
DECRETO PAGAMENTI/ La circolare della
Rgs. P.a., debiti online. Sulla piattaforma entro il 29/04.
Scatta una vera e propria corsa contro il tempo per le
amministrazioni statali che non hanno ancora provveduto a
registrarsi alla piattaforma elettronica necessaria a
certificare i crediti certi, liquidi ed esigibili vantati
nei confronti della p.a. per forniture, somministrazioni ed
appalti, alla luce delle novità introdotte con il decreto
legge n. 35/2013.
Entro il prossimo 29 aprile, infatti, le p.a. sono obbligate
a registrarsi pena la sanzione pecuniaria di 100 euro di
ammenda per ogni giorno di ritardo nella registrazione a
carico del dirigente responsabile e una segnalazione per
responsabilità dirigenziale e disciplinare nei confronti
dello stesso.
È quanto ricorda la Ragioneria generale dello stato nel
testo della recente
circolare 10.04.2013 n. 17, emanata a seguito
delle novità introdotte dal decreto legge sui pagamenti
della p.a., in particolare dalle disposizioni contenute
all'articolo 7.
Secondo tale norma, entro 20 giorni dall'entrata in vigore
della stessa (09.04.2013), le amministrazioni interessate
provvedono a registrarsi sulla piattaforma elettronica,
accessibile all'indirizzo http://certificazionicrediti.mef.gov.it/.
Una piattaforma già attiva dallo scorso anno, a seguito
delle novità introdotte dal decreto legge sviluppo (il n.
1/2012), in materia di pagamento dei crediti commerciali
delle p.a. e dalle successive regolamenti attuativi operati
dal Mineconomia con i decreti del 22/05 e 24/09/2012.
L'iscrizione non è certo facoltativa, ma costituisce un vero
e proprio obbligo per tutte le p.a., in quanto il comma 2
del ricordato articolo 7, sancisce che la mancata
registrazione entro il 29 aprile rilevi ai fini della
misurazione e della valutazione della performance
individuale dei dirigenti responsabili e comporta altresì
l'attivazione di un procedimento di responsabilità
dirigenziale e disciplinare, così come prevedono gli
articoli 21 e 55 del Testo unico sul pubblico impiego (il
dlgs n. 165/2001). Ma non è finita. La norma, al fine di
evitare inutili rinvii, prevede altresì che al dirigente
responsabile sia comminata una sanzione pecuniaria di cento
euro, per ogni giorno di ritardo nella registrazione sulla
piattaforma elettronica.
E proprio su questo punto, la circolare firmata dal
Ragioniere generale dello stato, Mario Canzio, non va tanto
per il sottile quando ricorda che alcune amministrazioni
centrali e «numerose amministrazioni periferiche»
risultano ancora inadempienti alla predetta registrazione.
In pratica, ogni amministrazione, secondo le proprie
necessità, può individuare i soggetti ritenuti alla
registrazione. A titolo esemplificativo, ad esempio,
dovranno iscriversi i capi dei dipartimenti, i segretari
generali e i responsabili delle strutture quali i prefetti e
i dirigenti scolastici. Ma anche chi ha il potere di spesa o
a chi compete la gestione delle risorse è tenuto a farlo.
Sul versante operativo, poi, il documento della Rgs precisa
che la certificazione dei crediti vantati nei confronti
della p.a. sia comunicata esclusivamente per il tramite
telematico. Ne consegue che, dallo scorso 8 aprile, non
potranno più essere accolte istanze presentate dai creditori
in modalità cartacea. Riepilogando, il primo passo da
effettuarsi sarà la registrazione, mentre, sulla base di un
apposito modello che sarà reso disponibile sul predetto
portale, le amministrazioni debitrici dovranno comunicare
l'elenco completo dei debiti certi, liquidi ed esigibili
maturati al 31 dicembre dello scorso anno e tuttora in
essere, con l'indicazione dei dati identificativi del
creditore.
La finestra temporale per potervi provvedere scatterà
dall'01/06 al 15 settembre. Anche in questo caso, l'omesso o
tardivo inserimento costituisce elemento rilevante sia ai
fini della misurazione e valutazione della performance
individuale dei dirigenti responsabili che per la
responsabilità dirigenziale e disciplinare degli stessi (articolo
ItaliaOggi del 13.04.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Linea del mef. Pregresso forse fuori dal
Patto.
I pagamenti relativi a debiti pregressi effettuati dagli
enti locali nel 2013 ma prima dell'entrata in vigore del dl
35 potrebbero non essere esclusi dal Patto.
È questa la linea interpretativa su cui sembra attestarsi il
Mef e che potrebbe essere confermata ufficialmente nei
prossimi giorni e tradotta in un correttivo al testo da
presentare durante l'iter di conversione in legge.
Il dubbio si è posto agli operatori fin dalle prime ore
successive alla pubblicazione del decreto sblocca-debiti (si
veda ItaliaOggi del 10 aprile). La deroga al Patto prevista
dall'art. 1, comma 1, include anche i pagamenti già
effettuati anteriormente all'8 aprile (data in cui il
provvedimento è arrivato in G.U.), ovvero consente di solo
di chiedere lo sblocco dei debiti ancora da saldare?
La prima soluzione pare più aderente alla formulazione
letterale della norma, che consente di escludere dal saldo
di competenza mista tutti i pagamenti «sostenuti nel
corso del 2013», purché relativi ai debiti certi,
liquidi ed esigibili al 31/12/2012 o per i quali alla stessa
data vi fosse almeno fattura o analoga richiesta di
pagamento.
Anche il primo prospetto per le richieste di comuni e
province messo online dal Mef sembrava confermare questa
lettura: esso, infatti, parlava solo di debiti al 31/12/2012
senza escludere quelli già pagati.
Nelle scorse ore, tuttavia, il modello è stato modificato ed
ora contiene campi distinti, rispettivamente, per i debiti
già estinti e per quelli ancora da pagare, individuando come
discrimine temporale proprio l'8 aprile.
Tali modifiche sembrano rivelare l'intenzione di autorizzare
la detrazione dei soli pagamenti effettuati in data
successiva. Da via XX settembre potrebbe arrivare a breve
una conferma ufficiale e non è esclusa la presentazione di
un emendamento in tal senso durante i prossimi passaggi
parlamentari (articolo ItaliaOggi del 13.04.2013). |
APPALTI:
In caso di acclarata illegittimità dell'atto
amministrativo, asseritamente foriero di danno, al privato
non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che
attiene al profilo dell'elemento soggettivo della colpa,
potendo egli invocare l'illegittimità del provvedimento
quale presunzione (semplice) della colpa, spettando poi
all'Amministrazione dimostrare che si è trattato di un
errore scusabile, configurabile nelle ipotesi di contrasti
giurisprudenziali sull'interpretazione di una fonte
normativa di formulazione incerta o di recente entrata in
vigore ovvero di notevole complessità del fatto o di
influenza determinante di comportamenti di altri soggetti.
---------------
Per quanto concerne, poi, i rapporti fra il
lucro cessante
(coincidente con l’utile economico che sarebbe derivato
dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non
avvenuta per le illegittimità qui rilevate) e danno
emergente (coincidente con la diminuzione patrimoniale
dovuta per le spese e gli esborsi sostenuti per la
partecipazione alla gara), si osserva quanto segue.
Invero, il danno
emergente, consistente nelle spese sostenute per la
partecipazione ad una gara d'appalto, non è risarcibile, in
favore dell'impresa che lamenti la mancata aggiudicazione
dell'appalto (o anche la sola perdita della relativa chance). Infatti, la partecipazione alle gare pubbliche di appalto
comporta per le imprese costi che, di norma, restano a
carico delle imprese medesime sia in caso di aggiudicazione,
sia in caso di mancata aggiudicazione.
Detti costi di
partecipazione si colorano come danno emergente solo se
l'impresa illegittimamente esclusa lamenti (e chieda di
essere tenuta indenne in relazione a) questi profili
dell'illegittimità procedimentale, perché in tal caso viene
in considerazione soltanto la pretesa risarcitoria del
contraente che si duole del fatto di essere stato coinvolto
in trattative inutili. Tali danni, peraltro, vanno, in via
prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica,
mediante rinnovo delle operazioni di gara e, solo ove tale
rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente.
Per converso, nel caso in cui l'impresa ottenga il
risarcimento del lucro cessante per mancata aggiudicazione
(o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non
vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente
dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante
il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un
beneficio maggiore di quello che deriverebbe
dall'aggiudicazione.
Neppure può trovare accoglimento l’ulteriore motivo con cui
si è lamentato che la sentenza in epigrafe sarebbe
meritevole di riforma per la parte in cui ha ritenuto di
poter accordare alla società ricorrente in primo grado un
pieno risarcimento del danno, mentre invece il pertinente
quadro giuridico e fattuale avrebbe al più consentito di
riconoscere alla ricorrente un indennizzo pari al (solo)
interesse negativo connesso all’infruttuosa partecipazione
alla gara.
Al riguardo si osserva:
- che sussistono nel caso di specie tutti gli elementi
oggettivi e soggettivi della fattispecie foriera di danno,
con particolare riguardo: a) al fatto costitutivo
(rappresentato dalla mancata aggiudicazione in assenza di
una qualunque valida giustificazione); b) all’evento dannoso
(rappresentato dalle mancate utilità ritraibili
dall’esecuzione dell’appalto); c) dall’evidente esistenza di
un nesso eziologico fra il fatto e l’evento;
- che, per quanto concerne il profilo della colpevolezza, la
sentenza in epigrafe risulta meritevole di conferma laddove
ha osservato che (anche a prescindere dalla giurisprudenza
comunitaria in tema di prova della colpa nelle controversie
risarcitorie in tema di pubblici appalti – C.G.C.E.,
sentenza 30.09.2010 in causa C-314/2009), deve
nondimeno trovare applicazione nel caso di specie il
consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui in
caso di acclarata illegittimità dell'atto amministrativo,
asseritamente foriero di danno, al privato non è richiesto
un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al
profilo dell'elemento soggettivo della colpa, potendo egli
invocare l'illegittimità del provvedimento quale presunzione
(semplice) della colpa, spettando poi all'Amministrazione
dimostrare che si è trattato di un errore scusabile,
configurabile nelle ipotesi (che qui non sussistono) di
contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una
fonte normativa di formulazione incerta o di recente entrata
in vigore ovvero di notevole complessità del fatto o di
influenza determinante di comportamenti di altri soggetti
(sul punto –ex plurimis -: Cons. Stato, V, 19.11.2012,
n. 5846; id., V, 03.07.2012, n. 3888; id., VI, 20.07.2010, n. 4660).
Per quanto concerne, poi, i rapporti fra il lucro cessante
(coincidente con l’utile economico che sarebbe derivato
dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non
avvenuta per le illegittimità qui rilevate) e danno
emergente (coincidente con la diminuzione patrimoniale
dovuta per le spese e gli esborsi sostenuti per la
partecipazione alla gara), si osserva quanto segue.
Al riguardo il Collegio ritiene che non sussistano ragioni
per discostarsi dall’orientamento secondo cui il danno
emergente, consistente nelle spese sostenute per la
partecipazione ad una gara d'appalto, non è risarcibile, in
favore dell'impresa che lamenti la mancata aggiudicazione
dell'appalto (o anche la sola perdita della relativa chance). Invero, la partecipazione alle gare pubbliche di appalto
comporta per le imprese costi che, di norma, restano a
carico delle imprese medesime sia in caso di aggiudicazione,
sia in caso di mancata aggiudicazione.
Detti costi di
partecipazione si colorano come danno emergente solo se
l'impresa illegittimamente esclusa lamenti (e chieda di
essere tenuta indenne in relazione a) questi profili
dell'illegittimità procedimentale, perché in tal caso viene
in considerazione soltanto la pretesa risarcitoria del
contraente che si duole del fatto di essere stato coinvolto
in trattative inutili. Tali danni, peraltro, vanno, in via
prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica,
mediante rinnovo delle operazioni di gara e, solo ove tale
rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente.
Per converso, nel caso in cui l'impresa ottenga il
risarcimento del lucro cessante per mancata aggiudicazione
(o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non
vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente
dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante
il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un
beneficio maggiore di quello che deriverebbe
dall'aggiudicazione (Cons. Stato, VI, 16.09.2011, n.
5168) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 12.04.2013 n. 1999 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Centrale
di committenza al via. Spacchettamento per i
nuovi appalti.
Appalti spacchettati dopo la committenza
unica. Dal 31.03.2013 la Centrale di
Committenza è la modalità organizzativa
attraverso la quale i comuni con popolazione
inferiore a 5 mila abitanti «affidano
obbligatoriamente a un'unica centrale di
committenza l'acquisizione di lavori,
servizi e forniture» ai sensi dell'art. 33,
comma 3-bis, dlgs. 163 del 2006.
Sull'argomento è intervenuta anche la legge
13.08.2010, n. 136 («piano straordinario
contro le mafie»), la quale stabilisce
(all'art. 13) che con successivo decreto si
sarebbero delineate le modalità per
istituire in ambito regionale una o più
stazioni uniche appaltanti (Sua), avente
natura giuridica di centrale di committenza.
Ne consegue che il ciclo dell'appalto, così
come delineato dal codice dei contratti e
regolamento attuativo, ovvero
programmazione-progettazione-affidamento-esecuzione
viene a essere «spacchettato» fra due
distinti soggetti e due responsabili
diversi, con buona pace dell'unicità del Rup
di cui all'articolo 10 del citato codice.
La tabella in pagina contiene in ordine
cronologico le attività facenti capo ai «vecchi»
responsabili unici di procedimento e ai
nuovi responsabili delle Cdc. La
suddivisione delle attività sviluppa il
tracciato fissato dal dpcm 30.6.2011 e
indica come passare dalla norma alla prassi
operativa ovvero «chi fa cosa».
I Rup dei piccoli comuni mantengono la
titolarità della fase «a monte» della
programmazione dei lavori, servizi e
forniture, della «progettazione del
contratto» e la fase «a valle»
della stipulazione ed esecuzione del
contratto. La fase dell'affidamento diviene
di competenza della Cdc, salvo naturalmente
la verifica di disponibilità del prodotto o
servizio presso la centrale «superiore»
ovvero Consip spa.
Viene meno quindi l'impostazione originaria
degli appalti, perché si perde l'univocità
del responsabile del procedimento,
derivante, per chi ne abbia memoria,
dall'articolo 7 c. 1 della «vecchia»
legge 109/94. È da sottolineare come questo
profondo cambiamento non sia avvenuto
attraverso un ripensamento strutturale della
materia dei contratti, ma attraverso un
comma, il 3-bis, aggiunto a un articolo in
modo sottile e quasi «inconsapevole».
Infine si consideri che l'art. 33 parla di «gare
bandite» da cui la riflessione che
l'obbligo della gestione centralizzata sia
precettivo per le procedure con confronto
concorrenziale, mentre rimane in capo ai
singoli comuni la facoltà di gestire
autonomamente il procedimento contrattuale
per l'acquisizione in economia, oppure nei
casi per i quali la legge ammette la
procedura negoziata diretta (cfr. artt. 56,
57, 125 dlgs n. 163/2006). In tal senso si è
pronunciata anche la Corte dei conti
Piemonte (Sez. Controllo n. 271/2012) (articolo
ItaliaOggi del 12.04.2013). |
APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALI: Contributi
alla luce del sole. Dal 20 aprile trasparenza anche per
incarichi e appalti.
Ecco cosa cambierà con l'entrata in vigore del
decreto legislativo n. 33 del 2013.
Cambia la pubblicità per contributi, incarichi e appalti. Il
20 aprile prossimo entrerà in vigore il dlgs 33/2013,
decreto legislativo sul riordino della trasparenza, che
spazza via l'articolo 18 del dl 83/2012, convertito in legge
134/2012, sostituito dagli articoli 26 e 27 del nuovo
decreto.
In sostanza, il legislatore, sia pure con notevole
confusione, distingue più nettamente le fattispecie di
pubblicità che fino al 4 aprile scorso erano tutte comprese
nell'abolito articolo 18: contributi, incarichi di
collaborazione e appalti.
Contributi.
È la fattispecie di provvedimenti più chiara. Non vi è alcun
dubbio che gli articoli 26 e 27 si riferiscano a procedure
mediante le quali le amministrazioni pubbliche assegnano «sovvenzioni,
contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e
comunque vantaggi economici di qualunque genere a persone ed
enti pubblici e privati», in applicazione dell'articolo
articolo 12 della legge 241/1990, se di importo superiore a
mille euro.
In questo caso, si pubblicano senza alcun problema i dati
elencati dall'articolo 27, comma 1, anche se occorre
precisare che detta elencazione non menziona i provvedimenti
di assegnazione, che, come vedremo in seguito, sono
essenziali.
Incarichi di collaborazione.
La nuova formulazione dell'articolo 26 del dlgs 33/2013
elimina il riferimento contenuto, precedentemente, nel comma
1 dell'articolo 18 ai «compensi a persone,
professionisti, imprese ed enti privati». Dunque, gli
incarichi professionali di collaborazione e consulenza,
prima inclusi nell'articolo 18, sembrano estrapolati. In
effetti, la disciplina della pubblicità degli incarichi di
collaborazione esterna si riscontra prevalentemente
nell'articolo 15, commi 2 e 3, del decreto di riordino, i
quali sostituiscono l'articolo 1, comma 127, della legge
662/1996 e l'articolo 3, comma 18, della legge 244/2007,
anch'essi aboliti.
Tuttavia, l'articolo 27, comma 1, continua a citare tra i
dati da pubblicare il «curriculum del soggetto incaricato».
Ora, poiché nell'ambito dell'erogazione di contributi e
sussidi non vi è alcun soggetto «incaricato», e visto
che la gran parte delle informazioni da rendere note ai
sensi dell'articolo 15 coincidono con quelle richieste
dall'articolo 27, comma 1, è corretto ritenere che per
quanto riguarda gli incarichi esterni l'elenco dei dati da
pubblicare sia quello previsto dall'articolo 27, comma 1,
integrato con gli specifici elementi richiesti dall'articolo
15: in particolare, la «ragione dell'incarico».
Appalti.
Gli articoli 26 e 27 non contengono più alcun riferimento
indiretto agli appalti. L'elenco dei dati da pubblicare
previsto dall'articolo 27, comma 1, alla lettera h) non
contiene più il periodo, presente invece nell'abolito
articolo 18, «nonché al contratto e capitolato della
prestazione, fornitura o servizio». Dunque, gli articoli
26 e 27 non disciplinano la pubblicità degli appalti.
E questo è confermato dall'articolo 37 del decreto di
riordino, il quale in modo espresso sancisce che la
pubblicità relativa agli appalti di lavori, forniture e
servizi è contenuta esclusivamente nelle specifiche norme
del dlgs 163/2006 e nell'articolo 1, comma 32, della legge
190/2012 (legge «anticorruzione»).
Efficacia.
Altra rilevantissima modifica apportata dal dlgs 33/2013
rispetto all'abolito articolo 18 concerne la condizione di
efficacia, connessa alla pubblicazione dei dati. La norma
abolita stabiliva che detta pubblicazione condizionasse
l'efficacia del «titolo legittimante»; ciò
significava che occorreva pubblicare il contratto o la
convenzione regolanti i rapporti di appalto, collaborazione
o contributo (era totalmente erronea la tesi che il titolo
legittimante potessero essere le fatture).
L'articolo 26, comma 3, del decreto di riordino, invece,
stabilisce che la pubblicazione costituisce «condizione
legale di efficacia dei provvedimenti che dispongano
concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore
a mille euro nel corso dell'anno solare al medesimo
beneficiario». Sparisce, quindi, il riferimento al
titolo legittimante.
Occorre, allora, pubblicare il provvedimento di assegnazione
(delibera, determina) e tale pubblicazione lo rende
efficace, non dunque, la pubblicazione all'albo pretorio,
che resta in ogni caso necessaria. Pertanto, sebbene
l'articolo 27, comma 1, non li menzioni nel suo elenco di
dati da pubblicare, è evidente che i provvedimenti di
assegnazione dei contributi o sussidi, nonché degli
incarichi di collaborazione, debbono essere necessariamente
pubblicati, così da permettere l'acquisizione di efficacia.
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La Consip non è sempre obbligatoria.
Nessun obbligo di adesione alle convenzioni Consip per gli
enti locali, tranne che per le forniture di energia, gas,
combustibili e telefonia; è invece obbligatorio il rispetto
dei parametri-qualità prezzo desunti dalle convenzioni
stipulate dalle centrali di committenza.
È questo il quadro che si trae dalla lettura delle norme che
si sono succedute in questi ultimi mesi e sulle quali sono
sorte, in sede interpretative, alcune tesi difformi che
meritano di essere meglio chiarite e specificate alla luce
della normativa vigente.
In sintesi la situazione è tale per cui, alla luce del
decreto c.d. spending review bis (legge 94/2012 di
conversione del dl 52/2012), che ha rafforzato l'obbligo,
per tutte le p.a., di fare ricorso alle convenzioni Consip
per gli acquisti, ai sensi dell'art. 1, c. 499, della legge
296/2006, come modificato di recente dalla stessa legge 94,
effettivamente esistono da un lato l'obbligo di adesione
alle convenzioni Consip per le sole amministrazioni statali
(tranne per quelle operanti nel settore dell'istruzione:
scuole e università) e dall'altro l'obbligo di utilizzo
delle convenzioni stipulate dalle centrali regionali da
parte del servizio sanitario nazionale.
Per gli enti locali (ma sono esclusi gli enti con
popolazione fino a 1.000 abitanti, o a 5.000 per i comuni
montani), invece, i paletti sono due: utilizzare i parametri
di qualità e prezzo, sia delle convenzioni stipulate dalla
centrale di committenza statale o da quelle regionali, come
limiti massimi per la stipulazione dei contratti; aderire
alle convenzioni Consip per i contratti di fornitura di
energia elettrica; gas; carburanti rete e carburanti
extra-rete; combustibili per riscaldamento; telefonia fissa
e telefonia mobile (le precise categorie merceologiche sono
indicate dall'art. 1 c. 7, del dl 95/2012).
Sull'aggiudicatario dei contratti.
C'è poi, sull'altro versante (privato), l'obbligo di
pagamento di una commissione non superiore all'1,5% del
valore del contratto per l'aggiudicatario delle convenzioni
stipulate da Consip, per l'aggiudicatario di gare su delega
bandite da Consip nell'ambito del Programma di
razionalizzazione degli acquisti del Dipartimento
dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi,
nonché per l'aggiudicatario degli appalti basati su accordi
quadro (articolo
ItaliaOggi del 12.04.2013. |
APPALTI: Arriva
il Testo unico sulla trasparenza. Da pubblicare on-line i
tempi per le fatture.
Con il Testo unico sulla Trasparenza, che entra in vigore il
20 aprile, per tutte le amministrazioni scatta l'obbligo di
pubblicare on-line i tempi medi con i quali si garantiscono
i pagamenti ai fornitori.
Lo ha annunciato ieri il ministro per la Pa e la
Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, illustrando le
principali novità del decreto n. 33 del marzo scorso.
Si tratta di uno strumento utile in vista dei nuovi limiti
che dovranno essere rispettati dopo il recepimento delle
disposizioni europee e consentirà, ha spiegato il ministro,
di misurare «la capacità di spesa delle amministrazioni».
Le sanzioni per i dirigenti responsabili che possono
incidere sui trattamenti accessori.
Il Testo unico mette insieme tutti gli obblighi di
pubblicità a carico della Pa e attiva il diritto del
cittadino al «controllo sociale» delle
amministrazioni. Si prevede tra l'altro l'obbligo di
pubblicare le situazioni patrimoniali di politici e parenti
entro il secondo grado, pena una multa da 500 a 10mila euro.
Vanno pubblicati anche gli incarichi dirigenziali e le
consulenze altrimenti si applica una sanzione pari alla
somma corrisposta (articolo
Il Sole 24 Ore del 12.04.2013). |
APPALTI:
Il servizio di c.d. "gestione calore" deve
qualificarsi come un appalto di servizio strumentale
all'Ente affidante, e non già come servizio pubblico locale
destinato all'utenza.
Sono rimesse all'Adunanza plenaria alcune questioni
sull'obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi
contenenti le offerte tecniche.
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Il servizio definito di "energia/gestione calore",
deve qualificarsi come un appalto di servizio strumentale
all'Ente affidante, e non già come servizio pubblico locale
destinato all'utenza. In sintesi, la natura di servizio
pubblico locale va riconosciuta alle attività destinate a
rendere un'utilità immediatamente percepibile ai singoli o
all'utenza complessivamente considerata, che ne sopporta i
costi direttamente, mediante pagamento di apposita tariffa,
all'interno di un rapporto trilaterale e con assunzione del
rischio di impresa da parte del gestore.
Peraltro, il servizio energia non costituisce una produzione
di beni o attività rivolti a fini sociali e di promozione
economica, non potendo rinvenirsi nella mera gestione del
calore per gli edifici pubblici alcuna finalità sociale e
promozionale.
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Sono rimesse all'Adunanza plenaria le seguenti questioni:
1) se l'obbligo di apertura in seduta pubblica dei plichi
contenenti le offerte tecniche sia operativo solo per le
gare indette dopo l'entrata in vigore dell'art. 12, D.L.
07.05.2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla l.
06.07.2012, n. 94, ovvero se tale regola è applicabile anche
per le gare indette prima di tale data;
2) se il citato art. 12 abbia salvaguardato, e quindi
sanato, gli effetti delle procedure già concluse alla data
del 09.05.2012 e di quelle, ancora pendenti alla detta data,
nelle quali si sia già proceduto, prima della medesima data,
all'apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche non
in seduta pubblica;
3) se il principio positivizzato dalla decisione
dell'Adunanza Plenaria n. 13/2011 (obbligo di apertura in
seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche)
si applichi solo ai plichi aperti dopo il 28.07.2011, data
della sua pubblicazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.04.2013 n. 1976 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
In generale, il potere di revoca degli atti di
gara (già previsto dalla disciplina di contabilità generale
dello Stato che consente il diniego di approvazione per
motivi di interesse pubblico ex art. 113 del R.D. 23.05.1924
n. 827) trova il proprio fondamento nel principio generale
dell'autotutela della pubblica amministrazione
(espressamente previsto, nel settore degli appalti pubblici,
dall’art. 11, nono comma, del D.Lgs. 163/2006), che
rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere
amministrativo, direttamente connesso ai criteri
costituzionali di imparzialità e buon andamento della
funzione pubblica.
Infatti, l'art. 21-quinquies L. 07.08.1990 n. 241 consente
un ripensamento da parte dell’amministrazione, laddove
questa ritenga di operare motivatamente una nuova
valutazione dell'interesse pubblico originario. La
possibilità che in materia di appalti pubblici la stazione
appaltante possa mutare avviso, in funzione del pubblico
interesse, deve essere ricondotta all'ordinarietà
dell'esercizio stesso del potere esperibile anche dopo
l'avvio della procedura di scelta del contraente per ragioni
di pubblico interesse preesistenti o sopravvenute o per vizi
di merito e di legittimità.
La revoca della gara pubblica può dunque ritenersi
legittimamente disposta dalla stazione appaltante in
presenza di documentate e obiettive esigenze di interesse
pubblico, che siano opportunamente e debitamente
esplicitate, che rendano evidente l'inopportunità o comunque
l'inutilità della prosecuzione della gara stessa, oppure
quando, anche in assenza di ragioni sopravvenute, la revoca
sia la risultante di una rinnovata e differente successiva
valutazione dei medesimi presupposti.
---------------
Nelle determinazioni di revoca la valutazione dell'interesse
pubblico consiste in un apprezzamento discrezionale non
sindacabile nel merito dal giudice amministrativo, salvo che
non risulti viziato sul piano della legittimità per
manifesta ingiustizia ed irragionevolezza.
---------------
In presenza di un legittimo atto di autotutela, costituisce
ius receptum, il principio secondo cui la legittimità
dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di una gara di
appalto non elimina il profilo relativo alla valutazione del
comportamento dell'amministrazione, con riguardo al rispetto
dei canoni di buona fede e correttezza, nell'ambito del
procedimento di evidenza pubblica preordinato alla selezione
del contraente.
La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara
può ritenersi configurabile quando il fine pubblico venga
attuato attraverso un comportamento obiettivamente lesivo
dei doveri di lealtà, sicché anche dalla revoca legittima
degli atti di gara può scaturire l'obbligo di risarcire il
danno, nel caso di affidamento suscitato da un comportamento
contrario ai canoni comportamentali legalmente sanciti.
Gli atti che compongono la fase procedimentale dell'evidenza
pubblica in quanto prodromici alla stipula del contratto
sono configurabili anche quali atti di trattativa e
formazione negoziale rilevanti ai sensi dell'art. 1337 cod.
civ.. Ben può configurarsi una “culpa in contrahendo” a
carico della pubblica amministrazione qualora tra le parti
siano intercorse trattative per la conclusione di un accordo
giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente
l'affidamento nella conclusione del contratto e che una
delle parti abbia interrotto le trattative in violazione
delle regole di correttezza e di buona fede di cui all'art.
1337 cod. civ. eludendo così le ragionevoli aspettative
dell'altra, la quale, avendo confidato nella conclusione
finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o
a rinunciare ad occasioni più favorevoli.
---------------
Non è configurabile la responsabilità precontrattuale della
stazione appaltante che si sia motivatamente e
tempestivamente avvalsa della facoltà, prevista nel bando di
gara, di non procedere all’aggiudicazione definitiva
dell’appalto per ragioni di pubblico interesse comportanti
variazioni agli obiettivi perseguiti; in tal caso, infatti,
all’amministrazione appaltante non è contestabile alcun
comportamento lesivo dell’affidamento dei partecipanti.
---------------
L'art. 21-quinquies, comma 1, della L. n. 241 del 1990, come
modificato ed integrato dalla l. n. 15 del 2005, nel sancire
l'obbligo dell'amministrazione di provvedere all'indennizzo
dei soggetti direttamente interessati, quale ristoro dei
pregiudizi provocati dalla revoca, ha riguardo ai
provvedimenti amministrativi “ad efficacia durevole”, tra i
quali, pacificamente, non rientra l’aggiudicazione
provvisoria .
La revoca di un’aggiudicazione provvisoria, pur dando avvio
ad un procedimento complesso che non si risolve uno actu,
non può essere qualificato quale atto avente durevole
efficacia, con la conseguenza che rispetto ad esso non trova
applicazione l'art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990, come
modificato ed integrato dalla l. n. 15 del 2005, che
sancisce l'obbligo dell'amministrazione di provvedere
all'indennizzo dei soggetti direttamente interessati, quale
ristoro dei pregiudizi provocati dalla revoca, precisando,
peraltro, la stessa disposizione, che l'ambito applicativo
ha riguardo ai provvedimenti amministrativi ad efficacia
durevole.
Nemmeno possono trovare applicazione nella fattispecie i
successivi commi 1-bis e 1-ter del medesimo articolo, i
quali -pur considerando anche gli atti amministrativi a
efficacia istantanea- circoscrivono il sorgere del diritto
all’indennizzo all’incidenza su rapporti negoziali (da
intendersi ovviamente come rapporti già costituiti).
In generale, il potere di revoca degli atti di gara (già previsto
dalla disciplina di contabilità generale dello Stato che
consente il diniego di approvazione per motivi di interesse
pubblico ex art. 113 del R.D. 23.05.1924 n. 827) trova
il proprio fondamento nel principio generale dell'autotutela
della pubblica amministrazione (espressamente previsto, nel
settore degli appalti pubblici, dall’art. 11, nono comma,
del D.Lgs. 163/2006), che rappresenta una delle
manifestazioni tipiche del potere amministrativo,
direttamente connesso ai criteri costituzionali di
imparzialità e buon andamento della funzione pubblica
(Consiglio di Stato, Sez. V, 09.04.2010 n. 1997; TAR
Campania, Napoli, Sez. VIII, 03.05.2010 n. 2263).
Infatti, l'art. 21-quinquies L. 07.08.1990 n. 241
consente un ripensamento da parte dell’amministrazione,
laddove questa ritenga di operare motivatamente una nuova
valutazione dell'interesse pubblico originario. La
possibilità che in materia di appalti pubblici la stazione
appaltante possa mutare avviso, in funzione del pubblico
interesse, deve essere ricondotta all'ordinarietà
dell'esercizio stesso del potere esperibile anche dopo
l'avvio della procedura di scelta del contraente per ragioni
di pubblico interesse preesistenti o sopravvenute o per vizi
di merito e di legittimità.
La revoca della gara pubblica può dunque ritenersi
legittimamente disposta dalla stazione appaltante in
presenza di documentate e obiettive esigenze di interesse
pubblico (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 11.05.2009 n.
2882), che siano opportunamente e debitamente esplicitate,
che rendano evidente l'inopportunità o comunque l'inutilità
della prosecuzione della gara stessa, oppure quando, anche
in assenza di ragioni sopravvenute, la revoca sia la
risultante di una rinnovata e differente successiva
valutazione dei medesimi presupposti (TAR Campania,
Napoli, Sez. VIII, 05.04.2012 n. 1646; TAR Trentino
Alto Adige, Trento, 30.07.2009 n. 228).
Alla luce di tali considerazioni deve concludersi per la
legittimità dell’azione amministrativa, posto che la
determinazione contestata risulta adeguatamente motivata
dalla stazione appaltante con valutazioni che non si possono
censurare per palese ingiustizia o illogicità.
L’atto di revoca emesso dalla stazione appaltante in
applicazione dei predetti criteri generali in tema di atti
di secondo grado, costituisce inoltre esercizio di un potere
che l’amministrazione si era riservata sin dalla
predisposizione del bando le cui clausole non sono state né
impugnate in parte qua né contestate da parte ricorrente.
In ogni caso nel rispetto dei principi di economicità e buon
andamento della pubblica amministrazione, deve ritenersi che
la prosecuzione dell’appalto in presenza di condizioni come
quelle esplicate, si sarebbe comunque posta in contrasto con
l’esigenza di una gestione razionale ed efficiente delle
risorse pubbliche.
Peraltro nelle determinazioni di revoca la valutazione
dell'interesse pubblico consiste in un apprezzamento
discrezionale non sindacabile nel merito dal giudice
amministrativo, salvo che non risulti viziato sul piano
della legittimità per manifesta ingiustizia ed
irragionevolezza (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 05.04.2012 n. 1646; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 12.04.2010 n. 1897), circostanze che non è dato ravvisare
nella fattispecie per cui è causa.
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La domanda di
risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale da
atto legittimo ha ad oggetto il ristoro della lesione della
posizione soggettiva inerente l'affidamento ingenerato nel
privato circa l'osservanza da parte della pubblica
amministrazione del dovere di comportarsi secondo buona fede
e correttezza durante le trattative.
La questione rientra nella giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett.e)
sub 1), c.p.a., con esplicito riferimento alle controversie
“relative a procedure di affidamento di pubblici lavori,
servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti,
nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione
della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei
procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa
statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie…”. A
sua volta l’art. 30 del c.p.a. al comma 2 stabilisce che nei
casi di giurisdizione esclusiva può essere altresì chiesto
il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi.
Quanto alla tutelabilità della pretesa ai fini
risarcitori, la Sezione (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII,
05.04.2012 n. 1646) ha in precedenza rilevato che, in
presenza di un legittimo atto di autotutela, costituisce ius
receptum, il principio secondo cui la legittimità dell'atto
di revoca dell'aggiudicazione di una gara di appalto non
elimina il profilo relativo alla valutazione del
comportamento dell'amministrazione, con riguardo al rispetto
dei canoni di buona fede e correttezza, nell'ambito del
procedimento di evidenza pubblica preordinato alla selezione
del contraente.
La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara
può ritenersi configurabile quando il fine pubblico venga
attuato attraverso un comportamento obiettivamente lesivo
dei doveri di lealtà, sicché anche dalla revoca legittima
degli atti di gara può scaturire l'obbligo di risarcire il
danno, nel caso di affidamento suscitato da un comportamento
contrario ai canoni comportamentali legalmente sanciti (cfr.
anche TAR Campania, Napoli, Sez. I, 08.02.2006 n.
1794; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 14.09.2010 n. 3459
e 12.01.2011 n. 20). Gli atti che compongono la fase
procedimentale dell'evidenza pubblica in quanto prodromici
alla stipula del contratto sono configurabili anche quali
atti di trattativa e formazione negoziale rilevanti ai sensi
dell'art. 1337 cod. civ.. Ben può configurarsi una “culpa in contrahendo” a carico della pubblica amministrazione qualora
tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione
di un accordo giunte ad uno stadio tale da giustificare
oggettivamente l'affidamento nella conclusione del contratto
e che una delle parti abbia interrotto le trattative in
violazione delle regole di correttezza e di buona fede di
cui all'art. 1337 cod. civ. eludendo così le ragionevoli
aspettative dell'altra, la quale, avendo confidato nella
conclusione finale del contratto, sia stata indotta a
sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli.
Nella fattispecie, il Collegio ritiene che tali condizioni
non sussistano.
Si è visto che la legittimità del provvedimento di revoca è
stata ritenuta in funzione della condivisibilità delle
ragioni poste dall'amministrazione a fondamento dell'atto di
autotutela, adottato proprio a salvaguardia delle
sopravvenute esigenze dell’ente e del razionale utilizzo
delle risorse pubbliche.
In questa sede deve escludersi un comportamento
dell’amministrazione in contrasto con il dovere di lealtà e
correttezza nonché lesivo dell’affidamento riposto dalla
controparte nella conclusione del contratto.
A tale fine è utile il richiamo a quell’indirizzo
giurisprudenziale secondo cui non è configurabile la
responsabilità precontrattuale della stazione appaltante che
si sia motivatamente e tempestivamente avvalsa della
facoltà, prevista nel bando di gara, di non procedere
all’aggiudicazione definitiva dell’appalto per ragioni di
pubblico interesse comportanti variazioni agli obiettivi
perseguiti; in tal caso, infatti, all’amministrazione
appaltante non è contestabile alcun comportamento lesivo
dell’affidamento dei partecipanti (Consiglio di Stato, Sez.
V, 07.09.2009 n. 5245; 13.11.2002 n. 6291;
TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 03.05.2010 n. 2263).
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Del pari
infondata è l’ultima richiesta subordinata di riconoscimento
del diritto alla corresponsione di una somma a titolo di
indennizzo ai sensi dell’art. 21-quinquies della l. n.
241/1990.
Al riguardo va infatti osservato che l'art. 21-quinquies, comma 1, della L. n. 241 del 1990, come
modificato ed integrato dalla l. n. 15 del 2005, nel sancire
l'obbligo dell'amministrazione di provvedere all'indennizzo
dei soggetti direttamente interessati, quale ristoro dei
pregiudizi provocati dalla revoca, ha riguardo ai
provvedimenti amministrativi “ad efficacia durevole”, tra i
quali, pacificamente, non rientra l’aggiudicazione
provvisoria .
La revoca di un’aggiudicazione provvisoria, pur dando avvio
ad un procedimento complesso che non si risolve uno actu,
non può essere qualificato quale atto avente durevole
efficacia, con la conseguenza che rispetto ad esso non trova
applicazione l'art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990, come
modificato ed integrato dalla l. n. 15 del 2005, che
sancisce l'obbligo dell'amministrazione di provvedere
all'indennizzo dei soggetti direttamente interessati, quale
ristoro dei pregiudizi provocati dalla revoca, precisando,
peraltro, la stessa disposizione, che l'ambito applicativo
ha riguardo ai provvedimenti amministrativi ad efficacia
durevole (Tar Lazio, Roma, sez. I, 11.07.2006, n. 5766).
Nemmeno possono trovare applicazione nella fattispecie i
successivi commi 1-bis e 1-ter del medesimo articolo, i
quali -pur considerando anche gli atti amministrativi a
efficacia istantanea- circoscrivono il sorgere del diritto
all’indennizzo all’incidenza su rapporti negoziali (da
intendersi ovviamente come rapporti già costituiti)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 11.04.2013 n. 1916 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Pubblicità legale, l'Autorità vuole
chiarezza sulle norme.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici chiede a
governo e parlamento di fare chiarezza sul regime giuridico
applicabile alla pubblicità legale dei bandi e avvisi di
gara.
Con l'atto
di segnalazione 09.04.2013 a governo e parlamento,
concernente le modalità di pubblicazione di avvisi e bandi
di gara sui quotidiani, l'Authority prende atto dei diversi
interventi normativi succedutisi dal 2009 ad oggi e che
hanno creato una situazione di scarsa chiarezza rispetto
all'applicazione dell'obbligo di pubblicazione di avvisi e
bandi per estratto sui quotidiani, così come previsto
dall'art. 66, comma 7, del Codice dei contratti; da ciò
l'auspicio di un intervento normativo che coordini le
diverse disposizioni intervenute.
In particolare l'art. 66 prescrive, al comma 7, che la
pubblicazione degli avvisi e dei bandi avvenga «per
estratto su almeno due dei principali quotidiani a
diffusione nazionale e su almeno due a maggiore diffusione
locale nel luogo ove si eseguono i contratti».
Parimenti, per i contratti di lavori pubblici sotto soglia,
mentre l'art. 122, comma 5, prevede che l'avviso sui
risultati della procedura di affidamento ed i bandi relativi
a contratti di importo pari o superiore a cinquecentomila
euro siano pubblicati «per estratto, a scelta della
stazione appaltante, su almeno uno dei principali quotidiani
a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a
maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i
lavori». La segnalazione si è resa necessaria in
considerazione del fatto che l'applicazione delle norme
sulla pubblicità di avvisi e bandi per l'affidamento dei
contratti pubblici è materia che reca con sé importanti
implicazioni sulla regolarità delle procedure di gara.
L'Autorità presieduta da Sergio Santoro ritiene, dunque,
auspicabile un intervento normativo che coordini le diverse
disposizioni intervenute, in linea con le misure di
modernizzazione, semplificazione e digitalizzazione
dell'attività amministrativa, introdotte con i recenti
interventi normativi, in tema di spending review e di
sviluppo (articolo ItaliaOggi dell'11.04.2013). |
APPALTI: Tutti
gli ostacoli sulla via dei pagamenti. I Comuni devono
censire il quadro del dovuto, le Regioni varare «manovre» di
ripiano.
IL PARADOSSO/ Il via libera immediato alle sole risorse
depositate nella «tesoreria statale» può escludere proprio i
fondi destinati agli investimenti.
Il calendario fissato dal decreto sui debiti della Pubblica
amministrazione è rapido, e i primi provvedimenti attuativi
seguono lo stesso ritmo, come impone l'acutezza
dell'emergenza. La strada che può condurre il creditore al
traguardo dell'incasso, però, può essere lunga e tortuosa,
costretta com'è a divincolarsi fra la rigidità dei vincoli
europei che rimangono in campo e la mole di un problema che
si è accumulato negli anni. Lungo il sentiero, si incontra
più di un ostacolo, su cui si dovrà esercitare l'«esame
attento» dei testi già annunciato dai partiti e l'azione
di «semplificazione» chiesta a gran voce da imprese e
operatori.
Le prime incognite si incontrano fin dall'inizio del
percorso, tra i Comuni che potrebbero riavviare la macchina
senza aspettare gli interventi dell'Economia previsti per la
metà di maggio. Il decreto è in vigore da martedì, ma di
pagamenti immediati non se ne vedono perché tutti i Comuni
carichi di arretrati devono ricostruire il puzzle
dettagliato dei debiti al 31 dicembre scorso, e su questa
base misurare la richiesta di sblocco dal Patto di stabilità
che andrà presentata entro fine aprile. Anche chi ha i soldi
in cassa, s'inceppa in un primo nodo interpretativo.
Il decreto consente di liberare fino al 13% della liquidità
«detenuta presso la tesoreria statale» (articolo 1,
comma 5), ma gli amministratori spiegano in coro che solo
una parte delle risorse finisce in quei conti. Oltre a
tagliare drasticamente l'ossigeno finanziario che si può
immettere nel sistema senza aspettare la distribuzione delle
quote da parte dell'Economia, una lettura restrittiva della
regola finirebbe dritta in un paradosso: fuori dalla
tesoreria statale ci sono le entrate prodotte dai mutui
accesi per gli investimenti, cioè proprio le risorse che il
decreto intende sbloccare e che invece tornerebbero a
incagliarsi.
L'altro vincolo, che impedisce di pagare più del 50% delle
somme che si intendono sbloccare con il meccanismo del
decreto, rischia poi di imbrigliare i pagamenti nei Comuni
più in ordine, che hanno pochi arretrati da smaltire e
quindi pochi "bonus" da chiedere. A regime, invece,
l'impatto del provvedimento sui creditori dei diversi Comuni
dipenderà dalla somma che ogni sindaco chiederà, e riuscirà
ad ottenere, al tavolo delle deroghe al Patto; la somma, a
sua volta, è legata alla quantità dei «debiti certi,
liquidi ed esigibili» accumulati al 31 dicembre scorso,
spesso tutti da ricostruire, e dai criteri che saranno
adottati per distribuirla. Sindaci e Governo hanno tempo
fino al 10 maggio per trovare metodi diversi, altrimenti si
applicherà il parametro proporzionale che finirà per
premiare chi è più "audace" nelle istanze.
Una quota importante dei debiti degli enti locali è legata
poi a finanziamenti regionali, che si possono riattivare in
pieno solo se i Governatori procedono in tempi record nel
tour de force loro riservato dal secondo articolo del
decreto. Per ottenere l'anticipazione dall'Economia, da
girare per il 66% agli enti locali, le Regioni devono
scrivere provvedimenti in grado di coprire anticipo e
interessi, presentare un piano dettagliato dei pagamenti e
firmare un contratto con l'Economia per lo sblocco delle
risorse. Il tutto senza dare più spazio all'interno del
Patto di stabilità ai pagamenti diretti delle Regioni (sono
esclusi solo quelli "girati" agli enti locali), che
nella nuova versione «eurocompatibile» in vigore dal
2013 ha effetti ancora da misurare.
Per i debiti statali, la premessa obbligatoria è un elenco
cronologico dei debiti in ogni ministero. Una tranche verrà
sbloccata a metà maggio, ma chi non salirà sul primo treno
dovrà aspettare i piani di rientro e il loro passaggio in
Parlamento e Corte dei conti. Entro metà dicembre (articolo
Il Sole 24 Ore dell'11.04.2013). |
APPALTI - URBANISTICA: Trasparenza
e anticorruzione delle Pubbliche Amministrazioni: in arrivo
nuovi obblighi su appalti, urbanistica e ambiente.
Dal prossimo 20.04.2013 le Amministrazioni Pubbliche avranno
nuovi obblighi in materia di appalti, urbanistica, ambiente
e calamità naturali.
Lo stabilisce il Decreto Legislativo n. 33 del 14.03.2013
che riordina la disciplina riguardante gli obblighi di
pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da
parte delle amministrazioni pubbliche.
Obiettivo del decreto è quello di consentire ai cittadini di
conoscere e controllare le attività delle amministrazioni,
la loro efficienza e imparzialità.
Tra i nuovi obblighi a carico delle stazioni appaltanti:
►
obbligo di pubblicare sui propri siti internet le
informazioni sugli appalti: per ciascun contratto devono
indicare la determina di aggiudicazione definitiva, la
struttura proponente, l'oggetto del bando, l'importo
dell'aggiudicazione, l'aggiudicatario, la base d'asta, la
procedura e la modalità di selezione del contraente, il
numero di offerenti partecipanti, i tempi di completamento
dell'opera, l'importo delle somme liquidate, le modifiche
contrattuali e le decisioni di ritiro e recesso dei
contratti;
►
obbligo di trasmettere tutte le informazioni pubblicate sui
propri siti internet all’AVCP (Autorità per la Vigilanza sui
Contratti Pubblici);
►
obbligo di pubblicare le informazioni relative ai tempi, ai
costi unitari e agli indicatori di realizzazione delle opere
pubbliche completate
►
obbligo di pubblicità dei dati e documenti, tra i quali i
procedimenti di approvazione dei piani regolatori e delle
varianti urbanistiche;
►
obbligo di pubblicare annualmente un “indicatore di
tempestività dei pagamenti” che indica i propri tempi
medi di pagamento per l’acquisto di beni, servizi e
forniture.
Le PA che non rispettano questi obblighi incorrono in
sanzioni fino a 51.545 euro.
L’AVCP entro il 30 aprile di ogni anno comunicherà alla
Corte dei Conti l’elenco delle amministrazioni pubbliche
inadempienti (11.04.2013 - link a www.acca.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il bando costituisce la
lex specialis concorsus da interpretare in termini
strettamente letterali, per cui le regole da esso risultanti
vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione,
obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di
discrezionalità.
Ciò in forza del principio di tutela della par condicio dei
concorrenti, che sarebbe pregiudicata ove si consentisse la
modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex
specialis e dell’altro più generale principio che vieta la
disapplicazione del bando quale atto con cui
l’Amministrazione si è originariamente autovincolata
nell’esercizio delle potestà connesse alla conduzione della
procedura selettiva.
--------------
I requisiti prescritti per la partecipazione ad una
selezione concorsuale debbano essere posseduti alla data di
scadenza prevista per la presentazione delle relative
domande
Come accertato dal TAR, a seguito di specifica istruttoria
disposta, il bando di concorso, approvato dal consiglio
della Comunità montana alla seduta del 06.11.1981, prevede
come requisito essenziale per la partecipazione il solo
possesso del titolo di laurea in architettura.
Il TAR ha quindi correttamente evidenziato, citando conforme
giurisprudenza, che il bando costituisce la lex specialis
concorsus da interpretare in termini strettamente
letterali, per cui le regole da esso risultanti vincolano
rigidamente l’operato dell’Amministrazione, obbligata alla
loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità.
Ciò in forza del principio di tutela della par condicio dei
concorrenti, che sarebbe pregiudicata ove si consentisse la
modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex
specialis e dell’altro più generale principio che vieta
la disapplicazione del bando quale atto con cui
l’Amministrazione si è originariamente autovincolata
nell’esercizio delle potestà connesse alla conduzione della
procedura selettiva.
Nel caso in esame il bando di concorso prevedeva, come si è
detto, quale requisito richiesto per la partecipazione alla
selezione pubblica, il possesso da parte dei candidati al
momento della presentazione della domanda di partecipazione
del diploma di laurea, ma non della abilitazione
all’esercizio della professione (Consiglio di Stato, Sez. V,
03.07.2012, n. 4433).
---------------
Sul punto è
giurisprudenza costante, invero, che i requisiti prescritti
per la partecipazione ad una selezione concorsuale debbano
essere posseduti alla data di scadenza prevista per la
presentazione delle relative domande (Cons. Stato, sez. VI,
04.02.2002 n. 6010)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.04.2013 n. 1969 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 10.04.2013 n. 84 "Criteri per la comunicazione di
informazioni relative al partenariato pubblico-privato ai
sensi dell’articolo 44, comma 1-bis del decreto-legge
31.12.2007, n. 248 convertito, con modificazioni,
dall’articolo 1, comma 1 della legge 28.02.2008, n. 31"
(circolare
P.C.M. 27.03.2013). |
APPALTI:
Trasparenza totale per le gare della Pa.
Pubblicato il decreto legislativo.
Non solo avvisi di gara su Gazzette,
giornali e web. Con la pubblicazione del decreto legislativo
33/2013 la trasparenza nel settore degli appalti diventa un
imperativo a 360 gradi per le Pa. Con nuovi obblighi che
includono la pubblicazione di dati su tempi e costi delle
opere in aggiunta a un indicatore capace di fotografare
anche i tempi medi di pagamento.
Il quadro è però ancora lontano dall'essere chiaro. Anzi. La
doverosa richiesta di massima trasparenza -anche in campo
urbanistico- rischia di trasformarsi in un labirinto di
impegni per i funzionari pubblici. Con il doppio pericolo di
sovrapposizione di obblighi già previsti dall'ordinamento
(vedi l'invio dei dati sugli appalti di importo superiore a
50mila euro all'Osservatorio gestito dall'Autorità) e di
impossibilità di dar seguito ai nuovi impegni per l'assenza
dei provvedimenti di attuazione .
Il decreto fa scattare innanzitutto l'obbligo per le
amministrazioni di attrezzare l'home page dei siti
istituzionali con un'apposita sezione denominata «Amministrazione
trasparente» in cui, ogni sei mesi, devono confluire le
informazioni e i documenti a pubblicazione obbligatoria, tra
cui i dati sulle aggiudicazioni degli appalti.
Per definire l'organizzazione della sezione il decreto ha
previsto l'emanazione di linee guida da parte del ministero
della Funzione pubblica, che però non sono state ancora
pubblicate. Un'altra novità del decreto si intreccia con la
cronaca sul ritardo di pagamenti delle Pa. D'ora in avanti
le amministrazioni dovranno pubblicare con cadenza annuale
un indicatore dei tempi medi di saldo delle fatture per
acquisto di beni, servizi e forniture.
Obbligatorio rendere pubbliche anche le informazioni su
tempi e costi di realizzazione delle opere. I dati dovranno
essere poi forniti all'Autorità «che ne cura la raccolta
e la pubblicazione nel proprio sito web, al fine di
consentirne un'agevole comparazione». Il tutto sulla
base di uno schema-tipo che però Via Ripetta non ha ancora
messo a punto e diffuso. Operazione trasparenza anche per
gli appalti affidati a trattativa privata, senza
pubblicazione di un bando di gara. In questo caso, il
decreto impone di pubblicare la delibera a contrarre.
Infine, il provvedimento punta a fare luce anche sulle
operazioni di trasformazione urbana. La novità principale è
l'obbligo di pubblicare i documenti relativi alle proposte
di trasformazione, anche privata, nel caso in cui prevedano
bonus volumetrici o cessione di aree o volumi per finalità
pubbliche.
---------------
LE NOVITÀ
Tempi e costi delle opere
Sui siti internet degli enti dovranno essere pubblicate le
informazioni su tempi e costi di realizzazione delle opere
pubbliche, oltre a un indicatore sulla «tempestività dei
pagamenti», da rendere noto con cadenza annuale
Trasformazione urbana
Novità anche nel settore urbanistico. Diventa obbligatorio
pubblicare i documenti relativi alle proposte di sviluppo,
con bonus volumetrici e cessione di aree a privati, anche se
non comportano variante rispetto alle previsioni dello
strumento di pianificazione (articolo
Il Sole 24 Ore del 10.04.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI: DECRETO
PAGAMENTI/ Nota della Ragioneria, mentre affiorano i primi
dubbi.
Gli enti locali subito in moto. Applicazione per ottenere il
via libera ai versamenti.
Al via le comunicazioni degli enti locali per ottenere il
via libera al pagamento dei propri debiti. Ma intanto
affiorano i primi dubbi sull'applicazione dei nuovi
meccanismi.
Da ieri, comuni e province possono trovare sul sito web
della ragioneria generale dello Stato (al consueto indirizzo
http://pattostabilitainterno.tesoro.it) l'applicazione per
trasmettere al Mef la richiesta degli spazi finanziari in
deroga al Patto ai sensi del dl 35/2013.
I tempi sono strettissimi: per partecipare al primo riparto
(che riguarderà il 90% dei 5 miliardi a disposizione e sarà
definito entro il 15 maggio) c'è tempo solo fino al prossimo
30 aprile. I ritardatari dovranno accontentarsi del restante
10% (oltre alle eventuali quote non assegnate al primo
giro), che verrà distribuito entro il 15 luglio.
Interessati alla misura sono tutti gli enti soggetti al
Patto 2013, compresi, quindi, anche i comuni fra 1.001 e
5.000 abitanti, che fino allo scorso anno erano esenti. Il
dl, infatti, pur se riferito a debiti pregressi, non opera
distinzioni sul punto.
Le richieste possono riguardare due tipologie di debiti di
parte capitale: 1) quelli certi, liquidi ed esigibili alla
data del 31/12/2012; 2) quelli per i quali, alla medesima
data, sia stata almeno emessa fattura o richiesta
equivalente di pagamento.
Al momento, non è del tutto chiaro se possano essere
comunicati anche i dati relativi ai pagamenti già effettuati
prima della pubblicazione del dl o se viceversa si possa
chiedere lo sblocco solo dei debiti ancora da saldare. La
prima soluzione pare preferibile e più aderente alla
formulazione letterale dell'art. 1, comma 1, che consente di
escludere dal Patto tutti i pagamenti relativi ai debiti di
cui sopra, senza distinzione rispetto alla data in cui sono
stati effettuati. La stessa norma, del resto, con
riferimento specifico ai pagamenti delle province a favore
dei comuni (anch'essi pienamente rientranti nella deroga)
espressamente precisa «sostenuti nel corso del 2013».
Anche il prospetto da compilare on-line sembra confermare
questa lettura: esso, infatti, parla di debiti al 31/12/2012
senza escludere quelli già pagati.
In questa prospettiva, l'importo da comunicare entro il 30
aprile è quello risultante dalla ricognizione di tutti i
debiti al 31/12/2012 appartenenti alle tipologie richiamate.
Gli eventuali pagamenti già effettuati sono comunque validi
sia ai fini dell'esclusione dal Patto, sia ai fini della
verifica del rispetto del 90% al di sotto della quale
scattano le sanzioni a carico dei responsabili (pari due
mensilità di stipendio), ai sensi dell'art. 1, comma 4, del
dl.
Sul punto, comunque, proprio alla luce delle sanzioni
previste (che scattano anche in caso di mancata richiesta
senza che ricorra un giustificato motivo) non sarebbe
superfluo un chiarimento ufficiale.
Altri dubbi riguardano le anticipazioni di liquidità che
potranno essere erogate dalla Cassa depositi e prestiti agli
enti a corto di cassa. Anche in tal caso, la richiesta va
trasmessa entro il 30 aprile (art. 1, comma 13, del dl). La
formulazione finale del testo, a differenza delle bozze
circolate nei giorni scorsi, non contiene più la
formulazione «possono chiedere», ma quella «chiedono»,
il che potrebbe prefigurare un obbligo di adesione. In senso
contrario, va rilevato, però, che la relazione di
accompagnamento mantiene la precedente formulazione. La
scelta è tutt'altro che agevole, specialmente per gli enti
che vantano consistenti crediti (residui attivi) e che
potrebbero trovarsi nella paradossale situazione di chiedere
l'intervento della Cassa e poi di non averne più bisogno,
una volta riscosso il dovuto.
Molti enti, in particolare, vantano crediti nei confronti
delle regioni e non a caso il dl contiene misure ad hoc
per consentirne lo sblocco (art. 1, commi 7 e 8). Da qui la
domanda: le anticipazioni della Cassa potranno essere
restituite anticipatamente? E se sì, a che condizioni? Le
risposta dovrà esser fornita in tempi rapidi attraverso
l'apposito addendum alla Convenzione in essere fra la Cassa
e il Mef, che fra l'altro dovrà definire uno schema di
contratto tipo per regolare i prestiti (articolo
ItaliaOggi del 10.04.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI: Alle
imprese creditrici lettera entro giugno. Le aziende possono
controllare l'inclusione nell'elenco di chi sarà pagato e
sollecitare gli enti inadempienti. Un aiuto dalla
certificazione.
La pubblicazione del decreto «sblocca crediti» dovrebbe
mettere liquidità a disposizione delle imprese. Queste,
però, devono fare qualcosa o tutti gli adempimenti sono a
carico delle pubbliche amministrazioni debitrici?
Il decreto «sblocca crediti» propone una complessa
manovra che ricade, in termini di adempimenti, in larga
parte sulla Pa. Essa, però, non è scollegata da un filone di
norme che, già dalla metà dello scorso anno, si sono
susseguite per provare a fornire -ai creditori delle Pa-
strumenti alternativi per il soddisfacimento dei propri
crediti.
È in tale ambito che essa si inserisce e, dunque, le nuove
norme devono coordinarsi con quelle precedenti che,
peraltro, anche le imprese farebbero bene ad avere presenti.
In particolare, si richiama l'attenzione degli operatori
economici sulle procedure (già operative da qualche mese)
per ottenere la cosiddetta «certificazione dei crediti».
Richiedere questa attestazione non è obbligatorio –ed, anzi,
il decreto n. 35/2013 ne prevede ora una sorta di «rilascio
in automatico»– ma poiché i pagamenti che saranno
sbloccati sono quelli che risultano negli archivi
dell'amministrazione debitrice come «certi, liquidi ed
esigibile», la certificazione mette al riparo da brutte
sorprese, anche in merito allo «sblocca crediti». ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 10.04.2013). |
APPALTI:
LE CENTRALI DI COMMITTENZA PER GLI APPALTI DEI PICCOLI
COMUNI - Primo rapporto sull’attuazione dei nuovi obblighi:
stato dell’arte e qualche strumento operativo (10.04.2013
- tratto da www.itaca.org). |
APPALTI:
Nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti
pubblici l'allegazione della copia fotostatica del documento
del sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva,
prescritta dall'art. 38, comma 3, t.u. 28.12.2000, n. 445, è
un adempimento inderogabile atto a conferire, in
considerazione della sua introduzione come forma di
semplificazione, legale autenticità alla sottoscrizione
apposta in calce alla dichiarazione, e giuridica esistenza
ed efficacia all'autocertificazione.
Si tratta quindi di un elemento integrante della fattispecie
normativa, teso a stabilire, data l'unità costituita dalla
fotocopia del documento di identità e dalla dichiarazione
sostitutiva, un collegamento tra la dichiarazione ed il
documento, e a comprovare, oltre alle generalità del
dichiarante, l'imputabilità soggettiva della dichiarazione
al soggetto che la presta.
D’altra parte, è noto quanto consolidato sia l’insegnamento
giurisprudenziale relativo all’istituto del c.d. dovere di
soccorso codificato dall’art. 46 d.lgs. n. 163/2006, per cui
l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione
previsti a pena di esclusione non può essere considerata
alla stregua di un'irregolarità sanabile, e, quindi, non ne
è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non
trattandosi di rimediare a vizi puramente formali. E ciò
tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze
generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara.
Questa Sezione ha avuto modo di ribadire anche recentemente,
infatti, che nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti
pubblici l'allegazione della copia fotostatica del documento
del sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva,
prescritta dall'art. 38, comma 3, t.u. 28.12.2000, n.
445, è un adempimento inderogabile atto a conferire, in
considerazione della sua introduzione come forma di
semplificazione, legale autenticità alla sottoscrizione
apposta in calce alla dichiarazione, e giuridica esistenza
ed efficacia all'autocertificazione. Si tratta quindi di un
elemento integrante della fattispecie normativa, teso a
stabilire, data l'unità costituita dalla fotocopia del
documento di identità e dalla dichiarazione sostitutiva, un
collegamento tra la dichiarazione ed il documento, e a
comprovare, oltre alle generalità del dichiarante,
l'imputabilità soggettiva della dichiarazione al soggetto
che la presta (C.d.S., V, 26.03.2012, n. 1739; nello
stesso senso cfr., ad es., IV, 02.09.2011, n. 4967).
D’altra parte, è noto quanto consolidato sia l’insegnamento
giurisprudenziale relativo all’istituto del c.d. dovere di
soccorso codificato dall’art. 46 d.lgs. n. 163/2006, per cui
l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione
previsti a pena di esclusione non può essere considerata
alla stregua di un'irregolarità sanabile, e, quindi, non ne
è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non
trattandosi di rimediare a vizi puramente formali. E ciò
tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze
generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara
(cfr., tra le più recenti: C.d.S., V, 02.08.2010, n. 5084;
02.02.2010, n. 428; 15.01.2008, n. 36) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.04.2013 n. 1915 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
DECRETO PAGAMENTI/ Riparto in due
tranche dei 5 mld di valore della deroga.
Patto di stabilità meno pesante. Esclusi i debiti di parte
capitale corredati di fattura.
Esclusione dal Patto per tutti i debiti
di parte capitale per i quali al 31/12/2012 vi sia stata
almeno l'emissione della fattura. Riparto in due tranche dei
5 miliardi di valore complessivo della deroga: 90% entro il
15 maggio, il resto a luglio. Per gli enti che hanno cassa
sblocco immediato dei pagamenti fino al 13% della liquidità
disponibile al 31 marzo, per gli altri obbligo di accedere
alla anticipazioni erogate dalla Cassa depositi e prestiti e
margini più ampi per attivare le anticipazioni di tesoreria.
Sanzioni a largo raggio per i responsabili dei servizi che
si metteranno di traverso.
Sono queste (al netto del capitolo tributi, su cui si veda
articolo a pagina 25) le principali novità per gli enti
locali contenute nel testo finale del decreto 35/2013 sullo
sblocco dei debiti della p.a.
Confermato l'allentamento del Patto 2013 per un importo pari
a 5 miliardi di euro, ma il ventaglio dei pagamenti
consentiti si allarga, oltre che ai debiti certi, liquidi ed
esigibili al 31/12/2012, anche a quelli per i quali, entro
tale data, sia stata almeno emessa fattura o richiesta
equivalente di pagamento.
Nell'immediato, il via libera riguarda solo gli enti che
hanno cassa, che potranno pagare fino al 13% delle
disponibilità liquide detenute presso la tesoriera statale
al 31 marzo. In attesa del decreto che distribuirà l'intero
plafond, nessun ente, però, potrà pagare più del 50% degli
spazi finanziari che intende comunicare al Mef. Il riparto
avverrà in due tranches: il primo 90% entro il 15 maggio,
sulla base delle richieste che gli enti dovranno trasmettere
entro il 30 aprile mediante il sistema web della Rgs; il
restante 10%, oltre alle eventuali quote non assegnate in
precedenza, entro il 15 luglio, sulla base delle richieste
pervenute entro il 5 luglio. L'assegnazione avverrà sulla
base dei criteri definiti in Conferenza stato-città e
autonomie locali entro il 10 maggio ovvero, in mancanza, su
base proporzionale.
Gli enti dovranno effettuare pagamenti almeno per il 90%
degli spazi finanziari concessi. In mancanza, scatterà una
sanzione pecuniaria pari a 2 mensilità di retribuzione per i
responsabili dei servizi interessati. Analoga sanzione è
prevista in caso di mancata adesione alla procedura senza
giustificato motivo. La competenza spetta alle sezioni
giurisdizionali della Corte dei conti, che potranno agire
anche su segnalazione dei revisori del conti.
Confermato anche lo stanziamento di 2 miliardi per ciascuno
dei prossimi 2 anni a favore degli enti a corto di
liquidità. L'adesione al fondo diviene obbligatoria, come si
evince dalla formulazione del provvedimento pubblicato in
G.u., che contiene il verbo «chiedono», anziché «possono
chiedere». Le sanzioni di cui sopra non sembrano
direttamente applicabili alle ipotesi di mancate adesione,
ma anche in tal caso potrebbero comunque emergere delle
responsabilità a carico dei responsabili. Per le richieste è
prevista una corsia preferenziale rispetto alla disciplina
del Tuel: esse, infatti, andranno in deroga agli artt. 42
(sulla competenza del Consiglio), 203 e 204 (che limitano il
ricorso all'indebitamento). Le anticipazioni saranno erogate
dalla CcDdPp (anche in tal caso su base proporzionale, salvo
diverso accordo) e andranno restituite al massimo entro 30
anni, a rate costanti e con un tasso pari a quello dei Btp
quinquennali. Per gli enti beneficiari non sono più previsti
il blocco degli investimenti e il tetto alla spesa corrente,
ma solo l'obbligo di portare al 50% il fondo svalutazione
crediti. Per il solo 2013 e sino al 30 settembre, inoltre,
il tetto alle anticipazioni di tesoreria sale da tre a
cinque dodicesimi, ma sarà compensato da un vicolo, pari
all'eccedenza, sulle entrate tributarie (da Imu per i
comuni, da imposta Rc auto per le province).
Giro di vite, infine, sull'obbligo di accreditamento alla
piattaforma del Mef per la certificazione dei crediti, che
dovrà essere completato entro 20 giorni dall'entrata in
vigore del decreto (quindi entro il 28 maggio), a pena di
sanzioni a carico dei dirigenti responsabili (articolo
ItaliaOggi del 09.04.2013). |
APPALTI: Oggetto:
Decreto-legge 08.04.2013, n. 35 - Misure per le
amministrazioni tenute a certificare i crediti certi,
liquidi ed esigibili fornitori maturati alla data del
31.12.2012 per somministrazioni, forniture e appalti. Prime
indicazioni operative alle amministrazioni centrali e
periferiche dello Stato in materia di accreditamento alla
piattaforma elettronica e di ricognizione dei debiti
(Ministero dell'Economia e Finanze, Ragioneria Generale
dello Stato,
circolare 10.04.2013 n. 17). |
APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROFESSIONALI: R.
Lasca,
I prodotti degli “Incarichi esterni” e degli “Appalti”
e relativi contratti: due fattispecie sicuramente distinte
oggi per le PP.AA. italiane? - La Corte dei Conti della
Lombardia prova a distinguere con la delibera collaborativa
n. 51/2013: ma qualcosa non torna …. in punto di diritto!
Vediamo esattamente cosa (08.04.2013). |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI -
URBANISTICA:
E. Michetti,
Le nuove norme in materia di obblighi di pubblicità,
trasparenza e diffusione di informazioni della P.A.: in G.U.
il decreto sul riordino della disciplina (08.04.2013
- tratto da www.gazzettaamministrativa.it). |
APPALTI: G.U.
08.04.2013 n. 82 "Disposizioni urgenti per il
pagamento dei debiti scaduti della pubblica
amministrazione, per il riequilibrio finanziario
degli enti territoriali, nonché in materia di
versamento di tributi degli enti locali"
(D.L.
08.04.2013 n. 35). |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI
PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Oggi in Gazzetta Ufficiale il decreto sulla pubblicità delle
informazioni degli enti.
P.a. con patrimoni trasparenti.
Via al diritto di accesso civico. Pubblici gli incarichi.
Istituzione del diritto di accesso civico; totale
trasparenza sulle situazioni patrimoniali di politici e
amministratori pubblici e sulle loro nomine; pubblici tutti
gli incarichi di consulenza affidati a terzi; prevista
l'adozione di un programma triennale per la trasparenza e la
nomina del responsabile della trasparenza in ogni
amministrazione.
Sono queste alcune delle novità contenute
nel decreto legislativo recante la disciplina degli obblighi
di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni
da parte delle p.a. (D.Lgs.
14.03.2013 n. 33), approvato in via definitiva dal
Consiglio dei ministri del 15.02.2013 e in
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di oggi 05.04.2013.
Il provvedimento, modellato sul «Freedom of Information Act»
della legislazione statunitense, afferma il principio
generale dell'accessibilità immediata agli atti della
pubblica amministrazione a semplice richiesta del cittadino.
Si procede quindi all'introduzione de iure del diritto di
accesso civico consistente nella potestà attribuita a tutti
i cittadini di avere accesso e libera consultazione ai
documenti relativi all'attività della pubblica
amministrazione. Infatti si prevede che la richiesta di
accesso civico non sia sottoposta ad alcuna limitazione
quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, che
non debba essere motivata, che sia gratuita e presentata al
«Responsabile della trasparenza», figura che ogni
amministrazione dovrà istituire.
La maggior parte degli obblighi previsti dal decreto e che
faranno capo alle amministrazioni pubbliche poggerà sulla
piattaforma internet e sulle reti telematiche in generale.
Su ogni sito istituzionale l'Amministrazione dovrà rendere
accessibile e facilmente consultabile una apposita sezione
ove devono essere pubblicati gli atti e le delibere per
almeno cinque anni o fino a che non perdono effetto) cui il
cittadino dovrà avere libero accesso. Non solo: al fine di
una maggiore chiarezza di lettura ogni provvedimento o atto
amministrativo dovrà contenere i link alle leggi di
riferimento. Si prevede poi che ogni Amministrazione adotti
un programma triennale per la trasparenza e l'integrità, da
aggiornare annualmente, finalizzato a garantire un adeguato
livello di trasparenza, legalità e «sviluppo della
cultura dell'integrità».
Per quel che riguarda i politici, il regolamento stabilisce
l'obbligo di pubblicità delle situazioni patrimoniali di
politici e parenti entro il secondo grado. Dovranno essere
rese pubbliche le nomine dei direttori generali delle Asl,
oltre che gli accreditamenti delle strutture cliniche.
Evidenza pubblica anche per la pubblicazione dei rendiconti
dei gruppi consiliari regionali e provinciali, nonché per
gli atti e le relazioni degli organi di controllo, da parte
delle regioni, delle province autonome e delle province,
evidenziando, in particolare, le risorse trasferite a
ciascun gruppo, con indicazione del titolo di trasferimento
e dell'impiego delle risorse utilizzate.
Trasparenza assoluta per gli incarichi dei dipendenti
pubblici: si prevede infatti che siano pubblicati sul sito
dell'amministrazione di appartenenza del dipendente l'elenco
di tutti gli incarichi autorizzati, con l'indicazione della
durata e del compenso spettante per ogni incarico, in
aggiunta alla pubblicazione del singolo incarico sul sito
dell'amministrazione conferente, diversa da quella di
appartenenza. Per i soggetti esterni all'amministrazione
rimane fermo l'elenco complessivo degli incarichi affidati
consultabile sulla banca dati del Dipartimento della
funzione pubblica. Da pubblicare anche i dati relativi
all'ammontare complessivo dei premi stanziati per la
performance dei dipendenti pubblici e l'ammontare dei premi
effettivamente distribuiti.
Inoltre le amministrazioni dovranno pubblicare i dati
relativi all'entità del premio mediamente conseguibile dal
personale, i dati relativi alla distribuzione del
trattamento accessorio, in forma aggregata. Previsto anche
l'obbligo di pubblicazione annuale di un indicatore dei
tempi medi di pagamento per l'acquisto di beni, servizi e
forniture, denominato «indicatore di tempestività dei
pagamenti
(articolo ItaliaOggi del 05.04.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Bandi e avvisi di gara sui giornali
Confermati gli obblighi di pubblicità legale dei bandi e
avvisi di gara; obbligo di pubblicare sui siti internet i
dati principali dei contratti stipulati dalle
Amministrazioni con le imprese.
È quanto prevede l'articolo
37 del decreto sulla trasparenza e sulla pubblicità
dell'azione amministrativa (D.Lgs.
14.03.2013 n. 33) che, con una formula
omnicomprensiva, richiama tutti gli obblighi di
pubblicazione, in materia di contratti pubblici, derivanti
dalla normativa nazionale.
Fra questi sono citati anche quelli che si sostanziano nella
pubblicazione sui quotidiani, locali e nazionali, per
estratto, di avvisi e bandi di gara. La disposizione,
quindi, conferma come sia del tutto vigente l'onere di
pubblicazione per estratto di bandi e avvisi di gara in capo
alle stazioni appaltanti che, peraltro, non sopportano più
tali oneri a partire dal primo gennaio 2013. Infatti,
saranno gli aggiudicatari di contratti pubblici a rifondere
le stazioni appaltanti di quanto sostenuto per la
pubblicazione, entro sessanta giorni dall'aggiudicazione del
contratto. Nello stesso decreto si prevede anche, per le
pubbliche amministrazioni, l'obbligo di pubblicare la
delibera a contrarre nell'ipotesi di procedura negoziata
senza pubblicazione del bando di gara.
Il decreto prevede poi l'obbligo per le pubbliche
amministrazioni di pubblicare tempestivamente sui propri
siti istituzionali l'oggetto del bando, l'elenco degli
offerenti, l'aggiudicatario, l'importo di aggiudicazione, i
tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura;
l'importo delle somme liquidate. Entro il 31 gennaio di ogni
anno, tali informazioni, relativamente all'anno precedente,
dovranno essere pubblicate in tabelle riassuntive rese
liberamente scaricabili in un formato digitale standard
aperto, per un maggior controllo sull'imparzialità degli
affidamenti, nonché una maggiore apertura degli appalti
pubblici alla concorrenza. Infine massima pubblicità anche
per i documenti di programmazione anche pluriennale delle
opere pubbliche
(articolo ItaliaOggi del 05.04.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Centrale unica di committenza, non solo acquisti.
Anche i contratti per lavori e servizi rientrano nel
perimetro di competenza.
Una centrale unica di committenza ad ampio raggio. Che
opera, ad esempio, con riferimento generale ai contratti di
interesse degli enti locali.
In attuazione della direttiva 2004/18/Ce del Parlamento
europeo e del Consiglio del 31.03.2004, relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione di appalti
pubblici, di lavori, di forniture e servizi, prendendo atto
dello sviluppo negli stati della comunità di nuove tecniche
di acquisto elettronico, che consentono un aumento della
concorrenza e dell'efficacia della commessa pubblica, la
legislazione italiana ha sperimentato l'utilizzo di
procedure di acquisto elettronico, nel rispetto delle norme
stabilite dalla direttiva medesima e dei principi di parità
di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza.
In questa direzione, il legislatore ha reso obbligatorio,
per gli acquisti di beni e servizi, al di sotto della soglia
di rilievo comunitario, nelle amministrazioni pubbliche, il
ricorso, al mercato elettronico ovvero ad altri mercati
elettronici ovvero al sistema telematico messo a
disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo
svolgimento delle relative procedure (legge 27.12.2006, n. 296, art. 1, comma 450, e successive modifiche e
integrazioni).
Già con il Piano straordinario contro le mafie, il Governo
assunse l'impegno di incentivare una maggiore diffusione
nelle amministrazioni pubbliche a promuovere l'istituzione,
almeno in ambito regionale, di una o più stazioni uniche
appaltanti (SUA), al fine di assicurare la trasparenza, la
regolarità e l'economicità della gestione dei contratti
pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose
(art. 13 della legge 13.08.2010, n. 136). Inoltre, per i
comuni fino a 5.000 abitanti, il Codice dei contratti
pubblici (comma 3-bis, articolo 33, del decreto legislativo
12.04.2006, n. 163) obbliga, a decorrere dal 01.04.2013, ad affidare mediante una centrale unica di
committenza, l'acquisizione di ogni lavoro, servizio e
fornitura, nell'ambito delle unioni dei comuni oppure
mediante la costituzione di un accordo consortile,
avvalendosi dei competenti uffici.
Resta ferma, la
possibilità, per gli stessi comuni di effettuare acquisti
attraverso gli strumenti elettronici gestiti da altre
centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le
convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 (mediante la CON.S.I.P. «Concessionaria Servizi
Informativi Pubblici») e il mercato elettronico della
pubblica amministrazione di cui all'articolo 328, del dpr 05.10.2010, n. 207.
Dall'esame della normativa richiamata emergono alcuni
interrogativi ai fini dell'effettiva applicazione.
La norma di cui al comma 3-bis dell'art. 33 del dlgs n.
163/2006 si riferisce a un accordo consortile e non a una
convenzione.
A questo punto gli operatori si domandano quale disciplina
sia applicabile? Quella dell'art. 31 del Testo unico enti
locali (decreto legislativo 18.08.2000, n. 267) che
disciplina i consorzi per la gestione associata di uno o più
servizi e l'esercizio associato di funzioni oppure quella
dell'art. 30 dello stesso Tuel, relativo alle convenzioni.
Ora posto che l'art. 2, comma 186, lett. e), della legge 23.12.2009, n. 191, ha soppresso i consorzi di funzioni,
si dovrà supporre che l'accordo debba riferirsi a servizi.
Tuttavia è possibile ritenere che il termine accordo
consortile sia indicato in modo atecnico, avendo la legge,
come riferimento lo strumento della convenzione, alternativo
alle unioni dei comuni, alla stessa stregua dell'esercizio
associato delle funzioni fondamentali dei comuni (articolo
14, commi 27 e 28 del decreto legge 31.05.2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010,
n. 122 e successive modifiche ed integrazioni).
Se in un particolare ambito territoriale ottimale vi è un
solo comune avente popolazione inferiore a 5.000 abitanti
con quale altro comune deve sottoscrivere l'accordo? Come
dovrà gestire eventuali resistenze da parte di altri comuni
che non vi sono obbligati agli acquisti mediante centrale
unica di committenza? Si trova in una situazione di stallo
da cui se ne esce con molta difficoltà. In tale ipotesi, la
stessa legge riconosce una soluzione alternativa ovvero la
possibilità di effettuare i propri acquisti attraverso gli
strumenti elettronici gestiti da altre centrali di
committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di
cui all'articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488
(mediante la CON.S.I.P. «Concessionaria Servizi Informativi
Pubblici») e il mercato elettronico della pubblica
amministrazione di cui all'articolo 328 del dpr 05.10.2010, n. 207 (MePA).
Con il termine acquisti cosa dovrà intendersi?
La conclusione di qualsiasi contratto pubblico sia esso
relativo a lavori, a servizi oppure a forniture, nelle forme
previste dal Codice dei contratti pubblici oppure ai soli
acquisti di beni?
Si dovrà propendere per una classificazione più complessiva
dei contratti pubblici e quindi anche per i contratti
relativi, a lavori e servizi, anche se il legislatore fa
riferimento solo agli acquisti.
L'obbligo di far ricorso al mercato elettronico della
pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici
ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla
centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle
relative procedure, sussiste solo per gli acquisti di beni e
servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo
comunitario o si estende anche agli acquisti sopra soglia?
L'Ente è tenuto comunque a costituire una centrale di
committenza in forma consortile o associata ovvero potrà
avvalersi dei servizi telematici di acquisti messi a
disposizione, tra l'altro dalla regione?
È pur vero che alcune Regioni, al fine di favorire, nelle
procedure contrattuali, i processi di semplificazione ed
efficienza delle pubbliche amministrazioni nonché i principi
di trasparenza e concorrenza, hanno promosso ed incentivato
la diffusione e l'utilizzo tra le amministrazioni dei
sistemi e degli strumenti telematici di acquisto, sotto e
sopra soglia comunitaria, che prevedono l'effettuazione
delle procedure di gara in modalità telematica e l'acquisto
sul mercato elettronico. Si tratta di sistemi telematici di
acquisti che non integrano i requisiti previsti alla
normativa nazionale sull'istituzione di una Centrale unica
di committenza, che per le ragioni sopra esposte debba
considerarsi una vera opportunità per tutte le
amministrazioni locali
(articolo ItaliaOggi del 05.04.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Sui pagamenti il nodo del Durc.
A rischio l'efficacia del decreto.
Lo sblocco dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche
rischia di restare parecchio depotenziato, se non sarà
accompagnato da provvedimenti ulteriori.
L'efficacia del futuro decreto rischia di essere fortemente
limitata, in primo luogo, dall'incombente Moloch del Durc,
il documento unico di regolarità contributiva, che attesta
la regolarità dei versamenti assicurativi e contributivi
delle imprese.
È evidente che aziende che vantino ingenti crediti dalle
pubbliche amministrazioni rischiano seriamente di non
trovarsi in regola con i versamenti a Inps, Inail e Cassa
edile, proprio a causa della mancanza di flussi finanziari.
In assenza di una modifica alla disciplina del Durc, i
pagamenti potrebbero essere sbloccati, ma comunque non
destinabili alle aziende non in regola col documento, che
resta comunque un fondamentale presupposto per la
legittimità dei pagamenti stessi. Molte aziende, dunque,
potrebbero rimanere comunque senza soldi.
Allo stesso modo, i pagamenti sono subordinati alla verifica
della regolarità dei pagamenti di imposte e tasse, ai sensi
48-bis del dpr 602/1973, nel caso di somme superiori ai 10
mila euro. Anche in questo caso, vi potrebbero essere
aziende andate in carenza di liquidità anche a causa dei
ritardati pagamenti della pubblica amministrazione che
potrebbero ritrovarsi segnalate come non in regola con gli
adempimenti tributari e restare comunque a bocca asciutta.
La quantificazione del rischio di vanificare anche solo in
parte la manovra sui pagamenti appare connessa all'effettivo
avvio del processo, ma potrebbe trattarsi di una quantità
molto importante di operatori economici.
In ogni caso, senza una modifica al criterio del saldo misto
tra competenza e cassa del patto di stabilità (è l'obbligo
di mantenere un tetto alle erogazioni di cassa che blocca i
pagamenti), il vantaggio derivante dai pagamenti potrebbe
limitarsi, per le aziende, al recupero di propri crediti e
al rientro da eventuali esposizioni con le banche.
Un rilancio vero e proprio delle loro attività appare
difficile, perché restando in piedi il sistema dei saldi
vigente, le amministrazioni locali non possono materialmente
pianificare appalti nuovi che comportino esborsi di cassa
superiori a quanto consentito.
È ancora operante, infatti, l'articolo 9, comma 2, del dl
78/2009, convertito in legge 102/2009, ai sensi del quale
nelle amministrazioni «al fine di evitare ritardi nei
pagamenti e la formazione di debiti pregressi, il
funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni
di spesa ha l'obbligo di accertare preventivamente che il
programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i
relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza
pubblica».
Le amministrazioni, dunque, debbono programmare
una «stretta» agli appalti, per rispettare proprio le regole
del patto di stabilità che limitano le erogazioni di cassa
(articolo ItaliaOggi del 05.04.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI -
URBANISTICA:
G.U. 05.04.2013 n. 80 "Riordino della disciplina
riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e
diffusione di informazioni da parte delle pubbliche
amministrazioni"
(D.Lgs.
14.03.2013 n. 33).
---------------
Sull'argomento, si legga un primo commento dell'Avv.
Lorenzo Spallino:
D.lgs. 33/2013: gli obblighi di pubblicazione on-line in
materia urbanistica ed edilizia (07.04.2013 -
link a http://studiospallino.blogspot.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: L'appaltatore
risarcisce l'Iva anche senza fattura.
L'appaltatore che non ha eseguito i lavori a
opera d'arte deve risarcire il committente
del danno patrimoniale, inclusa l'Iva, anche
in assenza di fattura.
È quanto
affermato dalla Corte di Cassazione con la
sentenza 04.04.2013 n. 8199.
In particolare la III Sez. civile ha
respinto il ricorso di una piccola ditta che
era stata condannata a risarcire il danno
patrimoniale a un cliente perché, non avendo
eseguito i lavori ad opera d'arte, aveva
provocato delle infiltrazioni d'acqua.
Ma l'appaltatore si era difeso sostenendo di
non dover rimborsare il costo dell'Iva in
quanto non era stata emessa alcuna fattura.
Una tesi, questa, respinta sia dai giudici
di merito sia da quelli di legittimità.
Infatti ad avviso del Collegio di
legittimità, poiché il risarcimento del
danno patrimoniale si estende agli oneri
accessori e consequenziali, se esso è
liquidato sulla base di spese da affrontare,
il risarcimento comprende anche l'Iva, pur
se la riparazione non ancora avvenuta
allorquando il prestatore d'opera sia come
nella specie tenuto ex art. 18 dpr n. 633
del 1972 ad addebitarla, a titolo di
rivalsa, al committente.
Infatti, trattandosi di onere futuro e certo
al tempo liquidazione del danno, il
pagamento dell'Iva concorre invero a
determinare il complessivo esborso
necessario alla reintegrazione patrimoniale
conseguente al fatto illecito subito.
Bene, nel prevedere la corresponsione
dell'Iva sull'ammontare liquidato a titolo
di risarcimento dei danni patrimoniali (al
tasso previsto dalla legge vigente al
riguardo), la Corte di merito ha ben
applicato il principio ricordato in sede di
legittimità.
Tutti gli altri motivi di ricorso presentati
dall'appaltatore sono stati dichiarati
inammissibili dalla Corte di cassazione in
quando il quesito di diritto non era stato
ben formulato. Sul punto Piazza Cavour
ricorda che il ricorso dell'appaltatore reca
quesiti di diritto formulati in termini
difformi dallo schema al riguardo delineato
dalla stessa Cassazione, non contenendo la
riassuntiva ma puntuale indicazione degli
aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui
giudici del merito li hanno rispettivamente
decisi. Quindi il quesito era troppo
astratto e generico (articolo ItaliaOggi
del 03.05.2013). |
APPALTI SERVIZI: Vincoli.
Il compenso alla società.
Esclusione «automatica» se l'aggio punta più in alto
rispetto al bando.
L'offerta di un aggio al rialzo non può essere presa in
considerazione e comporta l'esclusione dalla gara.
Lo ha
chiarito il TAR Puglia-Bari, Sez. I, con la
sentenza
04.04.2013 n. 470 annullando
l'aggiudicazione a una società che aveva proposto un aggio
del 52,5% rispetto al 45% a base d'asta, soggetto a ribasso.
All'inizio del 2012 il Comune di Bisceglie avvia la
procedura per l'affidamento del servizio di accertamento e
riscossione dell'imposta sulla pubblicità e della Tosap, con
il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
attribuendo 75 punti all'offerta tecnica e 25 a quella
economica. L'aggio all'affidatario viene distinto in due
parti: riscossione ordinaria (30% a base d'asta, soggetto a
ribasso), somme recuperate dall'evasione (45% a ribasso).
Una società propone per l'attività di recupero un aggio del
52,5%, nonostante lo sbarramento al 45%. La commissione
esamina la posizione della ditta attribuendole circa 4 punti
(su 5), a danno di un'altra società partecipante che si era
invece attenuta alle prescrizioni di gara.
Nonostante l'evidente anomalia di un'offerta in aumento, il
Comune procede all'aggiudicazione. A nulla valgono le
contestazioni di illegittimità, essendo peraltro del tutto
illogica l'attribuzione di un punteggio che finiva
addirittura per premiare un concorrente che aveva violato la
normativa di gara.
Il Tar prima sospende l'aggiudicazione e poi l'annulla nel
merito. Sulla questione il Tar evidenzia che l'offerta al
rialzo non avrebbe in ogni caso potuto risultare
assegnataria di alcun punteggio. Il Comune aveva invece
tentato di difendersi affermando che nel bando mancava
un'espressa disposizione in ordine al divieto di
presentazione di componenti dell'offerta al rialzo. Il Tar
non solo non è d'accordo ma rincara la dose evidenziando che
la difformità sostanziale rispetto alle condizioni di gara
avrebbe dovuto comportare l'esclusione in base all'articolo
46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici.
Peraltro, la previsione di un aggio superiore a quello
massimo indicato per il recupero dell'evasione ha consentito
all'aggiudicataria di offrire un aggio minore per l'attività
di riscossione ordinaria, presentandosi sotto questo aspetto
maggiormente concorrenziale, con conseguente distorsione
della valutazione comparativa e violazione della par
condicio.
In conclusione, il Tar annulla l'aggiudicazione definitiva
obbligando il Comune a rinnovare le operazioni di calcolo e
di aggiudicazione. Si tratta di una pronuncia che serve da
monito affinché si evitino inutili ritardi negli affidamenti
e un notevole dispendio economico, considerato che il Comune
è stato condannato al pagamento delle spese sia della fase
cautelare sia di quella di merito
(articolo Il Sole 24 Ore del
22.04.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI: Solo chi ha avanzi d'amministrazione può agire subito.
La bozza del decreto: meno vincoli per le anticipazioni di
cassa, dirigenti lenti nel mirino.
Via libera immediato ai pagamenti solo per gli enti che
presentano avanzi di amministrazione. Meno vincoli per
l'accesso alle anticipazioni di cassa. Coinvolgimento della
Corte dei conti nell'irrogazione delle sanzioni ai
responsabili dei mancati pagamenti e della Cassa depositi e
prestiti nella gestione del fondo di liquidità a favore di
comuni e province.
Sono queste alcune delle novità contenute nella
bozza di
decreto per lo sblocco dei debiti della p.a. verso le
imprese, slittato ieri ma che sarà al massimo lunedì
all'esame del consiglio dei ministri e relativamente al
quale anche il Commissario Ue agli affari finanziari, Oli Rehn, ha richiesto approfondimenti.
Il nuovo testo, in effetti, presenta diverse novità,
ovviamente non ancora definitive, rispetto alle versione
circolate nei giorni scorsi (si veda ItaliaOggi di ieri).
Sostanzialmente confermato l'allentamento del Patto 2013 per
gli enti locali per un importo pari a 5 miliardi di euro per
onorare una quota dei debiti di parte capitale maturati al
31/12/2012.
Nell'immediato, essi potranno pagare fino al 35% dei
rispetti avanzi di amministrazione, parametro diverso da
quello dei residui passivi in precedenza previsto. Rimane
fermo che, in attesa del decreto che ripartirà l'intero
plafond, nessun ente potrà pagare più del 50% degli spazi
finanziari che intende comunicare al Mef. Dopo il riparto,
occorrerà garantirà pagamenti almeno per il 90% degli spazi
finanziari concessi. In mancanza, scatterà una sanzione
pecuniaria pari a due mensilità di retribuzione per i
responsabili dei servizi interessati. Analoga penalizzazione
è prevista in caso di mancata adesione alla procedura (deve
ritenersi a fronte della sussistenza di passività certe,
liquide ed esigibili). Saranno le sezioni giurisdizionali
della Corte dei conti ad accertare le responsabilità e ad
applicare le sanzioni.
Confermata anche l'istituzione di un apposito fondo da 2
miliardi per ciascuno dei prossimi due anni a favore degli
enti locali a corto di liquidità. Per le erogazioni del
2013, il tasso d'interesse sarà pari al rendimento di
mercato dei Btp a tre anni, rilevato alla data di entrata in
vigore del decreto, per quelle del 2014 sarà determinato con
apposito decreto del Mef. Ciascun ente locale dovrà
stipulare con la Cassa depositi e prestiti un contratto di
prestito e relativo piano di ammortamento, redatti secondo
un contratto tipo. I rapporti tra la Cassa e il Mef saranno
regolati mediante apposito atto aggiuntivo alla convenzione
quadro stipulata tra gli stessi.
Per gli enti che accederanno al fondo scatteranno pesanti
limitazioni, mutuate dal regime previsto per quelli che
hanno sforato il Patto: da un lato, il divieto di impegnare
spese correnti in misura superiore all'importo annuale
minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo
triennio, dall'altro quello di ricorrere all'indebitamento
per gli investimenti e di prestare garanzie per la
sottoscrizione di nuovi prestiti o mutui da parte di enti e
società controllati o partecipati. Rispetto al testo
iniziale, tuttavia, la durata di tali vincoli scende da 5 a
3 anni.
Nessun vincolo analogo, invece, è più previsto, al momento,
per le regioni che beneficeranno delle erogazioni
dell'analogo fondo che verrà costituito a loro favore per
far fronte ai debiti diversi da quelli sanitari e finanziari
e che avrà una dotazione di 3 miliardi per il 2013 e di 5
miliardi per il 2014. Esse dovranno comunque, oltre che
sottoscrivere un apposito contratto col Mef, definire idonee
e congrue misure, anche legislative, di copertura annuale
dell'anticipazione di liquidità, maggiorata degli interessi,
e presentare un piano di pagamento dei predetti debiti.
Le regioni potranno anche contare sui 14 miliardi (5
quest'anno, 9 il prossimo) finalizzati a favorire
l'accelerazione dei pagamenti dei debiti degli enti del Ssn.
Nel decreto dovrebbero trovare posto anche misure
procedurali per favorire i pagamenti delle p.a. Fra queste,
dopo lo stralcio della facoltà per le regioni di aumentare
l'addizionale Irpef e oltre all'obbligo per tutte le p.a. di
registrarsi (a penna di sanzioni) sulla piattaforma
elettronica per la gestione telematica del rilascio delle
certificazioni, potrebbe rientrare un po' a sorpresa anche
l'impignorabilità delle somme destinate ai risarcimenti
concessi ai sensi della legge Pinto detenute dalla tesoreria
centrale e dalle tesorerie provinciali dello stato.
Prevista, infine, la compressione dei tempi previsti dal
dlgs 123/2011 per il controllo preventivo di regolarità
amministrativa e contabile per adeguarli alla nuova
tempistica prevista dal dlgs 192/2012.
Province: ripartiti i tagli della spending review
L'art. 7 della bozza di decreto sullo sblocco dei debiti
verso la p.a. contiene anche alcune modifiche rilevanti al
dl 95/2012. In particolare, viene rivisto l'art. 16, comma
7, che ha previsto a carico delle province ulteriori tagli
per 1.200 milioni sul 2013 e sul 2014 e per 1.250 milioni a
partire dal 2015.
Per i primi due anni, il riparto di tali
riduzioni si stacca dal criterio proporzionale alle spese
per consumi intermedi rilevate dal Siope e viene operato
direttamente dal decreto. Dal 2015, invece, si tornerà a
tale meccanismo, salvo diverso accordo da raggiungere in
Conferenza unificata entro il 31 dicembre dell'anno
precedente
(articolo ItaliaOggi del 04.04.2013). |
APPALTI: A.
Concas,
La responsabilità contrattuale nel contratto di appalto
(04.04.2013 - link a www.diritto.it). |
APPALTI:
Il giudizio comparativo
tecnico-discrezionale sull’offerta economicamente più
vantaggiosa -caratterizzato dalla complessità delle
discipline specialistiche di riferimento e dall’opinabilità
dell’esito delle valutazioni- sfugge al sindacato del
giudice amministrativo ove non vengano in rilievo indici
sintomatici del non corretto esercizio del potere, sotto il
profilo dell’illogicità manifesta, dell’erroneità dei
presupposti di fatto, dell’incoerenza del procedimento
valutativo.
Secondo un consolidato orientamento (ex multis, Consiglio di
Stato, Sez. V, 01.03.2012, n. 1195; TAR Campania
Napoli, Sez. VIII, 10.01.2013, n. 240; TAR Lazio
Roma, Sez. III, 24.04.2012, n. 3663), dal quale non v’è
motivo di discostarsi, il giudizio comparativo
tecnico-discrezionale sull’offerta economicamente più
vantaggiosa -caratterizzato dalla complessità delle
discipline specialistiche di riferimento e dall’opinabilità
dell’esito delle valutazioni- sfugge al sindacato del
giudice amministrativo ove non vengano in rilievo indici
sintomatici del non corretto esercizio del potere, sotto il
profilo dell’illogicità manifesta, dell’erroneità dei
presupposti di fatto, dell’incoerenza del procedimento
valutativo (TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 03.04.2013 n. 3365 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO: Comuni.
Trattenuti due mesi di stipendio ai responsabili dei servizi
finanziari. Sanzioni ai dirigenti se l'Ente non paga.
SBLOCCO PROPORZIONALE/ Ogni ente locale si vedrà fissare
entro il 15 maggio, con decreto dell'Economia, la cifra da
liberare, che dovrà essere spesa al 90%.
Il primo via libera ai pagamenti nei Comuni e nelle Province
imbocca la via tradizionale dello sblocco proporzionale
all'entità delle risorse incagliate, e classificate nei «residui
passivi» in conto capitale nei bilanci (faranno fede i
consuntivi del 2010). Ogni ente locale si vedrà fissare
entro il 15 maggio prossimo, con decreto dell'Economia, la
cifra da liberare, e dovrà mantenere l'impegno: la
responsabilità tocca prima di tutto ai responsabili dei
servizi finanziari che, se non riusciranno a pagare entro
l'anno almeno il 90% della somma liberata dal decreto, si
vedranno trattenere due mesi di stipendio netto (comprese le
indennità accessorie).
Ma il pacchetto enti locali contenuto nella bozza di decreto
che sarà oggi sul tavolo del consiglio dei ministri non si
limita a questo intervento, che sanzioni a parte, ricalca le
vecchie una tantum sui residui passivi che erano abituali in
tempi di finanza pubblica più rilassata.
L'ultimo comma dell'articolo 1 sospende per il 2013 un
intero articolo che era stato dedicato ai Comuni dal decreto
sulle «semplificazioni fiscali» di un anno fa (Dl
16/2012). Nell'articolo, che è il 4-ter, c'è prima di tutto
il «Patto di stabilità orizzontale», cioè un
meccanismo nato proprio per cercare di favorire un po' di
pagamenti in conto capitale: in pratica, secondo questo
sistema i sindaci che registrano un surplus rispetto al
Patto possono correre in aiuto dei colleghi in crisi,
liberando spazi finanziari che questi ultimi devono
utilizzare proprio per pagare i fornitori.
La "rarità" dei Comuni in surplus, insieme
all'esigenza di non sovrapporre troppe regole convergenti in
un panorama ormai affollatissimo, può aver giustificato la
sospensione del Patto orizzontale nel 2013. Nell'articolo "sospeso",
però, c'è anche altro, a partire dal ritocco che ha
innalzato dal 20 al 40% il turn-over negli enti locali. Se
la sospensione sarà confermata, gli spazi del turn-over
torneranno a dimezzarsi, scompariranno le regole di favore
per il calcolo delle assunzioni nella Polizia locale e nei
servizi socio-assistenziali, e per i Comuni sotto i mille
abitanti il parametro di riferimento tornerà a essere
l'archeologico 2004.
Una novità ulteriore è invece limitata alle sole Province,
che dalla bozza di decreto si vedono redistribuire i tagli
da spending review decisi con il decreto 95/2012
(articolo Il
Sole 24 Ore del 03.04.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Gli
obblighi sulla tracciabilità sufficienti per la tutela
erariale.
Stazioni appaltanti escluse dalla solidarietà tributaria.
TRA I REQUISITI/
Per far valere l'esenzione deve essere sottoscritto un
contratto disciplinato dal Codice degli appalti pubblici.
Le stazioni appaltanti (articolo 3, comma 33, del Dlgs
163/2006) sono escluse dalla solidarietà tributaria in tema
di appalti, poiché il legislatore ha ritenuto gli obblighi
già vigenti (quali quelli di tracciabilità dei pagamenti)
sufficienti a presidiare la tutela erariale. Occorre però
fare attenzione: come ogni esclusione in ambito tributario,
va interpretata molto rigidamente e non sono ammesse
analogie.
Il principio, espresso dall'articolo 35, comma 28-ter, del
Dl 223/2006, è che tutti i soggetti Ires (articoli 73 e 74
Tuir) sono normalmente soggetti alla solidarietà, anche
quando operano fuori dalla sfera commerciale («in ogni
caso»). L'articolo 3 fa rinvio all'articolo 32, dove viene
elencata una serie di soggetti, tra cui compaiono
amministrazioni aggiudicatrici, società con capitale
pubblico anche non maggioritario e soggetti privati.
Secondo
le «linee guida» Ance (gennaio 2013) andrebbe meglio
specificato il concetto di «altri soggetti aggiudicatori»:
si ritiene comunque che per far valere l'esonero dalla
responsabilità, oltre a presentare i requisiti disposti
dalla legge, l'appaltatore debba anche aver sottoscritto un
contratto disciplinato dal Codice degli appalti pubblici,
cioè (articolo 3) rientrante tra «i contratti di appalto o
di concessione aventi per oggetto l'acquisizione di servizi,
o di forniture, ovvero l'esecuzione di opere o lavori, posti
in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti
aggiudicatori, dai soggetti aggiudicatori», nell'ambito
delle prestazioni descritte dal Dlgs 163/2006. Se il
contratto non rientra in questa disciplina, il soggetto non
può far valere l'esonero "automatico" dalla responsabilità.
Oltre a nutrire dubbi sull'aspetto soggettivo, i lettori
manifestano numerose perplessità anche su quello oggettivo.
Gli obblighi della responsabilità solidale, infatti,
spingono a porre in rilevo le distinzioni tra il contratto
di appalto e quello di somministrazione, spesso utilizzati
impropriamente come sostitutivi. Secondo l'articolo 1655 del
Codice civile l'appalto è il contratto con cui una parte
assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con
gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di
un servizio verso un corrispettivo in danaro.
La
somministrazione (articolo 1559) è invece il contratto con
cui una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo,
a eseguire, a favore dell'altra, prestazioni periodiche o
continuative di cose. Ed è qui la discriminazione:
nonostante nel linguaggio comune si parli indifferentemente
di prestazioni di beni o di servizi, non si deve dimenticare
che la legge, regolando la somministrazione, cita solo il
termine «cose», sinonimo di beni e non di servizi.
La
terminologia usata dalle parti non inficia la validità del
contratto, ma per l'articolo 1362 del Codice civile nel
qualificare il contratto si deve indagare sulla comune
intenzione delle parti, e non limitarsi al senso letterale
delle parole, con la conseguenza che un contratto di
presunta somministrazione di servizi sarà considerato
appalto, con il vincolo della solidarietà.
Poiché se il
contratto «prevede la prestazione, a titolo oneroso, di
specifici servizi, non si è a fronte a un rapporto di
somministrazione, ma a un contratto d'opera o di appalto»
(Tribunale Bologna, sezione II, 08.08.2008). Il distinguo
sta nel fatto che la somministrazione è un contratto
traslativo, come la vendita, l'appalto invece è un contratto
per la prestazione di servizi, incentrato su un "facere",
che ha ad oggetto la prestazione non già di cose (come la
somministrazione) ma di un'opera o un servizio.
È però arduo distinguere tra i due quando il somministrante
è anche produttore delle cose: occorre allora «operare la
distinzione in base al criterio della prevalenza del lavoro,
che avvicina il contratto all'appalto, rispetto alla
materia, che l'avvicina invece alla somministrazione» (articolo
Il Sole 24 Ore del 03.04.2013). |
marzo 2013 |
|
ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI:
RECENTI NOVITA’ IN MATERIA DI PROTEZIONE CIVILE A CARICO
DELLE AMMINISTRAZIONI COMUNALI - VADEMECUM SEMPLIFICATO
(Regione Lombardia, marzo 2013). |
APPALTI:
M. De Cilla,
COLLEGAMENTO SOSTANZIALE TRA IMPRESE SUB-INTRECCIO
SOCIETARIO E IMPATTO CONCRETO DELL’INDICE SULLA GARA -
Il collegamento sostanziale fra imprese alla luce dei più
recenti arresti giurisprudenziali
(Gazzetta Amministrativa
n. 1/2013). |
APPALTI:
A. C. Bartoccioni,
COMMENTO AGLI ARTICOLI 19 E 20 DEL D.L. 06.07.2012 N. 95,
CONVERTITO CON LA L. 07.08.2012, N. 135 - Commento
all’art. 19 del d.l. 06.07.2012 n. 95, convertito con la l.
07.08.2012, n. 135, intitolato “Funzioni fondamentali dei
comuni e modalità di esercizio associato di funzioni e
servizi comunali” e Commento all’art. 20, d.l.
06.07.2012, n. 95, conv. in l. 07.08.2012, n. 135,
intitolato “Disposizioni per favorire la fusione di
comuni e la razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni
comunali”, come riorganizzazione strutturale e
funzionale dei Comuni, dettata dall’esigenza di far fronte
alla gravissima emergenza economica e finanziaria che
attualmente investe la quasi totalità dei Paesi Europei,
tale da mettere a repentaglio la tenuta del sistema di
welfare degli stessi
(Gazzetta Amministrativa
n. 1/2013). |
APPALTI SERVIZI:
M. Dell'Unto,
L’AFFIDAMENTO DEI SERVIZI ASSICURATIVI E DI INTERMEDIAZIONE
ASSICURATIVA: CRITICITÀ E SUGGERIMENTI - Determinazione
n. 2 del 13.03.2013 dell’Autorità per la vigilanza sui
Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture: questioni
interpretative concernenti l’affidamento dei servizi
assicurativi e di intermediazione assicurativa
(Gazzetta Amministrativa
n. 1/2013). |
APPALTI:
S. Napolitano,
LA NECESSARIA CORRISPONDENZA DELLE QUOTE DI QUALIFICAZIONE,
DI PARTECIPAZIONE ALL’ATI E DI ESECUZIONE TRA LA NOVELLA
LEGISLATIVA E LE RECENTI PRONUNCE DELLA GIURISPRUDENZA -
La necessaria conciliazione tra il disposto legislativo e
l’applicazione pratica del principio di corrispondenza tra
quote di partecipazione all’ATI e quote di esecuzione tra i
soggetti raggruppati, nel caso specifico di appalti di
servizi e forniture
(Gazzetta Amministrativa
n. 1/2013). |
APPALTI:
S. Villamena,
LEGITTIMO AFFIDAMENTO E CONTRATTI PUBBLICI. OSSERVAZIONI SU
SERIETÀ E PIGRIZIA AMMINISTRATIVA - La tutela del
principio di legittimo affidamento incontra nel nostro
ordinamento amministrativo una serie di limitazioni e di
condizionamenti che ne rendono talvolta problematica
l’applicazione. Nel presente contributo, dopo aver
affrontato sinteticamente i profili generali del tema
indicato, si è orientata l’analisi sul settore degli appalti
pubblici. In questo settore, si è potuto verificare la
presenza di orientamenti giurisprudenziali consolidati, cui
tuttavia si affiancano alcune sporadiche pronunce che si
muovono in senso diverso. Tali ultime pronunce, per quanto
criticabili in alcuni passaggi, potrebbero aprire nuovi
spazi di tutela per il relativo principio di legittimo
affidamento, trovando giustificazione nei recenti interventi
legislativi che vanno nel senso di combattere il fenomeno
(che nel contributo è definito) dell’amministrazione pigra
(Gazzetta Amministrativa
n. 1/2013). |
APPALTI:
A. Cernelli,
PRECLUSA L’AZIONE DI INDEBITO ARRICCHIMENTO CONTRO LA P.A.
SE L’IMPEGNO CONTRATTUALE NON É AD ESSA ASCRIVIBILE -
L’Autore analizza la problematica questione del mezzo di
tutela esperibile dal privato che abbia eseguito una
prestazione in favore della PA, sulla base di un impegno
che, sottoscritto da un dirigente o funzionario pubblico,
sia mancante dei requisiti di giuridica riferibilità
all’ente. In particolare, l’Autore si sofferma sulla
possibilità per il privato di esercitare l’azione di
indebito arricchimento ex art. 2041 del codice civile
(Gazzetta Amministrativa
n. 1/2013). |
APPALTI:
G. D'Angelo,
La documentazione
antimafia nel D.Lgs. 06.09.2011 n. 159: profili
critici (Urbanistica e appalti n. 3/2013 -
tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI:
F. De Lucia,
Il RUP cardine del procedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta (Urbanistica e appalti n. 3/2013). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Nei
confronti dei comuni montani fino a 5.000 abitanti trovano
applicazione le disposizioni di cui all’art. 33, comma
3-bis, del Codice dei contratti pubblici, da cui discende
l’obbligo di affidare la gestione delle gare ad evidenza
pubblica ad un'unica centrale di committenza, in assenza
della quale essi devono avvalersi, per gli acquisti di
rilevanza comunitaria, delle convenzioni Consip e di quelle
messe a disposizione da altre centrali di riferimento, ferma
restando la specificità della disciplina contemplata
dall’art. 1, comma 7, del più volte citato d.l. n. 95/2012
riguardo ad alcune categorie merceologiche di beni e servizi
(energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti
extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa
e telefonia mobile) ritenute di particolare rilevanza per il
contenimento della spesa pubblica.
Resta da dire, per completezza, che le conclusioni raggiunte
restano ferme anche a seguito delle innovazioni apportate
dalla l. 24.12.2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), i cui
commi 149 e 150 hanno ancora modificato, rispettivamente, i
commi 450 e 449 dell’art. 1 della l. n. 296/2006, e il cui
comma 154 ha integrato l’art. 1, comma 1, del d.l. n.
95/2012, come modificato in sede di conversione.
---------------
L’obbligo
prescritto dal comma 3-bis dell’art. 33 del Codice dei
contratti pubblici di ricorrere al mercato della pubblica
amministrazione, in assenza di una centrale unica e di
strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali
di committenza, pure regionali, investe senz’altro le
acquisizioni di valore inferiore alla soglia di rilevanza
comunitaria.
La stringente formulazione della norma non sembra ammettere
eccezioni all’obbligo di acquisizione tramite mercato
elettronico, fatta salva l’applicazione –diretta o
analogica– della disposizione di cui al secondo periodo del
comma 450 dell’art. 1 della l. n. 296/2006, che prevede il
ricorso ad esso “fermi restando gli obblighi … previsti al
comma 449”, con ciò intendendo che,
nel caso in cui sia disponibile una convenzione Consip (o
regionale), il bene o il servizio può essere acquisito a
mezzo del mercato elettronico a condizione che sia
comprovato il rispetto dei parametri di prezzo e qualità ivi
indicati. Del resto, il citato art. 328 del Regolamento di
attuazione del codice dei contratti pubblici prevede (comma
4, lettera b) la possibilità di acquistare sul mercato
elettronico ricorrendo alle procedure in economia.
In questo assetto, le uniche ipotesi in cui possono
ritenersi consentite procedure autonome sono quelle che si
realizzano nel caso di assenza di disponibilità sul mercato
elettronico del bene o del servizio da acquisire e nel caso
di inidoneità dell’uno o dell’altro alle esigenze
dell’amministrazione per mancanza di qualità essenziali.
---------------
... la richiesta di parere della Sezione di
controllo, formulata dai Sindaci dei comuni di Brusson,
Donnas, Montjovet, Pont-Saint-Martin e Valtournenche, in
merito all’applicabilità delle disposizioni relative
all’obbligo di approvvigionamento di beni e servizi a mezzo
delle convenzioni e del mercato elettronico della pubblica
amministrazione della Consip s.p.a. e di altre centrali di
committenza ai comuni montani aventi popolazione non
superiore a 5000 abitanti.
Il quesito propone le seguenti problematiche:
a) se, nei confronti dei comuni montani con meno di 5.000
abitanti, trovi applicazione l’art. 33, comma 3-bis, del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture);
b) se la disposizione ivi recata abbia a oggetto i soli
contratti di rilevanza comunitaria o si estenda anche ai
contratti sotto la soglia di rilevanza comunitaria.
...
9.- La richiesta di parere formulata dalle amministrazioni
comunali di Brusson, Donnas, Montjovet, Pont-Saint-Martin e
Valtournenche propone la soluzione dei seguenti quesiti:
a) se, nei confronti dei comuni montani con popolazione fino
a 5.000 abitanti, trovi applicazione o meno la disciplina
contenuta nel comma 3-bis dell’art. 33 del d.lgs. n.
163/2006, in forza della quale i comuni con popolazione non
superiore a 5.000 abitanti, devono effettuare i propri
acquisti tramite un’unica centrale di committenza costituita
a livello locale o attraverso gli strumenti elettronici di
acquisto gestiti da altre centrali di committenza e il
mercato elettronico della pubblica amministrazione;
b) se, in caso affermativo, le disposizioni ivi recate
abbiano a oggetto anche le acquisizioni di importo inferiore
alla soglia di rilevanza comunitaria.
Riguardo al primo quesito, le amministrazioni
richiedenti hanno rappresentato che a distinte conclusioni
potrebbe giungersi attribuendo rilievo prevalente alla
lettera della norma, che fa riferimento ai comuni con
popolazione non superiore ai 5.000 abitanti, senza
distinzioni di sorta, o al coordinamento di tale norma
–introdotta dal comma 4 dell’art. 1 del d.l. 06.07.2012, n.
95, come modificato, in sede di conversione, dall’art. 1,
comma 1, della l. 07.08.2012, n. 135 [rectius:
introdotta dal comma 4 dell’art. 23 del d.l. 06.12.2011, n.
201, convertito dalla l. 22.12.2011, n. 214, e modificata
dal comma 4 dell’art. 1 del d.l. n. 95/2012, come modificato
dalla legge di conversione]– con quella contenuta nel comma
1 di tale articolo, la quale, nel regolamentare le
conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle procedure
di acquisto di beni e servizi, ricollega tali conseguenze
alla violazione dell’art. 26, comma 3, della l. 23.12.1999,
n. 488 (legge finanziaria 2000), che espressamente esclude
dal proprio ambito di applicazione i comuni con popolazione
fino a 1.000 abitanti e quelli montani con popolazione fino
a 5.000 abitanti.
Riguardo al secondo quesito, le amministrazioni
istanti hanno evidenziato che la norma della cui
applicabilità dubitano trova collocazione nella parte del
Codice dei contratti pubblici che disciplina i contratti di
rilevanza comunitaria.
Tanto premesso, esse hanno prospettato che i comuni montani
con popolazione non superiore a 5.000 abitanti siano
soggetti all’obbligo di affidamento a un’unica centrale di
committenza, potendo alternativamente effettuare acquisti
tramite il mercato elettronico, per i contratti di rilevanza
comunitaria, e che, per i restanti contratti, non trovi
applicazione nei loro confronti il sistema delle convenzioni
e del mercato elettronico, con l’avvertenza, sotto
quest’ultimo aspetto, che diversa sembra essere
l’impostazione seguita dalla Sezione regionale di controllo
per il Piemonte della Corte dei conti (del. n. 271/2012),
dalla quale deriverebbe una riduzione dell’ambito di non
applicabilità del sistema agli affidamenti diretti e alle
acquisizioni mediante amministrazione diretta.
10.- L’acquisto di beni e servizi da parte delle
amministrazioni pubbliche è stato oggetto, a partire dal
1999, di numerosi interventi del legislatore statale,
indotto a razionalizzare le relative procedure da esigenze
di contenimento della spesa pubblica.
Appare pertanto opportuno, al fine di
ricondurre a sistema la materia, ripercorrere sinteticamente
le principali fasi del processo di riforma.
11.- La centralizzazione degli acquisti delle
amministrazioni pubbliche ha preso avvio con l’art. 26 della
l. n. 488/1999. La disciplina originaria, nel prevedere
l’adesione necessaria delle amministrazioni statali alle
convenzioni centralizzate, lasciava alla disponibilità di
quelle non statali, tra cui quelle locali, la scelta di
aderirvi o meno, obbligandole, peraltro, a utilizzarne i
parametri di qualità e prezzo per l’acquisto di beni
comparabili con quelli oggetto di convenzionamento.
Succedutisi altri interventi normativi con le leggi
finanziarie degli anni immediatamente successivi, il
legislatore ha nuovamente riformulato il comma 3 dell’art.
26 con il d.l. 12.07.2004, n. 168, nel testo integrato dalla
legge di conversione 30.07.2004, n. 191, aggiungendo in
particolare la previsione secondo cui “le disposizioni
che danno facoltà alle amministrazioni non statali di
avvalersi delle convenzioni stipulate dalla centrale di
committenza nazionale (Consip s.p.a.), imponendo loro di
utilizzare i parametri di qualità e prezzo ivi previsti come
limiti massimi in caso di acquisti effettuati in proprio,
non si applicano ai comuni con popolazione fino a 1.000
abitanti e a quelli montani con popolazione fino a 5.000
abitanti”.
12.- A seguito di ulteriori modifiche della disposizione
appena riportata, introdotte dall’art. 1, comma 4, del d.l.
12.07.2004, convertito, con modificazioni, dalla l.
30.07.2004, n. 191, la materia veniva ridisciplinata dalla
l. 27.12.2006, n. 296 (legge finanziaria 2007).
Il comma 449 dell’art. 1 di tale legge, riferito alle
commesse di importo comunitario, stabiliva, al primo
periodo, l’obbligo delle amministrazioni statali di
approvvigionarsi attraverso le convenzioni-quadro Consip,
limitatamente ad alcune tipologie di beni e servizi, da
individuarsi annualmente con decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze; il secondo periodo ribadiva
la facoltà delle restanti amministrazioni pubbliche di
ricorrere alle convenzioni –quelle stipulate da Consip o
quelle stipulate dalle centrali di committenza regionali,
introdotte dal comma 456 dell’art. 1 della legge stessa– e
il vincolo di utilizzarne alternativamente i parametri di
prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei
contratti.
Al riguardo, pare opportuno evidenziare che tale periodo si
riferiva indistintamente –come si è accennato– alle “restanti
amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo
30.03.2001, n. 165”, delle quali fanno parte gli enti
locali, sicché non parrebbe destituito di fondamento
ritenere che l’esclusione dei comuni con popolazione fino a
1.000 abitanti e di quelli montani con popolazione fino a
5.000 abitanti dall’applicazione della norma di cui all’art.
26, comma 3, della l. n. 488/1999 fosse stata da esso
implicitamente superata.
Il comma 450, relativo agli acquisti sotto la soglia di
rilievo comunitario, imponeva, a sua volta, alle
amministrazioni dello Stato di ricorrere al mercato
elettronico della pubblica amministrazione, nulla disponendo
riguardo alle altre amministrazioni.
I commi 449 e 450 dell’art. 1 della l. n.
296/2006 sono stati modificati dall’art. 7 del d.l.
07.05.2012, n. 52, come sostituito dalla legge di
conversione 06.07.2012, n. 94. Mentre il primo comma
dell’art. 7 ha modificato il comma 449, estendendo l’obbligo
di approvvigionamento attraverso le convenzioni-quadro
Consip a tutte le tipologie di beni e servizi che devono
essere acquistati dalle amministrazioni statali, il secondo
comma ha innovato la disciplina prevista dal comma 450 per
le amministrazioni diverse da quelle statali, e dunque anche
per le autonomie locali, cui è stato imposto di fare ricorso
al mercato della pubblica amministrazione, analogamente alle
amministrazioni dello Stato, ovvero ad altri mercati
elettronici, fatto salvo il rispetto del sistema delle
convenzioni previsto nel ridetto comma 449.
13.- Peraltro, la norma ora richiamata è stata preceduta dal
d.l. n. 201/2011, convertito dalla l. n. 214/2011, il cui
art. 23, comma 4, ha aggiunto all’art. 33 del Codice dei
contratti pubblici il comma 3-bis, con il quale è stato
stabilito che “i comuni con popolazione non superiore a
5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna
provincia affidano obbligatoriamente ad un’unica centrale di
committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture
nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 32
del testo unico di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ove
esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile
tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici”.
Alla disposizione così introdotta, finalizzata –secondo
quanto precisato nella relazione tecnica al decreto-legge– a
superare, attraverso l’imposizione del divieto ai piccoli
comuni di gestire autonomamente le procedure di evidenza
pubblica, la frammentazione degli appalti e a ridurre,
conseguentemente, i costi di gestione dei relativi
procedimenti, è stata aggiunta quella di cui al comma 4
dell’art. 1 del d.l. 06.07.2012, n. 95, come modificato
dalla legge di conversione 07.08.2012, n. 135, a termini del
quale “in alternativa, gli stessi comuni possono
effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti
elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di
committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di
cui all’articolo 26 della legge 1999, n. 448, e il mercato
elettronico della pubblica amministrazione”.
Nella relazione tecnica che accompagna il d.d.l. di
conversione del decreto-legge viene affermato che
l’utilizzo, da parte dei piccoli comuni (quelli con
popolazione non superiore a 5.000 abitanti), degli strumenti
elettronici di acquisto gestiti dalle centrali di
committenza vale quale adempimento dell’obbligo di
acquistare attraverso un’unica centrale di committenza,
consentendo loro di superare le difficoltà di aggregazione
che possono incontrare.
La norma autorizza, pertanto, espressamente i piccoli comuni
ad avvalersi degli strumenti già previsti in generale per le
amministrazioni pubbliche non statali, tra cui quelle
locali, dalle disposizioni di cui ai commi 449 e 450
dell’art. 1 della l. n. 296/2006; il che costituisce anche
un vincolo in caso di mancata costituzione della centrale
unica di committenza.
Significativo appare, in questa prospettiva, il richiamo,
operato dalla norma, alle convenzioni di cui all’art. 26
della l. n. 488/1999: se, infatti, per effetto della norma
in questione, ai comuni fino a 5.000 abitanti è stata
accordata la possibilità, tra le altre, di avvalersi di
quelle stesse convenzioni, dal cui utilizzo erano stati
esclusi dalla legge da ultimo citata i comuni fino a 5.000
abitanti e quelli montani fino a 1.000, se ne può dedurre –a
non voler accedere alla tesi secondo cui l’estromissione
fosse già venuta meno– che l’esclusione dall’applicazione
del disposto di tale articolo dei comuni con popolazione
fino a 5.000 abitanti e dei comuni montani con popolazione
fino a 1.000 abitanti sia stata da tale norma superata,
sostanzialmente uniformando la disciplina degli acquisti
delle amministrazioni locali (e, più in generale, delle
amministrazioni pubbliche non statali), sulla base
dell’assunto che un sistema centralizzato di acquisti
contribuisce al risanamento della finanza pubblica.
14.- In questo contesto, il riferimento
alla violazione dell’art. 26, comma 3, della l. n. 448/1999,
contenuto nella norma introdotta dal comma 1 dello stesso
articolo che ha integrato,
nei termini anzidetti, il comma 3-bis del
Codice dei contratti pubblici
(invocato dagli enti richiedenti a sostegno di una possibile
interpretazione volta a estromettere i comuni di montagna
con popolazione fino a 5.000 abitanti dal campo di
applicazione della norma ivi recata), norma peraltro
riproduttiva in parte di precetti già esistenti,
va semplicemente inteso,
a giudizio della Sezione, nel senso che gli
effetti sanzionatori determinati dalla stipulazione di
contratti in violazione delle disposizioni di cui all’art.
26, comma 3 (nullità dei contratti, responsabilità
disciplinare, responsabilità amministrativa: conseguenze
identiche, queste, a quelle previste in caso di contratti
stipulati in violazione dell’obbligo di acquisizione
mediante gli strumenti di acquisto messi a disposizione da
Consip s.p.a.), si producono in capo alle amministrazioni
assoggettate all’applicazione di tali disposizioni in base
alla normativa vigente.
Per quanto sopra esposto, la Sezione ritiene,
conclusivamente, che nei confronti dei
comuni montani fino a 5.000 abitanti trovino applicazione le
disposizioni di cui all’art. 33, comma 3-bis, del Codice dei
contratti pubblici, da cui discende l’obbligo di affidare la
gestione delle gare ad evidenza pubblica ad un'unica
centrale di committenza, in assenza della quale essi devono
avvalersi, per gli acquisti di rilevanza comunitaria, delle
convenzioni Consip e di quelle messe a disposizione da altre
centrali di riferimento, ferma restando la specificità della
disciplina contemplata dall’art. 1, comma 7, del più volte
citato d.l. n. 95/2012 riguardo ad alcune categorie
merceologiche di beni e servizi (energia elettrica, gas,
carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per
riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile) ritenute
di particolare rilevanza per il contenimento della spesa
pubblica.
Resta da dire, per completezza, che le conclusioni raggiunte
restano ferme anche a seguito delle innovazioni apportate
dalla l. 24.12.2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), i cui
commi 149 e 150 hanno ancora modificato, rispettivamente, i
commi 450 e 449 dell’art. 1 della l. n. 296/2006, e il cui
comma 154 ha integrato l’art. 1, comma 1, del d.l. n.
95/2012, come modificato in sede di conversione.
15.- Quanto al tema della riferibilità della disciplina ai
contratti c.d. sotto soglia, le amministrazioni richiedenti
hanno prospettato la tesi della non applicabilità, nei
confronti dei comuni (montani) fino a 5.000 abitanti, del
sistema delle convenzioni Consip e del mercato della
pubblica amministrazione, come disciplinati dal comma 3-bis
dell’art. 33, fondando tale tesi –oltre che sull’art. 1,
comma 1, del d.l. n. 95/2012, come modificato in sede di
conversione, della cui portata si è già detto– sulla
collocazione della norma nella parte del Codice relativa ai
contratti di rilevanza comunitaria.
In effetti, la disciplina in questione è situata nel Titolo
I (Contratti di rilevanza comunitaria) della Parte II
(contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture
nei settori ordinari) del Codice. Tuttavia, l’art. 121,
ubicato nel Titolo II, dedicato ai contratti di importo
inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, stabilisce
che a questi si applicano, tra le altre, le disposizioni
contenute nella Parte II, in quanto non derogate dalle norme
dello stesso Titolo II.
Muovendo da questa premessa, la Sezione di controllo per il
Piemonte, nella deliberazione richiamata dai richiedenti, ha
ritenuto, basando il proprio orientamento anche sul dato
contenuto nell’art. 23, comma 5, del d.l. n. 201/2011 –il
quale, nel determinare il termine a partire dal quale trova
applicazione l’obbligo di gestione associata, si riferisce
alle “gare bandite successivamente al 31.03.2012”
(termine poi prorogato dall’art. 29, comma 11-ter, del d.l.
29.12.2011, n. 216, al 31.03.2013), sembrava ancorare tale
obbligo alle ipotesi in cui esiste un confronto
concorrenziale tra i partecipanti–, che, dovendo
qualificarsi come gare, secondo le disposizioni codicistiche,
anche le procedure di affidamento in economia mediante
cottimo fiduciario, restassero escluse le acquisizioni in
economia mediante amministrazione diretta e le altre ipotesi
in cui le norme consentono, eccezionalmente, la negoziazione
diretta.
16.- Pur condividendosi il percorso argomentativo seguito e
le conclusioni raggiunte nella menzionata deliberazione in
relazione alla fattispecie ivi scrutinata, occorre
considerare che, nel frattempo, il quadro
normativo di riferimento è significativamente mutato, per
essere intervenuti, da un lato, il nuovo testo del
comma 450 dell’art. 1 della l. n. 296/2006, che, come si è
detto, ha introdotto l’obbligo per le amministrazione
diverse da quelle delle Stato di fare ricorso al mercato
della pubblica amministrazione, ovvero ad altri mercati
elettronici (fatto
salvo il rispetto del sistema delle convenzioni previsto nel
comma precedente); dall’altro lato,
la seconda parte del comma 3-bis dell’art. 33, che,
nell’individuare le alternative alla centrale unica, ha
espressamente richiamato –oltre agli strumenti elettronici
di acquisto gestiti da altre centrali di committenza– il
mercato della pubblica amministrazione, che costituisce uno
strumento utilizzabile soltanto per approvvigionamenti di
importo inferiore alla soglia comunitaria (art. 328 d.p.r.
05.10.2010, n. 207).
Di qui la conclusione che –indipendentemente dalla
collocazione della norma– a seguito dell’emanazione delle
predette disposizioni, l’obbligo prescritto
dal comma 3-bis dell’art. 33 del Codice dei contratti
pubblici di ricorrere al mercato della pubblica
amministrazione, in assenza di una centrale unica e di
strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali
di committenza, pure regionali, investe senz’altro le
acquisizioni di valore inferiore alla soglia di rilevanza
comunitaria.
Rimane da precisare che la stringente formulazione della
norma non sembra ammettere eccezioni all’obbligo di
acquisizione tramite mercato elettronico, fatta salva
l’applicazione –diretta o analogica– della disposizione di
cui al secondo periodo del comma 450 dell’art. 1 della l. n.
296/2006, che prevede il ricorso ad esso “fermi restando
gli obblighi … previsti al comma 449”, con ciò
intendendo che, nel caso in cui sia
disponibile una convenzione Consip (o regionale), il bene o
il servizio può essere acquisito a mezzo del mercato
elettronico a condizione che sia comprovato il rispetto dei
parametri di prezzo e qualità ivi indicati.
Del resto, il citato art. 328 del Regolamento di attuazione
del codice dei contratti pubblici prevede (comma 4, lettera
b) la possibilità di acquistare sul mercato elettronico
ricorrendo alle procedure in economia.
In questo assetto, le uniche ipotesi in cui
possono ritenersi consentite procedure autonome sono quelle
che si realizzano nel caso di assenza di disponibilità sul
mercato elettronico del bene o del servizio da acquisire e
nel caso di inidoneità dell’uno o dell’altro alle esigenze
dell’amministrazione per mancanza di qualità essenziali
(Corte dei Conti, Sez. controllo Valle d'Aosta,
parere 29.03.2013 n. 7). |
APPALTI - ENTI LOCALI: Triplice scadenza in comune.
Spending review, centrale committenza, Patto 2012. Al 31
marzo si concentrano una serie di appuntamenti importanti
per gli enti.
Comunicazione agli Interni degli importi tagliati dalla
spending review e non utilizzati per l'estinzione o la
riduzione del debito. Invio al Mef della certificazione
relativa al Patto 2012. Avvio della centrale unica di
committenza. Tre scadenze importanti per i comuni che si
sovrappongono tutte nella stessa data: il 31 marzo 2013.
Il primo adempimento (previsto dall'art. 16, comma 6-bis,
del dl 95/2012) riguarda solo i municipi soggetti al Patto
dello scorso anno (sono esclusi, pertanto, quelli sotto i 5
mila abitanti).
Esso impone di comunicare alla Prefettura-Utg (che a sua
volta la inoltrerà al Viminale) la quota del taglio previsto
dal comma 6 del medesimo art. 16 (pari, complessivamente, a
500 milioni) eventualmente non utilizzata dagli enti per
ridurre il proprio «rosso» e che, quindi, verrà decurtata
sulle spettanze 2013. Al riguardo, si rammenta che si
possono considerare utilmente perfezionate le operazioni di
estinzione o di riduzione anticipata del debito per le quali
il relativo impegno di spesa sia stato effettuato entro il
31.12.2012 e il relativo mandato di pagamento risulti
emesso entro la medesima data del 31.12.2012, anche se
poi tale mandato risulti estinto dal tesoriere nei primi
giorni di gennaio 2013. Il Ministero dell'interno ha anche
precisato che saranno valide le comunicazioni effettuate
entro il 2 aprile, quale primo giorno seguente non festivo
successivo alla scadenza del termine.
Analoga precisazione, invece, non è arrivata rispetto al
secondo adempimento, ovvero la certificazione del Patto 2012
(regolata dall'art. 31, comma 20, della l 183/2011).
Pertanto, è opportuno che l'invio alla Ragioneria generale
dello Stato della raccomandata contenente il modello e i
relativi prospetti, debitamente sottoscritti dal
rappresentante legale, dal responsabile del servizio
finanziario e dai revisori, avvenga entro domani (farà fede
la data del timbro postale). Anche in tal caso, sono esclusi
i piccoli comuni.
Questi ultimi, invece, sono interessati dalla terza
scadenza, certamente la più complessa. Entro il 31 marzo,
infatti, essi devono rendere operative le centrali uniche di
committenza, accorpando gli uffici che gestiscono gli
appalti per la realizzazione di lavori pubblici e per
l'acquisizione di beni e servizi. Lo prevede l'art. 33,
comma 3-bis, del dlgs 163/2006, introdotto dall'art. 23,
comma 4, del dl 201/2011, la cui disciplina si applica alle
gare bandite successivamente al 31.03.2013.
Due le
modalità attuative: in via prioritaria, l'unione di comuni
ex art. 32 tuel, ovvero, in subordine, un accordo consortile
(da intendersi verosimilmente come convenzione ai sensi
dell'art. 30 Tuel). In mancanza, scatta l'obbligo di
rivolgersi alle centrali di committenza già esistenti o di
passare attraverso il mercato elettronico della p.a.
(articolo ItaliaOggi del 29.03.2013). |
APPALTI: Costo dell'appalto detratto solo con contratto scritto.
Il costo dell'appalto non può essere detratto sulla base
delle sole fatture ma è necessario un contratto scritto fra
committente e appaltatore.
Lo ha sancito la Corte di Cassazione che,
con l'ordinanza
28.03.2013 n. 7897, ha accolto il
ricorso dell'amministrazione finanziaria.
Insomma a fronte
di grossi lavori le fatture sono del tutto insufficienti,
dice la Suprema corte, ai fini del beneficio fiscale.
Infatti, dicono gli stessi Ermellini, un appalto di importo
molto considerevole, come in questo caso, va stipulato con
atto scritto, o comunque in maniera da lasciare una traccia
documentale. Questo, rileva ancora la Corte, non risulta che
sia avvenuto nel caso in esame, quindi appare legittima la
conclusione che quel contratto non fosse stato mai
stipulato. Tanto più che la parte privata non ha offerto
alla valutazione del giudice argomenti per ritenere che
nella specie la stipula di un contratto scritto non fosse
necessaria per particolari ragioni, idonee a superare l'«id
quod plerumque accidit».
Il fatto certo è che mancava la prova della redazione del
contratto di appalto, quindi la contribuente non aveva
diritto alla detrazione di imposta. In più la Cassazione
ribadisce il principio generale per cui è il contribuente a
dover fornire la prova dell'autenticità delle fatture.
Sul punto l'ordinanza precisa che qualora l'amministrazione
contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture,
in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca
attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza di quelle
fatturate, come nella specie, è onere del contribuente
dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo
altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal
fine, la dimostrazione della regolarità formale delle
scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto
si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili.
Dunque ora la causa dovrà tornare presso un'altra sezione
della commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna
che dovrà riconsiderare la vicenda e, nel caso il
contribuente non provi l'esistenza di un contratto scritto,
dovrà negare la detrazione al committente
(articolo ItaliaOggi del 17.04.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Appartiene alla giurisdizione del giudice
ordinario la controversia avente ad oggetto asseriti
inadempimenti degli obblighi contrattuali da parte della
ditta appaltatrice, verificatisi nel corso di esecuzione del
rapporto.
La controversia avente ad oggetto asseriti inadempimenti
degli obblighi contrattuali da parte della ditta
appaltatrice, verificatisi nel corso di esecuzione del
rapporto involge posizioni di diritto soggettivo ed
appartiene pertanto, secondo il generale criterio di
riparto, alla giurisdizione del giudice ordinario.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
comprende, infatti, solo le controversie relative alle
procedure per l'affidamento dei lavori o dei servizi
pubblici e non quelle conseguenti all'applicazione degli
obblighi contrattualmente assunti tra le parti a seguito
dell'affidamento stesso.
Le questioni nascenti dalla esecuzione di un contratto di
appalto, infatti, si collocano nella fase successiva a
quella della scelta del contraente e gli atti posti in
essere dalla p. a. in tale fase hanno natura negoziale ed
investono in via diretta ed immediata posizioni di diritto
soggettivo. La giurisdizione va pertanto declinata, ai sensi
dell'art. 11 c.p.a. in favore dell'A.G.O. (TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 28.03.2013 n. 1695 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Sono
illegittimi l’atto di revoca
dell’aggiudicazione e la nuova aggiudicazione a favore della
controinteressata in quanto del tutto privi di motivazione.
Neppure dagli ulteriori atti depositati è possibile
ricostruire le ragioni che hanno spinto all’amministrazione
ad annullare la gara e quali siano state le difformità dal
bando che siano state contestate alla ricorrente. Né a tal
fine è possibile tenere conto di dichiarazioni provenienti
dalla controinteressata, in quanto la decisione di ritirare
e di assegnare ex novo la gara proviene
dall’amministrazione, la quale doveva valutare la fondatezza
delle rimostranze mosse nei confronti della prima
aggiudicazione ed esplicitare le ragioni per le quali vi
aderiva.
Non esiste poi nessun verbale di gara o di apertura delle
buste per cui non è possibile ricostruire in modo
sufficientemente completo l’attività svolta
dall’amministrazione.
---------------
Nell’ipotesi di rimozione in autotutela di una procedura di
gara, l’avviso di avvio del relativo procedimento assume
carattere di obbligatorietà ove l’esercizio di tale potere
implichi valutazioni discrezionali, come nel caso di specie
ove è stata fatta applicazione del criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa.
L’avviso deve ritenersi superfluo solo a fronte di un
provvedimento basato su presupposti verificabili in modo
immediato ed univoco, per i quali difatti le esigenze di
garanzia e trasparenza, sottese a tale adempimento, recedono
a favore dei criteri di economicità e speditezza dell’azione
amministrativa.
La ricorrente già aggiudicataria di procedura di
gara per l'affidamento dei servizi assicurativi degli alunni
e del personale per l'anno scolastico 2013 impugna l’atto di
revoca dell’aggiudicazione e la nuova aggiudicazione a
favore della controinteressata.
A tal fine presenta i seguenti motivi di ricorso: a)
Violazione degli artt. 21 della legge n. 241/1990 per
difetto di motivazione dell’atto di autotutela; b)
Violazione dell’art. 21-nonies della legge 241/1990 per
mancanza dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela; c)
Violazione dell’art. 7 legge 241 /1990 per mancata
comunicazione di avvio del procedimento di autotutela; d) in
via subordinata violazione di legge per errata attribuzione
dei punteggi. Violazione del bando di gara e dei criteri di
attribuzione dei punteggi ivi stabiliti.
La difesa dello Stato ha chiesto la reiezione del ricorso.
Alla camera di consiglio del 26.03.2013 la causa è stata
trattenuta dal Collegio per la decisione.
Il ricorso è fondato.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono fondati in
quanto dall’esame degli atti risulta chiaramente che sia
l’atto di revoca dell’aggiudicazione, quanto la successiva
aggiudicazione sono del tutto privi di motivazione.
Neppure
dagli ulteriori atti depositati è possibile ricostruire le
ragioni che hanno spinto all’amministrazione ad annullare la
gara e quali siano state le difformità dal bando che siano
state contestate alla ricorrente. Né a tal fine è possibile
tenere conto di dichiarazioni provenienti dalla controinteressata, in quanto la decisione di ritirare e di
assegnare ex novo la gara proviene dall’amministrazione, la
quale doveva valutare la fondatezza delle rimostranze mosse
nei confronti della prima aggiudicazione ed esplicitare le
ragioni per le quali vi aderiva.
Non esiste poi nessun verbale di gara o di apertura delle
buste per cui non è possibile ricostruire in modo
sufficientemente completo l’attività svolta
dall’amministrazione.
Anche il terzo motivo di ricorso è fondato in quanto
nell’ipotesi di rimozione in autotutela di una procedura di
gara, l’avviso di avvio del relativo procedimento assume
carattere di obbligatorietà ove l’esercizio di tale potere
implichi valutazioni discrezionali, come nel caso di specie
ove è stata fatta applicazione del criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa (ex plurimis TAR Lazio-Roma - Sezione I-Bis, Sentenza 23.10.2006 n. 10900).
L’avviso deve ritenersi superfluo solo a fronte di un
provvedimento basato su presupposti verificabili in modo
immediato ed univoco, per i quali difatti le esigenze di
garanzia e trasparenza, sottese a tale adempimento, recedono
a favore dei criteri di economicità e speditezza dell’azione
amministrativa.
Poiché tali presupposti non sussistono, era obbligo
dell’amministrazione comunicare alle parti l’avvio di un
procedimento di annullamento della gara ed acquisire le loro
valutazioni prima di provvedere
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 28.03.2013 n. 819 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Benché
l'Ad. plen. n. 4 del 2011 (v. § 40.) ammette la possibilità,
per il ricorrente che ha partecipato legittimamente alla
gara, di far valere tanto un interesse “finale” al
conseguimento dell’appalto affidato al controinteressato,
quanto, in via alternativa (e normalmente subordinata)
l’interesse “strumentale” alla caducazione dell’intera gara
e alla sua riedizione sempre che sussistano, in concreto,
ragionevoli possibilità di ottenere l’utilità richiesta”, il
criterio dell’interesse strumentale va contemperato con le
peculiarità in fatto che caratterizzano la procedura per la
quale è causa, [con la conseguenza che] non si può
prescindere dalla verifica della c.d. prova di resistenza,
con riferimento alla posizione della parte ricorrente
rispetto alla procedura selettiva le cui operazioni sono
prospettate come illegittime, nel senso che è inammissibile,
per carenza di interesse, il ricorso contro un provvedimento
qualora, dall’esperimento della c.d. prova di resistenza, in
esito a una verifica a priori, risulti con certezza che il
ricorrente non avrebbe comunque ottenuto il bene della vita
perseguito nel caso di accoglimento del ricorso. Occorre
avere riguardo, cioè, alla possibilità concreta di vedere
soddisfatta la pretesa sostanziale fatta valere.
Sulla scorta dei riferiti presupposti non si può che
richiamare un condivisibile orientamento giurisprudenziale
secondo il quale, benché «Ad. plen. n. 4 del 2011 (v. §
40.) ammette la possibilità, per il ricorrente che ha
partecipato legittimamente alla gara, di far valere tanto un
interesse “finale” al conseguimento dell’appalto affidato al
controinteressato, quanto, in via alternativa (e normalmente
subordinata) l’interesse “strumentale” alla caducazione
dell’intera gara e alla sua riedizione sempre che
sussistano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere
l’utilità richiesta”, il criterio dell’interesse strumentale
va contemperato con le peculiarità in fatto che
caratterizzano la procedura per la quale è causa, [con la
conseguenza che] non si può prescindere dalla verifica della
c.d. prova di resistenza, con riferimento alla posizione
della parte ricorrente rispetto alla procedura selettiva le
cui operazioni sono prospettate come illegittime, nel senso
che è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso
contro un provvedimento qualora, dall’esperimento della c.d.
prova di resistenza, in esito a una verifica a priori,
risulti con certezza che il ricorrente non avrebbe comunque
ottenuto il bene della vita perseguito nel caso di
accoglimento del ricorso. Occorre avere riguardo, cioè, alla
possibilità concreta di vedere soddisfatta la pretesa
sostanziale fatta valere»
(Consiglio di Stato, V, 15.10.2012, n. 5276).
Nel caso di specie, in assenza della espressa deduzione di
un interesse strumentale alla ripetizione della gara e in
mancanza di una dimostrazione della utilità per la società
ricorrente dell’esito rappresentato dalla ripetizione della
gara, i ricorsi non possono che essere dichiarati
inammissibili (cfr. TAR Sicilia, Palermo, II, 26.06.2012, n.
1300) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 28.03.2013 n. 815 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Contro
i monopoli. Tar Lombardia.
Illegittimo il bando per creare privative.
IL PRINCIPIO/
Le università non possono restringere il numero dei
fotografi nelle sedute di laurea - Pagamento lecito per le
postazioni.
Via libera a tutti i fotografi in occasione delle lauree
universitarie: lo impone il TAR Lombardia-Milano, Sez. I, con l'ordinanza 28.03.2013 n. 380, sospendendo un bando dell'università di
Pavia in nome del principio della libertà dei servizi
(decreto legislativo 59/2010).
Il caso esaminato riguarda fotografi professionisti, che
hanno contestato un bando dell'università la quale chiedeva
offerte a chi fosse interessato a riprendere circa 4mila
cerimonie di laurea ogni anno.
Per partecipare occorreva migliorare l'offerta base per
l'università, fissata in 12mila euro annuali, garantendo poi
agli utenti prezzi standard e filmati di durata non
inferiore a 10 minuti. Questa gara è stata sospesa dal Tar
perché l'università non può istituire una "privativa" (cioè
una presenza esclusiva con finalità commerciali) sostenendo
di voler agevolare il mercato. Per i giudici,
l'effetto-privativa, del tutto illegittimo, è «implicito
nella volontà di sostituire un regime di concorrenza "nel"
mercato con uno di concorrenza "per" il mercato».
La gara, secondo i giudici amministrativi, ha come risultato
un limite alla concorrenza, mentre l'attività di impresa
deve rimanere libera.
Nello stesso settore vi sono stati contrasti anche nel 2011:
secondo il Tar Firenze (sentenza 1406), l'università di Pisa
non può impedire la prestazione dei servizi, ma può solo
assegnare con gara un'area attrezzata (un tavolino con
sedie).
Quindi, vi è libertà di iniziativa per i fotografi, ed al
massimo la gara può garantire una sede comoda.
Queste pronunce, ferma restando la possibilità del fai da te
di familiari e conoscenti, garantiscono la libertà di
iniziativa (decreto legislativo 59/2010), con divieto di
restrizioni e di tariffe imposte.
Spetterà poi ai consumatori scegliere l'offerta migliore,
tenendo presente che la legge 4/2013 sulle professioni non
organizzate ammette la possibilità che i professionisti
introducano, su base volontaria, requisiti di qualità e
codici di comportamento.
Se utenti e fornitori si avvantaggiano attraverso scelte più
ampie, la concorrenza complica le scelte delle pubbliche
amministrazioni, perché le gare non possono generare
privative o monopoli.
Se il buon andamento delle sedute di laurea, in altri
termini, non basta alle università per limitare la presenza
di fotografi, allo stesso modo il ricorso alle gare non può
essere totalizzante (per tempi e modi), cioè assumere
dimensioni tali da danneggiare la concorrenza.
Questo principio di massima partecipazione va tenuto
presente sia nella scelta di un professionista che opera in
un settore riservato (con ordine professionale), sia per le
attività che hanno una base associazionistica volontaria,
sia infine per liberi operatori.
Le gare, sembra di capire, non possano generare privative o
monopoli, restringendo il mercato: rischio che appunto è
stato percepito dai giudici milanesi a favore dei fotografi
(articolo Il Sole 24 Ore del
03.04.2013 - tratto da www.cndcec.it). |
APPALTI: Partecipare
ad una gara d'appalto è richiesto
espressamente ai concorrenti la specifica indicazione,
nell’offerta, degli oneri per la sicurezza.
Tale adempimento, imposto dalla legge, è posto a presidio
della par condicio tra i concorrenti nonché dell’interesse
dell’Amministrazione pubblica a vagliare l’affidabilità e la
congruità delle offerte, e specificamente la loro idoneità a
garantire la sicurezza dei lavoratori da impiegare nella
commessa pubblica.
Alla luce di tale ratio legis, i costi della sicurezza
costituiscono elemento essenziale dell’offerta, con la
conseguenza che la loro mancata indicazione rende
quest’ultima incompleta, e dunque soggetta a esclusione, a
norma dell’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti
pubblici. E ciò anche in assenza di una specifica previsione
all’interno della lex specialis, circa l’onere di
esplicitare, nell’offerta, l’ammontare degli oneri di
sicurezza.
---------------
L’articolo 38, co. 2, lett. c), del codice dei contratti
pubblici, stabilisce che le dichiarazioni, in ordine alla
sussistenza dei requisiti di ordine generale richiesti,
debbano essere rese dagli amministratori muniti di potere di
rappresentanza. Detta disposizione assolve alla precisa
finalità di consentire alla stazione appaltante un controllo
sull’idoneità morale dell’impresa che abbia presentato
un’offerta. La verifica sulla sussistenza dei requisiti di
moralità deve essere operata rispetto a tutti i soggetti,
amministratori, che siano abilitati ad impegnare l’impresa
nei confronti di terzi.
Per questo motivo, l’articolo 38 statuisce che alla
dichiarazione sostitutiva siano tenuti soltanto “gli
amministratori muniti di potere di rappresentanza”, ossia
coloro –tra gli amministratori– i quali abbiano il potere di
spendere, all’esterno, il nome dell’impresa.
Da ciò si evince che ben è possibile che la società limiti
od escluda il potere di rappresentanza con riguardo ad uno o
più amministratori.
Il riferimento agli “amministratori muniti di potere di
rappresentanza”, contenuto nell’art. 38, comma 2, lett. c,
d.lgs. 163/2006, deve essere interpretato «nel senso che
coloro i quali rivestono cariche societarie, alle quali è
per legge istituzionalmente connesso il possesso di poteri
rappresentativi, sono in ogni caso tenuti a rendere la
dichiarazione de qua, senza che possa avere rilevanza alcuna
l’eventuale ripartizione interna di compiti e deleghe».
---------------
Ai sensi dell’art. 41 del codice dei contratti pubblici, la
stazione appaltante può richiedere, ai concorrenti, che
dimostrino la propria capacità economico-finanziaria
mediante presentazione di almeno due referenze bancarie, con
i limiti di cui al comma 3 e il comma 2 dell’art. 41 cit.
sancisce, ulteriormente, la facoltà, in capo alle
amministrazioni, di richiedere requisiti di qualificazione
ulteriori rispetto a quelli espressamente stabiliti dalla
legge.
Ebbene, tale facoltà trova un limite solo nel principio di
proporzionalità e ragionevolezza, in relazione all’oggetto
del contratto, nonché nel divieto di inutile aggravamento
del procedimento di cui all’art. 1, comma 2, L. n. 241/1990.
Invero, anche a seguito dell’introduzione del principio di
tassatività delle cause di esclusione di cui al comma 1-bis
dell’art. 46 del d.lgs. 163/2006, è “rimasta inalterata la
facoltà delle amministrazioni aggiudicatrici di richiedere,
a pena di esclusione, tutti i documenti e gli elementi
ritenuti necessari o utili per identificare e selezionare i
partecipanti ad una procedura concorsuale nel rispetto del
principio di proporzionalità, ai sensi degli art. 73 e 74
del Codice dei contratti.
Difatti, gli articoli 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, del
codice dei contratti pubblici, nonché l’art. 26, comma 6,
del d.lgs. n. 81 del 2008, richiedono espressamente ai
concorrenti la specifica indicazione, nell’offerta, degli
oneri per la sicurezza.
Tale adempimento, imposto dalla legge, è posto a presidio
della par condicio tra i concorrenti nonché dell’interesse
dell’Amministrazione pubblica a vagliare l’affidabilità e la
congruità delle offerte, e specificamente la loro idoneità a
garantire la sicurezza dei lavoratori da impiegare nella
commessa pubblica.
Alla luce di tale ratio legis, i costi della sicurezza
costituiscono elemento essenziale dell’offerta, con la
conseguenza che la loro mancata indicazione rende
quest’ultima incompleta, e dunque soggetta a esclusione, a
norma dell’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti
pubblici (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. III,
sentenza 28.08.2012, n. 4622; nonché, Cons. Stato, sez.
V, sentenza 31.07.2012, n. 4351). E ciò anche in assenza
di una specifica previsione all’interno della lex specialis,
circa l’onere di esplicitare, nell’offerta, l’ammontare
degli oneri di sicurezza.
---------------
L’articolo 38, co. 2, lett. c), del codice dei contratti pubblici,
stabilisce che le dichiarazioni, in ordine alla sussistenza
dei requisiti di ordine generale richiesti, debbano essere
rese dagli amministratori muniti di potere di
rappresentanza. Detta disposizione assolve alla precisa
finalità di consentire alla stazione appaltante un controllo
sull’idoneità morale dell’impresa che abbia presentato
un’offerta. La verifica sulla sussistenza dei requisiti di
moralità deve essere operata rispetto a tutti i soggetti,
amministratori, che siano abilitati ad impegnare l’impresa
nei confronti di terzi (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. III,
16.03.2012, n. 1471).
Per questo motivo, l’articolo 38 statuisce che alla
dichiarazione sostitutiva siano tenuti soltanto “gli
amministratori muniti di potere di rappresentanza”, ossia
coloro –tra gli amministratori– i quali abbiano il potere
di spendere, all’esterno, il nome dell’impresa.
Da ciò si evince che ben è possibile che la società
limiti od escluda il potere di rappresentanza con riguardo
ad uno o più amministratori.
Tuttavia, tali limitazioni –secondo quanto prevede
l’articolo 2475-bis, secondo comma, del codice civile–
seppure risultino espressamente dall’atto costitutivo ovvero
dall’atto di nomina dell’amministratore, non hanno, in linea
di principio, efficacia esterna, ossia non producono effetti
nei confronti dei terzi («salvo che si provi che questi
abbiano intenzionalmente agito a danno della società»).
Trova applicazione prevalente, pertanto, la regola sancita
dal primo comma del medesimo articolo, per la quale gli
amministratori hanno la rappresentanza generale della
società. 3.4. Come chiarito anche dalla prevalente
giurisprudenza, non assumono, quindi, rilievo eventuali
ripartizioni interne del potere di rappresentanza (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, sentenza 03.12.2010 n. 8535).
Si
osserva ulteriormente, in tale prospettiva, che il
riferimento agli “amministratori muniti di potere di
rappresentanza”, contenuto nell’art. 38, comma 2, lett. c,
d.lgs. 163/2006, deve essere interpretato «nel senso che
coloro i quali rivestono cariche societarie, alle quali è
per legge istituzionalmente connesso il possesso di poteri
rappresentativi, sono in ogni caso tenuti a rendere la
dichiarazione de qua, senza che possa avere rilevanza alcuna
l’eventuale ripartizione interna di compiti e deleghe» (cfr.
da ultimo Cons. Stato, sez. III, 16.03.2012, n. 1471,
pronunciata in un caso nel quale lo statuto attribuiva la
rappresentanza della società a tutti i componenti del
consiglio di amministrazione, in via disgiunta tra loro,
mentre una delibera interna del C.d.A. limitava il potere di
un suo componente alla sola gestione di determinate
attività).
---------------
Precisato,
infatti, che -ai sensi dell’art. 41 del codice dei
contratti pubblici- la stazione appaltante può richiedere,
ai concorrenti, che dimostrino la propria capacità
economico-finanziaria mediante presentazione di almeno due
referenze bancarie, con i limiti di cui al comma 3 e che il
comma 2 dell’art. 41 cit. sancisce, ulteriormente, la
facoltà, in capo alle amministrazioni, di richiedere
requisiti di qualificazione ulteriori rispetto a quelli
espressamente stabiliti dalla legge, va rammentato come,
secondo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, tale
facoltà trova un limite solo nel principio di
proporzionalità e ragionevolezza, in relazione all’oggetto
del contratto, nonché nel divieto di inutile aggravamento
del procedimento di cui all’art. 1, comma 2, L. n. 241/1990
(cfr. ex multis TAR Liguria, sez. II, 27.05.2009, n.
1238; cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 23.02.2010, n.
1040).
Inoltre, anche a seguito dell’introduzione del
principio di tassatività delle cause di esclusione di cui
al comma 1-bis dell’art. 46 del d.lgs. 163/2006, è “rimasta
inalterata la facoltà delle amministrazioni aggiudicatrici
di richiedere, a pena di esclusione, tutti i documenti e gli
elementi ritenuti necessari o utili per identificare e
selezionare i partecipanti ad una procedura concorsuale nel
rispetto del principio di proporzionalità, ai sensi degli
art. 73 e 74 del Codice dei contratti (cfr. Sez, V, 12.06.2012, n. 3884)” (Cons. Stato, sez. V, sentenza 18.02.2013, n. 974) (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 28.03.2013 n. 258 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In riferimento alla riformulazione dell’art. 11, comma 13, del
Codice degli appalti, la Sezione ritiene che:
a) la disciplina prevista dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163 è speciale rispetto alla disciplina che
regola la forma degli atti contenuta nella legge di
contabilità pubblica.
b) la comminatoria di nullità prevista dalla norma è
riferita a tutte le forme ad substantiam di stipulazione
previste dalla citata disposizione;
c) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata
(scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter
absentes), in caso di trattativa privata, conservano piena
validità le forme di stipulazione, previste dall'art. 17 del
R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è prevista
anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n.
163);
d) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve
avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista
quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o
di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo
ancora validamente stipulabile il contratto in forma
pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
e) l’adozione del rogito notarile condurrà invece
all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile,
alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione
normativa.
Infine, la locuzione “…le norme
vigenti per ciascuna stazione appaltante …" riferita alla
modalità elettronica della stipulazione dei contratti è da
intendersi non come potere della singola stazione appaltante
di autodeterminazione, ma come rinvio ad una normativa
tecnica, di rango legislativo o regolamentare, di fonte
statale (artt. 117, comma 2, lett. l, Cost.), che detti i
precetti in modo uniforme sulla compilazione, sottoscrizione
e conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti
stipulati in modalità elettronica.
---------------
Il sindaco del comune di Rovato (BS), mediante nota n. 7173
del 26.02.2013, ha posto un quesito in merito alla corretta
interpretazione dell’art. 11, comma 13, del d.lgs. n.
163/2006 come novellato dall'art. 6, comma 3, del d.l. n.
179/2012 che testualmente recita: “il contratto è
stipulato a pena di nullità, con atto pubblico notarile
informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le
norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma
pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante
dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura
privata”.
Il sindaco evidenzia la necessità di un intervento
chiarificatore e l'attinenza della questione sugli equilibri
economico-finanziari degli enti, tenendo conto dell'effetto
caducante (nullità ex tunc) previsto dalla norma sui
contratti posti in essere in violazione delle disposizione
di legge. L'estrema nebulosità della disposizione citata non
risulta essere stata dissipata dalla recente determinazione
n. 1 del 13.02.2013 dell'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici (AVCP) che, intervenendo sul punto,
appare soffermarsi principalmente su due alternative
all’'atto pubblico notarile informatico. L'AVCP ha ritenuto
che le stazioni appaltanti possano procedere a perfezionare
i contratti di appalto, in alternativa all'atto pubblico
notarile informatico, nella forma della scrittura privata,
ai sensi dell'art. 334, comma 2, del DPR n. 207/2012, e
nella forma dell'atto pubblico amministrativo in modalità
elettronica.
Sulle argomentazioni deducibili dalla determinazione
dell’autorità, possono muoversi due osservazioni.
La prima riguarda l’interpretazione letterale della
disposizione in esame che, a parere del comune istante,
risulta fuorviante. Dall'interpretazione letterale della
disposizione in esame, è di limpida evidenza che “il
contratto è stipulato, a pena di nullità”, nella forma
dell'atto pubblico notarile informatico, che per sua natura
è riservato ai notai, "ovvero”, in alternativa, "in modalità
elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante", altrimenti, dopo la virgola, "in forma pubblica
amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante
dell'amministrazione aggiudicatrice" o "mediante scrittura
privata".
In sostanza la disposizione divide
grammaticalmente, con l'uso del segno di interpunzione della
virgola, l’elencazione della modalità di perfezionamento dei
contratti delle stazioni appaltanti dato dalla "modalità
elettronica" diverso dalla “forma pubblica amministrativa o”
della scrittura privata. L'AVCP opera nella sua
determinazione una immotivata “crasi” tra le due diverse
modalità senza tener in alcuna considerazione
l'interpunzione, ipotizzando l'obbligatorietà di un atto
pubblico amministrativo in modalità elettronica.
Per altro verso deve sottolinearsi che l' AVCP ipotizza una
“modalità elettronica” di perfezionamento dell'atto pubblico
amministrativo nelle forme dell'art. 25, comma 2, del d.lgs.
n.82/2006 secondo cui "L'autenticazione della firma
elettronica, anche mediante l'acquisizione digitale della
sottoscrizione autografa, o di qualsiasi altro tipo di firma
elettronica avanzata consiste nell'attestazione, da parte
del pubblico ufficiale, che la firma è stata apposta in sua
presenza dal titolare, previo accertamento della sua
identità personale, della validità dell'eventuale
certificato elettronico utilizzato e del fatto che il
documento sottoscritto non è in contrasto con l'ordinamento
giuridico”.
La questione è che l'atto pubblico e l’atto
pubblico amministrativo sono cosa diversa dalla semplice
autenticazione della firma autografa o dalla autenticazione
della firma autografa acquisita elettronicamente e questo in
base alle disposizioni dell'ordinamento giuridico risalenti
alla legge notarile ed al codice dell'amministrazione
digitale in tema di atto notarile informatico. L'atto
notarile informatico rappresenta infatti la forma ideata dal
legislatore (d.lgs. n. 110/2010 - Disposizioni in materia di
atto pubblico informatico redatto dal notaio, a norma
dell'articolo 65 della legge 18.06.2009, n. 69), per
produrre, perfezionare e conservare attraverso strumenti
informatici un atto pubblico. Per l’atto pubblico,
diversamente dalla scrittura autenticata fatta con metodi
tradizionali o con strumenti di firma digitale, si pongono
differenze nette.
In pratica le differenze principali sono
le seguenti:
- l'atto pubblico deve essere redatto dal notaio o da altro
pubblico ufficiale a ciò abilitato; se non è stato scritto
personalmente dal notaio o dal pubblico ufficiale, deve
essere da lui letto alle parti, che devono essere tutte
presenti contemporaneamente davanti al notaio; deve essere
scritto in lingua italiana (eventualmente, con la traduzione
in lingua straniera) ed essere sottoscritto dalle parti e
dal notaio nello stesso momento; deve essere conservato
(salvo casi eccezionali) nella raccolta degli atti del
notaio o dal pubblico ufficiale.
- la scrittura privata può non essere redatta dal notaio o
dal pubblico ufficiale, può non essere letta dal notaio o
dal pubblico ufficiale alle parti e può essere autenticata
anche da più pubblici ufficiali. Inoltre il notaio o il
pubblico ufficiale non hanno l'obbligo di conservarla, ma
possono rilasciarla in originale alle parti.
Va anche rammentato che mentre l'art. 2700 del c.c.
attribuisce all'atto pubblico una efficacia probatoria
“forte” circa la provenienza ed il contenuto della volontà
delle parti, viceversa la scrittura privata autentica, ai
sensi dell'art. 2702 del c.c., assicura fino a querela di
falso l’efficacia probatoria dei soggetti da cui proviene la
volontà negoziale ma non il contenuto di quella volontà.
Il codice dell'amministrazione digitale all’art. 20 dispone
al comma 1-bis che “L’idoneità del documento informatico a
soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore
probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto
conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità,
sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando
quanto disposto dall’ articolo 21". L’art. 21 dispone a sua
volta che “Il documento informatico sottoscritto con firma
elettronica avanzata, qualificata o digitale, formato nel
rispetto delle regole tecniche di cui all'articolo 20,
comma 3, che garantiscano l'identificabilità dell'autore,
l’integrità e l’immodificabilità del documento, ha
l’efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile.
L’utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata
o digitale si presume riconducibile al titolare, salvo che
questi dia prova contraria”.
In sostanza per la disciplina dell'atto pubblico notarile il
legislatore è intervenuto ad hoc con il d.lgs. n.
110/2010 citato che dispone regole tecniche circa la
formazione, perfezionamento e conservazione dell'atto.
Nel caso di specie l’AVCP sembra semplificare e creare una
pericolosa commistione tra atto pubblico e scrittura
autenticata digitalmente dal pubblico ufficiale.
Il sindaco ribadisce l'immediata rilevanza della questione
sotto il profilo della legittimità degli atti posti in
essere dalle stazioni appaltanti e degli effetti sulla spesa
che la nullità degli atti produrrebbe sugli enti là dove i
dubbi esposti venissero accertati in sede giurisdizionale e
travolgessero l'azione degli enti.
In conclusione, si chiede se l’ente possa procedere alla
sottoscrizione degli atti relativi agli appalti attraverso
una delle quattro diverse alternative contemplate dall'art.
11, comma 13, del d.lgs. n.163/2006 come novellato dall'art.
6, comma 3, del d.l. n. 179/2012:
1.
atto pubblico notarile informatico, dinanzi al notaio nelle
forme ex d.lgs. n. 110/2010 “Disposizioni in materia di
atto pubblico informatico redatto dal notaio, a norma
dell'articolo 65 della legge 18.06.2009, n. 69”;
2.
in modalità elettronica secondo le norme vigenti per
ciascuna stazione appaltante, ovvero secondo le ordinarie
modalità di conclusione degli appalti di servizi e forniture
che si perfezionano sul Mepa o sulla piattaforma digitale
della Regione Lombardia, ovvero secondo le forme dell’atto
pubblico informatico che saranno disciplinate dai
regolamenti interni in analogia con quanto avvenuto per gli
atti notarili;
3.
in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale
rogante dell'amministrazione aggiudicatrice, ovvero secondo
le forme tradizionali di perfezionamento degli atti;
4.
scrittura privata autenticata.
...
I quesiti posti con il presente interpello ripercorrono
quasi pedissequamente le tematiche interpretative svolte
nella precedente deliberazione della Sezione n. 97/2013/PAR.
L’art. 6, comma 4, del D.L. 18.10.2012, n. 179, convertito
nella legge 17.12.2012, n. 221 ha disposto che le norme
di cui all’art. 6, comma 3, si applicano a partire dal primo
gennaio 2013. Fra le disposizioni ivi richiamate è
ricompresa la norma oggetto del presente parere, a tenore
della quale, il legislatore, innovando la disciplina sulla
forma dei contratti stipulati dalla pubblica amministrazione
nell’ambito del codice degli appalti, ha modificato l’art.
11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, prescrivendo
che: “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto
pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità
elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura
dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o
mediante scrittura privata”.
Si pone a confronto la previgente edizione della norma, che
testualmente recitava: ”il contratto è stipulato mediante
atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica
amministrativa a cura dell’ufficiale rogante
dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante
scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le
norme vigenti per ciascuna stazione appaltante”.
Preliminarmente, si osserva che la disciplina generale sulla
forma dei contratti pubblici è contenuta nella legge di
contabilità generale dello Stato (art. 16, 17 e 18 del R.D.
18.11.1923, n. 2440) tuttora vigente.
La legge di contabilità dello Stato prescrive il requisito
della forma scritta ad substantiam per tutti i contratti
stipulati dalla pubblica amministrazione, anche quando essa
agisca iure privatorum; forma scritta declinata mediante i
canoni della forma pubblica amministrativa (art. 16 R.D. 18.11.1923, n.2440), salve le ipotesi derogatorie
tipizzate descritte all’art. 17 del R.D. citato, in cui è
consentita l’adozione della scrittura privata e la
conclusione a distanza a mezzo di corrispondenza.
Il rapporto fra le due disposizioni è regolato dal principio
di specialità, atteso che la disposizione in tema di
contabilità di Stato è applicabile ad ogni tipo contrattuale
stipulato dalla Pubblica Amministrazione, mentre la
disciplina prevista dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 è applicabile solo alla materia regolata
dal Codice degli Appalti.
Sotto il profilo contenutistico si evidenzia, inoltre, che
il novero delle forme ad substantiam previste dal citato
art. 11, comma 13, ha una portata più ampia rispetto alla
citata legge di contabilità, poiché promuove l’adozione di
innovative forme di documentazione dell’attività
contrattuale in cui è parte la Pubblica Amministrazione.
Tradizionalmente si osserva che la forma scritta ad substantiam garantisce la certezza nei rapporti giuridici a
contenuto patrimoniale in cui è parte la Pubblica
Amministrazione e si pone quale regime speciale sia rispetto
al principio di libertà della forma previsto nel codice
civile, salve le ipotesi espressamente previste di atti che
devono essere redatti per atto pubblico o per scrittura
privata sotto pena di nullità (art. 1350 c.c.), sia rispetto
al principio generale di libertà della forma dell’atto
amministrativo.
La recente riformulazione dell’art. 11, comma 13, del Codice
degli Appalti sancisce la nullità testuale per carenza delle
forme alternative ad substantiam. Accanto alla forma
scritta, tipica della forma pubblica amministrativa e della
scrittura privata, la legge prescrive la forma digitale per
l’atto pubblico notarile (informatico), nonché la modalità
elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante.
In sintesi, la difformità testuale rispetto alla precedente
formula legislativa si compendia nella:
1) previsione della nullità testuale per difetto delle forme
ad substantiam indicate dalla norma;
2) superamento della tassatività della forma scritta
cartacea, mediante la previsione di forme alternative ad substantiam;
3) attribuzione dell’aggettivo “informatico” all’atto
pubblico notarile;
4) dequotazione della forma elettronica a “modalità
elettronica” secondo le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante.
Per quel che concerne il rapporto fra le varie forme
ammissibili di contratto concluso dalla pubblica
amministrazione, rientrante nella disciplina del Codice
degli Appalti, la legge pone sul medesimo piano giuridico,
in condizione di alternatività, le singole espressioni di
forma ad substantiam.
La disposizione ha inteso adeguare alle moderne tecnologie
l’utilizzo delle forme contrattuali in cui è trasfusa la
volontà della pubblica amministrazione, aggiungendo, ma non
sostituendo alle tradizionali forme scritte cartacee la
forma pubblica elettronica e/o digitale, con l’avvertenza
che qualora le norme vigenti per la singola stazione
appaltante (regolamentari o di legge) prevedessero
l’adozione della sola modalità elettronica, l’utilizzo di
altra metodologia di documentazione, ancorché scritta o
cartacea, in violazione delle norme speciali, sarebbe
affetta da nullità assoluta.
In particolare, per quanto di presumibile interesse in capo
all’amministrazione interpellante, si osserva che la
modalità elettronica non limita né impedisce il ricorso alla
forma pubblica amministrativa confezionata secondo
l’adozione del modo tradizionale di perfezionamento degli
atti, ovvero il documento cartaceo redatto con le
prescrizioni imposte dalla legge a cura dell’Ufficiale
rogante: in primo luogo, poiché il riferimento testuale
chiarisce il rinvio alle classiche funzioni notarili del
pubblico ufficiale alla luce dei principi di pubblica fede
contenuti nell’art. 2699 c.c. e nella legge 16.02.1913, n.
89 (funzioni accertative e certificative parametrate al
documento scritto in forma cartacea); in secondo luogo,
perché le singole prescrizioni circa la forma adottabile
sono poste sul medesimo piano, mediante segni
d’interpunzione testuale (virgola) e separate con la
congiunzione “o”; in terzo luogo, per la già menzionata
modifica legislativa che ha mutato il testo dell’art. 11,
comma 13, del Codice degli Appalti da “forma elettronica” a
“modalità elettronica”; infine, poiché la disposizione si
limita a richiamare la modalità elettronica tipizzata dalle
norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, rinviando
tendenzialmente a tutte le normative settoriali che
prescrivono il ricorso al mercato elettronico (e-procurement)
per l’acquisizione di beni o servizi da parte delle
pubbliche amministrazioni.
Ciò posto, al fine di rispondere ai singoli quesiti
prospettati dall’amministrazione, alla luce del dato
testuale, la Sezione si ritiene che:
a) la disciplina prevista dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163 è speciale rispetto alla disciplina che
regola la forma degli atti contenuta nella legge di
contabilità pubblica.
b) la comminatoria di nullità prevista dalla norma è
riferita a tutte le forme ad substantiam di
stipulazione previste dalla citata disposizione;
c) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata
(scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter
absentes), in caso di trattativa privata, conservano
piena validità le forme di stipulazione, previste dall'art.
17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è
prevista anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163);
d) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve
avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista
quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o
di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo
ancora validamente stipulabile il contratto in forma
pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
e) l’adozione del rogito notarile condurrà invece
all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile,
alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione
normativa.
Infine, la locuzione “…le norme vigenti
per ciascuna stazione appaltante …" riferita alla
modalità elettronica della stipulazione dei contratti è da
intendersi non come potere della singola stazione appaltante
di autodeterminazione, ma come rinvio ad una normativa
tecnica, di rango legislativo o regolamentare, di fonte
statale (artt. 117, comma 2, lett. l, Cost.), che detti i
precetti in modo uniforme sulla compilazione, sottoscrizione
e conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti
stipulati in modalità elettronica
(Corte dei Conti,
Sez. controllo Lombardia,
parere
28.03.2013 n. 121). |
LAVORI PUBBLICI: L’art.
2, co. 1, dell’O.P.C.M. 3862/2010 precisa inoltre che, per
l’attuazione degli interventi previsti, “ove non sia
possibile l’utilizzazione delle strutture pubbliche”, è
consentito affidare la progettazione anche a liberi
professionisti esterni avvalendosi, “ove necessario”, delle
deroghe previste dall’art. 3 dell’O.P.C.M. 3741/2009.
Alla luce del descritto quadro normativo, nell’intera
procedura in esame (e quindi non solo con riferimento ad un
eventuale incarico esterno di progettazione), è necessario
pertanto non solo ottemperare al generale obbligo di
motivazione degli atti ma anche fornire una “specifica
motivazione” per potersi avvalere delle deroghe previste
appositamente per lo stato di emergenza.
La possibilità di avvalersi delle deroghe previste è inoltre
sottoposta a vari limiti e condizioni. In assenza di una
specifica motivazione e in assenza delle condizioni
stabilite, per gli interventi previsti dall’O.P.C.M. n.
3862/2010, non può che trovare spazio l’applicazione della
normativa ordinaria.
Quindi, al generale obbligo, a pena di illegittimità, di
enunciare l’iter logico-giuridico seguito dalla
Amministrazione nella emanazione dell’atto, si affianca la
necessità di fornire puntuali indicazioni in ordine alle
ragioni che inducono la stessa Amministrazione procedente ad
avvalersi delle deroghe previste dalla normativa di
emergenza.
Anche con riferimento alla “specifica motivazione” richiesta
per la deroga alla normativa ordinaria, l’Amministrazione è
tenuta a procedere ad un adeguato bilanciamento dei vari
interessi coinvolti di cui dovrà essere fornito puntuale
riscontro nell’atto.
---------------
Ai sensi della vigente normativa, il
progetto definitivo e il progetto esecutivo di un’opera
pubblica vengono redatti e approvati sulla base di un
progetto preliminare.
Il legislatore assegna alla progettazione
un ruolo centrale per l’esecuzione di un’opera pubblica.
L’art. 93 del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che la
progettazione dei lavori pubblici si articola, secondo tre
livelli di successivi approfondimenti tecnici, in
preliminare, definitiva ed esecutiva, all’espresso fine di
assicurare la qualità dell’opera e la rispondenza alle
finalità relative, la conformità alle norme ambientali ed
urbanistiche e il soddisfacimento dei requisiti essenziali
definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario.
Una Amministrazione può procedere motivatamente alla
adozione unitaria del progetto definitivo e del progetto
esecutivo solo quando l’intervento concerne un’opera di
relative dimensioni o di modesta complessità tecnica. La
scelta del RUP di unificare più livelli progettuali deve
essere sempre sorretta da una adeguata motivazione. Inoltre, ogni fase della
attività di progettazione presuppone che sia esaurita la
precedente in un contesto logico e temporale
progressivamente ben cadenzato.
---------------
1. L’art. 1, co. 11, dell’O.P.C.M. n. 3862/2010 prevede che,
per gli interventi previsti dalla stessa ordinanza, il
Commissario delegato e i soggetti attuatori si avvalgono
delle deroghe previste dall’art. 3 dell’O.P.C.M. n.
3741/2009 (riguardante lo stato di emergenza dichiarato con
D.P.C.M. del 30.01.2009 in relazione agli eccezionali eventi
avversi che hanno colpito il territorio della regione
Calabria nel gennaio 2009).
L’art. 3 citato prevede, “ove ritenuto indispensabile e
sulla base di specifica motivazione”, l’autorizzazione a
derogare, “nel rispetto dei principi generali
dell’ordinamento giuridico” e “dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario”, numerosi articoli di
legge, ivi compresi quelli previsti dal Codice dei contratti
pubblici (articoli 90 e seguenti del D.Lgs. 163/2006) in
materia di progettazione interna ed esterna, procedure di
affidamento, corrispettivi ed incentivi per la progettazione
e livelli della progettazione.
L’art. 2, co. 1, dell’O.P.C.M. 3862/2010
precisa inoltre che, per l’attuazione degli interventi
previsti, “ove non sia possibile l’utilizzazione delle
strutture pubbliche”, è consentito affidare la
progettazione anche a liberi professionisti esterni
avvalendosi, “ove necessario”, delle deroghe previste
dall’art. 3 dell’O.P.C.M. 3741/2009.
Alla luce del descritto quadro normativo, nell’intera
procedura in esame (e quindi non solo con riferimento ad un
eventuale incarico esterno di progettazione), è necessario
pertanto non solo ottemperare al generale obbligo di
motivazione degli atti ma anche fornire una “specifica
motivazione” per potersi avvalere delle deroghe previste
appositamente per lo stato di emergenza.
La possibilità di avvalersi delle deroghe previste è inoltre
sottoposta a vari limiti e condizioni. In assenza di una
specifica motivazione e in assenza delle condizioni
stabilite, per gli interventi previsti dall’O.P.C.M. n.
3862/2010, non può che trovare spazio l’applicazione della
normativa ordinaria.
Quindi, al generale obbligo, a pena di illegittimità, di
enunciare l’iter logico-giuridico seguito dalla
Amministrazione nella emanazione dell’atto, si affianca la
necessità di fornire puntuali indicazioni in ordine alle
ragioni che inducono la stessa Amministrazione procedente ad
avvalersi delle deroghe previste dalla normativa di
emergenza.
Anche con riferimento alla “specifica motivazione”
richiesta per la deroga alla normativa ordinaria,
l’Amministrazione è tenuta a procedere ad un adeguato
bilanciamento dei vari interessi coinvolti di cui dovrà
essere fornito puntuale riscontro nell’atto.
* * * * *
3. Con l’ordinanza in esame, il Commissario delegato
provvede alla approvazione di un unico progetto “definitivo-esecutivo”.
Tale progetto definitivo-esecutivo risulta già approvato dal
Comune di Catanzaro (Soggetto attuatore) con deliberazione
del Commissario straordinario n. 46 del 28.12.2012.
In tale deliberazione comunale la fusione della
progettazione definitiva con la progettazione esecutiva
viene motivata con “il ritardo accumulato” e “la
necessità di eseguire i lavori previsti nel progetto
medesimo che risultano essere urgenti ed indifferibili”.
Non vengono però fornite motivazioni (né nella ordinanza in
esame, né nella deliberazione comunale indicata) in ordine
alle responsabilità per il cospicuo ritardo accumulato,
responsabilità particolarmente gravi tenendo conto che si
tratta (come in varie occasioni attestato sia dal soggetto
attuatore che dal Commissario delegato) di lavori “urgenti
ed indifferibili” e che, al momento della approvazione
della progettazione con la deliberazione comunale indicata
(n. 46/2012), sono trascorsi quasi tre anni dagli eventi
atmosferici che hanno originato lo stato di emergenza alla
base dei lavori stessi.
Ai sensi della vigente normativa, il
progetto definitivo e il progetto esecutivo di un’opera
pubblica vengono redatti e approvati sulla base di un
progetto preliminare.
Il progetto preliminare dell’opera, approvato dal Comune di
Catanzaro con delibera del Commissario straordinario n. 89
dell'08.03.2012 (atto non trasmesso), non risulta mai
approvato dal Commissario delegato e non risulta mai
sottoposto al controllo preventivo di legittimità di questa
Sezione regionale di controllo ai sensi della legge 10/2011.
In sostanza quindi, il progetto definitivo-esecutivo de
quo risulta approvato dal Commissario delegato senza
aver previamente approvato il relativo progetto preliminare
e comunque sulla base di un progetto preliminare inefficace.
Il progetto definitivo-esecutivo approvato con l’ordinanza
in esame inoltre non risulta trasmesso a questa Sezione. Non
risultano infine acquisiti o comunque considerati nella
motivazione dell’atto in esame i pareri richiesti a Regione
Calabria, Provincia di Catanzaro e Autorità di Bacino per
quanto di rispettiva competenza.
Il legislatore assegna alla progettazione
un ruolo centrale per l’esecuzione di un’opera pubblica.
L’art. 93 del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che la
progettazione dei lavori pubblici si articola, secondo tre
livelli di successivi approfondimenti tecnici, in
preliminare, definitiva ed esecutiva, all’espresso fine di
assicurare la qualità dell’opera e la rispondenza alle
finalità relative, la conformità alle norme ambientali ed
urbanistiche e il soddisfacimento dei requisiti essenziali
definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario.
Secondo un costante orientamento interpretativo (ex
plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, 10.09.2011, n.
5502; A.V.C.P., deliberazione n. 109 del 05.04.2007),
una Amministrazione può procedere motivatamente alla
adozione unitaria del progetto definitivo e del progetto
esecutivo solo quando l’intervento concerne un’opera di
relative dimensioni o di modesta complessità tecnica. La
scelta del RUP di unificare più livelli progettuali deve
essere sempre sorretta da una adeguata motivazione
(ex plurimis, A.V.C.P., deliberazione n. 62 del
22.06.2011). Inoltre, ogni fase della
attività di progettazione presuppone che sia esaurita la
precedente in un contesto logico e temporale
progressivamente ben cadenzato
(A.V.C.P., deliberazione n. 30 del 08.04.2009).
Come già riferito precedentemente, l’art. 1, co. 11, dell’O.P.C.M.
n. 3862/2010 prevede che, per gli interventi previsti dalla
stessa ordinanza, il Commissario delegato e i soggetti
attuatori si avvalgono delle deroghe previste dall’art. 3
dell’O.P.C.M. n. 3741/2009. L’art. 3 citato prevede, “ove
ritenuto indispensabile e sulla base di specifica
motivazione”, l’autorizzazione a derogare, “nel
rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico”
e “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”,
numerosi articoli di legge, ivi compresi quelli previsti dal
Codice dei contratti pubblici (articoli 90 e seguenti del
D.Lgs. 163/2006) in materia di progettazione interna ed
esterna, procedure di affidamento, corrispettivi ed
incentivi per la progettazione e livelli della
progettazione. Tra gli articoli oggetto di deroga alle
condizioni indicate vi è anche il citato art. 93 riguardante
i livelli di progettazione.
Considerate le esplicite finalità perseguite dal legislatore
nel prevedere tre livelli successivi di progettazione (art.
93 del D.Lgs. 163/2006), le motivazioni addotte dal Soggetto
attuatore nella approvazione del progetto in argomento,
l’assenza di “specifiche” motivazioni nell’atto di
approvazione del progetto unitario del Commissario delegato
e le citate condizioni previste dall’art. 3 dell’O.P.C.M.
3741/2009 per poter derogare alla ordinaria normativa,
l’approvazione di un unico progetto definitivo-esecutivo non
risulta conforme al vigente ordinamento.
Le motivazioni addotte dal Soggetto attuatore, evidentemente
condivise anche dal Commissario delegato che ha proceduto
alla menzionata approvazione congiunta, risultano basate
praticamente sulla volontà di recuperare il tempo
inutilmente e ingiustificatamente trascorso e quindi sulla
volontà di sanare in qualche modo i gravi ritardi che, a
prescindere dal contenuto e dai termini previsti dalla
convenzione con i progettisti esterni (non trasmessa), si
sono verificati nell’espletamento della procedura in
argomento.
Manca qualsiasi motivazione di carattere tecnico volta ad
avallare l’operato della Amministrazione procedente,
motivazione questa particolarmente necessaria perché
trattasi di progettazione non solo asseritamente complessa
ed articolata ma riguardante un’opera pubblica,
intrinsecamente di delicata progettazione ed esecuzione in
quanto relativa ad uno stato di emergenza e funzionale alla
tutela della incolumità pubblica. Nessuna motivazione
inoltre è stata formulata per giustificare i gravissimi
ritardi nell’espletamento della procedura in itinere la cui
gravità è accentuata dal fatto che trattasi di opere
finalizzate alla mitigazione e alla riduzione del rischio di
frane e aventi, come più volte asserito sia dal Commissario
delegato che dal Soggetto attuatore, le caratteristiche
della urgenza, della necessità e della indifferibilità.
Quindi, a parte la chiara volontà di recuperare il tempo
inutilmente perso, non è stata adeguatamente motivata la
decisione del Commissario delegato di procedere alla
approvazione congiunta del progetto definitivo ed esecutivo.
Risulta necessario evidenziare nuovamente che,
nel caso specifico, l’approvazione della
progettazione secondo successivi livelli di approfondimento
tecnico (o, in alternativa, una sufficiente dimostrazione
delle ragioni che hanno indotto alla approvazione unitaria)
risultava ancora più necessaria in considerazione del fatto
che, come dichiarato dallo stesso soggetto attuatore per
giustificare l’incarico di progettazione a liberi
professionisti esterni
(determinazione del Comune di Catanzaro n. 7046 del
22.12.2010), “la progettazione degli
interventi di che trattasi è complessa ed articolata”.
Tenendo conto dell’asserito carattere
complesso ed articolato della progettazione (e della
rilevanza dell’opera relativa sotto il profilo della
pubblica incolumità), non risultano inoltre adeguatamente
comparate le contrapposte esigenze di accelerare la
procedura in corso (essenzialmente a causa del ritardo
accumulato) e di garantire le varie e rilevanti finalità
espressamente previste dal legislatore (es. art. 93 del
D.Lgs. 163/2006) nel richiedere tre distinti e successivi
livelli progettuali. Anzi, la descritta particolare
delicatezza dell’opera esige una motivazione ancora più
accurata di quella normalmente richiesta, motivazione che
non può, a maggior ragione in casi come quello in esame,
limitarsi ad invocare esigenze di celerità o ridursi all’uso
di semplici clausole di stile.
Nel caso specifico non può inoltre essere invocata neanche
la deroga prevista dall’art. 3 dell’O.P.C.M. 3741/2009
mancando, come riportato, una “specifica”
motivazione.
A prescindere dalla sufficienza delle motivazioni addotte
dalla Amministrazione controllata per giustificare
l’approvazione congiunta del progetto definitivo ed
esecutivo, l’atto in esame risulta inficiato altresì da due
ulteriori elementi.
L’art. 2, co. 2, dell’O.P.C.M. 3862/2010 stabilisce che il
Commissario delegato procede “alla approvazione dei
progetti”. Il Commissario delegato, con l’ordinanza in
esame, ha proceduto alla approvazione del
progetto definitivo-esecutivo in argomento senza aver
proceduto alla previa approvazione del progetto preliminare.
Nessun atto di approvazione del progetto preliminare è stato
inoltre sottoposto al prescritto controllo preventivo di cui
alla legge 10/2011 di questa Sezione.
Nessuna motivazione è stata fornita in merito alla mancata
approvazione del progetto preliminare da parte del
Commissario delegato: anche le asserite esigenze di urgenza
ed indifferibilità e di recupero del ritardo accumulato sono
state indicate con riferimento alla approvazione congiunta
del progetto definitivo ed esecutivo e non con riferimento
alla mancata approvazione del progetto preliminare di cui si
ignora persino l’avvenuta acquisizione da parte del
Commissario delegato a seguito della relativa approvazione
da parte del Soggetto attuatore con deliberazione n. 89/2012
(peraltro non trasmessa a questa Sezione).
L’ordinanza in esame risulta inoltre illegittima per carenza
motivazionale. Non risultano acquisiti o comunque
considerati nella motivazione dell’atto in esame (e nella
approvazione del progetto definitivo-esecutivo da parte del
Soggetto attuatore) i pareri richiesti, dopo l’approvazione
del progetto preliminare, dal Soggetto attuatore a Regione
Calabria, Provincia di Catanzaro e Autorità di Bacino, per
quanto di rispettiva competenza. Tali pareri, se esistenti,
comunque non risultano trasmessi a questa Sezione
(Corte dei Conti, Sez. controllo Calabria,
deliberazione 28.03.2013 n. 16). |
APPALTI:
Nelle gare pubbliche la
presentazione delle offerte va effettuata in scrupolosa
osservanza del bando e della lettera d'invito e la stazione
appaltante non può legittimamente disattendere le predette
prescrizioni, non avendo alcuna discrezionalità al riguardo.
Pertanto, qualora il bando commini espressamente
l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate
violazioni, la stazione appaltante è tenuta a dare precisa
ed incondizionata esecuzione a tale previsione, senza alcuna
possibilità di valutare la rilevanza dell'inadempimento,
l'incidenza di questo sulla regolarità della procedura
selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella
lex specialis, alla cui osservanza l'Amministrazione si è
autovincolata al momento dell'adozione del bando.
--------------
L’impresa che non ha partecipato o è stata legittimamente
esclusa dalla procedura di gara non ha la legittimazione ad
impugnare il successivo provvedimento di aggiudicazione.
Infatti, anche l'eventuale interesse pratico alla
rinnovazione della gara non dimostra la titolarità di una
posizione giuridica fondante la legittimazione al ricorso,
poiché tale aspettativa non si distingue da quella che
potrebbe vantare qualsiasi operatore del settore, che aspiri
a partecipare ad una futura selezione; la capacità di questo
dato empirico di influire significativamente sulla
legittimazione al ricorso risulta ulteriormente circoscritta
quando l'interesse in questione non si collega in modo
immediato ed evidente con un determinato bene della vita (la
concreta probabilità di ottenere l'appalto), ma si atteggia
come mera prospettiva della ripetizione del procedimento.
Come ha chiarito la giurisprudenza amministrativa, infatti, nelle gare
pubbliche la presentazione delle offerte va effettuata in
scrupolosa osservanza del bando e della lettera d'invito e
la stazione appaltante non può legittimamente disattendere
le predette prescrizioni, non avendo alcuna discrezionalità
al riguardo; pertanto, qualora il bando commini
espressamente l'esclusione obbligatoria in conseguenza di
determinate violazioni, la stazione appaltante è tenuta a
dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione,
senza alcuna possibilità di valutare la rilevanza
dell'inadempimento, l'incidenza di questo sulla regolarità
della procedura selettiva e la congruità della sanzione
contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza
l'Amministrazione si è autovincolata al momento
dell'adozione del bando (cfr., ex multis, Consiglio di
Stato, sez. V, 14.12.2011, n. 6546).
---------------
Come è noto,
infatti, il Consiglio di Stato, Ad. Plen., 07.04.2011, n.
4 ha specificato che l’impresa che non ha partecipato o è
stata legittimamente esclusa dalla procedura di gara non ha
la legittimazione ad impugnare il successivo provvedimento
di aggiudicazione.
Infatti, anche l'eventuale interesse pratico alla
rinnovazione della gara non dimostra la titolarità di una
posizione giuridica fondante la legittimazione al ricorso,
poiché tale aspettativa non si distingue da quella che
potrebbe vantare qualsiasi operatore del settore, che aspiri
a partecipare ad una futura selezione; la capacità di questo
dato empirico di influire significativamente sulla
legittimazione al ricorso risulta ulteriormente circoscritta
quando l'interesse in questione non si collega in modo
immediato ed evidente con un determinato bene della vita (la
concreta probabilità di ottenere l'appalto), ma si atteggia
come mera prospettiva della ripetizione del procedimento
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.03.2013 n. 1824 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Qualora il bando commini espressamente
l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate
violazioni, la stazione appaltante è tenuta a dare precisa
ed incondizionata esecuzione a tale previsione.
Nelle gare pubbliche la presentazione delle offerte va
effettuata in scrupolosa osservanza del bando e della
lettera d'invito e la stazione appaltante non può
legittimamente disattendere le predette prescrizioni, non
avendo alcuna discrezionalità al riguardo; pertanto, qualora
il bando commini espressamente l'esclusione obbligatoria in
conseguenza di determinate violazioni, la stazione
appaltante è tenuta a dare precisa ed incondizionata
esecuzione a tale previsione, senza alcuna possibilità di
valutare la rilevanza dell'inadempimento, l'incidenza di
questo sulla regolarità della procedura selettiva e la
congruità della sanzione contemplata nella lex specialis,
alla cui osservanza l'Amministrazione si è autovincolata al
momento dell'adozione del bando.
Pertanto, nel caso di specie, a fronte della chiara
formulazione della prescrizione di gara, l'omissione delle
dichiarazioni tassativamente previste comportava, per il
concorrente privo dei requisiti di partecipazione richiesti,
l'esito inevitabile dell'esclusione dalla gara (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 27.03.2013 n. 1824 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Circa la sussistenza di
un obbligo giuridico di verbalizzazione delle modalità di
conservazione e di custodia delle buste contenenti le
offerte, ha visto la giurisprudenza amministrativa
apparentemente dividersi su due differenti orientamenti.
Secondo un primo indirizzo, più rigoroso, seguito
dalla sentenza del TAR qui impugnata, l’omessa menzione nei
verbali di gara delle specifiche cautele adottate a tutela
dell’integrità e della conservazione delle buste contenenti
le offerte determina, di per sé, l’illegittimità delle
operazioni di gara, a prescindere dalla mancata
dimostrazione dell’effettiva manomissione delle buste e del
loro contenuto.
In base ad un secondo indirizzo, più attento agli
effetti sostanziali di tale omessa verbalizzazione, tale
omissione non costituisce di per sé motivo dì illegittimità
dell’attività svolta dalla Commissione a meno che non
vengano addotti elementi concreti e specifici tali da far
ritenere probabile o quanto meno possibile la sostituzione
delle buste, la manomissione delle offerte o altro fatto
rilevante ai fini della regolarità della procedura.
Come ha, tuttavia, ben messo in luce la parte appellante,
tale contrasto giurisprudenziale risulta apprezzabile
soltanto sul piano della mera ricognizione dei principi
risultanti dalle massime delle relative pronunce, poiché ad
un esame approfondito, che tenga conto della situazione di
fatto concreta e peculiare che ha caratterizzato le diverse
controversie oggetto di sindacato giudiziale, per tale
specifico aspetto risulta evidente che nella assoluta
prevalenza delle statuizioni giudiziarie la fattispecie
concreta presentava comunque degli aspetti peculiari tali da
poter destare un ragionevole sospetto circa un’avvenuta
manomissione dei documenti di gara o, comunque, il rischio
concreto che tale manomissione potesse avvenire.
In altre parole, soltanto nella considerazione, molto spesso
non esplicitata nell’ambito della massima delle relative
pronunce, dell’esistenza di eventi anomali o anormali
rispetto alla regolarità della procedura che rendano
particolarmente avvertite le esigenze di integrità e
segretezza delle offerte, la giurisprudenza più rigorista e
formalista ha richiesto in astratto e senza bisogno di
dimostrazioni specifiche, la sussistenza di una
verbalizzazione puntuale circa l’adozione delle cautele
impiegate dall’Amministrazione o dalla commissione per la
custodia dei plichi.
Come ha, infatti, chiarito recentemente questo Consiglio, la
pubblica amministrazione (P.A.) nelle gare di appalto ha la
piena disponibilità e l’integrale responsabilità della
conservazione degli atti di gara, cui in corso del
procedimento l’interessato non può subito accedere, giusto
quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, D.lgs. n. 163/2006,
spettando alla P.A. stessa, ma solo a fronte di una seria e
non emulativa allegazione presuntiva dell’interessato circa
l’effetto di non genuinità degli atti stessi e fermo il
diritto d’accesso, di dare idonea contezza dell’efficacia
dei metodi di custodia in concreto adoperati, a tal fine
dimostrandola non solo con il verbale (che di per sé ha fede
privilegiata), ma pure con ogni idoneo mezzo di prova.
Le anomalie che, pertanto, devono essere quantomeno allegate
per dimostrare l’interesse non emulativo alla custodia dei
plichi possono riassumersi (quasi tipizzarsi):
nell’eccessiva durata delle operazioni di gara; ovvero
nell’inversione dell’ordine di valutazione tra offerta
tecnica ed economica; ovvero nella sottrazione di un
documento di gara ad opera di ignoti o per la presenza di
circostanziati elementi indiziari e sintomatici di una
possibile manomissione dei documenti di gara.
Pertanto, in presenza del generale obbligo di custodia dei
documenti di una gara pubblica da parte della stazione
appaltante, è da presumere che lo stesso sia stato assolto
con l’adozione delle ordinarie.
Rileva il Collegio che la questione centrale
proposta nell’atto d’appello, ovvero la sussistenza di un
obbligo giuridico di verbalizzazione delle modalità di
conservazione e di custodia delle buste contenenti le
offerte, ha visto la giurisprudenza amministrativa
apparentemente dividersi su due differenti orientamenti.
Secondo un primo indirizzo, più rigoroso, seguito dalla
sentenza del TAR qui impugnata, l’omessa menzione nei
verbali di gara delle specifiche cautele adottate a tutela
dell’integrità e della conservazione delle buste contenenti
le offerte determina, di per sé, l’illegittimità delle
operazioni di gara, a prescindere dalla mancata
dimostrazione dell’effettiva manomissione delle buste e del
loro contenuto (cfr., ad es., Consiglio di Stato, Sez. V, 28.03.2012, n. 1862).
In base ad un secondo indirizzo, più attento agli effetti
sostanziali di tale omessa verbalizzazione, tale omissione
non costituisce di per sé motivo dì illegittimità
dell’attività svolta dalla Commissione a meno che non
vengano addotti elementi concreti e specifici tali da far
ritenere probabile o quanto meno possibile la sostituzione
delle buste, la manomissione delle offerte o altro fatto
rilevante ai fini della regolarità della procedura (cfr.,
Consiglio di Stato, Sez. V, 18.10.2011, n. 5579 e, più
di recente, Consiglio di Stato, Sez. III, 14.01.2013,
n. 145).
Come ha, tuttavia, ben messo in luce la parte appellante,
tale contrasto giurisprudenziale risulta apprezzabile
soltanto sul piano della mera ricognizione dei principi
risultanti dalle massime delle relative pronunce, poiché ad
un esame approfondito, che tenga conto della situazione di
fatto concreta e peculiare che ha caratterizzato le diverse
controversie oggetto di sindacato giudiziale, per tale
specifico aspetto risulta evidente che nella assoluta
prevalenza delle statuizioni giudiziarie la fattispecie
concreta presentava comunque degli aspetti peculiari tali da
poter destare un ragionevole sospetto circa un’avvenuta
manomissione dei documenti di gara o, comunque, il rischio
concreto che tale manomissione potesse avvenire.
In altre parole, soltanto nella considerazione, molto spesso
non esplicitata nell’ambito della massima delle relative
pronunce, dell’esistenza di eventi anomali o anormali
rispetto alla regolarità della procedura che rendano
particolarmente avvertite le esigenze di integrità e
segretezza delle offerte, la giurisprudenza più rigorista e
formalista ha richiesto in astratto e senza bisogno di
dimostrazioni specifiche, la sussistenza di una
verbalizzazione puntuale circa l’adozione delle cautele
impiegate dall’Amministrazione o dalla commissione per la
custodia dei plichi.
Come ha, infatti, chiarito recentemente questo Consiglio
(Consiglio di Stato, Sez. III, 05.02.2013, n. 688), la
pubblica amministrazione (P.A.) nelle gare di appalto ha la
piena disponibilità e l’integrale responsabilità della
conservazione degli atti di gara, cui in corso del
procedimento l’interessato non può subito accedere, giusto
quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, D.lgs. n. 163/2006,
spettando alla P.A. stessa, ma solo a fronte di una seria e
non emulativa allegazione presuntiva dell’interessato circa
l’effetto di non genuinità degli atti stessi e fermo il
diritto d’accesso, di dare idonea contezza dell’efficacia
dei metodi di custodia in concreto adoperati, a tal fine
dimostrandola non solo con il verbale (che di per sé ha fede
privilegiata), ma pure con ogni idoneo mezzo di prova.
Le anomalie che, pertanto, devono essere quantomeno allegate
per dimostrare l’interesse non emulativo alla custodia dei
plichi possono riassumersi (quasi tipizzarsi):
nell’eccessiva durata delle operazioni di gara (è proprio il
caso che la sentenza di questo Consiglio, Sez. V, n.
1617/2011, invocata dal TAR a sostegno della decisione qui
impugnata, ha affrontato in relazione ad un’attività
valutativa che, nel suo complesso, si è protratta per oltre
17 mesi); ovvero nell’inversione dell’ordine di valutazione
tra offerta tecnica ed economica (Consiglio di Stato, Sez.
V, n. 1862/2012); ovvero nella sottrazione di un documento
di gara ad opera di ignoti o per la presenza di
circostanziati elementi indiziari e sintomatici di una
possibile manomissione dei documenti di gara (Consiglio di
Stato, Sez. VI, n. 4487/2011).
Pertanto, in presenza del generale obbligo di custodia dei
documenti di una gara pubblica da parte della stazione
appaltante, è da presumere che lo stesso sia stato assolto
con l’adozione delle ordinarie garanzie di conservazione
degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità
ed integrità dei relativi plichi.
In tal caso, la generica doglianza, secondo cui le buste
contenenti le offerte non sarebbero state adeguatamente
custodite, è irrilevante allorché non sia stato addotto
alcun elemento concreto, quali in generale anomalie
nell’andamento della gara ovvero specifiche circostanze atte
a far ritenere che si possa essere verificata la sottrazione
o la sostituzione dei medesimi plichi, la manomissione delle
offerte o un altro fatto rilevante al fini della regolarità
della procedura
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.03.2013 n. 1815 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'obbligo di custodia dei documenti di una
gara pubblica da parte della stazione appaltante.
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Sulla funzione del giudizio di anomalia dell'offerta.
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In presenza del generale obbligo di custodia dei documenti
di una gara pubblica da parte della stazione appaltante, è
da presumere che lo stesso sia stato assolto con l'adozione
delle ordinarie garanzie di conservazione degli atti
amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità
dei relativi plichi.
In tal caso, la generica doglianza, secondo cui le buste
contenenti le offerte non sarebbero state adeguatamente
custodite, è irrilevante allorché non sia stato addotto
alcun elemento concreto, quali in generale anomalie
nell'andamento della gara ovvero specifiche circostanze atte
a far ritenere che si possa essere verificata la sottrazione
o la sostituzione dei medesimi plichi, la manomissione delle
offerte o un altro fatto rilevante al fini della regolarità
della procedura.
---------------
I singoli prezzi sottoposti a verifica di anomalia non
devono essere considerati isolatamente ma alla luce della
loro incidenza sull'offerta globale; infatti, la funzione
del giudizio di anomalia dell'offerta è quella di garantire
un equilibrio tra la convenienza della P.A. ad affidare
l'appalto al prezzo più basso e l'esigenza di evitarne
l'esecuzione con un ribasso che si attesti al di là del
ragionevole limite dettato dalle leggi di mercato, giacché
il sub-procedimento di verifica dell'anomalia non tende a
selezionare l'offerta che è più conveniente per la stazione
appaltante; la ratio cui è preordinato l'indicato
meccanismo di controllo consiste, invece, nell'assicurare la
piena affidabilità della proposta contrattuale.
Di conseguenza un'offerta non può essere considerata anomala
solo perché determinate voci di prezzo si discostano da
quelle di mercato, ma occorre invece che gli scostamenti
rendano l'offerta nel suo complesso inaffidabile, e dunque
inidonea a garantire la serietà dell'esecuzione del
contratto.
Ciò implica la necessità di valutare l'incidenza di ciascuna
voce di cui si compone l'offerta sull'offerta globalmente
intesa al fine di valutare se il rispettivo carattere
anormalmente basso si traduca nell'inattendibilità e
mancanza di serietà dell'intera offerta o se i singoli
elementi di costo eventualmente affetti da anomalia possano
essere compensati da economie, ravvisabili negli altri
elementi e/o nella complessiva offerta, idonee a
controbilanciare le voci ritenute deficitarie (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 27.03.2013 n. 1815 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Riscossione.
La gara può imporre parametri ad hoc.
Sì ai requisiti aggiuntivi per le attività di supporto.
È possibile richiedere requisiti specifici per affidare le
attività di supporto alla riscossione dei tributi.
Lo ha
chiarito il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza
27.03.2013 n. 1761.
La
controversia riguardava la gara europea bandita dalla
regione Veneto per l'affidamento dei servizi amministrativi
a supporto della gestione della tassa automobilistica
(avvisi di pagamento, call center, rendicontazione e
archiviazione).
Tra le condizioni di accesso alla gara venivano richiesti, a
pena d'esclusione, i seguenti requisiti: 1) certificazione
di qualità; 2) apposito applicativo web; 3) svolgimento dei
servizi nel centro storico di Venezia; 4) fatturato di 15
milioni di euro nell'ultimo triennio. Requisiti ritenuti
troppo restrittivi dal Tar Veneto in quanto «sproporzionati
e illogici»; di qui l'annullamento del bando di gara nella
sua interezza.
La Regione Veneto però ha proposto ricorso al Consiglio di
Stato, che ha ribaltato l'esito del giudizio di primo grado
ritenendo invece legittime le prescrizioni.
Sulla certificazione di qualità, il contratto affida
all'appaltatore delicati compiti di partecipazione
all'esercizio dei poteri pubblicistici, quindi è senz'altro
ragionevole individuare una soglia minima di affidabilità
professionale.
È stata inoltre respinta la censura sulla sproporzionalità
della clausola del bando che prevede un apposito applicativo
web, non essendo dimostrata la sua inutilità. Sul luogo di
svolgimento dei servizi nel centro storico di Venezia, i
giudici evidenziano che le prestazioni devono essere fornite
alla Regione Veneto, per cui è ragionevole la pretesa ad
avere una prossimità fisica con l'appaltatore. Infine, in
merito alla prescrizione sul fatturato di 15 milioni di euro
nell'ultimo triennio, si tratta di un importo proporzionato
al valore del contratto, non inferiore a 24 milioni di euro
(senza considerare l'eventuale proroga e i servizi
complementari).
Viene così confermato l'orientamento favorevole
all'introduzione nei bandi di gara di requisiti più rigorosi
di quelli richiesti per legge (si vedano le decisioni n.
3809/2011 e n. 4889/2012 del Consiglio di Stato), indirizzo
ora esteso anche all'affidamento di attività di supporto
alla riscossione dei tributi.
Andrebbe tuttavia definito per via legislativa il perimetro
delle attività riservate, chiarendo se l'iscrizione all'albo
ministeriale sia necessaria anche per svolgere attività
complementari ed accessorie, questione spesso foriera di
contenzioso e sulla quale la giurisprudenza si mostra
piuttosto oscillante.
Peraltro il contrasto non riguarda
solo il Consiglio di Stato (decisioni 2792/2003 e 1878/2006)
ma anche la giurisprudenza più recente di primo grado, tra
cui il Tar Torino con le sentenze 1335-1336/2011 e
l'ordinanza 427/2012: quest'ultima afferma che per le
attività di supporto è necessaria l'iscrizione all'albo
nazionale
(articolo Il Sole 24 Ore del
22.04.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI: In
caso di società costituita da due soli soci, ciascuno
detentore del 50 per cento del capitale sociale, l'obbligo
della dichiarazione di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163 del
2006 grava su entrambi i soci, posto che ciascuno dei due
soci è in grado di esercitare un potere determinante sulle
scelte della società e che, di conseguenza, sarebbe elusivo
dello scopo della citata norma esentare dalle dichiarazioni
richieste l'uno dei due soci soltanto perché non titolare
della rappresentanza legale della stessa.
Scopo della norma è quello di assicurare che in capo a
soggetti suscettibili, in ragione della loro quota sociale,
di esercitare un determinante potere di direzione o comunque
di influenza sulle scelte strategiche e sulla gestione di
una società con scarso numero di soci, non pendano né i
procedimenti, né vi siano state condanne ovvero non
risultino le circostanze di cui alle lettere b), c) ed m-ter)
del citato art. 38.
E, come correttamente indicato dall'Autorità di Vigilanza
sui contratti pubblici nella determinazione n. 1 del 2012 e
nei pareri n. 58 e n. 70 del 2012, due soci al 50% già
“sono, ciascuno per suo conto, espressione di una
convergente potestà dominicale e direzionale della società”:
sicché ricadono nelle ragioni della previsione normativa;
ciò in quanto nella gestione della società ciascun socio
paritario, per quanto non sia di maggioranza assoluta, ha
comunque il potere di impedire l'approvazione di scelte che
non condivide, poiché l'altro socio non può imporle
autonomamente, con l'effetto di condizionare in modo
determinante la direzione della società sia in negativo,
impedendo scelte non concordate, che in positivo permettendo
soltanto quelle su cui consente.
Conferma se ne rinviene, per le società a responsabilità
limitata, dalla lettura dell'art. 2479-bis c.c., nel cui
terzo comma sono fissati i quorum costitutivi e deliberativi
dell'assemblea, in ogni caso non superiori alla "metà del
capitale sociale": ne consegue che il titolare di una tale
porzione del capitale sociale è già in grado di assumere
poteri strategici diretti e poteri di condizionamento
indiretto sulle scelte di gestione della società, e non
soltanto di carattere negativo.
Nel merito, giova premettere che –in tema di
dichiarazioni che le imprese devono rendere sui requisiti di
ordine generale, ai sensi dell’art. 38 del codice dei
contratti– il decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in
legge n. 106 del 2011, allo scopo di garantire un più
efficace sistema di controllo sull’idoneità morale degli
operatori economici, ha reso più severa la relativa
disciplina, prevedendo (per quello che qui rileva) che le
società di capitali aventi meno di quattro soci sono tenute
a dichiarare, in sede di domanda di partecipazione alle
gare, l’inesistenza di condanne o di misure di prevenzione
nei confronti del proprio “socio di maggioranza”.
Il
problema interpretativo che ne è derivato è se quest’ultima
espressione possa ricomprendere anche il caso di
partecipazione paritaria al capitale sociale, con
particolare riferimento alla società composta da due soli
soci entrambi al 50% del capitale.
Si sono registrate, sul
punto, interpretazioni giurisprudenziali non univoche,
talune nel senso che entrambi i soci al 50% vanno
considerati, ai fini della norma, come se fossero “di
maggioranza” (cfr., ad es., TAR Sicilia, Catania, sez. I, n.
2705 del 2011; Cons. Stato, sez. V, n. 4654 del 2012), altre
nel senso opposto (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, n.
1624 del 2012). Da ultimo, è tornata sulla questione la
sezione VI del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 513
del 2013 (di riforma della citata decisione del TAR
Campania, n. 1624 del 2012), con la quale è stato tracciato
un significativo (e del tutto condivisibile) arresto sul
tema che occupa.
Ivi il Giudice di appello è giunto alla
conclusione che, in caso di società costituita da due soli
soci, ciascuno detentore del 50 per cento del capitale
sociale, l'obbligo della dichiarazione di cui all'art. 38
del d.lgs. n. 163 del 2006 grava su entrambi i soci, posto
che ciascuno dei due soci è in grado di esercitare un potere
determinante sulle scelte della società e che, di
conseguenza, sarebbe elusivo dello scopo della citata norma
esentare dalle dichiarazioni richieste l'uno dei due soci
soltanto perché non titolare della rappresentanza legale
della stessa.
Scopo della norma –si è infatti argomentato–
è quello di assicurare che in capo a soggetti suscettibili,
in ragione della loro quota sociale, di esercitare un
determinante potere di direzione o comunque di influenza
sulle scelte strategiche e sulla gestione di una società con
scarso numero di soci, non pendano né i procedimenti, né vi
siano state condanne ovvero non risultino le circostanze di
cui alle lettere b), c) ed m-ter) del citato art. 38.
E,
come correttamente indicato dall'Autorità di Vigilanza sui
contratti pubblici nella determinazione n. 1 del 2012 e nei
pareri n. 58 e n. 70 del 2012, due soci al 50% già “sono,
ciascuno per suo conto, espressione di una convergente
potestà dominicale e direzionale della società”: sicché
ricadono nelle ragioni della previsione normativa; ciò in
quanto nella gestione della società ciascun socio paritario,
per quanto non sia di maggioranza assoluta, ha comunque il
potere di impedire l'approvazione di scelte che non
condivide, poiché l'altro socio non può imporle
autonomamente, con l'effetto di condizionare in modo
determinante la direzione della società sia in negativo,
impedendo scelte non concordate, che in positivo permettendo
soltanto quelle su cui consente.
Conferma se ne rinviene,
per le società a responsabilità limitata (come l’odierna controinteressata), dalla lettura dell'art. 2479-bis c.c.,
nel cui terzo comma sono fissati i quorum costitutivi e
deliberativi dell'assemblea, in ogni caso non superiori alla
"metà del capitale sociale": ne consegue che il titolare di
una tale porzione del capitale sociale è già in grado di
assumere poteri strategici diretti e poteri di
condizionamento indiretto sulle scelte di gestione della
società, e non soltanto di carattere negativo (così Cons.
Stato, sez. VI, n. 513 del 2013, cit.).
Con riferimento alla fattispecie in esame, quindi, la
società controinteressata (composta da due soli soci,
ciascuno al 50% del capitale sociale) avrebbe dovuto rendere
le dichiarazioni di cui all’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006
con riferimento ad entrambi i soci, in quanto entrambi da
considerarsi “di maggioranza” ai sensi (e secondo la
ratio)
della richiamata disposizione.
Le dichiarazioni sono invece
state rese con riferimento ad uno solo dei sue soci “di
maggioranza” (quello che ne assumeva anche la carica di
amministratore), con ciò perpetrandosi una violazione di
legge ridondante in illegittimità della successiva
ammissione/partecipazione alla gara, per effetto della
mancata esclusione della società.
Né ciò appare in contrasto
con la previsione della tipizzazione delle cause di
esclusione, introdotta dal medesimo decreto-legge n. 70 del
2011, convertito in legge n. 106 del 2011, in quanto (come
ulteriormente precisato dalla ricordata decisione n. 513 del
2013 del Consiglio di Stato) si tratta di una causa di
esclusione da ritenere essenziale ai fini della salvaguardia
sostanziale delle garanzie di affidabilità dei contraenti
stabilite dall'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 e, perciò,
ragione di esclusione conseguente al “mancato adempimento
alle prescrizioni previste dal presente codice” (art. 46,
comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006).
Il motivo di
doglianza sollevato dalla ricorrente è, pertanto, fondato,
con conseguente annullamento del provvedimento di ammissione
in gara della ditta “Dedalo Costruzioni” s.r.l.
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 27.03.2013 n. 399 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L’art. 1 del d.l. 95/2012 ha previsto la nullità, nonché la
rilevanza ai fini dell’illecito disciplinare e della
responsabilità ammin.va, dei contratti stipulati dalle PA in
violazione dell'art. 26, c. 3, della L. 23.12.1999, n.
488, o stipulati in violazione degli obblighi di
approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi
a disposizione dalla CONSIP. L’istituto trova disciplina
nell’art. 328 del d.p.r. 05.10.2010, n. 207 che abroga
il d.p.r. 04.04.2002, n. 101.
L’art. 328, c. 4, lett. b),
del Regolamento cod. app., prevede la possibilità di
acquistare beni e servizi sotto la “soglia comunitaria”
ricorrendo anche alle procedure di acquisto in economia, ex
artt. 125 e ss. D.lgs. 163/2006, entro limiti di prezzo e
quantità previsti da tali norme e nel rispetto degli autovincoli imposti dall’amministrazione medesima. La
possibilità di ricorrere alla procedura ex art. 125 cod.
contr. al di fuori di tali mercati residua solo nell’ipotesi
di non reperibilità dei beni o servizi necessitati.
Il
ricorso a un MEPA diverso da quello gestito direttamente
dalla CONSIP appare una modalità alternativa di adempimento
rispetto a un obbligo primario direttamente comminato dalla
legge e troverà applicazione per le operazioni in tal senso
concluse dagli EELL la nullità c.d. testuale o espressa
comminata dal legislatore ai sensi dell’art. 1418, comma 3,
c.c. (in tal senso sez. contr. Marche, deliberazione 29.11.2012 n. 169).
Trattasi infatti di interpretazione
estensiva, e non già analogica, utilmente applicabile quindi
anche con riguardo a fattispecie tendenzialmente tassative
quali le norme comminatorie di nullità.
---------------
Il comune di Cologno
al Serio si interroga su quali siano, alla luce della
normativa vigente, i limiti entro cui l’Amministrazione
comunale possa procedere all'approvvigionamento di beni e
servizi sul libero mercato, nel caso di reperimento di
offerte economiche e/o qualitative più vantaggiose rispetto
a quelle presenti nei cataloghi, o a seguito di pubblica
consultazione, nell’ambito del mercato elettronico delle
p.a. (MEPA).
Il comune istante richiede inoltre chiarimenti sulle
conseguenze derivanti dalla violazione dell'art. 1, comma
450, della legge 27.12.2006, n. 296, come novellato
dall'art. 7, comma 2, del decreto legge 07.05.2012, n. 52,
convertito dalla legge 06.07.2012, n. 94 e dall'art. 1,
comma 149, della legge 24.12.2012, n. 228, che prevede che "fermi
restando gli obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del
presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui
all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165,
per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla
soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al
mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad
altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo
articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a
disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo
svolgimento delle relative procedure".
In particolare, è richiesto se la sanzione prevista
dall’art. 1, comma 1, del d.l. 06.07.2012, n. 95, convertito
nella l. 07.08.2012, n. 135 per la violazione degli obblighi
previsti per il mancato ricorso agli strumenti di acquisto
messi a disposizione dalla Concessionaria servizi
informatici pubblici s.p.a. (CONSIP) sia riferibile anche al
mercato elettronico di cui alla normativa illustrata;
inoltre, si intende conoscere l’avviso della Sezione
anche sull’applicabilità della deroga prevista dall'ultimo
periodo del comma 1 di tale articolo, secondo cui “La
disposizione del primo periodo del presente comma non si
applica alle Amministrazioni dello Stato quando il contratto
sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello
derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo
degli strumenti di acquisto messi a disposizione da CONSIP
s.p.a., ed a condizione che tra l'amministrazione
interessata e l'impresa non siano insorte contestazioni
sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in
precedenza”.
...
L’art. 1 del d.l. 95/2012 ha previsto la nullità, nonché la
rilevanza ai fini dell’illecito disciplinare e della
responsabilità amministrativa, dei contratti stipulati dalle
pubbliche amministrazioni in violazione dell'articolo 26,
comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488, ovvero di quelli
stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi
attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione
dalla CONSIP.
Per quanto concerne il MEPA, occorre rammentare che, giusta
l’obbligo di ricorso come descritto, ai sensi dell’art. 1,
comma 450, della l. 296/2006 per gli acquisti sotto la “soglia
comunitaria” il ricorso ai mercati elettronici è stato
reso obbligatorio:
i) a decorrere dal 01.07.2007, per le amministrazioni
statali, centrali e periferiche, ad esclusione degli
istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle
istituzioni educative e delle istituzioni universitarie;
ii) a decorrere dal 09.05.2012, per le tutte le
amministrazioni come definite ai sensi dell’art. 1, d.lgs
30.03.2001, n. 165, ivi compresi, conseguentemente, gli enti
locali. Quest’ultimo obbligo e la sua decorrenza, in realtà,
sono il frutto della recente novellazione della norma
citata, effettuata dal d.l. 07.05.2012, n. 52 (art. 7, comma
2) convertito con modificazioni dalla l. 06.07.2012, n. 94.
L’istituto trova oggi una sua compiuta disciplina nell’art.
328 del d.p.r. 05.10.2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione
e attuazione del codice dei contratti pubblici), che ha
abrogato il previo d.p.r. 04.04.2002, n. 101, che aveva
istituito il MEPA.
La norma ribadisce che il MEPA gestito dalla CONSIP; ovvero
il mercato elettronico creato ad hoc dalla stazione
appaltante; o quello realizzato da centrali di committenza
ai sensi dell’art. 33 del codice dei contratti pubblici,
consentono alle pubbliche amministrazioni di effettuare
l’acquisto di beni o servizi che hanno caratteristiche
generalmente disponibili sul mercato.
La costituzione del mercato elettronico passa attraverso
bandi aperti, volti ad accertare i requisiti generali e
speciali –in particolare i requisiti tecnico-professionali
ed economico-finanziari– che i fornitori devono soddisfare
per poter ottenere l’abilitazione; siffatto accertamento,
attraverso tali bandi, viene effettuato su scala generale,
risparmiando alle amministrazioni acquirenti l’onere di
dover replicare simili procedure sostenendo i relativi
costi.
Lo stesso art. 328, c. 4, lett. b), del Regolamento cod.
app., prevede la possibilità di acquistare beni e servizi
sotto la “soglia comunitaria” ricorrendo anche alle
procedure di acquisto in economia, ex artt. 125 e ss. D.lgs.
163/2006, ovviamente entro i limiti di prezzo e quantità
previsti da tali norme e nel rispetto degli autovincoli
imposti dall’amministrazione medesima.
La possibilità residua di ricorrere alla procedura ex art.
125 cod. contr. al di fuori di tali mercati residua solo
nell’ipotesi di non reperibilità dei beni o servizi
necessitati; pertanto nella fase amministrativa di
determinazione a contrarre, l’ente dovrà evidenziare le
caratteristiche tecniche necessarie del bene e della
prestazione; di avere effettuato il previo accertamento
della insussistenza degli stessi sui mercati elettronici
disponibili; e, ove necessario, la motivazione sulla non
equipollenza con altri beni o servizi presenti sui mercati
elettronici.
Peraltro, non sussiste un obbligo assoluto
di ricorso al MEPA, essendo espressamente prevista la
facoltà di scelta tra le diverse tipologie di mercato
elettronico richiamate dall’art. 328 del d.p.r. 207/2010:
segnatamente, tra il mercato elettronico realizzato dalla
medesima stazione appaltante e quello realizzato dalle
centrali di committenza di riferimento di cui all’art. 33
cod. contr., potendo inoltre ricorrere al mercato
elettronico elaborato dalla singola stazione appaltante
(le opzioni percorribili sono confermate dall’art. 33, comma
3-bis, cod. contr.)
Ne deriva che, a ben vedere, mentre il MEPA
gestito dalla CONSIP rientra appieno tra gli “strumenti
di acquisto messi a disposizione” dalla stessa, analoga
tassonomia non può essere effettuata per i mercati
elettronici curati da parte della singola stazione
appaltante ovvero ad opera della centrale di committenza.
Tuttavia, a ben vedere, il ricorso a un
MEPA diverso da quello gestito direttamente dalla CONSIP
appare una modalità alternativa di adempimento rispetto a un
obbligo primario direttamente comminato dalla legge, con la
conseguenza che troverà applicazione per le operazioni in
tal senso concluse dagli enti locali la nullità c.d.
testuale o espressa comminata dal legislatore ai sensi
dell’art. 1418, comma 3, c.c.
(in tal senso sez. contr. Marche, deliberazione 29.11.2012
n. 169).
Trattasi infatti di interpretazione estensiva, e non già
analogica, utilmente applicabile quindi anche con riguardo a
fattispecie tendenzialmente tassative quali le norme
comminatorie di nullità.
Tale conclusione non appare contraddetta dall’ultimo periodo
del comma 1, art. 1, che introduce una specifica “prova
di resistenza” per le sole Amministrazioni dello Stato,
determinando come conseguenza quella di impedire, per le
sole amministrazioni locali (rispetto a cui l’obbligo di
ricorso al MEPA gestito dalla CONSIP è indubbiamente più
lasco) il beneficio della verifica del danno.
In effetti, come si ha avuto modo di cennare, per le
Amministrazioni dello Stato detto beneficio compensa la
circostanza che la disciplina degli obblighi di
approvvigionamento sia maggiormente stringente.
Per le amministrazioni locali, invece, stante la
possibilità di ricorso a diverse forme di reperimento sui
vari MEPA, il legislatore ha limitato la possibilità di
deroga e di conseguente ricerca sul libero mercato
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 26.03.2013 n. 112). |
APPALTI:
Norme applicabili in materia di durata della verifica di
conformità.
Ai sensi dell'articolo 4, comma 6, del
d.lgs. 231/2002 la verifica di conformità della prestazione
ha una durata di 30 giorni; le parti possono concordare,
prevedendolo espressamente e indicandolo nella
documentazione di gara, un termine maggiore -purché non
gravemente iniquo per il creditore ai sensi del successivo
art. 7- che non può comunque essere superiore a quello
indicato dal regolamento del codice dei contratti.
Il Comune rappresenta che i termini di durata della verifica
di conformità delle prestazioni oggetto dei contratti,
previsti rispettivamente dall'articolo 4, comma 6, d.lgs.
231/2002 e dagli articoli 313, 316, 325 del DPR 207/2010,
paiono tra loro incompatibili.
L'Ente chiede, quindi, di conoscere come si debba procedere
per individuare correttamente i suddetti termini di durata.
Si formulano al riguardo le seguenti considerazioni.
Il comma 6 dell'articolo 4 del d.lgs. 231/2002 (Attuazione
della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i
ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali), come
sostituito dall'articolo 1, del d.lgs. n. 192/2012 recita:
'Quando è prevista una procedura diretta ad accertare la
conformità della merce o dei servizi al contratto essa non
può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data
della consegna della merce o della prestazione del servizio,
salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle
parti e previsto nella documentazione di gara e purché ciò
non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi
dell'articolo 7. L'accordo deve essere provato per
iscritto'. La citata norma è inserita in un provvedimento
legislativo la cui finalità specifica è quella di rendere
individuabile con certezza il momento entro il quale deve
essere effettuato il pagamento, trascorso il quale
opereranno le sanzioni previste per i ritardi di pagamento.
D'altro canto, i termini per il controllo volto ad accertare
la conformità delle prestazioni oggetto del contratto
risultano disciplinati dal d.lgs. 163/2006 (Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e dal
relativo Regolamento di attuazione ed esecuzione (DPR
207/2010).
Il d.lgs. 163/2006 stabilisce all'art. 120, comma 1, che 'Per
i contratti relativi a servizi e forniture il regolamento
determina le modalità di verifica della conformità delle
prestazioni eseguite a quelle pattuite, con criteri
semplificati per quelli di importo inferiore alla soglia
comunitaria.'.
A sua volta, il Regolamento prevede, con riguardo ai servizi
e forniture, due distinte discipline di controllo della
conformità, entrambe contenute nel Titolo IV, Parte IV e
precisamente:
- la verifica di conformità di cui agli articoli 312 e
seguenti;
- l'attestazione di regolare esecuzione di cui all'articolo
325.
La durata della verifica di conformità è disciplinata, in
particolare, dagli articoli 313 (il quale prevede che la
verifica di conformità debba iniziare entro 20 giorni
dall'ultimazione della prestazione) e 316 (il quale prevede
che la verifica debba essere conclusa entro il termine
stabilito dal contratto e comunque non oltre 60 giorni
dall'ultimazione dell'esecuzione delle prestazioni
contrattuali).
L'attestazione di regolare esecuzione [1]
deve, invece, essere emessa entro 45 giorni dall'ultimazione
dell'esecuzione, così come previsto dal citato articolo 325.
Le citate disposizioni, dunque, si occupano di individuare i
termini massimi entro i quali deve essere contenuta la
singola fase del procedimento di acquisizione di beni e
servizi e, precisamente, la fase del controllo della
prestazione ricevuta.
Con riferimento in generale alla contabilità ed al pagamento
delle prestazioni relative a forniture e servizi, l'articolo
307, comma 2, del DPR 207/2010, operando un richiamo al
d.lgs. 231/2002, statuisce espressamente che: '[...] Nel
caso di ritardato pagamento resta fermo quanto previsto dal
decreto legislativo 09.10.2002, n. 231.'.
L'articolo 4, comma 6, del d.lgs. 231/2002, nell'indicare un
termine massimo di 30 giorni per la durata della verifica di
conformità, lascia comunque all'accordo delle parti la
possibilità di indicare per iscritto un diverso termine,
purché previsto nella documentazione di gara e non
gravemente iniquo per il creditore.
L'articolo 11, comma 2, del medesimo decreto legislativo
prevede che: 'Sono fatte salve le vigenti disposizioni
del codice civile e delle leggi speciali che contengono una
disciplina più favorevole per il creditore'. Tale norma
consente quindi di individuare nelle summenzionate norme del
regolamento i limiti massimi entro i quali le parti possono
negoziare un termine differente rispetto a quello posto
dall'art. 4, comma 6, del d.lgs. 231/2002 per le verifiche
di conformità della prestazione. Infatti, qualora le parti
concordassero un termine superiore anche a quello previsto
dal regolamento, opererebbe la clausola di maggior favore
per il creditore, di cui al citato art. 11, comma 2,
riconducendo il predetto termine a quello previsto dal
regolamento in argomento.
Le disposizioni dettate dal codice dei contratti e dal
relativo regolamento nella materia in argomento, vanno
interpretate alla luce delle disposizioni di cui al d.lgs.
231/2002, come modificato dal d.lgs. 192/2012, ritenendo
prevalenti queste ultime, laddove le parti non abbiano
espressamente pattuito un diverso termine, comunque non
superiore a quello previsto dal regolamento.
A conferma di un tanto, con riferimento ad analoghe
questioni afferenti ai lavori pubblici e concernenti i
termini per l'emissione dei certificati di pagamento e per
l'emissione del certificato di collaudo, si è espresso il
Ministero dello Sviluppo Economico con la nota prot. 1293
del 23.01.2013 [2]
nella quale, premettendo che le disposizioni dettate dal
codice dei contratti pubblici e dal regolamento di
attuazione già vigenti per il settore dei lavori pubblici,
relative ai termini di pagamento delle rate di acconto e di
saldo nonché alla misura degli interessi da corrispondere in
caso di ritardato pagamento, devono essere interpretate e
chiarite alla luce delle disposizioni del decreto
legislativo 09.11.2012, n. 192, ritenendosi prevalenti
queste ultime sulle disposizioni di settore confliggenti,
tenendo conto anche dell'espressa clausola di salvezza di
cui all'art. 11, comma 2, d.lgs. 231/2002, ha chiarito che:
'- il termine di quarantacinque giorni previsto dall'art.
143, co. 1, primo periodo, del regolamento per l'emissione
del certificato di pagamento dalla maturazione del SAL,
risulta non compatibile con la previsione del comma 6
dell'articolo 4 del d.lgs. n. 231/2002, che fissa in trenta
giorni il termine per la verifica preordinata al pagamento;
detto termine deve pertanto essere inteso come ridotto a
trenta giorni, ove non sia previsto nella documentazione di
gara -e pattuito espressamente nel contratto- un termine
maggiore, ma comunque, in virtù del già richiamato art. 11,
co. 2, d.lgs. n. 231 del 2002 che fa «salve le vigenti
disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che
contengono una disciplina più favorevole per il creditore»
non superiore ai quarantacinque giorni;
- (omissis);
- il termine di sei mesi, elevabile fino ad un anno, di cui
all'art. 141, co. 1, del codice dei contratti pubblici
previsto per l'emissione del certificato di collaudo, nonché
il termine di tre mesi di cui all'art. 141, co. 3, del
medesimo codice, previsto per l'emissione del certificato di
regolare esecuzione, risultano ancora applicabili, laddove
siano espressamente concordati dalle parti e previsti nella
documentazione di gara ai sensi dell'art. 4, co. 6 del
d.lgs.231/2002'.
Il medesimo percorso interpretativo potrebbe, pertanto,
ritenersi corretto anche con riferimento all'odierno quesito
con le seguenti conclusioni: la verifica di conformità della
prestazione ha una durata di 30 giorni; le parti possono
concordare, prevedendolo espressamente e indicandolo nella
documentazione di gara, un termine superiore -purché non
gravemente iniquo per il creditore [3]-
che non può comunque essere superiore a quello indicato dal
regolamento del codice dei contratti.
---------------
[1] Ai sensi dell'articolo 325, comma 1, del DPR 207/2010
'Qualora la stazione appaltante per le prestazioni
contrattuali di importo inferiore alle soglie di cui
all'articolo 28, comma 1, lettere a) e b), del codice, non
ritenga necessario conferire l'incarico di verifica di
conformità, si dà luogo ad una attestazione di regolare
esecuzione emessa dal direttore dell'esecuzione e confermata
dal responsabile del procedimento.'.
[2] Nella nota viene chiarito che la nuova disciplina dei
ritardati pagamenti introdotta in attuazione della normativa
comunitaria 7/2011/UE si applica ai contratti pubblici
relativi a tutti i settori produttivi, inclusi i lavori,
stipulati a decorrere dal 01.01.2013, ai sensi dell'art. 3,
co. 1, del d.lgs n. 192 del 2012.
[3] Ai sensi del successivo articolo 7
(26.03.2013
- link a www.regione.fvg.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Decreto sulla segnaletica nei cantieri.
Lavori in corso, sicurezza doc.
I lavoratori impegnati sulle strade dove scorre il traffico
veicolare devono essere specificamente formati alla
particolare mansione. Evidenti cautele dovranno poi essere
osservate dal datore di lavoro in condizioni meteorologiche
avverse.
Lo ha evidenziato il decreto interministeriale 04.03.2013 che fissa i criteri per l'apposizione della
segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che
si svolgono in presenza di traffico veicolare.
Il comunicato
dell'avvenuta emanazione è stato pubblicato sulla G.U. n. 67
del 20.03.2013. In sostanza ai sensi del dlgs 81/2008,
gli enti proprietari delle strade e le imprese appaltatrici,
esecutrici o affidatarie, dovranno applicare nuovi criteri
minimi di sicurezza per chi lavora in presenza di traffico
veicolare.
Il provvedimento prevede che in caso di nebbia,
precipitazioni nevose o, comunque, condizioni che limitano
notevolmente la visibilità o le caratteristiche di aderenza
della pavimentazione, non si potranno eseguire operazioni
che comportano l'esposizione al traffico di operatori e di
mezzi. Qualora tali condizioni meteorologiche avverse
sopraggiungano, le attività dovranno essere immediatamente
sospese, rimuovendo ogni sbarramento e segnalamento, salvo
che si tratti di lavori di emergenza o indifferibili.
Per la
regolamentazione del senso unico alternato o comunque per le
fermate temporanee del traffico, i movieri dovranno essere
avvicendati con altri operatori con una cadenza non
superiore a 45 minuti. Sono imposte particolari misure di
sicurezza per gli spostamenti sulla carreggiata a piedi
oppure con i mezzi operativi.
Inoltre, il decreto prevede l'adozione di importanti cautele
per l'installazione e la rimozione del cantiere, per
l'entrata e l'uscita del personale dal cantiere e per la
gestione delle situazioni emergenza, come per esempio i
sinistri. I lavoratori adibiti all'installazione e alla
rimozione della segnaletica di cantieri stradali in presenza
di traffico o comunque addetti ad attività in presenza di
traffico dovranno frequentare uno specifico corso di
formazione e addestramento, con una prova di verifica
finale, e, ogni quattro anni, un corso di aggiornamento
(articolo ItaliaOggi del 26.03.2013). |
APPALTI:
Partecipazione a pubblica gara: difformità del modulo
rispetto al bando, quali le conseguenze?
Domanda.
Nel caso in cui il partecipante ad una pubblica gara produca
alla stazione appaltante la documentazione amministrativa
prevista nel bando redigendola su appositi formulari
prestampati dalla stessa ed allegati al disciplinare di
gara, i quali risultino poi incompleti e irregolari, non per
errori del compilatore, ma per discrasie tra le previsioni
del bando ed i facsimile prestampati dall'Amministrazione
stessa, la stazione appaltante deve disporre l'esclusione
del concorrente per violazione della lex specialis e,
quindi, per garantire il rispetto della par condicio e la
stretta osservanza di esplicite prescrizioni di gara?
Risposta.
Il modulo, nel linguaggio corrente, è un foglio di carta
prestampato, talora predisposto per la lettura ottica, che
l'interessato distribuisce agli offerenti e che costoro
devono compilare. In tal modo -e tale sembra essere
l'utilità della eventuale prescrizione di un bando di gara
che ne prescriva l'impiego- si costringono gli aspiranti a
recarsi presso la committenza in un momento preciso -e non
prima- per ritirare il modulo prima di formulare l'offerta,
e si evitano possibili frodi.
In questi casi, la eventuale difformità del modulo rispetto
alle prescrizioni del bando non può che essere imputabile
alla stazione appaltante. Considerato che la predisposizione
di un modulo per la domanda di partecipazione ad una gara
d'appalto e la richiesta di compilare la domanda in modo
conforme a detto modello ingenerano nel partecipante, oltre
che un dovere, un affidamento, è onere della P.A. verificare
che il modello sia predisposto in modo conforme e coerente
con gli obblighi previsti dal bando, soprattutto quando le
dichiarazioni contenute nel modello sono richieste a pena di
esclusione (TAR Puglia-Lecce Sez. II, 08.06.2006, n. 3290).
Nell'ipotesi in cui il concorrente abbia compilato un modulo
di domanda e di dichiarazione allegate al bando ed al
disciplinare messi a disposizione della stazione appaltante,
nei quali non era assunto l'obbligo, esplicitamente previsto
nel bando, di costituire ATI in caso di aggiudicazione, ciò
non può comportare la sua esclusione. Infatti, se una
incongruenza vi è stata tra il bando ed il modulo questa non
può che essere imputata alla Pubblica Amministrazione in
base al principio di correttezza, buona fede, trasparenza e
certezza dei rapporti.
Ne deriva che, se l'Amministrazione avesse escluso la
concorrente sulla base di un proprio errore nella
predisposizione dei moduli, che la ditta ha dovuto
obbligatoriamente compilare, avrebbe posto in essere una
condotta illegittima e senz'altro censurabile. Sul punto la
Giurisprudenza Amministrativa ha chiarito che, in
applicazione dei principi di favor partecipationis e
di tutela dell'affidamento, non può procedersi
all'esclusione di un'impresa nel caso in cui questa abbia
compilato l'offerta in conformità al modulo all'uopo
approntato dalla stazione appaltante (Cons. Stato sez. VI,
10.11.2004, n. 7278).
D'altro canto si osserva che la lex specialis della
gara d'appalto risulta costituita, non solo, dalle espresse
previsioni contenute nel bando di gara, nella lettera
d'invito e nel capitolato, ma anche dal complesso normativo
presupposto e richiamato da questi ultimi, oltre che dalle
regole ermeneutiche che la stazione appaltante ha posto in
essere nel momento antecedente la valutazione delle offerte.
In sede di predisposizione del bando di gara, infatti,
l'amministrazione può motivatamente integrare o sostituire
le clausole contenute negli schemi di bandi-tipo nel caso di
lacune nello schema o difformità rispetto alla normativa
(TAR Puglia-Lecce, sez. II, 10.07.2007, n. 2716).
Differente è invece l'ipotesi in cui la stazione appaltante
predispone uno schema, ovvero un facsimile del contenuto
dell'offerta, che ogni concorrente deve ricopiare di sua
iniziativa, completandolo con i dati a lui richiesti.
In tal caso, è ovvio che fra lo schema e l'offerta non vi
sarà mai perfetta congruenza. Ne deriva che in caso di
difformità tra la domanda presentata dal concorrente e le
prescrizioni del bando può residuare, in concreto, una
responsabilità del privato laddove le prescrizioni del bando
fossero precise e puntuali e lo schema predisposto sia
piuttosto generico, lasciando ampi margini di compilazione
al partecipante.
Ancora diversa è l'ipotesi in cui il concorrente non si
attenga allo schema predisposto dalla stazione appaltante,
ma rediga una sua domanda di partecipazione, diversa dal
fac-simile, sebbene conforme alle prescrizioni di bando.
Il TAR Lombardia-Brescia Sez. I Sent., 16.11.2007, n. 1263
ha ritenuto illegittima l'esclusione dalla gara disposta
dalla stazione appaltante, perché la domanda di
partecipazione era stata redatta non utilizzando lo schema
allegato, ma su propria carta intestata che riproduceva il
contenuto dello schema, ad esclusione dell'indicazione
numerica dei punteggi attribuibili a ciascun elemento.
Un'interpretazione estensiva, che assimilasse i due concetti
di modulo e di schema, si risolverebbe nel restringere la
partecipazione alle gare, e quindi non è sostenibile in base
al principio generale di massima partecipazione.
Successivamente, questo principio di elaborazione
giurisprudenziale è stato mutuato dall'art. 74, comma 3, del
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 -come modificato dall'art. 2 del
D.Lgs. 31.07.2007, n. 113 e successivamente dall'art. 2,
comma 1, lettera o), del D.Lgs. 11.09.2008, n. 152- che
stabilisce che "Salvo che l'offerta del prezzo sia
determinata mediante prezzi unitari, il mancato utilizzo di
moduli predisposti dalle stazioni appaltanti per la
presentazione delle offerte non costituisce causa di
esclusione" (26.03.2013 - tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI:
F. Grilli,
Parere della Corte dei Conti Lombardia sui contratti
elettronici della pubblica amministrazione - La Corte
dei Conti della Lombardia con la deliberazione n. 97 del
18.03.2013 sembra sparigliare le carte
(26.03.2013 - link a www.leggioggi.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il Comune istante chiede, partitamente, di
conoscere il motivato avviso della Sezione in ordine:
• al se ed in che misura sia possibile per le
acquisizioni di lavori, servizi e forniture in economia
procedere in forma tradizionale facendo applicazione delle
previsioni del Regolamento per le gestioni in economia
adottato dall’Ente giusta la previsione di cui all’art. 125
del D.lgs. 163/2006 prescindendo, dunque, dal ricorso al
mercato elettronico non sussistendo un preciso obbligo;
• al se ed in che misura al Comune di Ussita, in quanto
Ente con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, possa
ritenersi inapplicabile, giusta la previsione di cui al già
richiamato art. 26, comma 3, Legge 488/1999, la disposizione
di cui all’art. 1, comma 1, D.L. 95/2012 ed il conseguente
regime di responsabilità disciplinare ed amministrativa.
Tanto premesso in fatto si osserva.
Ritiene, invero, la Sezione che, le pur
indubbie specificità delle acquisizioni in economia
–soggette ad un peculiare statuto per ciò che attiene ambito
oggettivo e sia per ciò che attiene i presupposti
legittimanti– non valgano a superare le conclusioni già rese
circa la latitudine applicativa dell’obbligo di ricorso al
mercato elettronico.
Sotto tale profilo giova, peraltro, evidenziare come i
principi di semplificazione e celerità, tipici delle
procedure in economia, non subiscano un vulnus, ma
ben si concilino con le finalità sottese agli strumenti di
e-procurement (su cui amplius 169/PAR/2012 Sezione
Marche) e con quelle di razionalizzazione e di contenimento
perseguite dal legislatore con i Decreti Spending review
1 e 2.
Di qui,
a parere del Collegio, la necessità di
una rivisitazione delle procedure tradizionali -e degli
eventuali strumenti regolamentari già in essere– alla
stregua della normativa sopravvenuta e del pressoché
generalizzato obbligo di ricorso al mercato elettronico per
le acquisizioni di beni e servizi sotto soglia, pur laddove
ricorrano le condizioni per la procedura c.d. in economia.
Di converso deve, peraltro, confermarsi che siffatto obbligo
sia esigibile esclusivamente per beni e categorie
merceologiche presenti sul mercato elettronico e
perfettamente confacenti alle esigenze funzionali dell’Ente
mentre procedure tradizionali ed autonome possono ritenersi
consentite –ancorché in via residuale- laddove il bene e/o
servizio non possa essere acquisito mediante i richiamati
sistemi di e-procurement ovvero laddove, pur disponibile, si
appalesi inidoneo rispetto alle necessità della
amministrazione procedente
(cfr. deliberazione 169/PAR/2012 anche con riguardo
all’obbligo di motivazione).
Ciò posto, venendo alla ulteriore questione prospettata
dall’Ente richiedente con riguardo al connesso profilo delle
responsabilità, ritiene il Collegio che,
atteso il tenore letterale del disposto di cui all’art. 1,
comma 1, D.L. 95/2012, il dato
demografico (Comuni con popolazione sino a 1.000 abitanti o
sino a 5.000 se montani) rilevi,
atteso il richiamo all’art. 26, comma 3, L. 488/1999,
solo con riferimento alla prima ipotesi evocata
dalla norma sanzionatoria e non già con riferimento alla
seconda ipotesi ed alla pretesa violazione degli obblighi di
approvvigionarsi attraverso gli strumenti messi a
disposizione di Consip Spa.
---------------
Il Comune di Ussita con nota a firma del suo Sindaco ha
formulato, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della L. 131/2003,
una articolata richiesta di parere in ordine alla corretta
interpretazione della novità normativa recata dal D.L. n. 52
del 07.05.2012 –convertito in L. n. 94 del 06.07.2012– in
tema di acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla
soglia comunitaria con specifico riguardo alla fattispecie
degli acquisti c.d. in economia.
Richiamate, in particolare,
• le motivazioni poste a fondamento della deliberazione n.
169 del 29.11.2012 resa da questa Sezione in ordine alla
portata cogente del novellato art. 1, comma 450, della L.
296/2006 (L.F. 2007) a mente del quale “fermo restando gli
obblighi di cui all’art. 449 della L. 296/2006, le altre
amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 d.lgs. 165/2001
per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla
soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al
mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad
altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo
art. 328 (del d.p.r. 327/2010);
• la ricostruzione invalsa presso alcuni Commentatori –cui
l’Ente istante pare, peraltro, aderire– secondo la quale
l’obbligatorietà del ricorso al mercato elettronico non
potrebbe configurarsi rispetto agli affidamenti c.d. in
economia rinvenendo gli stessi il loro referente normativo
nell’art. 335 del d.p.r. 327/2010 cui l’art. 7 della L.
94/2012 non opera alcun rinvio;
• il disposto di cui all’art. 26, comma 3, della Legge
488/1999 che, in tema di acquisti centralizzati, esclude i
Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e per i Comuni
montani con popolazione fino a 5.000 abitanti dalla platea
dei soggetti incisi dalla norma,
il Comune istante chiede, partitamente, di
conoscere il motivato avviso della Sezione in ordine:
• al se ed in che misura sia possibile per le
acquisizioni di lavori, servizi e forniture in economia
procedere in forma tradizionale facendo applicazione delle
previsioni del Regolamento per le gestioni in economia
adottato dall’Ente giusta la previsione di cui all’art. 125
del D.lgs. 163/2006 prescindendo, dunque, dal ricorso al
mercato elettronico non sussistendo un preciso obbligo;
• al se ed in che misura al Comune di Ussita, in quanto
Ente con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, possa
ritenersi inapplicabile, giusta la previsione di cui al già
richiamato art. 26, comma 3, Legge 488/1999, la disposizione
di cui all’art. 1, comma 1, D.L. 95/2012 ed il conseguente
regime di responsabilità disciplinare ed amministrativa.
...
L’esame delle
questioni prospettate dall’Ente istante non può che prendere
le mosse dal precedente parere reso dalla Sezione e dalle
considerazioni svolte in ordine alla obbligatorietà per gli
Enti locali di far ricorso -ai fini degli acquisti c.d.
sotto soglia– al mercato elettronico previsto e disciplinato
all’art. 328 d.p.r. 327/2010.
A tal riguardo giova, anzitutto, ribadire che vertendosi in
tema di normativa vincolistica –asseritamente preordinata
alla razionalizzazione ed al contenimento di uno specifico
segmento di spesa– l’interpretazione della stessa deve
essere condotta secondo rigorosi criteri ermeneutici con
preclusione di inammissibili interventi additivi.
In questa prospettiva nell’evidenziare, ancora una volta, un
indubbio problema di coordinamento della pluralità di norme
–anche di diverso rango in ragione delle diverse fonti– che
concorrono alla disciplina della specifica materia e,
dunque, la opportunità di un intervento, se del caso
normativo, che riconduca le stesse ad unità, deve rilevarsi
come, valorizzando un’interpretazione letterale, non appaia
configurabile un regime differenziato per le acquisizioni in
economia ma come, anche per queste, debba farsi ricorso al
mercato elettronico.
Nessun argomento, invero, appare desumersi né dal tenore
letterale della disposizione né in via interpretativa in
ordine alla intenzione del legislatore –pur intervenuto, di
recente, sull’art. 1, comma 450, L.F. 2007 (cfr. art. 1,
comma 149, lett. a – lett. b)– di introdurre, a fronte del
predetto obbligo, una disciplina peculiare e, dunque,
derogatoria per le acquisizioni in economia.
Sotto tale profilo, peraltro, la tesi prospettata dall’Ente
richiedente non appare persuasiva laddove annette efficacia
dirimente alla circostanza che il Regolamento di esecuzione
ed attuazione del codice dei contratti dedichi alle
acquisizioni di servizi e forniture sottosoglia ed in
economia –pur accomunate sotto il medesimo titolo V– due
distinti capi (rispettivamente il primo ed il secondo)
ovvero al fatto che l’art. 7, comma 2, del D.L. 52/2012
faccia rinvio al mercato elettronico della p.a. e ad altri
mercati istituiti ai sensi del medesimo art. 328 e non già
all’art. 335 del d.p.r. 207/2010 che facultizza le stazioni
appaltanti all’utilizzo del mercato elettronico per
effettuare acquisti in economia.
Detti argomenti non si appalesano, invero, di particolare
significatività per temperare la portata cogente del
novellato art. 1, comma 450, L.F. 2007.
A parere del Collegio, il richiamo al citato art. 328 del
Regolamento di attuazione rinvenibile in disposizioni
relative alle acquisizioni di servizi in economia (cfr. art.
332 – 335 – 336) in uno alla previsione di cui al comma 4,
lett. b), dello stesso art. 328 a mente del quale “avvalendosi
del mercato elettronico le stazioni appaltanti possono
effettuare acquisti di beni e servizi sotto soglia ……b) in
applicazione delle procedure di acquisto in economia di cui
al capo II”, militano, di contro per una ricostruzione
unitaria dei due istituti – conformemente, peraltro, alle
disposizioni del Codice dei contratti pubblici (cfr. artt.
121-125 sub Titolo II Contratti sotto soglia comunitaria).
Ritiene, invero, la Sezione che, le pur indubbie specificità
delle acquisizioni in economia –soggette ad un peculiare
statuto per ciò che attiene ambito oggettivo e sia per ciò
che attiene i presupposti legittimanti– non valgano a
superare le conclusioni già rese circa la latitudine
applicativa dell’obbligo di ricorso al mercato elettronico.
Sotto tale profilo giova, peraltro, evidenziare come i
principi di semplificazione e celerità, tipici delle
procedure in economia, non subiscano un vulnus, ma
ben si concilino con le finalità sottese agli strumenti di
e-procurement (su cui amplius 169/PAR/2012 Sezione
Marche) e con quelle di razionalizzazione e di contenimento
perseguite dal legislatore con i Decreti Spending review
1 e 2.
Di qui,
a parere del Collegio, la necessità di una
rivisitazione delle procedure tradizionali -e degli
eventuali strumenti regolamentari già in essere– alla
stregua della normativa sopravvenuta e del pressoché
generalizzato obbligo di ricorso al mercato elettronico per
le acquisizioni di beni e servizi sotto soglia, pur laddove
ricorrano le condizioni per la procedura c.d. in economia.
Di converso deve, peraltro, confermarsi che
siffatto obbligo sia esigibile esclusivamente per beni e
categorie merceologiche presenti sul mercato elettronico e
perfettamente confacenti alle esigenze funzionali dell’Ente
mentre procedure tradizionali ed autonome possono ritenersi
consentite –ancorché in via residuale- laddove il bene e/o
servizio non possa essere acquisito mediante i richiamati
sistemi di e-procurement ovvero laddove, pur disponibile, si
appalesi inidoneo rispetto alle necessità della
amministrazione procedente
(cfr. deliberazione 169/PAR/2012 anche con riguardo
all’obbligo di motivazione)
Ciò posto, venendo alla ulteriore questione prospettata
dall’Ente richiedente con riguardo al connesso profilo delle
responsabilità, ritiene il Collegio che,
atteso il tenore letterale del disposto di cui all’art. 1,
comma 1, D.L. 95/2012, il dato demografico
(Comuni con popolazione sino a 1.000 abitanti o sino a 5.000
se montani) rilevi,
atteso il richiamo all’art. 26, comma 3, L. 488/1999,
solo con riferimento alla prima ipotesi
evocata dalla norma sanzionatoria e non già con riferimento
alla seconda ipotesi ed alla pretesa violazione degli
obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti messi
a disposizione di Consip Spa
(Corte dei Conti, Sez. controllo Marche,
parere 25.03.2013 n. 17). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
R. D'Isa,
La risoluzione (25.03.2013 - tratto da http://renatodisa.com). |
LAVORI PUBBLICI:
A. Lamantia,
Le riserve nelle opere pubbliche (25.03.2013 -
link a www.appaltieriserve.it). |
LAVORI PUBBLICI: Sponsor
e sponsee.
Domanda
Contributo in forma di servizi per il restauro di un
monumento, all'interno di un contratto con l'amministrazione
locale che riprodurrà il marchio dell'azienda specializzata
nella gestione del servizio: è inequivocabilmente
configurabile come sponsorizzazione?
Risposta
Sì, la fattispecie descritta pare configurarsi in modo
chiaro come sponsorizzazione.
Infatti, come chiarito all'articolo 120 del Codice dei beni
culturali e del paesaggio «è sponsorizzazione di beni
culturali ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato
per la progettazione o l'attuazione di iniziative in ordine
alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio
culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio,
l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività del
soggetto erogante».
Perciò l'amministrazione locale citata
si configura come sponsee e l'azienda erogante il servizio,
in cambio dell'associazione del marchio all'iniziativa, come
sponsor (articolo ItaliaOggi Sette del
25.03.2013). |
APPALTI:
G. Gavelli e G. Valcarenghi,
L’Agenzia delle entrate
«alleggerisce» la solidarietà fiscale per appalti e
subappalti (Corriere Tributario n. 12/2013 - tratto
da www.ispoa.it). |
APPALTI SERVIZI:
I valori del costo del lavoro risultanti dalle
tabelle ministeriali costituiscono un parametro di
valutazione della congruità dell'offerta.
---------------
Sulla rateizzazione dei debiti tributari.
I valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle
ministeriali non costituiscono un limite inderogabile, ma
semplicemente un parametro di valutazione della congruità
dell'offerta sotto tale profilo, ai sensi dell'art. 86 del
d.lvo 12.04.2006, nr. 163: di modo che l'eventuale
scostamento da tali parametri delle relative voci di costo
non legittima ex se un giudizio di anomalia, potendo
essere accettato quando risulti puntualmente (e
rigorosamente) giustificato.
La verifica di anomalia dell'offerta deve avere a oggetto la
congruità dell'offerta economica non con riferimento a
ciascuna singola voce di essa, ma nella sua interezza e
globalità, servendo le giustificazioni dell'impresa, e il
contraddittorio che su di esse s'instaura ai sensi del
citato art. 86, ad accertare l'effettiva sostenibilità e
affidabilità dell'offerta nel suo complesso
---------------
La presenza di provvedimenti del fisco di rateizzazione dei
debiti tributari, purché anteriore alla presentazione
dell'offerta, determina una sostanziale novazione
dell'obbligazione tributaria, in modo da escludere che possa
trattarsi di violazione "definitivamente accertata"
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.03.2013 n. 1633 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Il contratto di
avvalimento deve rispettare la disciplina civilistica in
tema di contenuto contrattuale, con particolare riferimento
all’esistenza ed alla determinatezza dell’oggetto: esso deve
identificare in modo chiaro ed esauriente la volontà del
soggetto ausiliario di impegnarsi, la natura dell’impegno
assunto e la concreta portata delle risorse messe a
disposizione per effetto dell’avvalimento.
Il contratto di avvalimento prodotto
dall’aggiudicataria da un lato prevede l’impegno
dell’impresa ausiliaria di mettere a disposizione i
requisiti riguardanti il fatturato e l’esperienza in servizi
analoghi, dall’altro lato prevede la messa a disposizione
del know how aziendale e delle competenze di tipo gestionale
e professionale.
Trattasi di dizioni generiche che non lasciano evincere
quali siano in concreto le risorse ed i mezzi prestati
dall’impresa ausiliaria ai fini dell’esecuzione del servizio
de quo.
In tal modo l’oggetto del contratto di avvalimento si palesa
indeterminato, in contrasto con l’art. 88, comma 1, lett. a,
del d.p.r. n. 207/2010.
Invero, il suddetto negozio
giuridico deve rispettare la disciplina civilistica in tema
di contenuto contrattuale, con particolare riferimento
all’esistenza ed alla determinatezza dell’oggetto: esso deve
identificare in modo chiaro ed esauriente la volontà del
soggetto ausiliario di impegnarsi, la natura dell’impegno
assunto e la concreta portata delle risorse messe a
disposizione per effetto dell’avvalimento (ex multis: Cons.
Stato, V, 05.12.2012, n. 6233; TAR Lombardia, Milano, III,
29.12.2012, n. 3290; TAR Toscana, I, 21.05.2012, n. 986); nel
caso di specie, al contrario, è incomprensibile quale sia la
prestazione ausiliaria oggetto di avvalimento
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 21.03.2013 n. 443 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
L’accesso ai documenti amministrativi si
configura come un diritto soggettivo perfetto, che può
essere esercitato indipendentemente dal giudizio
sull’ammissibilità o sulla fondatezza della domanda
giudiziale eventualmente proponibile sulla base dei
documenti acquisiti mediante l’accesso, con la conseguenza
che la circostanza che gli atti oggetto dell’istanza di
ostensione siano divenuti inoppugnabili non preclude
l’esercizio del suddetto diritto, in quanto l’interesse
presupposto dall’art. 22 della legge n. 241/1990 è nozione
diversa e più ampia dell’interesse all’impugnazione.
---------------
Chi ha partecipato ad una procedura concorsuale è portatore
di un interesse differenziato da quello della generalità dei
consociati ed è quindi legittimato a chiedere copia degli
atti prodotti dagli altri concorrenti.
L’accesso ai documenti amministrativi si configura come un
diritto soggettivo perfetto, che può essere esercitato
indipendentemente dal giudizio sull’ammissibilità o sulla
fondatezza della domanda giudiziale eventualmente
proponibile sulla base dei documenti acquisiti mediante
l’accesso, con la conseguenza che la circostanza che gli
atti oggetto dell’istanza di ostensione siano divenuti
inoppugnabili non preclude l’esercizio del suddetto diritto,
in quanto l’interesse presupposto dall’art. 22 della legge
n. 241/1990 è nozione diversa e più ampia dell’interesse
all’impugnazione (Cons. Stato, VI, 24.11.2000, n. 6246).
Orbene, poiché il rilascio della documentazione in argomento
è stato chiesto dalla ricorrente in dichiarata qualità di
soggetto partecipante alla gara (documento n. 9 depositato
in giudizio), il Collegio ritiene che non possa
disconoscersi in capo alla stessa la titolarità del diritto
di accesso, essendo pacifico che chi ha partecipato ad una
procedura concorsuale è portatore di un interesse
differenziato da quello della generalità dei consociati ed è
quindi legittimato a chiedere copia degli atti prodotti
dagli altri concorrenti (TAR Sicilia, Palermo, II,
11.02.2002, n. 430)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 21.03.2013 n. 442 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare di appalto, per chi partecipa accesso agli
atti sempre riconosciuto.
Dev’essere accordato l’accesso agli atti di una procedura di
appalto chiesto da una ditta in dichiarata qualità di
soggetto partecipante alla gara, essendo pacifico che chi ha
partecipato a una procedura concorsuale è portatore di un
interesse differenziato da quello della generalità dei
consociati.
Con la
sentenza 21.03.2013 n. 442, il TAR Firenze, Sez.
I, ha affrontato la quaestio relativa alla possibilità per
le partecipanti a una gara di appalto di ottenere l’accesso
agli atti della medesima procedura.
La ricorrente ha contestato l’illegittimità del
provvedimento con cui la stazione appaltante, in violazione
degli artt. 22 e ss., L. n. 241/1990, aveva negato alla
medesima l’accesso agli atti di gara sulla scorta della
considerazione per cui la relativa istanza avrebbe dovuto
essere motivata alla stregua di un interesse concreto e
meritevole di tutela.
Il giudicante ha accolto il gravame, all’uopo statuendo che
la stazione appaltante avrebbe dovuto consentire l’accesso
all’impresa poiché la stessa, avendo partecipato alla
procedura in questione, era titolare di un interesse
giuridicamente differenziato rispetto a quello del
quisque de populo.
Il caso
La deducente ha preso parte a una procedura aperta indetta
da un’azienda pubblica per la fornitura e manutenzione di
due spazzatrici aspiranti idrostatiche.
In seguito all’adozione del provvedimento di esclusione
dalla gara per mancanza dei requisiti tecnici, l’interessata
ha presentato una formale istanza di accesso al fine di
prendere visione dei verbali di gara e della documentazione
amministrativa delle partecipanti alla medesima procedura.
La stazione appaltante, però, ha disposto l’accoglimento
della predetta domanda rispetto al verbale di gara, mentre
ha differito l’accesso alla documentazione amministrativa
delle altre concorrenti.
Disposta medio tempore l’aggiudicazione dell’appalto, la
ricorrente ha provveduto a reiterare la richiesta di accesso
alla documentazione amministrativa: la stazione appaltante,
indi, ha accordato quest’ultima istanza, così fornendo tutta
la documentazione chiesta in ostensione.
Sta di fatto che l’impresa, per mezzo di un’ulteriore
istanza di accesso, ha chiesto anche l’acquisizione della
documentazione tecnica presentata dalle ditte partecipanti
alla selezione.
La società pubblica, avuto riguardo a quest’ultima istanza,
ha negato l’accesso, contestualmente suggerendo
all’interessata la presentazione di una nuova domanda di
accesso debitamente motivata, al fine di “dare
dimostrazione dell’esistenza di un interesse concreto
meritevole di tutela”.
Avverso siffatta determinazione è insorta la ricorrente,
contestando la violazione e falsa applicazione dell’art. 97
Cost., nonché degli artt. 22 e ss., L. n. 241/1990 e
dell’art. 13, D.Lgs. n. 163/2006.
Le norme violate
L’impresa ha eccepito, oltre al resto la violazione degli
artt. 22 e ss., L. n. 241/1990, alla stregua della
considerazione per cui la propria partecipazione al
procedimento selettivo le avrebbe consentito di presentare
l’istanza di accesso ai documenti tecnici offerti dalle
imprese concorrenti, a prescindere dall’impugnabilità del
provvedimento di aggiudicazione.
Orbene, in materia di accesso, si rammenta come l’art. 22
cit., con riferimento all’interesse del soggetto richiedente
l’accesso agli atti, statuisce espressamente che: “Ai
fini del presente del capo si intende: … b) per
"interessati", tutti i soggetti privati, compresi quelli
portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un
interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento
al quale è chiesto l'accesso”.
E ancora, con riferimento al diritto di accesso agli atti
delle procedure di affidamento di contratti pubblici, l’art.
13, D.Lgs. n. 163/2006 prevedono che: “Fatta salva la
disciplina prevista dal presente codice per gli appalti
segretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di
sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma
di divulgazione in relazione: a) alle informazioni fornite
dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a
giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo
motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti
tecnici o commerciali; b) a eventuali ulteriori aspetti
riservati delle offerte, da individuarsi in sede di
regolamento” (comma 5); e ancora: “In relazione
all'ipotesi di cui al comma 5, lett. a) e b), è comunque
consentito l'accesso al concorrente che lo chieda in vista
della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione
alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito
della quale viene formulata la richiesta di accesso”
(comma 6).
La decisione del TAR
Il Tribunale di Firenze ha condiviso le doglianze formulate
dalla deducente in merito all’illegittimità del gravato
provvedimento di diniego emesso dalla stazione appaltante.
Sul proposito, ha rammentato che, in linea di principio,
l’accesso ai documenti amministrativi si configura come un
diritto soggettivo perfetto da esercitarsi indipendentemente
dal giudizio sull’ammissibilità o fondatezza di un’eventuale
impugnazione dei documenti acquisiti mediante l’accesso.
Di conseguenza, ha precisato che l’inoppugnabilità degli
atti oggetto dell’istanza di ostensione non avrebbe potuto
precludere l’esercizio del suddetto diritto, in quanto
l’interesse presupposto dall’art. 22, L. n. 241/1990 è
nozione diversa e più ampia dell’interesse all’impugnazione
(a partire da Cons. Stato, Sez. VI, 24.11.2000, n. 6246).
Sicché il Collegio ha sottolineato che il rilascio della
documentazione tecnica offerta dalle altre concorrenti era
stato chiesto dalla ricorrente, nella dichiarata qualità di
soggetto partecipante alla gara, al solo fine di prendere
visione dei medesimi documenti.
In ragione di siffatta circostanza, ha ritenuto che non
avrebbe potuto disconoscersi in capo all’impresa interessata
la titolarità del diritto di accesso, atteso che la
medesima, avendo partecipato alla procedura concorsuale, era
portatrice di un interesse differenziato da quello della
generalità dei consociati e, quindi, legittimata a chiedere
copia degli atti prodotti dagli altri concorrenti (in tal
senso, TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 11.02.2002, n. 430).
Alla stregua delle suddette argomentazioni, il G.A. di
Firenze ha accolto il gravame e, per l’effetto, dichiarato
l’obbligo della stazione di provvedere al rilascio delle
copie della documentazione tecnica dei concorrenti, come
chiesta in ostensione dalla deducente.
I precedenti ed i possibili impatti
pratico-operativi
La pronuncia conferma il principio indicato negli arresti
giurisprudenziali susseguitisi sull’argomento, in relazione
alla doverosità per le stazioni appaltanti di consentire
l’accesso agli atti di gara a tutte le imprese partecipanti
che, in quanto tali, risultano essere detentrici di un
interesse qualificato e differenziato da quello della
generalità dei consociati.
Sul punto, è appena il caso di richiamare una recente
pronuncia di Palazzo Spada che ha dichiarato l’illegittimità
del provvedimento con cui una stazione appaltante aveva
disposto il differimento dell’accesso agli atti relativi al
sub procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte
presentate dalle imprese partecipanti (Cons. Stato, Sez. IV,
22.05.2012, n. 2974, in Guida al diritto, 2012, 24, 109).
Inoltre, il TAR di Roma ha dichiarato legittimo il
provvedimento di rigetto di una domanda tendente a ottenere
copia degli atti di una gara di appalto, avanzata da una
ditta che, benché non avesse partecipato alla medesima
procedura selettiva, aveva motivato la propria istanza con
riferimento alla volontà di ottenere la rinnovazione della
procedura per la propria partecipazione (TAR Lazio, Roma,
Sez. III-ter, 10.05.2011, n. 4081, in Giur. Merito, 2011, 9,
2282).
E ancora, la Sez. VI del Consiglio di Stato non ha mancato
di evidenziare il rapporto intercorrente tra la disciplina
contemplata nel Codice dei contratti pubblici e la L. n.
241/1990, all’uopo precisando che, ai sensi dell’art. 13,
D.Lgs. n. 163/2006, il carattere segreto delle informazioni
tecniche e commerciali non può inibire l’esibizione della
documentazione di gara non coinvolta da profili di
meritevole segregazione (Cons. Stato, Sez. VI, 30.07.2010,
n. 5062, in Foro amm., 2010, 7-8, 1644).
E pertanto, sulla scorta delle menzionate pronunce, si può
ragionevolmente desumere che la partecipazione a una gara di
appalto costituisce il requisito discriminante mediante il
quale un’impresa, a prescindere da una sottesa volontà
impugnatoria, può legittimamente chiedere l’esibizione dei
documenti offerti dalle altre imprese concorrenti.
Né a differenti conclusioni si giunge avuto riguardo alla
circostanza per cui i documenti potenzialmente oggetto di
accesso possano riguardare documenti afferenti le
caratteristiche tecniche di un’impresa.
Sul punto, infatti, si rileva che l’art. 13, comma 6, D.Lgs.
n. 163/2006 non costituisce una previsione derogatoria di
carattere generale, ma un’ipotesi di speciale deroga da
applicare esclusivamente nei casi in cui l’accesso sia
inibito in ragione della tutela di segreti tecnici o
commerciali, motivatamente evidenziati dalla concorrente in
sede di presentazione della offerta (commento tratto da
www.ispoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
I profili dedotti in giudizio non dimostrano che
l’offerta della seconda classificata sia nel suo insieme
inattendibile, ma riguardano singole voci, la cui
inattendibilità è stata peraltro argomentata in modo
generico.
Al contrario, l’offerta deve essere considerata, ai fini
della valutazione della sua congruità, nel suo insieme, in
quanto l’eventuale sottostima di un singolo elemento
potrebbe trovare compensazione nella sovrastima di altre
voci economiche.
---------------
Per potersi ravvisare l’interesse al ricorso occorre che
l’utilità che la parte ricorrente vuole conseguire derivi in
via immediata e secondo criteri di regolarità
dall’accoglimento dell’impugnativa, e non in via mediata da
eventi incerti o potenziali, cosicché è irrilevante che
l’offerta della nuova e potenziale aggiudicataria sia o meno
anomala, in quanto l’esito negativo del sub procedimento di
verifica rappresenta una mera eventualità.
L’eccezione è fondata, nei sensi appresso
indicati.
L’esponente, con la quarta censura, nel contestare l’offerta
della seconda classificata, ha evidenziato alcuni elementi
di incongruità della stessa, soffermandosi sulla proposta
ivi contenuta di interventi strutturali costosi e
sull’omessa considerazione dell’incremento fisiologico dei
costi di utenze e personale.
I profili dedotti, tuttavia, non dimostrano che l’offerta
della seconda classificata sia nel suo insieme
inattendibile, ma riguardano singole voci, la cui
inattendibilità è stata peraltro argomentata in modo
generico; al contrario, l’offerta deve essere considerata,
ai fini della valutazione della sua congruità, nel suo
insieme, in quanto l’eventuale sottostima di un singolo
elemento potrebbe trovare compensazione nella sovrastima di
altre voci economiche (Cons. Stato, III, 08.12.2012, n. 5238;
TAR Basilicata, I, 05.03.2010, n. 104).
Inoltre la seconda classificata, non essendo stata
interessata da procedimento di verifica di anomalia, non ha
avuto modo di produrre documenti giustificativi
dell’offerta.
Né, comunque, l’esponente potrebbe far leva sulla
circostanza che, una volta attivato il procedimento di
verifica dell’anomalia della proposta della seconda
graduata, sarebbe ipotizzabile l’esclusione di questa: in
proposito, infatti, la giurisprudenza amministrativa ha
chiarito che per potersi ravvisare l’interesse al ricorso
occorre che l’utilità che la parte ricorrente vuole
conseguire derivi in via immediata e secondo criteri di
regolarità dall’accoglimento dell’impugnativa, e non in via
mediata da eventi incerti o potenziali, cosicché è
irrilevante che l’offerta della nuova e potenziale
aggiudicataria sia o meno anomala, in quanto l’esito
negativo del sub procedimento di verifica rappresenta una
mera eventualità (Cons. Stato, VI, 02.04.2012, n. 1941; idem, IV,
n. 587/2007; TAR Campania, Salerno, I, n. 2476/2007)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 21.03.2013 n. 439 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
La conduttura realizzata dal Comune di Firenze,
costituente un tratto di fognatura destinato alla raccolta
di acque meteoriche, non è annoverabile tra le opere
idrauliche, in relazione alle quali sussiste la
giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche, poiché le
acque piovane convogliate in condutture sotterranee o in
reti fognarie non sono suscettibili di alcuna utilizzazione
idonea a soddisfare un pubblico interesse generale, ma sono
destinate al mero smaltimento.
Invero, nel caso di specie non rilevano opere afferenti le
acque pubbliche, non potendo essere qualificate come tali le
acque piovane non convogliate in un corso d’acqua o non
raccolte in invasi o cisterne preordinate al soddisfacimento
di un pubblico interesse generale.
---------------
Il Comune ha approvato il progetto esecutivo esclusivamente
in linea tecnica, senza contestuale declaratoria di pubblica
utilità, la quale è stata oggetto di approvazione
successivamente, per effetto della delibera della giunta
comunale n. 467 del 30.07.2008: il provvedimento
dichiarativo della pubblica utilità, per scelta
dell’amministrazione, nel caso in esame non è implicito
nell’atto di approvazione del progetto.
Orbene, la lesione della posizione della deducente è
configurabile solo relativamente alla dichiarazione di
pubblica utilità, la quale soltanto comporta
l’affievolimento ad interesse legittimo del diritto
soggettivo del proprietario e la costituzione, in capo
all’Ente, del potere espropriativo avente ad oggetto i
terreni sui quali l’opera dovrà essere allocata, mentre
l’approvazione del progetto in linea meramente tecnica
costituisce atto endoprocedimentale, come tale di per sé non
impugnabile.
---------------
La tempestiva impugnazione della declaratoria di pubblica
utilità dell’opera esime il ricorrente dal seguire il
prosieguo dell’iter procedurale, avendo l’eventuale
annullamento degli atti presupposti un effetto non già
meramente viziante, ma caducante sul decreto espropriativo
della proprietà o, come nel caso di specie, sul decreto
espropriativo di un diritto reale minore.
E’ stato eccepito il difetto di giurisdizione, sull’assunto
che la controversia in esame, riguardando l’occupazione di
aree finalizzata all’esecuzione di opere idrauliche, sarebbe
devoluta alla competenza del Tribunale delle acque pubbliche
ex art. 140, comma 1, lett. d, del R.D. n. 1775/1933.
L’eccezione non può essere accolta.
La conduttura realizzata dal Comune di Firenze, costituente
un tratto di fognatura destinato alla raccolta di acque
meteoriche, non è annoverabile tra le opere idrauliche, in
relazione alle quali sussiste la giurisdizione del Tribunale
delle acque pubbliche, poiché le acque piovane convogliate
in condutture sotterranee o in reti fognarie non sono
suscettibili di alcuna utilizzazione idonea a soddisfare un
pubblico interesse generale, ma sono destinate al mero
smaltimento (ex multis: Cass. civ., I, 11.01.2001, n.
315).
Invero nel caso di specie non rilevano opere afferenti le
acque pubbliche, non potendo essere qualificate come tali le
acque piovane non convogliate in un corso d’acqua o non
raccolte in invasi o cisterne preordinate al soddisfacimento
di un pubblico interesse generale (TAR Puglia, Lecce, I,
25.01.2012, n. 120; idem, 08.04.2004, n. 2396; TAR Veneto,
III, 04.12.2006, n. 3991).
---------------
La società Il Poggio
ha altresì eccepito l’irricevibilità del ricorso, osservando
che la deliberazione di approvazione del progetto era
conosciuta dalla ricorrente prima dei sessanta giorni
precedenti la notifica dell’impugnativa.
L’obiezione non è condivisibile.
Il Comune, con deliberazione n. 15 del 15.01.2008, ha
approvato il progetto esecutivo esclusivamente in linea
tecnica, senza contestuale declaratoria di pubblica utilità,
la quale è stata oggetto di approvazione successivamente,
per effetto della delibera della giunta comunale n. 467 del
30.07.2008: il provvedimento dichiarativo della pubblica
utilità, per scelta dell’amministrazione, nel caso in esame
non è implicito nell’atto di approvazione del progetto.
Orbene, la lesione della posizione della deducente è
configurabile solo relativamente alla dichiarazione di
pubblica utilità, la quale soltanto comporta
l’affievolimento ad interesse legittimo del diritto
soggettivo del proprietario e la costituzione, in capo
all’Ente, del potere espropriativo avente ad oggetto i
terreni sui quali l’opera dovrà essere allocata, mentre
l’approvazione del progetto in linea meramente tecnica
costituisce atto endoprocedimentale, come tale di per sé non
impugnabile (Cons. Stato, IV, 06.02.1995, n. 73; idem,
16.03.2010, n. 1540; TAR Friuli Venezia Giulia, 17.12.2009,
n. 835).
Pertanto, il termine di ricorso non poteva che decorrere
dalla conoscenza della seconda delibera, adottata nel luglio
2008, la quale costituisce il primo atto con cui il Comune
ha dato avvio alla procedura costitutiva della servitù.
Il Collegio osserva ulteriormente che non può rilevare,
quale motivo di inammissibilità del gravame, la mancata
impugnazione del provvedimento dirigenziale n. 6871 del
18.06.2009, con cui il Comune ha costituito la servitù
permanente di fognatura e di passo e transito (documento n.
21 depositato in giudizio dall’Ente).
Invero, l’impugnazione dell’atto preparatorio fa sì che non
sia necessaria l’impugnazione del provvedimento finale
allorquando tra i due atti vi sia un rapporto di
presupposizione–consequenzialità immediata e diretta, nel
senso che la determinazione successiva si pone come
inevitabile conseguenza di quella precedente, perché non vi
sono nuove e ulteriori valutazioni di interessi.
Su tale premessa la giurisprudenza amministrativa ha
costantemente statuito che la tempestiva impugnazione della
declaratoria di pubblica utilità dell’opera esime il
ricorrente dal seguire il prosieguo dell’iter procedurale,
avendo l’eventuale annullamento degli atti presupposti un
effetto non già meramente viziante, ma caducante sul decreto
espropriativo della proprietà o, come nel caso di specie,
sul decreto espropriativo di un diritto reale minore (ex
multis: Cons. Stato, IV, 12.07.2007, n. 3984; TAR
Campania, Napoli, V, 13.11.2007, n. 12105; TAR Sicilia,
Palermo, III, 04.11.2009, n. 1726) (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 21.03.2013 n. 433 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Senza contratto appalti deboli. Gara annullabile anche se l'impresa ha già lavorato.
Per il Tar Puglia la pubblica
amministrazione può rimettere tutto in discussione.
Appeso a un filo l'appalto con la p.a. se non si firma il
relativo contratto. L'ente pubblico può sempre annullare
l'appalto, anche se ha chiesto all'impresa vincitrice di
eseguire d'urgenza le opere o il servizio e, addirittura,
anche se l'appalto è stato portato a termine o quasi. Se
manca la sottoscrizione del contratto, infatti, la procedura
ad evidenza pubblica non si conclude, e la p.a. può
rimettere tutto in discussione.
È quanto stabilito dal TAR Puglia-Bari, Sez. I, con la
sentenza
21.03.2013 n. 424.
Nel caso concreto un comune pugliese ha indetto una gara
pubblica per l'affidamento del servizio di trasporto
scolastico degli alunni delle scuole elementari e medie.
Alla ditta risultata aggiudicataria è stato chiesto di
eseguire il servizio in via d'urgenza. L'impresa ha quindi
iniziato ad adempiere ai suoi obblighi, senza firmare alcun
contratto.
Quando ormai il periodo dell'affidamento del servizio
volgeva al termine, è accaduto che l'amministrazione, a
seguito di accertamenti espletati dalla polizia municipale,
ha contestato gravi inadempienze all'impresa. Più
precisamente, alla ditta è stato rimproverato di non aver
fornito alla stazione appaltante copia del contratto di
avvalimento concluso con altra azienda, grazie al quale era
riuscita a vincere la gara; inoltre, secondo la
ricostruzione degli agenti, la ditta avrebbe utilizzato
autisti e mezzi vietati dal capitolato speciale di appalto.
Per questi motivi, il Comune ha «revocato» –dal nome del
provvedimento adottato– l'affidamento, interrompendo
l'esecuzione della prestazione in corso.
La ditta si è quindi rivolta al Tribunale amministrativo per
la regione Puglia, contestando la decisione assunta
dall'amministrazione.
Nel dettaglio, la difesa della ricorrente, ha sottolineato
come il provvedimento di revoca, emesso quando ormai
mancavano quindici soli giorni alla scadenza del rapporto,
fosse in realtà un annullamento d'ufficio emesso in
autotutela ai sensi dell'articolo 21-nonies della legge n.
241/1990. Da qui, oltre a denunciare l'assenza, nel caso
concreto, dei presupposti per l'esercizio dell'annullamento,
è stata denunciata l'illegittima lesione dell'affidamento
ingenerato dalla stazione appaltante in ordine al buon
diritto dell'impresa a portare a termine il servizio
appaltato.
Si è poi contestato come, in ogni caso, le gravi
inadempienze che avevano indotto l'amministrazione ad
«annullare» l'aggiudicazione non potessero -in alcun modo-
porsi a fondamento del potere di autotutela, attenendo le
stesse alla fase dell'esecuzione del rapporto, ossia alla
fase successiva alla procedura ad evidenza pubblica. Né,
infine, poteva giustificare l'annullamento della gara la
mancata produzione del contratto di avvalimento, posto che
l'amministrazione, dopo aver affidato il servizio, se ne era
sempre disinteressata.
Il Tar Puglia, nel propendere per il rigetto del ricorso, ha
preliminarmente fatto chiarezza sulla qualificazione
giuridica del provvedimento impugnato, per poi soffermarsi
sulla legittimità dei presupposti che ne avrebbero
legittimato l'adozione.
Con riferimento al primo problema, i giudici pugliesi hanno
osservato come il potere di esatta qualificazione giuridica
del provvedimento amministrativo impugnato, posto che si
fonda sull'analisi del suo contenuto effettivo e della sua
causa reale, spetti al giudice investito dalla controversia,
il quale può legittimamente prescindere dal nomen iuris
formalmente attribuito dall'amministrazione all'atto
adottato. Ciò poiché «l'apparenza derivante da una
terminologia, eventualmente imprecisa o impropria,
utilizzata nella formulazione testuale dell'atto stesso non
è vincolante, né può prevalere sulla sostanza e neppure
determina di per sé un vizio di legittimità dell'atto,
purché ovviamente sussistano i presupposti formali e
sostanziali corrispondenti al potere effettivamente
esercitato».
Una volta stabilito che si trattava di «annullamento» e non
di «revoca», i giudici del Tar hanno concentrato
l'attenzione sulla sussistenza dei presupposti legittimanti
l'adozione dell'atto: fra tutti, l'interesse pubblico,
rinvenuto nella necessità di garantire il trasporto incolume
dei minori cui è adibito il servizio.
Quanto agli altri presupposti si è detto che l'incompletezza
o, meglio, l'assenza del contratto di avvalimento debba, a
tutti gli effetti, ritenersi un valido motivo per
annullarla, e ciò quand'anche l'affidamento del servizio sia
ormai prossimo a scadere.
Con riferimento, invece, alla eccezione relativa
all'irrilevanza delle gravi inadempienze poste in essere
dalla ditta nel corso dell'esecuzione del servizio ai fini
dell'annullamento della procedura a evidenza pubblica, il
Tar Puglia ha spiegato che, nonostante la provvisoria
consegna del servizio, il mancato esaurimento della
procedura pubblicistica impedisce l'attrazione della
controversia nell'alveo della fase esecutiva, mancando il
necessario presupposto dato dalla stipulazione del
contratto.
Pertanto l'esecuzione in via d'urgenza del servizio, in
assenza della sottoscrizione del relativo contratto, non
impedisce alla stazione appaltante di annullare in
autotutela l'aggiudicazione definitiva, e ciò anche quando
il rapporto sia ormai prossimo a scadere (tratto da ItaliaOggi Sette del 12.08.2013). |
APPALTI:
Patroni Griffi contraddice l'Autorità:
contratti elettronici anche per i cottimi fiduciari.
La stipula va fatta sempre con la nuova formula
telematica. No all'interpretazione dell'Autorità che
apriva all'uso della carta per le scritture private.
Il contratto
elettronico sarà obbligatorio sempre anche per le
scritture private. Il ministero della Funzione
pubblica ha da poco diffuso la
nota 28.02.2013 n. 77 di prot. con la quale
chiarisce alcuni dubbi sulla stipulazione dei
contratti in forma digitale, prevista dall'articolo
11, comma 13, del Codice appena modificato dal
decreto sviluppo-bis (Dl 179/2012). E, nello
sgombrare il campo dalle incertezze esistenti tra le
imprese, la circolare ne crea di nuove: il
documento, infatti, si distacca, in alcuni passaggi,
dalla
determinazione 13.02.2013 n. 1/2013
dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici,
che aveva affrontato il problema un mese fa.
La nota, a firma del capo dell'ufficio legislativo
del ministero e datata 28 febbraio, affronta
l'interpretazione della norma entrata in vigore a
partire dal primo gennaio 2013, che prevede la
stipulazione dei contratti di appalto, «a pena di
nullità, con atto pubblico notarile informatico,
ovvero, in modalità elettronica secondo le norme
vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma
pubblica amministrativa a cura dell'ufficiale
rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o
mediante scrittura privata».
Secondo Palazzo Vidoni, i contratti elettronici
dovranno essere sottoscritti sempre in forma
elettronica, che diventa così «l'unica forma
scritta richiesta a pena di nullità per tutti i
contratti pubblici». Il documento informatico,
infatti, è prescritto «non solo per la validità
dei contratti rogati con atto pubblico notarile, ma
anche per quelli stipulati con atto pubblico
amministrativo o con scrittura privata».
Una differenza netta rispetto alla posizione
espressa dalla determinazione dell'Autorità, che
aveva sottolineato come, invece, esista ancora la
possibilità di «preferire la forma cartacea o
forme equipollenti ammesse dall'ordinamento» nel
caso di scrittura privata. Si crea, così, un piccolo
caso, dal momento che la sanzione per chi non
rispetta la legge è la nullità del contratto. Per
evitare problemi gravi, allora, bisognerà rispettare
l'interpretazione del ministero piuttosto che quella
dell'Avcp.
Sarà, comunque, possibile organizzarsi per tempo,
dal momento che la nota obbliga le pubbliche
amministrazioni a indicare esplicitamente nel bando
la disciplina applicabile al momento della
sottoscrizione del contratto da parte
dell'aggiudicatario. In questo modo l'impresa avrà
modo di verificare con anticipo il possesso dei
requisiti richiesti dal disciplinare di gara.
Una buona notizia, invece, arriva in materia di
firma digitale. Il decreto non ne parla
esplicitamente e, per questo, il ministero ritiene
che non esista un obbligo generale per le aziende di
dotarsi dello strumento. Sarà la Pa che sottoscrive
il contratto insieme all'impresa o, in alternativa,
il notaio a doversi assumere un onere extra, nel
caso in cui i privati non siano dotati di firma
digitale, attestando la veridicità della
sottoscrizione. Anche nel caso in cui ci sia una
semplice firma autografa scannerizzata.
La buona notizia, comunque, è solo parziale perché
nel caso di sottoscrizione tramite scrittura privata
non è prevista, per definizione, la presenza di una
pubblica amministrazione o di un notaio che possano
attestare la veridicità della firma. E, quindi, non
si potrà applicare la scappatoia indicata da Palazzo
Vidoni. Resta, allora, l'urgenza per tutte le
imprese di dotarsi al più presto di una firma
elettronica, sottolineata anche dall'Ance.
Soprattutto perché questo strumento servirà per
l'utilizzo del sistema Avcpass, obbligatorio per la
maggior parte degli appalti a partire dal prossimo
primo luglio
(articolo Edilizia e
Territorio del 21.03.2013 tratto da http://venetoius.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'affido di servizi pubblici con bando è legittimo. La Consulta ribadisce il principio: le gare indice di
virtuosità.
È costituzionalmente legittimo prevedere l'obbligo di
affidamento dei servizi pubblici con procedura ad evidenza
pubblica e stabilire che il maggiore ricorso all'affidamento
in gara costituisca indice di «virtuosità» per gli enti
locali.
È quanto afferma la Corte costituzionale nella
sentenza 20.03.2013 n. 46 che
si è pronunciata su diverse norme del decreto-legge 1/2012
convertito dalla legge 27/2012 su un ricorso presentato
dalla Regione Veneto.
Fra le diverse censure avanzate dalla Regione Veneto una
riguardava l'adozione obbligatoria della procedura ad
evidenza pubblica per l'affidamento dei servizi, e non le
procedure in house, ritenuta in contrasto ai sensi dell'art.
117, comma primo, della Costituzione con la disciplina
comunitaria, che non esclude affatto la possibilità
dell'affidamento in house e in violazione della
competenza legislativa regionale.
Inoltre, si sosteneva nel ricorso, la normativa nazionale,
escludendo nei fatti la possibilità di affidamenti in house
(in seguito a una valutazione negativa operata ex ante),
non considera che questa tipologia di affidamento di servizi
può essere in concreto più efficiente e virtuosa e finisce
per privare gli enti territoriali della possibilità di
valutare le proprie esigenze e di scegliere la modalità di
gestione dei servizi a loro più convenienti.
Su questo punto la Corte conferma la legittimità della
normativa affermando che la disciplina delle procedure ad
evidenza pubblica è stata costantemente ricondotta dalla
giurisprudenza costituzionale alla materia «tutela della
concorrenza», con la conseguente titolarità da parte
dello Stato della potestà legislativa esclusiva. In
particolare la Corte motiva la conferma della legittimità
delle norme impugnate dalla Regione con la considerazione
che «l'intervento normativo statale, con il decreto legge
n. 1 del 2012, si prefigge la finalità di operare,
attraverso la tutela della concorrenza (liberalizzazione),
un contenimento della spesa pubblica» e che tale scopo
viene ritenuto perseguibile con l'affidamento dei servizi
pubblici locali con il meccanismo delle gare ad evidenza
pubblica, in quanto «dovrebbe comportare un risparmio dei
costi ed una migliore efficienza nella gestione».
È in questa ottica –dice la sentenza– e in coerenza con la
normativa comunitaria che il legislatore ha deciso, da un
lato di promuovere l'affidamento dei servizi pubblici locali
a terzi e/o a società miste pubblico/private e, dall'altro
lato, di contenere il fenomeno delle società in house.
La scelta, operata nel 2012, di prevedere come uno degli
elementi di valutazione di «virtuosità» degli enti
l'applicazione di procedure di affidamento dei servizi ad
evidenza pubblica ha, secondo la sentenza, il pregio di non
privare le Regioni e gli altri enti territoriali delle loro
competenze e di limitarsi a valutare il loro esercizio ai
fini dell'attribuzione del «premio», ovvero della
coerenza o meno alle indicazioni del legislatore statale,
che –comunque– ha agito nell'esercizio della sua competenza
esclusiva in materia di concorrenza.
Viene infine confermata anche la legittimità della
sottoposizione delle società in house ai vincoli derivanti
dal patto di Stabilità, dal momento che con tale
disposizione si è, infatti, reso legislativamente esplicito
un adempimento di origine comunitaria rientrante in quei
contenuti minimi non derogabili cui fa riferimento la
sentenza n. 325 del 2010
(articolo ItaliaOggi del
21.03.2013). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U.
20.03.2013 n. 67 "Criteri generali di sicurezza relativi
alle procedure di revisione, integrazione e apposizione
della segnaletica stradale destinata alle attività
lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare"
(Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali,
decreto 04.03.2013). |
APPALTI:
La stazione appaltante deve consentire l'integrazione della
cauzione insufficiente.
La stazione appaltante non può disporre l'esclusione del
concorrente che abbia presentato la cauzione di importo
inferiore a quello richiesto.
Così ha stabilito il Tar
Sicilia nella sentenza in commento. Inoltre il principio di
tassatività delle cause di esclusione, secondo i giudici
amministrativi isolani, si applica anche per gli appalti di
cui all'art. 20, allegato IIB del D.Lgs n. 163 del 2006.
La
disposizione dell'art. 75, D.Lgs n. 163 del 2006, (Codice
dei contratti pubblici), va intesa, alla luce del principio
di tassatività delle cause di esclusione, nel senso che la
stazione appaltante non può disporre l'esclusione del
concorrente che abbia presentato la cauzione di importo
inferiore a quello richiesto, e in applicazione della regola
di cui all'art. 46, c. 1, del Codice dei contratti pubblici,
deve consentire la regolarizzazione degli atti,
tempestivamente depositati, ovvero consentire l'integrazione
della cauzione insufficiente. Il principio di tassatività
delle cause di esclusione così come previsto dall'art. 46,
c. 1-bis, del D.Lgs n. 163 del 2006, aggiunto dall'art. 4,
II c., n. 2, lett. "d" del D.L. n. 70 del 2011, si applica
anche per gli appalti di cui all'art. 20, allegato IIB.
E'
pacificamente riconosciuto in giurisprudenza, infatti, che
la riconducibilità del servizio appaltato all'All. II B non
esonera le amministrazioni aggiudicatrici dall'applicazione
dei principi generali in materia di affidamenti pubblici
desumibili dalla normativa comunitaria e nazionale e, in
particolare dei principi di imparzialità e buon andamento
dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost..
E, del
resto, è lo stesso art. 27 del Codice dei contratti pubblici
che, proprio con riferimento alle prestazioni di cui
all'allegato IIB, pone l'obbligo per le Amministrazioni di
disporre siffatti affidamenti rientranti nell'ambito di
applicazione oggettiva del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006,
"nel rispetto dei principi di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità" (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 19.03.2013 n. 647 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
labirinto-trasparenza, guida a tutti i nuovi obblighi delle
amministrazioni.
Si moltiplicano i vincoli di pubblicità per le
amministrazioni alle prese con i lavori pubblici. In una
maxi-tabella la guida a cosa (e quando) pubblicare, atto per
atto.
All'insegna di
una sempre più penetrante attuazione del principio di
trasparenza aumentano in maniera esponenziale gli obblighi
di pubblicità cui sono tenuti gli enti committenti in
relazione all'affidamento e all'esecuzione dei contratti
pubblici. Agli adempimenti tradizionali previsti da tempo
dal Dlgs 163/2006, si aggiungono quelli introdotti dal
decreto legislativo sulla trasparenza (già approvato dal
Consiglio dei ministri e in attesa di pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale) –emanato in attuazione della legge
190/2012– e, da ultimo, quelli imposti dal Dm 26.02.2013.
Ne deriva un quadro complesso,
riassunto in questa maxi-tabella, non pienamente
coordinato e con inevitabili sovrapposizioni. L'effetto
pratico è che, al di là della condivisibile esigenza di
incrementare il livello di trasparenza nel settore dei
contratti pubblici, si delinea è un percorso tutt'altro che
agevole per gli enti committenti. Aumentano i dati da
pubblicare, si moltiplicano le comunicazioni e le modalità
di pubblicazione e cresce il rischio di incorrere in
sanzioni per il mancato adempimento agli obblighi di
pubblicità.
In questo contesto, non si può realisticamente ignorare che,
a fronte dei benefici conseguenti all'innalzamento del
livello di trasparenza, vi è comunque un costo da
considerare in termini di appesantimento della macchina
amministrativa. L'esatto adempimento di tutti gli obblighi
di pubblicità comporta necessariamente un significativo
impiego di risorse, in termini di tempi e di costi. Volendo
cercare di seguire velocemente il percorso degli obblighi di
pubblicità, si comincia con la pubblicazione sul sito
informatico del Mit del programma triennale e dell'elenco
annuale delle opere pubbliche (articolo 128, Dlgs 163). Vi
sono poi gli usuali strumenti di pubblicità relativi alla
singola gara, che vanno dall'eventuale avviso di
preinformazione, al bando fino all'avviso sui risultati
della procedura di aggiudicazione (tutti previsti dal Dlgs
163).
I dati relativi all'affidamento e all'esecuzione di tutti i
contratti di importo superiore a 50.000 euro devono poi
essere trasmessi all'Osservatorio presso l'Autorità dei
contratti pubblici (articolo 7, comma 8, Dlgs 163). Mentre
dati analoghi relativi a ogni procedura di gara devono
essere contemporaneamente pubblicati sui siti web
istituzionali degli stessi enti appaltanti (articolo 1,
comma 32, legge 190/2012). Con una inevitabile
sovrapposizione, è poi previsto anche che, sempre in
relazione alle procedure di gara effettuate, un'altra serie
di dati –parzialmente coincidenti con quelli di cui sopra–
devono essere pubblicati, con aggiornamento semestrale,
nella sezione «amministrazione trasparente» dei
rispettivi siti istituzionali (articolo 23 Dlgs sulla
trasparenza).
I dati complessivi relativi a tutte le procedure di gara
vanno poi trasmessi, in forma di tabella riassuntiva,
all'Autorità dei contratti pubblici con cadenza annuale
(articolo 1, comma 32, legge 190/2012). Sempre nella sezione
«amministrazione trasparente» vanno poi inseriti i
dati delle opere pubbliche relativi alla programmazione (che
si sovrappongono a quelli contenuti nel programma
triennale), alla valutazione degli investimenti, ai tempi,
ai costi e agli indicatori di realizzazione (articolo 38,
Dlgs sulla trasparenza). Mentre una serie molto articolata
di dati, relativi a tutto il ciclo di realizzazione
dell'opera (dal finanziamento, all'affidamento dei lavori,
all'esecuzione) vanno trasmessi alla banca dati istituita
presso la Ragioneria generale dello Stato (ma quest'obbligo
di trasmissione non sussiste per i dati già trasmessi
all'Autorità dei contratti pubblici, che tuttavia non
coincidono integralmente con quelli destinati alla
Ragioneria) (Dm 26.02.2013).
Infine, sempre sui rispettivi siti istituzionali, ogni ente
deve pubblicare l'indicatore dei tempi di pagamento relativo
ad acquisti di beni, servizi e forniture (articolo 33 Dlgs
sulla trasparenza) (articolo
Edilizia e Territorio del 19.03.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Nel
quadro normativo derivante dal d.lgs. 12.04.2006, n. 163,
sussiste l'unica categoria della concessione di lavori
pubblici, onde non è più consentita la precedente
distinzione tra concessione di sola costruzione e
concessione di costruzione e gestione dell'opera, ove
prevale il profilo autoritativo della traslazione delle
pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e
direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti
implicazioni in tema di riparto di giurisdizione; ciò in
quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica
dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della
concessione di costruzione, ma la controprestazione
principale e tipica a favore del concessionario, come
risulta dall'art. 143 del codice, con la conseguenza che le
controversie relative alla fase di esecuzione appartengono
alla giurisdizione ordinaria.
In sostanza, l'applicazione del precedente criterio di
ripartizione delle giurisdizioni con riferimento alla natura
concessoria del rapporto con il Comune -che aveva indotto la
giurisprudenza di legittimità, nella vigenza della L. n. 109
del 1994, a distinguere le concessioni di soli lavori
equiparate agli appalti da quelle di costruzione e di
gestione riservate, ex articolo 5 della legge n. 1034 del
1971, alla giurisdizione esclusiva- non è più attuale,
dovendo essere ricondotti tali rapporti indistintamente
nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto pubblico.
- considerato che, con le delibere impugnate, il Comune
resistente ha provveduto alla “revoca” dell’affidamento in
concessione del diritto di superficie di alcuni suoli
comunali per la progettazione, realizzazione e gestione di
una rete di impianti fotovoltaici;
-
rilevato che, al di là del nomen iuris utilizzato, dalle
circostanze poste a fondamento degli atti impugnati e dal
tenore degli stessi emerge chiaramente che si tratta, in
realtà, di manifestazioni della volontà dell’amministrazione
resistente di sciogliersi dal rapporto con la ricorrente,
per asserito inadempimento di quest’ultima agli obblighi
assunti con la concessione in esame, nei termini da essa
previsti;
-
considerato che, secondo la giurisprudenza prevalente (cfr.
Cassazione ss.uu. sentenze n. 14958 del 2011 e n. 28804 del
2011; Consiglio di Stato, sentenza n. 236 del 2013), nel
quadro normativo derivante dal d.lgs. 12.04.2006, n.
163, sussiste l'unica categoria della concessione di lavori
pubblici, onde non è più consentita la precedente
distinzione tra concessione di sola costruzione e
concessione di costruzione e gestione dell'opera, ove
prevale il profilo autoritativo della traslazione delle
pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e
direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti
implicazioni in tema di riparto di giurisdizione; ciò in
quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica
dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della
concessione di costruzione, ma la controprestazione
principale e tipica a favore del concessionario, come
risulta dall'art. 143 del codice, con la conseguenza che le
controversie relative alla fase di esecuzione appartengono
alla giurisdizione ordinaria;
-
ritenuto che, in sostanza, l'applicazione del precedente
criterio di ripartizione delle giurisdizioni con riferimento
alla natura concessoria del rapporto con il Comune -che
aveva indotto la giurisprudenza di legittimità, nella
vigenza della L. n. 109 del 1994, a distinguere le
concessioni di soli lavori equiparate agli appalti da quelle
di costruzione e di gestione riservate, ex articolo 5 della
legge n. 1034 del 1971, alla giurisdizione esclusiva- non è
più attuale, dovendo essere ricondotti tali rapporti
indistintamente nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto
pubblico
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 18.03.2013 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In merito all’interpretazione dell’art. 11, comma
13, del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 che dal 01.01.2013 risulta
così modificato: “il contratto è stipulato a pena di
nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in
modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna
stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura
dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o
mediante scrittura privata…” la sezione ritiene che:
a) la comminatoria di nullità prevista dalla norma è
riferita a tutte le forme ad substantiam di stipulazione
previste dalla citata disposizione;
b) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata
(scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter
absentes), in caso di trattativa privata, conservano piena
validità le forme di stipulazione, previste dall'art. 17 del
R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è prevista
anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n.163);
c) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve
avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista
quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o
di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo
ancora validamente stipulabile il contratto in forma
pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
d) l’adozione del rogito notarile condurrà invece
all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile,
alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione
normativa;
e) la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante …" riferita alla modalità elettronica della
stipulazione dei contratti è da intendersi non come potere
della singola stazione appaltante di autodeterminazione, ma
come rinvio ad una normativa tecnica, di rango legislativo o
regolamentare, di fonte statale (artt. 117, comma 2, lett.
l, Cost.), che detti i precetti in modo uniforme sulla
compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva
degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità
elettronica.
---------------
Il sindaco del comune di Varese, mediante nota n. 9548 del
07.02.2013, ha posto un quesito in merito
all’interpretazione dell’art. 11, comma 13, del D.Lgs.
12.04.2006 n. 163 che dal 01.01.2013 risulta così
modificato: “il contratto è stipulato a pena di nullità,
con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità
elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura
dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o
mediante scrittura privata…”.
In particolare il sindaco, dopo aver richiamato i
lavori preparatori del legislatore, pone i seguenti
quesiti:
a)
se la comminatoria di nullità prevista dalla norma sia
riferibile alla necessità della forma scritta ad
substantiam, ovvero anche alle modalità di stipulazione
previste dalla norma; in quest'ultima ipotesi non
risulterebbero più utilizzabili le forme di stipulazione,
alternative alla scrittura privata, previste dall'art. 17
del R.D. 18.11.1923 n. 2440;
b)
se la stipulazione in forma pubblica amministrativa debba
avvenire esclusivamente in modalità elettronica, ovvero sia
possibile ancora stipulare il contratto in forma pubblica
amministrativa su supporto cartaceo, come sembra emergere
chiaramente dalle schede di lettura, allegate al progetto di
legge. Tale conclusione appare avvalorata dal tenore
letterale della norma laddove il legislatore ha aggiunto la
specificazione "…informatico…" esclusivamente
all'atto pubblico notarile -prevedendo in tal caso un
obbligo di utilizzo dell'atto notarile informatico nel caso
di stipulazione tramite notaio esterno all'amministrazione
appaltante- e non anche alla “…forma pubblica
amministrativa…";
c)
se la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna
stazione appaltante …" riferita alla modalità
elettronica della stipulazione dei contratti sia da
intendere come rinvio ad una legislazione tecnica generale,
che detti norme sulla compilazione, sottoscrizione e
conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti
stipulati in modalità elettronica, ovvero demandi a ciascuna
stazione appaltante il potere di determinare autonomamente
tali parametri tecnici.
...
L’art. 6, comma 4, del D.L. 18.10.2012, n. 179, convertito
nella legge 17.12.2012, n. 221 ha disposto che le norme di
cui all’art. 6, comma 3, si applicano a partire dal
01.01.2013. Fra le disposizioni ivi richiamate è ricompresa
la norma oggetto del presente parere, a tenore della quale,
il legislatore, innovando la disciplina sulla forma dei
contratti stipulati dalla pubblica amministrazione
nell’ambito del codice degli appalti, ha modificato l’art.
11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, prescrivendo
che: “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con
atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità
elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura
dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o
mediante scrittura privata”.
Si pone a confronto la previgente edizione della norma, che
testualmente recitava: ”il contratto è stipulato mediante
atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica
amministrativa a cura dell’ufficiale rogante
dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante
scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le
norme vigenti per ciascuna stazione appaltante”.
Preliminarmente, si osserva che la disciplina generale sulla
forma dei contratti pubblici è contenuta nella legge di
contabilità generale dello Stato (art. 16, 17 e 18 del R.D.
18.11.1923, n. 2440) tuttora vigente.
La legge di contabilità dello Stato prescrive il requisito
della forma scritta ad substantiam per tutti i
contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, anche
quando essa agisca iure privatorum; forma scritta
declinata mediante i canoni della forma pubblica
amministrativa (art. 16 R.D. 18.11.1923, n. 2440), salve le
ipotesi derogatorie tipizzate descritte all’art. 17 del R.D.
citato, in cui è consentita l’adozione della scrittura
privata e la conclusione a distanza a mezzo di
corrispondenza.
Il rapporto fra le due disposizioni è regolato dal principio
di specialità, atteso che la disposizione in tema di
contabilità di Stato è applicabile ad ogni tipo contrattuale
stipulato dalla Pubblica Amministrazione, mentre la
disciplina prevista dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163 è applicabile solo alla materia regolata
dal Codice degli Appalti.
Sotto il profilo contenutistico si evidenzia, inoltre, che
il novero delle forme ad substantiam previste dal
citato art. 11, comma 13, ha una portata più ampia rispetto
alla citata legge di contabilità, poiché promuove l’adozione
di innovative forme di documentazione dell’attività
contrattuale in cui è parte la Pubblica Amministrazione.
Tradizionalmente, si osserva che la forma scritta ad
substantiam garantisce la certezza nei rapporti
giuridici a contenuto patrimoniale in cui è parte la
Pubblica Amministrazione e si pone quale regime speciale sia
rispetto al principio di libertà della forma previsto nel
codice civile, salve le ipotesi espressamente previste di
atti che devono essere redatti per atto pubblico o per
scrittura privata sotto pena di nullità (art. 1350 c.c.),
sia rispetto al principio generale di libertà della forma
dell’atto amministrativo.
La recente riformulazione dell’art. 11, comma 13, del Codice
degli Appalti sancisce la nullità testuale per carenza delle
forme alternative ad substantiam. Accanto alla forma
scritta, tipica della forma pubblica amministrativa e della
scrittura privata, la legge prescrive la forma digitale per
l’atto pubblico notarile (informatico), nonché la modalità
elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante.
In sintesi, la difformità testuale rispetto alla precedente
formula legislativa si compendia nella:
1) previsione della nullità testuale per difetto delle forme
ad substantiam indicate dalla norma;
2) superamento della tassatività della forma scritta
cartacea, mediante la previsione di forme alternative ad
substantiam;
3) attribuzione dell’aggettivo “informatico” all’atto
pubblico notarile;
4) dequotazione della forma elettronica a “modalità
elettronica” secondo le norme vigenti per ciascuna
stazione appaltante.
La disposizione ha inteso adeguare alle moderne tecnologie
l’utilizzo delle forme contrattuali in cui è trasfusa la
volontà della pubblica amministrazione, aggiungendo, ma non
sostituendo alle tradizionali forme scritte cartacee la
forma pubblica elettronica e/o digitale, con l’avvertenza
che qualora le norme vigenti per la singola stazione
appaltante (regolamentari o di legge) prevedessero
l’adozione della sola modalità elettronica, l’utilizzo di
altra metodologia di documentazione, ancorché scritta o
cartacea, in violazione delle norme speciali, sarebbe
affetta da nullità assoluta.
Ciò posto, al fine di rispondere ai singoli quesiti
prospettati dall’amministrazione, alla luce del chiaro dato
testuale, la Sezione si ritiene che:
a) la comminatoria di nullità prevista
dalla norma è riferita a tutte le forme ad substantiam
di stipulazione previste dalla citata disposizione;
b) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata
(scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter
absentes), in caso di trattativa privata, conservano
piena validità le forme di stipulazione, previste dall'art.
17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è
prevista anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163);
c) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve
avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista
quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o
di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo
ancora validamente stipulabile il contratto in forma
pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
d) l’adozione del rogito notarile condurrà invece
all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile,
alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione
normativa;
e) la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante …" riferita alla modalità elettronica della
stipulazione dei contratti è da intendersi non come potere
della singola stazione appaltante di autodeterminazione, ma
come rinvio ad una normativa tecnica, di rango legislativo o
regolamentare, di fonte statale (artt. 117, comma 2, lett.
l, Cost.), che detti i precetti in modo uniforme sulla
compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva
degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità
elettronica
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 18.03.2013 n. 97). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Parere della corte dei conti. Paletti agli acquisti
oltre soglia comunitaria.
La possibilità per un ente locale di ricorrere
all'acquisto di beni e servizi di importo inferiore alla
soglia comunitaria, nonostante lo stesso sia tenuto ad
avvalersi del Mercato elettronico della Pubblica
amministrazione (ME.PA) o di altri mercati elettronici, è
ammessa solo nell'ipotesi in cui non si riesca a reperire il
bene in tali mercati, ovvero, quando il bene ivi reperito
non è equipollente o sostituibile con quello che necessita
all'ente.
Occorre, pertanto, che l'ente attui una verifica preliminare
in tal senso, ben sapendo che, in caso contrario, il
contratto stipulato sarà nullo e, per il dirigente che lo
sottoscrive, sarà avviata un'azione disciplinare con
conseguente apertura di una parallela azione di
responsabilità amministrativa a suo carico.
È quanto mette nero su bianco la Sez. regionale di controllo
della Corte dei Conti per la Regione Lombardia, nel testo
del
parere 18.03.2013 n. 92,
con cui fa chiarezza sugli effetti del decreto legge n.
52/2012, in relazione all'obbligo per gli enti locali di
avvalersi del mercato elettronico per gli acquisti di beni e
servizi.
Il parere nasce dalla richiesta formulata alla Corte
lombarda dall'amministrazione comunale di Rovello Porro
(Co), in cui viene espressa la perplessità di doversi
rivolgere al mercato elettronico anche per gli acquisti al
di sotto della soglia di rilievo comunitario. Per la Corte,
dopo aver svolto un breve excursus normativo sul
punto, è pacifico che dal 9 maggio dello scorso anno, per
effetto dell'articolo 7, comma 2, del citato dl n. 52, anche
gli enti locali sono tenuti a rivolgersi ai soglia.
Tuttavia, ammette la Corte, residua una possibilità. Ovvero
che il ricorso ad acquisti al di fuori di tali mercati, è
possibile nelle sole ipotesi in cui i beni che necessitano
all'ente non possono essere reperiti.
Quindi, nella fase amministrativa di determinazione a
contrarre, l'ente dovrà evidenziare le caratteristiche del
bene e della prestazione, di avere effettuato il preventivo
accertamento della insussistenza degli stessi sui mercati
elettronici disponibili e, quando necessario, dovrà indicare
la motivazione sulla non equipollenza o sostituibilità con
altri beni o servizi presenti nei mercati elettronici. In
poche parole, si può ricorrere a procedure autonome, solo
quando il bene non può essere acquisito al mercato
elettronico oppure, anche se disponibile, è inidoneo alle
necessità dell'amministrazione acquirente.
Il tutto, dovrà essere messo per iscritto nella
determinazione a contrattare della stessa amministrazione.
In difetto di questa rigorosa verifica, la Corte rileva le
pesanti conseguenze indicate a tal fine dal decreto legge
sulla spending review (il dl n. 95/2012). Ovvero, che
i contratti stipulati in violazione di acquisto sui mercati
elettronici sono nulli e costituiscono illecito disciplinare
e contabile, cui corrisponde un'ipotesi idonea per
l'apertura di un fascicolo di responsabilità amministrativa
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Gare, c'è un limite ai requisiti.
Da considerare la natura del contratto e il suo valore.
La giurisprudenza sul tema del potere discrezionale delle
stazioni appaltanti.
Il potere discrezionale della stazione appaltante nel
definire requisiti di gara ed elementi di valutazione delle
offerte deve essere esercitato tenendo conto della natura
del contratto e in modo proporzionato al valore dello
stesso. In ogni caso i requisiti non devono essere
manifestamente irragionevoli, irrazionali, sproporzionati,
illogici ovvero lesivi della concorrenza.
È quanto si deduce
dalla giurisprudenza del Consiglio di stato, che ha
affrontato il problema, delicato soprattutto in questa fase
di contrazione del mercato pubblico degli appalti, connesso
ai limiti dell'esercizio del potere discrezionale delle
stazioni appaltanti nella definizione dei bandi di gara.
Tutto parte dal fatto che l'Amministrazione ha la legittima
esigenza di gestire la gara in maniera che il concorrente
aggiudicatario risponda a livelli adeguati di affidabilità
tecnica, morale e finanziaria.
A tale riguardo si deve però muovere entro precisi confini
perché, intanto, è la normativa nazionale e comunitaria, in
materia di affidamento di servizi, forniture e lavori
pubblici, a definire quali debbano essere gli elementi di
valutazione da prendere in considerazione (nel caso dei
lavori si definiscono requisiti ad hoc soltanto oltre i 20
milioni come cifra d'affari globale; per il resto vale il
possesso dell'attestazione Soa). La questione assume rilievo
anche in relazione al fatto che la carenza dei requisiti di
partecipazione si traduce necessariamente nell'esclusione
dalla gara.
Intanto occorre ricordare che di recente il decreto-legge
95/2012 (conv. in legge 135/2012), per i requisiti di
fatturato nei servizi e nelle forniture, ha stabilito la
regola che essi sono illegittimi laddove non siano fissati
con idonea e congrua motivazione. Per tutti gli altri
requisiti i limiti si rinvengono nella normativa nazionale e
in quella comunitaria, nonché nella giurisprudenza
nazionale. Negli articoli 41 e 42 del Codice vengono
elencati alcuni elementi (sia per la capacità
economico-finanziaria che per quella tecnico-organizzativa)
utili a selezionare i concorrenti (elenco delle attività
svolte negli ultimi tre anni, bilanci, attrezzature ecc.)
senza fissare un range quantitativo entro il quale definire
i valori, cosa invece prevista nel settore dei servizi di
ingegneria e architettura (art. 263 del dpr 207/2010).
Non fissando i requisiti la normativa consente alle stazioni
appaltanti di fissare i limiti minimi senza vincoli formali
(a parte il caso dei servizi di ingegneria e architettura);
rimane poi anche la possibilità di fissare diversi requisiti
di partecipazione (le due norme del Codice dicono che la
capacità del concorrente può essere dimostrata «attraverso
uno o più dei seguenti modi»).
Cosa succede quindi quando la stazione appaltante definisce
requisiti eccessivi? La giurisprudenza del Consiglio di
stato ha ormai stabilito che la stazione appaltante può
mettere a punto i requisiti di partecipazione a una gara
(così come gli elementi di valutazione delle offerte)
definendone anche di più rigorosi o in numero maggiore
rispetto a quelli previsti dalla legge, ma ciò deve sempre
avvenire nel rispetto del canone di ragionevolezza e in modo
non discriminatorio. Laddove ciò non accade si finisce,
infatti, per determinare una situazione limitativa della
concorrenza, rendendo illegittima la lex specialis, cioè il
bando o l'avviso di gara. Per tutte si possono citare le
pronunce più significative: Consiglio di stato, sez. IV, 22.10.2004 n. 6972; Id., sez. V, 31.12.2003 n. 9305.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici
(determinazione 4/2012) ha avuto modo di sintetizzare
efficacemente il concetto precisando che i requisiti devono
essere fissati «tenendo conto della natura del contratto e
in modo proporzionato al valore dello stesso; in ogni caso
non devono essere manifestamente irragionevoli, irrazionali,
sproporzionati, illogici ovvero lesivi della concorrenza».
In particolare i requisiti ulteriori devono giustificati
dalla particolare natura del servizio da affidare o
dell'opera da realizzare .
Numerosi i casi presi in esame dal giudice amministrativo ed
efficacemente messi in risalto in diverse determinazioni
dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (per
tutte si veda det. 5/2010 e la giurisprudenza in essa
richiamata, e Comunicato 20/10/2010). Fra questi, a mero
titolo esemplificativo: le limitazioni territoriali (gara
aperta soltanto ai professionisti iscritti a un determinato
ordine provinciale), i requisiti analoghi esorbitanti, le
richieste di organico medio annuo sproporzionate (sei volte
le unità fissate), le richieste di esperienze pregresse così
specifiche da individuare esattamente il concorrente
affidatario.
Analogamente, anche per la fase di valutazione
delle offerte gli elementi di valutazione e i criteri
motivazionali devono rispondere alle caratteristiche
evidenziate e, soprattutto, consentire il sindacato
giurisdizionale amministrativo sotto il profilo della
logicità e coerenza rispetto alla natura dell'appalto. Non
è, per esempio, infrequente il caso di bandi di gara per
servizi che prevedono come criteri motivazionali elementi
specifici attinenti alla valutazione di particolari figure
professionali, inserite nell'offerta tecnica, e che
attribuiscano punteggi anche non di poco conto a elementi
come la vicinanza della sede del concorrente a quella della
stazione appaltante. Difficile in questo caso ritenere
congrue e logiche le scelte delle Amministrazioni
(articolo ItaliaOggi Sette del
18.03.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Il decreto del Mef è stato pubblicato in G.U. La prima
rilevazione al 30 giugno
Opere pubbliche monitorate.
Tutte le informazioni alla banca dati della Ragioneria.
Al via il monitoraggio sulle opere pubbliche finanziate
dallo Stato.
Con il decreto del Mef 26.02.2013 (pubblicato sulla
G.U. n. 54 del 05.03.2013) sono state dettate le modalità
attuative dell'art. 5 del dlgs 229/2011.
Nel mirino ci sono i lavori in corso di progettazione o di
realizzazione alla data del 21.02.2012 e quelli
avviati successivamente.
Alle amministrazioni pubbliche e agli altri soggetti
attuatori destinatari di finanziamenti a carico del bilancio
statale è imposto l'obbligo di comunicare una nutrita
batteria di informazioni di natura finanziaria, fisica e
procedurale alla banca dati costituita presso la Ragioneria
generale dello Stato.
Il decreto, in particolare, definisce il contenuto
informativo minimo da rilevare e le modalità e regole di
trasmissione.
A regime, la rilevazione dovrà essere effettuata con cadenza
bimestrale (alle date del 28 febbraio, del 30 aprile, del 30
giugno, del 31 agosto, del 31 ottobre e del 31 dicembre di
ciascun anno) e i dati dovranno essere resi disponibili
entro i 30 giorni successivi.
Solo per il 2013 è prevista una deroga: la rilevazione potrà
essere effettuata al 30 giugno e la trasmissione tra il 30
settembre e il 20 ottobre.
Il puntuale adempimento dell'obbligo informativo costituisce
presupposto fondamentale per l'erogazione del finanziamento,
a pena di blocco dello stesso.
Tale disciplina si colloca nell'ambito del più ampio
progetto di realizzazione di un sistema di programmazione,
valutazione e monitoraggio della spesa pubblica per
investimenti. L'obiettivo è quello di migliorare la gestione
delle risorse finanziarie impiegate e di aumentare la
conoscenza e la trasparenza complessiva di settore nella
prospettiva di migliorare l'efficienza degli interventi.
Per gli enti di minori dimensioni è prevista la facoltà di
usufruire dell'ausilio della Rgs nella fase di start-up
(articolo ItaliaOggi del 16.03.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Sulla violazione dell'obbligo della
specificazione delle parti di servizio imputate alle singole
imprese del raggruppamento.
Nel caso in cui l'oggetto dell'appalto non si presenta come
un unico servizio omogeneo, da svolgere eseguendo un'unica
tipologia di prestazioni, ma si articola in servizi e
prestazioni distinte in relazione alle attività da svolgere,
alle forniture da eseguire, al personale ed ai mezzi da
impiegare nei servizi da rendere, come nel caso di specie,
le imprese che fanno parte del costituendo RTI devono
indicare, oltre alle quote di partecipazione, anche le parti
del servizio di cui ciascuna intende occuparsi.
La violazione dell'obbligo della specificazione delle "parti"
di servizio imputate alle singole imprese del
raggruppamento, sancito dall'art. 11, c. 2, l. n. 157 del
1995 (attuale art. 37, c. 4, d.lgs. n. 163 del 2006), non si
risolve in una violazione meramente formale, ma incide, in
modo sostanziale sulla serietà, affidabilità, determinatezza
e completezza, e dunque sugli elementi essenziali
dell'offerta, la cui mancanza, pena la violazione dei
principi della par condicio e della trasparenza, non è
suscettibile di regolarizzazione postuma.
Incide, inoltre, sui poteri di verifica della stazione
appaltante in relazione alla coerenza dei requisiti di
capacita degli operatori raggruppati con riguardo alla
natura della prestazione, in funzione della garanzia della
qualità delle prestazioni oggetto dell'appalto e sul un
corretto assetto concorrenziale, evitando l'elusione delle
norme di ammissione stabilite dai bandi e impedendo la
partecipazione fittizia di imprese, non chiamate (o chiamate
in modo inappropriato) ad effettuare le prestazioni oggetto
della gara (TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 15.03.2013 n. 2705 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Il documento contenuto in un'altra busta non integra
inadempimento del bando di gara.
L’interpretazione delle clausole munite di sanzioni
espulsive va condotta necessariamente alla luce dell’art.
46, c. 1-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, che fa riferimento ai
casi “di incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di
altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda di
partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura
dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio di segretezza
delle offerte”.
Poiché, in questa circostanza i plichi erano
integri, completi, sicuramente provenienti e sottoscritti e
non mancava l’atto richiesto. Secondo i giudici del
Consiglio di Stato non è quindi possibile interpretare tale
contesto fuori dal principio di tassatività delle cause
d’esclusione indicate dalla norma.
Più precisamente, nella
pronuncia in commento si contestava la violazione della lex
specialis di una procedura negoziata, in quanto la “domanda
di autorizzazione di commercio all’ingrosso di farmaci”
era stata rinvenuta nella busta della documentazione
amministrativa, e non in quella della documentazione
tecnica, come era invece richiesto dal bando.
Ma secondo i giudici di Palazzo Spada ciò non integra
affatto un inadempimento della legge di gara, perché lo
stesso seggio di gara dava atto che, nella busta della
documentazione tecnica dell’aggiudicataria, era presente il
predetto documento (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 14.03.2013 n.
1533 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Il
Sindaco del Comune di Menaggio (CO) ha posto alla Sezione
una richiesta di parere articolata in tre distinti
quesiti (ed ulteriori sub-quesiti), in merito all’art. 1
del D.L. n. 95/2012, all’art. 4, comma 6, del D.L. n.
95/2012, ed infine all’art 18 del D.L. n. 83/2012.
Più nel dettaglio, l’organo rappresentativo dell’ente
osserva quanto segue.
1. Art. 1 del D.L. n. 95/2012
L’art. 26 della legge n. 488/1999, comma 3, dispone che le
amministrazioni pubbliche possono ricorrere alle convenzioni
stipulate ai sensi del comma 1, ovvero ne utilizzano i
parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per
l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle
stesse, anche utilizzando procedure telematiche per
l'acquisizione di beni e servizi (...). La stipulazione di
un contratto in violazione del presente comma è causa di
responsabilità amministrativa; ai fini della determinazione
del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra
il prezzo previsto nelle convenzioni e quello indicato nel
contratto.
L’ultimo periodo dell’art. 26, comma 3, contempla una
specifica deroga per quanto concerne le amministrazioni
locali di più ridotte dimensioni, prevedendo quanto segue: “Le
disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai
comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e ai comuni
montani con popolazione fino a 5.000 abitanti”.
L’art. 1 del D.L. 95/2012, convertito in Legge 135/2012,
prevede -al comma 1- che “i contratti stipulati in
violazione dell'articolo 26, comma 3 della legge 23.12.1999,
n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi
di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto
messi a disposizione da CONSIP S.p.A. sono nulli,
costituiscono illecito disciplinare e sono causa di
responsabilità amministrativa”.
Nel merito, si chiede di conoscere se il ricorso alle
convenzioni Consip, MEPA ovvero Centrali di committenza
regionali da parte dei comuni montani o al di sotto comunque
dei 1.000 abitanti rimanga facoltativo e, quindi, non
obbligatorio. Nel caso di conferma circa la vigenza
dell’art. 26, comma 3, della L. n. 488/1999 per gli enti di
minori dimensioni demografiche, si chiede di conoscere se i
prezzi e le tariffe Consip/MEPA debbano essere, comunque,
oggetto di comparazione.
2. Art. 4 comma 6 del D.L. 95/2012
Il secondo quesito riguarda l’esatta interpretazione
dell’art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012, il quale prevede
quanto segue: “a decorrere dal 01.01.2013, le pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo
oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a
convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli
da 13 a 42 del codice civile esclusivamente in base a
procedure previste dalla normativa nazionale in conformità
con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato
di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che
forniscono servizi a favore dell'amministrazione stessa,
anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a
carico delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni
istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico
e l'alta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni
operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei
beni ed attività culturali, dell'istruzione e della
formazione, le associazioni di promozione sociale di cui
alla legge 07.12.2000, n. 383, gli enti di volontariato di
cui alla legge 11.08.1991, n. 266, le organizzazioni non
governative di cui alla legge 26.02.1987, n. 49, le
cooperative sociali di cui alla legge 08.11.1991, n. 381, le
associazioni sportive dilettantistiche di cui all'articolo
90 della legge 27.12.2002, n. 289, nonché le associazioni
rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti
territoriali e locali”.
In merito alla suddetta norma l’ente chiede un parere
sulla possibilità da parte degli enti locali di erogare
contributi a soggetti e/o associazioni che svolgono la
propria attività a favore della cittadinanza (e
indirettamente a favore del Comune).
Inoltre, il sindaco domanda se le Pro Loco possano essere
annoverate tra le “associazioni rappresentative, di
coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali”
per le quali la norma prevede una esclusione
dell’applicazione della norma, ovvero se solo quelle
iscritte nei registri nazionali o regionali previsti dalla
legge 383/2000 (Associazioni di promozione sociale) possono
beneficiare di detta esclusione.
3. Art. 18 del D.L. n. 83/2012
L’art. 18 del D.L. n. 83/2012 dispone quanto segue: “1.
La concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed
ausili finanziari alle imprese e l'attribuzione dei
corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti,
imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di
qualunque genere di cui all'articolo 12 della legge
07.08.1990, n. 241 ad enti pubblici e privati, sono soggetti
alla pubblicità sulla rete internet, ai sensi del presente
articolo e secondo il principio di accessibilità totale di
cui all'articolo 11 del decreto legislativo 27.10.2009, n.
150.
2. Nei casi di cui al comma 1 ed in deroga ad ogni diversa
disposizione di legge o regolamento, nel sito internet
dell'ente obbligato sono indicati: a) il nome dell'impresa o
altro soggetto beneficiario ed i suoi dati fiscali; b)
l'importo; c) la norma o il titolo a base dell'attribuzione;
d) l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del
relativo procedimento amministrativo; e) la modalità seguita
per l'individuazione del beneficiario; f) il link al
progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato,
nonché al contratto e capitolato della prestazione,
fornitura o servizio.
3. Le informazioni di cui al comma 2 sono riportate, con
link ben visibile nella homepage del sito, nell'ambito dei
dati della sezione «Trasparenza, valutazione e merito» di
cui al citato decreto legislativo n. 150 del 2009, che
devono essere resi di facile consultazione, accessibili ai
motori di ricerca ed in formato tabellare aperto che ne
consente l'esportazione, il trattamento e il riuso ai sensi
dell'articolo 24 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196.
4. Le disposizioni del presente articolo costituiscono
diretta attuazione dei principi di legalità, buon andamento
e imparzialità sanciti dall'articolo 97 della Costituzione,
e ad esse si conformano entro il 31.12.2012, ai sensi
dell'articolo 117, comma 2, lettere g), h), l), m), r) della
Costituzione, tutte le pubbliche amministrazioni centrali,
regionali e locali, le aziende speciali e le società in
house delle pubbliche amministrazioni. Le regioni ad
autonomia speciale vi si conformano entro il medesimo
termine secondo le previsioni dei rispettivi Statuti.
5. A decorrere dal 01.01.2013, per le concessioni di
vantaggi economici successivi all'entrata in vigore del
presente decreto-legge, la pubblicazione ai sensi del
presente articolo costituisce condizione legale di efficacia
del titolo legittimante delle concessioni ed attribuzioni di
importo complessivo superiore a mille euro nel corso
dell'anno solare previste dal comma 1, e la sua eventuale
omissione o incompletezza è rilevata d'ufficio dagli organi
dirigenziali e di controllo, sotto la propria diretta
responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per
l'indebita concessione o attribuzione del beneficio
economico. La mancata, incompleta o ritardata pubblicazione
è altresì rilevabile dal destinatario della prevista
concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia
interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da
ritardo da parte dell'amministrazione, ai sensi
dell'articolo 30 del codice del processo amministrativo di
cui al decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
In relazione al suindicato art. 18 del D.L n. 83/2012, il
Comune chiede se siffatta pubblicazione, per l’importo
superiore ad euro 1.000,00, sia riferita esclusivamente alla
concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili
finanziari alle imprese e all'attribuzione dei corrispettivi
e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti
privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere
di cui all'articolo 12 della legge 07.08.1990, n. 241,
ovvero si riferisca a qualsiasi tipologia di spesa superiore
a detto importo.
...
La Sezione si pronuncia in ordine alla richiesta di parere
del Sindaco del Comune di Menaggio (CO), articolata in tre
distinti quesiti, in merito all’art. 1 del D.L. n. 95/2012,
all’art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012 ed all’art. 18 del
D.L. n. 83/2012.
Primo quesito: la Sezione osserva che
l’unica ipotesi
in cui possano ritenersi consentite procedure autonome è
quella in cui il bene e/o servizio non possa essere
acquisito secondo le modalità sin qui descritte; ovvero, pur
disponibile, si appalesi –per mancanza di qualità
essenziali– inidoneo rispetto alle necessità della
amministrazione procedente.
Tale specifica evenienza dovrà
essere prudentemente valutata e dovrà trovare compiuta
evidenza nella motivazione della determinazione a
contrattare i cui contenuti, per l’effetto, si
arricchiscono. In difetto di siffatta rigorosa verifica
l’avvenuta acquisizione di beni e servizi, secondo modalità
diverse da quelle previste dal novellato art. 1, comma 450,
da parte di comuni di qualsivoglia dimensione demografica,
nella ricorrenza dei presupposti per il ricorso al Me.PA,
inficerà il contratto stipulato ai sensi del disposto di cui
all’art. 1, comma 1, L. 135/2012 comportando le connesse
responsabilità.
Infatti, il Me.PA, è ascrivibile al genus
degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip
Spa. E’ fatta salva la disciplina speciale dell’art. 1,
comma 7, del d.l. n. 95/2012, più volte richiamata in
precedenza, in relazione a puntuali categorie merceologiche.
Secondo quesito: la Sezione osserva che
il divieto di
erogazione di contributi ricomprende l’attività prestata dai
soggetti di diritto privato menzionati dalla norma in favore
dell’Amministrazione Pubblica quale beneficiaria diretta;
risulta, invece, esclusa dal divieto di legge l’attività
svolta in favore dei cittadini, id est della “comunita'
amministrata”, seppur quale esercizio -mediato- di
finalità istituzionali dell’ente locale e dunque
nell’interesse di quest’ultimo.
Il discrimine appare, in
sostanza, legato all’individuazione del fruitore immediato
del servizio reso dall’associazione.
Terzo quesito: per quanto concerne il terzo quesito
sulla tipologia di atti rientranti nell’obbligo di
pubblicazione ex art. 18 del D.L n. 83/2012, il Collegio
osserva che –in virtù dell’espresso tenore letterale della
norma soprarichiamata– vi sono assoggettati:
a) gli atti di concessione di sovvenzioni, contributi,
sussidi ed ausili finanziari alle imprese;
b) gli atti di attribuzione, comunque, di vantaggi economici
di qualunque genere a enti pubblici e privati ex art. 12 L.
n. 241/1990;
c) gli atti di attribuzione dei corrispettivi e dei compensi
a persone, professionisti, imprese ed enti privati
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 14.03.2013 n. 89). |
APPALTI: Lavori
da saldare sempre a 30 giorni
È illegittima la clausola che subordina il pagamento di un
corrispettivo di un appalto all'avvenuto finanziamento da
parte di un ente terzo; è sempre a 30 giorni il pagamento
dei lavori perché prevale il decreto 192 sul regolamento del
codice dei contratti pubblici.
È quanto afferma la Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo per la Puglia, con il
parere 14.03.2013
n. 53, che ha preso in considerazione due profili di
particolare delicatezza su richiesta di parere di un ente
locale.
Si chiedeva in primo luogo se, nei contratti
stipulati con imprese relativi a lavori pubblici finanziati
da altre amministrazioni, i pagamenti potessero essere
effettuati dopo l'accredito delle relative somme da parte
degli enti erogatori, mediante previsione espressa nei bandi
di gara e nei relativi contratti d'appalto.
La Corte nega
decisamente la legittimità di una clausola di gara come
quella proposta dall'ente locale sul presupposto che il
rapporto contrattuale investe infatti soltanto l'ente
locale, ma non chi finanzia; è pertanto la stazione
appaltante, all'atto dell'affidamento dei lavori che assume
l'obbligo contrattuale diretto, rimanendo estraneo a tale
rapporto la sussistenza di un rapporto di finanziamento con
soggetti.
Per la delibera l'eventuale clausola che
subordinasse la corresponsione del corrispettivo al
ricevimento del finanziamento sarebbe illegittima. Stessa
sorte avrebbe la clausola che dovesse escludere la
maturazione di interessi a favore dell'appaltatore per
effetto di ritardi da parte dell'ente finanziatore negli
accrediti di rate di finanziamento. Da qui l'indicazione
della Corte a che la stazione appaltante valuti la propria
possibilità autonoma di pagamento e, in assenza di tale
possibilità, non proceda all'affidamento dei lavori.
D'altro
canto per principio generale le disposizioni dettate sui
termini di pagamento e di corresponsione degli interessi di
mora non possono essere derogate in danno dell'appaltatore.
In secondo luogo si poneva il problema se fosse tuttora
applicabile ai pagamenti delle amministrazioni le norme del
codice dei contratti pubblici (art. 133) e del regolamento
(artt. 143 e 144 del dpr 207/2010). Premessa la prevalenza
delle norme comunitarie di recepimento della direttiva
«ritardati pagamenti», come recepite nel decreto 192/2012,
la Corte dei conti precisa che alla luce della normativa Ue
devono essere interpretate e applicate le norme nazionali
con esse configgenti.
Pertanto non potranno essere
considerate più applicabili le norme del dpr 207 che
definiscono interessi di mora in misura diversa da quella
prevista dal decreto 192/12 (tasso d'interesse pari a quello
applicato dalla Bce, maggiorato dell'8% senza necessità di
costituzione in mora). Inapplicabili sono, poi, le norme che
fissano il termine di 45 giorni per l'emissione del
certificato di pagamento del Sal (art. 143, comma 1, dpr n.
207/2010), oggi da considerare fissato a 30 giorni dalla
normativa di recepimento della direttiva europea.
Pertanto risulta illegittimo, per la Corte, inserire
clausole contrattuali che pattuiscano termini maggiori per i
pagamenti, «nel nome di giustificazioni derivanti dalla
natura o l'oggetto del contratto o da circostanze esistenti
al momenti della sua stipulazione»
(articolo ItaliaOggi del 16.04.2013). |
APPALTI:
L’informativa prefettizia
non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede
penale di carattere definitivo e certo sull’esistenza della
contiguità con organizzazioni malavitose e di un
condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può
essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari da cui
emergano gli elementi di pericolo di dette infiltrazioni
mafiose ma tali elementi devono comunque essere costanti e
attuali e riferibili all’attività di impresa con un certo
grado di probabilità e consequenzialità.
In merito, non è posta in discussione la discrezionalità di
cui dispone il Prefetto nella ricerca e ponderazione degli
elementi dai quali possa dedursi, nel quadro della
disciplina dettata dal d.lgs. n. 252/1998, l’esistenza di
tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare
le scelte e gli indirizzi delle società ed imprese con le
quali le pubbliche amministrazioni stipulano contratti o nei
cui confronti autorizzano o comunque consentono concessioni
o erogazioni ma tale potere deve comunque essere esercitato
con prudente bilanciamento fra la libertà di iniziativa
dell’impresa e la concorrente tutela delle condizioni di
sicurezza e di ordine pubblico cui sono indirizzate le norme
di prevenzione in questione, con la conseguenza che il
complesso degli elementi sintomatici ed indiziari che
emergono nella fase istruttoria che precede l’adozione del
provvedimento devono, quantomeno, configurarsi idonei, nella
loro emergenza ed oggettiva potenzialità, ad indurre con
efficienza casuale e con carattere di attualità la
situazione di condizionamento da parte della criminalità
organizzata dell’impresa sottoposta a monitoraggio.
---------------
La giurisprudenza ha precisato che l'accertamento
dell'esistenza di un legame di parentela o affinità con
soggetti inquisiti o condannati per reati di mafia non
determina automaticamente la sussistenza di tentativi di
infiltrazioni criminali nella impresa, occorrendo che
vengano provati gli effettivi ed attuali tentativi di
condizionamento degli indirizzi e delle scelte della
società.
Ciò perché l’informativa prefettizia è strumento che, pur
potendosi fondare su un attendibile giudizio di possibilità
secondo la nozione di pericolo, poiché non occorre che sia
provata l'esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa,
essendo invece sufficiente, secondo un giudizio prognostico
latamente discrezionale, ancorché ragionevole e
circostanziato, “la mera possibilità di interferenze
malavitose rivelata da fatti idonei a configurarne il
substrato", deve essere utilizzato, oltre che con estremo
rigore, anche con estrema attenzione e cautela, perché il
suo meccanismo opera incidendo nel delicato equilibrio,
proprio dell'ordinamento democratico, che sussiste tra
diritti di difesa e di libertà di impresa, da un lato, ed
esigenze di politica repressiva e preventiva, dall'altro.
Il Collegio è ben conscio che
l’informativa prefettizia non deve necessariamente
collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere
definitivo e certo sull’esistenza della contiguità con
organizzazioni malavitose e di un condizionamento in atto
dell’attività di impresa, ma che può essere sorretta da
elementi sintomatici ed indiziari da cui emergano gli
elementi di pericolo di dette infiltrazioni mafiose (Cons.
Stato, Sez. III, n. 4360/2011) ma tali elementi devono
comunque essere costanti e attuali e riferibili all’attività
di impresa con un certo grado di probabilità e
consequenzialità.
In merito, non è posta in discussione la discrezionalità di
cui dispone il Prefetto nella ricerca e ponderazione degli
elementi dai quali possa dedursi, nel quadro della
disciplina dettata dal d.lgs. n. 252/1998, l’esistenza di
tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare
le scelte e gli indirizzi delle società ed imprese con le
quali le pubbliche amministrazioni stipulano contratti o nei
cui confronti autorizzano o comunque consentono concessioni
o erogazioni ma tale potere deve comunque essere esercitato
con prudente bilanciamento fra la libertà di iniziativa
dell’impresa e la concorrente tutela delle condizioni di
sicurezza e di ordine pubblico cui sono indirizzate le norme
di prevenzione in questione, con la conseguenza che il
complesso degli elementi sintomatici ed indiziari che
emergono nella fase istruttoria che precede l’adozione del
provvedimento devono, quantomeno, configurarsi idonei, nella
loro emergenza ed oggettiva potenzialità, ad indurre con
efficienza casuale e con carattere di attualità la
situazione di condizionamento da parte della criminalità
organizzata dell’impresa sottoposta a monitoraggio (Cons.
Stato, n. 204/2013 cit.).
Come detto, nel caso in esame, i fatti di rilevanza penale
risalivano nel tempo a due anni e mezzo addietro e nessun
ulteriore elemento è contenuto nella motivazione
dell’informativa in merito all’esistenza, con carattere di
prossimità, attualità ed immanenza, del pericolo di
condizionamento malavitoso al momento dell’adozione
dell’informativa in questione (Cons. Stato, Sez. VI,
10.02.2010, n. 684).
Tale valutazione non poteva essere sostenuta comunque
dall’unica altra circostanza presa in considerazione dal
Prefetto, legata al mero rapporto di coniugio con il nuovo
amministratore della società, in assenza dell’individuazione
di pluralità di rapporti parentali e di riferimento ad unico
centro di interessi malavitosi e di ulteriori circostanze
significative che ne confermino i presupposti potenziali di
infiltrazione mafiosa. La giurisprudenza ha infatti
precisato che l'accertamento dell'esistenza di un legame di
parentela o affinità con soggetti inquisiti o condannati per
reati di mafia non determina automaticamente la sussistenza
di tentativi di infiltrazioni criminali nella impresa,
occorrendo che vengano provati gli effettivi ed attuali
tentativi di condizionamento degli indirizzi e delle scelte
della società (Cons. Stato, Sez. VI, 17.07.2006, n. 4574 e
02.05.2007, n. 1916; Sez. V, 29.08.2005, n. 4408).
Ciò perché –come prima già anticipato– l’informativa
prefettizia è strumento che, pur potendosi fondare su un
attendibile giudizio di possibilità secondo la nozione di
pericolo (Cons. Stato, Sez. VI, 11.09.2001, n. 4724), poiché
non occorre che sia provata l'esistenza di tentativi di
infiltrazione mafiosa, essendo invece sufficiente, secondo
un giudizio prognostico latamente discrezionale, ancorché
ragionevole e circostanziato, “la mera possibilità di
interferenze malavitose rivelata da fatti idonei a
configurarne il substrato" (Cons. Stato, Sez. V, 23.06.2008, n.
3090), deve essere utilizzato, oltre che con estremo rigore,
anche con estrema attenzione e cautela, perché il suo
meccanismo opera incidendo nel delicato equilibrio, proprio
dell'ordinamento democratico, che sussiste tra diritti di
difesa e di libertà di impresa, da un lato, ed esigenze di
politica repressiva e preventiva, dall'altro (TAR Calabria, Cz, Sez. I, 17.04.2012, n. 402)
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 13.03.2013 n. 2659 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E'
perentorio anche il termine di cui
al comma 2 dell’art. 48 del d.lgs. nr. 163 del 2006, oltre
che quello del comma 1, come peraltro confermato anche dalla
più recente introduzione nella norma del comma 1-bis il
quale, richiamando solo in parte il precedente comma 1,
conferma a contrario che il successivo richiamo contenuto
nel comma 2 deve intendersi integrale, con conseguente
identità di “regime” anche quanto al termine per la
produzione comprovante il possesso dei requisiti dichiarati.
Ritenuto che l’ordinanza appellata appare meritevole di
conferma, tenuto conto che il più recente indirizzo
giurisprudenziale –che questo Collegio condivide– è nel
senso della perentorietà anche del termine di cui al comma 2
dell’art. 48 del d.lgs. nr. 163 del 2006, oltre che di
quello del comma 1 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 08.03.2012,
nr. 1321), come peraltro confermato anche dalla più recente
introduzione nella norma del comma 1-bis il quale,
richiamando solo in parte il precedente comma 1, conferma a
contrario che il successivo richiamo contenuto nel comma 2
deve intendersi integrale, con conseguente identità di “regime”
anche quanto al termine per la produzione comprovante il
possesso dei requisiti dichiarati
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 13.03.2013 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Pur
trattandosi di soggetto con struttura ed identità autonoma
rispetto a quella delle cooperative consorziate, il possesso
dei requisiti generali e morali ex art. 38 codice appalti
deve essere verificato non solo in capo al consorzio, ma
anche alle consorziate, dovendosi ritenere cumulabili in
capo al consorzio i soli requisiti di idoneità tecnica e
finanziaria ai sensi dell’art. 35 codice appalti.
La diversa opzione ermeneutica condurrebbe invero a
conseguenze paradossali in quanto le stringenti garanzie di
moralità professionale richieste inderogabilmente ai singoli
imprenditori potrebbero essere eluse da cooperative che,
attraverso la costituzione di un consorzio con autonoma
identità, riuscirebbero di fatto ad eseguire lavori e
servizi per le pubbliche amministrazioni alle cui gare non
sarebbero state singolarmente ammesse.
Nel senso qui seguito è la giurisprudenza secondo cui,
mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono
essere riferiti al consorzio (come previsto dall’art. 35
codice appalti), i requisiti generali di partecipazione alla
procedura di affidamento previsti dall’art. 38 codice citato
devono essere posseduti dalle singole imprese consorziate;
se, infatti, in caso di consorzi, tali requisiti andassero
accertati solo in capo al consorzio e non anche in capo ai
consorziati che eseguono le prestazioni, il consorzio
potrebbe agevolmente diventare uno schermo di copertura
consentendo la partecipazione di consorziati privi dei
necessari requisiti; per gli operatori che non hanno i
requisiti dell’art. 38 (si pensi al caso di soggetti con
condanne penali per gravi reati incidenti sulla moralità
professionale) basterebbe, anziché concorrere direttamente
andando incontro a sicura esclusione, aderire a un consorzio
da utilizzare come copertura.
Ritiene, infatti, il Collegio di condividere le
argomentazioni espresse sul punto dall’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato n. 8/2012.
La predetta decisione, che ha affrontato un caso analogo a
quello per cui è causa, in quanto riguardante un consorzio
fra società cooperative di produzione e lavoro, ha affermato
che ammettere la sostituzione successiva della consorziata,
in caso di esito negativo della verifica sul possesso dei
requisiti generali, significherebbe, di fatto, rendere vano
il controllo preventivo ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del
2006 in capo alla ditta originariamente indicata nella
domanda di partecipazione.
Ai sensi dell’art. 37, comma 7, del codice dei contratti
pubblici, in effetti, i consorzi di cui all'articolo 34,
comma 1, lettera b) (consorzi fra società cooperative di
produzione e lavoro, e consorzi tra imprese artigiane), sono
tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali
consorziati il consorzio concorra.
In applicazione di tale disposizione, la lex specialis di
gara aveva richiesto al sodalizio di indicare
preventivamente la ditta incaricata per l’esecuzione
dell’appalto, onde consentire la verifica dei requisiti di
ordine generale; il consorzio, di conseguenza, aveva fatto
presentare a Baviera Costruzioni, una delle due società
indicate per l’affidamento dei lavori, un’autodichiarazione
attestante la sua regolarità contributiva.
Tale autodichiarazione, peraltro, in sede di verifica dei
requisiti, è risultata falsa (elemento di fatto non
contestato dalla ricorrente), di modo che il consorzio si è
visto costretto a sostituire la ditta non in regola con
un’altra.
Sostiene la ricorrente che il consorzio non avrebbe
responsabilità in ordine alle eventuali dichiarazioni
mendaci o erronee rilasciate dai propri soci, essendo un
soggetto giuridico distinto ed autonomo rispetto alle
singole imprese che lo compongono.
A questo riguardo appare sufficiente richiamare quanto
espresso, in senso contrario, dalla decisione dell’Adunanza
Plenaria su citata:
“Pur trattandosi di soggetto con struttura ed identità
autonoma rispetto a quella delle cooperative consorziate, il
possesso dei requisiti generali e morali ex art. 38 codice
appalti deve essere verificato non solo in capo al
consorzio, ma anche alle consorziate, dovendosi ritenere
cumulabili in capo al consorzio i soli requisiti di idoneità
tecnica e finanziaria ai sensi dell’art. 35 codice appalti.
La diversa opzione ermeneutica condurrebbe invero a
conseguenze paradossali in quanto le stringenti garanzie di
moralità professionale richieste inderogabilmente ai singoli
imprenditori potrebbero essere eluse da cooperative che,
attraverso la costituzione di un consorzio con autonoma
identità, riuscirebbero di fatto ad eseguire lavori e
servizi per le pubbliche amministrazioni alle cui gare non
sarebbero state singolarmente ammesse.
Nel senso qui seguito è la giurisprudenza secondo cui,
mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono
essere riferiti al consorzio (come previsto dall’art. 35
codice appalti), i requisiti generali di partecipazione alla
procedura di affidamento previsti dall’art. 38 codice citato
devono essere posseduti dalle singole imprese consorziate;
se, infatti, in caso di consorzi, tali requisiti andassero
accertati solo in capo al consorzio e non anche in capo ai
consorziati che eseguono le prestazioni, il consorzio
potrebbe agevolmente diventare uno schermo di copertura
consentendo la partecipazione di consorziati privi dei
necessari requisiti; per gli operatori che non hanno i
requisiti dell’art. 38 (si pensi al caso di soggetti con
condanne penali per gravi reati incidenti sulla moralità
professionale) basterebbe, anziché concorrere direttamente
andando incontro a sicura esclusione, aderire a un consorzio
da utilizzare come copertura [Cons. St., sez. V, 15.06.2010, n. 3759; Id., sez. IV, 27.06.2007, n. 3765; Id.,
sez. V, 05.09.2005, n. 4477; Id., sez. V, 30.01.2002, n. 507]”.
Ne consegue che il consorzio è stato legittimamente escluso
dalla procedura, in quanto, da un lato, una delle imprese
consorziate espressamente indicate per l’affidamento
dell’appalto non possedeva i prescritti requisiti generali
di partecipazione alla gara, dall’altro, tale impresa aveva
presentato una dichiarazione sostitutiva falsa.
Né la legittimità del provvedimento impugnato può essere
inficiata dalla circostanza della mancata comunicazione
dell’avvio del procedimento alle imprese consorziate o dal
mancato rispetto dei trenta giorni per la conclusione del
procedimento di esclusione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 13.03.2013 n. 674 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulle conseguenze derivanti dalla mancata
allegazione del documento di identità alla dichiarazione
sostitutiva sui requisiti generali prescritti dall'art. 38
del d.lgs. n. 163/2006.
L'allegazione della copia fotostatica del documento del
sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva, prescritta
dal c. 3 dell'art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000, è adempimento
inderogabile, atto a conferire, in considerazione della sua
introduzione come forma di semplificazione, legale
autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla
dichiarazione e giuridica esistenza ed efficacia
all'autocertificazione.
Si tratta di un elemento integrante della fattispecie
normativa, teso a stabilire, data l'unità della fotocopia
sostitutiva del documento di identità e della dichiarazione
sostitutiva, un collegamento tra la dichiarazione ed il
documento ed a comprovare, oltre alle generalità del
dichiarante, l'imputabilità soggettiva della dichiarazione
al soggetto che la presta.
L'assenza della copia fotostatica del documento di identità
alla dichiarazione sostitutiva sui requisiti generali
prescritti dall'art. 38 del codice dei contratti pubblici
(d.lgs. n. 163/2006) non determina, pertanto, una mera
incompletezza del documento, idonea a far scattare il potere
di soccorso della stazione appaltante tramite la richiesta
di chiarimenti sul suo contenuto ex art. 46 d.lgs. n.
163/2006, ma la sua giuridica inesistenza con la conseguenza
che, in ossequio al principio della par condicio e
della parità di trattamento tra le imprese partecipanti,
l'impresa deve essere esclusa per mancanza della prescritta
dichiarazione (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 13.03.2013 n. 223 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: L.
Bellagamba, La sponsorizzazione
ordinaria e quella nel settore dei beni culturali - Il D.M.
19.12.2012
(13.03.2013 - ricevuto da e tratto da www.linobellagamba.it). |
LAVORI PUBBLICI: No
a leasing in costruendo che aggiri l'indebitamento
Gli enti locali non possono utilizzare il leasing in
costruendo per aggirare i limiti all'indebitamento.
Lo stop
arriva dalla Sez. regionale di controllo della Corte dei
Conti per il Veneto, che con il parere 12.03.2013 n. 74 conferma
la linea del rigore tracciata in passato dalle sezioni
riunite con la deliberazione n. 49/2011.
Il leasing immobiliare è un particolare tipo di contratto
che ha come finalità principale la realizzazione di
un'opera, ma che può talora comprendere anche un'importante
componente di finanziamento.
In pratica, una delle parti (tipicamente, come nel caso in
esame, quella pubblica) si impegna a pagare un canone
periodico per ottenere la disponibilità del bene che la
controparte realizza, con possibilità di riscattarlo dopo un
certo numero di anni.
La configurazione del rapporto e le sue conseguenze
contabili dipendono dalla ripartizione dei rischi inerenti
l'esecuzione e la gestione dell'opera: ove questi ultimi
ricadano sul soggetto pubblico, l'operazione si configura
sostanzialmente come indebitamento. Pertanto, essa risulta
preclusa per tutti gli enti che hanno sforato il Patto di
stabilità interno (una delle relative sanzioni consiste
proprio nel divieto di assumere nuovi debiti) e per quelli
che hanno superato il tetto massimo nel rapporto sugli
interessi (attualmente fissato al 4% delle entrate
correnti).
Solo nel caso in cui il privato si assuma i predetti rischi,
il leasing non ha effetti sull'indebitamento: in tal caso,
il bene entra nel patrimonio dell'ente solo al momento del
riscatto e il canone periodico viene contabilizzato fra le
spese correnti.
Gli enti locali dispongono di una certa discrezionalità
nella scelta del metodo di contabilizzazione, ma la
giurisprudenza contabile è ferma nel considerare come
elusivi dei vincoli di finanza pubblica, e quindi
sanzionabili, i contratti che, dietro la facciata di
un'operazione di partenariato pubblico-privato con utilizzo
di risorse private, celano un sostanziale indebitamento.
Anche nel parere della sezione veneta, pertanto, viene
espresso un deciso favor a favore della contabilizzazione
con il cosiddetto metodo finanziario, che impone di rilevare
in bilancio il debito imputando le uscite alle spese
correnti per la componente interessi ed alle spese di
rimborso prestiti per la quota capitale
(articolo ItaliaOggi del
19.03.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 12.03.2013 n. 60 "Approvazione delle norme tecniche
e linee guida in materia di sponsorizzazioni di beni
culturali e di fattispecie analoghe o collegate"
(Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
decreto 19.12.2012). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Acquisti pubblici, la mappa degli obblighi.
Dopo l'estensione del perimetro di Consip e delle centrali
locali una bussola per tutti gli enti della Pa.
Spending review. I contratti autonomi sono ammessi solo in
via residuale: se la fornitura è più «cara» scattano
l'annullamento e la responsabilità del funzionario.
La Pa ormai deve comprare solo all'ingrosso. Sono poche le
amministrazioni che dopo il massiccio intervento della
spending review, possono sottrarsi all'obbligo di rifornirsi
da una centrale di acquisto, sia essa la Consip, mega
struttura dell'Economia, o una delle centrali di acquisto a
livello locale, di fatto organizzate su base territoriale
dalle Regioni.
Gli ultimi ritocchi al programma di razionalizzazione degli
acquisti della Pa sono entrati in vigore con la legge di
stabilità, il 1° gennaio di quest'anno. La legge 228/2012 ha
chiarito alcuni aspetti di dettaglio della riforma varata
con il decreto Salva Italia (Dl 201/2011) e con gli analoghi
provvedimenti sulla spending review (Dl 52 e 95 del 2012).
Tra questi, ad esempio, c'è la possibilità per le
amministrazioni statali che hanno già in corso un contratto
con un fornitore a prezzi più bassi rispetto a quelli Consip,
di mantenere in vita l'accordo «a condizione che tra
l'amministrazione interessata e l'impresa –recita la norma– non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di
eventuali contratti stipulati in precedenza».
Ma la riscrittura delle procedure di acquisto per ministeri,
Comuni, Province, Regioni, scuole e, per la prima volta in
modo così massiccio, anche per gli enti del servizio
sanitario nazionale è avvenuta, appunto, con i decreti sulla
spending review. Ora il quadro è totalmente cambiato: sono
pochi i casi di amministrazioni che "sfuggono" alla regola
dell'acquisto centralizzato, sia per forniture di beni e
servizi di valore superiore alla soglia comunitaria (fino al
2014 pari a 130mila euro per le amministrazioni statali e a
200mila per le altre).
A riepilogare gli obblighi di acquisto per tutte le
tipologie di ente è la Consip con una tabella sintetica (da
oggi in versione integrale anche su tre siti:
www.dag.mef.gov.it, www.acquistinretepa.it e www.consip.it).
In questo modo, a colpo d'occhio le amministrazioni hanno
rapido accesso alla normativa applicabile in base alla
propria categoria di appartenenza (amministrazione centrale,
regionale, territoriale, Asl, scuole e organismi di diritto
pubblico), alla tipologia di acquisto (importi superiori o
inferiori alla soglia comunitaria) e al tipo di merce da
acquistare. In questo ultimo caso, infatti, la distinzione
riguarda le categorie merceologiche per le quali il ricorso
a Consip è obbligatorio (il primo riquadro rosso della
tabella) e quelle per le quali invece, spesso, l'offerta
Consip o delle centrali regionali di acquisto è solo
facoltativa.
Ma, in realtà, la tabella mostra proprio l'estensione del
metodo Consip a gran parte delle amministrazioni, senza
molte distinzioni né di importo della fornitura, né
merceologiche. Le convenzioni, ad esempio, ovvero l'acquisto
centralizzato del bene tramite fornitori pre-selezionati da
Consip con gara, sono infatti la prima strada obbligata di
approvvigionamento, non più solo per i ministeri, ma anche
per le scuole e per le società partecipate. Solo Regioni,
Province e Comuni possono scegliere un'altra strada che è
comunque l'acquisto centralizzato presso la centrale
regionale, se esiste.
Al contrario, gli acquisti autonomi sono dappertutto
l'ultima ratio e le amministrazioni devono comunque riuscire
da sole a spuntare –operazione non certo facile– prezzi
competitivi rispetto a quelli dei "giganti" degli acquisti.
Ora, poi, le scelte degli enti non sono prive di
conseguenze: i decreti sulla spending review infatti
hanno previsto che i contratti stipulati in violazione delle
procedure di acquisto sono nulli e costituiscono per il
funzionario che li firma «illecito disciplinare e causa
di responsabilità amministrativa» (articolo Il Sole 24 Ore
dell'11.03.2013). |
APPALTI:
Stazione unica appalti in Unione o convenzione.
La scelta dipende dalla gestione associata già in funzione.
Piccoli Comuni. L'organismo va attivato entro marzo negli
enti fino a 5mila abitanti.
Mentre gli enti locali più piccoli sono intenti a discutere
sulle funzioni fondamentali da gestire insieme, tramite
Unione o convenzione, un servizio interno da associare con
immediatezza è quello che si occupa degli appalti
finalizzati alla realizzazione dei lavori pubblici e
all'acquisizione di beni e di servizi.
I Comuni con popolazione fino a 5mila abitanti devono
accentrare queste procedure secondo lo schema della
«Stazione unica appaltante» o della «Centrale unica di
committenza» (articolo 33 del Dlgs 163/2006), con decorrenza
dalle gare bandite successivamente al 31.03.2013 (lo
prevedono l'articolo 23, comma 5, del Dl 201/2011 e
l'articolo 29 del Dl 216/2011).
È ormai acquisito che l'obbligo in esame riguarda solo le
procedure di gara (ufficiale o ufficiosa), mentre ogni ente
rimane responsabile delle fasi a monte
(programmazione/progettazione) e a valle (esecuzione). Ogni
ente (o ufficio associato) provvede inoltre autonomamente
agli affidamenti diretti nei casi consentiti
dall'ordinamento (si veda Corte dei conti, sezione Piemonte,
parere n. 271 del 06.07.2012).
Resta peraltro l'opportunità di associare anche l'ufficio
acquisti, che costituisce uno strumento essenziale ai fini
della razionalizzazione della spesa degli enti locali; non a
caso questa facoltà diviene obbligo entro la fine del 2013,
come previsto dall'articolo 14, comma 27, del Dl 78/2010,
che dispone l'obbligo per i piccoli Comuni di gestire in
forma associata «l'organizzazione generale
dell'amministrazione».
Meno chiaro e tassativo è il contenuto di questa norma con
riferimento ai lavori pubblici - anche se sarebbe
paradossale non considerarli all'interno delle funzioni
«fondamentali» dell'ente.
La scadenza in esame va necessariamente posta in raccordo
con le disposizioni in materia di associazionismo, potendo
distinguere anche alla luce di tale previsione due ipotesi:
a) se al 31.03.2013 risulta costituita una Unione di
Comuni, l'obbligo di costituzione della centrale di
committenza dovrà gravare verosimilmente sull'Unione stessa,
in una logica complessiva conforme allo spirito
dell'intervento normativo. È stato affermato che i piccoli
Comuni possono fare ricorso a una pluralità di forme
associative, fermo restando il divieto di scomposizione di
ogni singola funzione; vista la trasversalità delle gare ad
evidenza pubblica sembra possibile sostenere che questa
gestione debba essere ricondotta all'insieme delle funzioni
fondamentali quale funzione strumentale o connessa (si
pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle gare
riguardanti l'edilizia scolastica o la fornitura di
materiale scolastico);
b) se invece al 31.03.2013 l'Unione non è ancora
costituita, o se i Comuni hanno deciso di stipulare una
convenzione per la gestione associata delle funzioni
fondamentali, sembra gravare sugli stessi l'obbligo di
stipulare un «accordo consortile» - al quale la norma fa
riferimento e che va inteso tuttavia nel senso previsto
dall'articolo 30 del Dlgs 267/2000.
Il riferimento ai consorzi in questa delicata materia è in
palese contraddizione con quanto affermato in altra recente
opzione espressa dal legislatore statale (legge Finanziaria
2010), che ha immaginato la soppressione dei consorzi di
funzioni tra gli enti locali (articolo 2, comma 186, legge
191/2009). Il probabile "refuso" legislativo, quindi, non
può che essere interpretato in modo coerente con la
normativa generale in materia di gestione associata dei
servizi, che prevede due sole forme: l'Unione e la
convenzione.
---------------
Le opzioni
01|LA SCADENZA
Entro il 31 marzo i Comuni con popolazione compresa entro i
5mila abitanti devono associare nella Stazione unica
appaltante, per una popolazione superiore alla soglia, gli
uffici che si occupano degli appalti per la realizzazione di
lavori e per le prestazioni di servizi
02|LE UNIONI
La scadenza si intreccia con l'obbligo di avviare la
gestione associata negli stessi enti di almeno tre funzioni
fondamentali a partire da quest'anno, mentre dall'anno
prossimo sarà l'intero novero delle funzioni fondamentali a
dover essere associato. Negli enti in cui è già costituita
un'Unione, può essere questa l'organizzazione a cui
collegare la stazione unica appaltante
03|L'ALTERNATIVA
In linea con gli obblighi generali di gestione associata,
anche la convenzione può essere utilizzata come strumento
per avviare la stazione unica appaltante. Fuori linea appare
invece il richiamo della norma agli accordi consortili,
perché i consorzi sono stati soppressi nel 2009
---------------
Forme alternative. L'infortunio della norma.
Da escludere il ricorso a nuovi consorzi.
IL «REFUSO»/
Il richiamo agli «accordi consortili» nella legge è in netto
contrasto con la Finanziaria 2010 che li ha aboliti.
L'interpretazione che vede il riferimento ai consorzi come
"refuso" normativo nella disciplina sulla Stazione unica
appaltante ha certamente il pregio di evitare la
costituzione di ulteriori organi consortili e con essi le
relative spese. Ogni altra lettura della norma si porrebbe
in evidente violazione degli obiettivi sottesi alla spending
review.
In altri termini, come da più parti osservato, il termine
«accordo consortile» contenuto al comma 3-bis dell'articolo
33 del Dlgs 163/2006 -anche alla luce delle disposizioni
introdotte dall'articolo 2, comma 186, lettera e), della
legge 191/2009- deve ritenersi utilizzato dal legislatore
in senso atecnico.
Da questa previsione normativa, in sostanza, non
discenderebbe dunque l'obbligo di istituire un Consorzio,
quanto, piuttosto semplicemente l'obbligo, attraverso un
atto convenzionale, di istituire una centrale di
committenza.
La centrale di committenza può essere costituita di
conseguenza mediante accordo convenzionale ex articolo 30
del Testo unico degli enti locali, utilizzando il modello
della delega di funzioni da parte degli enti partecipanti
all'accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e
per conto degli enti deleganti.
Sulla base di questi presupposti, in merito alla dimensione
demografica ottimale della gestione in forma associata della
centrale di committenza, in assenza di puntuali previsioni
normative, devono ritenersi applicabili le disposizioni
regionali già adottate per la gestione associata
obbligatoria delle funzioni fondamentali (articolo Il Sole 24
Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
La decisione 07.06.2012 n. 21 dell’Adunanza
Plenaria ha statuito che nel caso di incorporazione o
fusione societaria, sussiste in capo alla società
incorporante o risultante dalla fusione l’onere di
presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui
all’art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006 anche
con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici
che hanno operato presso la società incorporata o le società
fusesi nell’ultimo triennio, ovvero che sono cessati dalla
relativa carica in detto periodo (dopo il d.l. n. 70 del
2011, nell’ultimo anno). Resta ferma la possibilità di
dimostrare la c.d. dissociazione.
L’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006, sia prima che
dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 70 del 2011, pertanto,
impone la presentazione di una dichiarazione sostitutiva
completa, a pena di esclusione, anche per gli amministratori
delle società che partecipano ad un procedimento di
incorporazione o di fusione.
L’Adunanza Plenaria, tenuto conto della precedente
incertezza giurisprudenziale, giunge alla conclusione che i
concorrenti che omettono la dichiarazione possono essere
esclusi dalle gare -in relazione alle dichiarazioni rese ai
sensi dell’art. 38, comma 1, lett. c)- fino alla data di
pubblicazione della decisione medesima (07.06.2012) solo se
il bando espliciti tale onere di dichiarazione e la
conseguente causa di esclusione; in caso contrario,
l’esclusione può essere disposta solo ove vi sia la prova
che gli amministratori per i quali è stata omessa la
dichiarazione hanno pregiudizi penali.
La decisione dell’Adunanza Plenaria n. 21 intervenuta in
data 07.06.2012 ha statuito che nel caso di
incorporazione o fusione societaria, sussiste in capo alla
società incorporante o risultante dalla fusione l’onere di
presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui
all’art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006 anche
con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici
che hanno operato presso la società incorporata o le società
fusesi nell’ultimo triennio, ovvero che sono cessati dalla
relativa carica in detto periodo (dopo il d.l. n. 70 del
2011, nell’ultimo anno). Resta ferma la possibilità di
dimostrare la c.d. dissociazione.
L’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006, sia prima che
dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 70 del 2011, pertanto,
impone la presentazione di una dichiarazione sostitutiva
completa, a pena di esclusione, anche per gli amministratori
delle società che partecipano ad un procedimento di
incorporazione o di fusione.
L’Adunanza Plenaria, tenuto conto della precedente
incertezza giurisprudenziale, giunge alla conclusione che i
concorrenti che omettono la dichiarazione possono essere
esclusi dalle gare -in relazione alle dichiarazioni rese ai
sensi dell’art. 38, comma 1, lett. c)- fino alla data di
pubblicazione della decisione medesima (07.06.2012) solo
se il bando espliciti tale onere di dichiarazione e la
conseguente causa di esclusione; in caso contrario,
l’esclusione può essere disposta solo ove vi sia la prova
che gli amministratori per i quali è stata omessa la
dichiarazione hanno pregiudizi penali.
Nel caso in esame, il punto 13.1 del bando (requisiti
generali) prevede che siano attestate da tutti i soggetti
che intendono partecipare l’assenza delle condizioni di cui
all’art. 38 cit., specificamente elencate.
Il punto 3 del disciplinare di gara prevede espressamente
che tutti i soggetti componenti il raggruppamento (soggetto
finanziatore, soggetto realizzatore e progettista) devono
dichiarare di non trovarsi in una delle condizioni previste
dall’art. 38, comma 1, del d.l.vo 163/2006.
In particolare, al punto 3d) è specificato che deve essere
dichiarato da tutti i soggetti indicati dall’art. 38, comma
1, lett. b e c, (ossia per le società per azioni, da
amministratori muniti di potere di rappresentanza e
direttori tecnici) se risultano (o non risultano,
alternativamente),per ciascuno dei componenti del
raggruppamento, soggetti cessati dalla carica nel triennio
antecedente la data di pubblicazione del bando.
In tale ipotesi, il capitolato prevede ulteriormente (in
neretto) che per i soggetti cessati dalla carica “in caso
di pronuncia di condanne penali di cui alla lett. b)
l’impresa potrà essere ammessa a gara solo presentando a
corredo della dichiarazione la documentazione idonea e
sufficiente a dimostrare di aver adottato atti e misure di
completa dissociazione dalla condotta penalmente
sanzionata.”.
Ritiene il Collegio, pertanto, che sia evidente come la lex
di gara abbia previsto, pena l’esclusione, l’obbligo di
rendere la dichiarazione ex art. 38 cit. per gli
amministratori con potere di rappresentanza cessati dalla
carica nel triennio (tra questi, va incluso anche il Vice
Presidente del Consiglio di Amministrazione, in quanto
soggetto titolare, a norma di statuto, degli stessi poteri
di amministrazione e di rappresentanza spettanti al
Presidente in caso di assenza o di impedimento dello stesso
– cfr. Consiglio di Stato sez. V, 08.11.2012, n. 5693).
La lex di gara, tuttavia, non ha previsto espressamente il
medesimo obbligo a carico degli amministratori di società
fuse per incorporazione; essi, però, ad avviso del Collegio,
debbono ritenersi inclusi tra gli “amministratori cessati
nel triennio” considerato il profilo della sostanziale
continuità del soggetto imprenditoriale risultante dalla
fusione societaria a cui si riferiscono, sicché
l’amministratore cessato dalla carica appartenente alla
società incorporata è identificabile come interno al
concorrente.
Come evidenzia la stessa Adunanza Plenaria n. 21/2012,
difatti, nelle ipotesi di fusione o di incorporazione di
società, ancorché venute in essere antecedentemente
all'avvio della gara, si realizza, anche se non la
fattispecie di successione a titolo universale, “l'integrazione reciproca delle società partecipanti
all'operazione, ossia una vicenda meramente evolutiva del
medesimo soggetto, che conserva la propria identità pur in
un nuovo assetto organizzativo (Cass. civ. sez. un., 08.02.2006, n. 2637).” Ritenuta la continuità nel nuovo
soggetto, perdura, per le società che proseguono sotto la
nuova identità della società incorporante l'onere di rendere
la dichiarazione relativa ai propri amministratori cessati.
In altri termini, la società incorporante o risultante dalla
fusione, non è un soggetto "altro" e "diverso", ma semmai un
soggetto composito in cui proseguono la loro esistenza le
società partecipanti all'operazione di incorporazione e, per
l'effetto, non si possono considerare "altrui" gli
amministratori che sono amministratori di un soggetto che è
parte del tutto e che conserva la sua identità originaria
sotto una diversa forma giuridica.
Diversamente opinando, le operazioni di fusione tra società
finirebbero per prestarsi alla elusione dello scopo
perseguito con la preclusione di cui all’art. 38 cit., da
individuarsi sicuramente in quello di impedire anche solo la
possibilità di inquinamento dei pubblici appalti, derivante
dalla partecipazione alle relative procedure di soggetti di
cui sia accertata la non affidabilità sul piano morale e
professionale (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 08.03.2013 n. 1411 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla sussistenza degli oneri di dichiarazione di
precedenti sentenze penali ex art. 38, c. 1, lett. c), del
d.lgs. 163/2006, anche in capo alla società incorporante o
risultante dalla fusione.
Nel caso di incorporazione o fusione societaria, sussiste in
capo alla società incorporante o risultante dalla fusione
l'onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito
di cui all'art. 38, c. 1, lett. c), d.lgs. n. 163/2006,
anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori
tecnici che hanno operato presso la società incorporata o le
società fusesi nell'ultimo triennio, ovvero che sono cessati
dalla relativa carica in detto periodo (dopo il d.l. n. 70
del 2011, nell'ultimo anno).
Resta ferma la possibilità di dimostrare la c.d.
dissociazione. L'art. 38, c. 2, d.lgs. n. 163/2006, sia
prima che dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 70/2011,
pertanto, impone la presentazione di una dichiarazione
sostitutiva completa, a pena di esclusione, anche per gli
amministratori delle società che partecipano ad un
procedimento di incorporazione o di fusione (CdS, Adunanza
Plenaria del 07.06.2012, n. 21).
Tenuto conto della precedente incertezza giurisprudenziale,
l'Adunanza Plenaria giunge alla conclusione che i
concorrenti che omettono la dichiarazione possono essere
esclusi dalle gare -in relazione alle dichiarazioni rese ai
sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c)- fino alla data di
pubblicazione della decisione medesima (07.06.2012) solo se
il bando espliciti tale onere di dichiarazione e la
conseguente causa di esclusione; in caso contrario,
l'esclusione può essere disposta solo ove vi sia la prova
che gli amministratori per i quali è stata omessa la
dichiarazione hanno pregiudizi penali.
Nelle ipotesi di fusione o di incorporazione di società,
ancorché venute in essere antecedentemente all'avvio della
gara, si realizza, infatti, anche se non la fattispecie di
successione a titolo universale, "l'integrazione
reciproca delle società partecipanti all'operazione, ossia
una vicenda meramente evolutiva del medesimo soggetto, che
conserva la propria identità pur in un nuovo assetto
organizzativo." Ritenuta la continuità nel nuovo
soggetto, perdura, per le società che proseguono sotto la
nuova identità della società incorporante l'onere di rendere
la dichiarazione relativa ai propri amministratori cessati.
In altri termini, la società incorporante o risultante dalla
fusione, non è un soggetto "altro" e "diverso",
ma semmai un soggetto composito in cui proseguono la loro
esistenza le società partecipanti all'operazione di
incorporazione e, per l'effetto, non si possono considerare
"altrui" gli amministratori che sono amministratori di un
soggetto che è parte del tutto e che conserva la sua
identità originaria sotto una diversa forma giuridica.
Diversamente opinando, le operazioni di fusione tra società
finirebbero per prestarsi alla elusione dello scopo
perseguito con la preclusione di cui all'art. 38 cit., da
individuarsi sicuramente in quello di impedire anche solo la
possibilità di inquinamento dei pubblici appalti, derivante
dalla partecipazione alle relative procedure di soggetti di
cui sia accertata la non affidabilità sul piano morale e
professionale" (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 08.03.2013 n. 1411 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Oggetto: Legge 07.08.2012 n.134, di conversione con
modificazioni del cd. “Decreto Sviluppo” (D.L. 83/2012):
Responsabilità solidale nei contratti di appalto -
Chiarimenti ministeriali: Circolare n. 2/E del 01.03.2013
(ANCE Bergamo,
circolare 08.03.2013 n. 74). |
APPALTI:
Oggetto: Banca dati nazionale dei contratti pubblici –
AVCPASS - Sistema operativo dall’01.07.2013 (ANCE
Bergamo,
circolare 08.03.2013 n. 73). |
APPALTI:
Oggetto: Documentazione antimafia – Nuove disposizioni
(ANCE Bergamo,
circolare 08.03.2013 n. 64). |
APPALTI:
Oggetto: Forma del contratto d’appalto – Indicazioni
dell’Autorità per la vigilanza (ANCE Bergamo,
circolare 08.03.2013 n. 63). |
APPALTI: L'articolo
38 del d.lgs. n. 163 del 2006 deve leggersi nel senso che
sono tenuti alla dichiarazione sostitutiva di notorietà
attestante l'inesistenza di cause di esclusione tutti i
soggetti che siano rappresentanti legali e/o titolari di
poteri institori ex art. 2203 c.c. della ditta concorrente
(e, peraltro, tale obbligo incombe anche in mancanza di un
suo espresso richiamo nella lex specialis della gara).
Inoltre, secondo un condivisibile orientamento, l’esigenza
di certezza cui è collegato l’obbligo della dichiarazione
personale di ciascun rappresentante, peraltro garantita
nella sua genuinità da sanzione penale, porta ad escludere
che possa considerarsi valevole per tutti la dichiarazione
resa da un solo amministratore.
Ai sensi dell’articolo 38 del d.lgs. n.163 del
2006, viceversa, i requisiti di ordine generale devono
essere riferiti ad ogni amministratore munito di potere di
rappresentanza.
Come noto, alla stregua del prevalente orientamento
giurisprudenziale (cfr. Tar Venezia sentenza n. 6069 del
2010), l'articolo 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 deve
leggersi nel senso che sono tenuti alla dichiarazione
sostitutiva di notorietà attestante l'inesistenza di cause
di esclusione tutti i soggetti che siano rappresentanti
legali e/o titolari di poteri institori ex art. 2203 c.c.
della ditta concorrente (e, peraltro, tale obbligo incombe
anche in mancanza di un suo espresso richiamo nella lex
specialis della gara).
Inoltre, secondo un condivisibile orientamento, l’esigenza
di certezza cui è collegato l’obbligo della dichiarazione
personale di ciascun rappresentante, peraltro garantita
nella sua genuinità da sanzione penale, porta ad escludere
che possa considerarsi valevole per tutti la dichiarazione
resa da un solo amministratore (cfr. Tar Molise, sentenza n.
19 del 2009); circostanza che, peraltro, nel caso in esame
non si è neanche verificata
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 07.03.2013 n. 154 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gare
d'appalto, sì al concordato
L'istanza di concordato preventivo non è ragione sufficiente
per l'esclusione da una gara di appalto. Questo a seguito
della reintroduzione, ad opera del decreto sviluppo del
2012, dell' istituto del concordato con continuità aziendale
previsto dall'art. 186-bis del rd 267/1942. In base al
dettato normativo, l'istanza di concordato preventivo, non è
da considerarsi ostativa alla partecipazione alle gare, ma
bensì come un'eccezione all'operatività della causa di
esclusione.
Così ha stabilito il TAR Friuli-Venezia Giulia, con la
sentenza
07.03.2013 n. 146.
La vicenda, che si è conclusa
con la dichiarazione di infondatezza del ricorso, ha avuto
come protagonista un'impresa partecipante ad una gara
d'appalto per l'assegnazione di un servizio in materia
ambientale. La ricorrente, che contestava l'assegnazione
della gara in questione alla prima classificata, sosteneva
che la stessa non potesse essere ritenuta la reale
assegnataria definitiva della gara.
L'impresa argomentava
sostenendo che la prima classificata, non avrebbe nemmeno
dovuto partecipare alla gara, a causa della situazione
fiscale e finanziaria tutt'altro che tranquilla. Il giorno
dopo la scadenza del termine per presentare le domande
infatti, aveva proposto istanza di concordato preventivo. La
ricorrente basava il proprio ragionamento sull'art. 38 del dlgs 163 del 2006.
In base a quanto previsto dalla norma
infatti «sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di
affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori,
forniture e servizi, né possono essere affidatari di
subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i
soggetti: a) che si trovano in stato di fallimento, di
liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso
di cui all'articolo 186-bis del regio decreto 267/1942, o
nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la
dichiarazione di una di tali situazioni» (si veda ItaliaOggi
del 7 marzo). Proprio in base all'analisi della norma, il
Tar ritiene di dover respingere il ricorso. Il Tribunale
friulano, argomenta su due punti fondamentali.
In prima
battuta viene posta in evidenza la questione temporale. In
base a quest'ultima infatti, risulta che l'istanza di
concordato preventivo era stata presentata a seguito della
presentazione di domanda di partecipazione alla gara
d'appalto, ragion per cui se i controlli fossero stati
effettuati precedentemente alla presentazione della
richiesta, sarebbero risultati del tutto in regola. In
secondo luogo, il Tribunale spiega come l'art. 38, così come
modificato dal decreto sviluppo 2012, nonostante preveda
effettivamente quanto sostenuto dalla ricorrente, sia stato
oggetto di un errore interpretativo. In base a quest'ultimo
infatti, l'istanza di concordato preventivo, non è da
considerarsi come un ostacolo alla partecipazione alle gare
d'appalto, ma anzi come un' eccezione all'operatività della
causa di esclusione.
«Del resto», conclude il Tar, «è lo
stesso art. 186-bis del rd 267/1942 a dettare le condizioni
per una legittima partecipazione alle gare d'appalto in
costanza di ammissione a tale tipologia di concordato
preventivo». I requisiti previsti dalla norma sono infatti:
una relazione di un professionista che attesta la conformità
al piano e la ragionevole capacità di adempimento del
contratto e la dichiarazione di altro operatore che dichiara
di farsi garantire del corretto svolgimento di quanto
previsto dal contratto di appalto.
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La massima
L’istanza di concordato preventivo, non è da considerarsi
come un ostacolo alla partecipazione alle gare d’appalto, ma
anzi come un’eccezione all’operatività della causa di
esclusione (articolo
ItaliaOggi del 02.04.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Decreto
ministeriale. La mancata comunicazione da parte degli enti
determinerà il blocco dei finanziamenti.
Monitoraggio a tappeto per le opere pubbliche.
Le amministrazioni pubbliche e le
società partecipate devono rilevare e trasmettere al sistema
di monitoraggio nazionale presso il Cipe un'ampia serie di
informazioni inerenti la realizzazione di lavori finanziati
da risorse pubbliche.
Il decreto del ministro dell'Economia 26.02.2013 ridefinisce
i flussi informativi e i relativi adempimenti collegati al
Cup, finalizzati a tracciare le varie fasi di sviluppo delle
opere pubbliche.
La rilevazione è effettuata con le nuove modalità in
attuazione del Dlgs 229/2011 (che ha riorganizzato il
sistema di monitoraggio che fa leva sul codice unico di
progetto) e si riferisce alle opere pubbliche in corso di
progettazione o di realizzazione alla data del 21.02.2012.
Il decreto individua il dettaglio dei dati anagrafici,
finanziari, fisici e procedurali concernenti la
realizzazione di lavori pubblici destinatari di
finanziamenti e di agevolazioni a carico del bilancio dello
Stato. Questo profilo applicativo potrebbe determinare la
possibilità di ricomprendere nel novero delle opere anche
quelle di urbanizzazione (principalmente secondaria)
realizzate a scomputo dai soggetti attuatori di piani
urbanistici.
Il dato principale per la rilevazione è sempre il Cup, ma
nella comunicazione devono essere precisate anche le
informazioni descrittive delle intese istituzionali o degli
strumenti attuativi nell'ambito dei quali sono realizzate le
opere. Le amministrazioni devono precisare anche se il
progetto genera entrate, nonché un'ampia serie di elementi
descrittivi dei finanziamenti pubblici e la segnalazione di
eventuali cofinanziatori privati. Un aspetto molto
interessante della schedatura è individuabile nella
dettagliata descrizione del monitoraggio dei pagamenti. Le
amministrazioni, inoltre, sono tenute a fornire elementi di
riscontro relativi a indicatori di realizzazione fisica del
progetto e occupazionali.
Il Dm delinea il suo ambito applicativo non solo con
riguardo alle amministrazioni pubbliche (peraltro secondo
l'ampio quadro di riferimento della legge di contabilità
pubblica), ma anche alle società da esse partecipate a
qualsiasi livello. La rilevazione dei dati deve essere
effettuata quattro volte all'anno, ma per il 2013 vale una
deroga che consente di concretizzare la prima operazione
entro il 30 giugno. La periodicità dei riscontri può essere
comunque aumentata per consentire l'ottimizzazione con altre
linee di rilevazione di informazioni settoriali.
Gli enti di minori dimensioni potranno fruire dell'ausilio
della ragioneria generale dello Stato, qualora non
riuscissero nella fase iniziale a raccogliere i dati con i
propri sistemi. La comunicazione dei dati relativi al
monitoraggio dello stato di realizzazione delle opere
pubbliche costituisce presupposto fondamentale per
l'erogazione del finanziamento: qualora non sia effettuata,
la diretta conseguenza è il blocco dello stesso
(articolo Il Sole 24 Ore del
07.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI: L'Authority
contratti boccia le nuove prassi per la promozione dell'opera. Illegittimo
aggiudicare l'appalto valutando anche il co-marketing.
Illegittimo aggiudicare un appalto valutando anche il
cosiddetto “co-marketing” nell'ambito delle offerte
tecnico-economiche; si tratta di elemento non attinente alle
caratteristiche dell'appalto che non può essere oggetto di
valutazione ai fini dell'affidamento del contratto.
E' quanto afferma l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici con il parere di precontenzioso 13.02.2013 n. 11 (prec. 222/12/L, ancora non
pubblicato sul sito www.avcp.it), in accoglimento
dell'istanza presentata da Ance Sicilia.
Si tratta della prima pronuncia relativa ad una innovativa
prassi di valutazione delle offerte posta in essere da
alcune amministrazioni locali nell'ambito della valutazione
tramite il criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa.
Il caso specifico riguardava un appalto di
lavori di riqualificazione urbana con importo a base d'asta
di 1,052 milioni per l'aggiudicazione del quale si
prevedeva anche l'attribuzione di un punteggio all'offerta
in aumento sull'importo da versare al Comune per installare
spazi pubblicitari sui luoghi oggetto dell'intervento, per
promuovere le opere oggetto dell'appalto (sotto questo
profilo si parla di “co-marketing”).
L'anomalia segnalata
all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici
consisteva nel fatto che al vero e proprio ribasso sul
prezzo posto a base di gara si attribuiva un punteggio ben
più basso (15 punti su 100) rispetto a quello attribuito
all'elemento concernente il “co-marketing” (inizialmente
fissato a 50/100 e poi ridotto a 20/100) e, soprattutto che
si trattava di un elemento di valutazione non coerente
rispetto al quadro di riferimento nazionale e comunitario,
che privilegia valutazioni tese a garantire la qualità
dell'offerta dell'impresa, e in contrasto con quanto
previsto nella determinazione 7/2011 dell'organismo di
vigilanza.
L'Autorità di via di Ripetta (relatore Giuseppe
Borgia) ha in primo luogo ritenuto inammissibile questo
“discriminante criterio” di valutazione delle offerte e poi
ha aggiunto che “non è dato evincere alcuna specifica
attinenza tra il criterio in esame e le caratteristiche
dell'appalto”.
Inoltre è stato rilevato che “la semplice
ricorrenza del profilo di interesse pubblico, espressamente
riconnesso al valore culturale degli spazi interessati dai
lavori, non è tale da giustificare l'inserimento del
contestato criterio di valutazione dell'offerta appunto
perché non attinente alla natura, all'oggetto e alle
caratteristiche dell'appalto, volto alla riqualificazione
dell'area attraverso l'esecuzione di un complessivo
intervento di trasformazione, al fine di migliorarne la
fruibilità, che non comprende anche la sua valorizzazione
pubblicitaria e commerciale”.
Nel capitolato era previsto,
in particolare, che gli impianti pubblicitari realizzati
dalla stazione appaltante sarebbero stati concessi per 12
mesi e affidati all'aggiudicatario dell'appalto per azioni
di co-marketing e che il corrispettivo sarebbe comunque e
sempre dovuto alla stazione appaltante anche in caso di
mancato utilizzo degli impianti pubblicitari (in sostanza
l'appaltatore si sarebbe accollato il “rischio di domanda”)
(articolo ItaliaOggi del
06.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: RESPONSABILITÀ
APPALTI/ Semplificazione, passi avanti con la circolare 2/E. Versamenti
asseverati a tentoni.
Professionisti, l'unico riferimento il visto sui crediti Iva.
Nell'asseverazione della regolarità dei versamenti
nell'ambito della disciplina sulla responsabilità fiscale
negli appalti, professionisti senza certezze.
Manca una disciplina organica per le modalità di esecuzione
delle verifiche, dovendo necessariamente far riferimento,
per quanto compatibili e adattandole, alle modalità di
verifica dei dati utilizzati in sede di rilascio del visto
di conformità del credito Iva.
L'Agenzia delle entrate, con la circolare n. 2/E di venerdì
scorso (si veda ItaliaOggi del 2 e del 5 marzo), ha fatto
passi avanti nella semplificazione degli adempimenti, ma
servono ancora numerose indicazioni per poter applicare
senza affanni (e senza rischi) la disciplina introdotta
dall'art. 13-ter, dl n. 83/2012, sulla solidarietà fiscale
nell'ambito dei contratti di appalto.
Passando in rassegna le problematiche ancora aperte si
segnala, innanzitutto, quella relativa alla sanzione posta a
carico del committente che varia da euro 5 mila a euro 200
mila; sul punto, non è stata indicata alcuna modulazione, ma
si ritiene che la stessa sanzione si renda applicabile
soltanto nel caso in cui sia riscontrato l'effettivo
inadempimento tributario in capo ai soggetti obbligati,
tenendo conto della gravità dell'omissione e della
ripetitività dell'inadempimento.
Si ritiene che, essendo la sanzione non commisurata alla
somma oggetto dell'inadempimento, in presenza di violazioni
concernenti importi contenuti, la sanzione applicabile sia
quella minima, ma non indifferente, pari a 5 mila euro.
Né la circolare n. 40/E/2012, né quella in commento (n.
2/E/2013) hanno speso più di qualche riga per fissare la
disciplina dell'eventuale asseverazione; nel primo documento
di prassi richiamato, in effetti, l'Agenzia delle entrate
aveva precisato che la certificazione sulla regolarità dei
versamenti effettuati dall'appaltatore o dal sub-appaltatore
poteva essere rilasciata, oltre che con una dichiarazione
sostitutiva, attraverso un'asseverazione resa dai
responsabili dei Caf o da professionisti abilitati (dottori
commercialisti, consulenti del lavoro e quant'altro).
Sul punto, in assenza di un modello ad hoc,
nell'asseverazione si ritiene opportuno indicare, alla
stessa stregua di quanto previsto per la dichiarazione
sostitutiva, l'applicazione dell'inversione contabile o
dell'Iva per cassa, gli estremi delle deleghe «F24», in caso
di debito da liquidazione periodica dell'Iva, l'indicazione
del periodo nel quale le ritenute alla fonte sui redditi di
lavoro dipendente sono state versate, con l'indicazione
degli estremi delle deleghe e l'attestazione che detti
versamenti sono riferibili al contratto (o ai contratti) per
il quale l'asseverazione si rende necessaria.
Permangono perplessità, inoltre, sull'eventuale presenza di
contratti verbali, ai fini della relativa dimostrabilità
degli stessi, ma si nutre ulteriormente perplessità che, per
i casi soggetti alla disciplina, si sia in assenza di
contratti redatti in forma scritta, anche per cautelare le
parti dalle rispettive inadempienze, soprattutto quando
l'entità delle prestazioni sono di una certa consistenza.
Si nutrono, inoltre, perplessità sulla esclusione dalla
disciplina di determinate tipologie, come le prestazioni
d'opera; se chiara e scontata appare l'esclusione delle
prestazioni intellettuali (commercialista, avvocato,
ingegnere e quant'altro), non altrettanta chiara è
l'esclusione di taluni soggetti, come gli artigiani.
È proprio la delimitazione organizzativa (l'assenza
dell'organizzazione di mezzi) che crea perplessità non
potendo sic et simpliciter escludere
dall'applicazione tutti gli artigiani, per esempio, inseriti
nel relativo albo, posto che all'interno vi sono operatori
che operano con utilizzo minimo di mezzi e risorse, ma anche
società a responsabilità limitata, nelle quali i soci
prestano la propria opera.
Pertanto, al fine di evitare possibili contenziosi (e
sanzioni), è consigliabile che anche i prestatori d'opera,
potenzialmente esclusi ma con un minimo di organizzazione,
rilascino l'attestazione; soluzione che permetterà, inoltre,
di incassare il corrispettivo
(articolo ItaliaOggi del
06.03.2013). |
LAVORI PUBBLICI: In
G.U. il dm attuativo del dlgs 299/2011. Adempimenti
necessari per i finanziamenti. Appalti trasparenti o stop
soldi.
Tutte le informazioni vanno alla banca dati delle p.a..
Appalti trasparenti o stop ai finanziamenti pubblici. Con il
decreto del mineconomia 26.02.2013, pubblicato sulla
G.U. n. 54 di ieri, si dà attuazione dell'art. 5 del decreto
legislativo 29.12.2011, n. 229, individuando le
informazioni che le amministrazioni e i soggetti
aggiudicatori sono tenute a detenere e a comunicare alla
banca dati delle amministrazioni pubbliche.
Le informazioni, riassunte in una scheda, sono le più varie,
e vanno dall'indicazione delle fonti di finanziamento
dell'opera (compreso il codice fiscale del cofinanziatore
privato) ai ribassi d'asta registrati, dai pagamenti
effettuati dalle amministrazioni aggiudicatrici alle imprese
che attuano il progetto allo stato di avanzamento dell'opera
«misurato» passo passo. Ma rientrano anche le informazioni
sull'occupazione creata e quelle più generali su tutti i
soggetti collegati al progetto a vario titolo: chi sono,
cosa fanno, dimensioni, addetti, rappresentante legale ecc.
In sostanza un'operazione trasparenza necessaria anche per
monitorare l'andamento delle opere pubbliche e il cui
mancato rispetto avrà conseguenze pesanti per gli operatori.
Il decreto dell'Economia, infatti, prevede che
«l'adempimento degli obblighi di comunicazione (_) è un
presupposto del relativo finanziamento a carico del bilancio
dello stato, verificato all'atto della sua erogazione dai
competenti uffici preposti al controllo di regolarità
amministrativa e contabile». In altre parole, se manca la
comunicazione, che è tutta imperniata sul Codice
identificativo di gara (Cig) e sul Codice unico di progetto
(Cup), il finanziamento viene meno. Le disposizioni del
decreto si applicano alle amministrazioni pubbliche ma anche
ai soggetti diversi destinatari di finanziamenti e
agevolazioni a carico del bilancio dello stato finalizzati
alla realizzazione di opere pubbliche. Oggetto di
rilevazione saranno le opere pubbliche in corso di
progettazione o realizzazione alla data del 21.02.2012,
nonché quelle avviate successivamente.
Per quanto riguarda la tempistica, le amministrazioni e i
soggetti aggiudicatori rilevano le informazioni riferite
allo stato di attuazione delle opere alle date del 28
febbraio, del 30 aprile, del 30 giugno, del 31 agosto, del
31 ottobre e del 31 dicembre di ciascun anno e le rendono
disponibili alla banca dati delle amministrazioni pubbliche
entro i 30 giorni successivi. In questa fase iniziale, la
rilevazione riguarderà lo stato delle opere al 30 giugno e
l'invio dovrà avvenire tra il 30.09.2013 e il 20.10.2013
(articolo ItaliaOggi del
06.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Con riguardo all’apertura
in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche
tale obbligo si deve ritenere ora applicabile solo alle gare
indette dopo l’entrata in vigore (07.07.2012) della citata
novella all’art. 120 del DPR 207/2010, per effetto dell’art.
12 del DL 52/2012 che l’ha previsto in modo espresso per la
prima volta.
- Considerato che l’appello è meritevole d’accoglimento,
anzitutto con riguardo all’apertura in seduta pubblica dei
plichi contenenti le offerte tecniche, nella specie avvenuta
il 01.03.2011, in quanto il relativo obbligo si deve
ritenere ora applicabile solo alle gare indette dopo
l’entrata in vigore (07.07.2012) della citata novella
all’art. 120 del DPR 207/2010, per effetto dell’art. 12 del
DL 52/2012 che l’ha previsto in modo espresso per la prima
volta (cfr. Cons. St., IV, 04.01.2013 n. 4);
- Considerato che in questa sede non si può rimettere in
discussione quanto deciso dall’Adunanza Plenaria con
decisione n. 13/2011, né per quanto riguarda il merito della
questione di diritto (obbligo di aprire le buste con le
offerte tecniche in seduta pubblica), né per quanto riguarda
il carattere interpretativo e non innovativo della massima
affermata in quella decisione (anche perché nel nostro
ordinamento giuridico, come in tutti quelli di c.d. civil
law, il còmpito del giudice è esclusivamente quello
d’interpretare le norme giuridiche, non di dettarne delle
nuove: «è proibito ai giudici di pronunciare in via di
disposizione generale o di regolamento nelle cause di loro
competenza»: art. 1, comma 5, del Codice Napoleone nella
versione promulgata il 16.01.1806 per il Regno d’Italia;
cfr. anche gli artt. 1 e 12 delle vigenti disposizioni sulla
legge in generale);
- Considerato tuttavia che dopo la decisione dell’Adunanza
Plenaria il legislatore è intervenuto con l’art. 12 del
decreto legge n. 52/2012, il quale, con le parole «La
commissione, anche per le gare in corso ove i plichi
contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti
alla data del 09.05.2012, apre in seduta pubblica i plichi
contenenti le offerte tecniche al fine di procedere alla
verifica della presenza dei documenti prodotti» nel
recepire e fare proprio suddetto principio
giurisprudenziale, ha tuttavia fissato positivamente un
dies a quo per la sua applicazione, coincidente con la
data di entrata in vigore della legge di conversione,
lasciando così intendere che anteriormente a quella data
dovesse applicarsi la regola opposta;
- Considerato pertanto che all’art. 12 del DL 52/2012 va
riconosciuta la natura di norma transitoria in funzione di
salvaguardia (o sanatoria) delle modalità d’apertura di tali
plichi e dei relativi effetti, relativamente alle procedure
già concluse al 09.05.2012 o i cui plichi siano stati già
aperti a quella data, donde la portata non solo ricognitiva
di detta disposizione (cfr. Cons. St., III, 14.01.2013 n.
145) (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 05.03.2013 n. 1333 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Rate fiscali? Niente appalto.
La dilazione del debito non consente la partecipazione.
Sentenza del Consiglio di stato: le imprese devono essere
perfettamente in regola.
Brutta sorpresa per le imprese che a causa della crisi o
per altri motivi hanno dovuto rateizzare il debito fiscale.
Esse, infatti, non possono partecipare alle gare d'appalto.
Perché chi vuole lavorare con la pubblica amministrazione
deve rispettare gli obblighi di lealtà e correttezza.
E la rateizzazione di un debito fiscale non implica che esso
venga necessariamente estinto.
Il Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 05.03.2013 n. 1332, traccia una strada che non farà sicuramente
piacere alle aziende già alle prese con la crisi economica e
finanziaria.
Dal punto di vista giuridico, i giudici di
palazzo Spada, ribaltando la decisione della prima sezione
del Tar di Napoli., evidenziano che l'accordo di
ristrutturazione del debito non ha natura novativa. Tanto
più nel caso di specie, in cui la dichiarazione circa il
quantum era risultata poi essere mendace.
La vicenda
La vicenda vede protagonisti tre istituti di vigilanza
privata, tutti contemporaneamente concorrenti alla gara
d'appalto indetta dalla pubblica amministrazione per la
sorveglianza della Azienda sanitaria locale di Caserta. Se
in prima battuta una delle tre imprese era risultata essere
provvisoriamente aggiudicataria, questa stessa in un secondo
momento vedeva sottrarsi l'assegnazione della gara in favore
della seconda classificata. Questo a seguito della verifica
della regolarità dei requisiti previsti dall'articolo 38, I
comma, lett. g), del dlgs 163/2006, così come modificata
dalla legge 106/2011.
La norma, facente parte del Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture,
prevede che «Debbano essere esclusi dalla partecipazione
alle procedure di affidamento delle concessioni di appalti
di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari
di subappalti e non possono stipulare i relativi contratti i
soggetti che: hanno commesso violazioni gravi,
definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione
italiana o quella dello stato in cui sono stabiliti».
Ricorrendo in prima battuta di fronte Tar, l'azienda
interessata asseriva l'illegittimità della revoca della
aggiudicazione provvisoria per irregolarità fiscale,
sostenendo che i debiti tributari che gli venivano eccepiti,
erano stati oggetto di rateizzazione prima che venisse
accolta la loro richiesta di partecipazione alla gara, non
sussistendo quindi alcuna violazione definitivamente
accertata. La prima sezione, accogliendo il ricorso, andava
ad annullare la prima assegnazione, affermando che «sia la
concessione della rateizzazione del debito tributario, sia
la successiva stipula di una transazione fiscale,
presupponevano un accordo tra il contribuente e
l'amministrazione erariale, tale per cui il concorrente
interessato non potesse essere considerato in situazione di
irregolarità fiscale».
Secondo questa opinione, sia la
rateizzazione sia l'accordo di ristrutturazione avrebbero
quindi avuto natura novativa. Di tutt'altro avviso si
dimostrerà essere il Consiglio di stato. Divenuta
ricorrente, la ditta a cui viene sottratta l'assegnazione,
eccepisce non solo la falsità circa l'effettivo ammontare
del debito in capo all' azienda aggiudicataria, che era in
realtà quasi dieci volte tanto, ma anche l'inesistenza vera
e propria dell'accordo transattivo, che in realtà non
sarebbe mai stato iscritto al ruolo.
Il no dei giudici
In punto di diritto però, i giudici di palazzo Spada si
pronunciano mettendo in evidenza due elementi fondamentali.
Il primo proprio in relazione alla falsità della
dichiarazione. Per il Consiglio «è opinione largamente
condivisa in giurisprudenza che costituisca in sé motivo di
esclusione dalla gara, il fatto che l'autodichiarazione
presentata dalla concorrente, sia risultata non veritiera».
Il secondo elemento evidenziato riguarda la natura degli
accordi tra contribuente e amministrazione erariale. Viene
infatti negata, ribaltando quanto sostenuto dalla prima
sezione del Tar di Napoli, la natura novativa sia della
rateizzazione, sia dell'accordo di ristrutturazione.
Al di
là del caso di specie quindi, il Consiglio di stato prende
posizione circa i requisiti necessari per la partecipazione
alle gare di appalto indette dalle pubbliche
amministrazioni. Per i giudici infatti, «i soggetti che
contraggono con la pubblica amministrazione devono
rispettare obblighi di lealtà e correttezza», per tanto non
ha più rilevanza il quantum del debito, né qualsiasi tipo di
accordo volto a regolarizzarlo.
I requisiti previsti
dall'articolo 38, I comma, lett. g) del dlgs 163/2006, così
come modificato dalla legge 106/2011, indispensabili per la
partecipazione alle gare di appalto e alla successiva
stipula dei contratti, si ritengono soddisfatti solo in
assenza di qualsiasi tipo di irregolarità
(articolo ItaliaOggi del 07.03.2013 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Forma di partecipazione modificata strada facendo.
Il concorrente in una procedura di gara può modificare la
forma di partecipazione, rispetto a quanto indicato in fase
di prequalifica.
Il principio è affermato con la
sentenza
05.03.2013 n.
1328 del Consiglio di Stato, Sez. III.
Nella fattispecie oggetto dell'esame del giudice
amministrativo, in sede di prequalifica, il concorrente
richiedeva l'invito alla procedura con la forma del
costituendo raggruppamento di imprese, mentre al momento
della partecipazione cambiava sia forma, consorzio anziché
RTI, che composizione, in quanto risultava differente uno
dei tre partecipanti al consorzio.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che la possibilità di
modifica non era vietata dal bando, in quanto il riferimento
alla forma giuridica era come da domanda di partecipazione,
riferendosi pertanto non alla fase di prequalifica ma
all'effettiva partecipazione alla gara.
Inoltre, a parte il riferimento del bando, è lo stesso
codice degli appalti che agli articoli 37 e 51 consente agli
operatori che concorrono alle procedure di gare, di
modificare la veste giuridica assunta inizialmente, fino
alla presentazione delle offerte.
Il Codice e la stessa normativa comunitaria sono
indifferenti alla veste giuridica con la quale gli operatori
concorrono alle procedure di gara e alle modifiche della
veste inizialmente assunta, almeno fino alla presentazione
delle offerte. In particolare, i commi 9 e 12 del citato
articolo 37 consentono espressamente che l'operatore
prequalificato modifichi il proprio profilo soggettivo, a
condizione che avvenga prima della presentazione
dell'offerta e che non sia preordinato a sopperire ad una
carenza di requisiti.
La lex specialis non potrebbe, infine, prevedere il
divieto di modifica della forma giuridica di partecipazione,
in quanto risulterebbe illegittima, con limiti alle capacità
concorrenziali e imprenditoriali, limitando la facoltà delle
imprese di scegliere e utilizzare gli strumenti aggregativi
ritenuti più idonei
(articolo ItaliaOggi del 29.03.2013). |
APPALTI:
Gli operatori che concorrono alle procedure di
gara possono modificare la veste giuridica assunta
inizialmente, quantomeno fino alla presentazione delle
offerte.
Dagli articoli 37 (c. 9 e 12) e 51 del d.lgs. n. 163 del
2006, sia dalla normativa comunitaria di riferimento, emerge
l'indifferenza dell'ordinamento, alla veste giuridica a
mezzo della quale gli operatori concorrono alle procedure di
gara ed alle eventuali modifiche della veste assunta
inizialmente, quanto meno fino alla presentazione delle
offerte. In particolare l'art. 37, c. 9 e 12, del codice
degli appalti consente espressamente che l'operatore
prequalificatosi modifichi il proprio profilo soggettivo in
vista della gara, sempre che detta modifica intervenga prima
della presentazione delle offerte e sempre che la stessa non
risulti preordinata a sopperire ad una carenza di requisiti
intervenuta medio tempore o esistente ab origine.
Pertanto, nel caso di specie, non è condivisibile la tesi
prospettata dall'appellante intesa a restringere il
mutamento della forma giuridica di partecipazione ai soli
rti e anzi la lex specialis, ove interpretata nel
senso auspicato dall'appellante principale, risulterebbe
illegittima ponendo inutili limiti alle capacità
concorrenziali e imprenditoriali in specie limitando la
facoltà delle imprese di scegliere e utilizzare gli
strumenti aggregativi più idonei (Consiglio di Stato, Sez.
III,
sentenza 05.03.2013 n. 1328 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: La
procedura del project financing
–disciplinata prima dagli articoli 37 e seguenti della legge
n. 109/1994 e successivamente dagli articoli 153 e seguenti
del d.lgs. n. 163/2006– risulta articolata in due fasi,
distinte ma strettamente connesse: la scelta del promotore,
caratterizzata da ampia discrezionalità amministrativa per
l’accoglimento della proposta, proveniente talvolta del
promotore stesso, alla stregua della già effettuata
programmazione delle opere pubbliche, con gara preliminare
per la valutazione comparativa delle diverse offerte,
seguita da eventuali modifiche progettuali e da rilascio
della concessione, ovvero da una ulteriore fase selettiva ad
evidenza pubblica (secondo le regole nazionali e
comunitarie) fra più aspiranti alla concessione in base al
progetto prescelto, con risorse totalmente o parzialmente a
carico dei soggetti proponenti. Quanto sopra, con
fattispecie a formazione progressiva, il cui scopo finale
(aggiudicazione della concessione, in base al criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa) è
interdipendente dalla fase prodromica di individuazione del
promotore.
Nella peculiare procedura, sopra sommariamente descritta,
così come in generale per ogni procedimento –selettivo o
meno– possono verificarsi interruzioni anche definitive,
connesse a provvedimenti assunti dall’Amministrazione in via
di autotutela, rapportati a vizi di legittimità, o a revoche
motivate da ragioni di interesse pubblico: queste ultime
–disciplinate in via generale dall’art. 21-quinquies della
legge 07.08.1990, n. 241, nel testo aggiunto dall’art. 14
della legge 11.2.2005, come successivamente modificato ed
integrato– possono corrispondere a sopravvenuti motivi di
pubblico interesse, a mutamento della situazione di fatto o
a nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Per il project financing, una disciplina peculiare in
materia di revoca è contenuta nell’art. 158 del citato
d.lgs. n. 163/2006, da considerare –sussistendone i
presupposti– lex specialis rispetto al predetto art.
21-quinquies L. n. 241/1990 (che parte della giurisprudenza
riteneva inapplicabile all’approvazione di un progetto
preliminare di project financing o alla fase di
aggiudicazione provvisoria, poiché riguardante –prima
dell’inserimento, con d.l. n. 7/2007, del comma 1-bis– i
soli provvedimenti ad efficacia durevole).
La questione sottoposta all’esame del
Collegio concerne una procedura di project financing,
avviata per la ricerca di offerenti, disponibili a
realizzare un’attrazione storico-scenografica sulla
distruzione di Pompei, da effettuare all’interno del noto
sito archeologico.
Detta procedura –disciplinata prima
dagli articoli 37 e seguenti della legge n. 109/1994 e
successivamente dagli articoli 153 e seguenti del d.lgs. n.
163/2006– risulta articolata in due fasi, distinte ma
strettamente connesse: la scelta del promotore,
caratterizzata da ampia discrezionalità amministrativa per
l’accoglimento della proposta, proveniente talvolta del
promotore stesso, alla stregua della già effettuata
programmazione delle opere pubbliche, con gara preliminare
per la valutazione comparativa delle diverse offerte,
seguita da eventuali modifiche progettuali e da rilascio
della concessione, ovvero da una ulteriore fase selettiva ad
evidenza pubblica (secondo le regole nazionali e
comunitarie) fra più aspiranti alla concessione in base al
progetto prescelto, con risorse totalmente o parzialmente a
carico dei soggetti proponenti. Quanto sopra, con
fattispecie a formazione progressiva, il cui scopo finale
(aggiudicazione della concessione, in base al criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa) è
interdipendente dalla fase prodromica di individuazione del
promotore (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 28.01.2012, n. 1; Cons.
St., sez. V, 06.10.2010, n. 7334, 08.02.2011, n. 843, 07.04.2011,
n. 2154; Cons. St., sez. IV, 26.01.2009, n. 391).
Nella peculiare procedura, sopra sommariamente descritta,
così come in generale per ogni procedimento –selettivo o
meno– possono verificarsi interruzioni anche definitive,
connesse a provvedimenti assunti dall’Amministrazione in via
di autotutela, rapportati a vizi di legittimità, o a revoche
motivate da ragioni di interesse pubblico: queste ultime –disciplinate in via generale dall’art. 21-quinquies della
legge 07.08.1990, n. 241, nel testo aggiunto dall’art. 14
della legge 11.2.2005, come successivamente modificato ed
integrato– possono corrispondere a sopravvenuti motivi di
pubblico interesse, a mutamento della situazione di fatto o
a nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (cfr.
anche, per il principio, Cons. St., sez. VI, 17.03.2010, n.
1554; Cons. St., sez. V, 06.10.2010, n. 7334 e 06.12.2010, n.
8554).
Per il project financing, una disciplina peculiare in
materia di revoca è contenuta nell’art. 158 del citato
d.lgs. n. 163/2006, da considerare –sussistendone i
presupposti– lex specialis rispetto al predetto art. 21-quinquies L. n. 241/1990 (che parte della giurisprudenza
riteneva inapplicabile all’approvazione di un progetto
preliminare di project financing o alla fase di
aggiudicazione provvisoria, poiché riguardante –prima
dell’inserimento, con d.l. n. 7/2007, del comma 1-bis– i
soli provvedimenti ad efficacia durevole: cfr. Cons. St.,
sez. VI, 17.03.2010, n. 1554)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.03.2013 n. 1315 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'attendibilità
dell’offerta presentata nell’ambito di una gara d’appalto e
sospettata di anomalia deve essere valutata nella sua
globalità, poiché l'art. 88, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006
(Codice degli appalti) -quando statuisce che, all'esito del
procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, la
stazione appaltante dichiara l'eventuale esclusione
dell’offerta che risulta, "nel suo complesso", inaffidabile-
va inteso nel senso che la stazione appaltante deve
accertare l'affidabilità globale dell’offerta mediante un
giudizio sintetico sulla serietà o meno della medesima nel
suo insieme considerata.
In altre parole, “Il giudizio di congruità dell’offerta per
l'aggiudicazione di un gara d'appalto si basa su una
valutazione complessiva, riguardante tutte le diverse voci,
nella quale il sospetto su alcune parti può essere
trascurato sulla base del giudizio globale. Il giudizio
positivo non deve essere giustificato sulla base della
minuta disamina espressa di tutte le componenti
dell’offerta, di conseguenza, chi contesta la legittimità
dell'aggiudicazione ha l'onere di individuare specifici
punti che dimostrano l’anomalia dell’offerta dimostrando
anche, nel corso del contraddittorio processuale, il loro
rilievo nella sua logica complessiva".
---------------
Se si dovesse ritenere che l’esame, nel merito, della
congruità dell’offerta dovesse avvenire solo alla luce di
quanto esposto nell’offerta, considerando come
un’inammissibile modifica dell’offerta ogni successivo
chiarimento od integrazione, la valutazione dell’anomalia
sarebbe assolutamente priva di significato.
Pur dovendosi, dunque, ritenere immodificabile l’offerta,
deve altresì ammettersi la possibilità di integrare le varie
voci di spesa, chiarendo il metodo di calcolo e l’esatta
imputazione. Le giustificazioni debbono, dunque, ritenersi
modificabili.
Come già affermato in sede cautelare, <<per costante ed
uniforme giurisprudenza, l'attendibilità dell’offerta
presentata nell’ambito di una gara d’appalto e sospettata di
anomalia deve essere valutata nella sua globalità, poiché
l'art. 88, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli
appalti) -quando statuisce che, all'esito del procedimento
di verifica dell’anomalia dell’offerta, la stazione
appaltante dichiara l'eventuale esclusione dell’offerta che
risulta, "nel suo complesso", inaffidabile- va inteso nel
senso che la stazione appaltante deve accertare
l'affidabilità globale dell’offerta mediante un giudizio
sintetico sulla serietà o meno della medesima nel suo
insieme considerata (in tal senso, da ultimo, TAR Lombardia
Milano Sez. I, 13.09.2012, n. 2318). In altre parole, “Il
giudizio di congruità dell’offerta per l'aggiudicazione di
un gara d'appalto si basa su una valutazione complessiva,
riguardante tutte le diverse voci, nella quale il sospetto
su alcune parti può essere trascurato sulla base del
giudizio globale. Il giudizio positivo non deve essere
giustificato sulla base della minuta disamina espressa di
tutte le componenti dell’offerta, di conseguenza, chi
contesta la legittimità dell'aggiudicazione ha l'onere di
individuare specifici punti che dimostrano l’anomalia
dell’offerta dimostrando anche, nel corso del
contraddittorio processuale, il loro rilievo nella sua
logica complessiva” (Cons. Stato Sez. V, 27.08.2012, n.
4600)>>.
Tale esame, complessivo e globale, risulta essere stato
positivamente superato, in sede di valutazione
dell’anomalia, dall’offerta della Servizi comunali s.p.a.,
la cui congruità risulta essere sostenuta da elementi che,
unitariamente considerati, sono sufficienti ad escludere un
giudizio affetto da profili di illogicità ed incongruità che
consentirebbero il sindacato “debole” del giudice
amministrativo.
Appare, comunque, condivisibile la tesi dell’Amministrazione
secondo cui, se si dovesse ritenere che l’esame, nel merito,
della congruità dell’offerta dovesse avvenire solo alla luce
di quanto esposto nell’offerta, considerando come
un’inammissibile modifica dell’offerta ogni successivo
chiarimento od integrazione, come vorrebbe la ricorrente, la
valutazione dell’anomalia sarebbe assolutamente priva di
significato. Pur dovendosi, dunque, ritenere immodificabile
l’offerta, deve altresì ammettersi la possibilità di
integrare le varie voci di spesa, chiarendo il metodo di
calcolo e l’esatta imputazione. Le giustificazioni debbono,
dunque, ritenersi modificabili (Cons. Stato, V, 20.05.2012,
n. 875) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 216 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Secondo
il consolidato orientamento
giurisprudenziale in materia di jus poenitendi
dell’amministrazione, dopo l’avvio della procedura di scelta
del contraente la stessa mantiene il potere di revoca per
documentate e motivate esigenze di interesse pubblico, anche
consistenti in un diverso apprezzamento dei medesimi
presupposti già considerati, in ragione delle quali sia
evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della
prosecuzione della gara stessa: è sufficiente al riguardo
che non risulti illogica né illegittima per manifesta
abnormità o travisamento dei presupposti di fatto la
decisione di perseguire una strada diversa.
---------------
Il divieto rigoroso di rinegoziazione delle offerte
economiche è pacifico in giurisprudenza e non può essere
messo in discussione con considerazioni che si diffondano
sulla misura ridotta dello sconto praticato posteriormente
allo svolgimento della selezione.
In quest’ottica può essere
richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in
materia di jus poenitendi dell’amministrazione che
–dopo l’avvio della procedura di scelta del contraente–
mantiene il potere di revoca per documentate e motivate
esigenze di interesse pubblico, anche consistenti in un
diverso apprezzamento dei medesimi presupposti già
considerati, in ragione delle quali sia evidente
l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione
della gara stessa: è sufficiente al riguardo che non risulti
illogica né illegittima per manifesta abnormità o
travisamento dei presupposti di fatto la decisione di
perseguire una strada diversa (cfr. Consiglio di Stato, sez.
VI – 05/09/2011 n. 5002; TAR Puglia Lecce, sez. III –
25/01/2012 n. 139).
Ebbene, nel caso all’esame ragioni di opportunità (ossia il
reperimento di offerte più economiche) hanno indotto
l’Azienda Ospedaliera a non privilegiare l’opzione
dell’affidamento alla seconda classificata (divenuta poi
prima ed unica nella gara): a questo punto deve essere
sciolto l’interrogativo circa la sostenibilità, la coerenza
e la ragionevolezza di tale condotta.
---------------
Anzitutto il divieto rigoroso di rinegoziazione delle
offerte economiche –richiamato nell’atto impugnato– è
pacifico in giurisprudenza (cfr. TAR Lazio Roma, sez.
III-quater – 24/07/2012 n. 6868), e non può essere messo in
discussione con considerazioni che si diffondano sulla
misura ridotta dello sconto praticato posteriormente allo
svolgimento della selezione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 214 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
A. Caroselli,
L’Affidamento diretto tra vincoli comunitari e principio di
discrezionalità (05.03.2013 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 05.03.2013 n. 54 "Attuazione dell’art. 5 del decreto
legislativo 29.12.2011, n. 229, concernente la definizione
dei dati riguardanti le opere pubbliche, oggetto del
contenuto informativo minimo dei sistemi gestionali
informatizzati che le Amministrazioni e i soggetti
aggiudicatori sono tenute a detenere e a comunicare alla
banca dati delle amministrazioni pubbliche, di cui all’art.
13 della legge 31.12.2009, n. 196" (Ragioneria Generale
dello Stato,
decreto 26.02.2013). |
APPALTI: I riflessi dei chiarimenti dell'Agenzia delle entrate.
Contratti d'opera esenti.
Non si applica la responsabilità solidale.
Ai contratti d'opera non si applica la corresponsabilità
tributaria prevista nel caso di appalto e sub appalto. È
necessaria l'analisi della singola fattispecie per poter
qualificare il contratto. La bussola per decidere è fornita
dal codice civile.
Sono le riflessioni che scaturiscono
dalla circolare 2/E del 2013 dell'Agenzia delle entrata (si
veda ItaliaOggi del 2 marzo scorso) che ha previsto che la
disciplina in tema di responsabilità tributaria in presenza
di contratti di appalto e sub appalto non si applica a una
serie di figure contrattuali affini tra cui il contratto
d'opera.
Esso è definito dall'art. 2222 cc come quello in cui «una
persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo
un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e
senza vincolo di subordinazione nei confronti del
committente». Il successivo art. 2223 prevede anche che
tale qualificazione giuridica del rapporto è confermata «anche
se la materia è fornita dal prestatore d'opera, purché le
parti non abbiano avuto prevalentemente in considerazione la
materia, nel qual caso si applicano le norme sulla vendita».
L'appalto è invece definito dall'art. 1655 come quel
contratto «col quale una parte assume, con organizzazione
dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il
compimento di un'opera o di un servizio verso un
corrispettivo in danaro».
Inoltre la materia necessaria a compiere l'opera deve essere
fornita dall'appaltatore. Il vero elemento distintivo tra
contratto d'opera e appalto è la prevalenza o meno
dell'elemento personale rispetto a quello
dell'organizzazione. Qualora l'impresa che assume l'incarico
sia di dimensioni rilevanti e/o qualora il servizio
richiesto necessiti oltre alle capacità personali
dell'assuntore anche di una organizzazione d'impresa, sarà
sempre più facile riconoscere un contratto di appalto invece
che un contratto d'opera.
Ipotizziamo una serie di rapporti abituali quali per esempio
quello dell'idraulico, dell'elettricista ecc. che svolgono
la loro opera per l'appaltatore impresa edile. Se trattasi
di imprenditori individuali sorge allora più di un dubbio
che il rapporto possa qualificarsi di sub appalto,
nonostante quello principale sia effettivamente di appalto,
ma appare più coerente la qualificazione dello stesso come
contratto d'opera. Ciò permetterebbe di escludere un gran
numero di rapporti dalle nuove regole.
Ma a sostegno, oltre alla circolare 2/E nella parte in cui
esprime la necessità di evitare «interpretazioni di tipo
estensivo», si può anche richiamare la circolare 7/2007,
che dovendo commentare un ambito oggettivo riferito anche in
quel caso ai contratti di appalto ha ricompreso le
prestazioni per interventi di manutenzione o
ristrutturazione dell'edificio condominiale e degli impianti
elettrici o idraulici, e anche per l'esecuzione di attività
di pulizia, manutenzione di caldaie, ascensori, giardini,
piscine e altre parti comuni dell'edificio.
Ma tale scelta derivava dal fatto che la norma ampliava in
modo esplicito il suo ambito oggettivo anche ai compensi
corrisposti a fronte di prestazioni occasionali «ossia
rese nell'ambito di attività non abituali e verosimilmente
in assenza di organizzazioni complesse e articolate».
Nelle regole in commento tale estensione invece non è
prevista dal testo letterale e quindi appare coerente
disegnare l'ambito oggettivo in modo più limitato rispetto a
quanto previsto dalla circolare 7 del 07.02.2007
(articolo ItaliaOggi del
05.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: I
chiarimenti delle Entrate. Le aperture interpretative sulla
responsabilità solidale nella circolare dell'Agenzia.
Appalti con certificazione unica.
In caso di contratti tra le stesse parti basta un documento
a cadenza periodica.
TAGLIO ALLE CARTE INUTILI/
Non è necessario richiedere attestati di regolarità a
lavoratori autonomi legati da contratti d'opera
intellettuale.
Certificazione unica con riferimento a tutti i contratti di
appalto stipulati tra le medesime parti e con possibilità di
attestazione con cadenza periodica della regolarità di tutti
i versamenti di Iva e ritenute nel frattempo scaduti.
Sono
due delle aperture della circolare 2/E dell'Agenzia
(commentata sul quotidiano il 2 marzo e visibile nella
sezione Strumenti di lavoro, voce Documenti, sul sito del
Sole 24 Ore), nell'ottica di semplificare per quanto
possibile gli adempimenti delle imprese chiamate dal
legislatore ad assolvere compiti "innaturali" di controllo
altrui, pena pesanti sanzioni.
Ricordiamo che la solidarietà
dell'appaltatore nei confronti del subappaltatore per
versamenti fiscali irregolari di quest'ultimo, nonché la
sanzione da 5mila a 200mila euro a carico del committente
per lo stesso motivo (articolo 35, commi 28 e seguenti del
Dl 223/2006) ha effetto per tutti i contratti stipulati dal 12.08.2012 e relativamente ai pagamenti effettuati dall'11
ottobre (circolare 40/E/2012).
Nella circolare 2/E l'Agenzia ha fornito molti chiarimenti
che aiutano l'operatività quotidiana delle imprese; altri
dovranno poi verificare se le disposizioni raggiungono –e a
quali costi– gli obiettivi desiderati.
Assodato che l'ambito di applicazione non è limitato alla
sola edilizia (dove già la presenza del reverse charge nei
subappalti elimina gran parte dei problemi) l'Agenzia ha
ricondotto le disposizioni ai soli contratti di appalto di
opere o servizi (e relativi subappalti) come individuati dal
l'articolo 1655 del Codice civile. Restano fuori, pertanto,
tutti i contratti d'opera (articolo 2222, Codice civile) che
si qualificano in quanto la prestazione va svolta, quanto
meno in via prevalente, con il lavoro proprio (al massimo
familiare) del prestatore, senza l'organizzazione di mezzi e
persone che contraddistinguono l'appaltatore.
Nei casi dubbi
sarà opportuno chiarire per iscritto sin dall'inizio quale
sia la figura contrattuale a cui le parti hanno inteso fare
riferimento. Devono cessare le richieste (del tutto fuori
luogo) dell'attestazione della regolarità dei versamenti da
parte dei lavoratori autonomi, i quali, stipulando contratti
d'opera intellettuale (articolo 2230, Codice civile), sono,
a maggior ragione, fuori dal campo applicativo. Positiva
anche l'esclusione degli «appalti di fornitura di beni»,
indicazione che l'Agenzia ha ricondotto a un refuso del
legislatore.
Per l'attestazione, nella pratica si assiste quasi sempre
all'autocertificazione resa ai sensi del Dpr 445/2000, con
un contenuto molto specifico ricalcato dalle istruzioni
fornite nella circolare 40/E. Dove l'Agenzia ha chiarito che
essa deve «contenere l'affermazione che l'Iva e le ritenute
versate includono quelle riferibili al contratto di
appalto/subappalto per il quale la dichiarazione viene
resa», implicitamente negando efficacia a dichiarazioni
"generiche" di regolarità fiscale.
Con la circolare 2,
affermando che l'attestazione può essere resa in modo
unitario per i vari contratti in essere tra le medesime
parti, nonché riconoscendo efficacia a una certificazione
periodica onnicomprensiva, l'Agenzia sembra ora allentare un
po' il vincolo di specificità, anche se i riferimenti a
contratti in essere, fatture ricevute e ritenute operate in
relazione ai singoli rapporti contrattuali non dovrebbero
poter essere omessi nella dichiarazione rilasciata
dall'appaltatore o dal subappaltatore.
Se c'è un solo contratto di appalto, senza alcun subappalto,
le norme si applicano ugualmente, per quanto limitate
nell'estensione. Si ritiene (ma una conferma sarebbe
opportuna) che in questo caso non si possa parlare di
solidarietà (comma 28) ma di semplice soggezione alla
sanzione (comma 28-bis) essendo il committente chiamato in
causa solo in questi termini. In proposito, il riferimento
testuale presente nella circolare n. 40/E/2012 («la
disposizione... prevede la responsabilità dell'appaltatore e
del committente») non è confermata nella circolare n.
2/E/2013, dove, nelle premesse, in relazione al committente
si torna a citare la sola applicabilità della sanzione e non
più il vincolo solidale.
In ogni caso vanno sempre ricordati i punti fondamentali. Il
momento determinante che fa scattare la solidarietà (o la
sanzione) è quello del pagamento (anche parziale) delle
spettanze; il rischio della solidarietà è limitato
all'importo contrattuale e agli adempimenti (omessi)
relativi all'appalto già scaduti a tale data; se non ci sono
omissioni nei versamenti l'assenza della certificazione non
comporta alcuna conseguenza
(articolo Il Sole 24 Ore del
05.03.2013). |
APPALTI:
OGGETTO: il contratto d’appalto elettronico – il nuovo
comma 13 dell'art. 11 del d.lgs. n. 163 del 2006
(Consorzio dei Comuni Trentini,
circolare 04.03.2013 n. 8/2013). |
APPALTI:
Irresponsabilità solidale.
Le Entrate cercano di limitare i disastri combinati dalla
norma che scarica sulle imprese il peso dei controlli
fiscali. Con effetti paradossali.
Diciamo la verità: la norma sulla responsabilità solidale
nei contratti di appalto è una stupidaggine solenne, un
capriccio legislativo di qualche politicante che non ha la
minima idea di come gira l’economia delle piccole e medie
imprese. L’Agenzia delle entrate ha cercato, con la
circolare del 1° marzo, di mettere qualche pezza.
Ma il risultato finale rimane un pasticcio legislativo del
quale proprio non si sentiva la necessità. Tutto nasce con
il governo dei tecnici che, nel decreto 83 del 2012, ha la
brillante idea di trasformare gli imprenditori in tanti
sceriffi del fisco. Come se non bastassero gli uomini
dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza. Come
se il signor Brambilla non avesse niente di meglio da fare.
In nessun paese del mondo si era arrivati a tanta protervia
da parte del legislatore fiscale. L’articolo 13-ter del
decreto Crescita prevede infatti sanzioni fino a 200 mila
euro per l’appaltatore che paga regolarmente i suoi debiti
senza aver prima verificato che il subappaltatore sia in
regola con il fisco. La norma è in vigore dal 12 agosto, e
finora ha prodotto solo danni.
Se è vero che la maggior
parte delle imprese ha ben altro da pensare che ai
ghiribizzi del legislatore, e quindi si è comportata come se
questa follia nemmeno esistesse, altre imprese hanno
utilizzato questa disposizione come ottimo espediente per
ritardare i pagamenti, altre si sono preoccupate oltre
misura e hanno distribuito a raffica richieste di certificazione fiscale ben oltre il ragionevole. Anche gli
interpreti si sono mossi in ordine sparso. Ora le Entrate
precisano che la responsabilità solidale non si applica solo
in edilizia (e questo era ovvio, anche se in molti hanno
provato a circoscrivere questa bomba a orologeria).
Chiariscono che le disposizioni si applicano ad appalti e
subappalti, ma non al contratto d’opera: è già un passo in
avanti, ma il problema è che non è facile nella pratica
distinguere le due fattispecie. Interessante anche
l’esplicita ammissione della necessità «di evitare
interpretazioni di tipo estensivo».
Ma sul problema
fondamentale di cosa certificare, anche gli uomini di Befera sembrano alzare le mani, limitandosi a scrivere che
con la certificazione «deve essere attestata la regolarità
di tutti i versamenti relativi alle ritenute e all’Iva
scaduti a tale data». Allora se l’appaltatore non emette
fattura fino al momento del pagamento può disinteressarsi
della responsabilità solidale? E in tutti gli altri casi nei
quali i termini per i versamenti non sono ancora scaduti che
succede? Norme così assurde minano un bene primario quale la
certezza e la ragionevolezza del diritto, mantenendo gli
operatori economici nell’incertezza continua sui
comportamenti corretti da tenere. E comunque alla continua
mercé del verificatore di turno.
Una pubblica
amministrazione che non riesce a onorare i suoi debiti con
le imprese (100 miliardi di arretrati) pretende di scaricare
sulle stesse anche il lavoro di verifica di correttezza dei
versamenti fiscali. Ma allora a cosa servono le enormi
banche dati del fisco, l’abolizione del segreto bancario,
l’obbligo di trasmettere in formato digitale decine di
documenti? Poi ci si stupisce che la gente voti in massa per
Grillo (articolo ItaliaOggi Sette
del 04.03.2013 - link a www.ecostampa.it). |
APPALTI: L'Agenzia
delle Entrate chiarisce diversi punti ma permangono i
dubbi sull'ambito applicativo. Corresponsabilità a sorpresa.
Indispensabile qualificare i rapporti volta per volta.
La corresponsabilità tributaria in caso di appalto non è
limitata al settore edile. Sono però esclusi i contratti di
opera riconosciuti come differenti da quelli di appalto.
Esclusi dall'applicazione delle norme i condomini. Nuovi
dubbi su cosa occorre chiedere all'appaltatore per evitare
problemi.
Questi i temi di maggior interesse approfonditi
dalla circolare 2/E del 1° marzo a commento dell'articolo
13-ter del dl n. 83 del 2012 che ha introdotto la
responsabilità dell'appaltatore con il subappaltatore per il
versamento all'Erario delle ritenute fiscali sui redditi di
lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta
dal subappaltatore, in relazione alle prestazioni effettuate
nell'ambito del rapporto ed anche la responsabilità
sanzionatoria in capo al committente.
L'ambito oggettivo. Come previsto la circolare rigetta al
tesi che era stata avanzata circa la possibilità di limitare
al settore edile l'applicazione delle nuove regole.
Correttamente l'Agenzia osserva che l'articolo 13-ter in
commento ha disposto la modifica dell'articolo 35 del dl n.
223 del 2006, rubricato «Misure di contrasto dell'evasione e
dell'elusione fiscale».
Pertanto tale rubrica mostra l'intenzione del legislatore di
contrastare pratiche evasive correlate a contratti di
appalto e subappalto a prescindere dal settore economico in
cui operano le parti contraenti.
Ancor più interessanti le indicazioni contenute con riguardo
ai contratti interessati.
Pur senza giungere (comprensibilmente) ad una definizione
dell'appalto e del sub appalto, ma rimandando sul punto al
dettato dell'art. 1655 del codice civile, la circolare
esprime dapprima una buona intenzione ovvero quella della
necessità di «definire con chiarezza l'ambito di
applicazione della norma in base al suo contenuto letterale
al fine di evitarne interpretazioni di tipo estensivo».
Nel dettaglio si esclude poi specificatamente dal campo di
applicazione gli appalti di fornitura dei beni (ma ciò era
già chiaro dal comma 28 dell'articolo 13-ter), il contratto
d'opera, disciplinato dall'articolo 2222 c.c. (quando una
persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo
un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e
senza vincolo di subordinazione nei confronti del
committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che
il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV),
il contratto di trasporto; il contratto di subfornitura, le
prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile.
Sul punto è senza dubbio positiva l'esclusione con riguardo
ai contratti d'opera (che invece ricordiamo che la circolare
7 del 07.02.2007 aveva ritenuto compresi nelle regole
che riguardano l'obbligo di ritenuta dei condomini che
letteralmente è anch'essa da riferire al caso dei contratti
di appalto e sub appalto), anche se in tal modo le finalità
della norma lasciano qualche perplessità. Spesso i soggetti
maggiormente a rischio sono proprio i piccoli
imprenditori/artigiani che per loro natura più che contratti
di appalto stipulano appunto contratti d'opera.
Non si capisce neanche perché la circolare voglia ribadire
che altri contratti (ad esempio quello di trasporto) sono
esclusi dall'applicazione: trattasi di contratti tipici e
differenti rispetto a quello di appalto e quindi
automaticamente esclusi dall'applicazione.
Purtroppo sul punto rimangono tutti i dubbi circa l'esatta
qualificazione dei rapporti: su questo rimane la necessità
di verificare (con le difficoltà conseguenti) se i rapporti
contrattuali possano o meno qualificarsi come appalti.
I rapporti bilaterali. Un altro punto chiarito è quello per
cui le regole trovano applicazione anche nel caso in cui vi
sia un contratto di appalto e non invece un conseguente
subappalto.
Quindi anche in assenza di un rapporto trilaterale la
corresponsabilità (o meglio la responsabilità sanzionatoria)
si applica. Ciò in quanto la norma quando descrive gli
adempimenti del committente circa l'acquisizione della
documentazione che attesti il regolare adempimento degli
obblighi fiscali da parte dell'appaltatore, indica il
subappaltatore quale figura eventuale: quindi anche in sua
assenza la stessa si applica.
Il condominio e i privati. Da più parti si era sollevato il
dubbio circa l'applicabilità delle norme ai condomini. La
circolare prima di tutto ricorda che il comma 28-ter
delimita l'ambito di applicazione ai contratti di appalto e
di subappalto «conclusi da soggetti che stipulano i predetti
contratti nell'ambito di attività rilevanti ai fini
dell'imposta sul valore aggiunto».
Da qui la circolare è per fortuna decisa nell'escludere per
carenza del requisito soggettivo, le persone fisiche che
risultano prive di soggettività passiva ai fini Iva e anche
il condominio in quanto non riconducibile fra i soggetti
individuati agli articoli 73 e 74 del Tuir.
---------------
Attestazione della regolarità fiscale da correlare al
singolo contratto.
Dopo l'apertura all'autocertificazione della circolare 40/E
sul punto ci si poteva aspettare qualcosa di più dal nuovo
documento di prassi.
Il tutto perché nel paragrafo 3 della circolare non si
chiarisce fino in fondo e senza dubbi il pensiero della
prassi circa il contenuto dell'attestazione.
Dalla norma pare chiaro che la regolarità (e quindi
l'attestazione) riguardi gli adempimenti Iva e ritenute sui
redditi di lavoro dipendenti:
●
scaduti al momento del pagamento;
● e che riguardano le prestazioni rese con riguardo al singolo
contratto di appalto.
La circolare indagando sull'ipotesi di coesistenza di più
contratti intercorrenti tra le medesime parti afferma che la
certificazione attestante la regolarità dei versamenti delle
ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva
relativi al contratto d'appalto «può essere fornita anche
con cadenza periodica fermo restando che, al momento del
pagamento, deve essere attestata la regolarità di tutti i
versamenti relativi alle ritenute e all'Iva scaduti a tale
data, che non siano stati oggetto di precedente
attestazione».
Tale frase fin troppo generica parrebbe insinuare il dubbio
che la regolarità non sia da correlare alla singola
situazione ma in generale alla posizione del contribuente.
Tale ipotesi è però assolutamente da scartare in quanto sia
letteralmente che indagando sulla sua ratio la norma dispone
invece che al regolarità debba riguardare solo il singolo
contratto che è «oggetto» del pagamento.
D'altra parte la stessa circolare analizzando il caso dei
pagamenti effettuati mediante bonifico bancario o altri
strumenti che non consentono al beneficiario l'immediata
disponibilità della somma versata a suo favore afferma che
in tali casi «occorra attestare la regolarità dei versamenti
fiscali scaduti al momento in cui il committente o
l'appaltatore effettuano la disposizione bancaria e non
anche di quelli scaduti al momento del successivo
accreditamento delle somme al beneficiario». Da notare che
ciò renderà molto spesso la regola priva di importanza. Si
pensi all'appaltatore che non emette fattura (come
consentito) fino al momento del pagamento del corrispettivo:
non dovrà certificare alcunché in materia di Iva al
committente e quindi potrà incassare il corrispettivo senza
troppi pensieri in capo alle due parti.
Ciò accerta in modo chiaro che l'attestazione non può che
riguardare gli adempimenti scaduti al momento del pagamento
e non invece che dovendo l'attestazione riguardare tutti gli
adempimenti correlati a quel contratto sia necessario
attendere in ogni caso la loro scadenza così da poter
rilasciare l'attestazione e conseguentemente ottenerne il
pagamento (articolo ItaliaOggi Sette
del 04.03.2013). |
APPALTI:
Danno alla concorrenza: la violazione delle norme in materia
di evidenza pubblica non basta!
Invero, se è incontestabile che la nozione del danno
erariale risarcibile ha da molto tempo abbandonato, sia in
dottrina che in giurisprudenza, il connotato della deminutio
patrimoni per ricomprendere anche le lesioni di interessi
pubblici tutelati dall’ordinamento e comunque economicamente
valutabili (si pensi al danno all’immagine, al danno
cosiddetto da disservizio ecc.) ciò non significa che ogni
lesione, nella specie quella delle regole dell’evidenza
pubblica in materia di contratti, possa in re ipsa,
equivalere a prova di un danno ontologicamente sussistente.
In questo caso occorrono dunque elementi di prova che
dimostrino che la spesa, pur a fronte di lavori
integralmente eseguiti e collaudati e quindi di una
incontestata controprestazione resa, è stata invece, seppure
solo in parte, un esborso dannoso in quanto non bilanciata
da alcuna utilità acquisita al patrimonio del soggetto
pubblico.
Né è possibile richiamare l’art. 1226 c.c. in
quanto norma che se consente di quantificare in via
equitativa il danno, presuppone, secondo la pacifica
giurisprudenza civile e contabile che ne stata fornita la
prova, anche presuntiva, dell’an
(massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez.
II giur. centrale
d'appello,
sentenza
01.03.2013 n. 130 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Responsabilità solidale leggera.
Fuori condomìni, forniture di beni e contratti d'opera.
Circolare dell'Agenzia delle entrate. Applicazione
semplificata per il dl 83/2012.
Responsabilità solidale negli appalti soft. Fuori i privati
e i condomini, nonché i contratti di appalto per fornitura
dei beni, d'opera, di trasporto e di subfornitura.
L'Agenzia delle entrate, tentando una chiara operazione di
semplificazione, ha emanato ieri il secondo e atteso
documento di prassi (circolare 01.03.2013 n. 2/E), concernente le
disposizioni in materia di responsabilità solidale
dell'appaltatore, di cui all'art. 13-ter, dl n. 83/2012 (si
veda ItaliaOggi del 26/02/2013).
Il documento, che si aggiunge al precedente (circ. n.
40/E/2012), conferma la presenza di pesanti sanzioni poste a
carico dei committenti (da 5 mila a 200 mila euro), nel caso
in cui gli stessi eseguano i pagamenti delle prestazioni di
servizio ricevute senza ottenere almeno una dichiarazione
sostitutiva, ai sensi del dpr n. 445/2000, con il quale
l'appaltatore e/o il subappaltore attesti l'avvenuto
versamento delle ritenute e dell'Iva.
Primo dubbio fugato dalle Entrate riguarda l'ambito
oggettivo, con riferimento all'applicazione della disciplina
al settore edile, stante la collocazione delle disposizioni
nell'ambito delle misure urgenti per le infrastrutture; si
conferma l'applicazione alla generalità dei soggetti e non
solo al settore edile, nell'ambito dei contratti di appalto,
finalizzata all'emersione di base imponibile nell'ambito dei
servizi.
L'Agenzia delle entrate, però, ritiene, sulla base del
tenore letterale delle disposizioni, che la disciplina sia
applicabile nell'ambito dei contratti di appalto, come
individuati dall'art. 1655 c.c., anche nel caso in cui la
prestazione sia eseguita direttamente dall'appaltatore
(senza subappalto), con esclusione di quelli concernenti
forniture di beni, d'opera (art. 2222 c.c.), di trasporto
(art. 1678 c.c.) e di subfornitura (legge 192/1998) e delle
prestazioni rese nell'ambito dei rapporti di natura
consortile.
Per l'applicazione della disciplina risulta necessario che i
contratti di appalto siano conclusi nell'ambito di attività
soggette alla disciplina Iva e, comunque, esercitate da
società ed enti, di cui agli articoli 73 e 74, dpr n.
917/1986 (società di capitali, enti privati, cooperative,
ecc.), restando escluse le stazioni appaltanti (comma 33,
art. 3, dlgs n. 163/2006), i condomini e le persone fisiche
non Iva.
Sul punto, si ritiene di poter confermare che nell'ambito di
una prestazione in cui il committente è un consumatore
finale (privato) che si avvale del solo appaltatore, la
disciplina resta inapplicabile, ma se l'appaltatore opera
con un subappaltatore, nell'ambito dei rapporti tra questi
due ultimi soggetti, la disciplina deve essere interamente
applicata.
Come indicato nel precedente documento di prassi (circ. n.
40/E/2012), l'obbligo riguarda i contratti stipulati a
decorrere dal 12/08/2012, data di entrata in vigore
dell'art. 13-ter, con la conseguenza che anche il rinnovo di
un contratto già in essere a tale data deve essere
assimilato a una nuova stipula e assoggettato alla
disciplina.
In presenza di più contratti stipulati tra le parti,
l'Agenzia è del parere che la regolarità dei versamenti
delle ritenute e dell'Iva possa essere attestata in modo
unitario ovvero considerando tutti i contratti in essere tra
le medesime controparti e non per singolo contratto, potendo
rilasciare la stessa attestazione con cadenza periodica.
In detto caso è necessario che l'attestazione di regolarità
dei versamenti riguardanti le ritenute e l'Iva, riferibili
al contratto per il quale la dichiarazione viene resa, siano
scaduti alla data di pagamento, escludendo quelli oggetto di
una precedente attestazione.
Per i pagamenti eseguiti a mezzo canale bancario (bonifici),
l'Agenzia delle entrate ritiene che sia necessario attestare
la regolarità dei versamenti erariali scaduti al momento in
cui il committente (o appaltatore) ha eseguito la
disposizione di pagamento e non di quelli scaduti alla data
dell'accreditamento delle somme al beneficiario.
Un'altra ipotesi contemplata dalla circolare riguarda
l'eventuale cessione del credito vantato dall'appaltatore e
dal subappaltatore a terzi, per la quale l'Agenzia richiama
le precisazioni fornite dalla Ragioneria dello Stato
nell'ambito dei pagamenti con le pubbliche amministrazioni
(circ. n. 29/2009).
In sintesi, gli enti appartenenti alla Pubblica
amministrazione, prima di eseguire il pagamento per importi
superiori a 10 mila euro, verificano la regolarità dei
versamenti erariali del beneficiario e, in caso di omissione
dei detti versamenti, procedono nella sospensione del
relativo pagamento.
Al fine di liberare il cessionario da potenziali rischi di
inadempimenti del cedente, per l'Agenzia è necessario che la
regolarità, riferibile al rapporto oggetto di cessione, sia
attestata nel momento in cui il cedente, appaltatore e/o
subappaltatore, comunica la cessione al debitore ceduto,
committente o appaltatore.
Nonostante il notevole sforzo dell'Agenzia, che si è
necessariamente mossa nel perimetro delle norme, volto ad
alleggerire la disciplina, restano numerosi i punti ancora
oscuri, non ultimo quello inerente alla qualificazione delle
prestazioni eseguite da artigiani che operano con una
modesta organizzazione e che si ritiene debbano essere
riconducibili nell'ambito dell'art. 2222 c.c. e, di
conseguenza, esclusi dalla disciplina
(articolo ItaliaOggi del 02.03.2013). |
APPALTI: I
chiarimenti delle Entrate. Circolare dell'Agenzia sui nuovi
obblighi di responsabilità riferiti ai versamenti fiscali.
Appalti «solidali», fissati i confini.
Responsabilità non solo per l'edilizia - Esclusi
professionisti, trasporti e forniture.
La responsabilità solidale si applica in tutti i settori
economici e non soltanto nel settore dell'edilizia come
faceva supporre il titolo I del Dl 83/2012 rubricato «Misure
urgenti per le infrastrutture, l'edilizia e i trasporti».
Lo
precisa la
circolare 01.03.2013 n. 2/E dell'agenzia delle Entrate. Viene infatti precisato che la finalità della norma è
quella di far emergere la base imponibile in relazione alle
prestazioni di servizi in esecuzione di contratti di appalto
intesi nella loro generalità. Tuttavia la circolare
chiarisce che alcune forme di appalti sono escluse dalla
responsabilità solidale quali ad esempio gli appalti di
fornitura di beni e i contratti d'opera.
Il dato normativo è contenuto nell'articolo 13-ter del Dl 83
del 22.06.2012, convertito nella legge 134/2012 il
quale, sostituendo il comma 28 dell'articolo 35 del Dl
223/206, ha previsto la solidarietà dell'appaltatore con il
subappaltatore nel versamento all'erario delle ritenute
fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva. Inoltre
il committente è soggetto a una sanzione amministrativa
pecuniaria da 5mila a 200mila euro nel caso in cui provveda
a effettuare il pagamento all'appaltatore senza che questi
abbia provato il corretto versamento dell'Iva e ritenute.
La circolare emanata ieri dall'Agenzia ha precisato che
l'obbligo solidale ha una portata generale e non riguarda
soltanto lo specifico settore dell'edilizia. Tuttavia
l'Agenzia entra nel merito della tipologia di contratti
soggetti all'obbligo solidale. La fattispecie riguarda il
contratto di appalto di cui all'articolo 1655 del Codice
civile e cioè quello in cui una parte, con organizzazione di
mezzi, assume il compimento di un'opera o di un servizio
verso un corrispettivo in denaro. Sono invece esclusi dalla
responsabilità solidale gli appalti di fornitura di beni (in
cui prevale la cessione del bene) e il contratto d'opera di
cui all'articolo 2222 del Codice civile; rientrano in questa
categoria tutte le prestazioni professionali di lavoro
autonomo, ma anche quelle svolte da piccoli artigiani senza
organizzazione di mezzi. Inoltre sono esclusi i contratto di
trasporto, quelli di subfornitura (legge 192/1998), nonché
le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile (il
consorzio non risponde dei versamenti fiscali omessi dai
soci consorziati).
La circolare ricorda che la responsabilità solidale si
applica anche in presenza del solo appaltatore in quanto il
coma 28-bis dell'articolo 35 del Dl 223/2006 indica il
subappaltatore come figura eventuale.
I nuovi obblighi decorrono dai contratti stipulati a partire
dal 12.08.2012 (circolare 40/E del 08.10.2012), ma
comprende anche quelli rinnovati successivamente a tale
data.
Sotto il profilo soggettivo la responsabilità solidale
riguarda i contratti di appalto e subappalto stipulati dai
soggetti che rientrano nel campo di applicazione dell'Iva,
oppure dai soggetti Ires di cui agli articoli 73 e 74 del
Tuir, compresi quindi gli enti non commerciali. Sono invece
escluse le stazioni appaltanti dei contratti pubblici (Dlgs
163/2006), privati e anche i condomini.
Con la precedente circolare 40/E/2012, l'Agenzia aveva
stabilito che la responsabilità solidale viene rimossa se
l'appaltatore/subappaltatore attesta l'avvenuto pagamento
dell'Iva e delle ritenute. La circolare 2/E/2013 precisa
che, in presenza di più contratti stipulati fra le medesime
parti, l'autocertificazione può essere rilasciata in modo
unitario. Questa attestazione può essere rilasciata
periodicamente in presenza del pagamento del corrispettivo e
attestare la regolarità dei versamenti scaduti prima di
questa data. Infatti l'autocertificazione è riferita ai
versamenti scaduti nel momento del versamento del
corrispettivo e non può avere come oggetto fatti successivi
al suo rilascio.
L'Agenzia esamina anche la fattispecie della cessione del
credito e in questo caso l'autocertificazione deve essere
rilasciata nel momento in cui il cedente dà notizia della
cessione al proprio committente.
---------------
Tra conferme e novità
01 | LE ESCLUSIONI
La circolare 2 emanata ieri dall'agenzia delle Entrate
esclude dalla responsabilità fiscale solidale per
l'appaltatore (e dalla sanzione per il committente) i
contratti d'opera, quelli di trasporto e di subfornitura,
nonché gli appalti di fornitura dei beni e le prestazioni
rese nell'ambito del rapporto consortile. La circolare non
cita le prestazioni d'opera intellettuale ma non vi sono
dubbi sulla loro esclusione
02 | LE CONFERME
Confermata l'esclusione soggettiva delle stazioni
appaltanti, dei condomìni e delle persone fisiche non
soggetti passivi Iva
03 | L'ESTENSIONE
Le disposizioni si applicano a tutti i settori, non solo
all'edilizia. Sono soggetti alla nuova disciplina tutti i
contratti (non solo stipulati ma anche) rinnovati a
decorrere dal 12.08.2012, per i pagamenti effettuati
dall'11.10.2012. Le sanzioni scattano, nel contratto
tra committente e appaltatore, anche in assenza di
subappalto
04 | LA CERTIFICAZIONE
La certificazione (anche in forma di dichiarazione
sostitutiva del prestatore) può essere rilasciata in modo
unitario per Iva e ritenute e anche con cadenza periodica,
purché attesti la regolarità di tutti i versamenti scaduti a
tale data non già certificati
(articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Disposizioni
semplificate ma sempre inefficaci.
La responsabilità solidale degli appaltatori e la
sanzionabilità del committente per le irregolarità relative
all'Iva e alle ritenute fiscali commesse dal prestatore di
servizio costituisce un onere sproporzionato e pressoché
inefficace per gli obiettivi antievasione che si propone.
Questo giudizio che nasce dalla formulazione della norma non
può essere assolutamente scalfito dagli interventi
interpretativi dell'agenzia delle Entrate che nel loro
ambito di competenza hanno fatto di tutto per semplificare e
ridurre gli effetti che lo specifico onere produce in capo
alle imprese che agiscono quali committenti e/o appaltatori.
È chiaro, infatti, che gli sforzi interpretativi del fisco
contribuiscono certamente a rendere meno oneroso
l'adempimento, sia definendo, in modo chiaro la sua portata
(finalmente risulta chiaro che le regole si escludono per i
contratti tipici ovvero per i contratti d'opera dei
professionisti e si applicano solo per gli appalti veri e
propri), sia individuando più ampi margini per la tempistica
di attivazione e per il contenuto della dichiarazione del
prestatore.
Questi elementi positivi che porteranno,
finalmente, a una drastica riduzione delle richieste fatte
nei mesi scorsi dalle imprese nei confronti di fornitori di
servizi, non consentono però di considerare chiusa la
partita. In effetti sarebbe più utile superare lo strumento
della solidarietà ponendo a carico dei prestatori obblighi
di preventiva autorizzazione presso le autorità fiscali
(inserimento in un albo) o chiedendo un intervento diretto
dell'amministrazione con controlli preventivi con emissione
(come per il Durc) di una certificazione di regolarità
fiscale.
---------------
I dubbi. Le risposte non date.
Applicazione a rischio sui contratti verbali.
Nonostante lo sforzo dell'Agenzia per chiarire alcune delle
questioni più spinose, la
circolare 01.03.2013 n. 2/E non risolve tutti i
dubbi sollevati dagli operatori.
Dal lato soggettivo è importante comprendere se, anche in
presenza di un'esclusione per il contratto che lega il
committente all'appaltatore (ad esempio, poiché il primo
soggetto è un condominio o una stazione appaltante ai sensi
del Dlgs 163/2006), i relativi contratti di subappalto
possano ritenersi anch'essi liberi dai nuovi adempimenti. Ad
esempio: il subappaltatore, nell'ambito di un appalto in cui
il committente è una persona fisica, deve fornire
all'appaltatore la dichiarazione di "regolarità fiscale" per
evitare a quest'ultimo le responsabilità? Anche considerando
lo scopo della norma, la risposta sembra positiva (forse il
legislatore poteva esonerare i contratti di importo non
significativo).
Quanto all'aspetto oggettivo, l'Agenzia fa il massimo dal
lato interpretativo, riconoscendo l'inapplicabilità della
norma a tutte le figure contrattuali diverse dal contratto
di appalto anche se a volte del tutto «contigue» (si
pensi al contratto d'opera o a quello di subfornitura). Ma
ora il problema si sposta sul piano operativo, poiché spesso
ci sono accordi solo verbali o dal contenuto non ben
definito.
E se la giurisprudenza (anche di Cassazione) si affatica da
decenni proprio sull'individuazione degli elementi
distintivi tra le diverse tipologie contrattuali, è facile
trarre la seguente conclusione: o, anche nella pratica,
imprese e professionisti si abituano a pattuire in forma
scritta le varie prestazioni ("battezzandole" di
volta in volta sin dall'inizio in maniera conforme alle
modalità applicative), oppure aumenta il rischio che, in
sede di verifica, vi sia la tendenza a classificarle in
quelle maggiormente presidiate da adempimenti e sanzioni. Si
consideri che non è ancora chiaro se la responsabilità
dell'appaltatore si estende anche alle sanzioni, oltre
all'imposta non versata, mentre quella del committente ha
una sanzione minima di 5mila euro che non si comprende se
possa essere limitata per contratti di importo inferiore.
Infine, sotto l'aspetto temporale un dubbio frequente è il
seguente: se il contratto di appalto è anteriore al 12
agosto scorso, un eventuale subappalto stipulato nella
vigenza delle nuove norme è soggetto o meno agli adempimenti
che quest'ultima richiede? L'autonomia dei singoli accordi
porta a rispondere in senso positivo
(articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2013). |
APPALTI:
OGGETTO: Articolo 13-ter del DL n. 83 del 2012 -
Disposizioni in materia di responsabilità solidale
dell’appaltatore - Circolare n. 40/E dell’08.10.2012 -
Problematiche interpretative (Agenzia delle Entrate,
circolare 01.03.2013 n. 2/E).
---------------
M. Denaro,
Responsabilità solidale negli appalti non solo nel settore
dell’edilizia.
Sono esclusi, invece, quelli di fornitura di beni, nonché
quelli di opere e servizi, di trasporto, di subfornitura e
le prestazioni rese nell’ambito del rapporto consortile.
L’Agenzia delle Entrate, a integrazione dei chiarimenti
forniti con la circolare n. 40/2012, torna a occuparsi
dell’esatta interpretazione delle disposizioni contenute
nell’articolo 13-ter del Dl n. 83/2012 (“decreto crescita”),
che hanno modificato, a decorrere dal 12.08.2012, la
disciplina in materia di responsabilità fiscale nell’ambito
dei contratti d’appalto e subappalto di opere e servizi
(circolare n. 2/E dell'01.03.2013). ... (link a
http://www.fiscooggi.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
M. Dell'Unto,
LINEE GUIDA SU PROGRAMMAZIONE, PROGETTAZIONE ED ESECUZIONE
DEL CONTRATTO NEI SERVIZI E NELLE FORNITURE
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
---------------
Determinazione n. 5 del 6.11.2013 dell’Autorità per la
vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e
Forniture: Indicazioni sulla programmazione, progettazione
ed esecuzione dei contratti pubblici.
---------------
Sommario: Sommario: 1. Premessa. - 2.
Programmazione. - 2.1. Contenuto della programmazione. -
2.2. Iter procedurale. - 3. Progettazione. - 3.1. Contenuto
della progettazione. - 3.2. Soggetti incaricati. - 3.3.
Garanzie e verifiche. - 4. Esecuzione del contratto. - 4.1.
Responsabile del procedimento e Direttore dell’esecuzione. -
4.2. Compiti del Direttore dell’esecuzione. - 4.3. La
corretta esecuzione della prestazione e le penali. - 4.4
Immodificabilità del contratto. Le varianti. - 5. Modifiche
soggettive del raggruppamento in corso di esecuzione. |
LAVORI PUBBLICI: S.
Napolitano,
QUALE GIURISDIZIONE PER LE CONTROVERSIE INERENTI LE
CONCESSIONI DI COSTRUZIONE DI OPERE PUBBLICHE?
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
---------------
Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e
devoluzione al giudice ordinario. Sulla compromettibilità in
arbitri delle controversie in materia di concessioni di
costruzione e gestione di opere pubbliche.
---------------
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Considerazione
conclusive. |
febbraio 2013 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI - LAVORI PUBBLICI:
G. Ciaglia,
L'evoluzione dell'accordo di programma: da strumento di
programmazione delle opere pubbliche a generale modello di
semplificazione delle procedure di approvazione di
interventi complessi (L'ufficio tecnico n. 1-2/2013). |
APPALTI:
C. De Portu,
Apertura dell’offerta tecnica: novità giurisprudenziali e
normative (Urbanistica e appalti n. 2/2013 -
tratto da www.ispoa.it). |
LAVORI PUBBLICI: A.
Mancini,
La nuova disciplina dei ritardi nei pagamenti applicabile ai
lavori pubblici dal 2013 (Bollettino
di Legislazione Tecnica n. 2/2013). |
LAVORI PUBBLICI:
M. Mattalia,
I partenariati pubblici privati per il superamento della
crisi economica (febbraio 2013 - link a
www.lexitalia.it). |
APPALTI: In
tema di gara per l’affidamento di appalti pubblici, l’omessa
predisposizione di una busta apposita nella quale inserire
la documentazione amministrativa non integra una delle
ipotesi astrattamente contemplate dall'art. 46, comma 1-bis,
del codice dei contratti pubblici, non essendo pregiudicate
né la segretezza dell'offerta né l’integrità del plico.
Per queste ragioni deve pertanto ritenersi illegittimo il
bando di gara, laddove commina l’esclusione per il
concorrente che non abbia inserito la documentazione nella
busta A, chiusa, sigillata e controfirmata, nonché dell'atto
applicativo di esclusione dalla gara della ricorrente
principale e, per illegittimità derivata,
dell'aggiudicazione provvisoria a favore della contro
interessata.
L’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici,
d.lgs. n. 163/2006, prevede che la stazione appaltante possa
escludere i concorrenti dalla gara nel caso di mancato
adempimento delle prescrizioni previste dallo stesso codice,
dal suo regolamento e da altre disposizioni di legge
vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul
contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di
sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso
di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità relative alla
chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato il principio di
segretezza delle offerte. I bandi di gara e le lettere di
invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena
di esclusione. Se poste tali prescrizioni sono da ritenersi
nulle.
Orbene, nel caso di specie l’omissione contestata alla
società ricorrente non può ritenersi rientrare tra quelle
per le quali il citato art. 46, comma 1-bis, giustifica
l’esclusione, trattandosi di una mera inadempienza formale
che non incide sulla possibilità della identificazione e
della certezza del soggetto presentatore dell’offerta (il
domicilio e il numero di fax non inseriti nella busta
potevano comunque essere desunti dalla documentazione
presentata dalla stessa ricorrente)
D’altra parte, anche la giurisprudenza ha avuto modo di
evidenziare che in tema di gara per l’affidamento di appalti
pubblici, l’omessa predisposizione di una busta apposita
nella quale inserire la documentazione amministrativa non
integra una delle ipotesi astrattamente contemplate
dall'art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti
pubblici, non essendo pregiudicate né la segretezza
dell'offerta né l’integrità del plico. Per queste ragioni
deve pertanto ritenersi illegittimo il bando di gara,
laddove commina l’esclusione per il concorrente che non
abbia inserito la documentazione nella busta A, chiusa,
sigillata e controfirmata, nonché dell'atto applicativo di
esclusione dalla gara della ricorrente principale e, per
illegittimità derivata, dell'aggiudicazione provvisoria a
favore della contro interessata (cfr. ex multis, TAR
Catanzaro, sez. II, n. 914/2012).
Non può dunque trovare accoglimento la tesi delle parti
resistenti in ordine alla circostanza che il bando al punto
3.3, a pena esclusione, richiede l’indicazione del domicilio
eletto in coerenza art. 46, comma 1, d.lgs. 163/2006. Come
sopra rilevato, dalla documentazione agli atti di causa
emerge che la società ricorrente ha comunque indicato il suo
domicilio nella busta A, seppure nella dichiarazione
sostitutiva sulla insussistenza di cause di esclusione dalle
gare d’appalto, ed anche nella documentazione trasmessa ai
fini della prequalifica.
Deve poi ritenersi superata, con la proposizione dei motivi
aggiunti, anche l’eccezione di inammissibilità formulata
dalla controinteressata Among srl in ordina alla mancata
impugnazione del provvedimento di aggiudicazione
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis,
sentenza 28.02.2013 n. 2221 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'analisi
dell'anomalia dell'offerta va compiuta in un'ottica di
generale valutazione in ordine alla “congruità complessiva
dei costi” in relazione al servizio globalmente offerto.
Non dunque una analisi puntuale delle singole voci va
compiuto, ma una verifica della “capienza” del corrispettivo
proposto in relazione ai servizi/opere che si intendono
rendere.
Invero, "il giudizio di anomalia dell'offerta richiede una
motivazione rigorosa ed analitica solo ove si concluda in
senso negativo; mentre, in caso positivo, non occorre che la
relativa determinazione sia fondata su un'articolata
motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni
ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una
motivazione espressa per relationem alle giustificazioni
rese dall'impresa vincitrice, sempre che queste, a loro
volta, siano state congrue ed adeguate".
"Il giudizio di verifica della congruità di un'offerta
apparentemente anomala ha natura globale e sintetica sulla
serietà o meno dell'offerta nel suo insieme, restando
irrilevanti eventuali singole voci di scostamento; tale
verifica non ha dunque per oggetto la ricerca di specifiche
e singole inesattezze dell'offerta economica, essendo invero
finalizzato ad accertare se l'offerta sia attendibile nel
suo complesso e, dunque, se dia o meno serio affidamento
circa la corretta esecuzione dell'appalto, sicché ciò che
rileva è che l'offerta rimanga nel complesso <seria>".
Questo significa che, in sede di ricorso, colui che detiene
il contrapposto interesse deve essere in grado di dimostrare
la sussistenza di “voci di costo”, con un margine tale da
rendere sostanzialmente "incapiente” il corrispettivo
proposto dall’aggiudicataria.
L'analisi dell'anomalia dell'offerta va compiuta in
un'ottica di generale valutazione in ordine alla “congruità
complessiva dei costi” in relazione al servizio globalmente
offerto.
Non dunque una analisi puntuale delle singole voci va
compiuto, ma una verifica della “capienza” del corrispettivo
proposto in relazione ai servizi/opere che si intendono
rendere.
Secondo la giurisprudenza, infatti, "Il giudizio di anomalia
dell'offerta richiede una motivazione rigorosa ed analitica
solo ove si concluda in senso negativo; mentre, in caso
positivo, non occorre che la relativa determinazione sia
fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle
medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo
sufficiente anche una motivazione espressa per relationem
alle giustificazioni rese dall'impresa vincitrice, sempre
che queste, a loro volta, siano state congrue ed adeguate"
(Consiglio di Stato sez. V 10.09.2012 n. 4785).
"Il giudizio di verifica della congruità di un'offerta
apparentemente anomala ha natura globale e sintetica sulla
serietà o meno dell'offerta nel suo insieme, restando
irrilevanti eventuali singole voci di scostamento; tale
verifica non ha dunque per oggetto la ricerca di specifiche
e singole inesattezze dell'offerta economica, essendo invero
finalizzato ad accertare se l'offerta sia attendibile nel
suo complesso e, dunque, se dia o meno serio affidamento
circa la corretta esecuzione dell'appalto, sicché ciò che
rileva è che l'offerta rimanga nel complesso <seria>"
(Consiglio di Stato sez. VI 07.09.2012 n. 4744).
Questo significa che, in sede di ricorso, colui che detiene
il contrapposto interesse deve essere in grado di dimostrare
la sussistenza di “voci di costo”, con un margine tale da
rendere sostanzialmente "incapiente” il corrispettivo
proposto dall’aggiudicataria (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 28.02.2013 n. 1894 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La mera pubblicazione
dell'aggiudicazione di un appalto sull'albo pretorio non può
essere ritenuta idonea, nel sistema previsto dall'art. 79
del Codice dei contratti, come modificato dall'art. 2,
d.lgs. n. 53 del 2010, a determinare la decorrenza del
termine di impugnazione in caso di mancata comunicazione
dell'aggiudicazione definitiva a tutti gli interessati
secondo la prescrizione della citata disposizione normativa.
In quest’ultimo caso, infatti, al di fuori delle ipotesi in
cui i convenuti eccepiscano la piena conoscenza
dell’aggiudicazione da parte del ricorrente e dimostrino
tale evenienza in capo alla ricorrente medesima, la
decorrenza del termine di impugnazione di trenta giorni ex
art. 120, comma 1, c.p.a. non opera, dovendosi, dunque,
ricorrere alla disposizione del seguente comma 2, secondo
cui il termine decorre dal giorno successivo alla data di
pubblicazione dell’avviso ex artt. 65 e 225 del d.lgs.
163/2006 (nella specie insussistente o, comunque non
dimostrato da chi l’avrebbe dovuto eccepire, ovvero dai
convenuti in appello), ovvero è pari a sei mesi dalla data
di stipulazione del contratto.
Tuttavia, il Collegio deve osservare che la mera pubblicazione
dell'aggiudicazione di un appalto sull'albo pretorio, come è
avvenuto nella specie, non può essere ritenuta idonea, nel
sistema previsto dall'art. 79 del Codice dei contratti, come
modificato dall'art. 2, d.lgs. n. 53 del 2010, a
determinare la decorrenza del termine di impugnazione in
caso di mancata comunicazione dell'aggiudicazione definitiva
a tutti gli interessati secondo la prescrizione della citata
disposizione normativa.
In quest’ultimo caso, infatti, al di fuori delle ipotesi in
cui i convenuti eccepiscano la piena conoscenza
dell’aggiudicazione da parte del ricorrente e dimostrino
tale evenienza in capo alla ricorrente medesima (il che non
si verifica nel caso di specie), la decorrenza del termine
di impugnazione di trenta giorni ex art. 120, comma 1,
c.p.a. non opera, dovendosi, dunque, ricorrere alla
disposizione del seguente comma 2, secondo cui il termine
decorre dal giorno successivo alla data di pubblicazione
dell’avviso ex artt. 65 e 225 del d.lgs. 163/2006 (nella
specie insussistente o, comunque non dimostrato da chi
l’avrebbe dovuto eccepire, ovvero dai convenuti in appello),
ovvero è pari a sei mesi dalla data di stipulazione del
contratto (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.02.2013 n. 1204 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il Comune può gestire in economia il servizio delle lampade
votive.
Il tribunale amministrativo di Latina, nella sentenza in
commento, si pronuncia sulla possibilità per
l'amministrazione comunale di gestire in economia il
servizio delle lampade votive all'interno del cimitero
comunale.
È legittimo, ad avviso dei giudici
amministrativi laziali, il provvedimento con cui la giunta
municipale, revocando la precedente deliberazione recante la
dichiarazione di pubblico interesse di un progetto
presentato da un terzo nominato promotore, ha deciso di
gestire direttamente il servizio delle lampade votive
all'interno del cimitero comunale.
La disciplina normativa consente, infatti, alle
amministrazioni pubbliche la gestione in economia (diretta o
con cottimo fiduciario) "a condizione di ottenere
conseguenti economie di gestione" (art. 6-bis, d. lg.
30.03.2001 n. 165) e, "qualora ne ricorrano le condizioni"
ai sensi dell'art. 125, d. lg. 12.04.2006 n. 163. Sebbene,
spiegano gli stessi giudici, dal quadro normativo
complessivo, emerga la netta preferenza del legislatore per
l'esternalizzazione dei servizi pubblici, tuttavia, non può
non riconoscersi anche una -seppur limitata -possibilità,
per l'ente pubblico, di gestione in economia di detti
servizi.
Infatti, nonostante tutta la normativa in materia è
finalizzata alla regolamentazione della concorrenza, essa
non ha alcuna incidenza in ipotesi in cui l'ente pubblico
decida, a monte e nei limiti in cui detta discrezionalità è
riconosciuta dall'ordinamento, di gestire da sé medesimo il
servizio pubblico.
Né può in radice escludersi detta possibilità in capo
all'amministrazione, posto che il principio della
concorrenza, a cui è ispirata la disciplina sui servizi
pubblici, non può prevalere sui principi di efficienza ed
economicità e buon andamento dell'attività amministrativa,
laddove una ragionevole valutazione induca a ritenere
preferibili soluzioni interne all'amministrazione
interessata e dunque non competitive (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Latina,
sentenza 28.02.2013 n. 207
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Gare
lavori, l'avvalimento non può essere limitato.
Conclusioni dell'Avvocato generale della Corte di
giustizia Ue.
Illegittimo limitare l'avvalimento per le gare di lavori: il
codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006) viola la
direttiva 2004/18 sugli appalti pubblici perché non consente
di utilizzare i requisiti di due imprese per qualificarsi in
una specifica categoria di lavori e impedisce l'accesso alle
gare da parte delle piccole e medie imprese.
È questa la
conclusione cui giunge l'Avvocato generale Jääskinen nella
conclusione 28.02.2013 causa C-94/12, rimessa alla Corte di giustizia europea dal
Tar delle Marche, che -laddove confermate- porterebbero al
superamento dei vincoli oggi previsti nel «codice De Lise».
La questione riguarda in particolare una specifica norma del
Codice dei contratti pubblici: l'articolo 49, comma 6, del
decreto legislativo n. 163, del 12.04.2006, che per
quanto riguarda la partecipazione a gare d'appalto prevede
che «per i lavori, il concorrente può avvalersi di una sola
impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione.
Il bando di gara può ammettere l'avvalimento di più imprese
ausiliarie in ragione dell'importo dell'appalto o della
peculiarità delle prestazioni, fermo restando il divieto di
utilizzo frazionato per il concorrente dei singoli requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi di cui
all'articolo 40, comma 3, lettera b), che hanno consentito
il rilascio dell'attestazione in quella categoria».
Nella
fattispecie oggetto del contenzioso era accaduto che la
stazione appaltante aveva provveduto ad escludere dalla gara
un raggruppamento temporaneo in cui una delle imprese si era
qualificata in una determinata categoria di qualificazione Soa utilizzando i requisiti di due imprese diverse, in
assenza di previsione del bando. Dopo avere ricostruito la
posizione della giurisprudenza comunitaria, prendendo le
mosse dalla sentenza del 1994 (Ballast Noedam groep, vedi
ItaliaOggi del 20.05.1994, pag. 25), l'Avvocato generale
afferma espressamente che «l'esclusione degli offerenti
sulla base del numero dei soggetti che partecipano
all'esecuzione, da cui discende che sia ammessa una sola
impresa ausiliaria per categoria, riduce le scelte
dell'amministrazione aggiudicatrice e può incidere
sull'efficacia della concorrenza».
Il diritto comunitario
deve infatti tendere a garantire la massima apertura alla
concorrenza «non solo con riguardo all'interesse alla libera
circolazione dei prodotti e dei servizi, bensì anche
nell'interesse stesso dell'amministrazione aggiudicatrice,
la quale disporrà così di un'ampia scelta circa l'offerta
più vantaggiosa».
Ma c'è un secondo obiettivo da perseguire:
«aprire il relativo mercato a tutti gli operatori economici
indipendentemente dalla loro dimensione», favorendo quindi
«l'integrazione delle piccole e medie imprese (pmi)», che,
nelle parole dell'Avvocato generale, «vengono considerate la
spina dorsale dell'economia dell'Ue». Da ciò l'esigenza che
le pmi non siano «ostacolate dalla dimensione degli
appalti».
Pertanto contrastano con tali esigenze i limiti alla
possibilità per gli offerenti di partecipare a
raggruppamenti facendo affidamento sulle capacità di imprese
ausiliarie come previsto nel codice dei contratti italiano
(articolo ItaliaOggi del 02.03.2013). |
APPALTI: Oggetto:
Quesiti sull'applicazione dell'art. 11, comma 13, del
decreto legislativo n. 163 del 2006 come modificato
dall'art. 6, comma 3, del D.L. 179 del 2012 sulle modalità
di stipulazione dei contratti pubblici
(Ministero per la Pubblica Amministrazione e la
Semplificazione,
nota 28.02.2013 n. 77 di prot.
-
tratto da http://venetoius.it).
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Il Capo dell'Ufficio Legislativo del Ministro risponde
all'ANCE in ordine ai seguenti cinque interrogativi:
1)
se la disposizione dell'art. 11, comma 13, del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163, come modificato dall'art. 6,
comma 3, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, preveda come
obbligatorio il ricorso alle modalità elettroniche in caso
di utilizzo della forma amministrativa ovvero della
scrittura privata;
2) cosa si
deve intendere per "modalità elettroniche" e, in
particolare, se occorre ricorrere alla firma digitale;
3) se la
previsione di cui all'art. 11, comma 13, del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163, come modificato dall'art. 6,
comma 3, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 implichi anche
l'utilizzo di modalità elettroniche per la registrazione e
conservazione dei contratti;
4) se in
mancanza di firma digitale da parte dell'aggiudicatario del
contratto, possa ricorrersi all'autenticazione della firma
mediante acquisizione digitale della sottoscrizione
autografa (scannerizzazione e attestazione del pubblico
ufficiale);
5) se sia
opportuno che la stazione appaltante porti a conoscenza dei
concorrenti la forma di sottoscrizione del contratto
prescelta e le modalità elettroniche previste. |
APPALTI SERVIZI: Le
tabelle redatte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali danno indicazione dei costi medi del lavoro,
formulati sulla base dei valori economici risultanti dal
Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di settore e di
altre variabili attinenti alla natura e all’organizzazione
dell’impresa.
Tali tabelle offrono alla stazione appaltante un parametro
in base al quale valutare la congruità dell’offerta.
Pertanto, lo scostamento dai costi medi orari del lavoro ivi
indicati non determina l’inammissibilità dell’offerta
stessa, bensì esclusivamente la necessità che l’impresa
fornisca adeguate giustificazioni al riguardo.
Ciò premesso, la stazione appaltante non può, nella lex
specialis di gara, stabilire l’inderogabilità di tali costi
medi a pena di esclusione, stante il principio di
tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46,
comma 1-bis del codice dei contratti pubblici.
Alla luce di siffatto principio, la stazione appaltante può
escludere i concorrenti soltanto in caso di mancato
adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal
regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché
in ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di
altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda di
partecipazione o per altre irregolarità relative alla
chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato il principio di
segretezza delle offerte.
Ma i bandi e le lettere di invito, come espressamente
chiarisce la norma, “non possono contenere ulteriori
prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono
comunque nulle”.
Preliminarmente, pare opportuno ricordare che le tabelle
redatte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
danno indicazione dei costi medi del lavoro, formulati sulla
base dei valori economici risultanti dal Contratto
Collettivo Nazionale di Lavoro di settore e di altre
variabili attinenti alla natura e all’organizzazione
dell’impresa.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, condivisa da questo
Collegio, tali tabelle offrono alla stazione appaltante un
parametro in base al quale valutare la congruità
dell’offerta. Pertanto, lo scostamento dai costi medi orari
del lavoro ivi indicati non determina l’inammissibilità
dell’offerta stessa, bensì esclusivamente la necessità che
l’impresa fornisca adeguate giustificazioni al riguardo
(cfr. Tar Sardegna, sez. I, sentenza 09.01.2013, n. 6 e
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 28.05.2012, n.
3134).
Ciò premesso, la stazione appaltante non può, nella lex
specialis di gara, stabilire l’inderogabilità di tali costi
medi a pena di esclusione, stante il principio di
tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46,
comma 1-bis del codice dei contratti pubblici.
Alla luce di siffatto principio, la stazione appaltante può
escludere i concorrenti soltanto in caso di mancato
adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal
regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché
in ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di
altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda di
partecipazione o per altre irregolarità relative alla
chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato il principio di
segretezza delle offerte. Ma i bandi e le lettere di invito,
come espressamente chiarisce la norma, “non possono
contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette
prescrizioni sono comunque nulle”
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gli
oneri a carico dell’impresa relativi alla sicurezza dei
lavoratori debbono essere computati con riferimento ai soli
lavoratori che operino stabilmente alle dipendenze
dell’impresa, non anche con riguardo a coloro i quali siano
deputati saltuariamente ad effettuare sostituzioni dei
lavoratori assenti.
L’art. 4, d.lgs. 09.04.2008, n. 81 (T.U. in materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro) dispone, infatti, che “ai
fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale
il presente decreto legislativo fa discendere particolari
obblighi non sono computati: (…) d) i lavoratori assunti con
contratto di lavoro a tempo determinato, ai sensi
dell'articolo 1 del decreto legislativo 06.09.2001, n.
368, in sostituzione di altri prestatori di lavoro assenti
con diritto alla conservazione del posto di lavoro; e) i
lavoratori che svolgono prestazioni occasionali di tipo
accessorio ai sensi degli articoli 70, e seguenti, del
decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, e successive
modificazioni, nonché prestazioni che esulano dal mercato
del lavoro ai sensi dell'articolo 74 del medesimo decreto”.
Da tale disposizione si evince che gli oneri a carico
dell’impresa relativi alla sicurezza dei lavoratori debbono
essere computati con riferimento ai soli lavoratori che
operino stabilmente alle dipendenze dell’impresa, non anche
con riguardo a coloro i quali siano deputati saltuariamente
ad effettuare sostituzioni dei lavoratori assenti.
Alla luce di tale norma, non devono, dunque, essere
computati tra i lavoratori, ai fini del calcolo degli oneri
di sicurezza, coloro i quali svolgono attività lavorativa
soltanto in sostituzione dei lavoratori assenti.
Pertanto, nel caso di specie, correttamente il Consorzio SGM
ha computato gli oneri di sicurezza per rischi specifici con
riguardo soltanto agli 11 lavoratori da impiegare
stabilmente nel servizio oggetto dell’appalto (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
principio di immodificabilità dell’offerta, teso a
garantire, da un lato, la par condicio fra i concorrenti, e
dall’altro, l’affidabilità del contraente, attiene non ad
ogni aspetto della stessa, bensì ai profili economici e
tecnici essenziali della medesima. In altri termini, è
precluso all’impresa alla quale sia stato richiesto di
giustificare l’offerta “anormalmente bassa”, ex art. 88 del
codice dei contratti pubblici, di modificare l’offerta
economica, non anche quella tecnica, salvo per quegli
aspetti che si riverberino, ovviamente, sui profili
economici ovvero sui contenuti tecnici essenziali posti a
base di gara dalla stazione appaltante.
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Obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire
se l’offerta sia, nel suo complesso, e nel suo importo
originario, affidabile o meno, il giudizio di anomalia deve
essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli
elementi, sia quelli che militano a favore, sia quelli che
militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo
insieme: deve di conseguenza ritenersi possibile che, a
fronte di determinate voci di prezzo giudicate
eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa
dimostri che per converso altre voci di prezzo sono state
inizialmente sopravvalutate, e che in relazione alle stesse
è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato
e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di
altre voci.
Pertanto, ciò che si può consentire è:
a) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci
di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite),
lasciando le voci di costo invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci di costo, che
trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o
normative che comportino una riduzione dei costi, o in
originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni
plausibili.
La giurisprudenza ha infatti precisato che il
subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non
è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta per così
dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la
serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed
immutabile.
Tuttavia, il principio di immodificabilità dell’offerta, teso a garantire, da un lato,
la par condicio fra i concorrenti, e dall’altro,
l’affidabilità del contraente, attiene non ad ogni aspetto
della stessa, bensì ai profili economici e tecnici
essenziali della medesima. In altri termini, è precluso
all’impresa alla quale sia stato richiesto di giustificare
l’offerta “anormalmente bassa”, ex art. 88 del codice dei
contratti pubblici, di modificare l’offerta economica, non
anche quella tecnica, salvo per quegli aspetti che si
riverberino, ovviamente, sui profili economici ovvero sui
contenuti tecnici essenziali posti a base di gara dalla
stazione appaltante.
In tal senso si muove anche la
giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, nel confermare
il principio di immodificabilità dell’offerta, anche in sede
di giustificazioni, rileva come «obiettivo della verifica di
anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo
complesso, e nel suo importo originario, affidabile o meno,
il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve
tenere conto di tutti gli elementi, sia quelli che militano
a favore, sia quelli che militano contro l’attendibilità
dell’offerta nel suo insieme: deve di conseguenza ritenersi
possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo
giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili,
l’impresa dimostri che per converso altre voci di prezzo
sono state inizialmente sopravvalutate, e che in relazione
alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo,
documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior
costo di altre voci (nella specie, si era riconosciuto che
il maggior importo di alcune voci del costo della manodopera
rispetto a quello indicato dall’impresa potesse essere
compensato dal maggior risparmio conseguito sul prezzo dei
contratti di fornitura) [Cons. St., sez. VI, 21.05.2009
n. 3146; Cons. St., sez. VI, 19.05.2000 n. 2908].
Dalla
citata giurisprudenza si desume che ciò che si può
consentire è:
a) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci
di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite),
lasciando le voci di costo invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci di costo, che
trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o
normative che comportino una riduzione dei costi, o in
originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni
plausibili.
La giurisprudenza ha infatti precisato che il
subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non
è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta per così
dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la
serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed
immutabile [Cons. St., sez. V, 12.03.2009 n. 1451]»
(così, di recente, Cons. St., VI, 07.02.2012, n. 636)
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Costituisce
buona regola che nel progetto dell'opera
pubblica, recante la dichiarazione di
pubblica utilità, l'espropriante è tenuto a
redigere il piano particellare degli
immobili da espropriare, operandone la
distinzione con tutti quelli che nel
prosieguo della realizzazione dell'opera
potranno risultare necessari per la corretta
esecuzione dei lavori previsti, e perciò
costituire oggetto di occupazione temporanea
ex art. 49 d.P.R. n. 327 del 2001.
In ordine alla questione della occupazione
temporanea dei beni ai sensi dell’art. 49
T.U. espropri, va osservato quanto segue.
La sezione, già in sede cautelare, ha
osservato come gli immobili di titolarità
della ricorrente originaria fossero
ricompresi nel piano particellare di
esproprio e ciò costituiva sufficiente
ragione per ritenere legittimo e corretto il
procedimento di occupazione temporanea
contestato.
L’art. 49 su citato prevede al primo comma
che “L'autorità espropriante può disporre
l'occupazione temporanea di aree non
soggette al procedimento espropriativo anche
individuate ai sensi dell'articolo 12, se
ciò risulti necessario per la corretta
esecuzione dei lavori previsti”. Per il
comma 5 “Le disposizioni di cui ai
precedenti commi si applicano, in quanto
compatibili, nel caso di frane, alluvioni,
rottura di argini e in ogni altro caso in
cui si utilizzano beni altrui per urgenti
ragioni di pubblica utilità”.
Si è affermato (e quindi costituisce buona
regola) che nel progetto dell'opera pubblica
recante la dichiarazione di pubblica utilità
l'espropriante è tenuto a redigere il piano
particellare degli immobili da espropriare,
operandone la distinzione con tutti quelli
che nel prosieguo della realizzazione
dell'opera potranno risultare necessari per
la corretta esecuzione dei lavori previsti,
e perciò costituire oggetto di occupazione
temporanea ex art. 49 d.P.R. n. 327 del 2001
(così Cassazione civile sez. un.,
06.05.2009, n. 10362).
Nella specie, risulta incontestato che i
terreni oggetto della occupazione
temporanea, di titolarità della ricorrente
originaria, fossero ricompresi nel piano
particellare, ricompreso a sua volta
nell’approvazione del progetto definitivo.
Ad opinione di questo Giudicante non rileva
in alcun modo, in tale sede, che vi fosse
stata o meno l’approvazione del progetto
esecutivo.
La parte appellata si duole del difetto di
motivazione, che invero deve ritenersi
soddisfatto dalle evidenziate esigenze di
cantierizzazione dell’area, come desumibile
per relationem rispetto alla motivazione
del progetto definitivo approvato.
La problematica della occupazione temporanea
è stata in qualche modo risolta dalla nuova
normativa del testo unico.
In precedenza, dalle leggi precedenti (art.
65, l. fond.) si desumeva che il potere di
occupazione temporanea, per esempio a fini
di cantiere, potesse ritenersi svincolato
dalla previa valutazione e dichiarazione di
pubblica utilità, con un procedimento
indipendente e deformalizzato corrispondente
a quello del decreto di esproprio.
Le opere pubbliche debbono essere oggetto di
una previa e distinta dichiarazione di
pubblica utilità, recante un giudizio sulla
loro ottimale localizzazione e soggetta ai
principi di imparzialità e proporzionalità
dell'azione amministrativa, oltre che alle
garanzie pubblicitarie e partecipative in
favore dei privati; l’ideale è che tale
valutazione sia estesa per le occupazioni
temporanee di aree strumentali alla
realizzazione dell'opera pubblica, legate
alla stessa da un vincolo di accessorietà.
Si è osservato come in molti casi (si pensi
a reti infrastrutturali, strade, ferrovie,
linee elettriche e di distribuzione del gas)
le aree da espropriare possano essere di
entità comparativamente assai ridotta
rispetto a quelle da sottoporre ad
occupazione per cantieri, asservimenti
temporanei od opere provvisionali, che
rappresentano la vera e più importante
interferenza con la proprietà privata.
Il testo unico afferma all’art. 49 che le
aree da occupare temporaneamente possono "anche"
essere individuate nel progetto dichiarativo
della pubblica utilità.
Anche se per l’art. 33, comma 1, d.p.r. n.
554/1999, sui requisiti dei progetti di
opere pubbliche, il piano particellare deve
censire solo le aree da espropriare o
asservire è buona regola, pienamente
osservata nella specie, che già nel progetto
approvato siano individuate le aree di
cantiere e le ragioni della occupazione,
anche per relationem.
D’altronde, l’occupazione di cui alla
ordinanza impugnata evidenzia in modo
dettagliato i provvedimenti a suo fondamento
e cioè:
1) la deliberazione CIPE di approvazione del
progetto definitivo;
2) il progetto definitivo approvato e
pubblicato, che comporta dichiarazione di
pubblica utilità e contiene il piano
particellare degli espropri (in cui sono
indicate tutte le zone da espropriare e da
occupare e i soggetti proprietari, come le
aree di proprietà della Cascina Pagnana);
3) l’istanza di occupazione temporanea
presentata dal Consorzio TEEM.
E’ vero in giurisprudenza si è anche
affermato che le occupazioni temporanee sono
svincolate dal procedimento di dichiarazione
di pubblica utilità (per esempio, in tal
senso TAR Puglia, Bari, Sez. III, 17.12.2008
n. 2891, secondo cui "Il piano
particellare da allegare al progetto
definitivo dell'opera pubblica, ai sensi
dell'art. 16 d.p.r. n. 327 del 2001 e
dell'art. 13 dell'Allegato al d.lgs. n. 163
del 2006, deve indicare i terreni di cui si
prevede l'espropriazione o l'asservimento,
non anche le aree da sottoporre ad
occupazione temporanea ai sensi dell'art. 49
del d.p.r. n. 327 del 2001"); nel
precedente su richiamato (Cassazione sez.
un., 06.05.2009, n. 10362) la Suprema Corte,
dopo aver ricordato la imprescindibile
necessità della dichiarazione di pubblica
utilità, quale fase preliminare e distinta
dal potere coattivo di spossessamento di cui
è anzi presupposto fondante, ribadisce che
tale fase di ponderazione del pubblico
interesse deve riguardare –e questo è
proprio l’ideale modo di procedere,
rispettato nella fattispecie- non solo le
aree coinvolte a fini espropriativi, ma
anche quelle interessate da un vincolo di
occupazione temporanea "ai sensi
dell'art. 49" del testo unico.
Il progetto definitivo deve dunque farsi
carico di identificarle motivatamente al
pari delle prime, a pena di illegittimità.
Il significato dell'art. 49 del testo unico,
disegnato dalle Sezioni Unite, è dunque
quello di un istituto necessariamente
connesso all'opera pubblica (e quindi al
progetto definitivo) a cui è strumentale. La
previsione secondo cui le aree da occupare
sono "anche" indicate nella d.p.u.,
non può insomma significare che
l'amministrazione ha il potere di occupare
aree non previste nel progetto; essa va
invece interpretata, in modo conforme a
Costituzione, nel senso che, ogni qualvolta
l'occupazione sia funzionalmente connessa ad
un'opera pubblica, la decisione di
ricorrervi dovrà, secondo buona
amministrazione, necessariamente essere
assunta a monte, nel progetto dichiarativo
della pubblica utilità, nel quale dovranno
anche essere identificate le aree da
occupare ed è ciò che è avvenuto nella
specie.
Pertanto, che la scelta di provvedere alla
occupazione temporanea sia assunta in
occasione della approvazione del progetto
definitivo, comprensivo della dichiarazione
di pubblica utilità, piuttosto che in
occasione del progetto esecutivo -a
differenza di quanto ha ritenuto il primo
giudice, che ha tratto argomentazione sulla
illegittimità dell’operato amministrativo,
basandosi sul fatto che il progetto
esecutivo non era ancora stato approvato- è
situazione fisiologica e anche corretta per
l’operato dell’amministrazione (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 26.02.2013 n. 1184 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In caso di clausole di
dubbio significato, deve preferirsi l'interpretazione che
favorisca la massima partecipazione alla gara piuttosto che
quella che la ostacoli essendo esclusa, per la commissione
di gara, la possibilità di ricavare ab implicito dei
requisiti di partecipazione o delle cause di esclusione
inespressi nella legge di gara.
---------------
Ove si lamenti la mancata, idonea custodia delle buste
contenenti la documentazione di gara e delle offerte, spetta
al deducente suffragare l’assunto con elementi
circostanziati o quantomeno sintomatici, tali da far
ritenere verosimile o altamente probabile che la condotta
dell’amministrazione possa avere dato adito a manomissioni e
che in mancanza di deduzioni specifiche ogni censura
avanzata in proposito è affetta da assoluta genericità.
---------------
Non esiste un principio assoluto di unicità o
immodificabilità delle commissioni giudicatrici e tale
principio è destinato ad incontrare deroghe ogni volta vi
sia un caso di indisponibilità da parte di uno dei
componenti della commissione a svolgere le proprie funzioni.
Questo Consiglio di Stato ha statuito infatti che i
“...membri delle commissioni di gara ...possono essere
sostituiti in relazione ad esigenze di rapidità e continuità
della azione amministrativa” configurandosi la sostituzione
come “...un provvedimento di ordinaria amministrazione
necessario a garantire il corretto funzionamento e la
continuità delle operazioni".
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Con riferimento alla “omessa verifica d’integrità dei plichi
e delle buste ivi contenute” la giurisprudenza ha rilevato
che la censura deve ritenersi infondata ove il verbale
espliciti chiaramente l’avvenuta effettuazione delle
operazioni ricomprendendovi anche la verifica della
integrità dei plichi ma che la sinteticità della formula
utilizzata nel verbale per descrivere lo svolgimento di tale
attività non può essere ritenuta idonea a viziare la
procedura di gara non dovendo il seggio di gara verbalizzare
in maniera minuziosa tutte le attività di fatto
materialmente svolte.
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Il principio di concentrazione e continuità delle operazioni
di gara è un principio solo tendenziale, derogabile in
presenza di ragioni oggettive quali la complessità delle
operazioni di valutazione delle offerte, il numero delle
offerte in gara, l’eventuale indisponibilità dei membri
della commissione, la correlata necessità di nominare
sostituti ecc. che giustifichino il ritardo anche in
relazione al preminente interesse alla effettuazione di
scelte ponderate.
---------------
Il punteggio numerico assegnato agli elementi di valutazione
dell’offerta economicamente più vantaggiosa integra una
sufficiente motivazione quando siano prefissati con
chiarezza e adeguato grado di dettaglio i criteri di
valutazione, prevedenti un minimo ed un massimo; in questo
caso, infatti, sussiste comunque la possibilità di
ripercorrere il percorso valutativo e quindi di controllare
la logicità e la congruità del giudizio tecnico.
Va ricordato il pacifico principio giurisprudenziale secondo il quale in
caso di clausole di dubbio significato, deve preferirsi
l'interpretazione che favorisca la massima partecipazione
alla gara piuttosto che quella che la ostacoli (Cons. Stato, VI ,
04.03.2008 n. 874) essendo esclusa, per la commissione
di gara, la possibilità di ricavare ab implicito dei
requisiti di partecipazione o delle cause di esclusione
inespressi nella legge di gara.
---------------
Tali argomentazioni del
Tar non meritano conferma ritenendo la Sezione di
richiamare, anche nella presente vicenda, l’orientamento
giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. III, 25.11.2011
n. 6266; III, 13.05.2011 n. 2908; V, 07.07.2011 n. 4055;
V, 05.10.2011 n. 5456) secondo il quale, ove si lamenti
la mancata, idonea custodia delle buste contenenti la
documentazione di gara e delle offerte, spetta al deducente
suffragare l’assunto con elementi circostanziati o
quantomeno sintomatici, tali da far ritenere verosimile o
altamente probabile che la condotta dell’amministrazione
possa avere dato adito a manomissioni e che in mancanza di
deduzioni specifiche ogni censura avanzata in proposito è
affetta da assoluta genericità.
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In fatto deve
sottolinearsi che la sostituzione è avvenuta per
indisponibilità di un componente in un momento in cui la
commissione non aveva ancora cominciato le operazioni
valutative che invece sono state effettuate dalla
commissione sempre nella medesima composizione; si aggiunga
che il sostituto aveva le medesime qualità e la medesima
esperienza del sostituito trattandosi in entrambi i casi del
direttori medici di presidi ospedalieri.
Al riguardo la Sezione richiama l’orientamento seguito più
volte da questo Consiglio di Stato secondo il quale non
esiste un principio assoluto di unicità o immodificabilità
delle commissioni giudicatrici e che tale principio è
destinato ad incontrare deroghe ogni volta vi sia un caso di
indisponibilità da parte di uno dei componenti della
commissione a svolgere le proprie funzioni. Questo Consiglio
di Stato ha statuito infatti che i “...membri delle
commissioni di gara ...possono essere sostituiti in relazione
ad esigenze di rapidità e continuità della azione
amministrativa” (Cons. Stato,V, 03.12.2010 n. 8400)
configurandosi la sostituzione come “...un provvedimento di
ordinaria amministrazione necessario a garantire il corretto
funzionamento e la continuità delle operazioni" (Cons.
Stato, V, 05.11.2009 n. 6872).
---------------
Con riferimento alla “omessa verifica d’integrità dei
plichi e delle buste ivi contenute” la giurisprudenza ha
rilevato che la censura deve ritenersi infondata ove il
verbale espliciti chiaramente l’avvenuta effettuazione delle
operazioni ricomprendendovi anche la verifica della
integrità dei plichi ma che la sinteticità della formula
utilizzata nel verbale per descrivere lo svolgimento di tale
attività non può essere ritenuta idonea a viziare la
procedura di gara non dovendo il seggio di gara verbalizzare
in maniera minuziosa tutte le attività di fatto
materialmente svolte (Cons. Stato, Sez. V, 13.10.2010 n.
7470).
---------------
La giurisprudenza ha
evidenziato che il principio di concentrazione e continuità
delle operazioni di gara è un principio solo tendenziale,
derogabile in presenza di ragioni oggettive quali la
complessità delle operazioni di valutazione delle offerte,
il numero delle offerte in gara, l’eventuale indisponibilità
dei membri della commissione, la correlata necessità di
nominare sostituti ecc. che giustifichino il ritardo anche
in relazione al preminente interesse alla effettuazione di
scelte ponderate (Cons. Stato, V, 25.07.2006 n. 4657; IV, 05.10.2005 n. 5360).
---------------
Come questo Consiglio di Stato ha frequentemente osservato,
il punteggio numerico assegnato agli elementi di valutazione
dell’offerta economicamente più vantaggiosa integra una
sufficiente motivazione quando siano prefissati con
chiarezza e adeguato grado di dettaglio i criteri di
valutazione, prevedenti un minimo ed un massimo; in questo
caso, infatti, sussiste comunque la possibilità di
ripercorrere il percorso valutativo e quindi di controllare
la logicità e la congruità del giudizio tecnico (cfr., Sez.
V, 17.01.2011 n. 222; Sez. V, 16.06.2010 n. 3806; 11.05.2007
n. 2355; 09.04.2010 n. 1999) (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 25.02.2013 n. 1169 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In materia di partecipazione ad appalti pubblici
deve essere mantenuta una distinzione ben netta tra
l’attività di mera integrazione o di specificazione di
dichiarazioni già rese in sede di gara, rispetto alla
distinta ipotesi della introduzione di elementi o fatti
nuovi, successivamente alla data di scadenza del termine
fissato per la presentazione delle offerte; soltanto
quest’ultima attività deve ritenersi assolutamente non
consentita, in quanto violativa della fondamentale regola
della par condicio competitorum.
Per converso, laddove si tratti di esplicitare o di chiarire
una dichiarazione o il contenuto di un atto già
tempestivamente prodotto agli atti di gara, l’attività di
integrazione non soltanto è consentita ma la stessa risulta
dovuta, nel senso che la stazione appaltante è tenuta, in
omaggio al principio di leale collaborazione codificato
all’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, a richiedere
o a consentire la suddetta integrazione, in modo da rendere
conforme l’offerta, anche in relazione al materiale
documentale di corredo, a quanto richiesto dalla lex
specialis di gara. In tal caso è il principio di massima
partecipazione alle gare ad imporre tale soluzione
interpretativa finalizzata a consentire un’effettiva
concorrenza tra le imprese in gara.
In materia di partecipazione ad appalti pubblici deve essere
mantenuta una distinzione ben netta tra l’attività di mera
integrazione o di specificazione di dichiarazioni già rese
in sede di gara, rispetto alla distinta ipotesi della
introduzione di elementi o fatti nuovi, successivamente alla
data di scadenza del termine fissato per la presentazione
delle offerte; soltanto quest’ultima attività deve ritenersi
assolutamente non consentita, in quanto violativa della
fondamentale regola della par condicio competitorum.
Per converso, laddove si tratti di esplicitare o di chiarire
una dichiarazione o il contenuto di un atto già
tempestivamente prodotto agli atti di gara, l’attività di
integrazione non soltanto è consentita ma la stessa risulta
dovuta, nel senso che la stazione appaltante è tenuta, in
omaggio al principio di leale collaborazione codificato
all’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, a richiedere
o a consentire la suddetta integrazione, in modo da rendere
conforme l’offerta, anche in relazione al materiale
documentale di corredo, a quanto richiesto dalla lex
specialis di gara. In tal caso è il principio di massima
partecipazione alle gare ad imporre tale soluzione
interpretativa finalizzata a consentire un’effettiva
concorrenza tra le imprese in gara (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 25.02.2013 n. 1122 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI
- TRIBUTI: Pubblicità stradale con gara.
È obbligatoria per affidare spazi in concessione.
L'adunanza plenaria del Consiglio di stato:
necessario garantire la concorrenza.
È obbligatoria la gara per l'affidamento in concessione di
spazi pubblicitari stradali; si tratta di gare con offerte
in aumento («al rialzo») motivate dal fatto che gli spazi
pubblicitari sono contingentati in ogni comune e che occorre
garantire la libera concorrenza.
È il Consiglio di Stato,
adunanza plenaria
sentenza 25.02.2013 n. 5, a chiarire
definitivamente la questione posta dal Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione Sicilia con
ordinanza n. 653 del 2012.
La materia è trattata in più
sedi: nella normativa sulla viabilità, che sottopone gli
impianti, per la sicurezza del traffico veicolare, ad
autorizzazione comunale se collocati nei centri abitati
(art. 23, comma 4, del codice della strada dlgs n. 285 del
1992), in quella sulla tutela dei beni culturali e
paesaggistici [articoli 49 e 153 del codice dei beni
culturali e del paesaggio (dlgs n. 42 del 2004)], se gli
impianti incidano su tali profili, e nella normativa
tributaria, posta in particolare dal dlgs n. 507 del 1993 (e
poi dal dlgs n. 446 del 1997).
Sul tema dell'assegnazione
degli spazi pubblici disponibili per gli impianti
pubblicitari ad affissione diretta, in giurisprudenza erano
emersi due indirizzi. Il primo, sposato dal giudice che ha
rimesso la questione all'Adunanza plenaria e risalente a una
pronuncia del Consiglio di stato del 2007, poggia la sua
tesi sul fatto che le imprese, titolari di un diritto alla
libera attività di affissione diretta (ai sensi della
pronuncia della Corte costituzionale n. 355 del 2002),
sarebbero sottoposte soltanto ad autorizzazione onerosa, ai
sensi degli articoli 23 del codice della strada e 53 del
relativo regolamento attuativo, con un «prezzo» (tariffa)
pagato dall'autorizzato anche per compensare l'occupazione
del suolo pubblico. Il secondo indirizzo del Consiglio di
stato del 2009, prevalente anche a livello di Tar, parte
dalla considerazione che il «mercato dell'uso degli impianti
pubblicitari privati in ambito cittadino è, allo stato
attuale, contingentato, a motivo della limitatezza degli
spazi disponibili», con conseguente obbligo per i comuni di
determinare «la quantità degli impianti
pubblicitari».
Pertanto in questa ottica lo strumento idoneo
a garantire la libera iniziativa economica non può che
essere quello della concessione degli spazi tramite gara.
Diversamente, infatti, sarebbe del tutto inibito a nuovi
operatori l'accesso ad un mercato che resterebbe riservato a
quanti hanno conseguito in passato le autorizzazioni all'uso
degli spazi più remunerativi.
L'adunanza plenaria sposa
questo secondo indirizzo partendo dalla conferma della
considerazione generale per cui la collocazione degli
impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane è
vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi disponibili
all'interno del territorio comunale e ulteriormente
ristretta per effetto dei vincoli sia di viabilità, sia di
tutela dei beni culturali, gravanti sul territorio. Di
fatto, quindi, tale assetto configura un vero e proprio
«mercato contingentato» determinato da una scarsa risorsa
pubblica, cioè il suolo pubblico. La sentenza delinea
quindi, in questo ambito, un rapporto tra l'ente locale e
privato che non può che essere di natura concessoria, sotto
forma di concessione di area pubblica.
Per l'adunanza
plenaria è quindi «corretto allocare l'uso degli spazi
pubblici contingentati con gara, dovendosi altrimenti
ricorrere all'unico criterio alternativo dell'ordine
cronologico di presentazione delle domande accoglibili, che
è di certo meno idoneo ad assicurare l'interesse pubblico
all'uso più efficiente del suolo pubblico e quello dei
privati al confronto concorrenziale».
Per assicurare il perseguimento del principio di tutela
della concorrenza nell'esercizio dell'attività economica
privata incidente sull'uso di risorse pubbliche occorre
quindi riferirsi all'istituto della concessione tramite gara
dell'uso di beni pubblici per l'esercizio di attività
economiche private, che risulta del tutto coerente anche con
i principi comunitari, in particolare di non
discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza.
In particolare la concessione di un'area pubblica fornisce
un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato
(come è nella specie e quindi la gara si impone come
strumento a presidio e tutela del principio, fondamentale,
della piena concorrenza. Si tratterà, ovviamente, di una
gara con offerte in aumento, «al rialzo», per
l'assegnazione di una concessione con durata temporale
prefissata
(articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: I
comuni potranno accedere al casellario giudiziale tramite l'Anci.
Al ministero della giustizia non può essere richiesto di
stipulare più di 8.000 convenzioni, una per comune, al fine
di consentire alle amministrazioni l'accesso al Sic,
(Sistema informativo del casellario). E di conseguenza, la
direzione generale agli affari penali ha già scelto nell'Anci
e nel Authority di vigilanza dei contratti pubblici i propri
interlocutori. Sarà cura di ogni ente, quindi, aderire all'
intesa tra il ministero della giustizia e l'Associazione dei
comuni per le verifiche connesse alle attività produttive,
mentre per le opere ed i servizi pubblici le verifiche
dovranno essere esperite tramite l'Autorità per la vigilanza
sui contratti.
Lo ha chiarito il direttore dell'Ufficio III del
dipartimento per gli affari di giustizia con la
nota 20.02.2013 n. 24051 di prot..
Con la nota stessa, peraltro, il
ministero ha colto l'occasione per fornire alcune
indicazioni operative connesse alla tutela della
riservatezza dei dati contenuti nel casellario. Per
acquisire il certificato selettivo previsto dall'art. 39 del
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di casellario giudiziale (dpr 313/2002), infatti,
ha precisato il dicastero, dovranno essere «assolutamente»
indicate nella scheda informativa che accompagnerà la
richiesta, le norme che regolamentano lo specifico
procedimento amministrativo che ne giustifica la domanda.
In
altre parole, ha sottolineato il direttore Barbara Chiari,
occorre indicare puntualmente, sia la legge che disciplina
il procedimento, sia lo specifico articolo che stabilisce i
requisiti morali che deve possedere l'interessato per
l'accoglimento dell'istanza. A titolo di esempio, nel
procedimento per l'avvio di attività di vendita al
dettaglio, occorrerà indicare sia il riferimento al dlgs
59/2010, che all'articolo 71, commi 1, 3, 4 e 5, nei quali
sono stabiliti i motivi ostativi all'esercizio dell'attività
commerciale di vendita e somministrazione.
Per quanto
riguarda, invece, la consultazione diretta del Sic per
l'acquisizione del certificato previsto dall'art. 21 del
codice dei contratti pubblici, rilasciato ai fini del
controllo delle dichiarazioni sostitutive di certificati da
parte di tutte le stazioni appaltanti e degli enti
aggiudicatari, la stessa potrà avvenire soltanto per il
tramite dell'Autorità per la vigilanza dei contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp) presso la
quale è istituita la Banca dati nazionale dei contratti
pubblici (art. 6-bis del dlgs 163/2006).
E, a tale
proposito, sarà stipulata una convenzione con la suddetta
Autorità, nei tempi stabiliti dalla deliberazione dell'Avcp
n. 111 del 20.12.2012, consultabile all'indirizzo
http://avcp.it/portal/public/classic/
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: In
via di ultimazione la circolare dell'Agenzia delle entrate
con le semplificazioni. Appalti, responsabilità limitata.
Pagamento sospeso per la quota di debito non versata.
Nella disciplina sulla responsabilità (fiscale) nei
contratti di appalto, possibile sospensione del pagamento
limitata alla somma di debito erariale non versata
dall'appaltatore o dal sub-appaltatore e non all'intero
corrispettivo dovuto.
Numerose sono le perplessità operative, in presenza di
contratti di appalto e di sub-appalto, per effetto del
recente intervento, di cui all'art. 13-ter, del dl n.
83/2012 («Decreto crescita») e nonostante l'emanazione di un
recente documento di prassi (Agenzia delle entrate,
circolare 8/10/2012 n. 40/E).
L'art. 13-ter, dl n. 83/2012, in vigore dal 12/08/2012, ha
sostituito il comma 28, dell'art. 35, dl n. 223/2006
introducendo nuove disposizioni sulla disciplina applicabile
ai contratti di appalto o sub-appalto di opere, forniture e
servizi, conclusi da soggetti passivi Iva e da soggetti
collettivi, come le società di capitali, le cooperative, gli
enti pubblici e quant'altro, di cui agli artt. 73 e 74, dpr
n. 917/1986 (Tuir).
Innanzitutto, da quanto risulta a ItaliaOggi, l'Agenzia
delle entrate è in dirittura di arrivo per quanto concerne
l'emanazione della nuova (e seconda) circolare sul tema, con
l'obiettivo di semplificare la vita delle imprese, come già
anticipato a suo tempo dal quotidiano (si veda ItaliaOggi
26/01/2013).
Il documento di prassi è veramente atteso poiché la
disciplina, già in vigore, risulta particolarmente complessa
e articolata, anche per la definizione dell'ambito
applicativo; sul punto, nonostante l'art. 13-ter sia
contenuto in una sezione destinata alle misure per
l'edilizia, è opportuno confermare che la relativa
applicazione si estende a tutti i settori che operano
nell'ambito di appalti o sub-appalti. Si ritiene che siano
escluse dalla disciplina le prestazioni eseguite nei
confronti di un committente «privato» e sicuramente quelle
di natura intellettuale, fornite da professionisti, poiché
queste ultime trovano la giusta collocazione nell'ambito
dell'art. 2229 c.c. e non dell'art. 1655 c.c.
Al contrario, le disposizioni sulla solidarietà tributaria
parlano di contratti di appalto e di sub-appalto ovvero di
quei contratti con i quali una parte (appaltatore) assume il
compimento di un'opera o di un servizio su incarico di un
committente e verso un corrispettivo in danaro, con
organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio
rischio, ai sensi dell'articolo 1655 c.c., e riguardano le
attività delle imprese. L'individuazione del perimetro
applicativo non è del tutto agevole poiché il tenore
letterale delle disposizioni appena richiamate porterebbero
a escludere che tale disciplina si estenda ai contratti
d'opera, come disciplinati dall'art. 2222 c.c., che
prevedono la fattispecie in cui un soggetto si obbliga a
compiere un'opera verso pagamento di un corrispettivo, con
il lavoro proprio e senza vincolo di subordinazione. Di
conseguenza, alcuni autori, condivisibilmente, hanno
evidenziato che la prestazione d'opera di un artigiano con
modesta organizzazione d'impresa, sia riconducibile più in
un contratto d'opera (art. 2222 c.c.) che in un contratto di
appalto (art. 1655 c.c.) e che la corretta individuazione
del perimetro applicativo non può essere rimessa alla
discrezionalità delle parti in causa, sulla base delle
clausole contrattuali che potrebbero non essere apposte in
assenza di un accordo scritto.
Non è chiaro nemmeno se la disciplina, in presenza di
committenza privata, sia o meno applicabile nel caso in cui
l'appaltatore utilizzi uno o più sub-appaltatori, con la
possibile applicazione limitata ai rapporti tra queste due
ultime figure (appaltatore e sub-appaltore).
Una paradossale situazione, infine, è quella in cui
l'appaltatore, nei rapporti con il committente, o il
sub-appaltatore, nei confronti dell'appaltatore, non abbia
onorato i versamenti delle ritenute alla fonte sui redditi
da lavoratore dipendente o dell'Iva ma debba incassare un
corrispettivo più alto rispetto al debito erariale impagato.
Le disposizioni, in tal caso, non danno certezze con la
conseguenza che si ritiene che il committente o
l'appaltatore debbano sospendere l'intero pagamento del
corrispettivo fino al pagamento del debito erariale. In
attesa delle necessarie precisazioni in merito sembrerebbe
più corretto, in tal caso, sospendere il pagamento per
l'ammontare di debito erariale non ancoro onorato, mentre
dal dettato letterale pare che, per esempio, se il
committente deve pagare all'appaltatore prestazioni per un
corrispettivo pari a 10 mila euro, in presenza di debiti
(ritenute e Iva) dell'appaltatore non onorati per 5 mila
euro, lo stesso non può erogare gli ulteriori 5 mila euro
(10 mila - 5 mila) fino alla sistemazione di quanto dovuto,
creando ulteriori problemi di liquidità del prestatore
(appaltatore o sub-appaltatore)
(articolo ItaliaOggi del
26.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
APPALTI: P.a., finanziamenti in chiaro.
Obblighi rafforzati per le concessioni oltre i mille euro.
Le misure contenute nel decreto
sulla trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
Totale trasparenza sui corrispettivi e sui contratti
affidati a imprese e professionisti; introdotto l'indicatore
di tempestività dei pagamenti delle pubbliche
amministrazioni; trasparenza assoluta sui finanziamenti e
sui contributi alle imprese, oltre che sulle partecipazioni
pubbliche in enti privati.
Sono alcune delle principali novità contenute nel decreto
legislativo recante la disciplina degli obblighi di
pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da
parte delle p.a., approvato in via definitiva dal consiglio
dei ministri del 15 febbraio scorso e in attesa di
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Il provvedimento
riveste particolare interesse per le imprese: infatti, da un
lato le mette in condizione di avere la massima e totale
trasparenza sull'operato delle pubbliche amministrazioni,
dall'altro rende trasparenti e accessibili a tutti
situazioni che coinvolgono l'operato delle imprese. Esempio
emblematico è l'introduzione del diritto di accesso civico
che comporta un'estensione soggettiva del generale diritto
di accesso ai documenti amministrativi di cui all'art. 22,
comma 1, legge 241/1990 anche per coloro che non sono
portatori di alcun interesse giuridico qualificato (diretto,
concreto e attuale) rispetto al procedimento.
Un primo aspetto che può interessare direttamente il settore
imprenditoriale è quello legato ai pagamenti delle
amministrazioni per appalti e contratti pubblici affidati
alle imprese.
L'articolo 33 del decreto, riprendendo quanto già previsto
dalla lett. a) del comma 5 dell'articolo 23 della legge n.
69 del 2009, impone alle pubbliche amministrazioni di
pubblicare e aggiornare annualmente l'indicatore dei tempi
medi di pagamento per l'acquisto di beni, servizi e
forniture, denominato «indicatore di tempestività dei
pagamenti». In questo modo, e anche in relazione alle nuove
disposizioni in materia di ritardati pagamenti, sarà
possibile tenere sotto controllo e monitorare i
comportamenti delle amministrazioni debitrici nei confronti
delle imprese aggiudicatarie dei contratti.
Un altro profilo di interesse attiene alle modalità di
pagamento: l'articolo 36 stabilisce che, per i pagamenti
informatici, le pubbliche amministrazioni rendano note nei
propri siti istituzionali e specifichino nelle richieste di
pagamento i codici Iban identificativi del conto di
pagamento, ovvero gli identificativi del conto corrente
postale sul quale i soggetti versanti possono effettuare i
pagamenti mediante bollettino postale, oltre ai codici
identificativi del pagamento da indicare obbligatoriamente
per il versamento.
Pubblicità e trasparenza assoluta viene prevista
dall'articolo 26 anche per gli atti di concessione delle
sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari alle
imprese, nonché per l'attribuzione dei corrispettivi e dei
compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati,
e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a
persone ed enti pubblici e privati. L'obbligo di pubblicità
è addirittura «rafforzato» dal fatto che la pubblicazione
diviene condizione legale di efficacia dei provvedimenti che
dispongono concessioni e attribuzioni di importo complessivo
superiore a mille euro nel corso dell'anno solare al
medesimo beneficiario (è poi anche prevista la
responsabilità disciplinare del pubblico dipendente che
abbia violato l'obbligo). In base all'articolo 27 vengono
poi specificati, riprendendo quanto già previsto dal dl
83/2012, gli elementi oggetto di pubblicità, fra cui: il nome
dell'impresa o altro soggetto beneficiario, la norma o il
titolo base dell'attribuzione, l'ufficio e il funzionario o
dirigente responsabile del procedimento, le modalità seguite
per individuazione del soggetto beneficiario, il link al
progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato.
L'articolo 25 del decreto prevede, sulla scorta
dell'articolo 14, comma 3 del dl n. 5/2012 (che delega il
governo ad adottare sistemi di semplificazione dei controlli
sulle imprese) che le pubbliche pubblichino sul proprio sito
istituzionale e sul sito www.impresainungiorno.gov.it sia
l'elenco delle tipologie di controllo cui sono assoggettate
le imprese in ragione della dimensione e del settore di
attività, sia l'elenco degli obblighi e degli adempimenti
oggetto delle attività di controllo che le imprese sono
tenute a rispettare. Infine, alcune norme del provvedimento
si occupano della pubblicità e trasparenza dei dati relativi
agli enti di diritto privato controllati o vigilati
dall'amministrazione pubblica, nonché alle partecipazioni in
società di diritto privato
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Contratti
pubblici, uno spazio ad hoc sui siti istituzionali.
Obbligo di pubblicare sui siti internet i dati principali
dei contratti stipulati dalle amministrazioni con le
imprese; trasparenza assoluta sui processi di pianificazione
e programmazione sulle opere pubbliche e di valutazione
degli investimenti.
È quanto prevede il decreto legislativo in materia di
pubblicità e trasparenza dell'operato delle amministrazioni
che all'articolo 37 declina i principi di trasparenza e
pubblicità anche come obbligo di pubblicazione delle
informazioni, relative ai contratti pubblici, sui siti
istituzionali di ciascuna amministrazione pubblica.
Si
tratta di un adempimento che è funzionale a garantire
esigenze di garanzia, a favore di ogni potenziale offerente
e della collettività, a che siano conoscibili e accessibili
i dati relativi alle procedure di aggiudicazione ed
esecuzione dei contratti pubblici, in modo da consentire un
maggior controllo sull'imparzialità degli affidamenti nonché
una maggiore apertura degli appalti pubblici alla
concorrenza. Saranno quindi accessibili l'oggetto del bando,
l'elenco degli offerenti, l'aggiudicatario, l'importo di
aggiudicazione, i tempi di completamento dell'opera,
servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate.
Entro
il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente
all'anno precedente, dovranno essere pubblicate in tabelle
riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato
digitale standard aperto, per un maggior controllo
sull'imparzialità degli affidamenti, nonché una maggiore
apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. La norma
richiama anche, con una formula omnicomprensiva, tutti gli
obblighi di pubblicazione, in materia di contratti pubblici,
derivanti dalla normativa nazionale, ivi compresi quelli che
si sostanziano nella pubblicazione sui quotidiani, locali e
nazionali, per estratto, di avvisi e bandi di gara.
Di
particolare rilievo è anche la previsione con la quale si
introduce per le pubbliche amministrazioni l'obbligo di
pubblicare, nell'ipotesi di cui all'articolo 57, comma 6,
del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, la delibera
a contrarre. Si tratta dei casi in cui le amministrazioni
affidano contratti con procedura negoziata senza
pubblicazione del bando di gara. Sui propri siti
istituzionali le amministrazioni dovranno inoltre rendere
pubbliche le informazioni concernenti tempi, costi unitari e
indicatori di realizzazione delle opere pubbliche
completate.
L'articolo 38 del decreto, riprendendo quanto già previsto
dall'articolo 9, comma 1, dlgs 228 del 2011 in ordine alla
trasparenza dei processi di pianificazione, realizzazione e
valutazione delle opere pubbliche, prevede poi l'obbligo per
le pubbliche amministrazioni di pubblicare tempestivamente
sui propri siti istituzionali: i documenti di programmazione
anche pluriennale delle opere pubbliche, le linee guida per
la valutazione degli investimenti, le relazioni annuali e
ogni altro documento predisposto nell'ambito della
valutazione, compresi i pareri dei valutatori che si
discostino dalle scelte delle amministrazioni e gli esiti
delle valutazioni ex post
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Codice
appalti. Le istruzioni dell'Authority.
Contratti in forma elettronica con regolamenti autonomi.
La nuova disciplina sulla stipulazione elettronica dei
contratti vale solo per gli appalti e richiede
l'elaborazione di regole attuative da parte degli enti
locali.
L'Autorità sugli appalti ha fornito una serie di chiarimenti
sulla nuova formulazione dell'articolo 11, comma 13, del
Codice Appalti, introdotta dalla legge 221/2006 che comporta
l'obbligo di digitalizzare i contratti.
Nella determinazione n. 1/ 2013 l'Authority evidenzia che la
nuova norma riguarda solo i contratti disciplinati dal Dlgs
163/2006, mentre rimangono esclusi i contratti di locazione
o quelli di compravendita immobiliare. Il nuovo comma 13 non
incide però sul generale obbligo di stipulazione dei
contratti mediante atto pubblico o in forma pubblica
amministrativa, dettato dall'articolo 16 del Rd 2240/1923,
ancora vigente come l'articolo 17 dello stesso decreto, che
individua l'eccezione per i contratti derivanti da procedura
negoziata (stipulabili anche con scrittura privata).
Secondo l'Autorità, infatti, la disposizione determina
l'obbligo ulteriore, riferito appunto ai soli contratti per
gli appalti e le concessioni, di composizione con modalità
elettroniche: l'atto pubblico notarile informatico e l'atto
in forma pubblica con l'intervento dell'ufficiale rogante
(il segretario comunale o provinciale), secondo regole di
gestione informatizzata stabilite da ciascuna
amministrazione.
Ogni amministrazione aggiudicatrice è quindi chiamata a
definire all'interno del proprio regolamento dei contratti
alcune norme specifiche.
L'Authority evidenzia che le amministrazioni possono
prevedere la sottoscrizione dalle parti con la firma
elettronica "leggera", ossia l'acquisizione digitale della
firma autografa, richiedendo invece come passaggio
essenziale l'apposizione della firma digitale da parte
dell'ufficiale rogante.
Il percorso è garantito sia dall'articolo 25, comma 2, del Dlgs 82/2005 sia dalla legge notarile sull'atto pubblico
informatico (in particolare dall'articolo 52-bis).
L'Autorità, inoltre precisa che l'articolo 6 della legge
221/2012 ha introdotto invece (comma 2) un obbligo di
stipulazione solo con firma digitale degli accordi tra
Pubbliche amministrazioni, quando stipulati ai sensi
dell'articolo 15 della legge 241/1990.
La determinazione 1/2013 chiarisce anche che la forma della
scrittura privata può ancora essere gestita secondo modalità
tradizionali (firma autografa su supporto cartaceo), nulla
vietando, peraltro, alle amministrazioni di applicare alla
stessa la sottoscrizione con firma digitale o realizzare lo
scambio delle lettere secondo gli usi del commercio mediante
l'utilizzo della posta elettronica certificata
(articolo Il Sole 24 Ore del
25.02.2013). |
APPALTI:
Pagamenti, la trasparenza non va online. Gli enti
disattendono l'obbligo di pubblicazione sui siti delle spese
oltre mille euro in vigore da gennaio.
Quanto spende il tuo sindaco? In teoria dal primo gennaio
dovrebbe bastare un click per saperlo. In pratica, invece,
il sipario sui pagamenti della pubblica amministrazione non
si è ancora alzato.
A distanza di due mesi dall'entrata in vigore dell'obbligo
di mettere on-line tutti i pagamenti oltre i mille
euro sono veramente pochissime le amministrazioni pubbliche
in regola con le nuove disposizioni (articolo 18 del Dl
83/2012).
Un censimento ufficiale non è ancora disponibile, ma un
monitoraggio ufficioso, svolto dal sito «L'era della
trasparenza» e coordinato da Agorà digitale, segnala a
fine gennaio un tasso di regolarità praticamente nullo: su
circa mille siti pubblici censiti sono poco più di una
trentina -molte le Province- quelli con l'elenco.
Tra questi, c'è la Regione Lombardia. Il monitoraggio
fornisce uno spaccato rappresentativo di tutte le
provvidenze, le fatture, le spese grandi e piccole dell'era
Formigoni. Tutto visibile, fin nei minimi dettagli: dai
363mila euro richiesti dal Centro studi interregionale
Cinsedo come quota associativa 2013 ai 2.860 versati alla
Royal Food (rinfresco o tramezzini?) per spese di
rappresentanza. La Regione Lazio, invece, rende noti solo i
dati del microcredito, dei sussidi agricoli e per il diritto
allo studio. Ancora un po' poco per l'ente di Fiorito.
Buio pesto, poi, nelle aziende sanitarie locali lombarde. A
fronte di 797 milioni di servizi acquistati (bilancio 2010),
ad esempio, dalla Asl 2 di Milano, non un centesimo è ancora
visibile nella sezione "Trasparenza, valutazione e merito"
dell'azienda. Zero anche per le medesime realtà di Bergamo.
Ma non è un fatto territoriale: nulla cambia, per esempio,
nelle Asl di Alessandria o di Livorno.
Tra le amministrazioni centrali rispetta l'obiettivo la
Presidenza del Consiglio dei ministri, ma non l'enorme
centro di spesa rappresentato dal ministero delle
Infrastrutture.
L'intento della norma è chiaro: fare luce sulla gestione
della spesa pubblica, sui 140 miliardi di euro solo per gli
acquisti (stima Istat), senza contare i mille rivoli dei
finanziamenti e contributi a pioggia.
Da qui l'obbligo di mettere in rete, in formato aperto,
qualsiasi uscita (fatture, contributi) sopra i modesti mille
euro.
Alla Pa è stato dato un po' di tempo per organizzarsi di
fronte alla ciclopica sfida: l'obbligo è in vigore da agosto
scorso, ma solo da gennaio è accompagnato da pesanti «sanzioni».
Innanzitutto per i beneficiari dei pagamenti: la
pubblicazione preventiva degli importi è «condizione
legale di efficacia del titolo» di pagamento. In altre
parole se si aggira la norma, il pagamento diventa un fatto
indebito (e va restituito). Una vera e propria spada di
Damocle che dal primo gennaio pende su milioni di cittadini
(e pochi lo sanno): dall'impresa appaltatrice di un lavoro
pubblico, fino allo studente che incassa il sussidio
scolastico. Possono tutelarsi solo segnalando
l'inadempienza. Anche i dirigenti dell'amministrazione
rischiano in proprio: per loro può scattare la
responsabilità patrimoniale e devono risarcire i danni.
Eppure l'opacità resta. «In realtà sappiamo che molte
amministrazioni stanno cercando di mettersi in regola
-spiega Antonio Naddeo, capo dipartimento della Funzione
pubblica- ma hanno difficoltà organizzative, e nessuna
risorsa aggiuntiva». Ancora più difficile per le realtà
più grandi e articolate sul territorio organizzare il flusso
di informazioni e centralizzarle.
Per Ernesto Belisario di Agorà digitale a rallentare le
scelte degli enti hanno contribuito «le prime bozze del
decreto di riordino della trasparenza amministrativa che
sembravano rimensionare questi obblighi e sospenderli per
sei mesi». Proprio Agorà rivendica di essere riuscita «con
un emendamento a ripristinare il testo vigente». La
riforma è stata approvata il 15 febbraio dal Consiglio dei
ministri. Se come sembra anche si confermerà il rigore sulla
spesa non è più tempo di sconti. Dopo la stretta sui tempi
di pagamento dei fornitori, anche la mancata trasparenza sui
destinatari dei soldi pubblici può costare molto cara alle
amministrazioni (articolo
Il Sole 24 Ore del 25.02.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Gli "intrecci personali" determinano l'esclusione
dalla gara.
Indizi gravi, precisi e concordanti come gli “intrecci
personali” esistenti tra società collegate e partecipanti ad
una gara pubblica determinano la legittima esclusione dalla
procedura.
Questo il principio ribadito dalla VI Sez. del Consiglio di
Stato, con la
sentenza 22.02.2013 n. 1091.
Nel caso in esame alcune imprese concorrenti ad una
procedura ad evidenza pubblica, per l’affidamento dei lavori
di ristrutturazione di un edificio scolastico, erano state
escluse:
- per non aver dichiarato l’esistenza di una situazione di
collegamento formale (come espressamente richiesto dal bando
di gara);
- perché tra di loro esistevano degli “intrecci personali”
che facevano presumere l’esistenza di quegli indizi gravi,
precisi e concordanti che il legislatore ritiene i
presupposti per la sussistenza di un unico centro
decisionale.
Respinto il ricorso presentato in primo grado contro
l’esclusione, le imprese adivano il Supremo Consesso
Amministrativo, che giudica infondato il ricorso: “Premesso
che il collegamento sostanziale ricorre nel caso in cui le
offerte, seppure provenienti da imprese diverse, siano
riconducibili ad un medesimo centro di interessi, si osserva
che tale fattispecie, delineata dal richiamato orientamento
giurisprudenziale sulla scorta della disciplina comunitaria,
secondo cui il sistema delle gare pubbliche può funzionare
solo, se le imprese partecipanti si trovino in posizione di
reciproca ed effettiva concorrenza, ha poi avuto
riconoscimento normativo nel d.lgs. n. 163 del 2006
–dapprima, nell’art. 34, comma 2, ora, nell’art. 38, comma
1, lett. m-quater), inserito dall’art. 3, comma 1, d.l.
25.09.2009, n. 135–, che, in aggiunta alla fattispecie
tipizzata delle situazioni di controllo ex art. 2359 cod.
civ., contempla espressamente, a ricognizione del principio
già affermato in via giurisprudenziale, le ipotesi di
collegamenti, anche di fatto, tra imprese partecipanti che
comportino l’imputabilità delle relative offerte ad un unico
centro decisionale.”
Pertanto: “…applicando le enunciate coordinate normative
e giurisprudenziali alla fattispecie sub iudice, deve, in
primo luogo, affermarsi la legittimità delle impugnate
previsioni della lex specialis di gara e del c.d. "Patto di
integrità", sopra citate, in quanto conformi all’enunciato
principio della natura escludente di collegamenti
sostanziali tra imprese partecipanti lesivi dei canoni della
segretezza delle offerte e della serietà e trasparenza delle
procedure di evidenza pubblica.”
Il collegamento societario e la partecipazione alle gare
pubbliche hanno più volte interessato anche il legislatore
comunitario, il quale ha recentemente disposto la
contrarietà ai principi comunitari di trasparenza e
concorrenza di una norma nazionale che impedisce, in via di
principio, la partecipazione ai bandi pubblici di imprese
tra loro collegate.
Con l’art. 38, comma 1, lett. m-quater), il legislatore
italiano ha voluto recepire questo indirizzo, stabilendo che
l’eventuale esclusione può essere stabilita soltanto
valutando l’effettiva situazione concreta sottoposta
all’attenzione della stazione appaltante (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'Antitrust
può bacchettare gli enti sulla concorrenza.
Non c'è alcuna violazione dei principi costituzionali posti
a presidio delle autonomie locali se all'Autorità antitrust
viene riconosciuto il potere di intervenire su tutti gli
atti amministrativi generali, i regolamenti e i
provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica,
statale, regionale o locale, che ritenga emanati in
violazione delle norme a tutela della concorrenza e del
mercato.
Sulla nuova competenza attribuita all'Autorità
garante della concorrenza e del mercato dall'art. 35 del
decreto legge 06.12.2011, n. 201, si è pronunciata la
Corte costituzionale con la sentenza 14.02.2013 n. 20, dichiarando l'inammissibilità delle
questioni poste nel ricorso presentato dalla Regione Veneto.
Ciò in quanto nessuna lesione alla Carta costituzionale è
collegata al fatto che all'Antitrust, in base alle
sopraindicate disposizioni è stata assegnata la possibilità
di intervenire, in una prima fase a carattere consultivo
(parere motivato nel quale sono indicati gli specifici
profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda
(eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale,
qualora la pubblica amministrazione non si conformi al
parere stesso Non si è in presenza, pertanto, ha osservato
il Giudice delle leggi, di nessun nuovo e generalizzato
controllo di legittimità, su iniziativa di un'autorità
statale, analogo al controllo che era previsto dal
previgente art. 125, primo comma, Cost., norma
successivamente abrogata con la legge costituzionale n. 3
del 2001 che ha modificato il Titolo V della Cost..
Il parere
del Garante, infatti, è finalizzato esclusivamente a
contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e
del corretto funzionamento del mercato (art. 21, comma 1,
della legge 287/1990) e, comunque, certamente non
generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti
amministrativi «che violino le norme a tutela della
concorrenza e del mercato».
La disposizione, quindi, che la
Regione Veneto considerava limitativa delle proprie
prerogative ed in contrasto con il principio della leale
collaborazione, ha un perimetro ben individuato (quello, per
l'appunto, della concorrenza), che è compreso in una materia
appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello
stato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.),
concernente anche la potestà regolamentare, ai sensi
dell'art. 117, sesto comma, primo periodo, Cost.
(articolo ItaliaOggi del
22.02.2013). |
APPALTI:
Pubblicità legale a costo
zero.
Inserzioni sui giornali rimborsate da chi vince la gara.
È l'effetto combinato del decreto crescita bis e
della legge anticorruzione (legge 190/2012).
Confermati tutti gli obblighi di pubblicità legale previsti
dal Codice dei contratti pubblici, ivi compresa la
pubblicità sui quotidiani che verrà rimborsata dagli
aggiudicatari alle stazioni appaltanti ai sensi del decreto
crescita-bis.
Le stazioni appaltanti dovranno mettere sui propri siti web
i principali elementi caratterizzanti i contratti stipulati
e inviarli all'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici; da pubblicare anche le delibere per affidamenti a
trattativa privata senza bando di gara (in particolare per
lavori fino a 500 mila euro e per di servizi di ingegneria
fra 40 mila e 100 mila euro).
È quanto si desume dalla lettura combinata delle norme della
legge 190/2012 e del decreto legislativo approvato in via
definitiva dal consiglio dei ministri del 19 febbraio scorso
in materia di disciplina degli obblighi di pubblicità,
trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle
p.a.
Per quel che riguarda i contratti pubblici il provvedimento
declina i principi di trasparenza e pubblicità come obbligo
di pubblicazione delle informazioni sui siti istituzionali
di ciascuna amministrazione pubblica in modo da rendere
conoscibili ed accessibili gli elementi delle procedure di
affidamento.
Il contenuto degli elementi da rendere pubblici non viene
specificato dalla norma ma si deve ritenere che si tratti di
quelli riguardanti la struttura proponente, l'oggetto del
bando, l'elenco degli offerenti, l'aggiudicatario, l'importo
di aggiudicazione, i tempi di completamento dell'opera,
servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate citati
al comma 32 dell'articolo 1 della legge 06.11.2012
(pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 13 novembre n.
265).
Questi elementi andranno poi ogni anno trasmessi
all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici secondo
appositi format.
Anche al fine di chiarire definitivamente ogni questione in
ordine alla vigenza degli adempimenti che fanno capo alle
stazioni appaltanti, l'articolo 37 del decreto delegato
richiama, attraverso una formula omnicomprensiva, tutti gli
obblighi di pubblicazione in materia di contratti pubblici
derivanti dalla normativa nazionale, citando espressamente
anche le norme che impongono alle stazioni appaltanti la
pubblicazione sui quotidiani per estratto degli avvisi e
bandi di gara, oltre a tutte le altre norme che prevedono la
pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, sui siti
istituzionali e sui siti delle singole amministrazioni
(avvisi di preinformazione, pubblicità dei sistemi di
qualificazione nei cosiddetti settori speciali, ecc.
previsti quindi agli articoli 63, 65, 66, 122, 124, 206 e
223 del Codice dei contratti pubblici).
Due di queste disposizioni (il comma 7 dell'articolo 66 e il
comma 5 dell'articolo 122 del Codice) sono a loro volta
espressamente citate dal comma 35 dell'articolo 34 del
decreto-legge legge 179/2012 convertito nella legge 221/2012
per imputare, dal primo gennaio 2013, a carico
dell'aggiudicatario del contratto, l'obbligo di rimborso
alle stazioni appaltanti delle spese di pubblicazione per
estratto sui quotidiani (locali e nazionali, a secondo
dell'importo) degli avvisi e bandi di gara.
Il richiamo espresso di tutte le norme in materia di
pubblicità previste dal Codice risulta del tutto coerente e
conforme a quanto prevede il comma 31, dell'articolo 1 della
legge 190/2012 che, da una parte, prevede la delega al
ministro della funzione pubblica per l'emanazione di uno o
più decreti cui siano definite, fra le altre, le
informazioni rilevanti da pubblicare sui siti web, e «le
relative modalità di pubblicazione» e dall'altro lato,
prevede la disposizione «di salvezza» delle norme in materia
di pubblicità contenute nel Codice dei contratti pubblici
(«Restano ferme le disposizioni in materia di pubblicità
previste dal codice di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163»).
Il decreto legislativo delegato prevede anche un rilevante
obbligo di pubblicità che riguarda la delibera a contrarre
inerente i contratti affidati con procedura negoziata senza
bando di gara.
Si tratta delle «trattative private» con invito ad almeno
tre soggetti ammessa per lavori pubblici fino a 500 mila
euro, ai sensi dell'articolo 122, comma 7-bis del dlgs
12.04.2006, n. 163 (nel prosieguo, Codice), come novellato
dalla legge 22.12.2008, n. 201, e per i servizi di
ingegneria e architettura compresi fra 40 mila e 100 mila
euro, ma con invito ad almeno cinque soggetti. Infine va
segnalato come l'articolo 38 del decreto stabilisca
l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare
anche, le informazioni relative ai tempi, a i costi unitari
e agli indicatori di realizzazione delle opere pubbliche
completate
(articolo ItaliaOggi del
22.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Lombardia, 1 mln per bonificare edifici dall'amianto.
Beneficiari i comuni.
Parte il sostegno per la bonifica ambientale negli edifici
pubblici. È aperto lo sportello per l'erogazione di
contributi a fondo perduto ai comuni lombardi per la
bonifica del proprio patrimonio abitativo da manufatti
contenenti amianto.
Il fondo di 1 milione di euro è gestito
da Finlombarda spa. Possono presentare proposta di accesso
al finanziamento a fondo perduto esclusivamente i comuni
lombardi per interventi di rimozione dei materiali
contenenti amianto presenti negli edifici destinati a
edilizia residenziale pubblica. I contributi verranno
concessi secondo la modalità «a sportello», vale a dire fino
a esaurimento dello stanziamento assegnato.
Sono da
considerarsi ammissibili i costi per spese tecniche di
progettazione al massimo 8% del totale costi ammissibili,
spese per l'allestimento del cantiere, ponteggi e sicurezza,
limitatamente al periodo necessario per le operazioni di
rimozione dei manufatti contenenti amianto, spese per
rimozione, trasporto, conferimento e smaltimento dei
materiali contenenti amianto presso gli impianti
autorizzati. È ammessa la cumulabilità con eventuali altri
contributi di provenienza regionale, nazionale ed europea
previsti per la realizzazione degli interventi di
riqualificazione energetica e produzione di energia da fonte
solare.
Il finanziamento a fondo perduto è concesso a
copertura dei costi ammissibili dell'intervento nella misura
massima del 100%, fino ad un massimo di 150 mila euro Iva
inclusa. I comuni possono presentare anche più di una
domanda, fino a una richiesta massima di 300 mila euro
(articolo ItaliaOggi del
22.02.2013). |
APPALTI: Tempi negoziabili sui pagamenti.
Senza ordini o commesse il B2B può derogare ai 30 giorni.
Il dlgs che recepisce la direttiva Ue concede una via d’uscita
con la indicazione in fattura.
Si deve ritenere sufficiente l’indicazione in fattura di un
termine di pagamento dei beni o di prestazioni di servizi fissato oltre i 30 giorni, come prescritti dalla disciplina
sui pagamenti nelle transazioni commerciali, in assenza di
un ordine o di una commessa.
Con il decreto legislativo 09.11.2012 n. 192, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
15.11.2012 n. 267, il legislatore è intervenuto, in
grande anticipo rispetto al termine fissato per il
recepimento della Direttiva comunitaria n. 2011/7/Ue
(31/03/2013) per modificare il precedente decreto
legislativo n. 231/2002, introducendo tempi più certi e più
brevi nella riscossione dei crediti di natura commerciale.
Le nuove disposizioni, che si aggiungono a quelle introdotte
dall’art. 62, del decreto legge n. 1/2012 destinate ai soli
prodotti agro-alimentari, sono molto meno rigorose, stante
la mancata previsione di sanzioni in caso di ritardato
pagamento, con la possibilità di derogare ai termini di
pagamento fissati ex lege.
Com’è noto la disciplina si
applica alle transazioni «concluse» a partire dal 01.01.2013, con la conseguenza che per le cessioni
eseguite nel mese di dicembre 2012, ancorché fatturate nel
2013, in ossequio alla disciplina Iva, le nuove regole non
si rendono applicabili, potendo mantenere i pagamenti nei
termini già concordati tra le parti. Restano escluse le
transazioni commerciali eseguite nell’ambito di procedure
concorsuali o di ristrutturazione del debito e nelle ipotesi
di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a
titolo di risarcimento assicurativo.
L’art. 4, del dlgs
231/2002, nella nuova versione, prevede l’applicazione degli
interessi moratori al semplice decorso del termine di
pagamento (cosiddetta «mora automatica») stabilito in 30
giorni (termini raddoppiati in presenza di imprese pubbliche
o di enti riconosciuti che operano nell’ambito
dell’assistenza sanitaria) dal ricevimento della fattura o
della richiesta di pagamento, dal ricevimento dei beni o
della prestazione di servizi, dall’accettazione della verifica (se prevista dalla legge o dal contratto) della
conformità dei lavori eseguiti.
Risulta possibile, però, la definizione di un pagamento anche superiore a 60 giorni al
rispetto di due condizioni: che il termine non sia
«gravemente iniquo» e sia giustificato dalla natura o
dall’oggetto del contratto e che la relativa previsione sia
fornita «per iscritto». Da qui i problemi di natura
operativa, posto che il regime non ha previsto particolari
sanzioni ma solo l’obbligo (e non la facoltà) posta a carico
del debitore inadempiente, di effettuare il pagamento degli
interessi e di una indennità di 40 euro, a titolo di
rimborso per l’attività di recupero del credito, giacché
come detto è indecifrabile la situazione di iniquità e
s’implementano gli adempimenti per le imprese, al fine di
produrre la prova scritta (onere probatorio) del diverso
termine di pagamento concordato tra le parti.
Si ricorda,
innanzitutto, che in base all’articolo 1321 c.c. «il
contratto è l’accordo di due o più parti per costituire,
regolare o estinguere fra loro un rapporto giuridico
patrimoniale», che lo stesso può essere sviluppato non
necessariamente in forma scritta e che, nel commercio,
spesso il compratore si reca spesso presso l’azienda, decide
quali sono i beni di interesse, concorda il pagamento e se
ne va via con ddt o fattura alla mano. Stante il fatto che
per la deroga del pagamento oltre i 30 giorni si richiede
che l’accordo sia «provato per iscritto», si rende
necessario che il cedente (o prestatore) e il cessionario (o
committente) si trovino d’accordo e, in assenza di un
preventivo ordine di acquisto o di un contratto, si deve
ritenere valida l’indicazione in fattura della modalità di
pagamento (per esempio: bonifico bancario a 90 giorni fine
mese) e il termine di scadenza relativo (31.05.2013).
È
pur vero che, trattandosi di «accordo», si potrebbe eccepire
la mancanza della manifestazione di volontà della
controparte, ma quest’ultima non può non essere a conoscenza
del termine derogato, ricevendo la fattura integrata di
detti dati, potendo anche sottoscrivere e rispedire al
cedente (prestatore) una copia del documento per
l’accettazione; per gli edili operanti nell’ambito dei
lavori pubblici è intervenuto recentemente il ministero
dello sviluppo economico (nota n. 1293/2013). La situazione
di «grave iniquità», sancita dal legislatore in presenza di
clausole contrattuali che escludono il pagamento degli
interessi (e, si ritiene, dell’indennità), si presta a
un’ampia discrezionalità, poiché in certi settori i termini
di pagamento commerciali sono, per prassi consolidata,
notevolmente lunghi (in agricoltura si paga a fine campagna
– 1 anno).
Infine, almeno due certezze: la prima
concernente la messa in «mora automatica» del debitore al
decorso del termine fissato e la seconda riguardante
l’obbligo (non facoltà) di pagamento degli interessi
moratori, legati al tasso della Bce maggiorato di otto punti
e dell’importo forfetario (40 euro)
(articolo ItaliaOggi del
22.02.2013). |
LAVORI PUBBLICI: L'individuazione
dell'area ove ubicare un'opera di pubblica utilità
costituisce una scelta tecnico-discrezionale
dell'amministrazione, come tale sottratta al sindacato di
legittimità, salvo evidenti profili di illogicità o
abnormità.
In linea di principio, l'individuazione dell'area ove
ubicare un'opera di pubblica utilità costituisce una scelta
tecnico-discrezionale dell'amministrazione, come tale
sottratta al sindacato di legittimità, salvo evidenti
profili di illogicità o abnormità (cfr. Cons. Stato, sez. V,
25.07.2011, n. 4454)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.02.2013 n. 1077 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Decreto dirigenziale Ministero della Giustizia 05.12.2012
- Richiesta di attivazione procedura per la consultazione
diretta del Sistema Informativo del Casellario (S.I.C.) ai
sensi dell'art. 39 DPR 313/2012, prot. n. --- del 14.02.2013
(Ministero della Giustizia,
nota 20.02.2013 n. 24051 di prot.). |
APPALTI - ATTI
AMMINISTRATIVI:
Attraverso l'istituto
della revoca, ancor prima dell’emanazione dell’art.
21-quinquies della legge 241/1990, l’amministrazione
esercitava il potere di ritiro dei propri provvedimenti per
sopravvenuti motivi di pubblico interesse nonché per
successivi mutamenti della situazione di fatto.
Con l'entrata in vigore dell'art. 21-quinquies della l. n.
241/1990, il legislatore ha accolto una nozione ampia di
revoca del provvedimento amministrativo, prevedendo tre
presupposti alternativi che ne legittimano l'adozione:
a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse;
b) per mutamento della situazione di fatto;
c) per nuova valutazione dell'interesse pubblico originario
(c.d. jus poenitendi).
La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, oggi
consentita non solo in base a sopravvenienze, ma anche per
una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.
---------------
Costituisce ius receptum il principio secondo cui anche
l’eventuale legittimità dell'atto di revoca
dell'aggiudicazione di una gara, non elimina il profilo
relativo alla valutazione del comportamento della P.A., con
riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza
in senso oggettivo nelle trattative che conducono alla
conclusione del contratto di appalto.
La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara è
infatti sempre configurabile, qualora il fine pubblico venga
attuato attraverso un comportamento obbiettivamente lesivo
dei doveri di lealtà, sicché, anche dalla revoca legittima
degli atti di gara, può scaturire l'obbligo di risarcire il
danno, nel caso di affidamento suscitato nell'impresa.
In particolare, l'accertamento della responsabilità
precontrattuale della P.A. non è escluso dalla dichiarata
legittimità del provvedimento di annullamento o di revoca
assunto in via di autotutela, posto che la revoca
dell'aggiudicazione pone al riparo l'interesse pubblico, ma
non quello privato. Permane infatti il legittimo affidamento
suscitato nel privato dagli atti della procedura di evidenza
pubblica, poi rimossi dalla P.A., quando la ricorrente non
poteva non confidare, con correttezza e buona fede, durante
il procedimento di evidenza pubblica, sulla "possibilità" di
diventare affidataria del contratto.
--------------
Nelle gare di appalto il risarcimento danni derivanti da
responsabilità precontrattuale riguarda il solo interesse
negativo, ossia le spese inutilmente sostenute in previsione
della conclusione del contratto e le perdite sofferte per
non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali,
mentre non è risarcibile il mancato utile relativo alla
specifica gara d'appalto revocata.
In linea con l'inquadramento di tale responsabilità
nell'ambito della responsabilità aquiliana, la prova di tali
danni spetta alla parte lesa.
Ciò posto, è necessario precisare che l’atto di ritiro del predetto
Bando, impugnato con il presente ricorso, al di là del nomen
juris deve intendersi quale “revoca” del medesimo atto.
Ed invero attraverso tale istituto, ancor prima
dell’emanazione dell’art. 21-quinquies della legge 241/1990,
l’amministrazione esercitava il potere di ritiro dei propri
provvedimenti per sopravvenuti motivi di pubblico interesse
nonché per successivi mutamenti della situazione di fatto.
Con l'entrata in vigore dell'art. 21-quinquies della l. n.
241/1990, il legislatore ha accolto una nozione ampia di
revoca del provvedimento amministrativo, prevedendo tre
presupposti alternativi che ne legittimano l'adozione:
a)
per sopravvenuti motivi di pubblico interesse;
b) per
mutamento della situazione di fatto;
c) per nuova
valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. jus
poenitendi).
La revoca di provvedimenti amministrativi è,
quindi, oggi consentita non solo in base a sopravvenienze,
ma anche per una nuova valutazione dell'interesse pubblico
originario (TAR Puglia Lecce Sez. III, 25-01-2012, n.
139).
---------------
Ed invero, costituisce ius receptum il principio secondo cui anche l’eventuale
legittimità dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di una
gara, non elimina il profilo relativo alla valutazione del
comportamento della P.A., con riguardo al rispetto dei
canoni di buona fede e correttezza in senso oggettivo nelle
trattative che conducono alla conclusione del contratto di
appalto.
La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara è
infatti sempre configurabile, qualora il fine pubblico venga
attuato attraverso un comportamento obbiettivamente lesivo
dei doveri di lealtà, sicché, anche dalla revoca legittima
degli atti di gara, può scaturire l'obbligo di risarcire il
danno, nel caso di affidamento suscitato nell'impresa. In
particolare, l'accertamento della responsabilità
precontrattuale della P.A. non è escluso dalla dichiarata
legittimità del provvedimento di annullamento o di revoca
assunto in via di autotutela, posto che la revoca
dell'aggiudicazione pone al riparo l'interesse pubblico, ma
non quello privato. Permane infatti il legittimo affidamento
suscitato nel privato dagli atti della procedura di evidenza
pubblica, poi rimossi dalla P.A., quando la ricorrente non
poteva non confidare, con correttezza e buona fede, durante
il procedimento di evidenza pubblica, sulla "possibilità" di
diventare affidataria del contratto (Cons. Stato Sez. IV,
07-02-2012, n. 662; TAR Puglia Bari Sez. I, 19-10-2011,
n. 1552).
Orbene, se è vero che nel caso in esame, anche ad accedere
alla tesi dell’amministrazione (cfr. punto 4 del verbale
n. 101del 19.06.2009, pubblicato sull’albo scolastico, in cui
si da atto che “al bando…..hanno risposto due ditte”), la
ricorrente aveva quantomeno il 50% delle chances di
aggiudicazione della gara, ciò non può ritenersi sufficiente
per determinare l’accoglimento della relativa pretesa.
Ed
invero, nelle gare di appalto –a cui la presente può
assimilarsi- il risarcimento danni derivanti da
responsabilità precontrattuale riguarda il solo interesse
negativo, ossia le spese inutilmente sostenute in previsione
della conclusione del contratto e le perdite sofferte per
non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali,
mentre non è risarcibile il mancato utile relativo alla
specifica gara d'appalto revocata. In linea con
l'inquadramento di tale responsabilità nell'ambito della
responsabilità aquiliana, la prova di tali danni spetta alla
parte lesa (TAR Campania Napoli Sez. VIII, 03-10-2012, n.
4017; TAR Abruzzo L'Aquila Sez. I, 29-03-2012, n. 198;
TAR Piemonte Torino Sez. I, 02-03-2012, n. 289; TAR
Veneto Venezia Sez. II, 08-09-2011, n. 1372; Cass. civ. Sez.
III, 29-07-2011, n. 16735). Orbene, nel caso in esame la
ricorrente non ha dimostrato la perdita di ulteriori
occasioni favorevoli, né l’ammontare effettivo delle spese
sostenute per partecipare alla gara
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-bis,
sentenza 20.02.2013 n. 1874 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 19.02.2013 n. 42 "Intesa sulle linee guida in
materia di controlli, ai sensi dell’articolo 14, comma 5,
del decreto-legge 09.02.2012, n. 5, convertito, con
modificazioni, dalla legge 04.04.2012, n. 35"
(Conferenza Unificata,
intesa 24.01.2013). |
APPALTI: Oneri
a carico delle imprese. Da oggi trasparenza per la p.a..
Indicazioni chiare e puntuali circa gli oneri a carico delle
imprese e mai più anarchia nella pubblica amministrazione
(statale). E
se l'obbligo della trasparenza non sarà rispettato, ne
pagheranno le conseguenze i dirigenti di tasca propria,
perché se ne terrà conto ai fini della loro valutazione.
Lo
prevede il decreto del presidente del Consiglio dei ministri
252/2012 che, in G.U. lo scorso 4 febbraio, entra in vigore
oggi, 19.02.2013.
Per raggiungere l'obiettivo di
uniformare, a livello nazionale, l'elenco degli obblighi, lo
Statuto delle imprese (legge 180/2011) ha previsto la
pubblicazione online, nei siti istituzionali, di tutti gli
«oneri informativi» che gravano sui cittadini e sulle
imprese. E ciò al fine di prevenire l'introduzione o il
mantenimento di oneri sproporzionati o non necessari
rispetto alle esigenze di tutela degli interessi pubblici ma
anche per rendere immediatamente conoscibili gli adempimenti
prescritti dalle relative discipline, in modo da assicurare
anche unitarietà nelle interpretazioni delle disposizioni
adottate.
Le linee guida - In vista del termine del 31/3, che prevede
la predisposizione di una relazione, il Dipartimento della
funzione pubblica ha emanato le linee guida delle modalità
che devono essere rispettate dai diversi dipartimenti. In
particolare dovranno essere compilate delle specifiche
schede all'interno delle quali saranno indicati oneri
eliminati e introdotti, con il riferimento alla relativa
disposizione contenuta in regolamenti o provvedimenti che,
rispettivamente, regolano l'esercizio dei poteri autorizzatori o certificatori, nei confronti di cittadini e
imprese; disciplinano l'accesso ai servizi pubblici da parte
degli utenti e, infine, disciplinano la concessione di
benefici, come quelli fiscali o monetari. In tale categoria,
precisano le linee guida, rientrano le circolari e in genere
gli atti di indirizzo, mentre rimangono esclusi i bandi per
gli appalti pubblici.
L'onere informativo
- In base alla definizione riconosciuta a livello
internazionale, un onere informativo, (molto spesso si
utilizza anche il termine «obbligo») si configura
ogniqualvolta una norma impone di raccogliere, produrre,
elaborare, trasmettere o conservare informazioni e
documenti.
Perché scaturisca l'onere, in pratica, non è
necessario l'invio delle informazioni alla p.a. Perché, a
volte, come è il caso della tenuta dei registri, detto onere
impone soltanto agli interessati di raccogliere notizie,
dati, informazioni e documenti da conservare ed esibire su
richiesta degli organi di controllo
(articolo ItaliaOggi del
19.02.2013). |
APPALTI:
In materia di gare
d'appalto, il dies a quo del termine di prescrizione
quinquennale delle domande di risarcimento dei danni va
individuato non nella data di conoscenza della avvenuta
aggiudicazione, ma dal momento del passaggio in giudicato
della sentenza di annullamento che fa nascere in capo
all'interessato il diritto di chiedere il ristoro del
giudizio derivato dal provvedimento poi annullato.
Secondo la più recente giurisprudenza di questo Consiglio, che il Collegio
condivide, "in materia di gare d'appalto, il dies a quo del
termine di prescrizione quinquennale delle domande di
risarcimento dei danni va individuato non nella data di
conoscenza della avvenuta aggiudicazione, ma dal momento del
passaggio in giudicato della sentenza di annullamento che fa
nascere in capo all'interessato il diritto di chiedere il
ristoro del giudizio derivato dal provvedimento poi
annullato" (Sez III, 12.04.2012 n. 2082; Sez. V,
02.09.2005, n. 4461) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.02.2013 n. 966 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’ammissibilità in via di principio dell’avvalimento
interno non implica anche avvalimento implicito, nel senso
che il ricorso all’avvalimento possa avvenire prescindendo
dalle formalità previste dalla disciplina in materia (art.
49 del d. lgs. n. 163 del 2006).
Poiché l’avvalimento integra una mera facoltà, l’impresa che
ha interesse ad avvalersi dell’istituto deve far constare
con la necessaria chiarezza, all’atto di partecipazione alla
singola gara, tale volontà con indicazione del soggetto
sulla cui capacità intende fare affidamento, come pure
specificando i requisiti che di siffatto affidamento
formeranno oggetto e, soprattutto, dovrà rendere di tutto
ciò necessariamente edotta l’amministrazione interessata al
singolo appalto.
In definitiva, evidenti ragioni di certezza non consentono
che l’istituto dell’avvalimento possa operare in mancanza di
dichiarazione esplicita dell’ausiliata e dell’ausiliaria,
non essendo possibile un avvalimento implicito o postumo.
---------------
Il contratto di avvalimento, nell’ambito della disciplina
dei contratti pubblici, essendo un accordo pattizio, assume
rilievo nei confronti della stazione appaltante, ove l’ausiliata
e l’ausiliaria rendano apposita e precisa dichiarazione di
volersi avvalere dell’avvalimento e, quindi, l’una dei
requisiti posseduti da altro soggetto, anche facente parte
del medesimo raggruppamento e quest’ultimo soggetto dichiari
di mettere a disposizione dell’ausiliata detti requisiti.
L’ammissibilità in via di principio dell’avvalimento interno non implica
anche avvalimento implicito, nel senso che il ricorso all’avvalimento
possa avvenire prescindendo dalle formalità previste dalla
disciplina in materia (art. 49 del d. lgs. n. 163 del 2006).
E’ incontestato che SCT non ha dichiarato di volersi
avvalere dei requisiti di Aimeri Ambiente, né è intercorso
tra l’ausiliata e l’ausiliaria alcun accordo in tal senso.
Poiché l’avvalimento integra una mera facoltà, l’impresa che
ha interesse ad avvalersi dell’istituto deve far constare
con la necessaria chiarezza, all’atto di partecipazione alla
singola gara, tale volontà con indicazione del soggetto
sulla cui capacità intende fare affidamento, come pure
specificando i requisiti che di siffatto affidamento
formeranno oggetto e, soprattutto, dovrà rendere di tutto
ciò necessariamente edotta l’amministrazione interessata al
singolo appalto (Cons. Stato, V, 19.09.2011, n. 5279; III, 16.11.2011, n. 6048).
In definitiva, come rilevato dal TAR, evidenti ragioni di
certezza non consentono che l’istituto dell’avvalimento
possa operare in mancanza di dichiarazione esplicita dell’ausiliata
e dell’ausiliaria, non essendo possibile un avvalimento
implicito o postumo.
Assume l’appellante che l’avvalimento nel caso sarebbe
desumibile dal contratto di costituzione del raggruppamento.
Invero, seppure è ammissibile in via di principio che un
contratto contenga una pluralità di negoziazioni, qualora
siano presenti gli elementi essenziali che
contraddistinguono ciascun negozio, sta di fatto, che nel
caso non risulta sia stato ancora sottoscritto il contratto
di costituzione del raggruppamento, trattandosi di
raggruppamento costituendo e, comunque, non risulta provata
l’esistenza di siffatta negoziazione.
Comunque, il contratto di avvalimento, nell’ambito della
disciplina dei contratti pubblici, essendo un accordo
pattizio, assume rilievo nei confronti della stazione
appaltante, ove l’ausiliata e l’ausiliaria rendano apposita
e precisa dichiarazione di volersi avvalere dell’avvalimento
e, quindi, l’una dei requisiti posseduti da altro soggetto,
anche facente parte del medesimo raggruppamento e
quest’ultimo soggetto dichiari di mettere a disposizione
dell’ausiliata detti requisiti (Cons. Stato, sezione VI, 29.12.2010,
n. 9577)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.02.2013 n. 965 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’impresa concorrente, che sia stata
legittimamente esclusa dalla gara, non ha legittimazione né
interesse a contestare l’ammissione di altra concorrente,
posto che non è titolare di una posizione maggiormente
qualificata di quella che si può riconoscere in capo ad un
qualunque altro soggetto che non abbia partecipato alla
gara.
L’impresa concorrente,
che sia stata legittimamente esclusa dalla gara, non ha
legittimazione né interesse a contestare l’ammissione di
altra concorrente, posto che non è titolare di una posizione
maggiormente qualificata di quella che si può riconoscere in
capo ad un qualunque altro soggetto che non abbia
partecipato alla gara (Cons. Stato, ad plen. 07.04.2011,
n. 4; sez. VI, 21.09.2011, n. 5308; IV, 16.11.2011, n. 6053;
sez. V, 28.11.2011, n. 6394)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.02.2013 n. 965 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Appalti e subappalti.
Domanda
Nel vigente sistema per gli appalti la responsabilità
solidale tra appaltante e subappaltante deve intendersi
estesa anche nei confronti del commissionario col proprio
committente?
Risposta
L'attuale
normativa prevede la responsabilità solidale
dell'appaltatore e del committente per il versamento delle
ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva
dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore con riferimento
alle prestazioni rese nell'ambito contrattuale (contratti
d'appalto e subappalto di opere, forniture e servizi
conclusi dagli operatori che li stipulano nell'ambito di
attività aventi rilevanza Iva).
Per quel che concerne il contratto di commissione, stante il
fatto che la stessa costituisce una fattispecie negoziale
diversa dall'appalto, non è ritenibile possa trovarvi
ingresso la responsabilità solidale di cui all'articolo
13-ter del dl n. 83 del 2012 (cosiddetto «decreto
Crescita»), che ha modificato, a decorrere dal
12.08.2012, la disciplina in materia di responsabilità
fiscale nell'ambito dei contratti d'appalto e subappalto di
opere e servizi (articolo ItaliaOggi Sette del
18.02.2013). |
APPALTI: I
certificati antimafia ora li rilascia solo la prefettura.
Dal 13 febbraio stop al rilascio dei certificati antimafia
da parte della Camera di commercio. I soggetti che hanno
rapporti contrattuali o di natura autorizzatoria con
pubbliche amministrazioni devono richiedere la
certificazione antimafia presso le prefetture.
Questo in
seguito all'entrata in vigore del dlgs del 15/11/2012 n. 218
che ha abrogato il dpr del 03/06/1998 n. 252 e ha stabilito
che la Camera di commercio non è più competente al rilascio
dei certificati del registro delle imprese integrati con la
dicitura antimafia né al privato che si presenta allo
sportello né alle pubbliche amministrazioni o privati
gestori di servizi pubblici. Le nuove disposizioni antimafia
(dlgs 15.11.2012, n. 218) comportano anche l'aumento
del numero di soggetti e operatori economici soggetti alle
verifiche antimafia necessarie per il rilascio delle
informative.
Tra questi ora ci sono anche i gruppi europei
di interesse economico, i membri dei collegi sindacali di
società ed associazioni anche prive di personalità
giuridica, chi esercita poteri di amministrazione,
rappresentanza o direzione dell'impresa per le società
costituite all'estero prive di sede secondaria con
rappresentanza stabile in Italia, le società concessionarie
nel settore dei giochi pubblici. Si rammenta che, ai sensi
dell'art. 15 della legge 183/2011, le Pubbliche
amministrazioni nonché i gestori di pubblici servizi non
possono più richiedere ai cittadini alcun tipo di
certificato (compreso quello antimafia), ma solo
dichiarazioni sostitutive di certificazione.
Pertanto,
esclusivamente gli enti pubblici e i soggetti equiparati
potranno rivolgersi alle prefetture per la verifica delle
autocertificazioni ricevute. La documentazione antimafia
deve essere richiesta alla prefettura dalle pubbliche
amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in
stazioni uniche appaltanti, dagli enti e dalle aziende
vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e dalle
società o imprese comunque controllate dallo Stato o da
altro ente pubblico nonché dai concessionari di opere
pubbliche e dai contraenti generali di cui all'art. 76 del dlgs.
163/2006
(articolo ItaliaOggi del 16.02.2013
- link a www.ecostampa.it). |
APPALTI: In
difetto di esplicite sanzioni di esclusione contenute nella
legge e/o nel bando, deve ritenersi che non possa farsi
luogo ad esclusioni, come prevede ora l’art. 46, comma
1-bis, del Codice dei contratti, modificato dall’art. 4,
comma 2, lett. d), del D.L. 13.05.2011, n. 70.
Si è pertanto osservato, estendendo detto principio a casi e
fattispecie analoghe, che nelle gare pubbliche le cause di
esclusione, incidendo sull'autonomia privata delle imprese e
limitando la libertà di concorrenza -nonché il principio di
massima partecipazione-, devono ritenersi tassative e non
possono essere interpretate analogicamente.
Ne consegue che qualora manchi una chiara prescrizione che
imponga in modo esplicito l'obbligo della esclusione, vale
il principio della più ampia partecipazione alla gara allo
scopo di garantire il migliore risultato per
l'amministrazione stessa.
Come ha peraltro confermato una recente
sentenza del Consiglio di Stato (Sezione Terza – sentenza 04.10.2012, n. 5203) in difetto di esplicite sanzioni di
esclusione contenute nella legge e/o nel bando, deve
ritenersi che non possa farsi luogo ad esclusioni, come
prevede ora l’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti,
modificato dall’art. 4, comma 2, lett. d), del D.L. 13.05.2011, n. 70.
Si è pertanto osservato, estendendo detto
principio a casi e fattispecie analoghe, che nelle gare
pubbliche le cause di esclusione, incidendo sull'autonomia
privata delle imprese e limitando la libertà di concorrenza
-nonché il principio di massima partecipazione-, devono
ritenersi tassative e non possono essere interpretate
analogicamente.
Ne consegue che qualora manchi una chiara
prescrizione che imponga in modo esplicito l'obbligo della
esclusione, vale il principio della più ampia partecipazione
alla gara allo scopo di garantire il migliore risultato per
l'amministrazione stessa (Consiglio Stato sez. IV, 12.06.2009, n. 3696; TAR Lazio sez. I, 21.07.1997,
n. 1157) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.02.2013 n. 228 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI
FORNITURE: Nelle
forniture responsabilità solidale esclusa. Attesa la
circolare dell'Agenzia.
IL PRINCIPIO/ L'analisi della norma porta a considerare
fuori dal vincolo anche le prestazioni dei professionisti.
La nuova responsabilità solidale negli
appalti (articolo 13-ter del Dl 83/2012) non si applica né
alle prestazioni dei professionisti né ai contratti di
semplice fornitura di beni o servizi (come trasporto e
noleggio).
Questo principio, che deriva da un'interpretazione letterale
della norma e dalle regole che informano la disciplina degli
appalti, non sembra essere stato ancora metabolizzato dalle
imprese committenti, che continuano a inondare di richieste
consulenti e prestatori per ottenere da questi ultimi
l'agognata autocertificazione che li "esclude"
dall'applicazione delle relative sanzioni.
A dire il vero anche negli ultimi convegni in cui sono
intervenuti esponenti del l'agenzia delle Entrate le
risposte hanno sempre rinviato a una circolare di prossima
pubblicazione che dovrebbe definitivamente chiarire il
punto.
La specifica normativa va comunque riportata necessariamente
nell'ambito giuridico del contratto di appalto. Questa
lettura della portata della norma discende dal dettato della
disposizione, che espressamente si rivolge ai contratti di
appalto di opere e servizi e, sul piano soggettivo individua
come destinatari delle nuove regole l'appaltatore, il
subappaltatore e il committente.
L'appalto si caratterizza per la presenza di un fare, e
questo sin dalla definizione normativa dell'articolo 1655
del Codice civile: «L'appalto è il contratto col quale
una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e
con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o
di un servizio verso un corrispettivo in danaro». Questo
esclude tutti quei contratti in cui invece abbia una
prevalenza l'aspetto del dare (compravendita,
somministrazione, locazione, eccetera).
La definizione normativa di appalto fa specifico riferimento
a «opere» o «servizi»; il fatto che nell'ambito della
normativa comunitaria (e poi nazionale) sui contratti
pubblici sia comunemente assimilata anche la «fornitura»,
non può fare sorgere alcun dubbio in ordine al l'esclusione
dei contratti privati di fornitura dalla norma in questione.
Ciò sia perché la norma in questione esclude espressamente i
contratti pubblici dal proprio spettro applicativo, sia
perché il nuovo comma 28 recita: «In caso di appalto di
opere o di servizi», non includendovi le forniture (si
deve registrare l'incongruità della menzione agli «appalti
di opere, forniture e servizi» operata al comma 28-ter,
mutuata dalla terminologia degli appalti pubblici, e
incoerente con il comma 28 che invece chiaramente delinea
l'ambito applicativo della solidarietà ai soli appalti di
opere o servizi): in assenza di un'interpretazione autentica
del legislatore, non può che prevalere la prima
disposizione, la quale individua l'ambito applicativo
sostanziale della norma, rispetto alla seconda che ne fa un
mero –ed erroneo– richiamo al solo fine di specificare che
deve trattarsi di appalti soggetti a regime Iva). La stessa
agenzia delle Entrate, nella circolare n. 40/E
dell'08.10.2012, avvalora tale impostazione laddove
riconosce che tale ultima disposizione normativa «ha
modificato la disciplina in materia di responsabilità
fiscale nell'ambito dei contratti d'appalto e subappalto di
opere e servizi».
Andrebbero parimenti esclusi quei contratti che
costituiscono locazione d'opera professionale, rispetto ai
quali sia la Corte dei conti (Sezione regionale di controllo
per la Lombardia - deliberazione n. 37 del 04.03.2008) che
il Consiglio di Stato (IV sezione, 29.01.2008 n. 263) hanno
segnato una chiara differenza rispetto all'appalto, in
particolare per l'inesistenza di una «organizzazione di
impresa» che caratterizza invece l'appalto
(articolo Il
Sole 24 Ore del 15.02.2013
- link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Gare.
Spese a carico delle imprese.
Bandi e appalti da rendere pubblici sui quotidiani.
Alle imprese di costruzione e alle società di ingegneria e
progettazione vincere le gare di appalto dei lavori pubblici
può costare, complessivamente, 75 milioni di euro.
Si tratta dell'onere che dovranno sostenere per
l'applicazione del comma 35 dell'articolo 34 del decreto
legge 179/2012 (cosiddetto crescita 2). Esso stabilisce che
«a partire dai bandi e dagli avvisi pubblici pubblicati
successivamente al 01.01.2013, le spese per la
pubblicazione di cui al secondo periodo del comma 7
dell'articolo 66 e al secondo periodo del comma 5
dell'articolo 122 del decreto legislativo 12.04.2006, n.
163, sono rimborsate alla stazione appaltante
dall'aggiudicatario entro 60 giorni dall'aggiudicazione».
In sostanza, chi vince una gara d'appalto deve rimborsare il
comune, l'università o qualunque altro ente che l'ha
indetta, della spesa di pubblicità sostenuta per cercare chi
gli realizzasse l'opera o gli prestasse il servizio.
Gli avvisi e i bandi relativi a contratti di progettazione
del valore di almeno 500mila euro oltre che sulla «Gazzetta
Ufficiale» e sui siti informatici del ministero delle
Infrastrutture e su quello dell'osservatorio dei lavori
pubblici, devono essere pubblicati (per estratto) su almeno
uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su
almeno uno dei quotidiani a maggiore diffusione locale nel
luogo ove si eseguono i lavori (comma 5, articolo 122 del
decreto legislativo 163/2006).
Tanto quelli nazionali quanto quelli locali diventano due
nel caso di bandi di rilevanza comunitaria, cioè relativi a
contratti che superano specifiche soglie di valore (comma 7,
articolo 66 del decreto legislativo 163/2006).
In una primissima versione del decreto legge 06.07.2012,
n. 95 (quello sulla spending review confezionato da Bondi)
fu prevista l'eliminazione della pubblicità dei bandi sui
giornali, con un risparmio di spesa stimato, nella relazione
tecnica di accompagnamento del decreto, in 25 milioni di
euro per il 2012 e di 75 all'anno a partire dal 2013. Prima
ancora che iniziasse la discussione del decreto la norma
(era il comma 5 dell'articolo 1) che prevedeva
l'eliminazione di questa forma di pubblicità fu cassata.
Nel maxiemendamento al decreto legge 179/2012 presentato dal
Governo spuntò una soluzione che salvava capra e cavoli: i
bandi di gara avrebbero continuato a essere pubblicati anche
sui giornali ma a spese di ingegneri e costruttori che si
aggiudicano i contratti.
L'Ance e l'Oice, le associazioni delle imprese di
costruzioni e delle società di ingegneria, lo giudicarono un
blitz negativo per le imprese. Paolo Guzzetti e Luigi Iperti,
i presidenti delle due associazioni, chiesero, senza
successo, il ritiro di quella parte dell'emendamento,
partendo dall'assunto che «è assolutamente incredibile e
fuori dalla realtà che il Governo, in un provvedimento che
dovrebbe favorire la crescita, abbia potuto inserire un
ulteriore balzello a carico delle società, degli studi
professionali e di tutte le imprese che partecipano a gare
pubbliche. È una misura iniqua per tutto il settore delle
costruzioni».
Proteste che non avuto alcun esito, visto che ora, per
legge, le spese di pubblicità devono essere rimborsate alla
stazione appaltante entro 60 giorni dall'aggiudicazione,
mentre i vincitori delle gare non ricevono i pagamenti con
la stessa sollecitudine. Proprio per questo, per imprese e
professionisti sarebbe stato più semplice se fosse stato
previsto di scontare il rimborso delle spese delle pubblici
sui giornali dal pagamento, effettuato al vincitore della
gara da parte della stazione appaltante, dell'anticipo o del
primo saldo i avanzamento dei lavori.
---------------
La regola
01|IL RIMBORSO
Chi vince una gara d'appalto deve rimborsare il comune o
qualunque altro ente che l'ha indetta, della spesa di
pubblicità sostenuta per cercare chi gli realizzasse l'opera
o gli prestasse il servizio.
Gli avvisi e i bandi relativi a contratti di progettazione
del valore di almeno 500mila euro oltre che sulla «Gazzetta
Ufficiale» e sui siti informatici del ministero delle
Infrastrutture e su quello dell'osservatorio dei lavori
pubblici, devono essere pubblicati (per estratto) su almeno
uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su
almeno uno dei quotidiani a maggiore diffusione locale nel
luogo ove si eseguono i lavori
02|NUOVI COSTI
Le imprese di costruzione e le società di ingegneria e
progettazione che vinceranno le gare di appalto dei lavori
pubblici dovranno spendere 75 milioni di euro per l'onere
che dovranno sostenere per l'applicazione del comma 35
dell'articolo 34 del decreto legge 179/2012 (cosiddetto
crescita 2)
(articolo Il Sole 24 Ore del 15.02.2013
- link a www.corteconti.it). |
APPALTI:
R. Labriola.
Impugnabilità del bando di gara - (Il Consiglio di Stato
mette in discussione il principio della impugnabilità del
bando di gara riservato solo alle clausole immediatamente
lesive) (15.02.2013 - link a www.appaltieriserve.it). |
APPALTI:
Il ricorso all'avvalimento,
avente ad oggetto il fatturato o l'esperienza pregressa è
legittimo, atteso che la disciplina dell'art. 49 del Codice
dei contratti non pone alcuna limitazione, se non per i
requisiti strettamente personali di carattere generale, di
cui agli artt. 38 e 39 del Codice stesso.
---------------
Se può configurarsi ex art. 38 del Codice degli appalti un
obbligo in capo ai concorrenti di dichiarare anche gli
amministratori cessati nel triennio precedente, ivi compresi
quelli che nel medesimo periodo amministravano società
incorporate dalla concorrente prima della pubblicazione del
bando di gara, tale obbligo non è rinvenibile nella ipotesi
dell'avvalimento di cui all'art. 49 del medesimo Codice.
---------------
E’ noto come la questione della cessione d'azienda ai fini
della dichiarazione ex art. 38 del Codice degli appalti,
oggetto di contrastanti indirizzi giurisprudenziali, sia
stata di recente risolta dalla Adunanza Plenaria di questo
Consiglio con la decisione n. 10 del 04.05.2012.
Con detta decisione, l'Adunanza ha precisato che deve
"ritenersi la sussistenza in capo al cessionario dell'onere
di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui
all'art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs n. 163 del 2006,
anche in riferimento agli amministratori ed ai direttori
tecnici che hanno operato presso la cedente nell'ultimo
triennio (ora nell'ultimo anno)".
Premette il Collegio, in linea generale, come la riconducibilità
del contratto di avvalimento alla categoria degli atti di
ordinaria amministrazione piuttosto che a quella degli atti
di straordinaria amministrazione, nella assenza di
specifiche indicazioni normative, debba necessariamente
farsi dipendere dalla tipologia dei requisiti che l'impresa
ausiliaria si impegna a mettere a disposizione dell'impresa
ausiliata.
Se, infatti, gli atti di ordinaria amministrazione
posseggono una valenza di tipo conservativo del patrimonio
sociale, mentre quelli di straordinaria amministrazione sono
suscettibili per la loro intrinseca rischiosità di
diminuirne l'entità economica, è consequenziale che con
riferimento all'avvalimento la distinzione vada compiuta
tenendo conto dell'importanza, della finalità ovvero della
eccezionalità dell'atto compiuto in confronto a quelli che
possono considerarsi eventi normali in un'impresa, in
rapporto alla natura e all'oggetto sociale della stessa,
nonché in relazione ai rapporti che intercorrono tra
ausiliaria e ausiliata.
Pertanto, è attraverso l'individuazione del requisito che
l'impresa ausiliaria si è impegnata a mettere a disposizione
dell'impresa ausiliata che andrà verificato se tale impegno
possa in qualche modo comportare il rischio di una
diminuzione del patrimonio ovvero alterare l'organizzazione
sociale dell'ausiliaria medesima, e quindi rientrare o meno
tra gli atti di straordinaria amministrazione.
Ciò posto, osserva il Collegio come nella specie l'impresa
ausiliaria, che è totalmente partecipata e controllata dalla
società ausiliata, abbia messo a disposizione esclusivamente
la propria pregressa esperienza.
Essa non ha, quindi, messo a disposizione mezzi, uomini o
altre risorse aziendali, quale ad esempio la propria
attestazione SOA, né si è impegnata a svolgere attività in
subappalto nell'ambito del servizio pubblico posto a gara.
Se, dunque, l'impegno assunto dall'ausiliaria è
rappresentato unicamente dalla messa a disposizione
dell'esperienza maturata nel tempo nello specifico ambito
del servizio di igiene pubblica, non può ragionevolmente
ritenersi che lo stesso possa comportare il rischio di una
diminuzione del patrimonio aziendale o un'alterazione
dell'organizzazione sociale.
Peraltro, che l'impresa ausiliaria possa legittimamente
conferire in avvalimento anche la sola propria referenza
maturata in passato non è contestabile, in quanto detta
possibilità non trova alcun divieto espresso nella
disciplina comunitaria e di diritto interno.
Al riguardo, del resto, la giurisprudenza di questo
Consiglio ha già avuto modo di precisare più volte che il
ricorso all'avvalimento, avente ad oggetto il fatturato o
l'esperienza pregressa è legittimo, atteso che la disciplina
dell'art. 49 del Codice dei contratti non pone alcuna
limitazione, se non per i requisiti strettamente personali
di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39 del Codice
stesso.
---------------
Ed invero, se può
configurarsi ex art. 38 del Codice degli appalti un obbligo
in capo ai concorrenti di dichiarare anche gli
amministratori cessati nel triennio precedente, ivi compresi
quelli che nel medesimo periodo amministravano società
incorporate dalla concorrente prima della pubblicazione del
bando di gara, tale obbligo non è rinvenibile nella ipotesi
dell'avvalimento di cui all'art. 49 del medesimo Codice.
Infatti, la disposizione in parola stabilisce al riguardo
che, in sede di presentazione dell'offerta, il concorrente
debba semplicemente allegare "una dichiarazione sottoscritta
dall'impresa ausiliaria attestante il possesso da parte di
quest'ultima dei requisiti generali di cui all'art. 38".
Ben diverso e ben più stringente, quindi, è il tenore della
disposizione di cui all'art. 38 relativamente alla
dichiarazione che deve essere resa dai concorrenti in gara,
laddove, per questi ultimi, specifica che "in ogni caso
l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei
soggetti cessati dalla carica nell'anno (prima della recente
modifica "nel triennio") antecedente la data di
pubblicazione del bando di gara ...".
Del resto , la ratio della differente formulazione delle
norme in esame va rinvenuta nella diversa posizione dei
soggetti coinvolti, poiché ai sensi dell'art. 49, comma 10,
solo il concorrente aggiudicatario è chiamato ad eseguire il
servizio e solo ad esso è rilasciato il certificato di
esecuzione.
Orbene, stante il principio di tipicità e tassatività delle
cause di esclusione, non v'è dubbio che la norma recata
dall'art. 38, co. 1, lett. c), di cui si controverte, non sia
suscettibile di interpretazione tale da introdurre ulteriori
e non previste cause ostative.
Ne consegue che all'ausiliario non possano estendersi i
rigorosi criteri limitativi propri del concorrente.
---------------
E’ noto come la questione
della cessione d'azienda ai fini della dichiarazione ex art.
38 del Codice degli appalti, oggetto di contrastanti
indirizzi giurisprudenziali, sia stata di recente risolta
dalla Adunanza Plenaria di questo Consiglio con la decisione
n. 10 del 04.05.2012.
Con detta decisione, l'Adunanza ha precisato che deve
"ritenersi la sussistenza in capo al cessionario dell'onere
di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui
all'art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs n. 163 del 2006,
anche in riferimento agli amministratori ed ai direttori
tecnici che hanno operato presso la cedente nell'ultimo
triennio (ora nell'ultimo anno)".
A tanto, la medesima è pervenuta sul presupposto che il
contenuto della norma di cui al richiamato art. 38 "già di
per sé" comprenda ipotesi non testuali, ma pur sempre ad
essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale
continuità del soggetto imprenditoriale a cui si
riferiscono, sicché il soggetto cessato dalla carica sia
identificabile quale interno al concorrente, così come "ben
può verificarsi.... in ipotesi di cessione di azienda o di
ramo d'azienda".
Ciò posto, l'Adunanza ha però precisato che "resta altresì
fermo -tenuto conto della non univocità delle norme circa
l'onere del cessionario- che in caso di mancata
presentazione della dichiarazione e sempre che il bando non
contenga al riguardo una espressa comminatoria di
esclusione, quest'ultima potrà essere disposta soltanto là
dove sia effettivamente riscontrabile l'assenza del
requisito in questione".
E ciò in quanto, a ben vedere, lo scopo della preclusione di
legge è da individuarsi sicuramente in quello di impedire la
partecipazione alle procedure di affidamento dei pubblici
appalti, "di soggetti di cui sia accertata la mancanza di
rigore comportamentale con riguardo a circostanze gravemente
incidenti sull'affidabilità morale e professionale"
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.02.2013 n. 911 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
La nozione di servizio pubblico prescelta dal
legislatore, quella oggettiva, si fonda su due elementi: 1)
la preordinazione dell'attività a soddisfare in modo diretto
esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti; 2)
la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra
i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare
l'espletamento dell'attività a regole di continuità,
regolarità, capacità tecnico- professionale e qualità.
Ne consegue che, fermi gli elementi essenziali sopra
menzionati, la configurazione del servizio pubblico è
compatibile con diversi schemi giuridici e con differenti
modalità di remunerazione della prestazione. A nulla quindi
rileva che oggetto dell'affidamento fosse soltanto la
raccolta dei rifiuti e non l'intero servizio dell'igiene
ambientale, così come non rileva che il gestore fosse
remunerato dal soggetto aggiudicatore: quel che conta,
infatti, è che l'attività del gestore fosse diretta ad una
platea indifferenziata di utenti e che esso fosse
destinatario di obblighi funzionali alla destinazione al
pubblico dell'attività dovuta.
Ed invero, con
riferimento al primo profilo, va rilevato che l'art. 23-bis,
comma 9, del D.L. n. 112/2008, convertito in L. n. 113 del
2008 e modificato dall'art. 15 del D.L. n. 135/2009, nella
sostanza, vieta l'acquisizione della gestione di servizi
ulteriori, con o senza gara, alle società che gestiscono
servizi pubblici locali ad esse affidati senza il rispetto
dei principi dell'evidenza pubblica, anche per il tramite di
società controllanti o da esse controllate.
La "ratio" della predetta disposizione, come correttamente
rilevato dal Tar, va senz'altro ravvisata nell'esigenza di
impedire alterazioni del mercato concorrenziale che
deriverebbero dalla partecipazione alle gare per
l'affidamento di ulteriori servizi pubblici locali di quei
soggetti che, in quanto già affidatari diretti di tali
servizi nel medesimo o in altri ambiti territoriali, si
trovano in una posizione di privilegio acquisita al di fuori
dei meccanismi dell'evidenza pubblica.
Se tant'é sotto il profilo funzionale, appare allora
irrilevante, sempre come esattamente rilevato dal primo
giudice, la modalità di affidamento prescelta dalla stazione
appaltante (appalto o concessione), atteso che il divieto
posto dal legislatore riguarda genericamente
"l'acquisizione" della gestione di servizi ulteriori.
In altri termini, le modalità di remunerazione delle
attività, pur idonee a far ascrivere la gara nella categoria
dell'appalto anziché in quella della concessione, non
possono influire sulla natura delle prestazioni oggetto
della procedura in esame.
Al riguardo, peraltro, la giurisprudenza della Sezione ha
già avuto modo di precisare che "La nozione di servizio
pubblico prescelta dal legislatore, quella oggettiva, si
fonda su due elementi: 1) la preordinazione dell'attività a
soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea
indifferenziata di utenti; 2) la sottoposizione del gestore
ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e
tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a
regole di continuità, regolarità, capacità tecnico-
professionale e qualità (sez. V, 12.10.2004, n. 6574).
Ne consegue che, fermi gli elementi essenziali sopra
menzionati, la configurazione del servizio pubblico è
compatibile con diversi schemi giuridici e con differenti
modalità di remunerazione della prestazione. A nulla quindi
rileva che oggetto dell'affidamento fosse soltanto la
raccolta dei rifiuti e non l'intero servizio dell'igiene
ambientale, così come non rileva che il gestore fosse
remunerato dal soggetto aggiudicatore: quel che conta,
infatti, è che l'attività del gestore fosse diretta ad una
platea indifferenziata di utenti e che esso fosse
destinatario di obblighi funzionali alla destinazione al
pubblico dell'attività dovuta" (cfr. sentenza n. 1651 del
22.03.2010)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.02.2013 n. 911 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In tema di appalti
pubblici l’atto che costituisce la prestazione di garanzia
non può presentare contraddizioni o ambiguità tali che il
garante possa opporre alla stazione appaltante limitazioni
alla garanzia prestata ovvero eccezioni tali da frustrare la
finalità stessa della previsione normativa; pertanto, quando
la polizza non consenta con immediatezza di ritenere assolta
la garanzia di cui all’art. 75 cit. (cioè senza che si renda
necessario un lavorio interpretativo in ordine alla
individuazione della esatta portata soggettiva ed oggettiva
del patto contrattuale), deve ritenersi violata la relativa
prescrizione della legge di gara.
Come noto, in tema di appalti pubblici l’atto che costituisce la
prestazione di garanzia non può presentare contraddizioni o
ambiguità tali che il garante possa opporre alla stazione
appaltante limitazioni alla garanzia prestata ovvero
eccezioni tali da frustrare la finalità stessa della
previsione normativa; pertanto, quando la polizza non
consenta con immediatezza di ritenere assolta la garanzia di
cui all’art. 75 cit. (cioè senza che si renda necessario un
lavorio interpretativo in ordine alla individuazione della
esatta portata soggettiva ed oggettiva del patto
contrattuale), deve ritenersi violata la relativa
prescrizione della legge di gara (cfr. da ultimo Cons. St.,
sez. IV, 17.10.2012, n. 5340) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.02.2013 n. 861 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: F.
Grilli,
Sono nulli i contratti in forma pubblica amministrativa non
elettronica?
(13.02.2013 - link a www.leggioggi.it). |
APPALTI: PAGAMENTI
P.A./ Tajani: il governo intervenga subito. Passera: al
lavoro su soluzione. Chance dalla fattura differita.
La regola dei 30 giorni è aggirabile nelle transazioni B2B.
Pagamenti rateali e fatture differite per uscire dalle
strettoie imposte dal recepimento della direttiva sui
ritardati pagamenti. Possono essere questi gli unici
grimaldelli per aprire qualche varco all'interno della
regola dei 30 giorni di tempo imposta dal dlgs 192/2012.
Il pagamento a rate può essere ammesso sia nei rapporti tra
imprese e p.a. sia nelle transazioni B2B.
La postergazione della data di emissione della fattura,
invece, è espressamente vietata dalla legge (e quindi nulla)
quando il debitore è una pubblica amministrazione. Ma il
dlgs nulla dice sull'ipotesi che le parti possano far
slittare l'emissione della fattura a un momento successivo
rispetto alla prestazione dei servizi o alla consegna della
merce.
Si tratta di uno dei tanti aspetti lacunosi (evidenziati da
Vincenzo Roppo, ordinario di diritto civile all'Università
di Genova) del decreto che pur avendo recepito a tempo
record la direttiva 2011/7/Ue, necessita ora di un ulteriore
“tagliando” in via interpretativa.
Il primo è arrivato con la circolare dello Sviluppo
economico che ha chiarito che la direttiva contro i
pagamenti-lumaca si applica anche agli appalti pubblici.
Il secondo dovrà riguardare i termini di pagamento e dovrà
affermare senza ombra di dubbio che nelle transazioni
commerciali tra p.a. e imprese i debiti vanno pagati entro
30 giorni salvo pochissime eccezioni (sanità, aziende
pubbliche, alcune tipologie di appalti) che consentono lo
slittamento fino a 60 giorni. La richiesta di un chiarimento
urgente, già avanzata la settimana scorsa in un convegno
organizzato a Milano dalla commissione europea (si veda
ItaliaOggi del 5/2/2013) è stata recapitata dal
vicepresidente dell'esecutivo di Bruxelles, Antonio Tajani,
direttamente al ministro Corrado Passera, nel corso di un
incontro presso Assolombarda. «Bisogna fare presto», ha
detto Tajani, «perché l'Ue sarà intransigente nel verificare
le modalità con cui i paesi membri hanno applicato la
direttiva». L'apertura di una procedura di infrazione, se il
chiarimento non dovesse arrivare entro il 16 marzo, (dead line per l'attuazione delle nuove regole) è un pericolo
reale e per questo ad occuparsene dovrà essere l'esecutivo
attualmente in carica.
L'altro nodo da sciogliere riguarda l'avvio del negoziato
sui debiti pregressi. Nessuno conosce l'esatto ammontare dei
mancati pagamenti della p.a. italiana nei confronti delle
imprese perché fino ad ora la cifra “monstre” (che si
aggirerebbe tra i 70 e i 100 miliardi di euro) non è stata
contabilizzata nel debito pubblico. E il motivo è da
ricercare nelle regole contabili italiane che consentono di
mettere a debito un pagamento solo quando è saldato e non
quando sorge l'obbligo giuridico.
Se il pregresso dei mancati pagamenti venisse contabilizzato
nel debito pubblico italiano (ormai abbondantemente sopra i
2.000 miliardi di euro) l'obiettivo di raggiungere il
pareggio di bilancio nel 2013 sarebbe gravemente
compromesso. Di qui il tentativo di Tajani di convincere il
commissario Ue per gli affari economici e monetari Olli Rehn
ad offrire una via d'uscita ai Paesi con il maggior fardello
di debiti scaduti (oltre all'Italia anche Portogallo e
Spagna).
Gli incontri sono iniziati la scorsa settimana (si veda
ItaliaOggi del 5/2/2012) e proseguiranno incessantemente per
arrivare a una soluzione nel giro di un mese. Tajani è
ottimista e realista al tempo stesso. «Non sarà facile, ma
sono convinto che qualche spiraglio possa esserci», ha
dichiarato.
Nel frattempo le strade percorribili sono la certificazione
dei crediti e le compensazioni con i debiti fiscali. Due
opportunità offerte alle imprese dal governo Monti e che
Passera ha rivendicato con orgoglio.
Al termine del primo mese di operatività (gennaio 2013), ha
annunciato il ministro, le amministrazioni abilitate
all'utilizzo del sistema di certificazione dei crediti sono
state 1.227, sono state rilasciate 71 certificazioni (per
circa 3 mln di euro) e presentate 467 istanze (per circa 45
mln di euro). Le compensazioni fiscali concluse nel 2012
ammontano invece a 200 per un importo di 15 milioni di euro.
Per quanto riguarda la richiesta di un intervento
chiarificatore sui tempi di pagamento, Passera non si è
tirato indietro. «Cercheremo di trovare una soluzione», ha
dichiarato, «perché l'applicazione della direttiva deve
essere rigorosa».
«Intanto», ha proseguito, «va risolto il problema del debito
pregresso che è una zavorra accumulatasi ai danni delle
imprese creditrici e della stessa p.a.». Secondo il ministro
dello sviluppo economico la strada maestra da percorrere è
una revisione del patto di stabilità, europeo e interno, in
modo che i vincoli contabili non penalizzino la virtuosità
delle amministrazioni.
Una richiesta che ha trovato concorde anche il presidente di
Confindustria Giorgio Squinzi secondo cui, contro i mancati
pagamenti, «serve una terapia d'urto nei primi 100 giorni di
governo del prossimo esecutivo». «E' essenziale che lo
stato paghi almeno 48 dei 70-100 miliardi di debiti
pregressi. L'importo sul deficit sarebbe irrilevante per il
2013 e in ogni caso ampiamente compensato dagli effetti
benefici sull'economia»
(articolo ItaliaOggi del 12.02.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Viene meno il principio della eccezionalità del modello in
house.
I giudici del Consiglio di Stato hanno sancito con la
pronuncia in commento che a seguito dell'abrogazione
referendaria dell'art. 23-bis d.l. n. 112/2008, è venuto
meno il principio della eccezionalità del modello in house
per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica.
Stante l'abrogazione referendaria dell'art.
23-bis d.l. n. 112/2008 e la declaratoria di
incostituzionalità dell'art. 4, d.l. n. 138/2011, e le
ragioni del quesito referendario (lasciare maggiore scelta
agli enti locali sulle forme di gestione dei servizi
pubblici locali, anche mediante internalizzazione e società
in house) è venuto meno il principio, con tali
disposizioni perseguito, della eccezionalità del modello in
house per la gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica.
Venuto meno l'art. 23-bis d.l. n. 112/2008 per scelta
referendaria, e dunque venuto meno il criterio prioritario
dell'affidamento sul mercato dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica e l'assoluta eccezionalità del modello
in house, la scelta dell'ente locale sulle modalità di
organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare
la opzione tra modello in house e ricorso al mercato, deve
basarsi sui consueti parametri di esercizio delle scelte
discrezionali, vale a dire:
- valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e
privati coinvolti;
- individuazione del modello più efficiente ed economico;
- adeguata istruttoria e motivazione.
Trattandosi di scelta discrezionale, la stessa è sindacabile
se appaia priva di istruttoria e motivazione, viziata da
travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale
(commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 11.02.2013 n. 762 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 7 dell'11.02.2013, "Approvazione
dell’invito a presentare proposte per l’accesso ai
finanziamenti a fondo perduto del fondo costituito presso
Finlombarda s.p.a. e riservato ad interventi di rimozione di
manufatti contenenti amianto dal patrimonio di edilizia
residenziale pubblica dei comuni lombardi" (decreto
D.U.O. 05.02.2013 n. 782). |
APPALTI: Lavori
pubblici. Il rilascio di un provvedimento interdittivo
impedirà la stipula dell'accordo e comunque ne farà scattare
la risoluzione.
Più controlli antimafia negli appalti.
Da domani gli accertamenti sulle infiltrazioni si estendono
ai familiari dell'imprenditore.
Al via da domani le nuove regole sulla documentazione
antimafia. Il Dlgs 218/2012 ha anticipato al 12 febbraio
l'entrata in vigore delle norme contenute nel libro II del
Dlgs 159/2011 (di riforma del Codice antimafia), rimaste
finora congelate in attesa dell'attivazione della banca dati
nazionale della documentazione antimafia che invece, per il
momento, resterà in standby.
Nel riordino della disciplina, il Codice mantiene inalterata
la distinzione tra comunicazione ed informazione antimafia:
la prima attesta l'eventuale sussistenza di misure di
prevenzione a carico di un'impresa; mentre, la seconda
accerta anche la presenza di tentativi di infiltrazione
mafiosa all'interno della società.
Come in passato, la documentazione dovrà essere acquisita
dalle amministrazioni prima della stipula, o
dell'autorizzazione, di contratti e subcontratti pubblici di
lavori, servizi e forniture in base ai seguenti scaglioni:
- comunicazione in caso di contratti di importo superiore a
150mila euro e inferiore alle soglie comunitarie
(attualmente di 5 milioni per i lavori, 200mila per i
servizi e 130mila euro per le forniture);
- informazione per contratti di importo superiore alle
soglie e per subcontratti di importo superiore a 150mila
euro.
Diverse tuttavia le novità, a cominciare dalla modalità di
acquisizione della comunicazione antimafia che potrà essere
rilasciata solamente dal prefetto della provincia in cui ha
sede l'ente richiedente, attraverso l'utilizzo dei
collegamenti telematici con le altre banche dati già
esistenti (Ced interforze e Camere di commercio). Nel Codice
non è stata infatti inserita una disposizione analoga
all'articolo 9 del Dpr 252/1998, che equiparava il
certificato di iscrizione al Registro imprese rilasciato
dalla Camera di commercio con il nullaosta antimafia alla
comunicazione e che, quindi, consentiva ai committenti di
effettuare i controlli direttamente mediante le Camere di
commercio. L'informazione antimafia continuerà ad essere
rilasciata dalle prefetture.
Il Codice ha tuttavia ampliato l'elenco delle situazioni
dalle quali si potrà desumere il tentativo di infiltrazione
mafiosa: rispetto al passato, l'informativa sarà
interdittiva anche in caso di condanna, comprese quelle non
definitive, per i nuovi reati di turbata libertà degli
incanti e del procedimento di scelta del contraente, oltre
che per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni
pubbliche; oppure, ancora, nel caso in cui l'impresa non
abbia denunciato all'autorità giudiziaria i reati di
corruzione ed estorsione, a meno che non vi sia stata
costretta per stato di necessità o per legittima difesa (si
veda anche la tabella a fianco).
Ma il Dlgs 218/2012 ha ulteriormente arricchito il catalogo
delle situazioni in odore di mafia, desumendo
l'infiltrazione anche dalla violazione degli obblighi di
tracciabilità dei pagamenti imposti dalla legge n. 136/2010:
l'informazione vieterà la stipula del contratto, solo per
comportamenti reiterati nell'arco di cinque anni.
Ampliata inoltre la schiera dei soggetti sottoposti a
verifica che fa registrare l'ingresso in elenco dei
familiari conviventi.
Un'autentica novità è poi rappresentata dagli effetti
collegati alle informazioni antimafia: d'ora in avanti,
infatti, il rilascio di un provvedimento interdittivo
impedirà sempre la stipula del contratto e determinerà in
ogni caso la sua risoluzione in fase esecutiva. Come
confermato dal comunicato Casgo (comitato di sorveglianza
Grandi opere) del 19.12.2012, scompare dunque la
categoria delle informative atipiche che, sino ad ora,
lasciavano alla discrezionalità delle stazioni appaltanti,
la decisione sulle sorti del contratto.
Confermata infine la validità della comunicazione antimafia
per sei mesi dalla data di acquisizione, aumentata a un anno
nel caso dell'informazione, sempre che non siano intervenuti
mutamenti nell'assetto societario e gestionale dell'impresa,
da comunicare al prefetto entro 30 giorni, pena
l'applicazione di una sanzione da 20 a 60mila euro (articolo
Il Sole 24 Ore dell'11.02.2013 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI: Pagamenti. L'applicazione delle norme sui tempi e ritardi.
Anche le verifiche della Pa entro il termine di 30 giorni.
Le amministrazioni pubbliche devono pagare le imprese per
gli appalti di forniture, servizi e lavori entro il termine
standard di 30 giorni, ma possono concordare con le stesse
un termine diverso, in ogni caso non superiore a sessanta
giorni.
Dal 1° gennaio sono entrate in vigore le modifiche alla
disciplina dei pagamenti per le transazioni commerciali
(contenuta nel Dlgs 231/2002), che sono interamente
applicabili ai contratti pubblici, compresi quelli relativi
alle opere, per espressa previsione della normativa (Dlgs n.
192/2012, che recepisce la direttiva comunitaria sui ritardi
nei pagamenti, la 2011/17).
I ministeri dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture
hanno prodotto una nota interpretativa (protocollo 1293 del
23.01.2013) che ha evidenziato come la normativa
settoriale (contenuta nel Codice dei contratti e nel
regolamento attuativo) sia in parte compatibile con il
quadro generale (con riferimento alla tempistica di 30
giorni per il saldo del certificato di pagamento), ma come
presenti anche disposizioni (ad esempio quella relativa al
periodo intercorrente tra la maturazione dello stato
avanzamento lavori e l'emissione del certificato) confliggenti con le norme comunitarie e, quindi, sia da
disapplicare (si veda anche il Sole 24 Ore del 24 gennaio).
La nuova normativa non può peraltro impedire che
l'amministrazione effettui le verifiche, comprese quelle del
responsabile del procedimento rispetto allo stato di
avanzamento lavori proposto dal direttore lavori prima di
autorizzare l'emissione della fattura o del certificato. Ma
queste operazioni –comunque doverose– non potranno
superare il termine standard di 30 giorni.
Anche negli appalti di lavori, quindi, si applicano i
termini previsti dall'articolo 4 dell'innovato decreto
231/2002. Ed è sui tempi che i fornitori devono focalizzare
l'attenzione.
Il termine standard, infatti, è individuato in 30 giorni dal
ricevimento della fattura (o di altro titolo di pagamento
idoneo) da parte dell'amministrazione appaltante, ma questa
può concordare con l'affidatario un termine diverso,
comunque non superiore a sessanta giorni e che deve essere
giustificato dall'oggetto del contratto o da particolari
condizioni al momento della stipulazione.
Negli appalti con gli organismi del servizio sanitario (Asl,
aziende ospedaliere, istituti di ricerca) il termine
standard è già di sessanta giorni (articolo 4, comma 5),
senza altra estensione. Questa tempistica rischia però di
essere vanificata dai vincoli posti dal patto di stabilità
interno alla gestione dei flussi di spesa.
I problemi maggiori potrebbero aversi per le spese per
investimenti (lavori pubblici), in considerazione della
maggiore rigidità e minore frequenza dei flussi in entrata
che vanno ad alimentare la cassa (aspetto invece meno
rilevante per la spesa corrente, salvo che negli enti
sanitari, dipendenti in gran parte dai trasferimenti
regionali).
Gli operatori economici possono tuttavia controllare se i
responsabili di servizio che hanno impegnato le risorse per
l'appalto abbiano verificato il rispetto della
programmazione della spesa (articolo 9, comma 2, legge n.
102/2009).
Un ulteriore problema potrebbe aversi in relazione ai tempi
per l'acquisizione del Durc (documento unico di regolarità
contributiva) da parte della stazione appaltante, qualora
non coincidano con lo standard dei 30 giorni: la mancanza
del Durc impedisce infatti di dar corso al pagamento.
In caso di ritardo, la corresponsione degli interessi di
mora deve essere effettuata dalle amministrazioni
automaticamente, senza diffida del l'impresa. Inoltre devono
essere rimborsati all'operatore economico i costi per il
recupero dei crediti e deve essere corrisposto un indennizzo
forfettario di 40 euro.
---------------
I vincoli
01 | LE SCADENZE
Dal primo gennaio con l'entrata in vigore del Dlgs 190/2012
le amministrazioni devono saldare i fornitori entro trenta
giorni dal certificato di pagamento (60 per la Sanità).
Tempi diversi possono essere concordati tra le parti, fino a
un massimo di 60 giorni, ma vanno motivati
02 | LE CONSEGUENZE
Se i nuovi termini vengono superati, l'amministrazione deve
riconoscere al debitore gli interessi di mora in automatico,
senza diffida
03 | LE VERIFICHE
Il funzionario responsabile del procedimento deve comunque
effettuare i controlli sullo stato di avanzamento lavori
fornito dall'impresa nel limite dei trenta giorni
04 | LE DIFFICOLTÀ
Se l'amministrazione non riesce ad acquisire il Durc entro i
trenta giorni, non può comunque procedere al pagamento.
Ulteriori ritardi potrebbero essere causati dalla necessità
per l'ente appaltante di ritardare i pagamenti per via del
patto di stabilità (articolo Il Sole
24 Ore dell'11.02.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI: Dal
1° gennaio.
I contratti ora solo in formato digitale.
Dal primo gennaio i contratti di appalto hanno detto addio
alla carta. Da quella data infatti tutti i contratti
pubblici di lavori, servizi o forniture devono essere
stipulati, a pena di nullità, con atto pubblico notarile
informatico, oppure in modalità elettronica secondo le
regole di ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica
amministrativa o con scrittura privata.
Il Decreto crescita (Dl 179/2012) ha introdotto questa
importante novità nel Codice dei contratti pubblici,
riformulando la disposizione che disciplina la
formalizzazione dei rapporti tra stazioni appaltanti e
operatori economici aggiudicatari (articolo 11 del Dlgs
163/2006). La norma impone il passaggio al digitale,
prescrivendo la nullità di tutti i contratti pubblici ancora
stipulati su supporto cartaceo, fatta eccezione per le
scritture private.
La stipula elettronica dei contratti per gli appalti
pubblici semplifica le procedure e garantisce minori costi.
L'interpretazione prevalente in sede di prima analisi della
norma evidenzia come dal 01.01.2013 le amministrazioni
aggiudicatrici debbano digitalizzare i contratti sia se
ricorrono ad un notaio sia se interviene come ufficiale
rogante il segretario comunale. Ormai solo la scrittura
privata è gestibile con modalità tradizionali (firma
autografa sul supporto cartaceo, con formalizzazione
semplice o autenticata).
Il percorso per l'atto pubblico notarile informatico è
disciplinato in modo dettagliato da una serie di
disposizioni della legge notarile (n. 89/1913) introdotte
dal Dlgs 110/2010.
L'articolo 52-bis, in particolare, consente la
sottoscrizione delle parti sia con la firma digitale sia con
la firma elettronica, consistente anche nell'acquisizione
digitale della sottoscrizione autografa.
L'alternativa all'atto pubblico notarile informatico è
individuata nella forma pubblica amministrativa, anch'essa
realizzata con modalità elettroniche, che devono tuttavia
essere definite dalle stazioni appaltanti con proprie norme,
da inserire nel regolamento dei contratti.
L'intervento del segretario comunale come ufficiale rogante
segue lo schema operativo delineato dalla legge notarile,
per cui anche in tal caso le sottoscrizioni delle parti
possono essere acquisite con forma digitale o firma
autografa scannerizzata.
Il passaggio più delicato è quello della registrazione del
l'atto, per la quale molte amministrazioni pubbliche
(soprattutto enti locali) stanno sperimentando l'utilizzo
del software Unimod, messo a disposizione dall'agenzia delle
Entrate: il programma consente anche il pagamento del
l'imposta di registro e dell'imposta di bollo.
Proprio rispetto a quest'ultimo adempimento tributario si
rileva uno dei principali elementi positivi per gli
operatori economici, in quanto in base al Dm 22.02.2007 il pagamento del bollo è effettuato in modo forfettario
proprio in funzione della registrazione telematica (per un
importo di 45 euro ad atto).
Più complesso appare il tema dei diritti di segreteria, per
i quali le amministrazioni locali dovrebbero prevedere un
passaggio intermedio, anch'esso digitalizzato,
immediatamente precedente la registrazione.
Il flusso gestionale del contratto informatizzato si
completa con la conservazione, per la quale i notai si
avvalgono di una struttura tecnologica messa a punto dalla
società informatica del Notariato, Notartel, con il
coordinamento della commissione Informatica interna. Questo
percorso è in fase di sperimentazione collaborativa, in
alcuni contesti, anche per gli atti rogati dai segretari
comunali (articolo
Il Sole 24 Ore dell'11.02.2013). |
APPALTI: Violazioni
antiriciclaggio indizi per l'antimafia.
Una circolare dell'Interno sulle disposizioni
correttive.
La violazione degli obblighi di
tracciabilità dei flussi finanziari assumerà valore
«indiziante» ai fini delle verifiche antimafia; 45 giorni,
prorogabili di altri 30, per la verifica da parte delle
prefetture; dal 13 febbraio in vigore le nuove norme sulla
documentazione antimafia che prescinderanno dall'attivazione
della banca dati unica.
È quanto chiarisce la circolare emanata dal capo di
gabinetto del ministero dell'interno relativamente al dlgs
15.11.2012 n. 218, recante disposizioni integrative e
correttive al decreto n. 159/2011, il Codice delle leggi
antimafia e delle misure di prevenzione.
La
circolare 08.02.2013 n.
11001/119/20(6) richiama innanzitutto l'attenzione
delle amministrazioni sulla più rilevante novità,
l'anticipazione al 13.02.2013 dell'entrata in vigore delle
disposizioni del libro II del Codice relativo alla
documentazione antimafia che viene quindi sganciata
dall'effettiva attivazione della Banca dati nazionale unica
della documentazione antimafia.
Una seconda novità è l'ampliamento della platea di operatori
economici da sottoporre alle verifiche antimafia: i Geie
(gruppi europei di interesse economico, membri dei collegi
sindacali di associazioni e società e componenti degli
organi di vigilanza; soggetti che esercitano poteri di
amministrazione, rappresentanza o direzione dell'impresa per
società costituite all'estero prive di sede secondaria in
Italia, società concessionarie nel settore dei giochi
pubblici.
Dal punto di vista dei comportamenti e, quindi, delle
situazioni «indizianti», la circolare pone in
evidenza come si debbano tenere presenti anche le violazioni
degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari. Viene
inoltre richiamata l'attenzione sulla avvenuta soppressione
delle cosiddette «informazioni atipiche»
(segnalazione di evenienze dubbie anche in assenza di
accertate ostatività): ad oggi quindi l'informazione
antimafia dovrà avere contenuto o liberatorio o interdittivo
a proseguire il rapporto contrattuale o amministrativo.
Sul procedimento di rilascio della documentazione antimafia,
la circolare ricorda che il codice prefigura un sistema
basato sulla banca dati nazionale unica della documentazione
antimafia che a regime dovrebbe restituire in tempo reale
alle amministrazioni il provvedimento richiesto; allo stesso
tempo viene eliminata la possibilità di acquisire la
comunicazione antimafia nella forma dei certificati
camerali.
Al riguardo la circolare precisa che fino all'attivazione
del nuovo sistema informatico le amministrazioni dovranno
richiedere la documentazione alle prefetture competenti che
verificheranno tramite il Ced interforze e sistema Sicrant
delle camere di commercio la sussistenza o meno delle
situazioni controindicanti. Dal punto di vista dei tempi, i
prefetti avranno 45 giorni prorogabili di altri 30 per
verifiche di particolare complessità
(articolo ItaliaOggi del 13.02.2013). |
APPALTI:
Oggetto: Decreto legislativo 15.11.2012, n. 218 recante
disposizioni integrative e correttive al Codice Antimafia.
Prime indicazioni operative [Ministero
dell'Interno,
nota 08.02.2013 n. 11001/119/20(6)]. |
APPALTI:
Il partecipante a una selezione pubblica ha diritto di
accedere ai curricula degli altri concorrenti.
Questo è quanto ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. III,
con la
sentenza 08.02.2013 n. 731.
Nel caso in
esame un professore associato di medicina interna della
facoltà di medicina dell'Università degli studi di Bari
aveva partecipato a una procedura finalizzata al provvisorio
conferimento per l'anno accademico 2011-2012 dell'incarico
di direttore della struttura di geriatria. A seguito del
conferimento dell'incarico a un altro associato di medicina
interna, il ricorrente aveva inoltrato domanda di accesso ai
documenti riguardanti i titoli dichiarati dal vincitore
della procedura nel suo curriculum.
L'amministrazione, però,
aveva messo a disposizione dell'interessato atti diversi da
quelli richiesti e, pertanto, era stato proposto ricorso al
Tar Puglia contro il diniego di accesso. Il tribunale aveva
dichiarato inammissibile il ricorso ritenendo soddisfatto il
diritto di accesso con i documenti rilasciati. Il Cds,
invece, accoglie il ricorso e ordina al Policlinico di Bari
di rilasciare all'interessato copia degli atti, non ancora
esibiti. Secondo il Collegio, infatti, il ricorrente, in
quanto partecipante alla procedura selettiva, vanta il
diritto a conoscere gli atti relativi al curriculum degli
altri partecipanti, atti in relazione ai quali non vi è
alcuna contrapposta esigenza di riservatezza.
Si precisa,
poi, che «anche se è vero che è inammissibile il diritto di
accesso esercitato in maniera generica e indifferenziata,
chiedendo all'amministrazione di svolgere un'attività di
indagine e ricerca o un'attività valutativa ed elaborativa»,
è altresì vero «che non può considerarsi generica una
richiesta di accesso che indica precisamente quale sia il
contenuto degli atti, ignorandone soltanto gli estremi, ma
consentendone agevolmente all'amministrazione
l'identificazione».
In conclusione, essendo stati messi a
disposizione della ricorrente documenti in parte diversi dai
richiesti, e comunque non idonei a soddisfare integralmente
la domanda, l'impugnazione deve essere accolta e,
conseguentemente, va ordinato all'azienda di rilasciare
all'interessato copia degli oggetti della richiesta di
accesso, non ancora mostrati
(articolo ItaliaOggi del
07.03.2013). |
APPALTI:
La legittimazione ad
agire in giudizio della singola impresa in associazione –sia
essa mandante o mandataria e sia che il raggruppamento sia
stato già costituito al momento dell'offerta o debba
costituirsi all'esito dell'aggiudicazione– è riconosciuta
dal consolidato e pressoché univoco indirizzo della
giurisprudenza amministrativa.
Il raggruppamento temporaneo di imprese non
istituzionalizza, invero, un soggetto diverso dalle singole
imprese che aggregano le proprie potenzialità economiche,
con capacità di rappresentanza degli interessi del gruppo a
mezzo di organi all'uopo costituiti. La singola impresa è,
quindi, titolare in corso di gara di una posizione di
interesse legittimo al regolare svolgimento della procedura,
che può tutelare anche in caso di inerzia delle altre
imprese associate a proporre congiunta impugnativa.
Ed invero, diversamente da quanto sostiene l’appellante, la
legittimazione ad agire in giudizio della singola impresa in
associazione –sia essa mandante o mandataria e sia che il
raggruppamento sia stato già costituito al momento
dell'offerta o debba costituirsi all'esito
dell'aggiudicazione– è riconosciuta dal consolidato e
pressoché univoco indirizzo della giurisprudenza
amministrativa (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 05.06.2012, n. 3314; Cons. Stato, sez. VI,
08.10.208,
n. 4931).
Il raggruppamento temporaneo di imprese non
istituzionalizza, invero, un soggetto diverso dalle singole
imprese che aggregano le proprie potenzialità economiche,
con capacità di rappresentanza degli interessi del gruppo a
mezzo di organi all'uopo costituiti. La singola impresa è,
quindi, titolare in corso di gara di una posizione di
interesse legittimo al regolare svolgimento della procedura,
che può tutelare anche in caso di inerzia delle altre
imprese associate a proporre congiunta impugnativa.
Il gravame proposto dalla singola impresa in associazione
non è, inoltre, sfornito di interesse al ricorso. La
presentazione dell’offerta da parte del raggruppamento da
costituire reca l’impegno reciproco delle imprese in
associazione, in caso di aggiudicazione della gara, a
conferire mandato ad una di esse, qualificata come
capogruppo, alla stipula il contratto. Si tratta di
posizione di obbligo il cui assolvimento è esigibile nei
confronti delle altre imprese associate in caso di esito
favorevole dell'impugnativa e che, in caso di inadempimento,
espone l’impresa cha aveva prestato il consento alla
costituzione dell’a.t.i. ATI a possibili pretese
risarcitorie. Tanto basta a suffragare la tesi della
legittimazione della singola impresa in associazione a
reagire nei confronti di della violazione di regole che
presiedono il procedimento di aggiudicazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.02.2013 n. 714 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La violazione delle forme prescritte dall’art. 38
d.P.R. n. 445 del 2000 non integra una mera irregolarità ma,
anche in forza del richiamo a tale disposizioni
espressamente contenuto nella lex specialis, si traduce
nella violazione di una regola di gara espressamente
sanzionata a pena di esclusione.
Va evidenziato che l’art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000 prevede
che: “Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di
notorietà da produrre agli organi della amministrazione
pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono
[…] sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica
non autenticata di un documento di identità del
sottoscrittore”.
E’ palese evidente, quindi, che in assenza di sottoscrizione
la dichiarazione sostitutiva non produce effetti perché
risulta priva di un elemento essenziale.
Nel caso di specie, la
lettera di invito, al punto n. 3, richiedeva, da parte delle
imprese partecipanti alla gara, la presentazione, a pena di
esclusione, di una dichiarazione (attestante, in sostanza,
la mancanza delle cause di esclusione), da rendersi, sotto
forma di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà,
nelle forme previste dall’art. 38 d.P.R. 28.12.2000,
n. 445 del 2000.
La violazione delle forme prescritte dall’art. 38 d.P.R. n.
445 del 2000 non integra, quindi, una mera irregolarità, ma,
anche in forza del richiamo a tale disposizioni
espressamente contenuto nella lex specialis, si traduce
nella violazione di una regola di gara espressamente
sanzionata a pena di esclusione.
Non è corretto, a tal riguardo, sostenere che la lex
specialis sanzionasse a pena di esclusione solo la mancata
presentazione della dichiarazione sostitutiva e non anche la
sua incompletezza o la violazione delle forme previste per
la sua presentazione.
In primo luogo, qui il punto n. 3 della lettera di invito
richiedeva, a pena di esclusione, che la dichiarazione fosse
resa nelle forme di cui all’art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000,
con la conseguenza che la violazione dell’art. 38 d.P.R.
cit. integra pienamente, in virtù dell’espresso richiamo
contenuto nella lettera di invito, la violazione di una
prescrizione sanzionata espressamente a pena di esclusione.
Inoltre, nel caso di specie, risulta dirimente la
circostanza che la violazione “formale” di cui si discute
consiste nella mancanza di un elemento essenziale di ogni
dichiarazione, ovvero della sua sottoscrizione, la quale che
rappresenta un insostituibile strumento di imputazione della
dichiarazione al soggetto che ne è autore. In mancanza di
sottoscrizione, quindi, la dichiarazione non può dirsi
semplicemente incompleta o “irregolare”, ma è radicalmente
inesistente.
Va evidenziato, del resto, che l’art. 38 d.P.R. n. 445 del
2000 prevede che: “Le istanze e le dichiarazioni sostitutive
di atto di notorietà da produrre agli organi della
amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di
pubblici servizi sono […] sottoscritte e presentate
unitamente a copia fotostatica non autenticata di un
documento di identità del sottoscrittore”.
E’ palese evidente, quindi, che in assenza di sottoscrizione
la dichiarazione sostitutiva non produce effetti perché
risulta priva di un elemento essenziale.
Non si tratta, in definitiva, di una semplice dichiarazione
incompleta: la mancanza della sottoscrizione, anche se
relativa solo al secondo dei due fogli di cui essa si
compone, rende la dichiarazione presentata inimputabile e
dunque totalmente inidonea ad attestare le circostanze in
essa menzionate. Con riferimento a tali attestazioni,
quindi, essa la dichiarazione deve considerarsi mancante e
tale, pertanto, da determinare l’esclusione dalla gara
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.02.2013 n. 714 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’inutile decorso del
termine (di trenta giorni, qualora non diversamente
previsto) indicato nell’art. 12, I comma del codice dei
contratti comporta non già l’aggiudicazione definitiva, ma
soltanto l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria
della gara (adempimento, questo, che ai sensi del citato
art. 11, V comma, è preliminare all’adozione del
provvedimento finale di aggiudicazione definitiva): in altre
parole, scaduto il termine di trenta giorni
dall’aggiudicazione provvisoria, quest’ultima, in difetto di
un provvedimento espresso, si ha per approvata tacitamente,
e l’aggiudicatario provvisorio può esigere, chiedendola
formalmente, l’emissione del provvedimento di aggiudicazione
definitiva, quale atto conclusivo della procedura
concorsuale.
Ma anche qualora si aderisse alla tesi della ricorrente –e
cioè che il silenzio serbato dall’Amministrazione avrebbe
trasformato l’aggiudicazione provvisoria in definitiva-, la
situazione non muterebbe, in quanto l’art. 11, VIII comma
subordina comunque l’efficacia dell’aggiudicazione
definitiva alla positiva verifica del possesso, in capo
all’aggiudicataria, dei prescritti requisiti, che, se
riscontrati assenti (come nel caso in esame), consentono
l’esercizio dell’autotutela, ovvero, se non riscontrati per
inerzia, consentono all’interessata di sciogliersi da ogni
vincolo mediante atto notificato alla stazione appaltante
(art. 11 cit., IX comma).
La verifica dei requisiti di ammissione è, dunque, in ogni
caso un adempimento che la stazione appaltante deve
espletare sia in sede di approvazione dell’aggiudicazione
provvisoria, sia –in caso di inutile decorso del termine per
provvedere all’approvazione– in sede di aggiudicazione
definitiva, quale condizione di efficacia.
... ritenuto
che il ricorso è infondato per i motivi di seguito esposti:
-
l’inutile decorso del termine (di trenta giorni, qualora non
diversamente previsto) indicato nell’art. 12, I comma del
codice dei contratti comporta non già l’aggiudicazione
definitiva, ma soltanto l’approvazione dell’aggiudicazione
provvisoria della gara (adempimento, questo, che ai sensi
del citato art. 11, V comma, è preliminare all’adozione del
provvedimento finale di aggiudicazione definitiva): in altre
parole, scaduto il termine di trenta giorni
dall’aggiudicazione provvisoria, quest’ultima, in difetto di
un provvedimento espresso, si ha per approvata tacitamente,
e l’aggiudicatario provvisorio può esigere, chiedendola
formalmente, l’emissione del provvedimento di aggiudicazione
definitiva, quale atto conclusivo della procedura
concorsuale (cfr. CdS, III, 16.10.2012 n. 5282; IV,
26.03.2012 n. 1766, citata dalla stessa ricorrente).
Ma anche qualora si aderisse alla tesi della ricorrente –e
cioè che il silenzio serbato dall’Amministrazione avrebbe
trasformato l’aggiudicazione provvisoria in definitiva-, la
situazione non muterebbe, in quanto l’art. 11, VIII comma
subordina comunque l’efficacia dell’aggiudicazione
definitiva alla positiva verifica del possesso, in capo
all’aggiudicataria, dei prescritti requisiti, che, se
riscontrati assenti (come nel caso in esame), consentono
l’esercizio dell’autotutela, ovvero, se non riscontrati per
inerzia, consentono all’interessata di sciogliersi da ogni
vincolo mediante atto notificato alla stazione appaltante
(art. 11 cit., IX comma).
La verifica dei requisiti di ammissione è, dunque, in ogni
caso un adempimento che la stazione appaltante deve
espletare sia in sede di approvazione dell’aggiudicazione
provvisoria, sia –in caso di inutile decorso del termine
per provvedere all’approvazione– in sede di aggiudicazione
definitiva, quale condizione di efficacia.
Orbene, nel caso di specie l’Amministrazione ha riscontrato in capo alla
ricorrente la (sopravvenuta) assenza del requisito della
capacità economica e finanziaria, requisito questo che la
concorrente doveva possedere sia al momento di presentazione
dell’offerta (ed ivi lo possedeva, tramite l’impresa di cui
si era avvalsa ai sensi dell’art. 49 del codice), sia
durante lo svolgimento del servizio e fino alla sua
conclusione, in quanto requisito garantista
dell’affidabilità dell’aggiudicataria e, conseguentemente,
della corretta esecuzione del contratto: ma requisito di
cui, invece, la ricorrente in tale fase sarebbe stata priva,
atteso che la sopravvenuta contestazione del contratto di avvalimento (portata a conoscenza della stazione appaltante,
peraltro, prima dell’aggiudicazione definitiva o, comunque,
prima che l’aggiudicazione definitiva divenisse efficace) ha
inevitabilmente compromesso la certezza dell’Amministrazione
in merito all’affidabilità dell’impresa aggiudicataria,
certezza che l’Amministrazione ha inteso, appunto, collegare
al possesso della capacità economico-finanziaria nei termini
evidenziati nella legge di gara, e affidabilità che ha
stimato sussistere proprio in ragione dell’incontestato
godimento della predetta capacità, individuata quale
requisito di ammissione alla gara.
Giacché, premesso che
ausiliaria ed ausiliata sono solidalmente responsabili in
relazione alla prestazione dedotta nel contratto da
aggiudicare, l'avvalimento dispiega la funzione di
assicurare alla stazione appaltante un “partner” commerciale
che garantisca una capacità imprenditoriale –nella
fattispecie, sotto il profilo economico e finanziario-
proporzionata ai rischi dell'inadempimento o dell’inesatto
adempimento della prestazione dedotta nel contratto di
appalto: garanzia che, nel caso in cui il contratto di avvalimento
venga contestato dall’impresa ausiliaria – come nel caso di
specie -, viene certamente meno (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 08.02.2013 n. 178 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ENTI
LOCALI: Trasparenza, i contratti sul web.
Non rileva pubblicare la liquidazione della fattura.
Sono molte le difficoltà operative generate dalle
nuove norme sull'amministrazione aperta.
La pubblicazione delle determine di liquidazione, ai sensi
della normativa sulla cosiddetta «amministrazione aperta»,
non condiziona l'efficacia dei pagamenti. I servizi
finanziari, dunque, possono procedere ai pagamenti senza
avere l'onere di controllare l'avvenuto adempimento.
Sono molteplici le difficoltà operative che continua a porre
l'articolo 18 del dl 83/2012, convertito in legge 134/2012,
per effetto del quale le amministrazioni sono obbligate a
pubblicare una serie di informazioni concernenti appalti,
incarichi di collaborazione e contributi sui propri siti
istituzionali.
I problemi discendono, prevalentemente, dal disposto del
comma 5 del citato articolo 18, ai sensi del quale «a
decorrere dal 01.01.2013, per le concessioni di
vantaggi economici successivi all'entrata in vigore del
presente decreto legge, la pubblicazione ai sensi del
presente articolo costituisce condizione legale di efficacia
del titolo legittimante delle concessioni ed attribuzioni di
importo complessivo superiore a 1.000 euro nel corso
dell'anno solare».
La norma è molto rigorosa, perché introduce una condizione
di efficacia, il cui mancato rispetto comporta
responsabilità per indebita concessione del beneficio
stesso, ma è evidentemente troppo laconica nell'indicare
quale sia l'atto condizionato dalla pubblicazione.
Il riferimento poco chiaro è al «titolo legittimante».
Moltissimi ritengono che detto titolo legittimante sia la
fattura e che, di conseguenza, il pagamento resti
condizionato all'adozione e pubblicazione del provvedimento
che la liquida. Pertanto, i responsabili degli uffici
finanziari ritengono di dover controllare che l'adempimento
della pubblicazione del provvedimento liquidativo sia stato
rispettato, prima di ordinare il pagamento al tesoriere.
Si tratta, tuttavia, di una visione non corretta. La fattura
non ha alcuna funzione di «titolo legittimante». Come
sancisce la pacifica giurisprudenza della Cassazione la
fattura commerciale, che è atto formato unilateralmente
dall'imprenditore e, soprattutto, inerente a un rapporto già
formato tra le parti, ha solo natura di atto partecipativo e
non di prova documentale, né di indizio circa l'esistenza
del credito in essa riportato.
Dunque, la fattura sicuramente non costituisce «titolo
legittimante». Esso va ricercato a monte del rapporto cui la
fattura inerisce, non avendo essa natura costitutiva del
medesimo.
Il titolo legittimante, allora, non può che essere l'atto di
costituzione e regolazione del rapporto tra pubblica
amministrazione e privato. Non è, di conseguenza, il
provvedimento amministrativo di concessione del contributo o
individuazione del contraente (aggiudicazione definitiva o
affidamento), perché si tratta comunque di atti aventi
esclusivamente efficacia interna: autorizzano
l'amministrazione a impegnare definitivamente la spesa e a
stipulare il contratto o gli atti convenzionali regolanti il
rapporto.
Dunque, si comprende come il «titolo legittimante» sia
esclusivamente l'atto di regolazione del rapporto, cioè
contratto, convenzione, o altro atto di identica natura,
qualunque sia il nomen iuris.
Il beneficio viene materialmente concesso o attribuito al
terzo destinatario con la stipulazione del contratto, dunque
esso è il titolo legittimante. Allora, la pubblicazione che
condiziona l'efficacia è quella del contratto.
Sicuramente la pubblicazione del provvedimento di
liquidazione, pur essendo comunque obbligatoria, non assume
alcun a funzione né di condizione di efficacia, né
presupposto, tanto della liquidazione, quanto del successivo
pagamento.
I servizi finanziari non debbono, quindi, accertare
preventivamente al pagamento che la liquidazione sia
pubblicata. Semmai, occorre sempre evidenziare in tutti gli
atti e provvedimenti adottati successivamente alla
stipulazione del contratto che esso risulti pubblicato nel
sito istituzionale dell'ente, con l'indicazione
dell'indirizzo internet nel quale reperirlo
(articolo ItaliaOggi dell'08.02.2013). |
APPALTI: G.
P. Turcato,
Le modalità di stipula dei contratti pubblici, una norma di
difficile interpretazione (08.02.2013 - link a www.leggioggi.it). |
APPALTI: Cassazione
sull'autocertificazione. Gare d'appalto, requisiti doc.
Stretta sui requisiti di accesso agli
appalti. Risponde di falso in atto pubblico l'imprenditore
che nella dichiarazione sostitutiva dice di essere in regola
con l'Inps. La responsabilità penale scatta al di là della
falsificazione del Durc.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. V penale,
con la sentenza 07.02.2013 n. 6221.
La quinta sezione penale del Palazzaccio ha dunque bocciato
il ricorso di un imprenditore di L'Aquila che aveva fatto
una dichiarazione sostitutiva attestando falsamente per
avere libero ingresso a una gara d'appalto, di essere a
posto con le posizione contributiva dei suoi operai. Per
questo, con una doppia conforme, Tribunale e Corte d'appello
avevano condannato l'uomo per falso in atto pubblico.
Lui si era difeso da subito sostenendo che una dichiarazione
sostitutiva non fosse paragonabile al Durc.
A questa obiezione il Collegio di legittimità ha risposto
che l'art. 483 c.p. punisce la violazione del dovere
giuridico dell'imprenditore di esporre la verità in un atto
destinato a provare la verità dei fatti attestati e a cui
siano ricollegati specifici effetti, rappresentati, nella
specie, dalla ammissione alla gara di appalto. Non solo la
norma, sanziona inoltre, l'obbligo giuridico del dichiarante
di dire la verità, circa il pagamento dei contributi verso
la cassa edile nella dichiarazione allegata all'offerta per
l'aggiudicazione di un appalto pubblico. Infatti tale
obbligo risiede anche nell'art. 24, comma 2, della direttiva
93/97 Cee, recepita sul punto dal dl 30.07.1994, n. 478, non
convertito, i cui effetti sono peraltro stati stabilizzati
dalla legge 29.03.1995, n. 95.
In altri termini, se la certificazione viene utilizzata per
attestare la posizione contributiva in un procedimento
pubblico allora la punibilità scatta lo stesso, a
prescindere dal fatto che il documento falsificato fosse
anch'esso pubblico o privata, come l'autocertificazione
(articolo ItaliaOggi del 09.02.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Le
nuove Linee guida sulla pubblica illuminazione con
Capitolati tecnici, esempi e progetti pilota.
“Informare, sensibilizzare e fornire alle Amministrazioni
Comunali tutti gli strumenti necessari ad una gestione
energeticamente efficiente della pubblica illuminazione,
contribuendo alla riduzione delle emissioni inquinanti e ad
un risparmio economico per la collettività”.
È questo l’obiettivo delle Linee Guida per la
predisposizione di Capitolati tecnici comunali finalizzati a
promuovere la fornitura di energia elettrica, l’esercizio e
la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti
pubblici, le opere di adeguamento normativo e di
riqualificazione tecnologica degli impianti stessi, redatte
da Ancitel.
In coerenza con le Linee Guida dell’ENEA (v. articolo
BibLus-net “Arrivano le linee guida per la gestione
efficiente dell’illuminazione pubblica”) il documento
approfondisce con maggior dettaglio gli aspetti tecnici,
economici e gestionali dei sistemi di illuminazione
pubblica, ponendosi come strumento operativo concreto a
disposizione delle Amministrazioni e dei tecnici in
generale.
Le linee guida contengono, inoltre, esempi e applicazioni
concrete e illustrano in maniera dettagliata un progetto
pilota
(07.02.2013 - link a www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI: Gallerie
e prevenzione incendi: ecco i nuovi adempimenti.
A seguito dell'entrata in vigore del nuovo Regolamento di
prevenzione incendi (D.P.R. 151/2011), che ha compreso
nell'ambito delle attività sottoposte ai controlli di
prevenzione incendi anche le gallerie stradali di lunghezza
superiore ai 500 metri, il Ministero dell’Interno ha emanato
la Circolare esplicativa n. 1 DIP. VV.F. del 29.01.2013.
La Circolare, in attesa dell’emanazione della regola tecnica
di prevenzione incendi relativa alle gallerie stradali di
lunghezza superiore ai 500 metri, al fine di dare immediata
attuazione al D.P.R. 151/2011, fornisce ai gestori di
gallerie stradali chiarimenti sui nuovi adempimenti.
Nello specifico, vengono date indicazioni su come procedere
in funzione dei diversi casi che possono verificarsi:
►
galleria ricadente nella rete stradale trans-europea;
►
galleria non ricadente nella rete stradale trans-europea;
►
galleria conforme ai requisiti indicati nel D.Lgs. 246/2006;
►
galleria non conforme ai requisiti indicati nel D.Lgs.
246/2006;
►
galleria esistente;
►
galleria di nuova realizzazione.
Vengono fissati i termini e le modalità per la presentazione
della SCIA a seconda dei vari casi
(07.02.2013 - link a www.acca.it). |
APPALTI:
Oggetto: Art. 11, comma 13, del Codice dei contratti
pubblici. Modalità di registrazione dei contratti di appalto
stipulati con modalità elettronica (Agenzia delle
Entrate, Direzione Provinciale di Firenze, Ufficio
Territoriale di Empoli,
nota 06.02.2013). |
APPALTI: L'Authority
contratti vuole i link con tutti i dati.
Le stazioni appaltanti devono trasmettere tutte le
informazioni pubblicate sui siti internet relativi alla
gestione di contratti pubblici anche all'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici.
È quanto chiede il
presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici, Sergio Santoro, in una lettera trasmessa al
ministro della funzione pubblica nella quale si chiedono
diverse modifiche allo schema di decreto legislativo sulla
pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da
parte delle pubbliche amministrazioni.
Si tratta del
provvedimento varato in via preliminare dal governo il 21
gennaio, che attua l'art. 1, comma 35, della legge 190/2012
(anticorruzione) e, fra le altre cose, fa fermi,
confermandoli, gli obblighi di pubblicità legale di bandi e
avvisi di gara sui quotidiani (ItaliaOggi dell'01/02/2013).
La proposta è di estendere l'obbligo di trasmissione
all'organismo di vigilanza anche delle informazioni che le
stazioni appaltanti devono pubblicare sui propri siti
internet, oltre a quelle concernenti i contratti di importo
inferiore a 20.000 e all'obbligo di pubblicazione del
verbale di consegna lavori, di ultimazione dei lavori e del
conto finale dei lavori.
In altre parole le amministrazioni dovrebbero inviare
all'Autorità la determina di aggiudicazione definitiva
dell'appalto e le informazioni relative all'importo di
aggiudicazione, al soggetto aggiudicatario, alla base
d'asta, alla procedura di selezione, al numero degli
offerenti, ai tempi di completamento dell'appalto;
all'importo delle somme liquidate, a eventuali modifiche
contrattuali alle decisioni di ritiro e di recesso dei
contratti. Per agevolare le amministrazioni l'Autorità
propone di acquisire, tramite collegamento alla Banca dati
nazionale dei contratti pubblici, tutte le informazioni
rilevanti sui contratti stipulati, riportandole in una
tabella riassuntiva predisposta dall'Autorità.
Le stazioni appaltanti dovrebbero quindi integrare le
tabelle, pubblicarle sul proprio sito e comunicare
all'Autorità il link o la pagina del sito dove è avvenuta la
pubblicazione. In questo modo, peraltro, l'Autorità può
verificare l'avvenuto adempimento degli obblighi informativi
e segnalare alla Corte dei conti eventuali omissioni. Un
altro profilo critico dello schema di decreto riguarda le
informazioni sui costi unitari e gli indicatori di
realizzazione delle opere pubbliche, da pubblicare sulla
base di uno schema tipo curato dall'Authority; la
pubblicazione di queste informazioni sostituirebbe l'obbligo
di pubblicare i costi unitari di produzione dei servizi
erogati ai cittadini previsto dall'art. 1, comma 15, della
legge 190.
La lettera sottolinea l'esigenza di raccordare la nozione di
costi unitari con quella di «costi standard» (art. 7
del Codice) e di «prezzi di riferimento» (art. 17
legge 98/2011) e critica la scelta di superare l'obbligo di
pubblicazione dei costi dei servizi erogati ai cittadini che
determinerebbe «la conseguenza di impedire ogni opportuna
valutazione di convenienza economica delle scelte»
(articolo ItaliaOggi del 06.02.2013
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Autorità
di vigilanza. Appello del regolatore dei contratti pubblici:
correzioni prima della pubblicazione.
«Trasparenza Pa da rivedere».
Santoro: nel decreto rafforzare gli obblighi di
comunicazione negli appalti.
L'OMISSIONE/
Dimenticati gli obblighi di trasmissione all'Autorità dei
dati relativi agli appalti che le amministrazioni dovranno
mettere on-line.
Correggere il decreto sulla trasparenza della Pa prima della
pubblicazione. È quanto chiede l'Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici con una lettera firmata dal presidente
Sergio Santoro e inviata al ministro della semplificazione
Filippo Patroni Griffi e al sottosegretario di Stato Antonio
Catricalà.
Secondo l'Autorità il testo approvato dal
Consiglio dei ministri il 22 gennaio, in attesa del parere
della Conferenza unificata e del garante della privacy, va
rivisto, rafforzando gli obblighi di comunicazione della Pa
in materia di appalti, estendendo il sistema delle sanzioni
nei confronti delle amministrazioni ritrose a fornire
informazioni sui contratti, uniformando il concetto di costi
unitari delle opere pubbliche a quello dei costi standard,
previsto dal codice dei contratti pubblici, e dei prezzi di
riferimento delle prestazioni sanitarie che la stessa
Autorità è stata incaricata di rilevare.
Il decreto varato dal Governo mette in pratica le
indicazioni della legge anticorruzione (legge 190/2012) in
materia di appalti pubblici e sul fronte dell'edilizia
privata. Il decreto fa salvi gli obblighi di pubblicità
legale, con il vincolo di pubblicazione di bandi e avvisi di
aggiudicazione sui giornali (con costi a carico di imprese e
professionisti a partire dal primo gennaio). Aumentano però
i dati e le informazioni da pubblicare sui siti web.
Nel
dettaglio, andranno on-line il bando, la determina di
aggiudicazione, l'oggetto del bando, l'oggetto
dell'eventuale delibera a contrarre, l'importo,
l'aggiudicatario, la base d'asta, la procedura e la modalità
di selezione del contraente, il numero di offerenti, i tempi
di completamento dell'opera, l'importo delle somme
liquidate, le modifiche contrattuali, le decisioni di ritiro
e recesso dei contratti (comma 1 dell'articolo 37).
Per
tutte queste informazioni, segnala Santoro, non è previsto
«alcun obbligo di trasmissione delle informazioni in formato
digitale a questa Autorità». Né, di conseguenza, esiste
alcun obbligo per l'Autorità di pubblicare queste
informazioni sul proprio sito e di comunicare l'elenco delle
Pa inadempienti alla Corte dei Conti con l'applicazione
delle sanzioni previste dal Codice degli appalti per le
amministrazioni poco trasparenti (da 25.822 a 51.545 euro
per i casi più gravi).
Una "dimenticanza" poco spiegabile
per l'Autorità. Anche alla luce del fatto che lo stesso
decreto prevede che le stazioni appaltanti raccolgano
comunque tutte queste informazioni rendendole liberamente
fruibili sul proprio sito web e inviandole al via Ripetta
ogni tre mesi in forma aggregata. Un principio che vale per
tutti i contratti sotto i 20mila euro e per tutti gli
appalti di lavori pubblici: per i quali vanno pubblicati
anche il verbale di consegna dei lavori, il certificato di
ultimazione dei lavori e il conto finale. Oltre alla
delibera a contrarre nel caso di interventi affidati a
trattativa privata senza bando.
In tutte questi casi il
provvedimento varato dal Governo prevede l'obbligo di
informare l'Autorità a pena di sanzione. «E ciò -sottolinea
Santoro- senza che questa disparità di trattamento appaia
giustificata da una maggiore rilevanza di tali dati rispetto
a quelli del comma 1 ai fini perseguiti dall'intervento
normativo». Cioè aumentare il grado di trasparenza della Pa.
Un altro rilievo riguarda l'obbligo per le amministrazioni
di pubblicare sui propri siti web i «costi unitari»
di realizzazione delle opere pubbliche sulla base di uno
schema-tipo redatto dall'Autorità. Per Santoro servirebbe
innanzitutto un chiarimento sulla «nozione di costi
unitari», da raccordare a quelle di «costi standard»
e «prezzi di riferimento» previste rispettivamente
dal codice dei contratti pubblici e dalle norme in materia
di prestazioni sanitarie. «Tale raccordo non è stato
ancora operato dal legislatore ed è, ad oggi, fonte di gravi
difficoltà operative»
(articolo Il Sole 24 Ore del 06.02.2013
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Pagamenti in 30 giorni per tutti.
Deroghe eccezionali. Ora l'Italia è a rischio infrazione. Convegno
a Milano sul recepimento della direttiva Ue. Tajani: il
governo chiarisca.
Pagamenti entro 30 giorni, con pochissime eccezioni. Questa
è la regola generale nelle transazioni commerciali tra p.a.
e imprese, ma anche tra impresa e impresa (B2B), introdotta
nell'ordinamento italiano dal dlgs 192/2012 che ha recepito
la direttiva comunitaria sui ritardati pagamenti. Le parti
non possono decidere di allungare o meno i termini a proprio
piacimento a meno che non vi siano circostanze eccezionali
che legittimino lo slittamento del termine a 60 giorni
(aziende pubbliche, sanità, particolari procedure di appalto
come il dialogo competitivo).
Al di fuori di questi casi, il periodo massimo per saldare
le fatture resta di 30 giorni. Dopo scatteranno gli
interessi di mora fissati dal 01.01.2013 all'8,75% (8%
+ il tasso Bce). La possibilità di deroga a 60 giorni, che
appare come generalizzata nel dlgs 192/2012, rischia quindi
di essere incompatibile con il dettato della direttiva
2011/7/Ue. E potrebbe anche portare all'avvio di una
procedura di infrazione contro l'Italia.
È quanto è emerso nel corso dell'incontro organizzato ieri a
Milano dalla Commissione europea con i rappresentanti delle
istituzioni e del mondo economico per illustrare gli effetti
del recepimento in Italia della direttiva contro i pagamenti
lumaca.
Un'occasione che è servita ai rappresentanti dell'esecutivo
di Bruxelles per ribadire alcuni concetti ancora oggetto di
interpretazioni fuorvianti «anche a causa dell'ambiguità del
testo italiano» (ha ammesso il vicepresidente della
Commissione europea, Antonio Tajani).
Per questo Tajani ha annunciato che chiederà al nuovo
governo una presa di posizione ufficiale entro il 16 marzo,
pena l'apertura di una procedura di infrazione contro
l'Italia. E poco importa che la bacchettata di Bruxelles
possa essere attivata proprio dall'iniziativa del nostro
commissario europeo. Tajani ha fatto della corretta
applicazione della direttiva uno dei punti caratterizzanti
del proprio mandato di commissario per l'Industria e
l'Imprenditoria. E si è già attivato per chiedere al governo
italiano di fugare ogni dubbio sull'ambito di applicazione
della direttiva 2011/7/Ue. Cosa che è avvenuta con la
recente circolare del ministero dello sviluppo economico (si
veda ItaliaOggi Sette del 28.01.2013) che ha chiarito
che non esistono settori esclusi dall'applicazione della
direttiva. Gli appalti pubblici, quindi, vi rientrano a
tutti gli effetti. Ora però, secondo Tajani, la priorità è
insistere sulla rigidità dei tempi di pagamento.
La regola generale è che le fatture vanno saldate entro 30
giorni, elevabili a 60 (e non oltre) in determinati settori
(sanità, aziende pubbliche o particolari procedure di
appalto quali il dialogo competitivo). Trascorsi questi
termini iniziano a decorrere gli interessi di mora. «I
ritardi nei pagamenti disincentivano gli investimenti
stranieri», ha osservato Tajani. «In tutto il mondo la base
per fare affari è la certezza giuridica». In tutto il mondo
tranne che in Italia, dove a causa delle attuali regole di
contabilità pubblica è possibile iscrivere un debito a
bilancio solo nel momento dell'effettivo pagamento e non
invece nel momento in cui sorge l'obbligo giuridico a
pagare.
«È un incentivo a non pagare», lamenta Tajani, «perché non
pagando un debito questo non entra in bilancio, ma così
facendo si finisce per sottomettere l'economia reale alle
regole di contabilità, quando invece dovrebbe essere il
contrario».
Intanto a livello europeo i ritardi di pagamento continuano
a crescere raggiungendo il livello senza precedenti di 340
miliardi di euro. Di questi, almeno 100 miliardi di euro
sono la fetta attribuibile all'Italia, sempre più maglia
nera visto che la p.a. tricolore paga mediamente in 180
giorni quando invece la media Ue è di 162 e quella dei paesi
nordici addirittura di 32 giorni. Le insolvenze hanno
portato alla perdita di 450 mila posti di lavoro e il 57%
delle imprese europee ha avuto problemi di liquidità a causa
dei ritardi di pagamento.
Ma se per il futuro la strada dovrebbe essere tracciata,
come fare a risolvere il problema dei debiti pregressi?
Cento miliardi di euro sono una cifra che, se sommata al
debito pubblico, renderebbe impossibile il raggiungimento
del pareggio di bilancio previsto per il 2014.
Come fare quindi a liberarsi di questo fardello? E
soprattutto come conciliarlo con i rigidi vincoli di
contabilità pubblica imposti a livello europeo? La soluzione
potrebbe essere quella di escludere il debito monstre verso
le imprese dal calcolo del debito pubblico. E quindi
dall'obbligo di pareggio di bilancio. La richiesta sarà
oggetto di una riunione tecnica che Tajani avrà giovedì
prossimo col collega (e commissario Ue per gli affari
economici e monetari) Olli Rehn. E non è escluso che il tema
possa diventare presto uno dei prossimi temi caldi della
campagna elettorale. Anzi, l'auspicio di Tajani è proprio
questo, perché per mettere la p.a. nelle condizioni di
pagare in tempo servono regole contabili più flessibili.
Altrimenti sarà difficile centrare gli obiettivi europei di
arrivare al 70% delle fatture saldate entro 30 giorni.
Anche il presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, si è detto
d'accordo con la richiesta di escludere dal debito pubblico
i 100 miliardi di euro attesi dalle imprese. L'edilizia, del
resto, è forse il settore che più di tutti sta soffrendo per
i ritardi nel pagamento delle fatture. E il credit crunch,
ossia la difficoltà di accesso al credito bancario, fa il
resto. I costruttori hanno portato a casa la certezza che la
direttiva Ue si applica agli appalti pubblici (così come
chiarito espressamente dal Mise).
Ma restano ancora alcuni
nervi scoperti col governo di cui il prossimo esecutivo
dovrà farsi carico. L'Imu sull'invenduto, per esempio, non
va proprio giù ai costruttori che la considerano
incostituzionale (per violazione del principio di
uguaglianza) oltre che contraria alla normativa europea
(articolo ItaliaOggi del 05.02.2013). |
APPALTI: Condanne
per reati, la verifica si fa on-line.
Attivata la procedura per la richiesta delle risultanze del
casellario giudiziale online. Viene, in pratica, data
attuazione a quanto era stato disposto dall'art. 39 del dpr
313/2002, ovvero il Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di casellario
giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative
dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti.
Con l'art. 39 del testo unico era stata prevista la
consultazione diretta del sistema telematico del Ministero
della giustizia, oltre che da parte dell'autorità
giudiziaria anche da parte delle amministrazioni pubbliche e
dei gestori di pubblici servizi. E ciò, al fine della
verifica del possesso dei requisiti di onorabilità
prescritti dalla relativa disciplina per coloro i quali sono
intenzionati a esercitare un'attività economica, quale ad
esempio il commercio, l'attività di somministrazione,
agenzie di affari. Verifica che, fino ad oggi, è stata
effettuata con la tradizionale modalità cartacea.
La novità è conseguente alla entrata in vigore del decreto
05.12.2012, pubblicato in Gazzetta lo scorso 21 dicembre
scorso e con il quale sono state fissate le regole
procedurali di carattere tecnico operativo per l'attuazione
della consultazione diretta. Per poter utilizzare il sistema
telematico, tuttavia, sarà necessaria la stipula di una
convenzione da richiedere utilizzando la modulistica
(Allegato C) del decreto del 05.12.2012.
In seguito alla richiesta, l'ufficio del Casellario svolgerà
le necessarie verifiche e avvierà la procedura per la
stipula di convenzione con il richiedente su fruibilità dei
dati e garanzia del pieno rispetto della normativa in
materia di protezione dei dati personali, di accesso ai
documenti amministrativi, di tutela del segreto e di divieto
di divulgazione.
Nella convenzione saranno stabiliti anche termini e
condizioni per garantire che il certificato contenga solo i
dati pertinenti con i compiti istituzionali delle
amministrazioni interessate
(articolo ItaliaOggi del 05.02.2013). |
APPALTI:
Gare, Un 'errore passato' non determina
l'esclusione perenne.
E' illegittimo il provvedimento di esclusione di una ditta
da una gara di appalto, la cui motivazione, operando
esclusivo riferimento a un precedente grave errore commesso
dalla partecipante nell'esecuzione di altre prestazioni con
la medesima stazione, tralascia di indicare tutte le
circostanze successivamente verificatesi.
La decisione evidenzia l’importanza della motivazione di un
provvedimento di esclusione da una gara di appalto,
attraverso un’efficace rappresentazione di tutte le
circostanze verificatesi in un lungo lasso di tempo che
possono, in qualche misura, incidere sul giudizio “di
fiducia” dell’impresa contraente.
In particolare la ricorrente, partecipante a una procedura
indetta per l'affidamento in economia del servizio di
gestione delle selezioni per l'ammissione alle Scuole di
specializzazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia, ha
impugnato il provvedimento con cui la stazione appaltante,
ai sensi dell’art. 38, lett. f), D.Lgs. n. 163/2006, aveva
disposto la propria esclusione dalla gara a cagione “…
della sussistenza di elementi reputati tali da far venir
meno la fiducia nell’impresa”.
Ha contestato, così, la violazione dell’art. 38 cit.,
dell’art. 332, D.P.R. n. 207/2010, nonché il difetto di
motivazione, contestualmente formulando richiesta di
risarcimento del danno ingiusto sofferto per effetto
dell’attività amministrativa contestata.
Il ricorso è stato accolto. Il TAR di Napoli ha osservato
che la misura espulsiva –intervenuta dopo che la stazione
appaltante aveva rilevato che l’offerta della ricorrente era
la migliore e chiesto alla stessa di anticipare l’avvio
delle attività preparatorie– era stata adottata sulla base
della motivazione per cui: "… da un accertamento in
ordine alla pregressa collaborazione con questa
amministrazione è emerso che codesta società ha commesso un
grave errore nell’espletamento di analoga procedura, a
seguito del quale sono state rilevate l’inidoneità e
l’inaffidabilità della stessa a eseguire la prestazione in
argomento per le motivazioni esplicitate nella nota di
questa amministrazione del 28.10.2002.
Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto e per gli
effetti dell’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006 codesta società è
esclusa dalla gara."
Sicché, considerato il tenore motivazionale dell’impugnato
provvedimento di esclusione, il giudicante ha riscontrato
sia la violazione del menzionato art. 38 per carenza dei
presupposti, sia il censurato difetto di motivazione.
Al riguardo ha precisato che, sibbene la fattispecie
contemplata dalla citata previsione normativa implichi un
ampio potere discrezionale in ordine alla ponderazione dei
fatti integranti grave negligenza, malafede o errore grave
nell’esercizio dell’attività professionale, l’esercizio
della suddetta potestà non si sottrae per ciò solo al
sindacato giurisdizionale nei casi di manifesta illogicità o
irrazionalità (nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. V,
21.06.2012, n. 3666).
Del resto, l’apprezzamento dell’elemento fiduciario nei
rapporti contrattuali con la pubblica Amministrazione
esclude di per sé qualsiasi automatismo, occorrendo che,
come richiesto dalla norma, l’esclusione sia supportata da
una "motivata valutazione" della stazione appaltante.
Pertanto, pur riconoscendo la rilevanza dell’episodio,
l’adito G.A. ha rilevato che, nella specie, l’autorità
amministrativa non aveva considerato che il contestato “grave
errore” era stato commesso circa dieci anni prima e che
l’addebito era stato prontamente riconosciuto dalla
ricorrente con la rinuncia a percepire il compenso stabilito
per lo svolgimento di quel servizio.
Invero, ha osservato che il decorso di un lungo periodo di
tempo –i cui effetti l'ordinamento riconosce e consacra
dando vita a istituti ampiamente disciplinati in ogni
settore del diritto– avrebbe determinato l'esigenza di
rafforzare l'impianto motivazionale del provvedimento di
esclusione, mediante una dettagliata illustrazione delle
circostanze che avrebbero potuto rilevare nel giudizio di
affidabilità dell’impresa contraente; la meccanica
applicazione della misura espulsiva, infatti, aveva
snaturato la connotazione dell’istituto in esame,
configurandolo impropriamente alla stregua di un potere
sanzionatorio.
Non a caso, la ricorrente aveva rappresentato che, nell’arco
temporale in questione, la compagine sociale era mutata e
che la stessa aveva conseguito idonee certificazioni per i
settori d’interesse e gestito positivamente molteplici,
complesse procedure concorsuali presso i più prestigiosi
atenei italiani.
Tali elementi, a opinione del Collegio, avrebbero dovuto
essere oggetto di una più meditata valutazione da parte
della stazione appaltante che, in tal modo, avrebbe potuto
esprimere un adeguato giudizio di complessiva idoneità
dell’impresa a eseguire con la dovuta diligenza il servizio
in questione. In tal modo si sarebbe evitato ogni illogico
automatismo conseguente a un solo episodio sfavorevole
accaduto in passato che, peraltro, non avrebbe potuto
comunque limitare le chances della deducente di
contrattare sine die con l’ateneo e di acquisire
altre esperienze e referenze utili per l’ulteriore crescita
dell’impresa.
Sotto differente profilo, il TAR partenopeo ha censurato le
modalità attraverso le quali l’Amministrazione aveva
adottato il contestato provvedimento di esclusione.
Quest’ultima, infatti, ancorché in possesso di tutte le
informazioni relative al pregresso rapporto, aveva dapprima
invitato l’interessata a far pervenire la propria offerta e,
solo dopo aver constatato l’economicità della propria
offerta e averla invitata a porre in essere le attività
propedeutiche allo svolgimento del servizio, aveva
provveduto a comunicare il proprio intendimento di
estrometterla dalla procedura.
Conseguentemente, il G.A. di Napoli, rintracciando plurimi
profili d’illegittimità dell’operato della stazione
appaltante, ha accolto il gravame e, per l’effetto,
annullato il contestato provvedimento di esclusione della
ricorrente; parallelamente reputando sussistenti tutti gli
elementi costitutivi della responsabilità della P.A., ivi
compreso l’elemento soggettivo, ha accolto la domanda di
risarcimento del danno, la cui quantificazione ha
equitativamente determinato ai sensi dell’art. 1226 c.c.
(commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez.
I,
sentenza 01.02.2013 n. 695 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bandi di gara subito impugnabili per ogni vizio o
no? Lo deciderà l'Ad. Plen. Consiglio di Stato.
La VI
Sez. del Consiglio di Stato,
con l'ordinanza
01.02.2013 n. 634, ha rimesso all'Adunanza
Plenaria la questione se
il bando di gara sia immediatamente impugnabile per ogni
vizio rilevato ovvero se il bando possa essere impugnato
entro il termine decadenziale solo ove immediatamente lesivo
di una situazione soggettiva protetta.
Di
seguito, la massima dell'ordinanza.
---------------
1. L’atto amministrativo generale, o l’atto
di normazione secondaria presupposto debbono essere
impugnati entro i predetti termini decadenziali
–non assieme all’atto conclusivo della procedura–
solo ove immediatamente lesivi di una situazione
soggettiva protetta: situazione, quella appena indicata,
ritenuta ravvisabile quando l’atto presupposto risulti di
per sé ostativo per la realizzazione dell’interesse finale
perseguito (ovvero in rapporto ad una procedura concorsuale,
il cui bando sia per talune ditte preclusivo della
partecipazione cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen.,
23.01.2003, n. 1 e successiva, pacifica giurisprudenza
conforme).
La sussistenza di ragioni per pervenire ad un diverso
indirizzo è stata affermata dalla sezione con ordinanze nn.
351 del 18.01.2011 e 2633 in data 08.05.2012; in entrambi i
casi, tuttavia, l’Adunanza Plenaria non ha esaminato la
questione per difetto di rilevanza (Cons. St., Ad. Plen.
07.04.2011, n. 4 e 31.07.2012, n. 31)
Ad avviso del Collegio, la questione merita quindi di essere
nuovamente sollevata.
2. La sussistenza di giusti motivi per un indirizzo
evolutivo, rispetto alla citata pronuncia dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2003, risultano già
esposti nelle ordinanze della sezione sopra ricordate, nei
termini di seguito sintetizzati:
- la volontà deflattiva del contenzioso, sottostante
all’indirizzo di immediata impugnabilità delle sole clausole
escludenti, non ha trovato rispondenza nei fatti, con
reiterate impugnazioni che, dopo la conclusione delle
procedure di gara, postulano l’annullamento del bando e
quindi l’azzeramento delle procedure stesse, con
notevole aggravio di spese per l’amministrazione e danno per
le imprese aggiudicatarie incolpevoli, sulle cui offerte non
fosse emerso o riconosciuto alcun vizio;
- i principi di buona fede e affidamento, di cui
agli articoli 1337 e 1338 cod. civ., dovrebbero implicare
che le imprese, tenute a partecipare alla gara con attenta
disamina delle prescrizioni del bando, fossero non solo
abilitate, ma obbligate a segnalare tempestivamente, tramite
impugnazione del bando stesso, eventuali cause di invalidità
della procedura di gara così come predisposta,
anche come possibile fonte di responsabilità
precontrattuale; quanto sopra, in linea con la ratio
ispiratrice dell’art. 243-bis del codice degli appalti
(d.lgs. n. 163/2006), nel testo introdotto dal d.lgs. n.
53/2010 (informativa preventiva dell’intento di proporre
ricorso giurisdizionale).
Il Collegio condivide le predette osservazioni e ritiene che
le imprese partecipanti a procedure contrattuali ad
evidenza pubblica dovrebbero ritenersi tenute ad impugnare
qualsiasi clausola del bando ritenuta illegittima, entro gli
ordinari termini decadenziali.
La questione sopra indicata appare connessa alla vera e
propria svolta, impressa al contenzioso in materia di
pubblici appalti dalla
sentenza dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2011,
ispirata al superamento di indirizzi giurisprudenziali, che
finiscono per determinare una “litigiosità esasperata”,
senza garantire il soddisfacimento dell’interesse primario
di ciascun concorrente (aggiudicazione dell’appalto) e
rendendo “estremamente difficoltosa e spesso impossibile (si
pensi alla perdita di finanziamenti comunitari) l’esecuzione
dell’opera pubblica”.
3. Fra tali indirizzi, sembra al Collegio che possa
annoverarsi quello riconducibile alla ricordata sentenza
dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2003, limitativa
dell’immediata impugnabilità dei bandi di gara
(o di concorso) –senza necessità di attendere i relativi
atti applicativi– solo con riferimento alle clausole
impeditive dell’ammissione di soggetti interessati
alla selezione, ovvero impositive di oneri
sproporzionati per la partecipazione, o di condizioni non
comprensibili; quanto sopra, nella presupposizione che in
ogni altro caso mancherebbe una lesione diretta ed attuale
dell’interesse protetto.
Tale conclusione –oltre a non condurre, come già in
precedenza rilevato, ad una riduzione del contenzioso, che
viene normalmente avviato su ogni questione prospettabile
(con aggravata lesione degli interessi sia pubblici che
privati, in caso di azzeramento dell’intera procedura dopo
la conclusione della stessa)– appare non più convincente
anche sul piano dei principi, regolatori dell’impugnativa di
atti amministrativi generali, destinati alla cura concreta
di interessi pubblici nei confronti di destinatari
indeterminati, ma determinabili.
Con la domanda di partecipazione alla gara, infatti, le
imprese concorrenti divengono titolari di un interesse
legittimo, quale situazione soggettiva protetta
corrispondente all’esercizio di un potere, soggetto al
principio di legalità ed esplicato, in primo luogo, con
l’emanazione del bando.
A qualsiasi vizio di quest’ultimo si contrappone, pertanto,
l’interesse protetto al corretto svolgimento della
procedura, nei termini disciplinati dalla normativa vigente
in materia e dalla lex specialis; l’inoppugnabilità
della disciplina di gara contenuta nel bando, alla scadenza
degli ordinari termini decadenziali, appare dunque conforme
alle esigenze di efficienza ed efficacia dell’azione
amministrativa (commento
tratto da www.giurdanella.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Revoca della gara in autotutela, quando
'scattano' le regole civilistiche.
La revoca degli atti di gara da parte di
una stazione appaltante può configurare un illecito
precontrattuale perché in contrasto con le comuni regole di
buona fede e correttezza di cui all'articolo 1337 del codice
civile; il
Consiglio di Stato si è pronunciato in merito al
risarcimento danni, subito da un ATI partecipante ad una
gara, a seguito di annullamento in autotutela della
procedura di affidamento di lavori.
Con bando pubblicato sulla G.U.C.E., una stazione appaltante
indiceva una procedura aperta avente ad oggetto
l’affidamento, secondo il criterio del prezzo più basso, dei
lavori di ristrutturazione e riqualificazione di un immobile
di proprietà di un ente locale, per un “nuovo”
complesso termale.
La gara in questione era aggiudicata ad un ATI composta da
tre SRL; nell’agosto 2007 nelle more del giudizio
amministrativo che ha interessato la gara in questione, la
procura della Repubblica disponeva il sequestro
dell’immobile da riqualificare.
Nel 2008 il Ministero dello Sviluppo Economico sospendeva in
via cautelare l’iter procedimentale relativo alle
agevolazioni finanziarie richieste dalla stazione appaltante
e, conseguentemente, quest’ultima preso atto che per effetto
del sequestro giudiziario del nuovo complesso termale era
stato impossibile dare esecuzione ai lavori di
riqualificazione, deliberava di rinunciare all’investimento
e di risolvere il contratto stipulato con il Comune avente
ad oggetto la concessione in godimento dell’immobile
termale.
La stazione appaltante in seguito deliberava di revocare
tutti gli atti e i provvedimenti del procedimento di gara
relativo all’affidamento dei lavori di ristrutturazione e
riqualificazione.
L’ATI si era rivolta al TAR per chiedere la condanna della
stazione appaltante al risarcimento del danno derivante
dall’intervenuta autotutela.
Il Tribunale amministrativo regionale aveva accolto in parte
il ricorso riconoscendo soltanto alcune delle voci
risarcitorie reclamate dalla ricorrente; l’ATI di
conseguenza si rivolgeva al Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato con la corposa sentenza in commento
ritiene, nel caso di specie, che il comportamento
complessivo tenuto della stazione appaltante, poi sfociato
nella revoca degli atti di gara, integra un illecito
precontrattuale, perché si pone in contrasto con le regole
di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c.,
riferite ad una pubblica amministrazione.
E’ ormai consolidata la configurabilità di una
responsabilità precontrattuale anche della pubblica
amministrazione, perché anche su di essa grava l’obbligo
sancito dall’art. 1337 c.c. di comportarsi secondo buona
fede durante lo svolgimento delle trattative.
Di conseguenza, se durante la fase formativa del contratto
la pubblica amministrazione viola quel dovere di lealtà e di
correttezza, ponendo in essere comportamenti che non
salvaguardano l’affidamento della controparte (anche
colposamente, perché non occorre un particolare
comportamento di malafede, né la prova dell’intenzione di
arrecare pregiudizio all’altro contraente) in modo da
sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto,
essa risponde per responsabilità precontrattuale.
Per i giudici di Palazzo Spada in caso di responsabilità
precontrattuale da ingiustificato recesso dalla trattativa,
nel cui ambito si inquadra la vicenda oggetto del presente
contenzioso, in cui viene messo in rilievo la revoca degli
atti di gara da parte della stazione appaltante, il danno è
commisurato non al c.d. interesse positivo (ovvero alle
utilità economiche che il privato avrebbe tratto
dall’esecuzione del contratto), ma al c.d. interesse
negativo, da intendersi, appunto, come interesse a non
essere coinvolto in trattative inutili, a non investire
inutilmente tempo e risorse economiche partecipando a
trattative (o, nel presente caso, a gare d’appalto)
destinate poi a rivelarsi del tutto inutili a causa del
recesso scorretto della controparte.
I fatti che hanno portato alla revoca dell’aggiudicazione
sono riconducibili ad un comportamento non diligente della
stazione appaltante; una delle ragioni principali su cui si
fonda il provvedimento di revoca è, infatti, il venire meno
delle risorse finanziarie necessarie al finanziamento dei
lavori. Di fronte, infatti, al procedimento penale iniziato
dalla Procura della Repubblica per presunti illeciti
consumati dalla stessa stazione appaltante, in occasione
della richiesta di finanziamento pubblico per iniziare i
lavori di ristrutturazione dell’immobile, la stessa stazione
appaltante ha immediatamente rinunciato al finanziamento e,
conseguentemente, ha disposto la revoca della gara.
La stazione appaltante, anziché rinunciare al finanziamento
e disporre la revoca degli atti di gara, avrebbe dovuto,
visto che la gara ormai era stata bandita e aggiudicata (e,
quindi, si configurava un ragionevole e fondato affidamento
dell’aggiudicatario in ordine alla prossima conclusione del
contratto), quanto meno adoperarsi attivamente per trovare
soluzioni alternative, comunque “meno penalizzanti per
gli interessi dell’aggiudicatario, in ipotesi anche
verificando la ragionevole possibilità, prima di rinunciare
unilateralmente al finanziamento già ottenuto, di reperire
congruamente risorse finanziarie da altre fonti, onde dare
comunque seguito ai lavori per i quali la gara era stata
espletata”.
Per il Consiglio di Stato, tuttavia, nell’ambito della
responsabilità precontrattuale il c.d. danno curriculare non
è risarcibile, perché non attiene all’interesse negativo,
ma, più propriamente, all’interesse positivo, derivando
proprio dalla mancata esecuzione dell’appalto, non
dall’inutilità della trattativa. Il c.d. danno curriculare
può, infatti, essere definito come il pregiudizio subito
dall’impresa a causa del mancato arricchimento del
curriculum professionale per non poter indicare in esso
l’avvenuta esecuzione dell’appalto.
Il Consiglio di Stato, quindi, condanna la stazione
appaltante al rimborso, nei confronti delle società che
costituiscono l’ATI, delle spese vive sostenute per la
partecipazione alla gara nei limiti dei cui importi riescano
a dimostrarne l’avvenuto pagamento, del danno emergente per
le spese generali per il costo del personale e della
struttura che avrebbero potuto essere destinate ad altre
attività, del lucro cessante per la perdita di chance
contrattuale alternativa scaturente dalla rinuncia a
concludere un altro contratto (commento tratto da
www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. I,
sentenza 01.02.2013 n. 633 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Appalti, pubblicità doppia.
Oltre ai bandi anche gli affidamenti a trattativa privata.
Il dlgs attuativo della legge anticorruzione conferma gli
obblighi di pubblicazione.
Fatti salvi tutti gli obblighi di pubblicità, anche sui
quotidiani, per i bandi e avvisi di contratti pubblici, le
amministrazioni dovranno pubblicare anche le delibere di
affidamento per contratti a trattativa privata, i
certificati di ultimazione dei lavori e il conto finale dei
lavori. Obbligo di trasmissione dei dati pubblicati
all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, la
quale potrà denunziare alla Corte dei conti le
amministrazioni inadempienti.
Introdotto il nuovo istituto del diritto di accesso civico.
Previsto un piano triennale per la trasparenza. Sanzioni per
la violazione degli obblighi di pubblicità.
Sono questi
alcuni dei punti più rilevanti previsti nello
schema di
decreto legislativo attuativo dell'articolo 1, comma 35
della legge «anticorruzione» (190/2012) predisposto su
proposta del ministro della pubblica amministrazione e
semplificazione, che prevede anche l'obbligo di delle
situazioni patrimoniali di politici, e parenti entro il
secondo grado, degli atti dei procedimenti di approvazione
dei piani regolatori e delle varianti urbanistiche.
Da indiscrezioni filtrate da ambienti ministeriali
risulterebbe che il testo, approvato in via preliminare la
scorsa settimana dal Consiglio dei ministri, è stato
modificato e inviato, oltre alla Conferenza unificata anche
ad altri enti competenti per materia ai quali è stato
chiesto di esprimere un parere.
Il provvedimento non dovrebbe quindi andare alle commissioni
parlamentari per i pareri e, nell'auspicio del governo,
dovrebbe essere approvato entro la fine di febbraio.
Per i contratti pubblici lo schema di regolamento richiama,
facendoli «fermi», «gli altri obblighi di pubblicità legale
e, in particolare quelli sui siti web delle stazioni
appaltanti relativi ai bandi e alle gare per affidamento di
lavori, forniture e servizi»; ciò conferma, quindi, la
vigenza di tutti gli obblighi di pubblicità previsti dal
Codice dei contratti pubblici (artt. 66 e 124 del dlgs
163/2006), ivi compresa la pubblicità per estratto sui
quotidiani di avvisi e bandi (vedi ItaliaOggi del 30.11.2012 e 25.01.2013).
Si introduce, in aggiunta agli usuali obblighi di pubblicità
dei bandi e degli avvisi, l'obbligo di pubblicazione della
determina di aggiudicazione definitiva dell'appalto,
l'importo di aggiudicazione, il soggetto aggiudicatario, la
base d'asta, la procedura di selezione, il numero degli
offerenti, i tempi di completamento dell'appalto; l'importo
delle somme liquidate, eventuali modifiche contrattuali le
decisioni di ritiro e recesso dei contratti.
Per i contratti al di sotto dei 20 mila euro si potrà
effettuare una pubblicazione in forma «integrata». Prevista
anche la pubblicazione delle determine a contrarre per le
procedure a trattativa privata senza bando di gara. Entro il
31 gennaio di ogni anno ciascuna amministrazione comunicherà
i dati anche all'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici che a sua volta le pubblicherà sul proprio sito
rendendoli liberamente accessibili a tutti i cittadini.
L'organismo di vigilanza dovrà anche segnalare entro fine
aprile di ogni anno alla Corte dei conti le amministrazioni
che non avranno pubblicato le informazioni.
Lo schema prevede poi, in generale, il nuovo istituto del
diritto di accesso civico che consentirà a tutti i cittadini
hanno diritto di chiedere e ottenere che le p.a. pubblichino
atti, documenti e informazioni che detengono e che, per
qualsiasi motivo, non hanno ancora divulgato.
Infine viene disciplinato il Piano triennale per la
trasparenza e l'integrità, che è parte integrante del Piano
di prevenzione della corruzione, che dovrà indicare le
modalità di attuazione degli obblighi di trasparenza e gli
obiettivi collegati con il piano della performance. Previste
sanzioni da 500 a 10 mila euro
(articolo ItaliaOggi dell'01.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: I pagamenti sprint mal
si conciliano con l'obbligo del Durc.
Nel recepire le norme europee il legislatore non le
ha armonizzate con l'ordinamento italiano.
L'accelerazione dei termini di pagamento non si coordina con
l'obbligo di acquisire il Durc. Risulta praticamente
impossibile per le pubbliche amministrazione pagare gli
appaltatori entro i 30 giorni previsti dal dlgs 192/2012,
che ha integrato e modificato il dlgs 231/2002, recependo le
direttive europee sui pagamenti.
La ragione fondamentale non consiste, tanto, nel termine per
procedere, quanto nella circostanza che nel recepire le
norme europee il legislatore italiano ha mancato di compiere
l'opera essenziale, cioè l'armonizzazione della disciplina
comunitaria, con l'ordinamento italiano. È proprio
esclusivamente del nostro sistema, infatti, l'obbligo di
acquisire un Durc regolare non solo per effettuare il
pagamento, ma per la stessa fase preliminare alla procedura,
cioè la liquidazione in quanto non risulta possibile
considerare pagabile la prestazione, se non si verifica la
regolarità della posizione dell'azienda.
In ogni caso, l'istruttoria tecnico-contabile è compiuta
nella fase della liquidazione, visto che il pagamento
consegue quasi meccanicamente all'ordine al tesoriere emesso
dai servizi finanziari, in base ai controlli contabili sulle
liquidazioni.
Il problema sorge dalla circostanza che il dlgs ha eliminato
la possibilità per le parti di fissare nel contratto un
termine diverso dai 30 giorni. Questi decorrono: dalla data
di consegna delle merci o dall'effettuazione della
prestazione se la fattura sia emessa prima o non risulti
certa la data; dalla presentazione della fattura; o, infine,
dalla data di effettuazione della verifica della correttezza
del bene fornito o della prestazione svolta.
In assenza della possibilità di definire termini diversi, i
30 giorni disponibili per l'istruttoria sulla regolarità
della fattura, l'ordinazione e il pagamento coincidono con
l'eguale periodo previsto dalla disciplina del Durc per il
rilascio del certificato. Avrebbe dovuto essere noto al
legislatore che Inps, Inail e Cassa edile impiegano
sostanzialmente sempre tutto il periodo di 30 giorni a loro
disposizione, per il rilascio del certificato (per altro, il
tutto in aperta violazione della disciplina sulla «decertificazione»).
Il dlgs 192/2012 non ha risolto questa difficoltà operativa,
come avrebbe potuto stabilendo un termine ordinariamente più
ampio per i pagamenti della pubblica amministrazione o,
meglio, modificando la disciplina del Durc, con
l'eliminazione dell'istanza e la possibilità per le
amministrazioni di accedere direttamente alle banche dati
dell'Inps per visualizzare in tempo reale la situazione
previdenziale delle aziende.
I rischi della cattiva opera di recepimento e coordinamento
sono almeno tre.
Il primo è l'abuso della possibilità, prevista dal nuovo
articolo 4, comma 4, del dlgs 231/2002 di portare il termine
di pagamento a 60 giorni.
Tale facoltà è condizionata «dalla natura o dall'oggetto del
contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua
conclusione». A meno di non considerare l'obbligo di
acquisire il Durc una «circostanza» che giustifichi sempre
il raddoppio dei termini, risulta in modo piuttosto evidente
motivare l'esistenza di ragioni per il prolungamento dei
termini del pagamento connesse alla natura e all'oggetto del
contratto, elementi che, a ben vedere, con l'adempimento del
debitore nulla hanno a che vedere.
Il secondo rischio è quello dell'inserimento nei contratti
di clausole di deroga al termine ordinario di 30 giorni
nulle, con il relativo contenzioso.
Il terzo, quello più grave, è la violazione diffusa dei
termini, con le conseguenze anche di natura finanziaria
potenzialmente derivanti, considerato l'elevato tasso di
interesse di mora e la penale di 40 euro introdotta dal dlgs
192/2012.
Un sistema per evitare di raddoppiare senza effettive
giustificazioni i termini di pagamento o sforarli è
prevedere il pagamento entro 30 giorni dalle verifiche delle
prestazioni, inoltrando la richiesta del Durc in coincidenza
con la consegna del bene o del verbale di esecuzione del
servizio o dello stato di avanzamento. In questo modo, vi
sono a disposizione 30 giorni per compiere le verifiche e
altri 30 per effettuare il pagamento: in questo lasso di
tempo si dovrebbe riuscire a ottenere l'attestazione della
regolarità contributiva.
Il sistema migliore, tuttavia, è una modifica normativa
urgente, che elimini la confusione operativa determinata
dalla riforma, fissi tempi certi per i pagamenti che, però,
tengano conto degli adempimenti imposti alle pubbliche
amministrazioni
(articolo ItaliaOggi dell'01.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
M. Gnes,
La nuova disciplina sui ritardi dei pagamenti (D.Lgs.
09.11.2012 n. 192)
(Giornale di diritto amministrativo n. 2/2013 -
tratto da www.ipsoa.it). |
gennaio 2013 |
|
APPALTI:
F. A. Caputo,
VADEMECUM SUGLI APPALTI PUBBLICI
(2) - Modelli
di comportamento per le Amministrazioni Aggiudicatrici
(gennaio 2013 - tratto da www.ieopa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Responsabilità degli amministratori locali per gli
affidamenti senza procedure pubbliche.
E'
configurabile la responsabilità amministrativo-contabile
per gli amministratori degli enti locali
che violino le norme in materia di procedure ad
evidenza pubblica, cagionando un ‘‘danno alla
concorrenza’’.
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Il caso
Nell’ipotesi in esame, il sindaco di un comune campano,
a seguito di ripetuti episodi di teppismo registrati sul
territorio,
ha deciso -di propria iniziativa e senza curarsi di
apprestare la relativa copertura finanziaria- di incaricare
una cooperativa del luogo, per lo svolgimento di un servizio
di vigilanza notturna, con il fine di contenere nuove
manifestazioni di violenza.
La ditta -individuata senza ricorrere a procedure ad
evidenza
pubblica- ha, peraltro, reso un servizio non soddisfacente,
col che l’Amministrazione si è vista costretta
ad interrompere bruscamente il rapporto ormai avviato.
Il comune, preso atto della sostanziale inutilità del
servizio,
si è rifiutato di adempiere alla richiesta di pagamento
del quantum di prestazione resa fino all’interruzione.
Sennonché, in seguito a una nuova diffida della cooperativa,
e l’instaurazione di un processo ordinario volto al
recupero del credito, il consiglio comunale si è deciso
a comporre la lite per mezzo di una transazione,
riconoscendo
con delibera il debito fuori bilancio corrispondente
alla sola sorta capitale del debito contratto nei confronti
della creditrice per lo svolgimento dell’incarico.
Dalla dinamica riportata è disceso un procedimento per
danno erariale a carico del sindaco, dei consiglieri e del
Segretario e responsabile economico e finanziario del
comune, tenuto innanzi alla Corte dei conti, sez. Campania,
pronunciatasi con sentenza 31.01.2013, n. 141.
L’addebito formulato nei loro confronti dalla Procura
Generale è stato duplice: da un lato, quello di aver
affidato
il servizio di vigilanza senza le consuete forme
pubblicistiche a tutela della concorrenza; dall’altro,
quello di aver affidato l’incarico senza la necessaria
copertura
finanziaria e, dunque, in violazione degli artt.
191 e 194 del D.Lgs. n. 267/2000.
Da qui, la richiesta di condanna dei convenuti al pagamento,
in favore del comune stesso, della somma di euro
2.473,20, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e
spese di giustizia. Secondo la ricostruzione dell’accusa,
detta somma -pari al 10% dell’importo pagato dal comune
a seguito dell’accordo transattivo- rappresentava
l’effettivo risparmio di spesa conseguibile laddove fosse
stata attivata una valida procedura concorrenziale.
Con riferimento alle singole posizioni, al sindaco si è
rimproverato di aver agito in prima persona comportandosi
come un privato contraente, in spregio alla normativa
in tema di contratti passivi della pubblica amministrazione
che dettano una precisa cadenza procedimentale;
ai consiglieri comunali, invece, è stata eccepita l’illegittimità
della condotta consistita nell’aver deliberato il
completo riconoscimento del debito fuori bilancio, ritenendo
che la prestazione resa dalla cooperativa fosse utile
nella sua interezza per l’ente, ancorché non fosse stata
individuata in forma scritta e nemmeno adeguatamente
pubblicizzata; da ultimo, il segretario comunale e` stato
raggiunto dall’addebito di aver espresso parere positivo
alla delibera consiliare.
La soluzione
La Corte dei conti, nel pronunciarsi sulla questione, ha
ritenuto di dover condannare solamente il sindaco,
assolvendo,
di contro, tutti gli altri convenuti.
Scrutando i vari tasselli della responsabilità
amministrativo-contabile, i giudici campani hanno rinvenuto la
responsabilità
del (solo) primo cittadino, muovendo tanto
dall’eziologia delle singole violazioni attribuite ai
convenuti,
quanto dall’elemento soggettivo soppesato secondo
precise scansioni temporali della vicenda.
In effetti, l’atteggiamento dei consiglieri e del segretario
comunale, pur giudicato dalla stessa Corte ‘‘discutibile e
grossolano’’, non è stato tale da assurgere al livello
della
‘‘grave colposità’’, sol che si consideri, come acutamente
sottolineato nella pronuncia, l’intento ultimo che aveva
indotto all’approvazione del debito fuori bilancio:
quello, cioè, di comporre una lite provocata
dall’iniziativa
(tutta arbitraria) del sindaco, incurante dei basilari
principi (non solo) di buona amministrazione, come tale
ritenuta causativa del danno per il 90% del suo ammontare.
Problemi e prospettive
Diverse le questioni affrontate dalla Corte dei conti con
la sentenza in esame.
In disparte rimangono le questioni meno spinose, tra le
quali si colloca l’individuazione, nel momento del
‘‘pagamento
della ditta privata’’, del dies a quo della prescrizione
per l’azione di responsabilità amministrativo-contabile,
come anche l’indagine in ordine alla violazione
della normativa volta all’imposizione degli impegni
contabili registrati a fronte di ogni spesa degli enti
locali,
fatto salvo, ovviamente, il disposto di cui all’art. 194,
rimasto comunque inapplicato nel caso di specie.
Merita particolare attenzione, invece, il passo
motivazionale
in ordine al delicato profilo del danno erariale sub
specie di ‘‘danno alla concorrenza’’.
Se è vero, infatti, che l’acquisizione dei beni e dei
servizi
da parte degli enti locali è legata a filo doppio con le
norme di contabilità che individuano in modo analitico
la procedura finanziaria da osservare allorché l’ente
decida
di procurarsi all’esterno una utilità della quale non
dispone, giova ancor prima tenere in debita considerazione
il peso specifico che il mancato ricorso alle procedure
ad evidenza pubblica può assumere nella genesi del
danno erariale.
Il principio della concorrenza, come acutamente osservato
dalla Corte, ‘‘deve presiedere le scelte
dell’Amministrazione
aventi ad oggetto qualsiasi commessa pubblica
di lavori, forniture e servizi’’. La lesione dei parametri
di imparzialità e buona amministrazione che si ricavano
dal principio evocato sono tali da provocare un
danno patrimoniale che concorre rectius si abbina, fin
da subito, a quello scaturente dalla mera violazione dei
canoni giuscontabilistici dovuto ad impegni assunti senza
la copertura finanziaria.
Ed invero, già in passato (Sez. giur. Lombardia, sentenza
n. 447/2006) la giurisprudenza contabile ha sostenuto
che la normativa in tema di evidenza pubblica, seppur
nata al fine di favorire l’economicità dell’azione
amministrativa,
riducendo gli sprechi della Amministrazione
e, quindi, i danni all’erario pubblico, ‘‘ha finito con il
diventare modus agendi tipico della pubblica
amministrazione,
in quanto modalità procedimentale idonea a
garantire il perseguimento non solo dei fini di economicità,
efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa,
ma altresì quelli di legalità, trasparenza e
responsabilità’’.
La stessa quantificazione del danno è incentrata, nel caso
di specie, sul valore differenziale ricavato dal raffronto
della procedura ad evidenza pubblica e l’affidamento
diretto, privo dei canoni della concorsualità. Non a caso, è ricorrente nella pronuncia il riferimento al ‘‘risparmio
di spesa che si sarebbe conseguito attivando una valida
procedura concorsuale’’; risparmio che, nello specifico,
in disaccordo rispetto alla prospettazione accusatoria, è
stato quantificato nel 5% dell’esborso sostenuto
dall’Amministrazione,
posto che si trattava di un appalto
di fornitura di servizi.
La pronuncia, che ben può essere estesa a tutte le
Amministrazione
soggette all’applicazione del Codice dei
contratti pubblici, offre una prospettiva di analisi che,
per certi versi, contribuisce ad arretrare la soglia di
responsabilità
degli amministratori pubblici, specialmente
per quelli, quali il sindaco di un comune, che godono di
maggiori poteri di iniziativa.
Si tratta di capire,
tuttavia,
entro quali limiti le violazioni della normativa a tutela
degli operatori economici possa essere estesa ai consiglieri
e al segretario comunale: stando alla sentenza in
epigrafe, dette figure parrebbero sollevati da ogni addebito
nei limiti in cui abbiano manifestato, perlomeno in
principio, un atteggiamento negativo in ordine alle stesse
violazioni; e tuttavia non può escludersi un orientamento
più rigorista della giurisprudenza, teso a sanzionare
ogni forma di sostegno, anche indiretto, di scelte
volte ad escludere i principi di imparzialità e trasparenza
dell’agere pubblico
(Corte dei Conti,
Sez. giurisd. Campania,
sentenza 31.01.2013
n. 141 -
commento tratto da Azienditalia, Enti Locali, n. 5/2013). |
APPALTI - CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Il risarcimento del danno erariale “da distrazione”.
Sussiste il danno erariale da
distrazione quando una amministrazione comunale,
beneficiaria di finanziamenti pubblici a destinazione
vincolata, utilizza gli stessi per scopi differenti rispetto
a quelli posti a base della richiesta di finanziamento, in
particolare per la realizzazione di opere diverse, anche se
aventi finalità istituzionali.
Il superficiale controllo, sebbene periodico, effettuato
dagli enti finanziatori, che abbia contribuito ad agevolare
i comportamenti amministrativi illeciti, determina un
concorso di responsabilità.
Il Sindaco, l’Assessore all’urbanistica e il responsabile
dell’area lavori pubblici di un Comune avevano chiesto un
finanziamento al Ministero dell’ambiente e alla Regione
Toscana al fine di effettuare opere di consolidamento e
ricostruzione di muri di contenimento nel centro storico del
paese, a seguito di dissesto idrogeologico. A tale scopo
avevano presentato al Ministero e alla Regione un progetto
preliminare delle opere da realizzarsi. Ottenuto il
finanziamento, lo stesso era utilizzato per la costruzione
di un parcheggio multipiano, in totale difformità rispetto
al progetto preliminare posto a base della richiesta.
La Corte dei conti ha condannato i trasgressori al
risarcimento del danno cd. “da distrazione”, con
conseguente restituzione delle somme finanziate, non
accogliendo le difese dei convenuti, i quali sostenevano
comunque la sussistenza di una finalità istituzionale nella
costruzione del parcheggio.
Tuttavia, considerato che parte delle opere realizzate
avevano anche una funzione di contenimento idrogeologico e
che l’omesso controllo (accertato in via incidentale) da
parte del Ministero e della Regione sulla regolare
esecuzione delle opere aveva agevolato la condotta illecita,
i magistrati contabili hanno decurtato l’obbligazione
risarcitoria dei responsabili (Corte dei Conti, Sez.
giurisdiz. Toscana,
sentenza 31.01.2013 n. 35 - commento tratto da
http://drasd.unipmn.it).
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MASSIMA
L’insieme delle argomentazioni di cui trattasi, premessa
la presenza o l’assenza di implicazioni di natura penale non
rilevanti in questa sede (se non come imput alla
presente indagine di responsabilità amministrativa
contabile) indica sicuramente la sussistenza di un livello
di colpa azionabile.
Al riguardo la giurisprudenza di questa
Corte si è più volte occupata dell’utilizzazione dei
pubblici finanziamenti non conforme alle destinazioni
impresse dalla legge o dall’amministrazione concedente,
ritenendo che la fattispecie all’esame costituisca ipotesi
di danno erariale (c.d. da distrazione).
Detta giurisprudenza costantemente è stata
confermata anche in tempi recenti
(Sez. III, 06.05.2009, n. 171 - Sez. III, 23.03.2009, n.
106) per cui il danno è stato considerato
proprio quello di avere distratto i fondi dall’utilizzazione
dei progetti presentati all’amministrazione
(cfr. altresì la copiosa giurisprudenza di primo grado
indicata in atto di citazione).
La medesima giurisprudenza ha peraltro
evidenziato che il carattere illecito della distrazione di
fondi a destinazione vincolata non è escluso dal fatto che i
fondi stessi siano stati utilizzati per altre finalità
istituzionali, potendosi, in tal caso, solo tenersi conto
degli eventuali vantaggi in sede di quantificazione del
danno (Sez. III,
12.10.2004, n. 542).
Peraltro la distrazione delle pubbliche
finanze dai fini impressi dalla legge è espressamente punita
anche dal codice penale (artt. 316-bis e 316-ter).
In sintesi la procedura di finanziamento,
come rilevato, lascia alcuni margini di
discrezionalità all’amministrazione richiedente
nell’indicare i luoghi e le soluzioni tecniche con cui
eliminare i problemi connessi al rischio idrogeologico ma
una volta indicati e prescelti ogni modifica è inibita
all’amministrazione ed in ogni caso deve essere portata a
conoscenza del Ministero che la deve valutare nuovamente
come conforme all’interesse generale e specifico della
tutela del territorio, revocando in caso contrario il
finanziamento.
Peraltro anche le
comunicazioni periodiche che il Comune inviava al Ministero
per informarlo sull’andamento dei lavori (All. 1, sub. 12,
nota dep. cit.) si limitavano a comunicare laconicamente gli
importi erogati a stato di avanzamento dei lavori senza
alcun ulteriore dettaglio.
La palese non conformità a norma di tali
comportamenti amministrativi doveva essere rilevata dalla
struttura ministeriale
(come dalla struttura regionale per la parte di propria
competenza) il cui silenzio è stato invece
superato solo da una indagine penale, partita per
irregolarità riscontrate nelle gare di affidamento dei
lavori finanziati con gli importi in contestazione.
In altri termini il Collegio ritiene che
gli omessi controlli periodici demandati ex lege al
Ministero dell’Ambiente ed alla Regione Toscana abbiano
agevolato i comportamenti amministrativi di cui trattasi,
incidendo anche sul volume del riflesso economico degli
stessi.
Per quanto sopra, in conformità all’indirizzo
giurisprudenziale già seguito da questa Sezione (Sent. n.
330 del 15.06.2012), dall’importo complessivo del danno
erariale contestato vanno detratte le quote teoricamente
ascrivibili al comportamento di soggetti non citati in
giudizio ma la cui responsabilità va accertata in via
incidentale (e, quindi, senza effetto di giudicato), al solo
fine di consentire al Collegio di parametrare la condanna
degli odierni citati in base al loro effettivo contributo
causale, tenuto conto che il danno non può farsi risalire
alla loro esclusiva responsabilità.
Tale quota può esser indicata in via equitativa nel 50% del
danno azionabile la cui determinazione, come già anticipato
in parte narrativa, ha richiesto l’adozione di una
consulenza tecnica d’ufficio il cui deliberato è stato
recepito da questo Collegio nei termini che seguono.
3. Danno erariale
In primo luogo mentre non paiono condivisibili (per tutte le
argomentazioni soprasvolte) le eccezioni difensive che
ipotizzano la non attualità del danno in quanto il Ministero
dell’Ambiente potrebbe pur sempre attivarsi per recuperare
gli importi nei confronti del Comune di Campagnatico oppure
l’inesistenza dello stesso per l’ipotizzata “legittimità”
della spesa, la richiesta di valutazione della utilitas
è stata invece (parzialmente) accolta dal Collegio.
La materia, ovviamente, per il tecnicismo della stessa ha
necessitato il ricorso ad un consulente esterno al quale
sono stati posti due distinti quesiti volti ad appurare il
valore delle opere realizzate e la quota parte delle stesse
cui possa attribuirsi una azione di “contenimento del
rischio idrogeologico”.
L’elaborato consegnato del perito, corredato da una ampia ed
esaustiva documentazione, dopo aver ripercorso le fasi
storiche del finanziamento, dalla richiesta alla
utilizzazione, ha valorizzato la quota utile di fini della
salvaguardia del territorio nei seguenti termini:
A) finanziamento ministeriale:
utilizzato per € 1.079.002,67 (al netto del saldo
disponibile di cassa pari ad € 90.997,33 potenzialmente a
disposizione del Ministero dell’Ambiente e non oggetto della
presente azione risarcitoria) di cui € 125.000,00 con
valenza ambientale ed un danno differenziale di €
954.002,67;
B) finanziamento regionale:
utilizzato per € 141.900,00 di cui € 105.000,00 con valenza
ambientale ed un danno differenziale di € 36.900,00.
Come già riportato, il Collegio condivide la tesi del CTU
(pagg. 64-67 dell’atto peritale) per la quale, diversamente
da quanto richiesto dai Consulenti di parte, l’utilitas
da detrarre postula un effetto “ambientale”
dell’opera principale (struttura adibita a futuro parcheggio
auto e terrazza calpestabile realizzata a contatto con mura
pericolanti) nei fatti piuttosto contenuto mentre l’opera
minore (muro di contenimento lungo la viabilità) per la
maggior parte può dirsi di concreto aiuto all’ambiente.
In altri e definitivi termini le opere
pubbliche (per
inciso oggi del tutto incomplete e inutilizzabili nonché
sotto sequestro per motivi di ordine penale)
sono state sì parzialmente realizzate ma con denaro
erogato e percepito con vincolo di destinazione all’interno
di una procedura “rigida”, nei fatti superata da una
progettazione esecutiva non solo difforme dalla preliminare
ma neppure ritualmente approvata dalla Amministrazione
centrale.
Sul punto poi il Consulente (pag. 56) indica anche
violazioni in ordine alla violazione della normativa
coinvolgente il Genio civile di Grosseto, situazione
paradossale trattandosi ovviamente di opere in cemento
armato.
A parte le considerazioni di cui sopra, come detto il 50%
dal danno può attribuirsi a soggetti non evocati in
giudizio, residua l’importo di € 477.001,33 a favore del
Ministero dell’Ambiente ed € 18.450,00 a favore della
Regione Toscana.
Ciò premesso a tutte le parte citate in giudizio possono
essere ascritte censure a titolo di colpa grave, sia pure
differentemente riscontrata nei seguenti termini.
4. Ripartizione danno erariale
A) El.PE. in qualità di Sindaco
ha adottato gli atti fondamentali delle procedure di
richiesta ed utilizzazione del finanziamento che,
considerate le dimensioni del Comune di Campagnatico e
l’entità delle opere realizzate, non può ritenersi un atto
di mera ordinaria amministrazione.
A prescindere dalle ipotetiche implicazioni penali, sul
piano prettamente amministrativo risultano essere stati
posti in essere comportamenti non in linea con una doverosa
corretta gestione amministrazione di denaro pubblico per cui
la quota maggiore del danno, individuabile nel 60%
dell’importo ascrivibile, deve essere addebitato al medesimo
(€ 477.001,33 x 60% = 286.200,79 a favore del Ministero ed €
36.900,00 x 60% = 22.140,00 a favore della Regione) per un
totale di € 308.340,79
B) Lu.GR. come Vice-sindaco Assessore
all’Urbanistica ha
partecipato alla adozione del progetto esecutivo
accettandone colpevolmente i contenuti che non potevano e
dovevano a lui sfuggire in virtù della natura del proprio
Assessorato.
Per inciso la deliberazione è stata assunta da una Giunta,
composta di soli tre soggetti, di cui uno era anche assente
per cui il provvedimento doveva e poteva essere idoneamente
attenzionato.
Al riguardo deve essere disattesa l’eccezione per cui
essendo le opere concretamente avviate anche parzialmente
diverse da quelle indicate nella progettazione, ne sarebbe
esclusa la responsabilità.
In realtà la progettazione esecutiva fin dall’inizio
contrastava con il solo progetto sottoposto al Ministero
dell’Ambiente, quello preliminare ed allora tale eccezione
può solo essere parzialmente accolta, ai fini della
limitazione percentuale del danno ascrivibile.
Per quanto sopra, sempre a titolo di colpa grave, il
convenuto può essere chiamato a rispondere del 20% del danno
(€ 477.001,33 x 20% = 95.400,27 a favore del Ministero ed €
36.900,00 x 60% = 7.380,00 a favore della Regione) per un
totale di € 102.780,27.
C) Em.BA. in quanto Responsabile della Area LL.PP.
non solo ha dato i previsti pareri sulla delibera di
adozione del progetto esecutivo ma ha altresì svolto le
funzioni di Direttore lavori e Responsabile unico del
procedimento (RUP) dell’opera finanziata per cui non poteva
non conoscere nel dettaglio le opere in via di
realizzazione.
Per quanto sopra, sempre a titolo di colpa grave, il
convenuto può essere chiamato a rispondere del 20% del danno
(€ 477.001,33 x 20% = 95.400,27 a favore del Ministero ed €
36.900,00 x 60% = 7.380,00 a favore della Regione) per un
totale di € 102.780,27.
Alla somma per cui è condanna, trattandosi di debito di
valore conseguente alla valutazione economica di parte del
manufatto pubblico in contestazione obbligazione
originariamente pecuniaria, vanno aggiunti la rivalutazione
monetaria e gli interessi secondo i criteri che seguono:
- la rivalutazione va calcolata secondo l’indice ISTAT dei prezzi
al consumo per le famiglie ed operai (FOI), a decorrere dal
fatto illecito che trattandosi di un unicum va indicato
nella data dell’ultima erogazione da parte del Ministero
(15.06.2006), fino alla pubblicazione della presente
sentenza;
- gli interessi legali vanno calcolati dalla stessa data sulla
somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con
riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la
predetta somma si incrementa nominalmente in base agli
indici ci rivalutazione monetaria (Cass. Sez. II n.
18028/2010 – Sez. III n. 4587/2009 – Sez. III n. 5671/2010 –
SS.UU. 1712/2005), fino al concreto soddisfo.
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono
altresì dovuti, sulla somma come sopra incrementata, gli
interessi nella misura del saggio legale fino all’effettivo
pagamento.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno, quindi,
poste a carico in quota percentuale delle parti convenute
condannate;
PER QUESTI MOTIVI
la Sezione giurisdizionale della Regione Toscana della Corte
dei conti, definitivamente pronunciando sul giudizio n.
57901/REL, in parziale conformità delle conclusioni del
Pubblico ministero
CONDANNA
A) El.PE. all’importo complessivo di € 308.340,79 (60% del totale)
di cui 286.200,79 a favore del Ministero dell’Ambiente ed
22.140,00 a favore della Regione Toscana;
B) Lu.GR. all’importo complessivo di € 102.780,27 (20% del totale)
di cui 95.400,27 a favore del Ministero dell’Ambiente ed
7.380,00 a favore della Regione Toscana;
C) Em.BA. all’importo complessivo di € 102.780,27 (20% del totale)
di cui 95.400,27 a favore del Ministero dell’Ambiente ed
7.380,00 a favore della Regione Toscana;
somme tutte cui vanno aggiunti gli interessi legali e la
rivalutazione monetarie secondo il criterio di calcolo
indicato in motivazione.
Segue la condanna al pagamento delle spese processuali che,
fino alla presente decisione, sono percentualmente liquidate
in € 2182,90 (Euro duemilacentottantadue/90).
Dispone infine il pagamento delle spese peritali,
quantificate in € 4.331,17 per rimborsi a piè di lista
omnicomprensivi e € 19.678,00 oltre IVA di legge per onorari
e spese (in totale € 28.145,55) a carico delle parti
condannate nelle rispettive quote di competenza, dedotti gli
eventuali acconti medio-tempore corrisposti. |
LAVORI PUBBLICI:
Enti locali –
Acquisto di immobili – Limiti introdotti dalla legge
di stabilità 2013 – Ambito di applicabilità.
L'art. 12, commi 1-ter e 1-quater, della Legge
15.07.2011 n. 111 (conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 06.07.2011 n. 98),
così recita: "1-ter.
A decorrere dal
01.01.2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa
ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di
stabilità interno, gli enti territoriali
e gli enti del Servizio sanitario nazionale
effettuano
operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano
comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità
attestate dal responsabile del procedimento.
La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del
demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette
operazioni è data preventiva notizia, con
l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo
pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente."
(comma introdotto dall'art. 1, comma 138, legge n.
228 del 2012)
"1-quater.
Per l’anno 2013
le amministrazioni pubbliche inserite nel conto
economico consolidato della pubblica amministrazione,
come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo
1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e
successive modificazioni, nonché le autorità
indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale
per le società e la borsa (CONSOB),
non possono acquistare
immobili a titolo oneroso
né stipulare contratti di locazione passiva salvo
che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la
locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni
più vantaggiose, la disponibilità di locali in
sostituzione di immobili dismessi ovvero per
continuare ad avere la disponibilità di immobili
venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali
pubblici e privati, per i quali restano ferme le
disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell’articolo 8
del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122. Sono
fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di
immobili già autorizzate con il decreto previsto dal
comma 1, in data antecedente a quella di entrata in
vigore del presente decreto".
(comma introdotto dall'art. 1, comma 138, legge n.
228 del 2012)
Dalla ratio della disposizione, consistente
nella necessità di consentire una riduzione della
complessiva spesa pubblica, consegue la necessità di
una sua ampia applicazione compatibilmente,
peraltro, con il tessuto ordinamentale in cui va ad
inserirsi.
Alla luce di quanto precede, la Sezione ritiene di
fornire le seguenti coordinate interpretative:
1) il divieto di acquistare immobili sancito
per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto
delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal
2014, si estende ad ogni tipo di immobile e non solo
ai fabbricati;
2) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche alle ipotesi di acquisto di
diritti reali su cosa altrui;
3) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche all’acquisizione di immobili per
la realizzazione di opere assistite da dichiarazione
di pubblica utilità;
4) le condizioni di cui sopra non devono ritenersi
applicabili all’acquisizione di immobili per la
realizzazione di opere assistite da dichiarazione di
pubblica utilità avviate prima del 01.01.2013 ma non
ancora concluse;
5) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche alle ipotesi di contratti
preliminari di compravendita stipulati prima del
01.01.2013;
6) il divieto di acquisto sancito per il 2013 si
applica anche ai diritti di prelazione, compresi
quelli aventi fonte legale;
7) gli enti locali, a partire dall’esercizio 2014,
potranno partecipare ad aste pubbliche per
l’acquisto di immobili ma le offerte presentate non
potranno superare il valore indicato
nell’attestazione di congruità del prezzo rilasciata
dall’Agenzia del Demanio.
---------------
... il Comune di Magliolo chiede di sapere:
1)
se il divieto di acquisto immobili sancito per il
2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle
condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014,
valga per ogni categoria di immobili come definiti
dall’art. 812 del codice civile, ovvero possa
intendersi limitato ai “fabbricati” (come
sembra evincersi dal riferimento ai “locali”
contenuto nel comma 1-quater);
2)
se il divieto di acquisto di immobili sancito per
il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle
condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014
valga solo per l’acquisto in proprietà, o anche per
l’acquisto di altri diritti reali;
3)
se il divieto di acquisto di immobili sancito per
il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle
condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014
valga anche per l’acquisizione (in particolare
terreni) per la realizzazione di opere assistite da
dichiarazione di pubblica utilità mediante decreto
di esproprio, cessione volontaria (ex art. 45 del
DPR 327/2001) o compravendita iure privatorum;
4)
quale sia la sorte delle acquisizioni assistite
da dichiarazioni di pubblica utilità (decreto di
esproprio, cessione volontaria -ex art. 45 del DPR
327/2001- o compravendita iure privatorum)
avviate prima del 01/01/2013 ma non ancora concluse;
5)
quale sia la sorte dei contratti preliminari di
compravendita stipulati prima del 01/01/2013 per i
quali non sia stato ancora stipulato il contratto
definitivo;
6)
come sia possibile conciliare il divieto di
acquisto sancito per il 2013, con l’esercizio di
diritti di prelazione (anche legale) da esercitarsi
entro termini perentori;
7)
come sia possibile conciliare l’acquisto di
immobili mediante partecipazione ad aste pubbliche
(ad es. nel caso di procedure fallimentari) con
l’obbligo di acquisire l’attestazione della
congruità del prezzo all’Agenzia del Demanio.
La soluzione dei vari quesiti deve ruotare intorno
al necessario rispetto della ratio dell’art.
1138 L. n. 228/2012, peraltro chiaramente espressa
al suo interno e consistente nella necessità di
consentire una riduzione della complessiva spesa
pubblica (<<al fine di pervenire a risparmi di
spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto
di stabilità interno>>). Ne consegue, per
rimanere fedeli alla voluntas legis, la
necessità di una sua ampia applicazione compatibile,
peraltro, con il tessuto ordinamentale in cui le
disposizioni de quibus vanno ad inserirsi.
Poiché il concetto di <<immobile>>,
come descritto dall’art. 812 c.c., ricomprende <<il
suolo, gli alberi, gli edifici e le altre
costruzioni anche se unite al suolo a scopo
transitorio>> appare evidente come l’ambito di
applicazione dell’articolo sopra menzionato non
possa essere limitata ai fabbricati in senso
stretto, ovvero al trasferimento del diritto di
proprietà, ma debba essere esteso anche ai terreni e
alle aree agricole.
La risposta al secondo quesito, relativo
all’estensione dei divieti o limitazioni
all’acquisto di diritti reali su cosa altrui è
direttamente fornita dall’art. 813 c.c. il quale
chiaramente stabilisce, come principio generale che
<<salvo che dalla legge risulti diversamente, le
disposizioni concernenti i beni immobili si
applicano anche ai diritti reali che hanno per
oggetto beni immobili e alle azioni relative>>.
Non avendo previsto l’art. 1 L.
cit. alcuna deroga, appare evidente l’applicazione
del medesimo anche a tale ultima ipotesi, in linea
del resto con l’esigenza di limitare al massimo
l’acquisto di diritti immobiliari.
Con riferimento all’acquisizione di immobili
accompagnati dalla dichiarazione di pubblica
utilità, di cui al terzo e quarto quesito,
occorre distinguere in base al principio tempus
regit actum l’ipotesi di una procedura
espropriativa –o alternativa all’esproprio– che si
perfezioni o meno nel 2013.
Preliminarmente, si deve ritenere
necessaria l’estensione dei divieti anche alle
procedure espropriative, che nel disegno del T.U.
08.06.2001 n. 327 dovrebbero divenire peraltro
residuali rispetto agli accordi di diritto pubblico,
in quanto nel caso contrario si consentirebbe, con
riferimento ai terreni, un’agevole possibilità di
eludere tali divieti stimolando la scelta di moduli
(e cioè gli espropri) che nel corso di questi anni
si sono sovente dimostrati inefficienti ed
inefficaci oltreché del tutto diseconomici.
L’art. 121-quater pone un divieto assoluto di
acquistare, a qualunque titolo, diritti immobiliari
nell’esercizio 2013, con la sola esclusione dei
contratti di locazione passiva nei limiti descritti
dal medesimo. Occorre però evitare che
l’applicazione pedissequa di tale divieto conduca al
risultato opposto rispetto a quello voluto dal
Legislatore. Infatti, mentre non
sembra porsi alcun problema in presenza della sola
dichiarazione di pubblica utilità, diversa è la
situazione, tutt’altro che infrequente, che la
medesima sia stata accompagnata dall’emissione,
antecedente al 01.01.2013, di un decreto di
occupazione d’urgenza dell’area preordinata
all’espropriazione con la contemporanea
corresponsione della relativa indennità.
In questo caso il procedimento è
giunto ad un livello tale (tempus regit actum)
da ritenere possibile e più soddisfacente alla
ratio finanziaria voluta dal Legislatore
condurlo a termine, anche con un possibile accordo
di cessione volontaria intervenuto nel frattempo,
piuttosto di lasciare ferma la situazione con una
complessiva perdita maggiore di denaro pubblico,
costituita dall’artificioso prolungamento del
periodo di occupazione rispetto all’immissione
definitiva nella proprietà da parte dell’ente.
Con riferimento agli esercizi
successivi al 2013, l’art. 121-ter L. cit.
–che prevede la possibilità di acquistare immobili
in caso di comprovata indispensabilità ed
indilazionabilità- ben giustifica
la conclusione dei procedimenti espropriativi in
corso sul presupposto che la loro instaurazione sia
stata giustificata proprio dalla necessità di
soddisfare interessi pubblici assolutamente primari.
In questo caso deve ritenersi che il parere di
congruità dell’Agenzia del Demanio debba richiedersi
per le sole cessioni volontarie in quanto il
riferimento testuale al <<prezzo>> mal si
attaglia ad una applicazione estensiva di tale
adempimento burocratico alla corresponsione della
sola indennità di esproprio.
Per quanto riguarda la concreta esecuzione dei
negozi preparatori di cui al quinto e sesto
quesito, si deve ritenere che
l’art. 121-quater introduca una fattispecie di
impossibilità giuridica sopravvenuta per factum
principis preclusiva all’esercizio dei diritti
di prelazione ed alla conclusione dei contratti
definitivi per l’anno 2013, laddove negli esercizi
successivi anche questa tipologia di acquisti
immobiliari dovrà soggiacere al requisito
dell’indispensabilità ed indilazionabilità.
Infine, sulla conciliabilità dell’<<acquisto di
immobili mediante partecipazione ad aste pubbliche
(ad es. nel caso di procedure fallimentari) con
l’obbligo di acquisire l’attestazione della
congruità del prezzo all’Agenzia del Demanio>>,
si può ritenere, in via
interpretativa che il Comune possa partecipare alle
aste nei limiti della congruità del prezzo fissata
dall’Agenzia del Demanio, essendogli precluso
rilanciare offerte che superino tale soglia.
Pertanto, in conclusione, la Sezione ritiene che:
1) il divieto di acquistare
immobili sancito per il 2013, e l’acquisto
condizionato al rispetto delle condizioni di cui al
comma 1-ter sancito dal 2014 si estende ad ogni tipo
di immobile e non solo ai fabbricati;
2) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche alle ipotesi di acquisto di
diritti reali su cosa altrui;
3) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche all’acquisizione di immobili per
la realizzazione di opere assistite da dichiarazione
di pubblica utilità;
4) le condizioni di cui sopra non devono ritenersi
applicabili all’acquisizione di immobili per la
realizzazione di opere assistite da dichiarazione di
pubblica utilità avviate prima del 01.01.2013 ma non
ancora concluse;
5) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche alle ipotesi di contratti
preliminari di compravendita stipulati prima del
01.01.2013;
6) il divieto di acquisto sancito per il 2013 si
applica anche ai diritti di prelazione, compresi
quelli aventi fonte legale;
7) gli enti locali, a partire dall’esercizio 2014,
potranno partecipare ad aste pubbliche per
l’acquisto di immobili ma le offerte presentate non
potranno superare il valore indicato
nell’attestazione di congruità del prezzo rilasciata
dall’Agenzia del Demanio
(Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria,
parere 31.01.2013 n. 9). |
LAVORI PUBBLICI:
Imposta di bollo su elaborati, atti e documenti attinenti ai
lavori pubblici.
L'applicazione dell'imposta di bollo
alle diverse tipologie di elaborati, atti e documenti
concernenti l'appalto di lavori pubblici è stata
puntualmente chiarita dall'Agenzia delle entrate con
risoluzione 27.03.2002, n. 97/E, cui occorre ancora fare
riferimento per stabilire quali scontino l'imposta sin
dall'origine e quali in caso d'uso.
In virtù di alcune previsioni contenute nel D.P.R. 642/1972,
gli atti e i documenti devono essere redatti su carta uso
bollo, ovvero nel rispetto delle caratteristiche proprie di
tale tipo di carta, al fine di provvedere al corretto
pagamento dell'imposta.
Il Comune pone due quesiti in ordine all'assoggettamento
all'imposta di bollo di elaborati, atti e documenti
attinenti all'appalto di lavori pubblici, chiedendo,
specificatamente:
1) se si ritenga corretta l'individuazione, operata
dall'Ente, dei documenti [1] che dovrebbero scontare
l'imposta sin dall'origine;
2) se i documenti da assoggettare all'imposta di bollo
(tanto sin dall'origine, quanto in caso d'uso) debbano
essere stampati su carta uso bollo (o, comunque, rispettare
i parametri di tale carta per numero di righe e caratteri,
ecc., così come avviene per i contratti), al fine di poterli
bollare correttamente.
Occorre, anzitutto, evidenziare che la materia oggetto di
esame ricade nell'ambito dell'esclusiva competenza
legislativa statale. Ciò implica che l'apporto che questo
Ufficio può fornire sulle questioni poste è necessariamente
limitato alla ricognizione degli atti interpretativi
emanati, al riguardo, dall'Agenzia delle entrate, cui
codesto Ente dovrebbe rivolgersi direttamente per acquisire
le indicazioni relative agli aspetti eventualmente non
ancora trattati dalla medesima.
Un tanto premesso, si rappresenta che, in ordine al primo
quesito posto dal Comune, l'Agenzia delle entrate si è
dettagliatamente espressa con
risoluzione 27.03.2002 n. 97/E, il cui contenuto è
stato confermato con la più recente
risoluzione 23.03.2009 n. 74/E [2], pur riguardando,
quest'ultima, il diverso ambito dell'applicabilità
dell'imposta di bollo agli elaborati tecnici allegati alla
concessione edilizia.
Con la predetta risoluzione n. 97/E/2002 l'Amministrazione
finanziaria ha chiarito il corretto trattamento tributario,
ai fini dell'imposta di bollo, di una serie di atti e
documenti formati nell'esecuzione di contratti pubblici di
appalto [3], nei termini che seguono.
Quanto al contratto di appalto e ad eventuali atti
aggiuntivi [4], ai capitolati d'oneri [5] e al verbale di
concordamento nuovi prezzi [6], l'Agenzia ha affermato che,
in considerazione della natura e del contenuto che li
contraddistingue, essi devono essere assoggettati ad imposta
di bollo fin dall'origine, ai sensi degli artt. 1 e 2 della
tariffa, parte I [7], allegata al decreto del Presidente
della Repubblica 26.10.1972, n. 642.
Con riferimento agli ulteriori atti e documenti elencati
nella richiesta di chiarimento interpretativo, l'Agenzia ha
richiamato le pertinenti disposizioni normative atte a
definirne natura e contenuto [8], nonché l'art. 110, comma 1
[9], del decreto del Presidente della Repubblica 21.12.1999,
n. 554, le cui previsioni sono state trasfuse (con
integrazioni) nell'art. 137, comma 1 [10], del decreto del
Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207, ove sono
individuati gli atti che formano parte integrante del
contratto e che devono essere richiamati nello stesso.
È stato, quindi, affermato che, per stabilire l'imposta di
bollo dovuta sui documenti elencati da tale norma, occorre
accertare se essi «siano riconducibili tra le tipologie
alternative di seguito precisate:
- 'Scritture private contenenti convenzioni o dichiarazioni
anche unilaterali, con le quali si creano, si modificano, si
estinguono, si accertano o si documentano rapporti giuridici
di ogni specie, descrizioni, constatazioni e inventari
destinati a far prova tra le parti che li hanno
sottoscritti', individuati dall'articolo 2 della tariffa,
allegato A, parte prima del d.P.R. 642 del 1972, per le
quali è dovuta l'imposta di bollo fin dall'origine di €
10,33 (lire 20.000) [11] per ogni foglio;
- 'Tipi, disegni, modelli, piani, dimostrazioni, calcoli ed
altri lavori degli ingegneri, architetti, periti, geometri e
misuratori;...', individuati dall'articolo 28 della tariffa,
allegato A, parte seconda [12] del d.P.R. 642 del 1972, per
i quali è dovuta l'imposta di bollo in caso d'uso di € 0,31
(lire 600) [13] per ogni foglio o esemplare.».
Sulla scorta di tali indicazioni, l'Agenzia ha ritenuto,
che:
1) i documenti individuati alle lett. a), b), d) ed f)
dell'art. 110, comma 1, del D.P.R. 554/1999 (i capitolati
generale e speciale, l'elenco prezzi unitari ed il
cronoprogramma), non avendo i requisiti necessari per
l'applicazione dell'art. 28 della tariffa, parte seconda,
ricadono nell'ambito dell'art. 2 della tariffa, parte prima,
giacché disciplinano particolari aspetti del contratto[14] e
sono, pertanto soggetti all'imposta di bollo fin
dall'origine;
2) gli elaborati grafici progettuali (lett. c) [15] ed i
piani di sicurezza (lett. e) ricadono, invece, nell'ambito
della previsione di cui all'art. 28 della tariffa, parte
seconda, che riguarda la documentazione tecnica propriamente
riconducibile alle categorie di professionisti ivi
individuate;
3) gli ulteriori documenti (processo verbale di consegna;
verbale di sospensione e di ripresa lavori; certificato di
ultimazione lavori; determinazione ed approvazione dei nuovi
prezzi non contemplati nel contratto; libretto di misura dei
lavori e delle provviste; certificato di collaudo;
certificato di regolare esecuzione), che attengono al
rispetto delle prescrizioni contrattuali nell'esecuzione dei
lavori e, pertanto, si caratterizzano per l'incidenza che
producono sui rapporti contrattuali intercorrenti tra le
parti, vanno ascritti nell'ambito delle tipologie previste
dall'art. 2 della tariffa, parte prima, con applicazione
dell'imposta di bollo fin dall'origine.
Quanto ai documenti amministrativi contabili per
l'accertamento dei lavori e delle somministrazioni in
appalto (giornale dei lavori; libretto delle misure; lista
settimanale; registro di contabilità; sommario del registro
di contabilità; stato di avanzamento; certificato per il
pagamento di rate; conto finale dei lavori)
l'Amministrazione finanziaria ha affermato che essi non sono
riconducibili alla previsione dell'art. 28 della tariffa,
parte seconda, per carenza delle peculiarità tecniche dei
documenti ivi individuati e devono, pertanto, essere
assoggettati alla disciplina dell'art. 32[16] della stessa
tariffa, che prevede il pagamento dell'imposta di bollo in
caso d'uso di € 10,33 [17] per ogni esemplare dell'atto,
documento o altro scritto e per ogni cento pagine o frazione
di cento pagine o del relativo estratto.
Si ritiene doveroso segnalare, per completezza di
argomentazione, che l'art. 137 del D.P.R. 207/2010,
innovando la precedente previsione di cui all'art. 110 del
D.P.R. 554/1999, che non contemplava alcunché al riguardo,
dispone, al comma 3, che «I documenti elencati al comma 1
[18] possono anche non essere materialmente allegati, fatto
salvo il capitolato speciale e l'elenco prezzi unitari,
purché conservati dalla stazione appaltante e controfirmati
dai contraenti.».
Ne consegue che, della documentazione che costituisce 'parte
integrante' del contratto, solo il capitolato speciale e
l'elenco prezzi unitari devono essere concretamente allegati
allo stesso, essendo riconosciuta la facoltà della stazione
appaltante di omettere l'allegazione dei restanti documenti,
a condizione che questi siano conservati
dall'amministrazione e controfirmati dai contraenti.
Infine, circa la questione concernente l'eventuale obbligo
di redigere gli atti su carta uso bollo, o, quantomeno, nel
rispetto delle caratteristiche proprie di tale tipo di
carta, al fine di provvedere al pagamento dell'imposta nei
termini di legge, si risponde affermativamente, nella
considerazione delle previsioni contenute nell'art. 4,
secondo comma [19], nell'art. 5, primo comma, lett. a) [20]
e secondo comma[21], nell'art. 9, primo [22] e secondo comma
[23] e nell'art. 10, primo comma [24], del D.P.R. 642/1972.
---------------
[1] Capitolato speciale d'appalto; elenco prezzi unitari;
cronoprogramma; processo verbale di consegna lavori; verbali
di sospensione e ripresa lavori; certificato e verbale di
ultimazione lavori; determinazione ed approvazione dei nuovi
prezzi non contemplati nel contratto; verbali di
constatazione delle misure; certificato di collaudo;
certificato di regolare esecuzione.
[2] Nella quale viene richiamata anche la risoluzione
30.03.1995, n. 78, ove era già stato affermato che gli atti
e i documenti di natura tecnica indicati nell'art. 28 della
tariffa (allegato A), parte seconda, annessa al D.P.R.
642/1972, sono sempre assoggettati all'imposta di bollo in
caso d'uso, in quanto non perdono la loro particolare natura
di 'scritti tecnici', anche se sono allegati o costituiscono
parte integrante di atti soggetti all'imposta di bollo sin
dall'origine.
[3] Contratto di appalto ed eventuali atti aggiuntivi;
capitolati di oneri e relative tariffe; verbale di
concordamento nuovi prezzi; progetti, disegni, computi
metrici, relazioni tecniche, planimetrie; piano di
sicurezza; tariffe; giornale del direttore dei lavori;
verbali di consegna, di sospensione, di ripresa e di
ultimazione lavori; verbali di constatazione delle misure,
libretto delle misure, note settimanali, registro delle
misure, certificati di acconto, conto finale; certificato di
collaudo e certificato di regolare esecuzione.
[4] Atti rogati, ricevuti o autenticati da notai o da altri
pubblici ufficiali (v. art. 1 della tariffa).
[5] Atti contenenti le condizioni negoziali dei contratti di
un determinato genere ovvero di un singolo contratto di
appalto (v. art. 2 della tariffa).
[6] Dichiarazione diretta a modificare un preesistente
rapporto giuridico (v. art. 2 della tariffa).
[7] «Atti, documenti e registri soggetti all'imposta fin
dall'origine».
[8] Relativamente alle previsioni concernenti i piani di
sicurezza ed il piano operativo, già contenute nell'art. 31
della L. 109/1994 e negli artt. 4 e 10 del D.Lgs. 494/1996
v., ora, rispettivamente, l'art. 131 del D.Lgs. 163/2006 e
gli artt. 91 e 98 del D.Lgs. 81/2008.
[9] «Sono parte integrante del contratto e devono in esso
essere richiamati: a) il capitolato generale; b) il
capitolato speciale; c) gli elaborati grafici progettuali;
d) l'elenco dei prezzi unitari; e) i piani di sicurezza
previsti dall'articolo 31 della Legge; f) il cronoprogramma.».
[10] «Sono parte integrante del contratto, e devono in esso
essere richiamati: a) il capitolato generale, se menzionato
nel bando o nell'invito; b) il capitolato speciale; c) gli
elaborati grafici progettuali e le relazioni; d) l'elenco
dei prezzi unitari; e) i piani di sicurezza previsti
dall'articolo 131 del codice; f) il cronoprogramma; g) le
polizze di garanzia.».
[11] Attualmente € 14,62.
[12] «Atti, documenti e registri soggetti all'imposta in
caso d'uso».
[13] Attualmente € 0,52.
[14] Termine entro il quale devono essere ultimati i lavori,
responsabilità ed obblighi dell'appaltatore, modi di
riscossione dei corrispettivi dell'appalto, indicazione dei
tempi massimi di svolgimento delle varie fasi di esecuzione.
[15] Quali disegni, computi metrici, relazioni tecniche e
planimetrie.
[16] «Atti per i quali non sono espressamente previsti il
pagamento dell'imposta o l'esenzione».
[17] Attualmente € 14,62.
[18] V. nota n. 10.
[19] «La carta bollata, esclusa quella per cambiali, deve
essere marginata e contenere cento linee per ogni foglio.».
[20] «Agli effetti del presente decreto e delle annesse
Tariffa e Tabella: a) il foglio si intende composto da
quattro facciate, la pagina da una facciata; [...]».
[21] «Per i tabulati meccanografici l'imposta è dovuta per
ogni 100 linee o frazione di 100 linee effettivamente
utilizzata.».
[22] «Sulla carta bollata non si può scrivere fuori dei
margini né eccedere il numero delle linee in essa tracciate.
Nei margini del foglio possono apporsi sottoscrizioni ed
annotazioni, visti, vidimazioni, numerazioni e bolli
prescritti o consentiti da leggi o regolamenti.».
[23] «Per gli atti e documenti scritti a mezzo stampa,
litografia o altri analoghi sistemi è consentito, in deroga
al disposto del precedente comma, scrivere fuori dei
margini, fermo peraltro il divieto di eccedere le 100 linee
per foglio.».
[24] «Nei casi in cui il pagamento dell'imposta di bollo in
modo straordinario o virtuale sia sostitutivo o alternativo
di quello ordinario si osservano i limiti stabiliti dagli
artt. 4 e 9 circa il numero delle linee di ciascun foglio.»
(30.01.2013 - link a www.regione.fvg.it). |
LAVORI PUBBLICI: Circolare
esplicativa per l'attuazione da parte dei gestori delle
gallerie stradali degli adempimenti amministrativi
introdotti dal Nuovo Regolamento di semplificazione di
Prevenzioni Incendi, emanato con il D.P.R. 151/2011
(Ministero dell'Interno e Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti,
circolare 29.01.2013 n. 1). |
APPALTI:
Fra le cause di
esclusione dalle gare pubbliche devono essere ricomprese,
oltre alle ipotesi previste dall’art. 2359 del c.c., anche
quelle non codificate di collegamento sostanziale le quali,
attestando la riconducibilità dei soggetti partecipanti alla
selezione ad un unico centro decisionale, causano o possono
causare la vanificazione dei principi generali in tema di
par condicio, segretezza delle offerte e trasparenza della
competizione, risultando ininfluente che la rilevanza del
collegamento sia stata o meno esplicitata nel bando di gara:
in tal modo si intende evitare il rischio di ammettere alla
gara soggetti che, in quanto legati da stretta comunanza di
interessi caratterizzata da una certa stabilità, non sono
ritenuti, proprio per tale situazione, capaci di formulare
offerte caratterizzate dalla necessaria indipendenza,
serietà ed affidabilità, coerentemente ai principi di
imparzialità e buon andamento cui deve ispirarsi l'attività
della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 97 della
Costituzione.
Anche a prescindere dall'inserimento di un'apposita clausola
nel bando, in presenza di indizi gravi, precisi e
concordanti attestanti la provenienza delle offerte da un
unico centro decisionale, è consentita l’esclusione delle
imprese (benché non si trovino in situazione di controllo ex
art. 2359 del c.c.) poiché altrimenti sarebbe facile eludere
la descritta norma imperativa posta a tutela della
concorrenza e della regolarità delle procedure di gara.
In linea di diritto, dunque, l’art. 10, comma 1-bis, della
L. 109/1994 –applicabile ratione temporis alla fattispecie
dedotta in giudizio (il quale vietava la partecipazione alle
gare d'appalto per la realizzazione di lavori pubblici alle
imprese in situazione di collegamento ai sensi dell'art.
2359 c.c.)– non può qualificarsi alla stregua di
disposizione tassativa di stretta interpretazione,
preclusiva dell'individuazione di fattispecie ulteriori di
collegamento sostanziale tra imprese, che siano lesive del
principio di segretezza delle offerte e dunque falsino la
competizione e violino la par condicio tra le partecipanti
alla gara.
---------------
L’esistenza di un unico centro di interesse tra due (o più)
soggetti distinti, tale da consentire uno scambio di
informazioni, esige significativi elementi rilevatori di un
collegamento sostanziale tra le imprese, da provare in
concreto enucleando elementi oggettivi concordanti
suscettibili di generare il pericolo per i principi di
segretezza, serietà delle offerte e par condicio dei
concorrenti.
Tale impostazione si rivela in linea con le statuizioni
della Corte di giustizia, ad avviso della quale una
normativa basata su una presunzione assoluta secondo cui le
diverse offerte presentate per un medesimo appalto da
imprese collegate si sarebbero necessariamente influenzate
l’una con l’altra, viola il principio di proporzionalità, in
quanto non lascia a tali imprese la possibilità di
dimostrare che, nel loro caso, non sussistono reali rischi
di insorgenza di pratiche atte a minacciare la trasparenza e
a falsare la concorrenza tra gli offerenti.
Le amministrazioni aggiudicatrici hanno il compito di
accertare se il rapporto di controllo in questione abbia
esercitato un’influenza sul contenuto delle rispettive
offerte depositate dalle imprese interessate nell’ambito di
una stessa procedura selettiva: la constatazione di
un’influenza siffatta, in qualunque forma, è sufficiente per
escludere tali imprese dalla procedura di cui trattasi.
Secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, fra le cause di esclusione dalle gare
pubbliche devono essere ricomprese, oltre alle ipotesi
previste dall’art. 2359 del c.c., anche quelle non
codificate di collegamento sostanziale le quali, attestando
la riconducibilità dei soggetti partecipanti alla selezione
ad un unico centro decisionale, causano o possono causare la
vanificazione dei principi generali in tema di par condicio,
segretezza delle offerte e trasparenza della competizione,
risultando ininfluente che la rilevanza del collegamento sia
stata o meno esplicitata nel bando di gara (Consiglio di
Stato, sez. V – 18/07/2012 n. 4189; sez. V – 06/04/2009 n.
2139): in tal modo si intende evitare il rischio di
ammettere alla gara soggetti che, in quanto legati da
stretta comunanza di interessi caratterizzata da una certa
stabilità, non sono ritenuti, proprio per tale situazione,
capaci di formulare offerte caratterizzate dalla necessaria
indipendenza, serietà ed affidabilità, coerentemente ai
principi di imparzialità e buon andamento cui deve ispirarsi
l'attività della pubblica amministrazione ai sensi dell'art.
97 della Costituzione.
Anche a prescindere dall'inserimento di un'apposita
clausola nel bando, in presenza di indizi gravi, precisi e
concordanti attestanti la provenienza delle offerte da un
unico centro decisionale, è consentita l’esclusione delle
imprese (benché non si trovino in situazione di controllo ex
art. 2359 del c.c.) poiché altrimenti sarebbe facile eludere
la descritta norma imperativa posta a tutela della
concorrenza e della regolarità delle procedure di gara
(Consiglio di Stato, sez. VI – 17/02/2012 n. 844).
In linea di diritto, dunque, l’art. 10, comma 1-bis, della L.
109/1994 –applicabile ratione temporis alla fattispecie
dedotta in giudizio (il quale vietava la partecipazione alle
gare d'appalto per la realizzazione di lavori pubblici alle
imprese in situazione di collegamento ai sensi dell'art.
2359 c.c.)– non può qualificarsi alla stregua di
disposizione tassativa di stretta interpretazione,
preclusiva dell'individuazione di fattispecie ulteriori di
collegamento sostanziale tra imprese, che siano lesive del
principio di segretezza delle offerte e dunque falsino la
competizione e violino la par condicio tra le partecipanti
alla gara (Consiglio di Stato, sez. VI – 08/05/2012 n. 2657).
La successiva evoluzione normativa e giurisprudenziale –seppur non direttamente applicabile
ratione temporis–
conferma la correttezza delle conclusioni raggiunte.
Il Codice dei contratti pubblici –che ha sostituito, tra
l'altro, la L. 109/1994– ha recepito il consolidato
orientamento della giurisprudenza in relazione al
collegamento sostanziale, prevedendolo, inizialmente, come
causa di esclusione che si aggiunge al collegamento formale
di cui all’art. 2359, quando vi sia la prova, sulla base di
univoci elementi, che due o più offerte siano riconducibili
ad un unico centro decisionale (art. 34, comma 2).
Attualmente il D.Lgs. 163/2006 contempla come causa di
esclusione “una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la
situazione di controllo o la relazione comporti che le
offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”, da
accertare ad opera della stazione appaltante sulla base di
“univoci elementi” (cfr. art. 38, comma 1, lett. m-quater, e
comma 2 del D. Lgs. 163/2006, come modificato dal D.L.
25/09/2009 n. 135 conv. in L. 20/11/2009 n. 166).
L’esistenza di un unico centro di interesse tra due (o
più) soggetti distinti, tale da consentire uno scambio di
informazioni, esige significativi elementi rilevatori di un
collegamento sostanziale tra le imprese, da provare in
concreto enucleando elementi oggettivi concordanti
suscettibili di generare il pericolo per i principi di
segretezza, serietà delle offerte e par condicio dei
concorrenti (Consiglio di Stato, sez. V – 19/06/2012 n.
3559).
Tale impostazione si rivela in linea con le statuizioni
della Corte di giustizia (sentenza 19/05/2009 - causa
C-538/2007), ad avviso della quale una normativa basata su
una presunzione assoluta secondo cui le diverse offerte
presentate per un medesimo appalto da imprese collegate si
sarebbero necessariamente influenzate l’una con l’altra,
viola il principio di proporzionalità, in quanto non lascia
a tali imprese la possibilità di dimostrare che, nel loro
caso, non sussistono reali rischi di insorgenza di pratiche
atte a minacciare la trasparenza e a falsare la concorrenza
tra gli offerenti (punto 30). Le amministrazioni
aggiudicatrici hanno il compito di accertare se il rapporto
di controllo in questione abbia esercitato un’influenza sul
contenuto delle rispettive offerte depositate dalle imprese
interessate nell’ambito di una stessa procedura selettiva:
la constatazione di un’influenza siffatta, in qualunque
forma, è sufficiente per escludere tali imprese dalla
procedura di cui trattasi (punto 32)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 28.01.2013 n. 94 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Pagamenti in 30-60
giorni senza alcuna discriminazione.
La risposta ministeriale alle associazioni di
settore: direttiva applicabile ai lavori pubblici.
I nuovi termini di pagamento nelle transazioni commerciali
previsti del dlgs 192/2012 (entro 30 giorni, prorogabili
fino a 60 solo in casi particolari) si applicano a tutti i
settori produttivi. Lavori pubblici compresi.
Lo ha chiarito
ufficialmente una
nota congiunta 23.01.2013 n. 1293 di prot. dei ministeri dello
sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti,
emanata mercoledì scorso.
I dubbi riguardavano soprattutto il settore dei lavori
pubblici, già escluso dalla portata della precedente
direttiva europea in materia (la n. 2000/35/Ce, recepita nel
nostro paese dal dlgs 231/2002). Tale lettura nasceva
dall'espresso riferimento, operato tanto dalla fonte
comunitaria quanto dal provvedimento interno di recepimento,
quali possibili oggetto delle transazioni commerciali
esclusivamente alla consegna di «merci» o alla prestazione
di «servizi», il che portava a escludere i contratti di
lavori. In tal senso, si era espressa anche l'Autorità
garante dei lavori pubblici con la determinazione n. 5 del
27.03.2002. La stessa relazione illustrativa al dlgs
231/2002, del resto, demandava a un apposito intervento
legislativo (finora mai effettuato) l'adeguamento della
disciplina degli appalti pubblici di lavori.
Per superare questo «doppio binario», nella nuova direttiva
(la n. 2011/7/Ue) è stato inserito un nuovo «considerando»,
che recita: «La fornitura di merci e la prestazione di
servizi dietro corrispettivo a cui si applica la presente
direttiva dovrebbero anche includere la progettazione e
l'esecuzione di opere ed edifici pubblici, nonché i lavori
di ingegneria civile».
Tuttavia, il dlgs 192 non ha espressamente accolto tale
indicazione e, per di più, si è limitato a modificare il
precedente dlgs 231, senza sostituirlo integralmente.
A sgombrare il campo da equivoci è ora intervenuta la
circolare ministeriale, fortemente sollecitata dagli
operatori del settore (fra i più colpiti dai ritardi nei
pagamenti da parte della p.a.), anche con la presentazione,
lo scorso mese di novembre, di un position paper. Nei giorni
scorsi, sul tema era nuovamente intervenuta l'Ance con un
proprio documento (si veda ItaliaOggi del 22 gennaio) che ha
in gran parte anticipato i contenuti della stessa circolare.
Del resto, la tesi dell'applicazione generale della nuova
disciplina è stata autorevolmente sostenuta anche dal
commissario europeo per l'industria e l'imprenditoria (e
vicepresidente della Commissione Ue) Antonio Tajani, che
aveva formalmente chiesto al governo di intervenire sul
punto. Nella lettera (inviata al ministro per lo sviluppo
economico, Corrado Passera, poco prima di Natale), peraltro,
si evidenziano anche altri aspetti critici della normativa
italiana, che andranno corretti.
Oltre alla questione (ora risolta) dell'ambito di
applicazione, infatti, Tajani ha anche contestato l'indebita
estensione e la genericità delle deroghe all'obbligo per la
p.a. di pagare a 30 giorni: secondo la direttiva, ciò
potrebbe essere previsto solo a favore degli enti pubblici
che forniscono assistenza sanitaria, solo a determinate
condizioni e fino a un massimo di 60 giorni. Viceversa, il
dlgs 192 lo consente a tutte le p.a. quando ciò sia
giustificato dalla natura o dall'oggetto del contratto o
dalle circostanze esistenti al momento della sua
conclusione: una formulazione effettivamente troppo
generica, che favorisce tentativi di elusione e quindi
rischia di ingenerare contenzioso. Manca, inoltre, una
previsione che precisi che i termini vanno computati in
giorni di calendario, domeniche comprese. Da rivedere
infine, le tutele giurisdizionali, anche con la previsione
di procedure accelerate, a prescindere dall'importo del
debito.
Su questi punti, la palla passa ora al prossimo governo, che
dovrà intervenire con tempestività per scongiurare il
rischio di incappare in una procedura di infrazione
comunitaria.
---------------
Gli effetti della direttiva sul codice contratti.
L'estensione del dlgs 192 al settore dei lavori pubblici,
ora espressamente riconosciuta dal governo (si veda
l'articolo nella pagina precedente), comporta alcune
rilevanti modifiche al codice dei contratti (dlgs 163/2006)
e al relativo regolamento di esecuzione e attuazione (dpr
207/2010).
Come noto, il nuovo art. 4, comma 2, del dlgs 231/2002
stabilisce per i pagamenti da parte della p.a. il termine di
30 giorni decorrenti, secondo le circostanze, dalla data
della prestazione, ovvero dalla data di ricevimento della
fattura o dalla data della verifica della prestazione. A
questo proposito, il successivo comma 6 prevede che, laddove
sia prevista una procedura diretta ad accertare il corretto
adempimento del contratto, essa non può avere una durata
superiore a 30 giorni dalla data della prestazione. In
sostanza, dunque, la nuova normativa prevede un termine di
30 giorni per la verifica delle prestazioni effettuate e un
termine di pari durata per le operazioni di pagamento.
Nel sistema delineato dal dpr 207/2010, la verifica della
conformità della prestazione al contratto, che si esplicita
essenzialmente nella verifica della conformità dei lavori
eseguiti al progetto, viene effettuata progressivamente, ai
sensi dell'art. 185, dal direttore dei lavori che li
certifica sui libretti delle misure in contraddittorio con
l'esecutore e li riporta successivamente sul registro di
contabilità. Rispetto a tale attività di verifica,
l'emanazione dello Stato avanzamento lavori (Sal) assume un
carattere ricognitivo (art. 194). La fase di verifica si
conclude con il rilascio da parte del responsabile del
procedimento del certificato di pagamento che costituisce
l'atto di liquidazione del credito (art. 195).
Al riguardo, la circolare ministeriale chiarisce che, in
base alla normativa sopravvenuta, tale fase non può avere
una durata superiore a 30 giorni dalla data della
prestazione e cioè dalla data in cui dalla contabilizzazione
risulta che i lavori hanno raggiunto l'importo
contrattualmente previsto per il pagamento. Pertanto, il
termine speciale di 45 giorni indicato dall'art. 143, comma
1, primo periodo, del regolamento è da intendersi sostituito
con quello ordinario di 30 giorni.
Discorso analogo vale per il termine di 90 giorni dal
collaudo fissato dall'art. 143, comma 2, del regolamento per
il pagamento del saldo, anch'esso da ritenersi sostituito
con quello ordinario di 30 giorni.
Secondo la circolare, è ancora possibile, tuttavia, pattuire
contrattualmente termini più lunghi, purché non superiori,
nel primo caso, a 45 giorni e nel secondo caso a 60. Di
diverso avviso l'Ance, secondo cui un temine più elevato per
la fase di verifica sarebbe ingiustificato e dunque iniquo
per il creditore, giacché la verifica relativa alla
conformità al progetto dei lavori eseguiti è effettuata in
modo progressivo dal direttore dei lavori e sostanzialmente
esaurita nel momento in cui i dati vengono riportati sul
registro di contabilità e da questo viene estratto lo stato
di avanzamento lavori, mentre le operazioni di verifica
effettuate dal responsabile del procedimento si sostanziano
essenzialmente nella richiesta del Durc. Più in generale,
valgono le perplessità già evidenziate nell'articolo nella
pagina precedente sulla legittimità delle deroghe previste
dal diritto interno rispetto al testo della direttiva.
È invece ancora applicabile il termine di 30 giorni previsto
dall'art. 143, comma 1, secondo periodo, del regolamento per
il pagamento delle rate di acconto e decorrente
dall'emissione del certificato di pagamento, in quanto
coincidente con quello fissato da citato art. 4, comma 2,
del dlgs 231.
---------------
Sale il conto degli interessi.
In base al dlgs 192, in caso di ritardato pagamento, scatta
(senza necessità di costituzione in mora) l'obbligo per il
debitore di corrispondere gli interessi ad un saggio pari al
tasso Bce (per il semestre in corso, lo 0,75%, come da
comunicato del Mef pubblicato sulla G.U. n. 14 del 17.01.2013), maggiorato dell'8%.
Anche in tal caso, rispetto al settore dei lavori pubblici,
la nuova disciplina ha tacitamente abrogato quella
previgente, prevista dall'art. 144, commi 2 e 3, del dpr
207/2010. In base a tali disposizioni, nei primi 60 giorni
di ritardo nel pagamento dell'acconto e del saldo si
applicava il tasse legale (oggi pari al 2,5%), mentre dal
sessantunesimo giorno il saggio stabilito annualmente con
decreto interministeriale (da ultimo fissato al 5,27%). Nei
fatti, con tempi medi di pagamento di circa 8 mesi, i
ritardi si registrano sia sul certificato che sul mandato e
quindi il tasso legale si applicava per i primi 4 mesi di
ritardo.
Secondo la circolare ministeriale, sempre in virtù del
principio del favor creditoris, dal 01.01.2013 si
applica, invece, il (più elevato) tasso previsto dal dlgs
192 (oggi, come detto, l'8,75%), fatta eccezione per il caso
(previsto dall'art. 144, comma 1, del regolamento) di
ritardo nell'emissione del certificato di pagamento.
Si tratta di una novità importante, in grado di correggere
almeno in parte la precedente distorsione che portava la
p.a. (e specialmente gli enti locali) a dare precedenza ai
pagamenti in altri settori, ai quali si applicava il tasso
più pesante previsto dal vecchio dlgs 231 (Bce+7%) (articolo ItaliaOggi
Sette del 28.01.2013). |
APPALTI FORNITURE:
DL 95/2012 e acquisto di carburanti.
Per l'approvvigionamento dei beni
appartenenti alle categorie contemplate dall'articolo 1,
comma 7 del DL 95/2012, in alternativa all'utilizzo delle
convenzioni Consip gli enti locali possono:
- svolgere proprie autonome procedure, nel rispetto della
normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di
negoziazione resi disponibili da Consip o da centrali di
committenza regionali (attualmente non presenti in Regione);
- esperire autonome procedure ad evidenza pubblica in cui i
corrispettivi siano inferiori a quelli previsti dalle
convenzioni Consip attualmente disponibili, sottoponendo
tali contratti alla condizione risolutiva prescritta dalla
legge.
Il Comune chiede di conoscere se l'obbligo di aderire ad una
convenzione Consip per l'acquisto di carburanti sussista
anche qualora sia documentabile l'antieconomicità
dell'utilizzo di detto strumento, atteso che il distributore
più vicino, del gestore convenzionato, risulta ubicato a
parecchi chilometri dalla sede comunale e, conseguentemente,
il rifornimento comporterebbe spese di carburante e per il
personale conducente tali da rendere maggiormente
competitivo un qualsiasi distributore posto in prossimità
della sede dell'ente instante.
Sentito il Servizio provveditorato e servizi generali di
questa Direzione centrale e premesso che lo scrivente
Ufficio si esprime unicamente in termini generali
relativamente all'applicazione di norme, si formulano le
seguenti osservazioni.
Come già esplicitato dallo scrivente Ufficio nel parere prot.
1077, dd. 14.01.2013, cui si rimanda, l'art. 1, comma 7, del
D.L. 95/2012, convertito in legge, con modificazioni, dalla
legge 07.08.2012, n. 135, stabilisce una disciplina speciale
per l'approvvigionamento per le pubbliche amministrazioni di
beni, quali energia elettrica, gas, carburanti, combustibili
per riscaldamento e telefonia.
Tale comma 7 [1],
infatti, prevede che la fornitura dei predetti beni avvenga
utilizzando le convenzioni o gli accordi quadro messi a
disposizione da Consip o da centrali di committenza
regionali ovvero attraverso proprie autonome procedure, nel
rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi
telematici di negoziazione resi disponibili dai soggetti
sopra indicati.
In alternativa, sussiste la possibilità di procedere ad
affidamenti che conseguano ad approvvigionamenti da altre
centrali di committenza o a procedure ad evidenza pubblica i
cui corrispettivi siano inferiori (e, quindi, migliorativi)
rispetto a quelli delle convenzioni e degli accordi quadro
messi a disposizione da Consip e dalle centrali regionali di
committenza. In tale caso, i contratti devono essere
sottoposti a condizione risolutiva, con possibilità di
adeguamento da parte del contraente, per il caso in cui
intervengano convenzioni Consip o delle centrali regionali
di committenza che prevedano condizioni economiche di
maggiore vantaggio.
L'art. 1, comma 8, del D.L. 95/2012 stabilisce che sono
nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di
responsabilità amministrativa i contratti stipulati in
violazione di quanto previsto dal comma 7.
In conclusione, per l'approvvigionamento dei beni
appartenenti alle categorie contemplate dalla norma, in
alternativa all'utilizzo delle convenzioni Consip gli enti
possono:
- svolgere proprie autonome procedure, nel rispetto della
normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di
negoziazione resi disponibili da Consip o da centrali di
committenza regionali (attualmente non presenti in Regione);
- esperire autonome procedure ad evidenza pubblica in cui i
corrispettivi siano inferiori a quelli previsti dalle
convenzioni Consip attualmente disponibili, sottoponendo
tali contratti alla condizione risolutiva prescritta dalla
legge.
---------------
[1] Come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 151,
della l. 228/2012 (Legge di stabilità)
(28.01.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI: Appalti, responsabilità snella.
Possibile esclusione di alcune tipologie di contratto.
Attilio Befera, direttore delle Entrate, al convegno della Cna: in
arrivo una circolare.
Semplificazioni in arrivo per la responsabilità solidale
negli appalti, che pesa sulle imprese anche in termini
monetari. E adempimenti infrannuali, come la comunicazione
di intenti, raggruppati nella dichiarazione annuale.
Il direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera,
intervenendo al convegno, «Fisco, competitività, sviluppo»,
della Cna, a Firenze, ieri, ha anticipato l'arrivo di una
circolare che tende a rendere più chiara e a smussare
l'ambito applicativo della disciplina introdotta dall'art.
13-ter, del dl n. 83/2011 (cosiddetto «Decreto crescita»)
per i contratti di appalto stipulati a partire dal 12.08.2012.
Claudio Carpentieri, responsabile fiscale dell'associazione,
durante il suo intervento, ha chiesto che l'intervento di
prassi amministrativa «chiarisca che la norma sulla
responsabilità solidale non si applichi ai contratti di
trasporto, di opera e su fornitura, settori», ha
sottolineato Carpentieri, «che esulano dalla lettera della
norma».
Befera sul punto ha quindi ricordato che con il prossimo
intervento di prassi si cercherà di intervenire sul tema,
con ogni probabilità, secondo quanto risulta a ItaliaOggi
nella direzione dell'alleggerimento del peso degli oneri. La
nuova disposizione, infatti, prevede la responsabilità
dell'appaltatore e del committente per il versamento
all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro
dipendente e del versamento dell'Iva dovuta dal
subappaltatore e dall'appaltatore con riferimento alle
prestazioni effettuate nell'ambito del contratto.
Si ricorda
che l'esclusione dalla responsabilità «solidale» è prevista
solo se l'appaltatore e/o committente ottiene la
documentazione ad hoc, attestante che i versamenti fiscali,
scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono
stati correttamente eseguiti dal subappaltatore e/o
appaltatore; documentazione che può consistere anche
nell'asseverazione rilasciata da Caf o da professionisti
abilitati. Durante il convegno, il direttore delle Entrate
ha riconosciuto la complessità della disciplina recentemente
introdotta e ha anticipato, in aggiunta al documento di
prassi già emanato (circolare n. 40/E/2011), un'ulteriore
circolare che ha l'obiettivo di semplificare e rendere più
chiara l'applicazione pratica del nuovo adempimento che,
come indicato dal responsabile fiscale di Cna ha
ulteriormente compromesso le riscossioni, già difficili,
delle imprese.
Tutto questo si inserisce in un più ampio contesto di
semplificazione che vedrà, presumibilmente e già a partire
dalla prossima settimana, un tavolo di concertazione con i
professionisti e le associazioni di categoria, al fine di
rendere più snelli gli adempimenti che per i responsabili
fiscali dell'associazione organizzatrice arrivano fino a 120
all'anno, con ulteriori oneri, in termini monetari, posti a
carico delle stesse imprese. Cosa peraltro ricordata da
Carpientieri nel suo intervento: «Uno stato credibile è
anche semplice. Rivede in modo sistematico e periodico tutti
gli obblighi di comunicazione previsti per le imprese,
lasciando solamente quelli che sono realmente necessari alla
lotta all'evasione». Delle proposte presentate, lo scorso
ottobre, da Rete imprese Italia, la direzione intrapresa,
dall'amministrazione, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, è
quella di uno snellimento degli adempimenti infrannuali,
convogliandoli nella dichiarazione annuale.
L'esempio è
quello della comunicazione di intenti che appunto potrebbe
essere inserita nella tempistica della dichiarazione
annuale. D'altra parte è lo stesso Attilio Befera che, in
apertura del proprio intervento, auspica prossimi
cambiamenti del testo unico delle imposte dirette (Tuir), il
via libera della riforma fiscale, con una riduzione e
semplificazione degli adempimenti per un fisco più «illuminato»
e una cooperazione «biunivoca» e una maggiore
assistenza e tutoraggio da parte degli uffici periferici
(articolo ItaliaOggi del 26.01.2013. |
APPALTI: Gara
senza mani. L'offerta si fa con raccomandata. Il Consiglio
di stato: ok anche alla postacelere.
Esclusa dalla gara l'impresa che presenta l'offerta a mani
direttamente presso gli uffici dell'amministrazione anziché
utilizzare la raccomandata assicurata o postacelere del
servizio postale nazionale, come richiesto dal bando.
È quanto ha stabilito la IV Sez. del Consiglio di Stato, con
la
sentenza 25.01.2013 n. 485.
Nel caso concreto, una impresa partecipante a una gara
pubblica per l'affidamento della fornitura di vestiario
della Guardia di finanza è stata esclusa dalla selezione per
aver depositato la sua domanda direttamente a mani, anziché
a mezzo raccomandata, assicurata o postacelere del servizio
postale nazionale.
L'esclusione dalla gara, assieme all'aggiudicazione
definitiva in favore dell'impresa prima classificata, è
stata impugnata dalla società esclusa davanti al tribunale
amministrativo regionale.
Secondo la ricorrente, il provvedimento emesso era
illegittimo data la totale assenza, nella normativa
comunitaria e in quella nazionale, della possibilità per la
stazione appaltante di escludere l'impresa partecipante alla
gara per il solo fatto di aver presentato l'offerta
direttamente all'ufficio dell'amministrazione.
Il tribunale ha accolto il ricorso, di conseguenza
annullando l'intera procedura di gara, compresa
l'aggiudicazione disposta in favore dell'azienda risultata
vincitrice.
Secondo il giudice amministrativo, infatti, la clausola del
bando che vietava la presentazione diretta delle domande di
partecipazione risultava illegittima se applicata nel senso
di precludere la partecipazione all'impresa che non la
rispetti.
La questione è stata sottoposta all'attenzione del Consiglio
di stato, cui si è rivolta l'amministrazione insieme
all'impresa spodestata dell'aggiudicazione. Nel contestare,
sotto vari profili, la sentenza del Tar, l'amministrazione
ha fatto valere la sua discrezionalità nello stabilire i
criteri e le modalità di presentazione delle offerte da
parte delle imprese partecipanti alla gara, così come il
potere lei riconosciuto di precludere la partecipazione alla
gara nel caso in cui le regole del bando vengano violate.
Palazzo Spada ha accolto l'appello proposto
dall'amministrazione, chiarendo il valore della clausola
oggetto della lite, anche in base a quanto prevede o,
meglio, non prevede il diritto comunitario.
La sentenza ricorda come alla luce del disposto di cui
all'articolo 77 del Codice dei contratti pubblici, il quale,
come noto, prevede le diverse modalità di presentazione
delle offerte, appaia legittima la scelta della stazione
appaltante, indicata nel bando di gara, di escludere forme
di autopresentazione dell'offerta.
Si osserva, in particolare, come il divieto della consegna
diretta dei plichi presso gli uffici della stazione
appaltante contribuisca ad assicurare la massima
imparzialità dell'operato amministrativo, la parità di
trattamento tra i partecipanti e la segretezza delle
offerte, eliminando in radice il rischio di una dispersione
di notizie riservate. Il Consiglio di stato ha poi affermato
come tale interpretazione non contrasti affatto con il
diritto europeo.
Infatti, il paragrafo 6 dell'articolo 42 della direttiva
2004/18/CE, il quale si limita a distinguere fra la
trasmissione «per iscritto» e la forma orale, nulla
afferma con riferimento alle possibili modalità (fra cui
rientra anche la consegna a mano) con le quali la domanda
formulata per iscritto deve essere presentata.
Pertanto, hanno concluso i giudici romani, l'amministrazione
è libera di escludere dalla gara l'impresa che, in
violazione del bando, abbia presentato la propria offerta a
mani. Tale decisione, infatti, rientra nella sfera
insindacabile della stazione appaltante
(articolo ItaliaOggi del 09.02.2013). |
APPALTI:
Il possesso dei requisiti di capacità generale di
cui all’art. 38 deve essere assicurato non solo all’atto di
presentazione della domanda ma per tutta la procedura di
gara ed anche, successivamente all’aggiudicazione, per tutta
la durata dell’appalto, al punto da ritenere che l’impresa
debba comunicare all’amministrazione appaltante ogni
variazione rilevante al riguardo.
Tutto questo legittima, ed anzi obbliga, la stessa
amministrazione appaltante ad un controllo periodico sul
possesso dei requisiti in capo alle imprese con le quali
contratta, da cui consegue, in linea generale (fatti salvi i
limiti di cui all’art. 21-nonies l. 241/1990), il potere di
intervenire in autotutela, ove l’esito di tale controllo sia
negativo.
Una volta chiarito tale aspetto, va ricordato come il
possesso dei requisiti di capacità generale di cui all’art.
38 debba essere assicurato non solo all’atto di
presentazione della domanda ma per tutta la procedura di
gara ed anche, successivamente all’aggiudicazione, per tutta
la durata dell’appalto (v., per tutte, Cons. St., IV, n.
6539/2012), al punto da ritenere che l’impresa debba
comunicare all’amministrazione appaltante ogni variazione
rilevante al riguardo.
Tutto questo legittima, ed anzi obbliga, la stessa
amministrazione appaltante ad un controllo periodico sul
possesso dei requisiti in capo alle imprese con le quali
contratta, da cui consegue, in linea generale (fatti salvi i
limiti di cui all’art. 21-nonies l. 241/1990), il potere di
intervenire in autotutela, ove l’esito di tale controllo sia
negativo (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 25.01.2013 n. 483 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Legittima la revoca dell'aggiudicazione per indisponibilità
delle risorse finanziarie.
E' legittima la revoca dell'aggiudicazione disposta per
indisponibilità delle risorse finanziarie: lo ha ribadito il
CGARS nella
sentenza 25.01.2013 n. 47.
Secondo un
consolidato indirizzo giurisprudenziale in materia di
appalti pubblici, che i giudici amministrativi siciliani
condividono, anche dopo l'intervento dell'aggiudicazione
definitiva (nel caso di specie, solo provvisoria), non è
precluso all'amministrazione appaltante di revocare
l'aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse
pubblico individuato in concreto, del quale occorre dare
atto nella motivazione del provvedimento di autotutela.
Sono
elementi sufficienti per considerare adeguatamente motivato
il provvedimento (specie ove si consideri che il
procedimento era giunto alla fase dell'aggiudicazione
provvisoria e non ancora a quella dell'aggiudicazione
definitiva) il riferimento all'indisponibilità delle
relative somme in bilancio e alla necessità di assicurare il
rispetto delle previsioni del bilancio e del patto di
stabilità (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it
-
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Oggetto: Legge 221/2012: ulteriori modifiche al Codice
163/2006 (ANCE Bergamo,
circolare 25.01.2013 n. 25). |
LAVORI PUBBLICI:
APPALTI PUBBLICI: LINEE GUIDA PER LA GESTIONE
DELL’OFFERTA ECONOMICAMENTE PIU’ VANTAGGIOSA E LA REDAZIONE
DEGLI STUDI DI FATTIBILITA’.
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha
approvato, nella riunione del 24.01.2013, la “Guida
operativa per l’utilizzo del criterio di aggiudicazione
dell’offerta economicamente più vantaggiosa negli appalti di
lavori pubblici di sola esecuzione” e le “Linee
guida per la redazione di studi di fattibilità”,
realizzate entrambe nell'ambito del gruppo di lavoro
interregionale contratti pubblici di ITACA.
“Soddisfatto per l’approvazione delle due importanti
guide messe a punto sui tavoli tecnici di ITACA con la
preziosa collaborazione dei rappresentanti delle istituzioni
pubbliche, ordini professionali, imprese e sindacati, a cui
va tutto il nostro ringraziamento”. E’ quanto ha
sottolineato Ugo Cavallera, Presidente di ITACA, organo
tecnico della Conferenza delle Regioni e delle Province
autonome.
“L’obiettivo del nostro lavoro” continua Cavallera “è
quello di contribuire a migliorare qualitativamente il
sistema della contrattualistica pubblica che assorbe gran
parte spesa pubblica attraverso strumenti che possano
aiutare concretamente l’operato dei tecnici delle stazioni
appaltanti impegnati quotidianamente nella gestione di
procedure sempre più complesse in un settore iper
regolamentato. Inoltre, la crescente scarsità di risorse a
disposizione delle pubbliche amministrazioni impone alle
stesse di dotarsi di strumenti atti a consentirne una
gestione ed una politica di investimenti pubblici che sia il
più possibile razionale, efficiente ed economicamente
sostenibile”.
La guida sul criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa rappresenta un valido supporto alle stazioni
appaltanti nella delicata gestione degli affidamenti di
appalti di lavori pubblici per la sola esecuzione.
Con l’applicazione di tale criterio, che comporta una
elevata complessità tecnica nella gestione della procedura,
l’amministrazione aggiudicatrice ha maggiore possibilità di
rispondere più appropriatamente ai bisogni espressi dalla
collettività pubblica su esigenze di tipo economico,
ambientale, sociale, attivando un più efficace contrasto a
fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata e
del lavoro nero e garantendo, in maniera trasparente, una
maggiore competizione tra gli operatori economici.
La guida, elaborata da tecnici che hanno piena conoscenza
delle problematiche che occorre affrontare o che possono
sopravvenire nel corso dell'aggiudicazione ed esecuzione
dell'appalto, fornisce un contributo di tipo pratico sia per
la fase di impostazione della procedura che per la fase di
esecuzione del contratto attraverso suggerimenti per la
stesura della documentazione di gara e dello stesso
contratto.
La guida per la redazione degli studi di fattibilità
nei procedimenti riguardanti opere pubbliche, origina,
prioritariamente, dalla necessità di mettere a “fattor
comune” le esperienze maturate a livello regionale che
già oggi, pur in assenza di un obbligo normativo, utilizzano
lo studio di fattibilità quale strumento di selezione dei
progetti tramite verifica preventiva circa la fattibilità
tecnica, economico-finanziaria, ambientale, amministrativa e
procedurale dei diversi interventi per i quali si richiede
un contributo regionale.
Le linee guida ITACA costituiscono pertanto un utile
strumento di lavoro quale riferimento per la redazione degli
studi di fattibilità di opere pubbliche o di interesse
pubblico (tratto da www.itaca.org). |
APPALTI:
A. Rinaldi e M. Marzano,
Responsabilità solidale negli appalti: quali norme si
applicano agli Enti Locali ? (link a
www.entilocaliweb.info). |
APPALTI SERVIZI:
C. Volpe,
La “nuova normativa” sui servizi pubblici locali di
rilevanza economica. Dalle ceneri ad un nuovo effetto
“Lazzaro”. Ma è vera resurrezione? (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Notariato.
L'atto pubblico è digitale.
Il Notariato mette in pratica l'agenda digitale del governo
Monti (dl n. 179/2012) che prevede che a partire dal
01.01.2013 la stipula dei contratti pubblici di appalto di
lavori, servizi e forniture, possa essere redatta solo con
atto pubblico notarile informatico. Martedì scorso è stato
infatti stipulato il primo atto pubblico informatico.
È accaduto in Puglia, in provincia di Brindisi, tra un
comune e una società che si era aggiudicata l'appalto per la
gestione del servizio integrato di igiene urbana. Per la
conservazione degli atti notarili informatici, i notai si
avvalgono di una struttura tecnologica idonea a custodire la
validità giuridica nel tempo del documento informatico
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2013). |
APPALTI: Pubblicità
legale obbligatoria. Bandi e avvisi di gara da pubblicare
sui quotidiani. Il decreto crescita
prevede che le spese della p.a. siano rimborsate
dall'aggiudicatario.
Anche dopo il 01.01.2013 le stazioni
appaltanti hanno l'obbligo di pubblicare per estratto sui
quotidiani i bandi e gli avvisi di gara per affidamento di
lavori, forniture e servizi e le avvenute aggiudicazioni; la
legge 69/2009 non ha toccato la disciplina del Codice, a sua
volta confermata dalla legge «anticorruzione»; possibile
pubblicare sui quotidiani anche gli avvisi per appalti di
lavori al di sotto dei 500 mila euro e per appalti di
forniture e servizi al dei sotto dei 200 mila euro.
È quanto si desume dalla lettura coordinata dalle
disposizioni che si sono succedute in questi ultimi anni e
che, anche alla luce della natura «rinforzata» del
Codice dei contratti pubblici e della novella della legge «Crescita
2», rendono superata la disciplina del 2009 che avrebbe
voluto mandare in soffitta la pubblicità legale sui giornali
(si veda ItaliaOggi del 30.11.2012).
Dal punto di vista dell'ambito oggettivo di applicazione,
l'obbligo di procedere alla pubblicazione per estratto su
almeno due quotidiani risulta applicabile agli appalti di
lavori, servizi e forniture per le gare sopra soglia
(secondo periodo del comma 7 dell'art. 66 e quindi oltre i 5
milioni per i lavori e oltre i 200 mila euro per servizi e
forniture) e alle procedure di affidamento di appalti di
lavori sotto soglia (secondo periodo del comma 5 dell'art.
122 che prevede la soglia superiore a 500 mila euro ma con
pubblicazione su un quotidiano a diffusione nazionale).
Va anche rilevato che, nonostante l'articolo 124, comma 5,
non preveda la pubblicazione sui quotidiani degli avvisi per
appalti sotto soglia di forniture e servizi, ai sensi
dell'art. 66, comma 15, del Codice le stazioni appaltanti
potrebbero (facoltà) anche prevedere forme aggiuntive di
pubblicità. In ipotesi, quindi, anche un contratto di
fornitura al di sotto dei 200 mila euro potrebbe, in base a
una scelta motivata della stazione appaltante, essere
pubblicato su un quotidiano a diffusione nazionale.
Dal punto di vista interpretativo è stato posto in dubbio
che l'articolo 66 del Codice dei contatti potesse essere
stato superato, nel 2009, dalla legge n. 69 che (articolo
32, comma 5) prevedeva che «dal 01.01.2013, le
pubblicazioni effettuate in forma cartacea non hanno effetto
di pubblicità legale, ferma restando la possibilità per le
amministrazioni e gli enti pubblici, in via integrativa, di
effettuare la pubblicità sui quotidiani a scopo di maggiore
diffusione, nei limiti degli ordinari stanziamenti di
bilancio».
In realtà, però, questa disposizione è risultata a sua volta
implicitamente abrogata dalla successiva legge «anticorruzione»
(190/12) che ha introdotto una disposizione «di
salvezza»
delle norme in materia di pubblicità contenute nel Codice
dei contratti pubblici, stabilendo che «restano ferme le
disposizioni in materia di pubblicità previste dal codice di
cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163».
Pertanto, se restano «ferme» le vigenti norme del Codice, in
base a una disposizione che entra in vigore prima del
01.01.2013, automaticamente la disposizione del 2009 deve
considerarsi superata e quindi inapplicabile per implicita
abrogazione. D'altro canto sarebbe stato difficile anche
sostenere che il comma 5 dell'articolo 32 della legge
69/2009 potesse avere abrogato o superato quanto stabilito
dall'articolo 66 del Codice dei contratti pubblici in
materia di pubblicità legale sui quotidiani.
L'articolo 255 del codice dei contratti pubblici, infatti,
stabilisce che «ogni intervento normativo incidente sul
codice, o sulle materie dallo stesso disciplinate, va
attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o
sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute».
Ma la legge. 69/2009 non ha certo disposto in tal senso, non
rinvenendosi in alcuna parte di essa l'abrogazione espressa
delle disposizioni di cui al secondo periodo del comma 7
dell'articolo 66 e al secondo periodo del comma 5
dell'articolo 122 del decreto legislativo 12.04.2006, n.
163, proprio richiamate dalla norma della legge «anticorruzione».
Ciò detto a conferma dell'operatività dell'obbligo, anche a
decorrere dal 01.01.2013, della pubblicità per estratto sui
quotidiani (certamente non quelle di pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale), sta anche l'articolo 34, comma 35 del
dl n. 179/2012 (c.d. Crescita 2.0). In esso si prevede
infatti l'obbligo per l'aggiudicatario di rimborsare alla
stazione appaltante le spese di pubblicazione sui giornali
dei bandi e degli avvisi di gara.
In particolare, si prevede che «a partire dai bandi e
dagli avvisi pubblicati successivamente al 01.01.2013, le
spese per la pubblicazione di cui al secondo periodo del
comma 7 dell'articolo 66 e al secondo periodo del comma 5
dell'articolo 122 del dlgs 12.04.2006, n. 163, sono
rimborsate alla stazione appaltante dall'aggiudicatario
entro il termine di 60 giorni dall'aggiudicazione»
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
Amministrazione aperta ex art. 18 D.L. 83/2012.
Ai sensi delle disposizioni
sull'amministrazione aperta, anche una determinazione
dirigenziale, avente ad oggetto, ad esempio, la fornitura di
carta per i fotocopiatori di un ente locale, può essere
soggetta agli obblighi di pubblicazione, ricadendo la
fattispecie all'interno dell'ambito dell'attribuzione di
corrispettivi e compensi a persone, professionisti, imprese
ed enti privati di cui all'art. 18, comma 1, del D.L.
83/2012.
Il quinto comma dell'art. 18 stabilisce, tuttavia, che solo
per le concessioni e le attribuzioni di importo superiore a
1.000 euro, avvenute nel corso del medesimo anno solare, la
pubblicazione acquisisce valore di condizione legale di
efficacia la cui eventuale omissione o incompletezza
costituisce responsabilità amministrativa, patrimoniale e
contabile rilevabile anche d'ufficio dagli organi
dirigenziali e di controllo e altresì rilevabile da chiunque
abbia interesse anche ai fini del risarcimento del danno da
ritardo da parte dell'amministrazione.
Il Comune chiede di sapere a quali tipologie di atti il
legislatore intende fare riferimento quando, all'art. 18 del
decreto legge 22.06.2012, n. 83 [1], nell'ambito delle
informazioni e dei dati soggetti a pubblicità su internet in
applicazione degli obblighi sull'amministrazione aperta,
ricomprende anche quelli connessi alla 'attribuzione dei
corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti,
imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di
qualunque genere di cui all'articolo 12 della legge
07.08.1990, n. 241 ad enti pubblici e privati'. Più
specificatamente, l'Ente si domanda se anche una determina
per la fornitura di beni, come la carta per fotocopiatore,
sia soggetta a detta normativa.
Le disposizioni sull'amministrazione aperta, previste, in
particolare, dal primo comma dell'art. 18, coprono un
triplice ambito oggettivo di applicazione. Esse, infatti,
riguardano:
a) la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e
ausili finanziari alle imprese [2];
b) l'attribuzione di corrispettivi e compensi a persone,
professionisti, imprese ed enti privati [3];
c) l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere,
di cui all'art. 12 della L. 241/1990, ad enti pubblici e
privati [4].
Il secondo comma prevede tutta una serie di dati,
informazioni e documenti [5] che, qualora si versi in uno
degli ambiti di cui al primo comma, l'amministrazione è
tenuta a pubblicare sul proprio sito internet nella sezione
'Trasparenza, valutazione e merito' [6].
Ai sensi di un tanto, pare che anche una determinazione
dirigenziale, avente ad oggetto, ad esempio, la fornitura di
carta per i fotocopiatori di un ente locale, possa essere
soggetta agli obblighi pubblicitari previsti dalla norma,
ricadendo la fattispecie all'interno della lettera b)
dell'elenco [7].
Il quinto comma dell'art. 18 stabilisce, tuttavia, che solo
per le concessioni e le attribuzioni di importo superiore a
1.000 euro, avvenute nel corso del medesimo anno solare, la
pubblicazione acquisisce valore di condizione legale di
efficacia la cui eventuale omissione o incompletezza
costituisce responsabilità amministrativa, patrimoniale e
contabile rilevabile anche d'ufficio dagli organi
dirigenziali e di controllo e altresì rilevabile da chiunque
abbia interesse anche ai fini del risarcimento del danno da
ritardo da parte dell'amministrazione.
---------------
[1] Convertito, con modificazioni, dalla legge
07.08.2012, n. 134.
[2] Tali atti sono caratterizzati dal fatto di costituire
attribuzioni economiche, non legate ad una
controprestazione, che hanno come destinatari le imprese.
[3] Tali atti sono caratterizzati dal fatto di costituire
attribuzioni economiche, erogate a fronte di una
controprestazione, a favore di privati.
[4] Tali atti sono caratterizzati dal fatto di costituire
generiche attribuzioni di un 'vantaggio economico'
riferibili all'art. 12 della L. 241/1990 e, perciò, senza
che vi sia una controprestazione verso il concedente. Vi
sono compresi i contributi ad enti pubblici per la
realizzazione di specifiche attività o l'attuazione di
programmi di pubblico interesse.
[5] L'amministrazione è tenuta a pubblicare: 'a) il nome
dell'impresa o altro soggetto beneficiario ed i suoi dati
fiscali; b) l'importo; c) la norma o il titolo a base
dell'attribuzione; d) l'ufficio e il funzionario o dirigente
responsabile del relativo procedimento amministrativo; e) la
modalità seguita per l'individuazione del beneficiario; f)
il link al progetto selezionato, al curriculum del soggetto
incaricato, nonché al contratto e capitolato della
prestazione, fornitura o servizio'.
[6] Si coglie l'occasione per rammentare che, per agevolare
il compito delle amministrazioni locali, la Regione autonoma
Friuli Venezia Giulia, per il tramite del Servizio Sistemi
Informativi ed E-Government e nell'ambito della convenzione
per i servizi informatici SIAL, ha messo a disposizione
l'applicativo "Amministrazione Aperta". Per maggiori
informazioni, si prega di consultare la pagina: http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/SIAL/Amministrazione_aperta/
[7] Sul contemporaneo obbligo, nel caso sussistano le
condizioni previste dalla legge, di pubblicazione delle
determinazioni dirigenziali sia all'albo pretorio on-line
sia nella sezione 'Trasparenza, valutazione e merito' del
sito internet, questo Ufficio si è già espresso con il
parere prot. n. 1704 del 18.01.2013, scaricabile alla pagina
http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/
(25.01.2013 - link a www.regione.fvg.it). |
APPALTI SERVIZI: Niente
proroga per la gestione di lampade votive.
Non ha alcun diritto alla proroga, fino al 2031, l'impresa
che nel 1971 ha vinto l'appalto concorso per la costruzione
e la gestione dell'impianto di illuminazione votiva del
cimitero. Ciò in quanto, alla fattispecie, si devono
applicare gli artt. 113, comma 15-bis, del dlgs n. 267/2000
e 23-bis, comma 8, del dl n. 112/2008, che prevedono
l'automatica cessazione delle concessioni di servizi
pubblici locali rilasciate con procedure diverse
dall'evidenza pubblica.
La questione è stata posta
all'attenzione del Consiglio di stato, Sez. V, il quale,
con la
sentenza 24.01.2013 n. 435.
Il Collegio ha ricordato come in caso di prestazioni
eterogenee, «vanno individuate quali prestazioni siano
prevalenti e quale sia il nesso direzionale che regola il
rapporto di strumentalità tra le diverse componenti,
stabilendo se la gestione delle opere e degli impianti sia
funzionale e strumentale alla loro realizzazione o alla
gestione del servizio». Nel caso specifico ha avuto
ragione, quindi, il Tar, ad affermare la accessorietà della
componente lavori, rispetto la gestione del servizio, perché
di rilevanza economica non considerevole.
La questione era sorta a seguito dell'affidamento, nato come
concessione di costruzione e gestione perché il Comune non
disponeva di impianto di illuminazione votiva cimiteriale,
attribuendo al concessionario, quale controprestazione per
la realizzazione e gestione dell'impianto e per l'esecuzione
delle lavorazioni richieste, il diritto di gestire
l'impianto e le opere realizzate, che sarebbero rimaste di
proprietà del concessionario sino alla scadenza della
concessione
(articolo ItaliaOggi del
22.02.2013). |
APPALTI:
Oggetto: interpello ex art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – DURC
– posizione non regolare del socio di una società di
capitali (Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali,
interpello 24.01.2013 n. 2/2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Pagamenti Pa, inclusi i lavori pubblici.
Circolare dello Sviluppo economico: tempi e sanzioni si
applicano a tutti gli appalti.
«La nuova disciplina dei ritardati pagamenti introdotta in
attuazione della normativa comunitaria 7/2011 si applica ai
contratti pubblici relativi a tutti i settori produttivi,
inclusi i lavori, stipulati a decorrere dal 01.01.2013,
ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del Dlgs n. 192 del
2012».
È il passaggio chiave della
nota 23.01.2013 n. 1293 di prot. inviata dal
capo di gabinetto del ministero dello Sviluppo economico,
Mario Torsello, alle principali associazioni delle imprese
di costruzioni che avevano lamentato il rischio di
un'esclusione del settore dei lavori pubblici dalla nuova
normativa sui tempi di pagamento della Pa.
Nel Dlgs 192, che
ha recepito le norme Ue sui tempi di pagamento nelle
transazioni commerciali, dettando nuove regole anche per il
settore pubblico, non veniva citato espressamente il settore
edile e dei lavori pubblici: questo aveva messo in allarme
il presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, che si era rivolto
al Governo per chiedere un chiarimento e aveva minacciato il
ricorso a Bruxelles (si veda Il Sole 24 Ore del 15.11.2012).
Nel Governo era seguito un braccio di ferro tra il ministro
dello Sviluppo economico, Corrado Passera, che subito si era
pronunciato in favore di un inserimento esplicito dei lavori
pubblici, e il ministero dell'Economia e in particolare la
Ragioneria generale, contrari all'inclusione dei lavori.
Non a caso Passera, che ha impiegato due mesi per superare
le resistenze nell'Esecutivo, ora chiama in causa Palazzo
Chigi. «La Presidenza del Consiglio -afferma il documento
dello Sviluppo economico- ha precisato che, sebbene il
provvedimento non lo menzioni espressamente, esso deve
ritenersi applicabile anche al settore edile. Ciò è stato
argomentato sia sotto il profilo formale, rimarcando che
l'espressione «prestazione di servizi» abbraccia
inevitabilmente anche i lavori, sia a livello sistematico,
rilevando che la disciplina generale, di matrice
sovranazionale, in tema di ritardati pagamenti, non può che
prevalere su regolamentazioni nazionali con essa
eventualmente confliggenti».
Dopo aver risolto il nodo principale, la circolare fa una
seconda, importante operazione giuridica: rilegge il codice
degli appalti (Dlgs 163/2006) e il regolamento di settore (Dpr
207/2010) alla luce dei termini di pagamento (tempi e
sanzioni) disposti dalla nuova disciplina. «Le disposizione
dettate dal codice dei contratti pubblici e dal regolamento
di attuazione già vigenti per il settore dei lavori
pubblici, relative ai termini di pagamento delle rate di
acconto e di saldo nonché alla misura degli interessi da
corrispondere in caso di ritardato pagamento, devono essere
interpretate e chiarite alla luce delle disposizioni del
decreto legislativo 192/2012, ritenendosi prevalenti queste
ultime sulle disposizioni di settore confliggenti, tenendo
conto anche dell'espressa clausola di salvezza, secondo cui
restano "salve le vigenti disposizioni del codice civile e
delle leggi speciali che contengono una disciplina più
favorevole per il creditore"».
L'inasprimento più severo delle sanzioni per i ritardati
pagamenti della pubblica amministrazione nei lavori pubblici
riguarda non tanto gli stati di avanzamento lavori (i
cosiddetti Sal) quanto la liquidazione del saldo finale. In
questo caso, infatti, il termine temporale di 90 giorni
previsto oggi dal codice degli appalti è «incompatibile»
con la disciplina europea e nazionale che prevede il termine
di 30 giorni dalla verifica della prestazione (cioè dal
certificato di collaudo). In questo caso, in caso di mancato
rispetto, scatterebbe la corresponsione degli interessi
semplici di mora su base giornaliera a un tasso che è pari
al tasso di interesse applicato dalla Bce alle sue più
recenti operazioni di rifinanziamento principali, in vigore
all'inizio del semestre, maggiorato dell'8%, senza che sia
necessaria la costituzione in mora (articolo Il
Sole 24 Ore del 24.01.2013 - tratto da
www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Decreto legislativo n. 192/2012, recante
modifiche al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231, per
l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa
alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni
commerciali
(Ministero dello Sviluppo Economico,
nota 23.01.2013 n. 1293 di prot.). |
APPALTI: Appalti,
il volontariato può partecipare.
Le associazioni di volontariato possono concorrere
all'aggiudicazione di appalti pubblici anche se non svolgono
fini di lucro e se l'attività connessa alla partecipazione
alla gara ha carattere «marginale»; la legittimazione deriva
dalla legge sul volontariato e dalla disciplina sulle
cosiddette imprese sociali di cui al decreto 155/2006.
È
quanto afferma il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la
sentenza 23.01.2013 n. 387 che riforma la sentenza
del Tar Campania, Napoli, sezione I, n. 1666/2008 che non
aveva riconosciuto legittima la partecipazione della
associazione alla gara.
I giudici affermano infatti che le
associazioni di volontariato possono essere aggiudicatarie
di gare di pubblici appalti, in quanto l'assenza di fine di
lucro non è di per sé ostativa della partecipazione ad
appalti pubblici. Tale affermazione viene motivata in primo
luogo con la nota giurisprudenza comunitaria del 2007 (in
particolare sez. III, 29.11.2007, causa C-119/06), ma
la parte più interessante della motivazione è quella in cui
la legittimazione si lega a quanto prevede in Italia la
legge quadro sul volontariato che, nell'elencare le entrate
di tali associazioni, menziona anche le entrate derivanti da
attività commerciali o produttive svolte a latere, con ciò
riconoscendo la capacità di svolgere attività di impresa.
Il
Consiglio di stato, infine, motiva la decisione riconducendo
le associazioni di volontariato nel novero delle cosiddette
«imprese sociali»: «esse possono essere ammesse alle gare
pubbliche quali “imprese sociali”, a cui il dlgs 24.03.2006
n. 155 ha riconosciuto la legittimazione a esercitare in via
stabile e principale un'attività economica organizzata per
la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità
sociale, diretta a realizzare finalità d'interesse generale,
anche se non lucrativa». Infatti, si legge nella
sentenza, l'art. 5 della legge n. 266/2001, nell'indicare le
risorse economiche delle Onlus, menziona anche le «entrate
derivanti da attività commerciali e produttive marginali»,
con ciò dimostrando di riconoscere la capacità delle Onlus
di svolgere attività commerciali e produttive e, dunque,
anche quella di partecipare a gare di appalto, quanto meno
nei settori di specifica competenza.
È sì vero, dice il Consiglio di stato, che la norma fa
riferimento ad attività imprenditoriali «marginali»,
ma occorrerebbe dimostrare che la partecipazione
dell'associazione all'appalto non abbia il carattere di
marginalità
(articolo ItaliaOggi dell'01.02.2013). |
APPALTI: L'art.
38 del d.lgs. n. 163 del 2006, nella parte in cui elenca le
dichiarazioni di sussistenza dei requisiti morali e
professionali richiesti ai fini della partecipazione alle
procedure di gara, assume come destinatari tutti coloro che,
in quanto titolari della rappresentanza dell'impresa, siano
in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la
riprovazione dell'ordinamento nei riguardi della loro
personale condotta, al soggetto rappresentato.
Pertanto, deve ritenersi sussistente l'obbligo di
dichiarazione non soltanto da parte di chi rivesta
formalmente la carica di amministratore, ma anche da parte
di colui che, in qualità di procuratore ad negotia, abbia
ottenuto il conferimento di poteri consistenti nella
rappresentanza dell'impresa e nel compimento di atti
decisionali.
---------------
Costituisce causa di esclusione sia la mancanza di uno dei
requisiti soggettivi di cui all’art. 38 del Codice, a
prescindere dalle indicazioni riportate nel bando di gara,
che, oltre all’ipotesi di falsità, l’omissione o
l’incompletezza delle dichiarazioni da rendersi ai sensi
dell’art. 38 da parte di tutti i soggetti alle stesse
tenute. Tali omissioni costituiscono, di per sé, motivo di
esclusione dalla procedura ad evidenza pubblica anche in
assenza di una espressa previsione del bando di gara.
Del resto, tale interpretazione della norma si ricava anche
alla luce delle enunciazioni contenute nella direttiva
2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa
al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, il
cui art. 45, intitolato: “situazione personale del candidato
o dell’offerente” al par. 1, ultimo alinea, stabilisce che,
ai fini del controllo dell’insussistenza dei precedenti
penali in capo ai concorrenti, “le richieste riguarderanno
le persone giuridiche e/o le persone fisiche, compresi, se
del caso, i dirigenti delle imprese o qualsiasi persona che
eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di
controllo del candidato o dell’offerente”.
L’opzione ermeneutica sostanzialistica preferita dal
collegio risponde, dunque, anche ad un canone interpretativo
conforme al diritto europeo, dal quale deriva tutta la
disciplina sugli appalti pubblici vigente nell’ordinamento
italiano.
---------------
Riguardo all’unico motivo aggiunto concernente la asserita
violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n.
163/2006, deve premettersi che la norma di esclusione non ha
carattere sanzionatorio, ma contempla una misura a presidio
dell'elemento fiduciario, che esclude di per sé qualsiasi
automatismo, perché l'esclusione deve essere il risultato di
una "motivata valutazione"; in tema di contenzioso per
l'esclusione da gara di appalto ai sensi dell'art. 38, comma
1, lett. f), d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (inadempimenti in
precedenti contratti) la decisione di esclusione per
"deficit di fiducia" è frutto di una valutazione
discrezionale della stazione appaltante, alla quale il
legislatore riserva la individuazione del "punto di rottura
dell'affidamento" nel pregresso o futuro contraente;
pertanto il controllo del g.a. su tale valutazione
discrezionale deve essere svolto "ab estrinseco", ed è
diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di
simulazione, ma non è mai sostitutivo.
In tema di esclusione da una gara pubblica ex art. 38, comma
1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006, la gravità della
generica negligenza o dell'inadempimento a specifiche
obbligazioni contrattuali va commisurata al pregiudizio
arrecato alla fiducia, all'affidamento che la stazione
appaltante deve poter riporre, "ex ante", nell'impresa cui
decide di affidare l'esecuzione di un nuovo rapporto
contrattuale.
Il collegio, pur consapevole degli orientamenti
altalenanti della giurisprudenza amministrativa sul punto,
ritiene che, per le circostanze concrete della fattispecie,
sia da preferire senz’altro quello più rigoroso.
Ed invero, l’art. 38 del codice degli appalti, in ragione
della sua complessità e delle conseguenti difficoltà
interpretative –che ne hanno suggerito, finanche, la
parziale modifica da parte del legislatore- ha dato adito a
diverse elucubrazioni ermeneutiche confluite, per quel che
ci occupa, in due filoni principali.
Per il primo, ispirato al principio del favor partecipationis, l'obbligo di presentare le dichiarazioni di
cui all'art. 38 del codice dei contratti pubblici non opera
per i procuratori speciali indipendentemente dall'ampiezza
dei poteri rappresentativi di cui gli stessi sono investiti,
essendo richiesta a tale fine la compresenza della qualifica
di amministratore e del potere di rappresentanza dovendosi
"ancorare l'applicazione della norma su basi di oggettivo
rigore formale" (Cons. St., V, n. 3069/2011), occorrendo avere
riguardo alla posizione formale del singolo
nell'organizzazione societaria piuttosto che a malcerte
indagini "sostanzialistiche", e ciò anche per non scalfire
garanzie di certezza del diritto sotto il profilo della
possibilità di partecipare a pubblici appalti (sez. V, n.
513/11 cit., in cui si ribadisce che "una norma che limiti
la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa
economica delle imprese... assume carattere eccezionale ed
è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a
situazioni diverse, quale è quella dei procuratori") (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 06.06.2012, n. 3340).
Per il secondo, dal quale trapela un’esegesi più severa
della norma, suggerita anche dall’intento di evitare
comportamenti elusivi della disciplina da parte degli
operatori, “non sfugge al Collegio l'esistenza di un
orientamento giurisprudenziale secondo il quale gli obblighi
di cui all'art. 38, comma 1, lettera c), sono riferibili ai
soli amministratori della società muniti di poteri di
rappresentanza e ai direttori tecnici, ma non anche ai
procuratori speciali, con la conseguenza che tali obblighi
non incombano anche su questi ultimi" (fra tutte: Cons.
Stato, V, 25.01.2011, n. 513).
Tuttavia, si ritiene che prevalenti ragioni sistematiche
inducano a preferire la diversa opzione interpretativa
secondo cui l'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, nella
parte in cui elenca le dichiarazioni di sussistenza dei
requisiti morali e professionali richiesti ai fini della
partecipazione alle procedure di gara, assume come
destinatari tutti coloro che, in quanto titolari della
rappresentanza dell'impresa, siano in grado di trasmettere,
con il proprio comportamento, la riprovazione
dell'ordinamento nei riguardi della loro personale condotta,
al soggetto rappresentato.
Pertanto, deve ritenersi sussistente l'obbligo di
dichiarazione non soltanto da parte di chi rivesta
formalmente la carica di amministratore, ma anche da parte
di colui che, in qualità di procuratore ad negotia, abbia
ottenuto il conferimento di poteri consistenti nella
rappresentanza dell'impresa e nel compimento di atti
decisionali (sul punto, cfr. -ex multis-: Cons. Stato, V,
09.03.2010, n. 1373; id., VI, 24.11.2009, n. 7380;
id., V, 26.01.2009 n. 375).
Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza da ultimo
richiamata risultano tanto più persuasive nel caso in esame,
laddove è accertato -ad esempio- che al signor Cl.
(procuratore speciale della società Projenia) era
riconosciuto un ampio potere di rappresentanza negoziale,
tale da consentirgli di adottare nei confronti dei soggetti
pubblici atti di valore fino a 100mila euro.
Si tratta, come è evidente, di poteri di rappresentanza di
rilevanza sostanziale e di contenuto economico tali da
giustificare senz'altro l'assoggettamento agli obblighi di
cui al più volte richiamato art. 38 (Cons. Stato, sez. VI,
18.01.2012, n. 178).
Tali considerazioni si attagliano perfettamente al caso di
specie, dovendosi ravvisare, sulla base della procura
versata in atti allo stesso conferita, la titolarità di ampi
poteri di rappresentanza in capo al sig. Julian Barrutia
Olasolo, in riferimento alla possibilità al medesimo
riconosciuta di partecipare alle gare e di firmare
contratti, ed in generale ad operare come sostanziale
rappresentante della società all’interno dell’intero
territorio italiano.
Ciò risulta confermato dalla più volte citata risposta della
stazione appaltante alla richiesta di chiarimenti formulata
da un concorrente (Precisazioni 9 del 18.07.2012,
versato in atti), nella quale la stessa, a fronte della
richiesta “se i procuratori sono più di uno, bisognerà
fornire tanti allegati B quanto il numero dei procuratori?”
aveva risposto affermativamente, evidenziando, in
alternativa, la possibilità da parte del concorrente di
“produrre, in luogo degli Allegati A e B, unicamente
l’Allegato A sottoscritto dal legale rappresentante che
elenchi ai punti c) e d) tutti i soggetti indicati nella
norma, compresi i procuratori”.
In ogni caso, come asserito finanche dall’Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici nella determinazione n. 4
del 10.10.2012, costituisce causa di esclusione sia la
mancanza di uno dei requisiti soggettivi di cui all’art. 38
del Codice, a prescindere dalle indicazioni riportate nel
bando di gara, che, oltre all’ipotesi di falsità,
l’omissione o l’incompletezza delle dichiarazioni da
rendersi ai sensi dell’art. 38 da parte di tutti i soggetti
alle stesse tenute. Tali omissioni costituiscono, di per sé,
motivo di esclusione dalla procedura ad evidenza pubblica
anche in assenza di una espressa previsione del bando di
gara (cfr. pag. 8 della deliberazione succitata, oltre che
la deliberazione 16.05.2012, n. 74; cfr, altresì, Cons.
Stato, sez. III, 04.05.2012, n. 2557).
Del resto, tale interpretazione della norma si ricava anche
alla luce delle enunciazioni contenute nella direttiva
2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa
al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, il
cui art. 45, intitolato: “situazione personale del candidato
o dell’offerente” al par. 1, ultimo alinea, stabilisce che,
ai fini del controllo dell’insussistenza dei precedenti
penali in capo ai concorrenti, “le richieste riguarderanno
le persone giuridiche e/o le persone fisiche, compresi, se
del caso, i dirigenti delle imprese o qualsiasi persona che
eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di
controllo del candidato o dell’offerente”.
L’opzione ermeneutica sostanzialistica preferita dal
collegio risponde, dunque, anche ad un canone interpretativo
conforme al diritto europeo, dal quale deriva tutta la
disciplina sugli appalti pubblici vigente nell’ordinamento
italiano.
---------------
Riguardo, infine,
all’unico motivo aggiunto dedotto da CAF, concernente la
asserita violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), del
d.lgs. n. 163/2006, deve premettersi che, per giurisprudenza
consolidata, la norma di esclusione non ha carattere
sanzionatorio, ma contempla una misura a presidio
dell'elemento fiduciario, che esclude di per sé qualsiasi
automatismo, perché l'esclusione deve essere il risultato di
una "motivata valutazione"; in tema di contenzioso per
l'esclusione da gara di appalto ai sensi dell'art. 38, comma
1, lett. f), d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (inadempimenti in
precedenti contratti) la decisione di esclusione per
"deficit di fiducia" è frutto di una valutazione
discrezionale della stazione appaltante, alla quale il
legislatore riserva la individuazione del "punto di rottura
dell'affidamento" nel pregresso o futuro contraente;
pertanto il controllo del g.a. su tale valutazione
discrezionale deve essere svolto "ab estrinseco", ed è
diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di
simulazione, ma non è mai sostitutivo (Cons. Stato, sez. VI,
15.05.2012, n. 2761);
In tema di esclusione da una gara pubblica ex art. 38, comma
1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006, la gravità della
generica negligenza o dell'inadempimento a specifiche
obbligazioni contrattuali va commisurata al pregiudizio
arrecato alla fiducia, all'affidamento che la stazione
appaltante deve poter riporre, "ex ante",
nell'impresa cui decide di affidare l'esecuzione di un nuovo
rapporto contrattuale (Cons. Stato, sez. V, 21.01.2011, n.
409)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV
sentenza
22.01.2013 n. 183 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Ance:
la direttiva Ue sui pagamenti lumaca si applica ai lavori
pubblici. Costruttori, crediti ricchi. In caso di ritardo
interessi pari all'8,75%.
Anche al settore dei lavori pubblici si applicano i termini
previsti della direttiva europea sui ritardati pagamenti. In
caso di ritardo, a favore dei costruttori scattano gli
interessi nella misura stabilita dal nuovo provvedimento
(oggi l'8,75%), non essendo più applicabile la disciplina
pregressa (meno favorevole ai creditori).
Sono queste due importanti precisazioni contenute nella
circolare 18.01.2013
diffusa ieri dall'Ance per fornire alcune prime
indicazioni operative relative all'applicazione del dlgs
192/2012.
Mediante tale provvedimento, come noto, è stato disposto
l'integrale recepimento della nuova direttiva europea
2011/7/Ue relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento
nelle transazioni commerciali. Proprio argomentando a
partire dal fatto che il recepimento della direttiva è stato
«integrale» e che essa riguarda tutti i settori, compreso
quello dell'edilizia, l'Ance afferma che le nuove
disposizioni devono ritenersi applicabili anche al settore
delle costruzioni.
La questione, in effetti, è piuttosto
controversa, anche perché il nuovo decreto si limita a
modificare il precedente dlgs 231/2002, il quale non si
applicava a tale settore. Sul punto, nei mesi scorsi, è
intervento più volte anche il Vice-Presidente della
Commissione europea, Antonio Tajani, anch'egli sostenendo la
tesi dell'applicazione a 360° della nuova direttiva e quindi
dei relativi provvedimenti nazionali di recepimento.
Tuttavia, al momento, non si registrano conferme ufficiali
da parte del governo. Nelle scorse settimane era stata
annunciata una circolare congiunta del ministero dello
sviluppo economico, che tuttavia non dovrebbe vedere la luce
prima di febbraio.
Altrettanto importante il secondo chiarimento fornito
dall'Ance e che riguarda la decorrenza e la misura degli
interessi legali di mora in caso di ritardato pagamento.
Secondo i costruttori, l'approvazione del dlgs 192 ha
comportato alcune modifiche alla disciplina settoriale per i
lavori pubblici definita dal codice dei contratti e dal
relativo regolamento di esecuzione ed attuazione.
Per
effetto di tali modifiche, anche al settore in questione si
applica il duplice termine di 30 giorni+30 giorni per la
verifica delle prestazioni effettuate (consacrata
dall'emanazione del c.d. SAL) e per le operazioni di
pagamento. Il primo termine, secondo l'Ance, sostituisce
quello di 45 giorni previsto dall'art. 143 del predetto
regolamento. Quanto al secondo termine, in base al dlgs 192,
esso dovrebbe scattare dal momento della emissione della
fattura. In tal caso, tuttavia, l'Ance ritiene che rimanga
in vigore la previsione del regolamento, in quanto più
favorevole per il creditore: il conto alla rovescia, quindi,
scatterebbe dall'emissione del certificato di pagamento, che
normalmente arriva prima del rilascio della fattura.
Infine,
l'Ance chiarisce che la misura degli interessi di mora è in
ogni caso quella prevista dal dlgs 192. Secondo i
costruttori, infatti, quest'ultimo ha abrogato i commi 2 e 3
dell'art. 144 del regolamento dei codice dei contratti, che
prevedevano che nei primi 60 giorni di ritardo nel pagamento
dell'acconto e del saldo si applicasse il tasse legale (oggi
pari al 2,5%) e che dal sessantunesimo giorno scattasse il
saggio stabilito annualmente con decreto interministeriale
(da ultimo fissato al 5,27%).
Nei fatti, con tempi medi di
pagamento di circa 8 mesi, i ritardi si registrano sia sul
certificato che sul mandato e quindi il tasso legale si
applica per i primi 4 mesi di ritardo. Dal 1° gennaio
scorso, invece, sin dal primo giorno di ritardo si applica
il tasso Bce (per il semestre in corso pari allo 0,75%, come
da comunicato del Mef pubblicato sulla G.U. n. 14 del
17.01.2013), maggiorato dell'8%. Secondo l'Ance, in tal modo
si corregge la precedente distorsione che portava gli
operatori (specialmente negli enti locali) a dare precedenza
ai pagamenti in altri settori
(articolo ItaliaOggi del 22.01.2013). |
APPALTI:
Deve ritenersi necessaria
e sufficiente una modalità di sigillatura del plico tale da
impedire che il plico possa essere aperto e manomesso senza
che ne resti traccia visibile. Ne deriva che, anche in caso
di mancata osservanza pedissequa e cumulativa di ciascuna
delle singole modalità di chiusura contemplate dal
disciplinare di gara, deve ritenersi preclusa l’esclusione
di un’impresa concorrente in presenza di una modalità di
sigillatura comunque idonea a garantire l’ermetica e
inalterabile chiusura del plico.
A tal fine, l’uso di un sigillo in ceralacca non può
ritenersi strumento esclusivo indispensabile per impedirne
la manomissione (apertura + richiusura) a plico inalterato,
costituendo invero l’apposizione dei timbri e la controfirma
sul lembo di chiusura –da intendersi quale imboccatura della
busta soggetta ad operazione di chiusura a sé stante, talché
è sufficiente che l’adempimento formale imposto alle imprese
concorrenti venga limitato ai lembi della busta chiusi
dall’utilizzatore, con esclusione di quelli preincollati dal
fabbricante– una modalità di sigillatura di per sé idonea
prevenire eventuali manomissioni.
Si premette, in linea di diritto, che alla presente controversia, avente
ad oggetto una gara d’appalto indetta con bando di gara del
28.12.2011, è applicabile l’art. 46, comma 1-bis,
d.lgs. 16.04.2006, n. 163 –aggiunto dall’art. 4, comma
2, lett. d), d.l. 13.05.2011, n. 70, convertito, con
modificazioni, dalla l. 12.07.2011, n.106, secondo la
disciplina transitoria dettata dal comma 3 del citato art. 4
applicabile alle procedure i cui bandi siano pubblicati
successivamente alla data di entrata in vigore del
decreto-legge–, il quale introduce un criterio d’impronta
sostanzialistica nella configurazione delle cause di
esclusione dalla gara connesse, tra l’altro, all’irregolare
chiusura dei plichi contenenti le offerte o le domande di
partecipazione, prevedendo, per quanto qui interessa, che
“(…) la stazione appaltante esclude i candidati o i
concorrenti (…) in caso di non integrità del plico
contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre
irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far
ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato
violato il principio di segretezza delle offerte (…)”, e al
contempo comminando la sanzione della nullità per le
prescrizioni della lex specialis che contemplino cause di
esclusione diverse da quelle tassativamente previste dalla
legge.
Nel caso di specie, il disciplinare di gara prevede
testualmente che “(…) il plico contenente l’offerta e la
documentazione amministrativa dovrà, pena l’esclusione dalla
gara: (…) b) essere idoneamente sigillato con ceralacca,
timbrato, controfirmato sui lembi di chiusura (…)”.
Orbene, interpretando la citata clausola della lex specialis
alla luce del criterio valutativo introdotto dal comma 1-bis
dell’art. 46 d.lgs. n. 163 del 2006, in maniera non
formalistica al fine di garantire la massima partecipazione
alla gara, deve ritenersi necessaria e sufficiente una
modalità di sigillatura del plico tale da impedire che il
plico potesse essere aperto e manomesso senza che ne
restasse traccia visibile. Ne deriva che, anche in caso di
mancata osservanza pedissequa e cumulativa di ciascuna delle
singole modalità di chiusura contemplate dal disciplinare di
gara, deve ritenersi preclusa l’esclusione di un’impresa
concorrente in presenza di una modalità di sigillatura
comunque idonea a garantire l’ermetica e inalterabile
chiusura del plico.
A tal fine, l’uso di un sigillo in
ceralacca non può ritenersi strumento esclusivo
indispensabile per impedirne la manomissione (apertura +
richiusura) a plico inalterato, costituendo invero
l’apposizione dei timbri e la controfirma sul lembo di
chiusura –da intendersi quale imboccatura della busta
soggetta ad operazione di chiusura a sé stante, talché è
sufficiente che l’adempimento formale imposto alle imprese
concorrenti venga limitato ai lembi della busta chiusi
dall’utilizzatore, con esclusione di quelli preincollati dal
fabbricante– una modalità di sigillatura di per sé idonea
prevenire eventuali manomissioni (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.01.2013 n. 319 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
G.U. 21.01.2013 n. 17 "Linee Guida concernenti la
comunicazione alla stazione appaltante degli accertamenti
effettuati ai sensi 1-septies del D.L. 06.09.1982, n. 629,
convertito, con modificazioni, dalla legge 12.10.1982, n.
726" (Ministero dell'Interno, Comitato di coordinamento
per l'alta sorveglianza delle grandi opere,
comunicato 19.12.2012). |
LAVORI PUBBLICI:
R. Troccoli,
SUBAPPALTO, ERGO SUM! - L’Autorità, con un inaspettato
parere (non vincolante), cambia direzione e va all’attacco
dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in
materia di subappalto qualificante. E mentre la Merloni si
rivolta nella tomba, gli operatori si interrogano: errore di
percorso o definitivo cedimento del sistema di
qualificazione per l’esecuzione degli appalti pubblici? (21.01.2013). |
APPALTI:
►
Nelle gare d'appalto, una volta accertata la correttezza
dell'applicazione del metodo del confronto a coppie ovvero
quando non ne sia stato accertato l'uso distorto o
irrazionale, non c'è spazio alcuno per un sindacato del
Giudice Amministrativo nel merito dei singoli apprezzamenti
effettuati ed in particolare sui punteggi attribuiti nel
confronto a coppie, che indicano il grado di preferenza
riconosciuto ad ogni singola offerta in gara, con
l'ulteriore conseguenza che la motivazione delle valutazioni
sugli elementi qualitativi risiede nelle stesse preferenze
attribuite ai singoli elementi di valutazione considerati
nei raffronti con gli stessi elementi delle altre offerte.
►
Nel caso in cui un bando abbia indicato criteri valutativi
dettagliati e adeguati rispetto allo specifico oggetto del
contratto messo a gara, e qualora la commissione
giudicatrice abbia previamente individuato correlativi
criteri motivazionali, con successiva comparazione delle
offerte segnalandone i pregi e i difetti, allora non vi è
alcun bisogno di integrare, sul piano motivazionale i
punteggi attribuiti dai commissari con il metodo del
confronto a coppie, dal momento che detti punteggi si
limitano a esprimere le varie preferenze accordate, le
quali, costituendo il precipitato dei criteri prestabiliti e
delle analisi preliminari compiute, si sottraggono
all'obbligo di una specifica, ulteriore motivazione.
►
E' legittima la valutazione
resa in termini numerici da una commissione giudicatrice
qualora il relativo bando di gara, prevedendo lo svolgimento
di siffatta attività mediante il metodo del cd. "confronto a
coppie", attribuisca valenza di motivazione al grado di
preferenza che ogni commissario attribuisce a ciascuna
offerta nel raffronto con le altre.
Va innanzitutto ribadito che, laddove –come nel caso di specie- il
metodo di valutazione delle offerte sia quello del c.d.
“confronto a coppie”, la motivazione aritmetica è ben
sufficiente e non richiede alcun supplemento motivazionale
in quanto emerge con chiarezza la preferenza accordata
all’uno piuttosto che all’altro elemento (ex multis: “nelle
gare d'appalto, una volta accertata la correttezza
dell'applicazione del metodo del confronto a coppie ovvero
quando non ne sia stato accertato l'uso distorto o
irrazionale, non c'è spazio alcuno per un sindacato del
Giudice Amministrativo nel merito dei singoli apprezzamenti
effettuati ed in particolare sui punteggi attribuiti nel
confronto a coppie, che indicano il grado di preferenza
riconosciuto ad ogni singola offerta in gara, con
l'ulteriore conseguenza che la motivazione delle valutazioni
sugli elementi qualitativi risiede nelle stesse preferenze
attribuite ai singoli elementi di valutazione considerati
nei raffronti con gli stessi elementi delle altre offerte” -Cons. Stato Sez. V, 28-02-2012, n. 1150-; “nel caso in cui
un bando abbia indicato criteri valutativi dettagliati e
adeguati rispetto allo specifico oggetto del contratto messo
a gara, e qualora la commissione giudicatrice abbia
previamente individuato correlativi criteri motivazionali,
con successiva comparazione delle offerte segnalandone i
pregi e i difetti, allora non vi è alcun bisogno di
integrare, sul piano motivazionale i punteggi attribuiti dai
commissari con il metodo del confronto a coppie, dal momento
che detti punteggi si limitano a esprimere le varie
preferenze accordate, le quali, costituendo il precipitato
dei criteri prestabiliti e delle analisi preliminari
compiute, si sottraggono all'obbligo di una specifica,
ulteriore motivazione” -Cons. Stato Sez. V, 05-03-2010, n.
01281-; “è legittima la valutazione resa in termini
numerici da una commissione giudicatrice qualora il relativo
bando di gara, prevedendo lo svolgimento di siffatta
attività mediante il metodo del cd. "confronto a coppie",
attribuisca valenza di motivazione al grado di preferenza
che ogni commissario attribuisce a ciascuna offerta nel
raffronto con le altre” -TAR Marche Ancona Sez. I,
10-05-2012, n. 320)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.01.2013 n. 341 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In materia di gare di
appalto, in una situazione di obiettiva incertezza (quando
cioè le clausole della lex specialis risultino
imprecisamente formulate o si prestino comunque ad
incertezze interpretative) la risposta dell'amministrazione
appaltante ad una richiesta di chiarimenti avanzata da un
concorrente non costituisce un'indebita, e perciò
illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta di
interpretazione autentica, con cui l'amministrazione
chiarisce la propria volontà provvedimentale in un primo
momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando
le previsioni della lex specialis.
Si rammenta in proposito
che, per consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di
Stato, “in materia di gare di appalto (D.Lgs. n. 163/2006 -
Codice degli appalti) in una situazione di obiettiva
incertezza (quando cioè le clausole della lex specialis
risultino imprecisamente formulate o si prestino comunque ad
incertezze interpretative) la risposta dell'amministrazione
appaltante ad una richiesta di chiarimenti avanzata da un
concorrente non costituisce un'indebita, e perciò
illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta di
interpretazione autentica, con cui l'amministrazione
chiarisce la propria volontà provvedimentale in un primo
momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando
le previsioni della lex specialis" (Cons. Stato Sez. V,
17-10-2012, n. 5296) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.01.2013 n. 341 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' ben possibile, ad
opera della stazione appaltante, cumulare il compito di
responsabile unico del procedimento con l’incarico di
presidente della Commissione giudicatrice. Nessuna norma,
infatti, neanche l’invocato art. 10, comma 2, del d.lgs. n.
163 del 2006, impedisce espressamente tale cumulo; anzi il
comma 4 dell'art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006 ne conferma,
indirettamente, la legittimità allorché prevede limiti solo
per i commissari diversi dal presidente.
E, d'altronde, la giurisprudenza ha avuto anche modo di
precisare che non sussiste incompatibilità tra le funzioni
di Presidente della Commissione di gara e quella di
responsabile del procedimento-RUP, mentre, per altro verso,
l'approvazione degli atti della Commissione non può essere
ricompresa nella nozione di controllo, risolvendosi in una
revisione interna, connessa alla responsabilità unitaria del
procedimento.
---------------
Pur nel doveroso rispetto di quanto prescritto dall’art. 84,
comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, a norma del quale,
qualora la scelta della migliore offerta debba avvenire con
il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
tutti i componenti della commissione, ivi incluso il
presidente, devono essere “esperti nello specifico settore
cui si riferisce l’oggetto del contratto”– questa norma va
opportunamente intesa nel senso che l’esperienza richiesta
deve essere valutata, vieppiù con riferimento al presidente
della commissione ed ai compiti a lui pertinenti, con
riferimento non solo alle conoscenze prettamente tecniche,
ma anche con riguardo a quelle più genericamente intese come
gestionali ed organizzative, in rapporto alla necessità di
garantire il coordinamento e la concentrazione del
procedimento di gara.
Il comma 2 dell’art. 84 deve, infatti, necessariamente
coordinarsi con il successivo comma 3 il quale affida la
presidenza della commissione di gara ad un dirigente della
medesima stazione appaltante ovvero, in mancanza, ad un
funzionario incaricato di funzioni apicali, così
legittimando anche la nomina di un funzionario non
appartenente a ruoli tecnici specificamente specializzato
nel settore. La garanzia dell’“adeguata professionalità”,
per l’ipotesi di accertata carenza in organico, è peraltro
mantenuta dal successivo comma 8 solo per i componenti della
commissione diversi dal suo presidente, con ciò
implicitamente confermando che la professionalità di
quest’ultimo è già di per sé assicurata dal grado di
apicalità (e, quindi, di connesse conoscenze, nonché di
esperienza, di natura gestionale ed organizzativa) dal
medesimo rivestito nell’ambito dell’amministrazione
appaltante.
---------------
Deve ritenersi condivisibile l’orientamento che, in
proposito, è di gran lunga prevalente nella giurisprudenza
amministrativa secondo cui “la mancata dettagliata
indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di
custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per
garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per
sé motivo di illegittimità dell'attività posta in essere
dalla commissione di gara per garantire la custodia di
plichi, in assenza di ulteriori elementi idonei a far
ipotizzare che si siano verificate in concreto manomissioni
o alterazione dei documenti”.
Ciò, sulla scorta dell’ulteriore osservazione secondo cui,
in caso di mancata verbalizzazione, allorché non ci siano
indizi di segno contrario, si deve presumere che la
documentazione di gara sia sempre conservata, a cura del
responsabile del procedimento o del presidente della
Commissione, in modo tale da non essere accessibile a
soggetti estranei: sul dipendente pubblico infatti grava,
ratione muneris, l’obbligo del segreto d’ufficio.
Nel merito, non può anzitutto trovare accoglimento il primo
motivo di gravame.
Secondo un consistente filone giurisprudenziale –già fatto
proprio da questa Sezione sin dalla sentenza n. 459 del 2005
e che questo Collegio condivide– è ben possibile, ad opera
della stazione appaltante, cumulare il compito di
responsabile unico del procedimento con l’incarico di
presidente della Commissione giudicatrice. Nessuna norma,
infatti, neanche l’invocato art. 10, comma 2, del d.lgs. n.
163 del 2006, impedisce espressamente tale cumulo; anzi il
comma 4 dell'art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006 ne conferma,
indirettamente, la legittimità allorché prevede limiti solo
per i commissari diversi dal presidente.
E, d'altronde, la giurisprudenza ha avuto anche modo di
precisare che non sussiste incompatibilità tra le funzioni
di Presidente della Commissione di gara e quella di
responsabile del procedimento-RUP, mentre, per altro verso,
l'approvazione degli atti della Commissione non può essere
ricompresa nella nozione di controllo, risolvendosi in una
revisione interna, connessa alla responsabilità unitaria del
procedimento (cfr., ex multis, di recente: TAR
Basilicata, n. 100 del 2010; TAR Calabria, Reggio Calabria,
sez. I, n. 474 del 2011; TAR Puglia, Bari, sez. I, n. 1183
del 2012).
Né è degno di positiva disamina l’altro profilo di censura,
sollevato nell’ambito del primo motivo di gravame, e
riguardante l’asserita inidoneità professionale dell’ing.
Leli ad assumere la presidenza della Commissione di gara.
Deve, in merito, anzitutto osservarsi che, come si evince
dal curriculum vitae depositato in giudizio dalla
S.C.R. (doc. n. 14), l’ing. Leli ha partecipato, in ambito
sanitario, a diversi gruppi di lavoro nominati dalla Regione
Piemonte per la definizione delle specifiche tecniche di
diverse categorie merceologiche le quali risultano attinenti
a quella per cui è stata bandito l’appalto de quo: “aghi
e siringhe, ausili per incontinenza, farmaci, soluzioni
infusionali, suturatrici, vaccini, ecc.”: donde deve
darsi per appurata la sussistenza di una sua pur minima
esperienza nel settore cui si riferiva l’oggetto del
contratto per cui è causa (riguardante la fornitura di
suturatrici).
Per altro verso, va poi osservato che –pur nel doveroso
rispetto di quanto prescritto dall’art. 84, comma 2, del
d.lgs. n. 163 del 2006, a norma del quale, qualora la scelta
della migliore offerta debba avvenire con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tutti i
componenti della commissione, ivi incluso il presidente,
devono essere “esperti nello specifico settore cui si
riferisce l’oggetto del contratto”– questa norma va
opportunamente intesa nel senso che l’esperienza richiesta
deve essere valutata, vieppiù con riferimento al presidente
della commissione ed ai compiti a lui pertinenti, con
riferimento non solo alle conoscenze prettamente tecniche,
ma anche con riguardo a quelle più genericamente intese come
gestionali ed organizzative, in rapporto alla necessità di
garantire il coordinamento e la concentrazione del
procedimento di gara, aspetto che di certo risulta
soddisfatto in presenza di un presidente –come nella specie–
laureato in ingegneria gestionale nonché, già da diversi
anni, responsabile dell’“Ufficio Acquisti e Commesse
esterne” di S.C.R.
Il comma 2 dell’art. 84 deve, infatti, necessariamente
coordinarsi con il successivo comma 3 il quale affida la
presidenza della commissione di gara ad un dirigente della
medesima stazione appaltante ovvero, in mancanza, ad un
funzionario incaricato di funzioni apicali, così
legittimando anche la nomina di un funzionario non
appartenente a ruoli tecnici specificamente specializzato
nel settore (cfr., analogamente, Cons. Stato, sez. V, n.
7353 del 2009). La garanzia dell’“adeguata
professionalità”, per l’ipotesi di accertata carenza in
organico, è peraltro mantenuta dal successivo comma 8 solo
per i componenti della commissione diversi dal suo
presidente, con ciò implicitamente confermando che la
professionalità di quest’ultimo è già di per sé assicurata
dal grado di apicalità (e, quindi, di connesse conoscenze,
nonché di esperienza, di natura gestionale ed organizzativa)
dal medesimo rivestito nell’ambito dell’amministrazione
appaltante.
---------------
Venendo ora al terzo motivo di
gravame –concernente la mancata verbalizzazione delle
modalità di conservazione dei plichi contenenti le offerte
tecniche ed economiche– esso deve respingersi per le ragioni
che seguono.
Come già statuito da questo TAR in recenti occasioni (sez.
I, sentt. n. 569 e 1180 del 2012), deve ritenersi
condivisibile l’orientamento che, in proposito, è di gran
lunga prevalente nella giurisprudenza amministrativa secondo
cui “la mancata dettagliata indicazione nei verbali di
gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e
degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle
offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità
dell'attività posta in essere dalla commissione di gara per
garantire la custodia di plichi, in assenza di ulteriori
elementi idonei a far ipotizzare che si siano verificate in
concreto manomissioni o alterazione dei documenti”
(Cons. Stato, sez. V, nn. 3079, 4055 e 5456 del 2011; Cons.
Stato, sez. III, n. 2908 del 2011 e n. 5050 del 2012; TAR
Emilia Romagna, Parma, sez. I, n. 424 del 2011; TAR Sicilia,
Catania, sez. III, n. 2003 del 2011; TAR Campania, Napoli,
sez. I, n. 1496 del 2011).
Ciò, sulla scorta dell’ulteriore osservazione secondo cui,
in caso di mancata verbalizzazione, allorché non ci siano
indizi di segno contrario, si deve presumere che la
documentazione di gara sia sempre conservata, a cura del
responsabile del procedimento o del presidente della
Commissione, in modo tale da non essere accessibile a
soggetti estranei: sul dipendente pubblico infatti grava,
ratione muneris, l’obbligo del segreto d’ufficio (così
TAR Marche, n. 576 del 2011)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 18.01.2013 n. 85 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Termine del regime transitorio riguardante il
regolamento di attuazione del Codice 163/2006 e le categorie
SOA variate (ANCE Bergamo,
circolare 18.01.2013 n. 20). |
LAVORI PUBBLICI:
IL RECEPIMENTO DELLA NUOVA DIRETTIVA EUROPEA SUI RITARDI
DI PAGAMENTO - Prime indicazioni operative relative
all'applicazione del D.Lgs. 09.11.2012 n. 192 (ANCE,
circolare 18.01.2013). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Amministrazione aperta e pubblicazione delle determinazioni.
L'affissione di atti all'albo pretorio
on-line non esonera l'amministrazione dall'obbligo di
pubblicazione anche sul sito istituzionale nel caso in cui
gli stessi rientrino nelle categorie per le quali l'obbligo
è previsto dalle norme sull'amministrazione aperta di cui
all'art. 18 del D.L. 83/2012.
Il Comune rileva che è stato recentemente sostituito, ad
opera della legge regionale 21.12.2012, n. 26 (legge di
manutenzione dell'ordinamento regionale 2012), l'art. 1,
comma 15, della legge regionale 11.12.2003, n. 21, il quale
ora prevede la pubblicazione all'interno dei siti
informatici propri o di altre pubbliche amministrazioni,
oltre che delle deliberazioni, anche delle determinazioni
degli enti locali.
L'Ente locale osserva, inoltre, che la Regione Friuli
Venezia Giulia ha disciplinato, all'art. 12, commi 26-41,
della legge regionale 31.12.2012, n. 27 [1], gli obblighi
sull'amministrazione aperta derivanti dall'applicazione
dell'art. 18 del decreto legge 22.06.2012, n. 83 [2].
Alla luce di un tanto, il Comune chiede se la pubblicazione
all'interno del proprio sito istituzionale delle
determinazioni assolva anche alle prescrizioni di cui al
citato art. 18 del D.L. 83/2012 ovvero se queste ultime
debbano essere comunque rispettate da parte dell'Ente.
Gli obblighi sulla pubblicazione di concessioni, compensi ed
altri vantaggi, previsti dall'art. 18 del D.L. 83/2012, come
già osservato in altro parere espresso da questo Ufficio
[3], trovano applicazione anche per le amministrazioni
locali del Friuli Venezia Giulia.
E' pur vero che l'oggetto delle pubblicazioni previste dalle
due norme può, in alcuni casi, coincidere, potendo, ad
esempio, una determinazione dirigenziale riguardare
l'attribuzione di compensi o altri vantaggi economici per i
quali l'art. 18 del D.L. 83/2012 prevede la pubblicazione
sul sito internet.
Anche in tale caso, però, gli enti devono adempiere agli
obblighi previsti dalle due distinte normative, pubblicando,
se del caso, sia sull'albo pretorio informatico sia nella
sezione 'Trasparenza, valutazione e merito' il
medesimo atto qualora richiesto dalle norme citate.
Di un tanto si è avuto conferma in una delibera della
Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza
e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit), la
quale, constatando che la tenuta, anche online, dell'albo
pretorio non rientra nell'ambito di applicazione dell'art.
11 del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150 [4], e più in
generale delle norme sulla trasparenza, ha espresso l'avviso
che l'affissione di atti nell'albo pretorio on-line non
esonera l'amministrazione dall'obbligo di pubblicazione
anche sul sito istituzionale nel caso in cui tali atti
rientrino nelle categorie per le quali l'obbligo è previsto
dalla legge [5].
---------------
[1] Come emerge dalla circolare n. 20 del 27.12.2012
della Direzione centrale finanze, patrimonio e
programmazione, tali disposizioni si applicano, ai sensi dei
commi 40 e 41 dell'art. 12 della L.R. 27/2012, solamente
all'amministrazione regionale, agli enti regionali ed alle
agenzie regionali e, quindi, non agli enti locali. La norma
lascia, tuttavia, aperta l'applicabilità a questi ultimi
solamente qualora gli stessi operino in qualità di 'soggetti
che gestiscono, per conto della Regione, risorse finalizzate
alle concessioni e alle attribuzioni', con riferimento, in
particolare, ai casi in cui tali enti siano soggetti
delegatari in forza di delegazioni amministrative
intersoggettive (v. art. 51 della legge regionale
31.05.2002, n. 14).
[2] Convertito, con modificazioni, dalle legge 7 agosto
2012, n. 134.
[3] V. parere prot. n. 39395 del 14.12.2012 scaricabile dal
Portale delle autonomie locali alla pagina http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/.
[4] Norme sulla trasparenza nella pubblica amministrazione,
intesa come accessibilità totale anche attraverso lo
strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle
informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione,
degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e
all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle
funzioni istituzionali.
[5] V. delibera Civit n. 33/2012: 'Rapporti di affissione di
atti nell'albo pretorio on-line e il loro obbligo di
pubblicazione sul sito istituzionale dell'Ente' (18.01.2013
- link a www.regione.fvg.it). |
APPALTI:
Ai fini della validità
dei contratti pubblici di appalto, è necessaria, ad
substantiam, la forma scritta.
Altresì, nelle procedure di affidamento dei contratti in
parola, l'offerta esprime, in via unilaterale e con
carattere vincolante, l'impegno negoziale del concorrente ad
eseguire l’appalto con prestazioni conformi al relativo
oggetto, nonché con modalità tecniche e corrispettivo
economico che la qualificano agli effetti della valutazione
comparativa sottesa all'aggiudicazione.
In un simile contesto, connotato dalla tassatività della
forma scritta e dalla coattività della dichiarazione
unilaterale di impegno negoziale da parte del concorrente,
la firma serve a rendere nota la paternità ed a vincolare
l'autore al contenuto del documento ritraente detta
dichiarazione; assolve, cioè, la funzione indefettibile di
assicurare provenienza, serietà, affidabilità e
insostituibilità dell'offerta e costituisce elemento
essenziale per la sua ammissibilità, sotto il profilo sia
formale sia sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere
gli effetti propri della manifestazione di volontà volta
alla costituzione di un rapporto giuridico.
La clausola di gara che imponga la sottoscrizione (anche)
della documentazione tecnica da parte del soggetto
concorrente corrisponde, dunque, all’illustrata esigenza che
l'offerta sia formalmente imputata al soggetto titolato ad
assumere le obbligazioni in essa contemplate per
l'esecuzione dell’appalto.
Conseguentemente, la mancanza della richiesta
sottoscrizione, pregiudicando un interesse sostanziale
pubblicistico, comporta che l'offerta non possa essere ‘tal
quale’ accettata; non integra, cioè, una mera irregolarità
formale, sanabile nel corso del procedimento, ma inficia
irrimediabilmente la validità e la ricevibilità della
dichiarazione di offerta, senza che, all’uopo, sia
necessaria una espressa previsione della lex specialis,
stante la diretta comminatoria di esclusione enunciata
dall'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163/2006 con
riferimento ai “casi di incertezza assoluta sul contenuto o
sulla provenienza dell'offerta, per difetto di
sottoscrizione”.
Ciò posto, occorre richiamare in appresso l’orientamento
giurisprudenziale formatosi in ordine alla tassatività della
sottoscrizione in calce (anche) dell’offerta tecnica, dal
quale il Collegio non ritiene di doversi discostare:
- in particolare, una ‘sottoscrizione’ deve, per
definizione, essere apposta in calce al documento al quale
si riferisce;
- in tale prospettiva, la sottoscrizione conclusiva della
dichiarazione di impegno non è stata reputata surrogabile
dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti
ovvero dall'apposizione della controfirma sui lembi
sigillati della busta che la contiene (mirando, quest’ultima
formalità, a garantire il principio della segretezza
dell'offerta e della integrità del plico, piuttosto che
–come, invece, la firma in calce– l’imputazione della
manifestazione di volontà al concorrente);
- nella stessa prospettiva, e in omaggio al principio della
par condicio tra concorrenti, alla firma in calce di un
documento non è equiparabile quella apposta solo in apertura
di esso (‘in testa’) ovvero sul solo frontespizio di un
testo di più pagine, in quanto unicamente con la firma in
calce si manifesta la consapevole assunzione della paternità
di una dichiarazione e la responsabilità in ordine al suo
contenuto; né, tanto meno, alla firma in calce di singoli ed
autonomi documenti è equiparabile la sottoscrizione
dell’elenco riproduttivo della mera intitolazione dei
documenti medesimi, del cui contenuto rimane, dunque,
incerta l’imputabilità al soggetto offerente;
- siffatto approccio è stato, peraltro, mantenuto fermo,
anche allorquando sono state ripudiate interpretazioni
puramente formali delle regole di gara, essendosi ritenuta
conseguita la finalità della sottoscrizione –consistente
nell’assicurare la riferibilità della dichiarazione di
offerta al relativo presentatore– pur sempre in presenza
almeno della sigla in calce di quest’ultimo.
- al riguardo, giova, in primis, rammentare che, ai
fini della validità dei contratti pubblici di appalto, è
necessaria, ad substantiam, la forma scritta (cfr.
Cass. civ., sez. un., n. 6827/2010; sez. I, n. 1614/2009; n.
19209/2009; sez. III, n. 20340/2010);
- giova, altresì, rammentare che, nelle procedure di
affidamento dei contratti in parola, l'offerta esprime, in
via unilaterale e con carattere vincolante, l'impegno
negoziale del concorrente ad eseguire l’appalto con
prestazioni conformi al relativo oggetto, nonché con
modalità tecniche e corrispettivo economico che la
qualificano agli effetti della valutazione comparativa
sottesa all'aggiudicazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n.
7987/2010);
- in un simile contesto, connotato dalla tassatività della
forma scritta e dalla coattività della dichiarazione
unilaterale di impegno negoziale da parte del concorrente,
la firma serve a rendere nota la paternità ed a vincolare
l'autore al contenuto del documento ritraente detta
dichiarazione; assolve, cioè, la funzione indefettibile di
assicurare provenienza, serietà, affidabilità e
insostituibilità dell'offerta e costituisce elemento
essenziale per la sua ammissibilità, sotto il profilo sia
formale sia sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere
gli effetti propri della manifestazione di volontà volta
alla costituzione di un rapporto giuridico;
- la clausola di gara che imponga la sottoscrizione (anche)
della documentazione tecnica da parte del soggetto
concorrente corrisponde, dunque, all’illustrata esigenza che
l'offerta sia formalmente imputata al soggetto titolato ad
assumere le obbligazioni in essa contemplate per
l'esecuzione dell’appalto;
- conseguentemente, la mancanza della richiesta
sottoscrizione, pregiudicando un interesse sostanziale
pubblicistico, comporta che l'offerta non possa essere ‘tal
quale’ accettata (cfr. TAR Liguria, Genova, sez. II, n.
630/2010); non integra, cioè, una mera irregolarità formale,
sanabile nel corso del procedimento, ma inficia
irrimediabilmente la validità e la ricevibilità della
dichiarazione di offerta, senza che, all’uopo, sia
necessaria una espressa previsione della lex specialis
(cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5547/2008; sez. IV, n.
1832/2010; sez. V, n. 528/2011; TAR Sicilia, Palermo, sez.
III, n. 5498/2010), stante la diretta comminatoria di
esclusione enunciata dall'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs.
n. 163/2006 con riferimento ai “casi di incertezza
assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per
difetto di sottoscrizione”;
- ciò posto, occorre richiamare in appresso l’orientamento
giurisprudenziale formatosi in ordine alla tassatività della
sottoscrizione in calce (anche) dell’offerta tecnica, dal
quale il Collegio non ritiene di doversi discostare;
- in particolare, una ‘sottoscrizione’ –ha osservato
Cons. Stato, sez. V, n. 2317/2912, con riferimento ad una
fattispecie omologa a quella dedotta nel presente giudizio–
deve, per definizione, essere apposta in calce al documento
al quale si riferisce;
- in tale prospettiva, la sottoscrizione conclusiva della
dichiarazione di impegno non è stata reputata surrogabile
dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1832/2010) ovvero
dall'apposizione della controfirma sui lembi sigillati della
busta che la contiene (mirando, quest’ultima formalità, a
garantire il principio della segretezza dell'offerta e della
integrità del plico, piuttosto che –come, invece, la firma
in calce– l’imputazione della manifestazione di volontà al
concorrente: cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 528/2011);
- nella stessa prospettiva, e in omaggio al principio della
par condicio tra concorrenti, alla firma in calce di un
documento non è equiparabile –prosegue Cons. Stato, sez. V,
n. 2317/2912– quella apposta solo in apertura di esso (‘in
testa’) ovvero –come nel caso dei sopra indicati
elaborati prodotti in gara dall’ATI Italimpianti– Matera –
sul solo frontespizio di un testo di più pagine, in quanto
unicamente con la firma in calce si manifesta la consapevole
assunzione della paternità di una dichiarazione e la
responsabilità in ordine al suo contenuto (cfr. TAR Puglia,
Lecce, sez. III, n. 625/2011; TAR Sardegna, Cagliari, sez.
I, n. 634/2012); né, tanto meno, alla firma in calce di
singoli ed autonomi documenti è equiparabile –a dispetto
degli assunti delle ricorrenti principali– la sottoscrizione
dell’elenco riproduttivo della mera intitolazione dei
documenti medesimi, del cui contenuto rimane, dunque,
incerta l’imputabilità al soggetto offerente;
- siffatto approccio è stato, peraltro, mantenuto fermo,
anche allorquando sono state ripudiate interpretazioni
puramente formali delle regole di gara, essendosi ritenuta
conseguita la finalità della sottoscrizione –consistente
nell’assicurare la riferibilità della dichiarazione di
offerta al relativo presentatore– pur sempre in presenza
almeno della sigla in calce di quest’ultimo (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, n. 8933/2010) (TAR Campania-Napoli, Sez.
VIII,
sentenza 17.01.2013 n. 368 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare, ok alla partecipazione con irregolarità
fiscali ''pendenti''.
Ai fini della partecipazione alle gare pubbliche d'appalto
non può essere considerata irregolare la posizione
dell'impresa (partecipante) qualora sia ancora pendente il
termine di sessanta giorni per l'impugnazione del
provvedimento che imputa la commissione di violazioni gravi
degli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse
(o per l'adempimento) ovvero, qualora sia stata proposta
impugnazione, non sia ancora passata in giudicato la
pronuncia giurisdizionale.
L'adempimento o la contestazione nei termini decadenziali
all'uopo fissati dalla legge implica che in precedenza le
violazioni non potessero reputarsi definitivamente
accertate.
Il Collegio ritiene, pertanto, che il giudice di primo grado
abbia correttamente fatto applicazione dei condivisibili
principi contenuti nella circolare n. 34/E del 25.05.2007,
con la quale l'Agenzia delle entrate ha fornito gli
indirizzi operativi ai propri uffici locali in merito alle
modalità di attestazione della regolarità fiscale delle
imprese partecipanti a procedure di aggiudicazione di
appalti pubblici, alla luce della nuova normativa introdotta
dal codice dei contratti pubblici.
Secondo la menzionata circolare vi è regolarità fiscale
quando, alternativamente:
- a carico dell'impresa, non risultino contestate violazioni
tributarie mediante atti ormai definitivi per decorso del
termine di impugnazione, ovvero, in caso di impugnazione,
qualora la relativa pronuncia giurisdizionale sia passata in
giudicato;
- in caso di violazioni tributarie accertate, la pretesa
dell'amministrazione finanziaria risulti, alla data di
richiesta della certificazione, integralmente soddisfatta,
anche mediante definizione agevolata.
La circolare precisa inoltre che non può essere considerata
irregolare la posizione dell'impresa partecipante qualora
sia ancora pendente il termine di sessanta giorni per
l'impugnazione (o per l'adempimento) ovvero, qualora sia
stata proposta impugnazione, non sia passata ancora in
giudicato la pronuncia giurisdizionale (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 17.01.2013 n. 261 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Nell’ipotesi
di opere realizzate in regime di concessione, la
responsabilità per le indennità ed i risarcimenti nei
confronti di terzi sono esclusivamente a carico del soggetto
concessionario, qualora tale conclusione risulti conforme
alle previsioni contenute nella disciplina del titolo
concessorio.
In particolare, è stato affermato che in questi casi l’ente
sostituto (cioè il concessionario) agisce per l’esecuzione
dell’opera non in rappresentanza dell’Amministrazione
sostituita, ma per competenza propria e spendendo il proprio
nome di persona giuridica diversa, assumendo quindi di
fronte all’espropriato o al titolare del bene occupato tutti
gli obblighi relativi o derivanti dal procedimento (inclusi
quelli risarcitori), con esclusione della legittimazione
passiva del concedente, anche nel caso in cui quest’ultimo
risulti il beneficiario delle opere realizzate.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito,
confermando sul punto un consistente indirizzo della
giurisprudenza di merito, che, nell’ipotesi di opere
realizzate in regime di concessione, la responsabilità per
le indennità ed i risarcimenti nei confronti di terzi sono
esclusivamente a carico del soggetto concessionario, qualora
tale conclusione risulti conforme alle previsioni contenute
nella disciplina del titolo concessorio.
In particolare, la Suprema Corte (cfr. Cass. Civ., Sez. I,
n. 5630/2012; Cass. Civ., Sez. I, n. 26261/2007; Cass. Civ.,
Sez. I., n. 11139/2003 e Cass. Civ., Sez. Un., n. 388/2000)
ha affermato che in questi casi l’ente sostituto (cioè il
concessionario) agisce per l’esecuzione dell’opera non in
rappresentanza dell’Amministrazione sostituita, ma per
competenza propria e spendendo il proprio nome di persona
giuridica diversa, assumendo quindi di fronte
all’espropriato o al titolare del bene occupato tutti gli
obblighi relativi o derivanti dal procedimento (inclusi
quelli risarcitori), con esclusione della legittimazione
passiva del concedente, anche nel caso in cui quest’ultimo
risulti il beneficiario delle opere realizzate
(TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 17.01.2013 n. 79 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: G.U.
17.01.2013 n. 14 "Saggio degli interessi da applicare a
favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle
transazioni commerciali - periodo 01.01.-30.06.2013" (Ministero
dell'Economia e delle Finanze,
comunicato). |
APPALTI:
L'interpretazione degli atti amministrativi, ivi
compreso il bando di gara pubblica, soggiace alle stesse
regole dettate dall'art. 1362 e ss. c.c. per
l'interpretazione dei contratti, tra le quali assume
carattere preminente quella collegata all'interpretazione
letterale in quanto compatibile con il provvedimento
amministrativo, dovendo in ogni caso il giudice ricostruire
l'intento dell'Amministrazione, ed il potere che essa ha
inteso esercitare, in base al contenuto complessivo
dell'atto (cd. interpretazione sistematica), tenendo conto
del rapporto tra le premesse ed il suo dispositivo e del
fatto che, secondo il criterio di interpretazione di buona
fede ex art. 1366 c.c., gli effetti degli atti
amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò
che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in
ragione del principio costituzionale di buon andamento, che
impone alla P.A. di operare in modo chiaro e lineare, tale
da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure,
soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze
negative.
Conseguentemente, solo in caso di oscurità ed equivocità
delle clausole del bando e degli atti che regolano i
rapporti tra cittadini e Amministrazione può ammettersi una
lettura idonea a tutela dell'affidamento degli interessati
in buona fede, non potendo generalmente addebitarsi al
cittadino un onere di ricostruzione dell'effettiva volontà
dell'Amministrazione mediante complesse indagini
ermeneutiche ed integrative.
Come è noto, per conforme giurisprudenza di questo Consiglio,
l'interpretazione degli atti amministrativi, ivi compreso il
bando di gara pubblica, soggiace alle stesse regole dettate
dall'art. 1362 e ss. c.c. per l'interpretazione dei
contratti, tra le quali assume carattere preminente quella
collegata all'interpretazione letterale in quanto
compatibile con il provvedimento amministrativo, dovendo in
ogni caso il giudice ricostruire l'intento
dell'Amministrazione, ed il potere che essa ha inteso
esercitare, in base al contenuto complessivo dell'atto (cd.
interpretazione sistematica), tenendo conto del rapporto tra
le premesse ed il suo dispositivo e del fatto che, secondo
il criterio di interpretazione di buona fede ex art. 1366
c.c., gli effetti degli atti amministrativi devono essere
individuati solo in base a ciò che il destinatario può
ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio
costituzionale di buon andamento, che impone alla P.A. di
operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai
cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto
quando da esse possano derivare conseguenze negative (cfr.,
ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 05.09.2011, n.
4980).
Da tale premessa, deriva, quale diretto corollario, la
regola secondo la quale solo in caso di oscurità ed
equivocità delle clausole del bando e degli atti che
regolano i rapporti tra cittadini e Amministrazione può
ammettersi una lettura idonea a tutela dell'affidamento
degli interessati in buona fede, non potendo generalmente
addebitarsi al cittadino un onere di ricostruzione
dell'effettiva volontà dell'Amministrazione mediante
complesse indagini ermeneutiche ed integrative
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.01.2013 n. 238 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Le verifiche che devono
essere effettuate su un progetto in gara devono, ovviamente,
rispondere ad uno specifico ed oggettivo interesse
dell’Amministrazione; in particolare, con riguardo al
progetto definitivo, non solo le verifiche devono riguardare
la documentazione espressamente stabilita all’art. 93, comma
4, del Codice, ma devono anche controllare che esso sia
stato redatto nel rispetto delle esigenze, dei vincoli,
degli indirizzi e delle indicazioni stabilite nel progetto
preliminare secondo le indicazioni fornite
dall’Amministrazione nell’esercizio della sua potestà
discrezionale.
---------------
L’inosservanza delle prescrizioni del capitolato speciale
prestazionale in ordine alla documentazione (asseverazione
dei progettisti) da allegare all’offerta tecnica (progetto
definitivo), implica l’esclusione dalla gara in quanto si
tratta di prescrizione rispondente ad un particolare
interesse dell’Amministrazione appaltante: speditezza
dell’azione amministrativa e del buon funzionamento
dell’operato dell’apparato organizzativo chiamato a
verificare la rispondenza degli elaborati del progetto
definitivo prescelto ai documenti di cui all’art. 93, commi
1 e 2, del d.lgs. n. 163/2006 e la loro conformità alla
normativa vigente.
L’asseverazione del progetto definitivo richiesto in gara è,
quindi, finalizzato all’accelerazione del procedimento di
validazione ex art. 47 D.P.R. 554/1999 che costituisce fase
necessaria e prodromica all’affidamento dei lavori, cui non
può prescindersi, atteso che il procedimento di D.I.A., cui
si riferisce l’appellante presuppone invece il già avvenuto
affidamento dei lavori; pertanto, la relativa disciplina
sull’asseverazione del progetto opera su di un piano
logico-temporale e regolamentare non sovrapponibile a quello
in esame.
In via generale,
peraltro, è noto che le verifiche che devono essere
effettuate su un progetto in gara devono, ovviamente,
rispondere ad uno specifico ed oggettivo interesse
dell’Amministrazione; in particolare, con riguardo al
progetto definitivo, non solo le verifiche devono riguardare
la documentazione espressamente stabilita all’art. 93, comma
4, del Codice, ma devono anche controllare che esso sia
stato redatto nel rispetto delle esigenze, dei vincoli,
degli indirizzi e delle indicazioni stabilite nel progetto
preliminare secondo le indicazioni fornite
dall’Amministrazione nell’esercizio della sua potestà
discrezionale.
La descritta clausola di cui all’art. 9, comma 7, del
capitolato speciale, relativamente all’asseveramento dei
progettisti sulla rispondenza del progetto al disposto di
cui all’art. 47 del D.P.R n, 554/1999, rientra a pieno titolo
in tale potestà discrezionale della stazione appaltante che
può prevedere negli atti di gara un onere documentale a
carico delle ditte concorrenti e a pena di esclusione
ulteriore rispetto alle disposizioni vigenti in materia,
purché detto onere sia ragionevole.
La suddetta prescrizione appare del tutto adeguata
all’effettivo controllo che ha inteso effettuare la stazione
appaltante.
Infatti, l’inosservanza delle prescrizioni del capitolato
speciale prestazionale in ordine alla documentazione
(asseverazione dei progettisti) da allegare all’offerta
tecnica (progetto definitivo), implica l’esclusione dalla
gara in quanto si tratta di prescrizione rispondente ad un
particolare interesse dell’Amministrazione appaltante:
speditezza dell’azione amministrativa e del buon
funzionamento dell’operato dell’apparato organizzativo
chiamato a verificare la rispondenza degli elaborati del
progetto definitivo prescelto ai documenti di cui all’art.
93, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 163/2006 e la loro conformità
alla normativa vigente.
Inoltre, con tale prescrizione la stazione appaltante ha
evidentemente inteso tutelarsi nei confronti degli autori
del progetto nell’eventualità in cui, nonostante il rilascio
della dichiarazione di asseverazione, dopo la conclusione
del procedimento amministrativo si renda necessario
apportare al progetto prescelto integrazioni,
perfezionamenti e miglioramenti, al fine di eliminare gli
errori o le omissioni della progettazione.
L’asseverazione del progetto definitivo richiesto in gara è,
quindi, finalizzato all’accelerazione del procedimento di
validazione ex art. 47 D.P.R. 554/1999 che costituisce fase
necessaria e prodromica all’affidamento dei lavori, cui non
può prescindersi, atteso che il procedimento di D.I.A., cui
si riferisce l’appellante presuppone invece il già avvenuto
affidamento dei lavori; pertanto, la relativa disciplina
sull’asseverazione del progetto opera su di un piano
logico-temporale e regolamentare non sovrapponibile a quello
in esame.
In sostanza, la validazione operata dalla stazione
appaltante e il controllo sul progetto definitivo effettuato
dal Comune nel procedimento di D.I.A., non possono essere
assimilati dato che presentano un diverso campo
d’applicazione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.01.2013 n. 238 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: La
Corte di Giustizia ha manifestato preferenza per un
approccio sostanzialista in tema di raggruppamenti
temporanei di imprese e, per logica estensione, riguardo ai
raggruppamenti temporanei di professionisti, specificando,
con riguardo all’istituto dell’avvalimento, ma con ricadute
di carattere sistematico sul piano generale, che “la
direttiva 92/50 va interpretata nel senso che consente ad un
prestatore, per comprovare il possesso dei requisiti
economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una
gara d'appalto ai fini dell'aggiudicazione di un appalto
pubblico di servizi, di far riferimento alle capacità di
altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei
vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di
provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali
soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto”.
Il Collegio muove, anzitutto, dal
principio di libertà di scelta delle forme di collaborazione
tra imprese, che costituisce diretta derivazione del diritto
comunitario e rappresenta, pertanto, il canone di
interpretazione dell’art. 53 del D.lgs. 163/2006, norma da
leggere nel senso del pieno riconoscimento della facoltà di
articolare liberamente i rapporti professionali tra
concorrenti e progettisti.
A tal riguardo, occorre, infatti, richiamare l’elaborazione
giurisprudenziale della Corte di Giustizia, che ha
manifestato preferenza per un approccio sostanzialista in
tema di raggruppamenti temporanei di imprese e, per logica
estensione, riguardo ai raggruppamenti temporanei di
professionisti, specificando, con riguardo all’istituto
dell’avvalimento, ma con ricadute di carattere sistematico
sul piano generale, che “la direttiva 92/50 va interpretata
nel senso che consente ad un prestatore, per comprovare il
possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di
partecipazione ad una gara d'appalto ai fini
dell'aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi, di
far riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque
sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a
condizione che sia in grado di provare di disporre
effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari
all'esecuzione dell'appalto” (cfr. Corte giustizia CE, sez.
V, 02.12.1999, C-176/98).
Sulla scorta di tale principio ermeneutico, il Collegio si
associa all’orientamento, reiteratamente affermato in
giurisprudenza (cfr., tra le tante, TAR Lazio – Roma, sez.
I, 17.04.2008 n. 3305), e fatto proprio dalle società
ricorrenti in via principale, secondo cui i progettisti non
assumono la qualità di concorrenti, né quella di titolari
del rapporto contrattuale con l’Amministrazione in caso di
eventuale aggiudicazione.
Non può, quindi, ritenersi compatibile con la disciplina
comunitaria, improntata al visto principio di
liberalizzazione delle forme di collaborazione
professionale, l’interpretazione restrittiva dell’art. 37,
comma 8, sostenuta dalla ricorrente incidentale, non
potendosi in alcun modo giustificare l’eventuale esclusione
dalla procedura di gara per mancanza della dichiarazione “D”
(cfr. pag. 7 del disciplinare di gara) relativa all’impegno
dei professionisti ad impegnarsi a costituire un
raggruppamento per l’esecuzione dei servizi di
progettazione: previsione che, pur prevedendo la
comminatoria di esclusione, deve considerarsi come non
apposta per contrasto diretto con il diritto comunitario.
Le medesime considerazioni conducono il Collegio a ritenere
infondato anche il secondo motivo del ricorso incidentale,
nel quale è stata dedotta la mancata indicazione, nella
documentazione amministrativa delle ricorrenti principali,
del professionista laureato con meno di cinque anni di
iscrizione all’albo professionale.
E ciò, non soltanto in ragione della tradizionale
interpretazione della disposizione di cui all’art. 253,
comma 5, del D.P.R. 207/2010 (e, prima di questa, dell’art.
51 del D.P.R. 554/1999), finalizzata a promuovere la
partecipazione dei giovani professionisti onde garantire a
questi la possibilità di svolgere “un utile apprendistato
e arricchire il proprio bagaglio curricolare” (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V, 24.10.2006, n. 6347), quanto,
altresì, in esito all’esame obiettivo della disciplina di
gara
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.01.2013 n. 128 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sussiste
l’onere di immediata impugnazione del bando di gara o della
lettera di invito solo per quelle prescrizioni che
impediscono “in limine” la partecipazione alla procedura di
determinati soggetti, e che non richiedono alcuna
significativa attività interpretativa, fissando i requisiti
di partecipazione alla procedura selettiva “con prescrizioni
inequivoche”.
La decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
29/01/2003 n. 1 ha ritenuto esservi un onere di immediata
impugnazione:
a) delle clausole del bando che, imponendo requisiti
soggettivi di ammissione non posseduti dal concorrente, gli
impediscono in via immediata e diretta la partecipazione;
b) delle clausole del bando in quei limitati casi in cui gli
oneri imposti all'interessato ai fini della partecipazione
risultino manifestamente incomprensibili o implicanti oneri
per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso
rispetto ai contenuti della gara o della procedura
concorsuale.
In tutti gli altri casi le clausole del bando e degli altri
documenti di gara vanno impugnate unitamente agli atti della
procedura concretamente ed immediatamente lesivi.
---------------
L’art. 83, comma 4, del D.Lgs. 12/04/2006 n. 163, nello
stabilire che il bando di gara, per ciascun criterio di
valutazione prescelto, può prevedere (ove necessario)
sub-criteri e sub-pesi o sub-punteggi, ha effettuato una
scelta che trova giustificazione nell'esigenza di ridurre
gli apprezzamenti soggettivi della commissione giudicatrice,
garantendo in tale modo l'imparzialità delle valutazioni
nell’essenziale tutela della par condicio tra i concorrenti,
i quali sono tutti messi in condizione di formulare
un'offerta che consenta di concorrere effettivamente
all’aggiudicazione del contratto in gara.
E’ stato anche ripetutamente affermato che –quanto alla
valutazione delle offerte da parte della commissione di
gara– l’attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica
è accettabile soltanto in presenza di parametri di
valutazione (con sotto-voci e relativi punteggi)
sufficientemente analitici, tali da ridurre gli spazi di
discrezionalità tecnica rimessi all’organo collegiale, con
la delimitazione del giudizio tra un minimo ed un massimo
entro cui effettuare la graduazione dei punteggi in
conformità ai criteri. Diversamente, l’obbligo motivazionale
dovrà essere assolto attraverso i tradizionali canoni di
esternazione mediante i verbali, per cui è necessario che,
oltre al punteggio numerico, sia espresso un giudizio
motivato con il quale la commissione espliciti le ragioni
del punteggio attribuito.
I principi generali, anche di matrice comunitaria, di
uguaglianza e trasparenza dell’azione amministrativa esigono
in buona sostanza di definire preventivamente le modalità di
valutazione delle offerte e di garantire –ex post– la
leggibilità delle decisioni adottate dalla stazione
appaltante, e quindi la controllabilità della sua attività
ai sensi degli artt. 24 e 113 della Costituzione.
Sussiste l’onere di immediata impugnazione
del bando di gara o della lettera di invito solo per quelle
prescrizioni che impediscono “in limine” la partecipazione
alla procedura di determinati soggetti, e che non richiedono
alcuna significativa attività interpretativa, fissando i
requisiti di partecipazione alla procedura selettiva “con
prescrizioni inequivoche” (TAR Lombardia Milano, sez. IV
– 21/11/2012 n. 2828). La decisione dell’Adunanza plenaria
del Consiglio di Stato 29/01/2003 n. 1 ha ritenuto esservi un
onere di immediata impugnazione:
a) delle clausole del bando che, imponendo requisiti
soggettivi di ammissione non posseduti dal concorrente, gli
impediscono in via immediata e diretta la partecipazione;
b) delle clausole del bando in quei limitati casi in cui gli
oneri imposti all'interessato ai fini della partecipazione
risultino manifestamente incomprensibili o implicanti oneri
per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso
rispetto ai contenuti della gara o della procedura
concorsuale (Consiglio di Stato, sez. VI – 14/11/2012 n.
5748).
In tutti gli altri casi le clausole del bando e degli altri
documenti di gara vanno impugnate unitamente agli atti della
procedura concretamente ed immediatamente lesivi (cfr. ex plurimis Consiglio di Stato, sez. V –
06/06/2012 n. 3344).
Nel caso esaminato il ricorso introduttivo è stato
tempestivamente proposto nei confronti dell’esclusione dalla
gara, mentre con la disposta riammissione i connotati dei
parametri di valutazione, le modalità di assegnazione dei
punteggi e di nomina della Commissione hanno assunto una
valenza pregiudizievole soltanto in seguito alla disposta
aggiudicazione a favore della vincitrice.
Il profilo afferente alla violazione dell’art. 83 del D. Lgs. 163/2006, dell’art. 283 del D.P.R. 207/2010 e del
principio di trasparenza, e all’eccesso di potere per
indeterminatezza, difetto dei presupposti e di istruttoria è
fondato.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr.
per tutte Consiglio di Stato, sez. V – 12/06/2012 n. 3445),
l’art. 83, comma 4, del D.Lgs. 12/04/2006 n. 163, nello
stabilire che il bando di gara, per ciascun criterio di
valutazione prescelto, può prevedere (ove necessario)
sub-criteri e sub-pesi o sub-punteggi, ha effettuato una
scelta che trova giustificazione nell'esigenza di ridurre
gli apprezzamenti soggettivi della commissione giudicatrice,
garantendo in tale modo l'imparzialità delle valutazioni
nell’essenziale tutela della par condicio tra i concorrenti,
i quali sono tutti messi in condizione di formulare
un'offerta che consenta di concorrere effettivamente
all’aggiudicazione del contratto in gara.
E’ stato anche
ripetutamente affermato che –quanto alla valutazione delle
offerte da parte della commissione di gara– l’attribuzione
dei punteggi in forma soltanto numerica è accettabile
soltanto in presenza di parametri di valutazione (con
sotto-voci e relativi punteggi) sufficientemente analitici,
tali da ridurre gli spazi di discrezionalità tecnica rimessi
all’organo collegiale, con la delimitazione del giudizio tra
un minimo ed un massimo entro cui effettuare la graduazione
dei punteggi in conformità ai criteri. Diversamente,
l’obbligo motivazionale dovrà essere assolto attraverso i
tradizionali canoni di esternazione mediante i verbali, per
cui è necessario che, oltre al punteggio numerico, sia
espresso un giudizio motivato con il quale la commissione
espliciti le ragioni del punteggio attribuito (Consiglio di
Stato, sez. VI – 08/03/2012 n. 1332).
I principi generali, anche di matrice comunitaria, di
uguaglianza e trasparenza dell’azione amministrativa esigono
in buona sostanza di definire preventivamente le modalità di
valutazione delle offerte e di garantire –ex post– la
leggibilità delle decisioni adottate dalla stazione
appaltante, e quindi la controllabilità della sua attività
ai sensi degli artt. 24 e 113 della Costituzione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 16.01.2013 n. 36 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Oggetto:
Appunto n. 1/13: "Nuovi obblighi per la firma del contratto
di appalto"
(Istituto Etico per l'Osservazione e la Promozione degli
Appalti,
appunto 16.01.2013 n. 1/2013). |
APPALTI: Accesso: know-how eccepibile solo se coperto da segreto
tecnico.
E’ illegittimo il rigetto di una istanza ostensiva avanzata
dalla ditta seconda classificata in graduatoria, tendente ad
ottenere copia dell’offerta presentata dall’aggiudicataria,
che sia motivato con riferimento alla necessità di tutelare
la segretezza del know-how aziendale e quella relativa ai
rapporti commerciali, nel caso in cui, da un lato, la
domanda di accesso sia stata avanzata a fini difensivi, e
dall’altro, l’attività da svolgere a seguito
dell’aggiudicazione dell’appalto sia sostanzialmente priva
di un segreto tecnico o commerciale.
L’art 13, comma 5, lett.
a), del D. Lgs. n. 163 del 2006, richiamato nel
provvedimento di diniego, spiegano i giudici del Tribunale
amministrativo di Milano, ha introdotto un'ipotesi di
speciale deroga rispetto alla disciplina di cui alla legge
n. 241 del 1990, da applicare esclusivamente nei casi in cui
l'accesso sia inibito in ragione della tutela di segreti
tecnici o commerciali motivatamente evidenziati
dall'offerente in sede di presentazione dell'offerta.
Ma in questa occasione, chiariscono i giudici lombardi,
l’Ente in causa ha richiamato la disposizione sopra
riportata, senza tuttavia rappresentare quali fossero le
specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e
commerciale, in riferimento a precisi dati tecnici, dati che
avrebbero già dovuti essere indicati in sede di offerta.
Mentre di tale indicazione non vi è alcuna prova. La
disposizione si riferisce infatti a documentazione
suscettibile di rivelare il know-how industriale e
commerciale contenuto nelle offerte delle imprese
partecipanti, in modo da evitare che operatori economici in
diretta concorrenza tra loro possano utilizzare l'accesso
per giovarsi delle specifiche conoscenze possedute da altri,
al fine di conseguire un indebito vantaggio commerciale
all'interno del mercato.
E’ difficile, concludono gli stessi giudici, immaginare in
un servizio di manutenzione del verde, in cui sono
utilizzati ordinari mezzi agricoli e viene utilizzato
personale tecnico con funzioni di operatore giardiniere,
quale possa essere il "segreto tecnico o commerciale"
da tutelare, dal momento che ciò che assume maggiore
rilevanza, anche in termini di punteggio nella gara, è
l’aspetto organizzativo del servizio (cioè la ripartizione
del lavoro, la tipologia di interventi operativi, il
contratto di lavoro applicato e il piano di formazione dei
dipendenti) ambito in cui non è configurabile un know-how
commerciale o industriale
(commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 15.01.2013 n. 116 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: In
forza di tali nozioni (cioè quelle di mero servizio e
servizio pubblico, n.d.r.) non vi è dubbio che il servizio
di pubblica illuminazione debba essere considerato servizio
pubblico, poiché dell'erogazione dello stesso, da parte
dell'appaltatore, beneficia direttamente ed esclusivamente
la collettività (o il singolo utente) senza alcuna
intermediazione del Comune nello svolgimento del processo
produttivo.
Ciò chiarito, al fine di verificare la
fondatezza della tesi sostenuta da parte ricorrente, si
rende, dunque, preliminarmente necessario accertare se il
servizio di illuminazione pubblica possa essere considerato
un servizio pubblico locale ovvero un semplice servizio di
cui l’ente locale appalta la fornitura per poter espletare
la propria attività.
Sul punto il Collegio ritiene di poter condividere la tesi
già affermata da questo Tribunale (cfr la sentenza TAR
Brescia 27.12.2007, n. 1373), secondo cui: “In forza
di tali nozioni (cioè quelle di mero servizio e servizio
pubblico, n.d.r.) non vi è dubbio che il servizio di
pubblica illuminazione debba essere considerato servizio
pubblico, poiché dell'erogazione dello stesso, da parte
dell'appaltatore, beneficia direttamente ed esclusivamente
la collettività (o il singolo utente) senza alcuna
intermediazione del Comune nello svolgimento del processo
produttivo”
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 15.01.2013 n. 30 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 15.01.2013, "Approvazione
iniziativa anno 2013 per l’accesso ai contributi in conto
interessi a valere sui mutui dell’Istituto per il credito
sportivo per la realizzazione di impianti sportivi di uso
pubblico in Lombardia"
(decreto
D.S. 19.12.2012 n. 12338). |
APPALTI:
Una interpretazione
-costituzionalmente orientata e coerente con le norme di
legge- della clausola del bando, che consente alla Pubblica
amministrazione “la facoltà di annullare la gara senza che
le partecipanti possano avanzare richiesta per eventuali
rimborsi, compensi o indennizzi a qualsiasi titolo",
comporta che i soli “indennizzi” esclusi in via preventiva
sono quelli che non presuppongono responsabilità della
Pubblica Amministrazione, non essendo al contrario
ammissibile una limitazione preventiva della responsabilità
per illecito della P.A..
Come è infatti noto (e come sarà meglio di seguito esposto), sia il
provvedimento di revoca (ex art. 21-quinquies l. n.
241/1990), sia il provvedimento di annullamento di ufficio
(ex art. 1, co. 136, l. n. 311/2004), prevedono forme di
indennizzo dei soggetti direttamente interessati.
L’obbligo di indennizzo gravante sulla Pubblica
Amministrazione non presuppone elementi di responsabilità
della stessa, ma si fonda su valori puramente equitativi
presi in considerazione dal legislatore, onde consentire il
giusto bilanciamento tra il perseguimento dell’interesse
pubblico attuale da parte dell’amministrazione e la sfera
patrimoniale del destinatario (incolpevole) dell’atto di
revoca o di annullamento, al quale non possono essere
addossati integralmente i conseguenti sacrifici.
Orbene, se tale forma di indennizzo, pur prevista dalla
legge, può essere esclusa da un atto della pubblica
amministrazione (nel caso di specie, dal bando di gara), con
il quale si richiede, in sostanza, al privato un atto
unilaterale abdicativo di un diritto patrimoniale (e quindi
disponibile), e ciò proprio in quanto l’attribuzione
dell’indennizzo non dipende da responsabilità
dell’amministrazione stessa; al contrario la pubblica
amministrazione non può adottare atti ovvero pretendere dal
privato, in via preliminare e quale condizione di
partecipazione ad un procedimento amministrativo volto alla
individuazione di un (futuro) contraente, un atto abdicativo
del diritto alla tutela giurisdizionale avverso atti e/o
comportamenti (anche futuri) della stessa pubblica
amministrazione illegittimi o illeciti, (eventualmente)
causativi di danno e quindi di responsabilità per il suo
risarcimento.
Tale clausola –lungi dal giustificarsi sostenendo che la
stessa è, in definitiva, riferita a diritti patrimoniali
disponibili– nella misura in cui esclude in via preventiva
la responsabilità della P.A. per illecito, si risolve in una
limitazione della responsabilità della Pubblica
Amministrazione contra legem (argomentando ex art. 1229 cod.
civ.), ed in violazione degli artt. 28 e 97 Cost..
Alla luce di quanto esposto, deve affermarsi che una
interpretazione -costituzionalmente orientata e coerente
con le norme di legge innanzi evocate- della clausola del
bando, che consente alla Pubblica amministrazione “la
facoltà di annullare la gara senza che le partecipanti
possano avanzare richiesta per eventuali rimborsi, compensi
o indennizzi a qualsiasi titolo", comporta che i soli
“indennizzi” esclusi in via preventiva sono quelli che non
presuppongono responsabilità della Pubblica Amministrazione,
non essendo al contrario ammissibile una limitazione
preventiva della responsabilità per illecito della P.A.
Nel caso di specie, quindi, non è la natura dell’atto
(revoca e non annullamento) ad escludere il diritto alla
tutela giurisdizionale dei partecipanti alla gara, onde far
accertare dal giudice la eventuale responsabilità
dell’amministrazione (in ciò concordando con
l’amministrazione appellante che estende l’interpretazione
della clausola a tutti gli atti adottati in esercizio del
potere di autotutela).
Ciò che rende ammissibile la domanda di accertamento della
responsabilità della P.A. (e, se del caso, di conseguente
condanna della medesima al risarcimento del danno) è la
irriferibilità della clausola medesima alle ipotesi in cui
si controverte, appunto, di responsabilità della P.A., nei
sensi innanzi chiariti (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.01.2013 n. 156 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nel caso di responsabilità precontrattuale della
pubblica amministrazione, la misura del risarcimento
comprende anche il danno curriculare.
L’intervenuta stipulazione di un contratto di appalto non
costituisce circostanza preclusiva all’esercizio del potere
di annullamento di ufficio; pertanto, è ben possibile
l’esercizio di potere di autotutela sugli atti di gara,
nonostante la (eventuale) adozione di un atto di
aggiudicazione provvisoria ed anche in presenza di contratto
stipulato.
Lo evidenzia il Consiglio di Stato, IV Sez., con la
sentenza 14.01.2013 n. 156.
Il Collegio, poi, rileva che, secondo un orientamento
affermato in giurisprudenza, il danno risarcibile a titolo
di responsabilità precontrattuale da parte della P.A. a
seguito della mancata stipula dal contratto, debba
intendersi limitato:
a) al rimborso dalle spese inutilmente sopportate nel corso
delle trattative svolte in vista della conclusione del
contratto (danno emergente);
b) al ristoro della perdita, se adeguatamente provata, di
ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti
altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio
dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante),
con esclusione del mancato guadagno che sarebbe stato
realizzato con la stipulazione e l'esecuzione del contratto
A tali voci, ritiene il Collegio che possa essere aggiunto
il cd. “danno curriculare”, cioè quel danno
consistente nell’impossibilità di far valere, nelle future
contrattazioni, il requisito economico pari al valore
dell’appalto non eseguito.
Ciò nei casi in cui la responsabilità precontrattuale della
P.A. non si configura con riferimento ad una interruzione
delle trattative, che determina la mancata stipula del
contratto, intervenuta in un generico momento delle stesse,
bensì laddove si era già addivenuti alla sicura
individuazione del contraente, a maggior ragione se per il
tramite dell’aggiudicazione definitiva ed in presenza di un
contenuto contrattuale già compiutamente definito, per il
tramite del bando di gara e dell’offerta aggiudicataria
(commento tratto da www.diritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non basta affermare il
mero difetto di custodia dei plichi per concludere
l’illegittimità della procedura, servendo piuttosto un serio
e non emulativo principio di prova da cui dedurre, con
ragionevole probabilità, come l’imprecisione nelle modalità
della loro conservazione sia causa di sottrazione o di
manomissione dei plichi stessi.
Né al riguardo occorre che il seggio di gara, nell’incipit
del verbale di ciascuna seduta, ribadisca che i plichi siano
ben custoditi o, alla fine, impartisca la medesima regola di
conservazione già posta all’inizio, stante l’inutilità
d’entrambe le precisazioni che si danno invece per
implicite, ove la situazione di fatto non si scopra alterata
o non venga modificata.
Parimenti da respingere è la censura con cui l’appellante si duole della
sentenza che, a suo dire, avrebbe errato nel non tener in
considerazione le sue osservazioni sulla non corretta
conservazione e custodia dei plichi contenenti l’offerta.
Prescindendo da ogni considerazione sull’ammissibilità di
detta censura, consta in atti che il seggio di gara, fin
dalla sua prima seduta, diede disposizioni al RUP per la
conservazione dei plichi stessi presso il di lui ufficio e
sotto la di lui responsabilità. L’integrità dei plichi fu
fatta verificare dal seggio di gara, nella seduta del
02.12.2011 e prima della loro apertura, ai rappresentanti
delle imprese, compresi il direttore degli affari legali e
l’amministratore unico della Società appellante, procedendo
quindi alla lettura delle offerte economiche.
D’altro canto, non basta affermare il mero difetto di
custodia dei plichi per concludere l’illegittimità della
procedura, servendo piuttosto un serio e non emulativo
principio di prova da cui dedurre, con ragionevole
probabilità, come l’imprecisione nelle modalità della loro
conservazione sia causa di sottrazione o di manomissione dei
plichi stessi. Né al riguardo occorre che il seggio di gara,
nell’incipit del verbale di ciascuna seduta,
ribadisca che i plichi siano ben custoditi o, alla fine,
impartisca la medesima regola di conservazione già posta
all’inizio, stante l’inutilità d’entrambe le precisazioni
che si danno invece per implicite, ove la situazione di
fatto non si scopra alterata o non venga modificata (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 14.01.2013 n. 148 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In presenza del generale obbligo di custodia dei
documenti di una gara pubblica da parte della stazione
appaltante, è da presumere che lo stesso sia stato assolto
con l'adozione delle ordinarie garanzie di conservazione
degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità
ed integrità dei relativi plichi. In tal caso, la generica
doglianza, secondo cui le buste contenenti le offerte, non
sarebbero state adeguatamente custodite è irrilevante
allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto e
specifico atto a far ritenere che si possa esser verificata
la sottrazione o la sostituzione dei medesimi plichi, la
manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante al
fini della regolarità della procedura.
Per altro verso, non nega il Collegio che sussista un
preciso obbligo, per la stazione appaltante, di predisporre
adeguate cautele a tutela dell'integrità dei predetti
plichi. Questo, pur in mancanza di precise norme positive al
riguardo, discende necessariamente dalla stessa ratio che
sorregge e giustifica il ricorso alla gara ad evidenza
pubblica. Infatti, di per sé l'integrità dei plichi
contenenti le offerte dei partecipanti all'incanto è uno
degli elementi sintomatici della segretezza di queste e
della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il
rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità
consacrati dall'art. 97 Cost..
È ben consapevole tuttavia il Collegio che la mera
affermazione, senza indicazione a verbale d’una qualche
misura acconcia a garantire la continuità della
conservazione dei plichi, di manomissioni giammai avvenute
potrebbe di fatto risolversi in una probatio diabolica, a
carico dell'impresa interessata, in ordine alla non
genuinità della documentazione esaminata. Invero, lasciare
al seggio di gara il mero assunto della perfetta regolarità
delle operazioni su documenti intatti, senza ulteriori
precisazioni, appare altrettanto nocivo quanto l’astratta
asserzione dell’omessa verbalizzazione della custodia, con
conseguente ineluttabile declaratoria d’illegittimità
dell’intera gara. Nell’un caso, per vero, sarebbe in pratica
se non impossibile, certo molto complesso dimostrare in modo
rigoroso tal manomissione e, quindi, ottenere la
corrispondente tutela; nell’altro caso, la mera allegazione
di un qualunque difetto di verbalizzazione, su rigide
modalità di custodia dei plichi, ridondi sempre e senza
rimedio in danno alla trasparenza dell’azione
amministrativa, determinando l’annullamento della gara, al
di là d’ogni diversa situazione di fatto.
Pare allora al Collegio che una più cauta e seria linea
interpretativa o, meglio, integrativa dell’art. 78 del Dlgs
163/2006 serva ad offrire all’interessato non già una sorta
d’inversione dell’onere della prova da questi alla stazione
appaltante, bensì una più precisa distribuzione di tal onere
tra i due soggetti del rapporto procedimentale. Tanto
affinché tal integrazione non si risolva nella distorsione
dei canoni di logicità e di buon andamento dell’attività
amministrativa anche nei casi di evidenza pubblica, se non,
addirittura, in un controllo meramente formale della
verbalizzazione, più che del riscontro oggettivo dei fatti.
In pratica, la stazione appaltante ha la piena disponibilità
e l’integrale responsabilità della conservazione degli atti
di gara, cui in corso del procedimento l’interessato non può
subito accedere, giusta quanto stabilito dal’art. 13, c. 2,
del Dlgs 163/2006. Sicché essa ha l’onere di dimostrare, a
fronte di una seria e non emulativa allegazione presuntiva
dell’interessato circa un effetto di non genuinità degli
atti stessi e fermo il diritto d’accesso, di dar idonea
contezza dell’efficacia dei metodi di custodia in concreto
adoperati, a tal fine dimostrandola non solo con il verbale
(che di per sé ha fede privilegiata), ma pure con ogni
idoneo mezzo di prova. Nella specie, l’appellante
incidentale non ha dedotto fatti e circostanze suscettibili
di generare un ragionevole dubbio sull’inidoneità della
conservazione dei plichi da parte dell’ASL appellante
principale, mentre questa ha fornito alcuni precisi principi
di prova contraria.
La Sezione sul punto ha già chiarito (cfr. Cons. St., III, 02.08.2012 n. 4422; id., 21.09.2012 n. 5050) che, in
presenza del generale obbligo di custodia dei documenti di
una gara pubblica da parte della stazione appaltante, è da
presumere che lo stesso sia stato assolto con l'adozione
delle ordinarie garanzie di conservazione degli atti
amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità
dei relativi plichi. In tal caso, la generica doglianza,
secondo cui le buste contenenti le offerte, non sarebbero
state adeguatamente custodite è irrilevante allorché non sia
stato addotto alcun elemento concreto e specifico atto a far
ritenere che si possa esser verificata la sottrazione o la
sostituzione dei medesimi plichi, la manomissione delle
offerte o un altro fatto rilevante al fini della regolarità
della procedura.
Per altro verso, non nega il Collegio che sussista un
preciso obbligo, per la stazione appaltante, di predisporre
adeguate cautele a tutela dell'integrità dei predetti
plichi. Questo, pur in mancanza di precise norme positive al
riguardo, discende necessariamente dalla stessa ratio che
sorregge e giustifica il ricorso alla gara ad evidenza
pubblica. Infatti, di per sé l'integrità dei plichi
contenenti le offerte dei partecipanti all'incanto è uno
degli elementi sintomatici della segretezza di queste e
della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il
rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità
consacrati dall'art. 97 Cost.
Nondimeno, nella specie, dà atto il TAR che, come
verbalizzato, il RUP ha disposto di «…custodire i plichi
contenenti le offerte tecniche… fino alla individuazione
della commissione giudicatrice che dovrà valutarle, ed alla
conseguente trasmissione degli atti di gara alla stessa…».
Inoltre, egli ha dichiarato a verbale di conservare tali
offerte e le buste delle offerte economiche in un armadio
chiuso, presso la sede dell’UOS Politiche approvvigionamenti
dell’Azienda. Né basta: dai verbali delle operazioni
s’evince, di volta in volta, l’apertura di plichi intonsi,
nonché la firma apposta sulla prima pagina, da parte
d’almeno un componente del seggio di gara, di tutti i
documenti esaminati in seduta riservata. Reputa, dunque, il
Collegio che siffatte operazioni dimostrino, al di là della
minore o maggior solennità nell’indicazione in verbale di
quali accorgimenti adoperati per preservare detti plichi,
che di possibili manomissioni non sussistano indizi di
sorta, donde la sufficienza in concreto delle cautele poste
in essere.
È ben consapevole tuttavia il Collegio che la mera
affermazione, senza indicazione a verbale d’una qualche
misura acconcia a garantire la continuità della
conservazione dei plichi, di manomissioni giammai avvenute
potrebbe di fatto risolversi in una probatio diabolica, a
carico dell'impresa interessata, in ordine alla non
genuinità della documentazione esaminata. Invero, lasciare
al seggio di gara il mero assunto della perfetta regolarità
delle operazioni su documenti intatti, senza ulteriori
precisazioni, appare altrettanto nocivo quanto l’astratta
asserzione dell’omessa verbalizzazione della custodia, con
conseguente ineluttabile declaratoria d’illegittimità
dell’intera gara. Nell’un caso, per vero, sarebbe in pratica
se non impossibile, certo molto complesso dimostrare in modo
rigoroso tal manomissione e, quindi, ottenere la
corrispondente tutela; nell’altro caso, la mera allegazione
di un qualunque difetto di verbalizzazione, su rigide
modalità di custodia dei plichi, ridondi sempre e senza
rimedio in danno alla trasparenza dell’azione
amministrativa, determinando l’annullamento della gara, al
di là d’ogni diversa situazione di fatto.
Pare allora al Collegio che una più cauta e seria linea
interpretativa o, meglio, integrativa dell’art. 78 del Dlgs
163/2006 serva ad offrire all’interessato non già una sorta
d’inversione dell’onere della prova da questi alla stazione
appaltante, bensì una più precisa distribuzione di tal onere
tra i due soggetti del rapporto procedimentale. Tanto
affinché tal integrazione non si risolva nella distorsione
dei canoni di logicità e di buon andamento dell’attività
amministrativa anche nei casi di evidenza pubblica, se non,
addirittura, in un controllo meramente formale della
verbalizzazione, più che del riscontro oggettivo dei fatti.
In pratica, la stazione appaltante ha la piena disponibilità
e l’integrale responsabilità della conservazione degli atti
di gara (arg. ex Cons. St., III, 03.03.2011 n. 1368), cui
in corso del procedimento l’interessato non può subito
accedere, giusta quanto stabilito dal’art. 13, c. 2, del Dlgs
163/2006. Sicché essa ha l’onere di dimostrare, a fronte di
una seria e non emulativa allegazione presuntiva
dell’interessato circa un effetto di non genuinità degli
atti stessi e fermo il diritto d’accesso, di dar idonea
contezza dell’efficacia dei metodi di custodia in concreto
adoperati, a tal fine dimostrandola non solo con il verbale
(che di per sé ha fede privilegiata), ma pure con ogni
idoneo mezzo di prova. Nella specie, l’appellante
incidentale non ha dedotto fatti e circostanze suscettibili
di generare un ragionevole dubbio sull’inidoneità della
conservazione dei plichi da parte dell’ASL appellante
principale, mentre questa ha fornito alcuni precisi principi
di prova contraria (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 14.01.2013 n. 145 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE:
Acquisti in economia di energia elettrica e gas.
Per l'approvvigionamento delle categorie
di beni contemplate dall'art. 1, comma 7, del D.L. 95/2012
(energia elettrica, gas, carburanti, combustibili per
riscaldamento e telefonia), gli enti possono esperire
autonome procedure ad evidenza pubblica in cui i
corrispettivi siano inferiori a quelli previsti dalle
convenzioni Consip attualmente disponibili, sottoponendo
tali contratti alla condizione risolutiva prescritta dalla
legge.
Non pare, però, possibile utilizzare in tali circostanze le
procedure in economia in quanto, ai sensi dell'art. 125 del
D.Lgs. 163/2006, le stesse, individuate nell'amministrazione
diretta e nel cottimo fiduciario, prevedono modalità
semplificate di affidamento rispetto alle procedure ad
evidenza pubblica richieste dalla legge.
L'Ente afferma di avere recentemente affidato ad una ditta
la fornitura di gas naturale e di energia elettrica per un
anno, per un importo inferiore a 40.000 euro, in base al
proprio regolamento per gli acquisti in economia e dopo
avere constatato che la ditta aveva applicato un 'ribasso
unico maggiore rispetto ai prezzi fissati dalla Convenzione
Consip'.
Con riferimento a quanto previsto dall'art. 1, commi 7 e 8,
del decreto legge 06.07.2012, n. 95 [1],
l'Ente chiede di sapere se la procedura utilizzata possa
ritenersi corretta.
Sentito il Servizio provveditorato e servizi generali di
questa Direzione centrale e premesso che questo Ufficio può
solo esprimere considerazioni di ordine generale in merito
all'applicazione delle norme, si formulano le seguenti
osservazioni.
L'art. 1, comma 7, del D.L. 95/2012 stabilisce una
disciplina speciale per l'approvvigionamento per le
pubbliche amministrazioni di beni, quali energia elettrica,
gas, carburanti, combustibili per riscaldamento e telefonia.
Ivi si richiede che la fornitura di tali beni avvenga
utilizzando le convenzioni o gli accordi quadro messi a
disposizione da Consip o da centrali di committenza
regionali ovvero attraverso proprie autonome procedure, nel
rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi
telematici di negoziazione resi disponibili dai soggetti
sopra indicati.
La legge di conversione ha introdotto, come alternativa, la
possibilità di procedere ad affidamenti che conseguano ad
approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a
procedure ad evidenza pubblica i cui corrispettivi siano
inferiori (e, quindi, migliorativi) rispetto a quelli delle
convenzioni e degli accordi quadro messi a disposizione da
Consip e dalle centrali regionali di committenza. In tale
caso, i contratti dovranno essere sottoposti a condizione
risolutiva, con possibilità di adeguamento da parte del
contraente, per il caso in cui intervengano convenzioni
Consip o delle centrali regionali di committenza che
prevedano condizioni economiche di maggiore vantaggio.
L'art. 1, comma 8, del D.L. 95/2012 stabilisce che sono
nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di
responsabilità amministrativa i contratti stipulati in
violazione di quanto previsto dal comma 7.
Per l'approvvigionamento delle categorie di beni contemplate
dalla norma, gli enti possono, perciò, esperire autonome
procedure ad evidenza pubblica [2]
in cui i corrispettivi siano inferiori a quelli previsti
dalle convenzioni Consip attualmente disponibili,
sottoponendo tali contratti alla condizione risolutiva
prescritta dalla legge.
Per quanto riguarda la possibilità di utilizzare le
procedure in economia per gli acquisti di tali categorie di
beni, anche se con il beneficio di condizioni migliorative
rispetto a quelle offerte dalle convenzioni di cui all'art.
1, comma 7, del D.L. 95/2012, si osserva che, ai sensi
dell'art. 125 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163
(Codice dei contratti pubblici), tali procedure, individuate
nell'amministrazione diretta e nel cottimo fiduciario
[3],
prevedono modalità semplificate di affidamento rispetto alle
procedure ad evidenza pubblica.
Infatti, il cottimo fiduciario di cui al citato art. 125, 'procedura
negoziata in cui le acquisizioni avvengono mediante
affidamenti a terzi' (comma 4), nel caso di forniture o
servizi di importo pari o superiore a quarantamila euro,
deve avvenire nel 'rispetto dei principi di trasparenza,
rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di
almeno cinque operatori economici' (comma 11, primo
periodo).
Come rilevato dalla giurisprudenza, «Siamo quindi in
presenza di una procedura negoziata la quale, pur
procedimentalizzata, non richiede tuttavia il necessario
rispetto dello specifico assetto disciplinare predisposto
dal Codice dei contratti pubblici per le procedure aperte e
ristrette, com'è peraltro reso evidente dal richiamo al
rispetto dei 'principi', cioè dei contenuti valoristici
sostanziali della trasparenza, parità di trattamento ecc.
senza tuttavia il necessario ossequio di tutti i passaggi
procedurali in cui tali principi si inverano nelle procedure
concorsuali ordinarie.» [4].
Si ritiene che tali considerazioni valgano tanto più
nell'ipotesi di cottimo fiduciario diretto, prevista
dall'ultimo periodo del comma 11 dell'art. 125 del Codice
dei contratti, secondo cui 'Per servizi o forniture
inferiori a quarantamila euro, è consentito l'affidamento
diretto da parte del responsabile del procedimento'.
Atteso che, allo stato, si sono rinvenute solamente pronunce
che sottolineano la diversità delle regole alla base delle
procedure in economia rispetto a quelle ad evidenza pubblica
e, quindi, la non assimilabilità tra le stesse
[5], si
ritiene che l'applicabilità delle norme sugli acquisti in
economia in relazione alle categorie merceologiche in esame
potrebbe essere sostenuta soltanto nel caso in cui fosse
fatta propria dal legislatore o dalla giurisprudenza una
interpretazione estensiva del concetto di 'procedure ad
evidenza pubblica', di cui all'art. 1, comma 7, del D.L.
95/2011.
---------------
[1] Convertito in legge, con modificazioni, dalla legge
07.08.2012, n. 135.
[2] L'evidenza pubblica è un procedimento caratterizzato da
una sequenza di fasi volte, da una parte, a garantire la
legittima e corretta formazione della volontà contrattuale
pubblica e, dall'altra, attraverso la trasparenza delle fasi
(e in particolare di quella relativa alla scelta del
contraente) ad assicurare la concorrenzialità della
procedura.
Secondo la ripartizione classica, le procedure ad evidenza
pubblica si compongono di cinque fasi: determinazione a
contrarre, scelta del contraente, aggiudicazione,
stipulazione ed approvazione del contratto (v. 'Manuale di
diritto amministrativo', Elio Casetta, 2001, Giuffrè, pagg.
517 e ss. e 'Manuale di diritto amministrativo', Francesco
Caringella, 2011, Dike, pagg. 1385-1386).
La procedura dell'evidenza pubblica prevede particolari
modalità di scelta del contraente, funzionalizzate al
perseguimento dell'obiettivo della trasparenza,
l'individuazione della modalità selettiva è effettuata con
il bando che costituisce la lex specialis della procedura:
le più rilevanti forme selettive contemplate dal codice dei
contratti pubblici sono le procedure aperte, le procedure
ristrette (entrambe utilizzabili in via generale) e le
procedure negoziate (che possono avere luogo in ipotesi
eccezionali e residuali).
[3] Il cottimo fiduciario, la procedura che nel caso in
esame riveste maggiore interesse, si sostanzia nel fatto che
l'ufficio competente stabilisce direttamente, sotto la sua
responsabilità, accordi con ditte di fiducia, senza che
necessiti esperire una gara per la scelta del cottimista e
senza che occorra per il perfezionamento del contratto la
sua approvazione (v. 'servizi e forniture in economia nel
codice dei contatti', Dauno F.G. Trebastoni, relazione
presentata al convegno su 'La gestione delle forniture alla
luce del nuovo codice degli appalti', organizzato a S.
Alessio Siculo (Me) il 27.10.2006, dall'Associazione
Regionale Economi Provveditorati Siciliani).
[4] Così, TAR Toscana, Firenze, sez. I, 11.09.2008, n. 1989
e 04.05.2012, n. 868.
[5] V. Tar Bari Puglia, 05.10.2009, n. 2348; Tar Toscana
Firenze, sez. I, 22.12.2009, n. 3988, ove si afferma che:
'Non sono applicabili alle procedure in economia e, in
particolare, al cottimo fiduciario, le norme del Codice dei
contratti pubblici. Il cottimo fiduciario è una procedura
negoziata la quale, ancorché procedimentalizzata, non esige
l'osservanza di tutte le regole tipiche dell'evidenza
pubblica'.
Sussistono opinioni dottrinali che sembrano, invece,
ammettere l'inclusione all'interno degli affidamenti ad
evidenza pubblica anche delle procedure negoziate, come
quella del cottimo fiduciario, se attuate nel rispetto
concreto dei principi di trasparenza e pubblicità.
L'Anci, nel parere dd. 13.12.2012, ha ritenuto che anche una
procedura negoziata, quale quella del cottimo fiduciario,
possa essere considerata ad evidenza pubblica, purché per
essa sia prevista la pubblicazione del bando di gara, con
esclusione pertanto dei casi di affidamento diretto.
Secondo alcuni autori, inoltre, il 'cottimo fiduciario' fa
parte del sistema in economia solo nominalmente: per
sostanza giuridica esso sarebbe integralmente un pubblico
appalto (nel senso comunitario del termine), di valore
inferiore alla soglia comunitaria, come tale affidabile in
modalità semplificata, purché nel rispetto dei principio di
trasparenza (cfr. 'Le procedure in economia', Alessandro
Massari, 2012, Maggioli Editore, pag. 25)
(14.01.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI:
La responsabilità solidale negli appalti.
Come e a chi si applica l'articolo 13-ter del decreto
crescita (articolo
ItaliaOggi Sette del 14.01.2013). |
APPALTI:
G. Giustiniani,
IL TERMINE PER L’IMPUGNAZIONE E L’ANNULLAMENTO D’UFFICIO
DEGLI ATTI DI GARA (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
V. Capuzza,
LE ESCLUSIONI NON CODIFICATE DAL D.LGS. N. 163/2006 E DAL
D.P.R. 207/2010 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI:
A. Bonanni,
L'AVVALIMENTO NELLE PROCEDURE DI GARA - BREVE COMMENTO ALLA
DETERMINAZIONE N. 2 DELL’01.08.2012 DELL’AUTORITÀ PER LA
VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI - ENTI
LOCALI: Trasparenza boomerang.
Contratti p.a. inefficaci senza pubblicità.
La norma del dl crescita sta mettendo in difficoltà
le amministrazioni.
Efficacia di contratti, contributi ed incarichi di
collaborazione condizionata dalla pubblicazione sul sito
degli enti.
Con il 2013 entra a regime la disposizione cosiddetta
«amministrazione aperta», contenuta nell'articolo 18 del dl
83/2012, convertito in legge 1234/2012.
Dovrebbe trattarsi, nell'ispirazione, di una disposizione di
«semplificazione» ispirata ai principi della trasparenza
totale (tratti dal Freedom of information act, molto di moda
in campagna elettorale). Nella realtà è, invece, un'ennesima
complicazione burocratica, che sta mettendo in serie
difficoltà le amministrazioni.
La norma, come noto, impone di pubblicare sul sito di
ciascuna amministrazione, nella sezione «trasparenza e
valutazione» una rilevante serie di informazioni riguardanti
«la concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed
ausili finanziari alle imprese e l'attribuzione dei
corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti,
imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di
qualunque genere di cui all'articolo 12» della legge
241/1990.
I problemi posti dalla norma sono molteplici. In primo
luogo, la sua obbligatorietà. Fino al 31.12.2012 la sua
mancata applicazione non comportava conseguenze.
Col 2013 le cose cambiano radicalmente. Ai sensi del comma 5
del citato articolo 18, infatti, «a decorrere dal 01.01.2013, per le concessioni di vantaggi economici successivi
all'entrata in vigore del presente decreto legge, la
pubblicazione ai sensi del presente articolo costituisce
condizione legale di efficacia del titolo legittimante delle
concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore
a mille euro nel corso dell'anno solare».
Questo significa che non sarà sufficiente l'efficacia del
provvedimento di aggiudicazione (ma del resto è sempre stato
così), ma perfino la stessa stipulazione del contratto non
saranno sufficienti perché le obbligazioni contratte siano
produttive di effetti. Per meglio esemplificare, la
stipulazione del contratto non è più presupposto per la
legittima ordinazione della prestazione. Occorre
necessariamente che il contratto sia pubblicato e solo
successivamente le parti possono legittimamente darvi corso,
o, nel caso di contributi, erogare la somma prevista.
Tanto è rilevante l'adempimento che nel caso di violazione
scatta «la diretta responsabilità amministrativa,
patrimoniale e contabile per l'indebita concessione o
attribuzione del beneficio economico».
Inoltre, il beneficiario e chiunque altro vi abbia interesse
può a sua volta far rilevare la mancata, incompleta o
ritardata pubblicazione, anche allo scopo di ottenere
l'eventuale risarcimento del danno da ritardo.
Non solo, dunque, dirigenti, responsabili di servizio e
uffici dovranno stare molto attenti alla formalità
burocratica, ma si pone il problema del formato della
pubblicazione. Prendendo l'articolo 18 alla lettera occorre
che i dati pubblicati siano «resi di facile consultazione,
accessibili ai motori di ricerca ed in formato tabellare
aperto che ne consente l'esportazione, il trattamento e il
riuso».
La gran parte delle amministrazioni non si è ancora dotata
del sistema informatico per pubblicare i dati così come
richiede il legislatore (si veda ItaliaOggi di ieri).
C'è da chiedersi, allora, se l'adempimento che condiziona
l'efficacia dei contratti e dei contributi sia non solo
legato alla pura e semplice pubblicazione, ma anche alla sua
effettuazione nel formato previsto. In questo secondo caso,
sarebbero innumerevoli le irregolarità da parte di
moltissime amministrazioni.
Sembra doversi dare, tuttavia, rilievo alla sostanza della
norma, che impone la pubblicità, consistendo il formato
della stessa una formalità di dettaglio che non può
inficiare l'efficacia dei provvedimenti pubblicati.
A meno di non intendere l'articolo 18 (le cui conseguenze
operative non sono state certamente ben considerate
dall'estensore del testo) come una norma che inchiodi per
lunghi mesi ogni attività amministrativa. Il che,
oggettivamente, appare una conseguenza parossistica ed
inaccettabile
(articolo ItaliaOggi del 12.01.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Gare, trasparenza
per tutti.
Documenti in copia anche a chi non partecipa all'appalto.
Il Consiglio di stato allarga la
platea dei soggetti tutelati se vi sono interessi qualificati.
Appalti più trasparenti per tutti. Anche chi non ha
partecipato alla gara può avere la copia dei documenti
presentati dall'aggiudicatario. E non solo di quelli
amministrativi sui requisiti di partecipazione, ma anche sui
progetti relativi alle offerte tecniche.
La giurisprudenza
del Consiglio di stato (Sez.
VI
sentenza 11.01.2013 n. 110, si veda ItaliaOggi del 16.01.2013) apre
le porte a tutti, purché portatori di un interesse
qualificato, senza riserva per le imprese concorrenti,
nonostante il codice degli appalti sembri favorire i
concorrenti alla gara a discapito degli altri.
Il problema è se deve ritenersi vincente la trasparenza
degli atti che riguardano procedure pubbliche o se, invece,
debba darsi prevalenza all'esigenza delle imprese di tenere
segrete e riservate le informazioni sui processi produttivi,
organizzazione del lavoro, know how e caratteristiche dei
propri prodotti e servizi.
Non rappresenta un paradosso pensare a una
strumentalizzazione delle disposizioni sulla trasparenza per
lo scopo di copiare servizi, prodotti o progetti da proporre
sul mercato, magari in altre pubbliche gare.
L'articolo 13 del codice dei contratti cerca di bilanciare
gli opposti interessi. D'altra parte lo stesso Consiglio di
stato, nella sentenza citata, ricorda che l'articolo 13 del
Codice dei contratti contiene specifiche previsioni in
materia di accesso ai documenti di gara, e prescrive
l'inaccessibilità o l'accessibilità riservata ai soli
ricorrenti, i documenti che costituiscono, con motivata e
comprovata dichiarazione degli offerenti, segreti tecnici o
commerciali.
Tuttavia, osservano i giudici di Palazzo Spada, l'articolo
13 del Codice degli appalti fa espresso rinvio alla legge n.
241 del 1990 ed in particolare dall'articolo 24, per il
quale spetta ai richiedenti l'accesso ai documenti la cui
conoscenza è necessaria per curare o difendere i propri
interessi giuridici.
Inoltre si legge nella sentenza «la tutela del diritto di
accesso assicura la trasparenza dell'attività della pubblica
amministrazione, indipendentemente dall'effettiva lesione di
una determinata situazione di diritto soggettivo o di
interesse legittimo»: come dire anche chi non ha partecipato
alla gara può vantare un interesse (qualificato) ad
acquisire la documentazione.
Nel caso specifico si è trattato di una società che ha
attivato un ricorso parallelo per impugnare la gara, alla
quale non ha potuto partecipare.
La trasparenza si estende al massimo e ne beneficia anche un
soggetto che non è stato concorrente nella procedura di
appalto.
L'orientamento del Consiglio di stato è significativo in
quanto supera un precedente indirizzo contrario. Il Tar
Lazio Roma, sentenza Sez. III-ter, 10/05/2011, n. 4081 ha
sostenuto che il comma 6 dell'articolo 13 del codice degli
appalti consente l'accesso agli atti coperti da segreti
tecnici e commerciali, contenuti nelle offerte,
riservandolo, però «al concorrente che lo chieda in vista
della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione
alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito
della quale viene formulata la richiesta di accesso».
Secondo il Tar Lazio l'articolo 13 collega l'interesse
all'accesso alla posizione giuridica non di chiunque vi
abbia interesse, ma del solo concorrente che abbia
intrapreso un giudizio avente ad oggetto la procedura di
gara in cui l'istanza di accesso è formulata.
---------------
Limitazioni all'accesso per evitare pressioni o accordi
illegittimi.
L'articolo 13 del codice degli appalti prevede una
disciplina ad hoc, pur richiamando le regole generali della
legge 241/1990.
Innanzi tutto la norma stabilisce un rinvio dell'accesso a
determinate fasi della procedura. Nel dettaglio il diritto
di accesso è differito: nelle procedure aperte, in relazione
all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino
alla scadenza del termine per la presentazione delle
medesime nelle procedure ristrette e negoziate, e in ogni
ipotesi di gara informale, in relazione all'elenco dei
soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno
segnalato il loro interesse, e in relazione all'elenco dei
soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e
all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino
alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte
medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata
respinta, è consentito l'accesso all'elenco dei soggetti che
hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il
loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte
delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da
invitare.
Inoltre si verifica il differimento, in relazione alle
offerte, fino all'approvazione dell'aggiudicazione e, in
relazione al procedimento di verifica della anomalia
dell'offerta, fino all'aggiudicazione definitiva.
Le limitazioni all'accesso hanno l'obiettivo di preservare
la correttezza della gara ed evitare accordi illegittimi o
pressioni indebite.
Altra limitazione è rappresentata dai casi di esclusione del
diritto di accesso. L'accesso e ogni forma di divulgazione
sono vietati in relazione alle informazioni fornite dagli
offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione
delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e
comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o
commerciali; a eventuali ulteriori aspetti riservati delle
offerte, da individuarsi in sede di regolamento; ai pareri
legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del
presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in
atto, relative ai contratti pubblici; alle relazioni
riservate del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo
sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del
contratto.
C'è però un'eccezione al divieto di accesso ai segreti
tecnici e commerciali e agli aspetti riservati delle
offerte: lo stesso articolo 13 del codice appalti prevede
che «è comunque consentito l'accesso al concorrente che lo
chieda in vista della difesa in giudizio dei propri
interessi in relazione alla procedura di affidamento del
contratto nell'ambito della quale viene formulata la
richiesta di accesso». Quest'ultima disposizione sembra
limitare l'accesso alle offerte (motivato dal diritto di
difesa) al solo concorrente, e non a terzi. Ma è su questo
punto che la giurisprudenza amministrativa mostra
un'apertura a una maggiore trasparenza.
---------------
Resta protetto il know how industriale e commerciale.
Nelle gare pubbliche va tutelato anche il
know how
aziendale.
Non può, infatti, di regola essere data copia della
documentazione sul know how industriale e commerciale
contenuto nelle offerte delle imprese partecipanti. Questo
per evitare che operatori economici in diretta concorrenza
tra loro possano utilizzare l'accesso per giovarsi delle
specifiche conoscenze possedute da altri al fine di
conseguire un indebito vantaggio commerciale all'interno del
mercato. Anche in questo caso, però, è consentito l'accesso
al concorrente (ma anche ai terzi portatori di un interesse
qualificato stando all'ultimo orientamento del consiglio di
stato) che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei
propri interessi (Tar Lazio Roma Sez. III, 21/03/2011, n.
2422).
Tra l'altro le imprese non devono dimenticarsi che per
stendere un velo sulle proprie informazioni riservate devono
farlo presente alla stazione appaltante: quando gli atti di
gara cui l'interessato chieda di avere accesso concernano
informazioni fornite dall'azienda partecipante nell'ambito
dell'offerta, ma costituiscono nel contempo segreti tecnici
o commerciali della stessa, l'esclusione del diritto di
visionare ed estrarre copia degli atti amministrativi trova
applicazione solo a condizione che l'impresa cui le
informazioni si riferiscono abbia manifestato il proprio
interesse alla non divulgazione delle stesse (Cons. di stato
Sez. VI sent., 19/10/2009, n. 6393).
E le imprese non devono neppure dimenticarsi che a loro
carico sussiste l'onere della prova della segretezza o
riservatezza delle informazioni inserite nelle offerte
presentate nelle gare pubbliche.
Il Codice degli appalti, spiega il Consiglio di stato
(sentenza Sez. V, 21/11/2011, n. 6136), nel prevedere
l'esclusione dall'accesso per «le informazioni fornite dagli
offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione
delle medesime», esige a tal fine che le medesime integrino
segreti tecnici o commerciali «secondo motivata e comprovata
dichiarazione dell'offerente». Quindi l'esclusione
dall'accesso opera solo se il concorrente interessato
adempie allo specifico onere di fornire motivata
dichiarazione comprovante che effettivamente siano in
questione informazioni integranti segreti tecnici o
commerciali.
E comprovare non significa solo affermare, ma significa
spiegare le ragioni per le quali si può parlare di segreto o
riservatezza aziendale. Residua alla stazione appaltante
anche una valutazione relativa alla congruità della
motivazione e anche sull'idoneità delle giustificazioni.
Anche un parere legale acquisito dalla stazione appaltante
può essere acquisito. Purché il parere si riferisca ad una
fase endoprocedimentale amministrativa (per esempio, al fine
dell'adozione di successivi provvedimenti, che vi fanno
espresso riferimento) e non riguardi una lite in atto o
potenziale, ovvero una fase precontenziosa (Cons. di stato
Sez. V, 23/06/2011, n. 3812) (articolo ItaliaOggi
Sette del 28.01.2013). |
APPALTI: Accessibili
a tutti le carte delle gare.
Ammesso l'accesso agli atti sull'offerta tecnica
dell'aggiudicatario di un appalto anche per chi non ha
partecipato alla gara; prevale la legge sul procedimento
amministrativo rispetto al Codice dei contratti pubblici.
È
questo l'interessante principio affermato dal Consiglio di
Stato, Sez. VI, con la
sentenza 11.01.2013
n. 110.
Nella fattispecie esaminata, una società non partecipante a
una gara di appalto aveva instaurato un giudizio tendente a
contestare gli atti di gara chiedendo l'annullamento della
procedura di gara e riservandosi la facoltà di presentare
motivi aggiunti una volta esaminati i documenti richiesti
(offerta dell'aggiudicatario provvisorio).
In primo grado il Tar Lazio (sentenza n. 4081/2011) aveva
rigettato (con silenzio-rifiuto) la domanda di accesso
sostenendo, fra le altre cose, che la disciplina del codice
dei contratti pubblici (articolo 13) , pur rinviando alla
legge 241/1990, ammette l'accesso soltanto al concorrente
che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri
interessi, mentre la società non aveva assunto un ruolo da
partecipante. Il Consiglio di stato ribalta la sentenza di
primo grado e ritiene che l'articolo 13, comma 6, del Codice
contenga specifiche previsioni in materia di accesso ai
documenti di gara che, però, non possono essere tali da
impedire la tutela generalizzata sul buon esito del
procedimento garantita dalla legge sul procedimento
amministrativo.
In particolare, secondo i giudici, lo stesso articolo 13,
nel richiamare la legge 241, rende applicabile alla
disciplina degli appalti pubblici anche l'articolo 24 della
normativa del 1990, per il quale spetta ai richiedenti
l'accesso ai documenti la cui conoscenza sia necessaria per
curare o difendere i propri interessi giuridici. E, al di là
di quanto disciplinato dal Codice dei contratti pubblici,
dice la sentenza, non può non riconoscersi che «con la
tutela del diritto di accesso il legislatore ha voluto
assicurare all'amministrato la trasparenza dell'attività
della pubblica amministrazione, indipendentemente
dall'effettiva lesione di una determinata situazione di
diritto soggettivo o di interesse legittimo».
In altre parole, quindi, prevale l'interesse generale
stabilito dalle disciplina della legge 241 in quanto è il
complessivo interesse alla trasparenza dell'azione
amministrativa a dovere prevalere sugli specifici interessi
soggettivi. Ancorché disciplina «speciale», quella
del Codice, deve ritenersi quindi recessiva rispetto a
quella generale
(articolo ItaliaOggi del 16.01.2013
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
L’aggiudicazione
provvisoria costituisce un mero atto endoprocedimentale, la
cui autonoma impugnabilità è condizionata, ai fini della sua
procedibilità, dalla tempestiva impugnazione con motivi
aggiunti anche dell’aggiudicazione definitiva che
successivamente intervenga.
La ricorrente Philips ha impugnato, con l'atto introduttivo del giudizio,
la comunicazione di aggiudicazione ricevuta in data 13.08.2012, comunicazione con la quale la ricorrente è
stata informata dell'avvenuta aggiudicazione provvisoria a
Siemens.
Philips s.p.a. ha poi impugnato, con motivi aggiunti
notificati in data 14.12.2012, la delibera di
aggiudicazione definitiva. Secondo una giurisprudenza
pacifica, l’aggiudicazione provvisoria costituisce un mero
atto endoprocedimentale, la cui autonoma impugnabilità è
condizionata, ai fini della sua procedibilità, dalla
tempestiva impugnazione con motivi aggiunti anche dell’aggiudicazione definitiva che successivamente intervenga
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27.04.2011, n. 2482; sez. V,
26.11.2008, n. 5485; sez. VI, 18.03.2003, n. 1417
e, da ultimo, Ad. Plen. 31.07.2012 n. 31).
L’art. 10 del Disciplinare di Gara (Norme Finali), prevedeva
che "La comunicazione di cui all'art. 11, comma 10, d.lgs.
163/2006 si intende effettuata ad ogni effetto di legge
mediante la pubblicazione
del relativo provvedimento d'aggiudicazione definitiva
sull'albo pretorio di quest'Azienda e sul sito internet il
cui indirizzo è: www.aziendaospedalieracosenza.it”.
Nel caso di specie l'aggiudicazione definitiva è intervenuta
con deliberazione del Direttore Generale n. 820 in data 13.08.2012, pubblicata sul sito Internet dell’Azienda il 20.08.2012, mentre i motivi aggiunti sono stati notificati
il 14.12.2012, quindi, ben oltre il termine previsto
in materia di appalti dall’art. 120 c.p.a.
Il ricorso è improcedibile, quanto alla impugnazione rivolta
contro l'aggiudicazione provvisoria (per effetto
dell'intervenuta aggiudicazione definitiva) e irricevibile
quanto alla impugnazione rivolta contro l'aggiudicazione
definitiva, poiché tardivo (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 11.01.2013 n. 52 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Opere superspecialistiche. Associazioni obbligate ko.
Il parere del Consiglio di stato sul
decreto sugli appalti.
Pollice verso dal Consiglio di stato contro alcune norme in
tema di appalti contenute nel regolamento di attuazione del
codice dei contratti pubblici.
Il
parere
11.01.2013 n. 38 reso
nell'adunanza della commissione speciale di Palazzo Spada
boccia le disposizioni contenute nel dpr 207/2010 laddove
penalizza le imprese generali: il provvedimento, infatti,
individua ben ventiquattro categorie «superspecialistiche»
che impongono la necessaria costituzione dell'associazione
temporanea di imprese verticale per poter partecipare alla
gara.
Contraddizione in termini
Le censure arrivano da un gruppo di grandi gruppi, attivi
soprattutto nel campo delle grandi opere.
Gli effetti del sistema sarebbero penalizzanti per le
imprese generali, le quali, pur se in possesso della
qualificazione nella categoria generale prevalente, non
sarebbero più in grado di eseguire alcuna opera da sole, ma
sarebbero costrette, praticamente per tutti gli appalti, a
subaffidare opere non ricomprese nelle proprie
qualificazioni «generali» e, per moltissime categorie, anche
ad associare altre imprese.
In effetti, riconosce Palazzo
Spada, le norme sembrano contraddittorie: da una parte c'è
la regola generale secondo cui l'affidatario dei lavori in
possesso della qualificazione nella categoria prevalente può
eseguire direttamente tutte le lavorazioni si cui si compone
l'opera, anche qualora sia privo delle relative
qualificazioni; dall'altra c'è la tabella sintetica delle
categorie: ben 46 delle 52 categorie complessivamente
indicate risultano a qualificazione obbligatoria e quindi
non realizzabili direttamente dall'affidatario ma
necessariamente da subappaltare.
Nell'ambito di queste 46
categorie esiste un ulteriore elenco di 24 categorie, per le
quali il subappalto è consentito solo nei limiti del 30 per
cento: ne consegue che, in presenza delle opere «speciali»,
l'impresa munita della qualificazione nella categoria
prevalente, già solo per partecipare alla gara, deve
necessariamente costituire un'Ati verticale con un'impresa
qualificata nella categoria «speciale». «Il dato
quantitativo», concludono i giudici, «è già
sintomatico di un'evidente contraddittorietà». Il
ministero delle Infrastrutture è avvisato
(articolo ItaliaOggi del 12.07.2013). |
APPALTI:
Sull'obbligo di richiedere nel bando di gara,
pena la nullità del bando, l'obbligo per gli
aggiudicatari di indicare un numero di conto corrente unico
sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le somme
relative all'appalto
In secondo luogo, il collegio prende brevemente posizione sulla
questione sollevata d’ufficio con l’ordinanza cautelare n.
706 del 2012, relativa a possibili profili di nullità del
bando, in ordine all’applicazione dell’art. 2, comma 1,
della l.r. 20.11.2008 n. 15, atteso che la lett. s)
del bando non riproduce pedissequamente la suddetta
disposizione (che stabilisce l'obbligo per gli aggiudicatari
di indicare un numero di conto corrente unico) ma consente,
a differenza di questa, l’apertura di più conti correnti,
anche non esclusivi, dedicati alle commesse pubbliche e
finalizzati alla movimentazione finanziaria relativa
all’appalto.
Detta questione, infatti, se fondata, porterebbe alla
declaratoria di nullità della lex specialis della gara e, di
conseguenza, renderebbe improcedibili tutte le impugnazione
proposte avverso quest’ultima.
Il collegio premette che negli ultimi anni la
giurisprudenza di questo Tribunale ha preso posizione sulla
questione suddetta, dichiarando nulli i bandi privi degli
avvisi di cui all’art. 2 della l.r. 20.11.2008 n. 15.
La suddetta disposizione stabilisce, al comma 1, che “Per
gli appalti di importo superiore a 100 migliaia di Euro, i
bandi di gara prevedono, pena la nullità del bando,
l'obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di
conto corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno
confluire tutte le somme relative all'appalto.
L'aggiudicatario si avvale di tale conto corrente per tutte
le operazioni relative all'appalto, compresi i pagamenti
delle retribuzioni al personale da effettuarsi
esclusivamente a mezzo di bonifico postale o assegno
circolare non trasferibile. Il mancato rispetto dell'obbligo
di cui al presente comma comporta la risoluzione per
inadempimento contrattuale”.
La norma in questione “è finalizzata alla garanzia della
trasparenza e della tracciabilità dei pagamenti posti in
essere nell' esecuzione degli appalti, garanzia ritenuta
prevalente, mediante la previsione della nullità del bando
in caso di omessa previsione, rispetto ad ogni altro
interesse pubblico o privato concorrente, nella
considerazione dell'alto rischio di infiltrazioni mafiose
nel campo degli appalti che, data la rilevanza degli
interessi economici in gioco, richiama da sempre
l'attenzione della criminalità organizzata” (Tar Sicilia,
Palermo, III, 25.02.2011, n. 361; nello stesso senso: Tar Sicilia, Palermo, III, 19.12.2011, n. 2406,
confermata dal C.g.a. con sentenza 27.07.2012, n. 721;
TAR Sicilia, Catania, III, 20.07.2010, n. 3127; da
ultimo, TAR Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 21.12.2012, n. 2752).
Si è ritenuto anche che l'applicabilità della citata norma,
prescinde, da un lato, dal fatto che sia stata proposta
apposita censura, di talché è onere del giudice di rilevare
d'ufficio la questione di nullità, e dall'altro lato, dal
fatto che il ricorso sia eventualmente, per altre, ragioni
infondato (cfr. Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 25.02.2011, n. 361).
Se certamente non vi sono dubbi che siano nulli i bandi
privi dell’avviso in questione (ex multis, TAR Sicilia
Palermo Sez. III, Sent., 31.10.2012, n. 2147; id., 19.12.2011, n. 2406), la situazione è un po’ diversa nei
casi in cui, come quello che qui interessa, il bando
riproduca la citata disposizione operando un commistione tra
norma regionale e norma nazionale corrispondente, che è
l’art. 3, comma 1, della l. 136 del 2010, la quale stabilisce
che “per assicurare la tracciabilità dei flussi finanziari
finalizzata a prevenire infiltrazioni criminali, gli
appaltatori, i subappaltatori e i subcontraenti della
filiera delle imprese nonché i concessionari di
finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo
interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici
devono utilizzare uno o più conti correnti bancari o
postali, accesi presso banche o presso la società Poste
italiane Spa, dedicati, anche non in via esclusiva, fermo
restando quanto previsto dal comma 5, alle commesse
pubbliche“.
Il bando di gara, infatti, alla lett. s), stabilisce che “l’aggiudicatario dovrà indicare uno o più numeri di conto
corrente bancario o postale accesi presso banche o Poste
Italiane s.p.a. dedicati, anche in via non esclusiva, alle
commesse pubbliche”, mentre alla lett. t) stabilisce che “per le finalità di cui all’art. 2, comma 1, della l.r.
15/2008 e all’art. 3 L. 136/2010, il mancato rispetto dei
suddetti obblighi da parte dell’aggiudicatario comporterà la
risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi
dell’art. 3, comma 8, L. 136/2010”.
Fermo restando che la disposizione regionale non è stata
implicitamente abrogata dalla legge nazionale, perché, come
ribadito da ultimo dal CGA, 27.07.2012, n. 721, “la nota
peculiarità della criminalità organizzata in Sicilia può
giustificare l'adozione di una disciplina diversa e più
severa di quella nazionale” (si vedano anche TAR Sicilia
Palermo Sez. I, 12.07.2012, n. 1530; id., 27.06.2012, n. 1311; id., 11.05.2012, n. 959; Sez. III, Sent.,
30.11.2012, n. 2511), il collegio si è dovuto
necessariamente porre la questione (sottoponendola al
contraddittorio delle parti già in primo grado) circa la
compatibilità tra il testo del bando e la norma regionale:
non essendovi corrispondenza, infatti, potrebbe ritenersi
che la lex specialis della gara sia formalmente priva della
disposizione di cui all’art. 2 della l.r. 15/2008 e,
pertanto, nulla.
Infatti, la norma regionale è senza dubbio più restrittiva
di quella nazionale, prevedendo la necessità di un unico
conto da destinare all’appalto (laddove la legge nazionale
menziona più conti, anche non esclusivi), e commina la
nullità del bando in mancanza di avviso (sanzione,
quest’ultima, assente a livello nazionale).
Sul punto, il collegio osserva, da un lato, che la ratio di
entrambe le norme è la tracciabilità; sotto questo profilo,
la circostanza che vi sia un unico conto oppure più conti
appare del tutto irrilevante, posto che i partecipanti alle
gare debbono comunque comunicarli alla stazione appaltante;
dall’altro, la comminatoria di nullità, che rende la legge
speciale più restrittiva e degna di sopravvivenza
all'avvento della legge 136/2010, non può però essere
interpretata in modo del tutto irragionevole e
discriminatorio con riguardo al numero dei conti
utilizzabili, nel senso che se nel bando si consente la
possibilità di averne più di uno (a differenza della legge
regionale), ciò non toglie che nella sostanza il precetto
della norma regionale potrà essere comunque rispettato, per
il principio che il più contiene il meno, imponendo
all’aggiudicatario (a gara terminata) di utilizzare un unico
conto corrente.
In pratica, non è con la comminatoria di nullità del bando
che si risolve l'eventuale inadempienza dell'aggiudicatario
al precetto di legge, che può dirsi rispettato se la
stazione appaltante comunica a questi –laddove avesse
indicato più conti– che deve restringere il campo a uno
solo, pena la risoluzione del contratto.
Si tratta, in ogni caso, di situazioni successive alla
chiusura della procedura di gara e che saranno valutate
dalle stazioni appaltanti caso per caso, senza che la gara
venga invalidata in radice.
A conferma di ciò, va detto che in una fattispecie simile,
nella quale, quindi, il bando recava l’avviso sulla
tracciabilità riproducendo la legge nazionale, anziché
quella regionale, questo Tribunale non ha ritenuto di dover
comminare la nullità del medesimo (TAR Sicilia Palermo
Sez. III, 08.06.2012, n. 1207)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 11.01.2013 n. 28 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'onere di immediata
impugnazione del bando di gara riguarda le sole clausole che
concernono i requisiti soggettivi di partecipazione dei
soggetti interessati, che risultino esattamente e
storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e
non siano suscettibili di essere condizionate dal suo
svolgimento e perciò in condizioni di ledere immediatamente
e direttamente l'interesse sostanziale del soggetto che ha
chiesto di partecipare alla procedura, nonché quelle che
impongono oneri incomprensibili o manifestamente
sproporzionati, come tali immediatamente ostativi alla
partecipazione alla gara.
Ogni diversa questione riguardante l'assunta illegittimità
della procedura di gara può e deve essere proposta
unitamente agli atti che delle clausole dimostratesi lesive
fanno diretta applicazione (provvedimento di esclusione o
dell'aggiudicazione del contratto o di altro provvedimento
che segni comunque, per l'interessato, un arresto
procedimentale), atteso che sono essi atti che rendono
attuale e concreta la lesione della situazione
dell'interessato.
Pertanto, sussiste l'onere di immediata impugnazione del
bando di gara o lettera di invito solo in relazione alle
clausole che impediscono in limine la partecipazione alla
procedura di determinati soggetti e non richiedano alcuna
significativa attività interpretativa né dei destinatari del
bando, né degli organi dell'Amministrazione che ne debbano
fare applicazione sicché in tutti gli altri casi deve
ritenersi tempestiva l'impugnazione della lex specialis
contestualmente a quella degli atti che di essa fanno
applicazione, atteso che solo questi ultimi identificano il
concorrente leso e rendono attuale e concreta la lesione
della relativa situazione soggettiva in relazione
all'eventuale esito negativo della gara, mentre
anteriormente la lesività delle clausole contestate resta
sul piano dell'astrattezza e potenzialità.
Sul punto, la
giurisprudenza amministrativa afferma in modo costante, da
anni, che “l'onere di immediata impugnazione del bando di
gara riguarda le sole clausole che concernono i requisiti
soggettivi di partecipazione dei soggetti interessati, che
risultino esattamente e storicamente identificate,
preesistenti alla gara stessa, e non siano suscettibili di
essere condizionate dal suo svolgimento e perciò in
condizioni di ledere immediatamente e direttamente
l'interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di
partecipare alla procedura, nonché quelle che impongono
oneri incomprensibili o manifestamente sproporzionati, come
tali immediatamente ostativi alla partecipazione alla gara.
Ogni diversa questione riguardante l'assunta illegittimità
della procedura di gara può e deve essere proposta
unitamente agli atti che delle clausole dimostratesi lesive
fanno diretta applicazione (provvedimento di esclusione o
dell'aggiudicazione del contratto o di altro provvedimento
che segni comunque, per l'interessato, un arresto
procedimentale), atteso che sono essi atti che rendono
attuale e concreta la lesione della situazione
dell'interessato.
Pertanto, sussiste l'onere di immediata
impugnazione del bando di gara o lettera di invito solo in
relazione alle clausole che impediscono in limine la
partecipazione alla procedura di determinati soggetti e non
richiedano alcuna significativa attività interpretativa né
dei destinatari del bando, né degli organi
dell'Amministrazione che ne debbano fare applicazione sicché
in tutti gli altri casi deve ritenersi tempestiva
l'impugnazione della lex specialis contestualmente a quella
degli atti che di essa fanno applicazione, atteso che solo
questi ultimi identificano il concorrente leso e rendono
attuale e concreta la lesione della relativa situazione
soggettiva in relazione all'eventuale esito negativo della
gara, mentre anteriormente la lesività delle clausole
contestate resta sul piano dell'astrattezza e potenzialità”
(così TAR Campania, Napoli, sez. I, 03.04.2012, n.
1550; ex plurimis, Cons. St., sez. V, 28.05.2012, n.
3128; id., sez. VI, 04.10.2011, n. 5434; id., sez. V,
id., sez. V, 07.09.2001 n. 4679; id. 04.03.2011 n.
1380; id, 21.02.2011 n. 1071; id., sez. VI, 24.02.2011 n. 1166; id., sez. V,
04.03.2008 n. 901;
TAR Campania, Napoli, sez. I, 09.10.2012, n. 4037;
TAR Lazio sez. I, 06.07.2012, n. 6163; TAR Lazio
sez. III, 14.01.2012, n. 354; TAR Campania, Napoli,
sez. I, 03.04.2012, n. 1550; TAR Lazio sez. I, 01.06.2012, n. 5000; TAR Campania, Napoli, sez. III,
01.06.2012, n. 2610)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 11.01.2013 n. 28 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ENTI
LOCALI: Trasparenza, gli enti latitano.
Solo in pochi hanno messo online compensi e contributi.
L'obbligo è imposto dal dl crescita. Ed è
operativo dal 1° gennaio. Lo conferma la Civit.
P.a. ancora lontane dal traguardo dell' «amministrazione
aperta». Dal 1° gennaio scorso è divenuto pienamente
operativo l'art. 18 del dl 83/2012, che impone di dare piena
pubblicità alle erogazioni di denaro pubblico di qualunque
genere. Ma finora sono relativamente pochi gli enti (sia
centrali che locali) che si sono adeguati.
Spulciando fra i siti di ministeri, regioni, province e
comuni, infatti, è ancora abbastanza raro trovare tutte le
informazioni obbligatorie, ovvero: il nome dei beneficiari
ed i relativi dati fiscali, l'importo, la norma o il titolo
a base dell'attribuzione, l'ufficio e il funzionario o
dirigente responsabile del procedimento amministrativo, la
modalità seguita per l'individuazione del beneficiario, il
link al progetto, al curriculum del soggetto incaricato,
nonché al contratto e capitolato della prestazione,
fornitura o servizio.
I dati, precisa la norma, vanno inseriti nella sezione
«trasparenza, valutazione e merito» (istituita ai sensi del dlgs 150/2009) e devono essere riportati in formato
elettronico di testo per l'importazione ed esportazione in
formato gabellare, in modo da essere facilmente accessibili
dall'home-page e dai motori di ricerca.
Si tratta di un obbligo a tutto campo, poiché riguarda tutte
le sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari alle
imprese, nonché l'attribuzione dei corrispettivi e dei
compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati.
E si tratta di un obbligo immediatamente cogente per tutti
(amministrazioni centrali, regionali e locali, aziende
speciali e società in house): lo ha chiarito la Civit con
la
deliberazione
21.12.2012 n. 35 adottata poco prima di Natale, fugando i dubbi derivanti dalla mancata adozione
(prevista entro il 31.12.2012) del regolamento statale
che avrebbe dovuto definirne le modalità attuative,
coordinandole con le altre numerose disposizioni che
incidono sulla stessa materia.
Ben pochi, però, si sono già attrezzati per rispettarlo. Fra
i ministeri, l'unico ad aver provveduto in modo puntuale e
quello del lavoro e delle politiche sociali, mentre fra le
agenzie statali spicca la tempestività delle Entrate.
Ritardi anche fra le regioni, dove solo Valle d'Aosta,
Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna hanno rispettato il
timing. Stessa situazione a livello locale, dove fra gli
enti maggiori solo i comuni di Venezia e Firenze risultano
adempienti. Non mancano, peraltro, best practices anche fra
i municipi di medie (Asti) e piccole dimensioni (ad esempio,
Castelnuovo di Sotto, 8 mila abitanti circa in provincia di
Reggio Emilia).
In molti casi, le pagine risultano in costruzione, le
informazioni carenti (spesso, ad esempio, vi sono solo
quelle relative ad incarichi e consulenze) o non aggiornate,
i link assenti o non funzionanti.
Certo, i problemi tecnici non mancano (molte amministrazioni
lamentano l'indisponibilità di sistemi informatici adeguati
alla mole di dati da correlare). Ma non si può non rilevare
una certa insofferenza, tipica della pa italiana, alle
iniezioni di trasparenza. In più, pesa l'attuale situazione
di stallo politico, che non agevola l'attuazione dei
provvedimenti varati dal governo uscente.
I rischi, in tal caso, sono però alti. In base al comma 5
dell'art. 18, infatti, da quest'anno la pubblicazione delle
informazioni indicate «costituisce condizione legale di
efficacia del titolo legittimante delle concessioni e
attribuzioni di importo complessivo superiore a 1.000 euro
nel corso dell'anno solare e la sua eventuale omissione o
incompletezza è rilevata d'ufficio dagli organi dirigenziali
e di controllo, sotto la propria diretta responsabilità
amministrativa, patrimoniale e contabile per l'indebita
concessione o attribuzione del beneficio economico».
Inoltre, «la mancata, incompleta o ritardata pubblicazione è
altresì rilevabile dal destinatario della prevista
concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia
interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da
ritardo da parte dell'amministrazione, ai sensi dell'art. 30
del codice del processo amministrativo di cui al dlgs
104/2010».
In parole povere, l'inadempimento può costare caro a coloro
che (dirigenti e responsabili dei servizi) firmano i
provvedimenti di erogazione. È quindi necessario che tutte
le p.a. che non avessero ancora provveduto si attivino
quanto prima
(articolo ItaliaOggi dell'11.01.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
La commissione non può integrare il bando di gara
mediante la previsione di criteri integrativi dello stesso,
ossia di criteri valutativi.
L'esclusione della facoltà, da parte della commissione, di
integrare il bando di gara mediante la previsione di criteri
integrativi dello stesso, ossia di criteri valutativi, è
avvalorata anche dalla giurisprudenza comunitaria che
statuisce la necessità che "...tutti gli elementi presi
in considerazione dall'autorità aggiudicatrice per
identificare l'offerta economicamente più vantaggiosa e la
loro importanza relativa siano noti ai potenziali offerenti
al momento in cui presentano le offerte ... infatti i
potenziali offerenti devono essere messi in condizione di
conoscere, al momento della presentazione delle loro
offerte, l'esistenza e la portata di tali elementi ...
pertanto un'amministrazione aggiudicatrice non può applicare
regole di ponderazione o sottocriteri per i criteri di
aggiudicazione che non abbia preventivamente portato a
conoscenza degli offerenti ... gli offerenti devono essere
posti su un piano di parità durante l'intera procedura, il
che comporta che i criteri e le condizioni che si applicano
a ciascuna gara debbano costituire oggetto di un'adeguata
pubblicità da parte delle amministrazioni aggiudicatrici"
(sentenza della Corte di Giustizia CE C-532/2006,
24.01.2008).
Pertanto, nel caso di specie, la commissione ha violato i
suddetti principi, nel prevedere nuovi criteri di
valutazione dell'offerta tecnica rispetto alla lex
specialis, per di più omettendo un adeguato discorso
giustificativo, che, anche per via schematica (griglie
motivazionali), consenta di ricollegare l'attribuzione del
punteggio alle "caratteristiche premianti" da essa
predefinite (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 10.01.2013 n. 97 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Rifiuti. Avvalimento e servizio di raccolta differenziata e
trasporto dei rifiuti solidi urbani.
Nel caso di affidamento del servizio di raccolta
differenziata e trasporto dei rifiuti solidi urbani con
sistema porta a porta, l’avvalimento, così come configurato
dalla legge, deve essere reale e non formale, nel senso che
non può considerarsi sufficiente “prestare” la
certificazione posseduta assumendo impegni assolutamente
generici, giacché in questo modo verrebbe meno la stessa
essenza dell’istituto, finalizzato non già ad arricchire la
capacità tecnica ed economica del concorrente, bensì a
consentire a soggetti che ne siano sprovvisti di concorrere
alla gara ricorrendo ai requisiti di altri soggetti,
garantendo l’affidabilità dei lavori, dei servizi o delle
forniture appaltati.
- Vista la censura proposta in primo grado mediante ricorso
incidentale da Avr s.p.a. e riproposta con memoria in
appello, secondo la quale il contratto di avvalimento tra la
Diodoro Ecologia s.r.l. e l’ausiliaria C.i.p.e.f. sarebbe
inidoneo a garantire la stazione appaltante in ordine alla
serietà ed effettività della messa a disposizione delle
risorse oggetto di avvalimento, per cui, conseguentemente,
l’appellante Diodoro Ecologia sarebbe stata in ogni caso del
tutto priva del requisito dell’iscrizione alla categoria 10b
dell’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali inerente la
bonifica da amianto;
- Ritenuto che il contratto di avvalimento in parola si
limita a stabilire che “l’Ausiliaria…si obbliga nei
confronti dell’Impresa, come sopra rappresentata, nonché
della Stazione Appaltante Comune di Riano, a norma dell’art.
49 co. 2, lett. f), D.Lgs. 163/2006, a fornire il requisito
cui l’Impresa è carente, …nonché a mettere a disposizione i
mezzi e attrezzature necessarie, per tutta la durata
dell’appalto”, mentre gli impegni assunti
dall’Ausiliaria a favore dell’Impresa saranno
dettagliatamente regolati con separata scrittura privata, in
caso di aggiudicazione della procedura alla Diodoro Ecologia
s.r.l.;
- Ritenuto che il contratto in questione è in buona sostanza
una mera ripetizione del testo dell’art. 49, co. 2, D.Lgs.
n. 163/2006, il quale richiede l’allegazione all’offerta di
“una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria
con cui quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso
la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la
durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente
il concorrente” e del “contratto in virtù del quale
l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del
concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione
le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto”;
- Considerato che l’avvalimento, così come configurato dalla
legge, deve essere reale e non formale, nel senso che non
può considerarsi sufficiente “prestare” la certificazione
posseduta (Cons. Stato, III, 18.04.2011, n. 2343) assumendo
impegni assolutamente generici, giacché in questo modo
verrebbe meno la stessa essenza dell’istituto, finalizzato
non già ad arricchire la capacità tecnica ed economica del
concorrente, bensì a consentire a soggetti che ne siano
sprovvisti di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti
di altri soggetti (C.d.S., sez. V, 03.12.2009, n. 7592),
garantendo l’affidabilità dei lavori, dei servizi o delle
forniture appaltati;
- Rilevato inoltre che la responsabilità solidale, che viene
assunta con il contratto di avvalimento da parte
dell’impresa ausiliaria nei confronti dell’amministrazione
appaltante relativamente ai lavori oggetto dell’appalto, e
che discende direttamente dalla legge e si giustifica
proprio per l’effettiva partecipazione dell’impresa
ausiliaria all’esecuzione dell’appalto (Cons. Stato, VI,
13.05.2010, n. 2956, secondo cui l’impresa ausiliaria
diventa titolare passivo di un’obbligazione accessoria
dipendente rispetto a quella principale del concorrente,
obbligazione che si perfeziona con l’aggiudicazione a favore
del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti), non si
può rinvenire nel caso di specie, mancando del tutto
l’autentica messa a disposizione di risorse, mezzi o di
altro elemento necessario, rinviata ad un inammissibile
futuro contratto da stipularsi in caso di aggiudicazione
alla Diodoro Ecologia (per tutto Cons. Stato, V, 18.11.2011,
n. 6079) (massima tratta da www.lexambiente.it
- Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2013 n. 90
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'inosservanza delle prescrizioni del bando sulle
modalità di presentazione delle offerte implica l'esclusione
quando vengano in rilievo prescrizioni rispondenti ad un
particolare interesse della p.a. appaltante o poste a
garanzia della par condicio.
In materia di appalti della pubblica amministrazione,
l'inosservanza delle prescrizioni del bando circa le
modalità di presentazione delle offerte può implicare
l'esclusione dalla gara (anche a prescindere dal fatto che
questa sia espressamente prevista in termini specifici dalla
lex specialis) quando vengano in rilievo prescrizioni
rispondenti ad un particolare interesse della pubblica
amministrazione appaltante, o poste a garanzia della par
condicio dei concorrenti.
Laddove invece, come nel caso di specie, non sia ravvisabile
la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante,
va accordata preferenza al favor partecipationis, in
coerenza con l'interesse pubblico al più ampio confronto
concorrenziale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2013 n. 89 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
G.U. 10.01.2013 n. 8 "Norme di attuazione dell’articolo
1, comma 453, della legge 27.12.2006, n. 296, come
sostituito dall’art. 11, comma 11, del decreto-legge
06.07.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15.07.2011, n. 111, in tema di meccanismi di
remunerazione sugli acquisti" (Ministero
dell'Economia e delle Finanze,
decreto 23.11.2012).
---------------
Chi
vince l'appalto dà l'1,5% alla Consip.
Una commissione da parte delle imprese aggiudicatarie. Per
finanziare parzialmente i costi di funzionamento della
Consip e le attività da essa svolte nella sua qualità di
centrale di committenza per conto di altre amministrazioni
affidanti.
A dare attuazione della norma, modificata da
ultimo dalla legge 111/2011, è il decreto del ministero
dell'economia 23.11.2012, apparso sulla G.U. n. 8 di
ieri.
I soggetti che dovranno pagare la commissione sono
l'aggiudicatario delle convenzioni stipulate da Consip,
l'aggiudicatario di gare su delega bandite da Consip Spa
nell'ambito del Programma di razionalizzazione degli
acquisti del Dipartimento dell'amministrazione generale, del
personale e dei servizi, l'aggiudicatario degli appalti
basati su accordi quadro conclusi da Consip Spa nell'ambito
del Programma di razionalizzazione degli acquisti del
Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e
dei servizi.
La commissione non deve essere superiore
all'1,5% da calcolarsi sul valore, al netto di Iva, del
fatturato realizzato, con riferimento agli acquisti
effettuati dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri
soggetti legittimati risultante dalla rendicontazione delle
fatture. Al fine del calcolo dell'entità della commissione,
gli aggiudicatari trasmettono a Consip, per via telematica,
entro 30 giorni dal termine di ciascuno dei due semestri
dell'anno solare, una dichiarazione sostitutiva, attestante
l'importo delle fatture.
Successivamente Consip procede all'emissione della fattura
relativa alla commissione e gli aggiudicatari provvedono al
versamento entro 60 giorni dalla data di ricevimento della
fattura. Per chi non paga, scattano le procedure esecutive
previste dal codice di procedura civile
(articolo ItaliaOggi dell'11.01.2013). |
APPALTI: AVCPass,
arriva il nuovo sistema informatico per la verifica dei
requisiti per l’accesso alle gare.
L’art. 6-bis del D.Lgs. 163/2006 (come modificato dal
Decreto Semplificazioni) dispone che dal primo gennaio 2013
stazioni appaltanti ed enti aggiudicatori possano verificare
il possesso dei requisiti degli operatori che partecipano
alle gare esclusivamente tramite la Banca Dati nazionale dei
contratti pubblici (BDNCP).
A tal proposito, l’AVCP (Autorità per la Vigilanza sui
Contratti Pubblici) ha sviluppato e reso disponibile il
nuovo sistema AVCpass che permette:
● alle stazioni appaltanti e agli enti aggiudicatori
l’acquisizione dei documenti relativi al possesso dei
requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed
economico-finanziario per l’affidamento dei contratti
pubblici;
● agli operatori economici di inserire a sistema i documenti
la cui produzione è a proprio carico ai sensi dell’art.
6-bis, comma 4, del Codice
(10.01.2013 - link a www.acca.it. |
APPALTI:
In assenza del
provvedimento di aggiudicazione, senza nemmeno conoscere il
contenuto dell’offerta economica presentata dalla
ricorrente, non è affatto invocabile l’orientamento
giurisprudenziale che ha affermato non essere ostativo al
risarcimento del danno in materia di procedure ad evidenza
pubblica l’intervento di un atto di revoca assunto in via di
autotutela ancorché quest’ultimo sia legittimo. Né per la
stessa ragione è utilmente applicabile l’indirizzo a mente
del quale non costituisce ostacolo al riconoscimento della
responsabilità patrimoniale dell'ente, la mancata
impugnazione del provvedimento di revoca.
--------------
In presenza d’atto d’autotutela, pienamente efficace perché
non impugnato, e senza che la ricorrente non sia stata
individuata come aggiudicataria, ma di cui non si conosca
(nemmeno) il contenuto dell’offerta presentata in gara,
difettano in fatto i presupposti per configurare la
responsabilità precontrattuale in capo alla stazione
appaltante: fra tutti l’effettiva sussistenza di posizione
giuridica qualificata della ricorrente quale (ancorché, allo
stato, potenziale) parte contraente.
In termini: l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene
sussistere la responsabilità precontrattuale in capo alla
P.A. nel caso di annullamento d'ufficio degli atti di gara
pubblica di appalto per un vizio rilevato
dall'amministrazione solo successivamente all'aggiudicazione
definitiva, o che avrebbe potuto rilevare già all'inizio
della procedura.
La stazione appaltante dopo l’accertamento dell’illegittimità
dell’esclusione, ma prima di aprire le offerte economiche,
ha revocato gli atti della procedura di gara.
L’atto di revoca della procedura di gara non è stato
impugnato.
Sicché, in assenza del provvedimento di aggiudicazione,
senza nemmeno conoscere il contenuto dell’offerta economica
presentata dalla ricorrente, contrariamente a quanto essa
suppone, non è affatto invocabile l’orientamento
giurisprudenziale che ha affermato non essere ostativo al
risarcimento del danno in materia di procedure ad evidenza
pubblica l’intervento di un atto di revoca assunto in via di
autotutela ancorché quest’ultimo sia legittimo (Cons. Stato
Sez. IV, 07.02.2012, n. 662). Né per la stessa ragione è
utilmente applicabile l’indirizzo a mente del quale non
costituisce ostacolo al riconoscimento della responsabilità
patrimoniale dell'ente, la mancata impugnazione del
provvedimento di revoca (TAR Puglia Bari Sez. I,
19.10.011, n. 1552; Cons. Stato Sez. VI, 05.09.2011, n.
5002).
Del resto la c.d. perdita di chance su cui la ricorrente
fonda la domanda di risarcimento del danno presuppone
l’effettiva sussistenza d’aspettativa giuridica qualificata
alla conclusione del contratto d’appalto, che nel caso in
esame difetta in assoluto posto che la procedura s’è
arrestata senza che sia stata conosciuto il contenuto
dell’offerta economica.
In altri termini la chance non raggiunge la soglia del 50% di
probabilità di successo a cui fa riferimento la
giurisprudenza consolidata per ritenerla risarcibile.
Situazione di fatto ostativa al ristoro della perdita di
chance addebitabile allo stesso comportamento processuale
della ricorrente che a riguardo non ha assolto ad alcun onere
probatorio in ordine al nesso di causalità fra illegittimità
dell’esclusione dalla gara e danno ingiusto. In misura tale
da non consentire d’esperire il giudizio prognostico su base
oggettiva che fonda la chance risarcibile.
Aggiungasi che l’Amministrazione ha esercitato la potestà di
autotututela in fase ben anteriore all’individuazione della
parte contraente, sicché in difetto di gravame, la revoca
esplica i propri effetti senza che sia invocabile il regime
della responsabilità precontrattuale in ordine al
comportamento scorretto tenuto dall’amministrazione.
In presenza d’atto d’autotutela, pienamente efficace perché
non impugnato, e senza che la ricorrente (non sono) non sia
stata individuata come aggiudicataria, ma di cui non si
conosca (nemmeno) il contenuto dell’offerta presentata in
gara, difettano in fatto i presupposti per configurare la
responsabilità precontrattuale in capo alla stazione
appaltante: fra tutti l’ effettiva sussistenza di posizione
giuridica qualificata della ricorrente quale (ancorché, allo
stato, potenziale) parte contraente.
In termini: l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene
sussistere la responsabilità precontrattuale in capo alla
P.A. nel caso di annullamento d'ufficio degli atti di gara
pubblica di appalto per un vizio rilevato
dall'amministrazione solo successivamente all'aggiudicazione
definitiva, o che avrebbe potuto rilevare già all'inizio
della procedura (Cons. Stato Sez. V, 16.03.2011, n. 1627)
(TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 08.01.2013 n. 35 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Pagamenti
entro 30 giorni.
Il limite può essere esteso a 60 quando il debitore è una Pa.
IL RIFERIMENTO/
La scadenza si misura dalla data di ricevimento della
fattura da parte del debitore o delle merci.
Con il decreto legislativo 192/2012, in vigore dal 1°
gennaio, è stata recepita la direttiva 2011/7/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 16.02.2011
relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle
transazioni commerciali. La normativa integra quella già
dettata dal decreto legislativo 231/2002, con l'intento di
evitare abusi da posizione dominante, soprattutto da parte
della pubblica amministrazione.
La nuova disciplina trova applicazione per ogni pagamento
effettuato, a titolo di corrispettivo, in una transazione
commerciale e, quindi, sia tra privati che tra questi e un
soggetto pubblico.
In primo luogo la disciplina introduce una sostanziale
distinzione tra gli "interessi moratori" (liberamente
determinati fra le parti) e gli "interessi legali di mora",
applicabili ope legis a un tasso pari a quello di
riferimento maggiorato di otto punti percentuali. In
sostanza, mentre dal 1° gennaio le pubbliche amministrazioni
non possono più derogare all'applicazione degli interessi
legali di mora, i privati conservano ancora tale possibilità
in alcuni specifici casi.
I tempi di pagamento massimi standard stabiliti per tutti
dalle nuove norme sono:
- 30 giorni dalla data di ricevimento, da parte del
debitore, della fattura o di una richiesta di pagamento di
contenuto equivalente;
- 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla
data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data
di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente
di pagamento;
- 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla
prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore
riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è
anteriore a quella del ricevimento delle merci o della
prestazione dei servizi;
- 30 giorni dalla data dell'accettazione o della verifica
(eventualmente previste ai fini dell'accertamento della
conformità della merce o dei servizi alle previsioni
contrattuali), qualora il debitore riceva la fattura o la
richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a
tale data.
I 30 giorni sono estensibili a 60 nelle transazioni
commerciali in cui il debitore è una pubblica
amministrazione, previo accordo espresso e scritto delle
parti e solo quando ciò sia giustificato dalla natura o
dall'oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al
momento della sua conclusione. Il termine di 60 giorni è,
invece, automatico per i rapporti con imprese pubbliche
"trasparenti" e con le aziende pubbliche sanitarie.
I 30 giorni valgono anche per le transazioni fra privati ma,
come detto, questi potranno essere ulteriormente dilatati,
purché non risultino gravemente iniqui per il creditore, in
quanto molto difformi da quelli della prassi commerciale o
in contrasto con il principio di buona fede e correttezza,
avuto conto della natura della merce o del servizio oggetto
del contratto.
Decorso, in assenza di pagamento, il termine scatta
l'applicazione degli interessi moratori sull'intero importo
dovuto, senza che sia necessaria la costituzione in mora.
Il tasso di riferimento che deve essere usato è quello
applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti
operazioni di rifinanziamento principali, maggiorato di otto
punti percentuali. Resta ferma la facoltà per i privati di
concordare un tasso differente da quello legale, purché non
iniquo.
Resta, comunque, possibile concordare pagamenti rateali e,
qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata,
gli interessi saranno calcolati sugli importi scaduti.
Rimane, infine, sempre possibile per il debitore dimostrare
che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato
dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a
lui non imputabile.
---------------
La bussola
01 | LA DISCIPLINA GENERALE
La normativa relativa ai pagamenti per le transazioni
commerciali interessa le operazioni concluse dal 01.01.2013. I tempi standard di pagamento sono fissati in 30
giorni, dal ricevimento della fattura o delle merci: il
termine è estensibile in alcuni casi; il termine di 60
giorni è automatico nei rapporti tra fornitori e Asl.
Decorso il termine, si applicano gli interessi di mora,
vincolanti per le pubbliche amministrazioni
02 | LA CERTIFICAZIONE
Per quanto riguarda gli "importi scaduti", in particolare i
rapporti con la Pubblica amministrazione, è operativa la
procedura di certificazione dei crediti. La richiesta di
certificazione dei crediti vantati dalle imprese verso la
Pubblica amministrazione per le forniture eseguite può
essere presentata da chiunque, società, impresa individuale
o persona fisica, vanti un credito nei confronti dei
predetti enti, purché non prescritto, certo, liquido ed
esigibile.
L'azienda potrà utilizzare la certificazione per
compensare debiti iscritti a ruolo per tributi erariali,
regionali o locali e nei confronti di Inps o Inail; ottenere
un'anticipazione bancaria del credito, eventualmente anche
assistita dalla garanzia del Fondo centrale di garanzia;
cedere il credito, pro-soluto e pro-solvendo. L'istanza di
certificazione può essere inoltrata dalle imprese solo
attraverso la procedura ordinaria, con la modulistica
cartacea resa disponibile su www.mef.gov.it/certificazionecrediti/.
L'amministrazione dovrà fornire l'attestazione richiesta nei
trenta giorni successivi alla ricezione dell'istanza.
03 | I PRODOTTI AGRICOLI
I prodotti agricoli sono sottoposti alla disciplina generale
e di settore: il termine di pagamento, cui sono sottratti i
contratti in cui cedente e cessionario sono entrambi
produttori agricoli, sono 30 giorni per i prodotti
deperibili, 60 per gli altri.
In caso di ritardi nel
pagamento, gli interessi di mora si calcolano in base al
tasso di riferimento Ue (7%) più l'integrazione stabilita
semestralmente dal Governo italiano (1%), più 2 punti, per
un totale del 10%. Per omessa o incompleta stesura del
contratto, che comunque non è nullo la sanzione va da 516 a
20mila euro
(articolo Il Sole 24 Ore dell'08.01.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
L'esame delle offerte economiche prima di quelle
tecniche costituisce una palese violazione dei principi
inderogabili di trasparenza e di imparzialità che devono
presiedere alle gare pubbliche.
---------------
Costituisce violazione degli essenziali principi della par
condicio tra i concorrenti e di segretezza delle offerte
l'inserimento, da parte dell'impresa concorrente, di
elementi concernenti l'offerta economica all'interno della
busta contenente l'offerta tecnica.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nelle
procedure indette per l'aggiudicazione di appalti pubblici
sulla base del criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, la commissione di gara è tenuta a valutare
prima i profili tecnici delle offerte, e solo
successivamente le offerte economiche.
E' irrilevante che il bando non detti una specifica
disposizione per stabilire quale delle due offerte debba
essere esaminata con priorità sull'altra, atteso che l'esame
delle offerte economiche prima di quelle tecniche
costituisce una palese violazione dei principi inderogabili
di trasparenza e di imparzialità che devono presiedere alle
gare pubbliche, in quanto la conoscenza preventiva
dell'offerta economica consentirebbe di modulare il giudizio
sull'offerta tecnica in modo non conforme alla parità di
trattamento dei concorrenti, e tale possibilità, ancorché
remota ed eventuale, per il solo fatto di esistere inficia
la regolarità della procedura.
Da tale principio deriva il lineare corollario per cui le
offerte economiche, sempre nel caso di gara secondo il
criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, devono
restare segrete per tutto il tempo occorrente ad evitare che
una eventuale conoscenza degli elementi di valutazione di
carattere automatico (quale appunto il prezzo) possa
influenzare la valutazione degli elementi.
---------------
Costituisce violazione degli essenziali principi della par
condicio tra i concorrenti e di segretezza delle offerte
-principi, questi, di matrice comunitaria che si applicano
anche a materie diverse dagli appalti, essendo sufficiente
che si tratti di attività suscettibile di apprezzamento in
termini economici e che, quindi, valgono anche per le
concessioni di beni pubblici- l'inserimento, da parte
dell'impresa concorrente, di elementi concernenti l'offerta
economica all'interno della busta contenente l'offerta
tecnica, e ciò senza necessità di espressa menzione da parte
della lex specialis di gara (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 07.01.2013 n. 10 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Rappresenta un principio inderogabile in ogni
tipo di gara, ivi comprese anche le procedure negoziate,
quello della pubblicità delle sedute nelle quali si proceda
alla verifica dell'integrità dei plichi e alla disamina del
loro contenuto.
Un consolidato insegnamento giurisprudenziale riconosce
quale principio inderogabile in ogni tipo di gara, ivi
comprese anche le procedure negoziate, quello della
pubblicità delle sedute nelle quali si proceda alla verifica
dell'integrità dei plichi e alla disamina del loro contenuto
(documentazione amministrativa, offerta tecnica ed
economica).
E va rimarcato che lo stesso principio è stato
inequivocabilmente esteso dalla più recente giurisprudenza
anche alle procedure negoziate senza previo bando, ed ha
trovato, da ultimo, il definitivo suggello dell'Adunanza
Plenaria di questo Consiglio n. 31 del 31.07.2012 proprio
nel segno, appunto, della massima latitudine applicativa del
canone di pubblicità delle operazioni di gara, quale
corollario del più generale principio di trasparenza.
Quest'ultima pronuncia, invero, con grande nettezza ha
affermato che le esigenze di informazione dei partecipanti
alla gara a tutela dei principi di trasparenza e par
condicio, richiamate nella decisione n. 13/2011 della stessa
Adunanza a sostegno della necessità che l'apertura delle
buste contenenti le offerte tecniche avvenga in seduta
pubblica, si pongono in termini sostanzialmente identici
anche in relazione alle procedure negoziate, ed ha concluso,
pertanto, che anche laddove si tratti di procedure
negoziate, con o senza previo bando, l'apertura delle buste
contenenti le offerte e la verifica dei documenti in esse
contenuti (verifica preliminare alle successive valutazioni
tecniche ed economiche delle medesime offerte) vadano
effettuate in seduta pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.01.2013 n. 8 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La mancata dettagliata
indicazione, nel verbale di gara, delle specifiche modalità
di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per
garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per
sé motivo di illegittimità dell’attività posta in essere
dalla Commissione per garantire siffatta custodia, in
assenza di ulteriori elementi realmente idonei a far
ritenere verificate in concreto manomissioni o alterazione
dei documenti.
Sul punto, la Sezione non
ravvisa ragioni per discostarsi dall’indirizzo secondo cui
la mancata dettagliata indicazione, nel verbale di gara,
delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli
strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle
offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità
dell’attività posta in essere dalla Commissione per
garantire siffatta custodia, in assenza di ulteriori
elementi realmente idonei a far ritenere verificate in
concreto manomissioni o alterazione dei documenti (cfr.
Cons. Stato, sez. III, 02.08.2012, nr. 4422; Cons. Stato,
sez. VI, 24.11.2010, nr. 8224)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.01.2013 n. 4 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La sola pubblicazione del bando di gara sul sito
internet della stazione appaltante è sufficiente a garantire
la pubblicità di un appalto di servizi rientrante nella
categ. dell'all. IIB della dir. 2004/18 di importo superiore
alla soglia comunitaria
--------------
Il gestore uscente di un servizio che intenda partecipare
alle successive gare indette dalla stessa amministrazione è
tenuto ad una maggiore diligenza in sede di gara.
La Commissione Europea nella comunicazione interpretativa
2006/C-179/02, (la quale, pur non rivestendo alcun valore
normativo, costituisce pur sempre una guida per
l'interprete) sintetizzando i principi affermati nel corso
degli anni dalla Corte di Giustizia in materia di appalti
c.d. esclusi, ha chiarito che …Spetta alle amministrazioni
aggiudicatrici scegliere il mezzo più adeguato a garantire
la pubblicità dei loro appalti. La loro scelta deve essere
guidata da una valutazione dell'importanza dell'appalto per
il mercato interno, tenuto conto in particolare del suo
oggetto, del suo importo nonché delle pratiche abituali nel
settore interessato.
Quanto più interessante è l'appalto per i potenziali
offerenti di altri Stati membri, tanto maggiore deve essere
la copertura. In particolare, un'adeguata trasparenza per
gli appalti di servizi di cui all'all. II B della dir.
2004/18/CE e all'all. XVII B della dir. 2004/17/CE il cui
importo superi le soglie di applicazione di tali direttive
implica di solito la pubblicazione in un mezzo di
comunicazione largamente diffuso. Quali forme di pubblicità
adeguate e frequentemente utilizzate, è opportuno citare: -
Internet. L'ampia disponibilità e la facilità di
utilizzazione di Internet rendono gli avvisi pubblicitari di
appalti pubblicati sui siti molto più accessibili, in
particolare per le imprese di altri Stati membri e le PMI
interessate ad appalti di importo limitato. Internet offre
un'ampia gamma di possibilità per la pubblicità degli
appalti pubblici.
Pertanto, nel caso di specie, anche in presenza di un
appalto ascrivibile ad una delle categorie menzionate
dall'all. IIB di importo superiore alla soglia comunitaria
la pubblicità del bando sul solo sito internet della
stazione appaltante è misura adeguata allo scopo, l'operato
dell'amministrazione va esente da qualsiasi rilievo in punto
di legittimità e ciò anche in ragione del chiaro disposto
dell'art. 20 del Codice dei contratti pubblici (nella
specie, peraltro, il bando è stato pubblicato anche sul sito
dell'A.V.C.P., a riprova del fatto che la Comunità Montana
non aveva alcuna intenzione di rendere "inaccessibile"
la presente gara).
----------------
Il gestore uscente di un servizio che intenda partecipare
alle successive gare indette dalla stessa amministrazione,
così come gode, in sede di formulazione dell'offerta, dei
vantaggi derivanti dalla c.d. asimmetria informativa
rispetto agli altri concorrenti, è per converso tenuto ad
una maggiore diligenza in sede di gara, visto che è lecito
presumere che egli conosca meglio degli altri partecipanti
le regole della procedura e non può quindi normalmente
fruire del c.d. soccorso istruttorio (TAR Marche,
sentenza 04.01.2013 n. 1 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Nella comunicazione
interpretativa 2006/C 179/02, la Commissione Europea,
sintetizzando i principi affermati nel corso degli anni
dalla Corte di Giustizia CE in materia di appalti c.d.
esclusi, proprio con riferimento alla questione dibattuta
nel presente giudizio, ha avuto modo di chiarire che
“….Spetta alle amministrazioni aggiudicatrici scegliere il
mezzo più adeguato a garantire la pubblicità dei loro
appalti. La loro scelta deve essere guidata da una
valutazione dell'importanza dell'appalto per il mercato
interno, tenuto conto in particolare del suo oggetto, del
suo importo nonché delle pratiche abituali nel settore
interessato. Quanto più interessante è l'appalto per i
potenziali offerenti di altri Stati membri, tanto maggiore
deve essere la copertura. In particolare, un'adeguata
trasparenza per gli appalti di servizi di cui all'allegato
II B della direttiva 2004/18/CE e all'allegato XVII B della
direttiva 2004/17/CE il cui importo superi le soglie di
applicazione di tali direttive implica di solito la
pubblicazione in un mezzo di comunicazione largamente
diffuso. Quali forme di pubblicità adeguate e frequentemente
utilizzate, è opportuno citare:
- Internet
L'ampia disponibilità e la facilità di utilizzazione di
Internet rendono gli avvisi pubblicitari di appalti
pubblicati sui siti molto più accessibili, in particolare
per le imprese di altri Stati membri e le PMI interessate ad
appalti di importo limitato. Internet offre un'ampia gamma
di possibilità per la pubblicità degli appalti pubblici.
Gli avvisi pubblicitari sul sito Internet
dell'amministrazione aggiudicatrice sono flessibili ed
efficaci sotto il profilo dei costi. Essi devono essere
presentati in modo che i potenziali offerenti possano venire
a conoscenza delle informazioni agevolmente. Le
amministrazioni aggiudicatrici possono inoltre prevedere di
pubblicare tramite Internet informazioni su future
aggiudicazioni di appalti non disciplinate dalle direttive
«appalti pubblici» nel quadro del loro profilo di
committente.
I portali Internet creati specificamente per gli avvisi
pubblicitari di appalti hanno una visibilità più elevata e
possono offrire maggiori opzioni di ricerca. Sotto questo
profilo, la creazione di una piattaforma specifica per gli
appalti di valore limitato con una directory per i bandi di
gara con sottoscrizione via e-mail rientra tra le migliori
pratiche, in quanto sfrutta appieno le possibilità offerte
da Internet per accrescere la trasparenza e l'efficienza….”.
Pur non rivestendo alcun valore normativo, l’opinione
autorevole della Commissione Europea costituisce pur sempre
una guida per l’interprete, visto che una delle finalità
principali degli organismi comunitari in materia di appalti
pubblici è proprio quella di rendere sempre più ardua alle
stazioni appaltanti nazionali la prassi di pubblicizzare in
maniera inadeguata le gare ad evidenza pubblica.
Pertanto, se anche in presenza di appalti di cui
all’allegato IIB di importo superiore alla soglia
comunitaria la pubblicità del bando sul solo sito internet
della stazione appaltante è ritenuta misura adeguata allo
scopo, nella specie l’operato dell’amministrazione va esente
da qualsiasi rilievo in punto di legittimità e ciò anche in
ragione del chiaro disposto dell’art. 20 del Codice dei
contratti pubblici (nella specie, peraltro, il bando è stato
pubblicato anche sul sito dell’A.V.C.P., a riprova del fatto
che la Comunità Montana non aveva alcuna intenzione di
rendere “inaccessibile” la presente gara).
La presente controversia ripropone l’annosa questione
dell’applicazione delle norme e dei principi delle direttive
comunitarie nn. 17 e 18 del 2004 e quindi del D.Lgs. n.
163/2006 agli appalti relativi ai settori ed ai contratti “esclusi”.
Nella specie si tratta di servizio ascrivibile ad una delle
categorie menzionate dall’allegato IIB al c.d. Codice dei
contratti pubblici, la cui disciplina, come correttamente
rilevato dalla stessa ricorrente, è desumibile dagli artt.
20 e 27 del D.Lgs. n. 163/2006.
Peraltro, parte ricorrente, pur muovendo da premesse
corrette, non perviene a conclusioni condivisibili, atteso
che:
a) nella richiamata comunicazione interpretativa 2006/C
179/02, la Commissione Europea, sintetizzando i principi
affermati nel corso degli anni dalla Corte di Giustizia CE
in materia di appalti c.d. esclusi, proprio con riferimento
alla questione dibattuta nel presente giudizio, ha avuto
modo di chiarire che “….Spetta alle amministrazioni
aggiudicatrici scegliere il mezzo più adeguato a garantire
la pubblicità dei loro appalti. La loro scelta deve essere
guidata da una valutazione dell'importanza dell'appalto per
il mercato interno, tenuto conto in particolare del suo
oggetto, del suo importo nonché delle pratiche abituali nel
settore interessato. Quanto più interessante è l'appalto per
i potenziali offerenti di altri Stati membri, tanto maggiore
deve essere la copertura. In particolare, un'adeguata
trasparenza per gli appalti di servizi di cui all'allegato
II B della direttiva 2004/18/CE e all'allegato XVII B della
direttiva 2004/17/CE il cui importo superi le soglie di
applicazione di tali direttive implica di solito la
pubblicazione in un mezzo di comunicazione largamente
diffuso. Quali forme di pubblicità adeguate e frequentemente
utilizzate, è opportuno citare:
- Internet
L'ampia disponibilità e la facilità di utilizzazione di
Internet rendono gli avvisi pubblicitari di appalti
pubblicati sui siti molto più accessibili, in particolare
per le imprese di altri Stati membri e le PMI interessate ad
appalti di importo limitato. Internet offre un'ampia gamma
di possibilità per la pubblicità degli appalti pubblici.
Gli avvisi pubblicitari sul sito Internet
dell'amministrazione aggiudicatrice sono flessibili ed
efficaci sotto il profilo dei costi. Essi devono essere
presentati in modo che i potenziali offerenti possano venire
a conoscenza delle informazioni agevolmente. Le
amministrazioni aggiudicatrici possono inoltre prevedere di
pubblicare tramite Internet informazioni su future
aggiudicazioni di appalti non disciplinate dalle direttive
«appalti pubblici» nel quadro del loro profilo di
committente.
I portali Internet creati specificamente per gli avvisi
pubblicitari di appalti hanno una visibilità più elevata e
possono offrire maggiori opzioni di ricerca. Sotto questo
profilo, la creazione di una piattaforma specifica per gli
appalti di valore limitato con una directory per i bandi di
gara con sottoscrizione via e-mail rientra tra le migliori
pratiche, in quanto sfrutta appieno le possibilità offerte
da Internet per accrescere la trasparenza e l'efficienza….”.
Nel prosieguo, naturalmente, la Commissione cita anche le
altre più tradizionali forme di pubblicità, ma non si può
fare a meno di notare che proprio il mezzo prescelto nella
specie dall’amministrazione intimata è quello menzionato per
primo nella comunicazione interpretativa del 01.08.2006;
b) pur non rivestendo alcun valore normativo, l’opinione
autorevole della Commissione Europea costituisce pur sempre
una guida per l’interprete, visto che una delle finalità
principali degli organismi comunitari in materia di appalti
pubblici è proprio quella di rendere sempre più ardua alle
stazioni appaltanti nazionali la prassi di pubblicizzare in
maniera inadeguata le gare ad evidenza pubblica.
Pertanto, se anche in presenza di appalti di cui
all’allegato IIB di importo superiore alla soglia
comunitaria la pubblicità del bando sul solo sito internet
della stazione appaltante è ritenuta misura adeguata allo
scopo, nella specie l’operato dell’amministrazione va esente
da qualsiasi rilievo in punto di legittimità e ciò anche in
ragione del chiaro disposto dell’art. 20 del Codice dei
contratti pubblici (nella specie, peraltro, il bando è stato
pubblicato anche sul sito dell’A.V.C.P., a riprova del fatto
che la Comunità Montana non aveva alcuna intenzione di
rendere “inaccessibile” la presente gara);
c) l’amministrazione resistente, anche su questo senza
ricevere alcuna smentita dalla ricorrente, ha evidenziato
che la forma di pubblicità adottata nel 2012 è la stessa
posta in essere negli anni precedenti, in occasione delle
procedure in cui è risultata aggiudicataria la cooperativa
COOSS. Inoltre, è stato evidenziato che, essendo nota a
COOSS la data di scadenza del vigente contratto
(31/12/2012), la ricorrente avrebbe dovuto farsi parte
diligente per conoscere gli intendimenti della stazione
appaltante e la data di pubblicazione del bando relativo
alla nuova gara;
d) il Tribunale ritiene che quest’ultimo argomento, che di
per sé solo non sarebbe sufficiente a decretare il rigetto
del ricorso, nella specie rafforza l’operato
dell’amministrazione, non essendovi dubbio alcuno sul fatto
che il gestore uscente di un servizio che intenda
partecipare alle successive gare indette dalla stessa
amministrazione, così come gode, in sede di formulazione
dell’offerta, dei vantaggi derivanti dalla c.d. asimmetria
informativa rispetto agli altri concorrenti, è per converso
tenuto ad una maggiore diligenza in sede di gara, visto che
è lecito presumere che egli conosca meglio degli altri
partecipanti le regole della procedura e non può quindi
normalmente fruire del c.d. soccorso istruttorio;
e) le decisioni del giudice amministrativo richiamate in
ricorso si riferiscono a casi in cui la pubblicità della
gara era stata interamente omessa dalle stazioni appaltanti,
mentre nella specie, come si è chiarito, la pubblicità vi è
stata. Parte ricorrente identifica probabilmente la
pubblicità prevista dal Codice dei contratti solo con quella
attuata con i tradizionali strumenti cartacei, ma questa
visione del mondo è ormai da ritenere superata.
Fra l’altro, non si comprende quale sia per un operatore
economico, in punto di gravosità degli oneri, la differenza
fra la consultazione giornaliera della G.U.R.I. o della
G.U.C.E. o dei Bollettini regionali o degli Albi pretori
delle amministrazioni aggiudicatrici e la consultazione dei
siti internet degli enti aggiudicatori. Tenuto conto
dell’esistenza di efficienti motori di ricerca (nonché di
siti informatici che hanno quale finalità proprio quella di
segnalare alle ditte interessate gli appalti più
significativi) è anzi da ritenere più agevole per un
operatore economico la consultazione dei siti informatici
piuttosto che delle tradizionali pubblicazioni cartacee;
f) la disposizione di cui all’art. 27, comma 1, secondo
periodo, del D.Lgs. n. 163/2006 si riferisce ovviamente a
casi in cui il bando non è pubblicato, non essendo logico e
ragionevole prescrivere un doppio onere a carico delle
stazioni appaltanti, ossia la previa pubblicazione del bando
e, laddove pervenga un numero di manifestazioni di interesse
o di offerte inferiore a cinque, l’estensione dell’invito ad
altri operatori (i quali verrebbero fra l’altro individuati
secondo criteri non meglio definiti), in modo che si abbiano
comunque cinque concorrenti;
g) per tutto quanto detto in precedenza, va anche respinta
la censura con cui si deduce il difetto di motivazione. In
effetti, poiché la forma di pubblicità prescelta rientra fra
quelle ammissibili e poiché le stesse vanno ritenute
equipollenti fra loro, la decisione della Comunità Montana
non necessitava sul punto di specifica motivazione.
Peraltro, la motivazione è stata indirettamente esposta
dalla difesa dell’amministrazione, laddove ha evidenziato
che anche negli anni passati i bandi erano stati pubblicati
solo sul sito informatico dell’ente (TAR Marche,
sentenza 04.01.2013 n. 1 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti della p.a. solo in formato elettronico.
Il decreto crescita manda in
soffitta gli atti cartacei.
Contratti della pubblica amministrazione solo informatici.
Il decreto sviluppo-bis, il dl 179/2012, convertito in legge
221/2012 ha modificato l'articolo 11, comma 13, del codice
dei contratti pubblici, nel seguente nuovo testo: «Il
contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico
notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica
secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante,
in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale
rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante
scrittura privata».
Non vi sono dubbi sulla volontà del legislatore che i
contratti si stipulino esclusivamente in forma elettronica e
non cartacea. Almeno, quando siano stipulati per atto
pubblico notarile o in forma pubblica amministrativa, con
l'intervento dell'ufficiale rogante pubblico, che nel caso
degli enti locali è il segretario comunale e provinciale.
La perentorietà della norma è tale da imporre alle
amministrazioni pubbliche l'urgente dotazione di sistemi di
sottoscrizione mediante firma digitale, nel rispetto delle
modalità di stipula elettronica, come fissate dal dlgs
110/2010.
La firma digitale è imposta necessariamente all'ufficiale
rogante, non per le parti che possono ancora utilizzare
anche una firma elettronica non qualificata e, al limite,
apporre una sottoscrizione autografa, acquisita tramite
scanner al documento elettronico: la minore affidabilità
della firma elettronica non qualificata o dell'immagine
della sottoscrizione autografa è compensata
dall'attestazione che l'ufficiale rogante compie delle
operazioni di sottoscrizione effettuate in sua presenza. La
sottoscrizione digitale dell'ufficiale rogante, da apporre
in calce al documento, attribuisce allo stesso la garanzia
di autenticità delle sottoscrizioni.
Il legislatore impone la sottoscrizione elettronica dei
contratti pubblici, ma non ha previsto un obbligo, che
invece sarebbe apparso opportuno, per le aziende di dotarsi
della firma digitale.
Per questa ragione, lascia un margine di disciplina interna,
ai fini della regolamentazione della firma elettronica, che
appare comunque opportuno non distaccare troppo dalle
indicazioni contenute nel dlgs 110/2010.
Il problema si pone, in particolare, per la sottoscrizione
dei contratti mediante scrittura privata non autenticata.
La lettura del nuovo comma 13 dell'articolo 11 è ambigua.
Esso potrebbe essere inteso nel senso che la scrittura
privata non autenticata viva di vita propria e non sia
soggette alla forma elettronica.
Considerando che i privati che intervengono nella
stipulazione dei contratti non sono obbligati ad essere
dotati della firma digitale, l'interpretazione secondo la
quale le scritture private non autenticate possano ancora
stipularsi in forma cartacea appare corretta. Infatti,
mancando un ufficiale rogante che rediga il contratto in
forma elettronica, compiendo le operazioni che garantiscano
la riconducibilità delle sottoscrizioni all'identità delle
parti costituite nel contratto, il sistema della
sottoscrizione del contratto in forma elettronica non sembra
possa funzionare.
Le scritture private non autenticate potrebbero avere la
forma elettronica (che comunque non è certo vietata) solo
laddove l'appaltatore fosse dotato della firma digitale.
Altrimenti si potrebbe pensare a sistemi complessi, come lo
scambio di lettere secondo gli usi commerciali, mediante
posta elettronica certificata, il che richiede comunque che
l'imprenditore disponga a sua volta di una casella di Pec.
O, ancora, l'apertura di spazi nei portali, dedicati alla
sottoscrizione della scrittura privata, nei quali
l'imprenditore si autentichi con una user id e password
fornite dall'ente, inserendo un codice numerico al quale
accede autenticandosi con la user id e la password, salvando
copia del documento, dotato del codice ed accompagnato con
una copia del documento di identità.
L'obbligo imposto dalla norma consiglia, comunque, di
ricorrere il più possibile al mercato elettronico della
Consip, poiché gli acquisti vengono conclusi mediante
contratti o ordini elettronici, in forma di scrittura
privata non autenticata, sottoscritti mediante firma
digitale
(articolo ItaliaOggi del 04.01.2013
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Il
Tar del lazio contraddice l'authority. No all'esclusione per i
senza polizza.
Il «bando-tipo» dell'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici si pone in contrasto con il principio di
tassatività delle cause di esclusione laddove prevede
l'esclusione del concorrente che non allega la polizza
fideiussoria o cauzione provvisoria, o ne allega una non
sottoscritta; viceversa si tratta di irregolarità sanabile e
la clausola del bando che prevede l'esclusione è nulla.
È
quanto afferma il TAR Lazio-Roma, Sez. II, con la
sentenza 03.01.2013 n. 16, che contraddice la delibera
4/2012 dell'organismo di vigilanza sui contratti pubblici
rispetto a una fattispecie in cui un concorrente era stato
escluso per mancata sottoscrizione della cauzione da parte
dell'Istituto cauzionante, nonché del partecipante alla
gara.
L'adempimento in questione è quello previsto
dall'articolo 75 del Codice dei contratti pubblici che
impone la cauzione provvisoria del 2% a corredo dell'offerta
e a garanzia della stessa, ma non prevede l'esclusione del
concorrente come nel caso della cauzione definitiva. Sul
punto il Consiglio di stato era però intervenuto in passato
affermando (Sez. V, 12.06.2009, n. 3746) che la cauzione
provvisoria, assolvendo la funzione di garantire la serietà
dell'offerta, costituisse parte integrante dell'offerta
stessa e non elemento di corredo, sicché la mancata
produzione della garanzia giustificava l'esclusione dalla
gara.
Con l'articolo 46, comma 1-bis, del codice dei
contratti pubblici, introdotto dall'art. 4, comma 2, lettera
d), del decreto legge n. 70/2011, è stata però prevista la
tassatività delle cause di esclusione dalla procedura di
affidamento del contratto di appalto: l'esclusione consegue
quindi sia alla violazione di norma del Codice o del
regolamento in cui è espressamente prevista l'esclusione,
sia ai casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di
altri elementi essenziali. E dopo la norma del decreto 70
sempre il Consiglio di stato (Sez. III, 01.02.2012, n.
493) si era espresso nel senso di ritenere «sanabile o
regolarizzabile la mancata prestazione della cauzione
provvisoria».
Successivamente al decreto legge 70/2011, l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, nel fornire delle prime
indicazioni per la redazione dei bandi di gara (il
cosiddetto «bando-tipo» nel quale è stata effettuata la
ricognizione delle diverse fattispecie di esclusione,
tipizzate dalla legge o ricavabili in sede interpretativa),
ha affermato che costituiscono cause di esclusione tanto la
mancata presentazione della cauzione provvisoria, quanto la
mancata sottoscrizione da parte del garante, così come
effettivamente prevedevano gli atti di gara (ancorché
precedenti alla delibera n. 4).
Il Tar del Lazio contraddice
l'Autorità e ritiene invece nullo il bando per violazione di
legge (e del principio di tassatività delle cause di
esclusione affermato dall'articolo 46, comma 1-bis, del
Codice). Non solo: la sentenza afferma anche che non risulta
condivisibile la tesi sostenuta dall'Autorità, perché tale
tesi risulta in contrasto con la ratio della novella del
2011, evidentemente tesa a limitare le cause di esclusione
dalle gare e a favorire, in ossequio al principio del favor partecipationis,
la regolarizzazione delle domande e delle offerte che siano
prive dei requisiti richiesti dalla legge o dal bando
(articolo ItaliaOggi dell'08.01.2013). |
APPALTI:
Il bando della procedura di gara pubblica è affetto da
nullità ogni qualvolta individua quale causa di esclusione
dalla gara la mancata allegazione della polizza fideiussoria
di cui all'art. 75, comma primo, del codice dei contratti
pubblici.
Tale norma, la quale prevede, al comma sesto,
l’obbligo -non sanzionato con l'inammissibilità
dell'offerta o l'esclusione del concorrente per l'ipotesi in
cui la garanzia non venga prestata- di corredare l'offerta
di una garanzia pari al due per cento del prezzo base
indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o
di fideiussione, a scelta dell’offerente, a garanzia della
serietà dell’impegno di sottoscrivere il contratto e quale
liquidazione preventiva e forfettaria del danno in caso di
mancata stipula per fatto dell’affidatario, ed al comma
ottavo che l’offerta, espressamente a pena di esclusione,
sia corredata, altresì, dall'impegno di un fideiussore a
rilasciare la garanzia di cui all'art. 113, qualora
l'offerente risultasse affidatario, in seguito alla entrata
in vigore della disposizione dell'art. 46, comma 1-bis,
del codice dei contratti pubblici, deve essere interpretata
in modo tale da valorizzare la diversa formulazione
letterale del comma sesto, in relazione al comma ottavo, con
l'evidente intento di ritenere sanabile o regolarizzabile la
mancata prestazione della cauzione provvisoria, al contrario
della cauzione definitiva, che garantisce l'impegno più
consistente della corretta esecuzione del contratto e
giustifica l'esclusione dalla gara.
CONSIDERATO che i suesposti
motivi possono essere trattati congiuntamente e risultano
fondati alla luce delle seguenti considerazioni:
A) l’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici,
introdotto dall’art. 4, comma 2, lettera d), del decreto
legge n. 70/2011, prevede la tassatività delle cause di
esclusione dalla procedura di affidamento del contratto di
appalto, disponendo come segue: “la stazione appaltante
esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato
adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e
dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti,
nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di
altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l’offerta o la domanda di
partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura
dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio di segretezza
delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono
contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette
prescrizioni sono comunque nulle”;
B) l’art. 75 del codice dei contratti pubblici prevede -ai commi da
1 a 6- l’obbligo di corredare l’offerta di una garanzia pari
al due per cento del prezzo base indicato nel bando o
nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a
scelta dell’offerente, a garanzia della serietà dell’impegno
di sottoscrivere il contratto e quale liquidazione
preventiva e forfettaria del danno in caso di mancata
stipula per fatto dell’affidatario; tuttavia tale
disposizione non prevede alcuna sanzione di inammissibilità
dell’offerta o di esclusione del concorrente per l’ipotesi
in cui la garanzia non venga prestata, mentre l’ottavo comma
dello stesso articolo 75, prevede espressamente “a pena
di esclusione” che l’offerta sia corredata altresì
dall’impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia di
cui all’articolo 113 (ossia la garanzia per l’esecuzione del
contratto, pari al 10 per cento dell’importo contrattuale),
qualora l’offerente risultasse affidatario;
C) prima della novella del 2011, con la quale è stato introdotto il
comma 1-bis nell’art. 46 del codice dei contratti pubblici,
la prevalente giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V,
12.06.2009, n. 3746) riteneva che la cauzione provvisoria,
assolvendo la funzione di garantire la serietà dell’offerta,
costituisse parte integrante dell’offerta stessa e non
elemento di corredo, sicché la mancata produzione della
garanzia giustificava l’esclusione dalla gara;
D) a seguito della novella del 2011 la giurisprudenza (Cons. Stato,
Sez. III, 01.02.2012, n. 493) ha chiarito che la
disposizione dell’art. 46, comma 1-bis, del codice dei
contratti pubblici impone una diversa interpretazione
dell’art. 75, che valorizza la diversa formulazione
letterale del comma 6, in relazione al comma 8, e rende
evidente «l’intento di ritenere sanabile o
regolarizzabile la mancata prestazione della cauzione
provvisoria, al contrario della cauzione definitiva, che
garantisce l’impegno più consistente della corretta
esecuzione del contratto e giustifica l’esclusione dalla
gara»;
E) alla luce di tale condivisibile opzione ermeneutica, non risulta
condivisibile la tesi sostenuta dall’A.V.C.P. nella
determinazione n. 4 del 10.10.2012, recante “Indicazioni
generali per la redazione dei bandi di gara ai sensi degli
articoli 64, comma 4-bis e 46, comma 1-bis, del codice dei
contratti pubblici” (che comunque non vincola questo
Tribunale, tanto più se si considera che non è richiamata
nel bando, essendo successiva alla pubblicazione dello
stesso), secondo la quale costituiscono cause di esclusione
tanto la mancata presentazione della cauzione provvisoria,
quanto la mancata sottoscrizione da parte del garante,
perché tale tesi risulta in contrasto con la ratio
della novella del 2011, evidentemente tesa a limitare le
cause di esclusione dalle gare ed a favorire, in ossequio al
principio del favor partecipationis, la
regolarizzazione delle domande e delle offerte che siano
prive dei requisiti richiesti dalla legge o dal bando;
F) deve quindi ritenersi che il bando relativo alla gara di cui
trattasi sia nullo, ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, del
codice dei contratti pubblici, nella parte in cui prevede
quale causa di esclusione dalla gara la mancata allegazione
della polizza fideiussoria di cui all’art. 75, comma 1, del
medesimo codice, e che il provvedimento di esclusione della
ricorrente sia illegittimo, perché adottato con riferimento
ad una fattispecie che la legge considera come una mera
irregolarità sanabile ai sensi dell’art. 46, comma 1, del
codice dei contratti pubblici;
CONSIDERATO che, stante quanto precede, il ricorso deve
essere accolto e, per l’effetto, si deve dichiarare la
nullità del bando nella parte in cui prevede quale causa di
esclusione dalla gara la mancata allegazione della polizza
fideiussoria di cui all’art. 75, comma 1, del codice dei
contratti pubblici e si deve disporre l’annullamento del
provvedimento di esclusione della società ricorrente
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 03.01.2013 n. 16 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: M.
Urbani,
Adempimenti, comunicazioni e tempistiche per l’espletamento
delle procedure di gara (Bollettino di Legislazione
Tecnica n. 1/2013). |
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